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QUARTA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, VII-VIII della quarta serie, raccoglie il materiale documentario relativo al periodo compreso tra il 30 marzo del 1911 e il 18 ottobre del 1912, fase iniziale del lungo Ministero presieduto da Giolitti che durerà fino al 1914 nella quale il termine finale è stato determinato dal trattato di Losanna che poneva fine alla guerra italiana per la conquista della Libia.

È dunque nella guerra italo-turca per il possesso dei territori della Tripolitania e Cirenaica che si accentra il maggiore interesse del volume stesso, ma i documenti confermano come con la guerra italo-turca cominci a mettersi in moto quella lunga serie di sconvolgimenti balcanici e quel vasto movimento diplomatico che daranno concretezza alle numerose rivalità europee facendo precipitare il continente nella prima guerra mondiale.

In realtà che la guida del Governo sia passata da Luzzatti a Giolitti appare piuttosto decisivo per la dinamica libica. Uomo politico che è ricordato più per le sue riforme all'interno dello Stato italiano, che non per le sue iniziative di politica estera, Giolitti mostra attraverso alcuni squarci della documentazione stampata che egli aveva colto con immediatezza alcuni dei mutamenti che si stavano manifestando nella penisola. A cinquant'anni dalla formazione dello Stato era tempo anche di bilanci e, sulla base dei progressi che proprio le riforme giolittiane avevano reso possibili, molte voci si levavano per chiedere la realizzazione di ulteriori aspirazioni. Giolitti comprendeva che queste erano vaghe e inderminate in gran parte di quell'opinione pubblica che le reclamava, la quale ignorava tuttavia che la ricerca di un più equo equilibrio del Mediterraneo non si risolveva con la conquista dell'altra sponda, che gli interessi economici del Banco di Roma erano in realtà esigui e che quelle terre avrebbero offerto spazi limitati anche all'emigrazione. Ma egli comprendeva anche che la questione marocchina si stava concludendo con un accordo franco-tedesco ed era quindi il momento di agire se si voleva dare logica conclusione alla diplomazia del recente passato.

D'altra parte l'insurrezione albanese durava ormai da mesi e minacciava di aprire un ulteriore fronte diplomatico nella contrapposizione tra Italia e AustriaUngheria, con la partecipazione corale delle maggiori potenze europee, che conveniva affrontare avendo risolto le problematiche coloniali. Iniziava dunque la lunga serie di colloqui che il ministro degli affari esteri Antonino di San Giuliano affidava parzialmente al corpo diplomatico, al segretario generale del Ministero, Bollati e che egli stesso svolgeva con coerente cautela, non priva tuttavia di volontà decisionale. Iniziavano dunque i sondaggi con la Gran Bretagna considerata l'interlocutore dal quale erano da attendersi le reazioni più favorevoli. Continuava l'azione diplomatica con la Russia, che era preoccupata per l'evoluzione della situazione balcanica, con la Germania che, libera da interessi, interpretava quelli dell'alleato austriaco e infine con la stessa corte di Vienna nella quale emergevano le inquietudini per i contraecolpi nei Balcani e si affidava ad una rapida azione italiana. Era solo a settembre, in perfetta coincidenza con l'inizio delle trattative tra Parigi e Berlino per il Marocco, che gli impegni del 1902 erano ricordati alla Francia.

L'ultimatum alla Turchia era la logica conseguenza della conclusione dei sondaggi diplomatici, che di San Giuliano aveva condotto evitando i due pericoli dell'offerta di una mediazione e della richiesta di compensi, e iniziava l'azione militare che avveniva con le cautele dettate dalla necessità di non estendere le operazioni in altri teatri come l'Adriatico dove gli incidenti marittimi erano minimizzati.

Interessanti i dispacci dal fronte che illuminano, intrecciandosi con piccoli ma indicativi episodi lungo la costa yemenita o araba, vecchie e recenti considerazioni su quelle popolazioni. La società libica appare incline a contrastare i turchi, ma allo stesso tempo solo superficialmente accetta gli italiani. Indicazioni di estrema attualità giungono dal fronte e lo spirito fortemente intriso di religiosità di quelle genti colpisce la fantasia degli italiani.

Dal volume appare infine chiaramente come sia il ministro degli affari esteri di San Giuliano la principale figura di riferimento, anche se i pochi interventi di Giolitti, che sono stati scelti, mettono in rilievo la concretezza e ad un tempo l'acume dell'uomo politico piemontese che la sobrietà del suo stile non è in grado di nascondere completamente.

2. I fondi consultati per questo volume -conservati principalmente nell'Archivio storico-diplomatico del Ministero degli affari esteri-sono i seguenti: Gabinetto e Segretariato Generale, 1869-1922; Telegrammi ordinari in arrivo e partenza; Telegrammi di Gabinetto in arrivo e partenza 1912; Serie politica P, 1891-1916; Ambasciata d'Italia a Berlino, Ambasciata d'Italia a Londra, Ambasciata d'Italia a Parigi, Ambasciata d'Italia a Vienna; Carte Avama; Carte Contarini; Carte Imperiali; Carte Levi; Carte Mori; Carte Pansa; Ministero dell'Africa italiana.

Alcuni documenti provengono dalle Carte Giolitti conservate presso l'Archivio Centrale dello Stato.

3. Alcuni dei documenti sono stati già pubblicati, parzialmente od integralmente, od anche utilizzati con citazioni testuali nelle opere seguenti (tra parentesi è indicata l'abbreviazione utilizzata nelle note):

G. DE MARTINO, La mia missione a Costantinopoli per la guerra di Libia, in «Rassegna di politica internazionale», IV (1937), pp. 252-286 (DE MARTINO, La mia missione).

Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, III, Dai prodromi della grande guerra al fascismo, 1910-1928, a cura di C. Pavone, Milano, G. Feltrinelli, 1962 (Dalle carte ...).

C. GALLI, Diarii e lettere, Tripoli 1911, Trieste 1918, Firenze, Sansoni, [1951] (GALLI, Diarii).

G. GIOLITTI, Memorie della mia vita; con uno studio di Olindo MALAGODI, Milano, Garzanti, 19672 (GIOLITTI, Memorie).

F. MALGERI, La guerra libica (1911-1912), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970 (MALGERI, La guerra libica).

S. SoNNINo, Carteggio 1891-1913, a cura di P. BROWN e P. PASTORELLI, Roma-Bari, Laterza, 1981 (SoNNINO, Carteggio).

Trattati e Convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, Roma, Ministero degli affari esteri, 1872-(Trattati e Convenzionz).

Si elencano, inoltre, le raccolte di documenti citate in nota (tra parentesi è indicata l'abbreviazione):

British Documents on the Origins of the War, 1898-1914, Londra, His Majesty's Stationery Office, 1926-1938 (ED).

Der Diplomatische Schriftwechsel Iswolskis, 1911-19 I 4, Aus den Geheimakten der Russischen Staatsarchive, Berlin, Deutsche Verlagsgesellschaft fur Politik und Geschichte, 1924 (DS/).

Documents Diplomatiques Français (1871-1914), Parigi, Imprimerie Nationale, 1929-1959 (DDF).

Die Grosse Politik der Europaischen Kabinette 1871-1914, Berlino, Deutsche Verlagsgesellschaft fur Po1itik und Geschichte, 1922-1926 ( GP).

Die Internationalen Beziehungen im Zeiltalter des lmperialismus. Dokumente aus den Archiven der Zarischen und der Provisorischen Regierung, Berlino, R. Hobbing, 1931-(!B)

Nouveau Recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Lipsia, Librairie Di eteri c h poi altri, 1909-1969 (MARTENS).

Osterreich-Ungarns Aussenpolitik von der bosnischen Krise 1908 bis zum Kriegsaubruch 1914, Diplomatischen Aktenstucke des Osterreichisch-Ungarischen Ministerium des ;{ussern, Vienna-Lipsia, Osterreichischer Bundesverlag fur Unterricht, Wissenschaft und Kunst, 1930 ( OeUA).

Papers relating to the Foreign Relations of the United States with the Annua[ Message of the President, Washington, Govemment Printing Office, 1861-(FRUS).

A. F. PRIBRAM, Di e politischen Geheimvertrage Osterreich-Ungarns 1879-1914 nach den Akten des Wiener Staatsarchivs, vol. I, Vienna-Lipsia, W. Braumuller, 1920 (PRIBRAM).

4. Alla preparazione di questo volume hanno collaborato con competenza e professionalità le dottoresse Maria Laura Piano Mortari e Rita Luisa De Palma che hanno effettuato le ricerche archivistiche, la redazione dell'apparato critico, la revisione dei testi e la preparazione per la stampa. Ad esse va il mio sentito ringraziamento per il contributo che hanno dato. Ringrazio inoltre la dottoressa Marina Tomaselli per gli interventi nei settori della ricerca. Sono grato alle signore Andreina Marcocci e Daniela Velia che hanno operato la trascrizione dei testi.

Edoardo DEL VECCHIO

XI


DOCUMENTI
1

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, TOMMASINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 14561108. Vienna, 30 marzo 1911, ore 18,50 (per. ore 21,25).

Telegrammi di V. E. nn. 1195, 1198 e 1202 1 . Pallavicini mi ha detto che le notizie giunte a lui da Scutari, pur essendo gravi, lo sono molto meno di quelle comunicategli da me per incarico di V. E.

Egli riconosce il pericolo che può derivare dal fatto che le autorità turche armano senza discernimento popolazioni musulmane ed ha incaricato ambasciatore d'Austria-Ungheria a Costantinopoli2 di attirare su ciò e sulla responsabilità che ne deriva al Governo ottomano l'attenzione del gran visir. Tuttavia Pallavicini non ha per ora ragione di credere che sussista un pericolo immediato per gli europei di Scutari.

Pallavicini non ha nessuna intenzione di mandare navi da guerra sulle coste albanesi per tutela dei sudditi della Monarchia; egli considera un provvedimento simile come materialmente inefficace e moralmente pericolosissimo. Uno sbarco a Medua, che dista 40 km da Scutari, non servirebbe praticamente a nulla, mentre potrebbe esasperare la popolazione turca e spingerla ad eccessi contro gli europei. Del resto allo stato attuale delle cose, le Potenze che sono in pace colla Turchia non hanno nessun titolo per fare un atto ostile ad essa. L'invio di una squadra potrebbe essere ventilato solo dopo che fossero state commesse violenze a danno degli europei.

Pallavicini ritiene che i turchi, i quali politicamente commettono molti errori, ma, dal punto di vista militare, fanno le cose bene e dispongono di forze considerevoli, finiranno anche questa volta per aver ragione della insurrezione albanese.

Le notizie pervenute qui da Cettigne confermano quelle di Squittì circa l'intenzione del Governo montenegrino di tenere una condotta corretta e neutrale.

2 Si intende, evidentemente, far riferimento all'incaricato d'affari.

Pallavicini crede alla sincerità del Governo montenegrino. In ogni modo darà al ministro d'Austria-Ungheria a Cettigne istruzioni analoghe a quelle date da V. E. a Squitti3 .

l 1 TT. del 29 e 30 marzo, non pubblicati, sulla situazione albanese e su quella montenegrina e su possibili azioni concordate tra i due Governi. Con il primo telegramma si dava fra l'altro istruzione di comunicare l'invio di una divisione navale a Brindisi pronta a salpare per Medua.

2

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1479/36. Madrid, 31 marzo 1911, ore 15,30 (per. ore 19,55).

Marocco. Ministro di Stato mi disse stamane discorso Cruppi, cortesissimo nella forma, non contiene nella sostanza affidamenti positivi 1 . Governo francese non ha ancora risposto nota spagnuola2 . Linguaggio miei colleghi Inghilterra e Germania lascia supporre loro Governi non ravvisano nell'accordo franco-marocchino alcuna infrazione atto generale della Conferenza di Algeciras, né, pertanto, si presterebbero progetto nuova conferenza3 .

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 88. Roma, 1° aprile 1911.

Mi pregio di accusare ricevuta all'E.V. e ringraziarla del suo rapporto n. 1184/ 307 in data 12 marzo u.s 1•

Intendo come i tedeschi non possano -formalmente almeno -rinunziare, in Tripolitania e Cirenaica come altrove, al principio, da essi sempre sostenuto, della porta aperta.

Noi ci adoperiamo, quindi, per mettere -in fatto di fosfati come per le altre aggiudicazioni nell'Africa ottomana -i nostri connazionali in condizione da poter concorrere con grandi probabilità di successo, purché il Govemo ottomano si mantenga imparziale.

2 lvi, doc. 193.

3 Per il seguito cfr. n. 15.

Tuttavia la Germania ha-come l'Austria-Ungheria-un dovere morale di adoperarsi con ogni mezzo in suo potere affinché i suoi cittadini non ci vadano a far concorrenza in una regione ove essa non ha notevoli interessi.

Questo dovere è la conseguenza, non solo dei rapporti di alleanza che la legano a noi, ma anche e specialmente delle raccomandazioni, che essa ci rivolge ad ogni occasione, di esser prudenti e pazienti in Tripolitania e Cirenaica.

Ora la prudenza e la pazienza, da parte nostra, diverrebbero impossibili se vedessimo minacciata la situazione che abbiamo -con gravi sacrifizì -acquistata nell'Africa ottomana.

Compito dell'E. V. dovrà essere quello di tenere, da un lato, questo ministero costantemente informato di quanto individui di altre nazionalità si accingano a fare in Tripolitania e Cirenaica e di influire indirettamente presso i suoi colleghi, e segnatamente presso codesto ambasciatore germanico, affinché si renda conto della necessità che, nell'interesse stesso della integrità delle province africane dell'Impero, non ci venga fatta colà concorrenza.

Per quanto riguarda il Banco di Roma, non disconosco gli inconvenienti dall'E.

V. segnalatami, i quali -però -sono, come anche l'E. V. osserva, notevolmente attenuati dall'imminente istituzione delle sedi di Costantinopoli e di Gerusalemme, ma debbo in pari tempo constatare-per amor del vero-che tutta l'azione nostra in quelle regioni deve necessariamente incardinarsi nel detto istituto, giacché da nessun altro (né enti né privati) abbiamo potuto ottenere il minimo concorso.

l 3 Per il seguito cfr. n. 8.

2 1 Si veda DDF, serie II, t. XIII, doc. 192.

3 1 Non pubblicato nel vol. V NI della serie quarta.

4

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 344/71. Belgrado, 6 aprile 1911 (per. il 17).

Col mio rapporto del 7 marzo u.s. n. 441 , e coi susseguenti telegrammi, nn. 29, 322 e 343 , ho avuto l'onore di riferire all'E.V. circa la missione del ministro di Serbia a Cettigne.

Le proposte fatte al4 signor Petkovitch, da parte di re Nicola, sono state accolte qui, come al solito, con grande diffidenza. Il Governo serbo, però, non voleva mostrarsi restìo ad entrare in trattative col Montenegro, nel timore, come già osservai, che di tale attitudine avesse a servirsi eventualmente in avvenire re Nicola davanti alla Nazione serba, affermando che egli era stato bensì disposto a fare il primo passo, perdonando alle gravi ingiurie fattegli, secondo lui, dal re e dal

Non pubblicato nel vol. VNI della serie quarta. 2 Cfr. serie IV, vol. VNI, nn. 746, 761. 3 T. 1526/34 del 3 aprile, non pubblicato. 4 Il documento reca, per errore, dal.

Governo di Serbia, ma che ogni buona disposizione da parte sua aveva trovato ostacolo nella cattiva volontà del Gabinetto di Belgrado.

Perciò si è dato incarico al signor Petkovitch di far ritorno a Cettigne e di manifestare al re il modo di vedere di questo Governo circa la situazione creata dall'insurrezione albanese: egli è stato, a tale scopo, munito delle istruzioni portate a notizia dell'E.V. col mio telegramma n. 32.

Bisogna confessare che le istruzioni date al signor Petkovitch, principalmente per quanto concerne la dichiarazione di essere pronti ad accordarsi col Montenegro per qualsiasi eventualità e nell'intento di assicurare completa unità dei due paesi in ogni circostanza, potrebbero sembrare in contradizione colle intenzioni pacifiche ripetutamente ed altamente proclamate dal Governo serbo.

Il signor Milovanovitch, al quale ho fatto osservare ciò, mi disse: «a vaghe proposte ho dato vaghe risposte e se, per caso, a Cettigne si avesse il serio proposito d'intendersi con noi, nel corso delle trattative saprei certamente salvaguardare il paese dal pericolo di essere trascinato in arrischiate avventure. Ciò che sovratutto importante e che non ci è stato dato finora di conoscere, è di sapere quali siano le vere intenzioni del re Nicola e questo scambio d'idee potrebbe forse metterei in grado di risolvere il problema». Il signor Milovanovitch mi aggiunse anche, che se la cosa dovesse avere un qualche seguito potrebbe darsi che egli stesso si rechi a Cettigne per abboccarsi col re.

Non è la prima volta, del resto, che sono messe innanzi proposte di accordi fra i due Stati serbi ed è assai probabile che anche in questa circostanza non abbiano ad uscire dal campo delle idee astratte.

4 1

5

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 1322. Roma, 7 aprile 1911, ore 21,45.

Suoi telegrammi nn. 351 e 352 1• Dal modo come V.E. si limita a riferirmi le solite risposte cortesemente evasive di Rifaat, io vedo chiaramente che V.E. non si rende conto dei pericoli della situazione derivante dallo stato della opinione pubblica italiana. Dico questo non come rimprovero, ma come constatazione, che anzi non mi stupisce che V.E., trovandosi lontano dall'Italia, giudichi ogni affare soltanto secondo la sua importanza intrinseca, e non secondo l'effetto che produce in Italia e le conseguenze che da questo effetto potrebbero derivare e che in parte già si sono avverate poiché V.E. avrà notato che ho dovuto modificare l'attitudine favorevole alla Turchia che avevo preso nella questione cretese ed in altre. Se Rifaat, preten

dendo ignorare o ignorando i fatti, non cerca di accertarli, e se intende aspettare che autorità locali in Tripolitania abbiano commesso abusi palesi contro i nostri interessi e diritti per redarguirle, e riparare, e non pensa a prevenire gli abusi stessi, è segno che tanto V.E. quanto Kiazim, -che pure anche ieri ho fatto intrattenere a lungo degli avvenimenti in Tripolitania e Cirenaica -non lo hanno sufficientemente informato del vero stato degli animi qui e delle sue conseguenze possibili. Non credo affatto opportuno parlare ora un linguaggio comminatorio, ma credo che la necessità, non solo di reprimere ma di prevenire atti poco amichevoli delle autorità ottomane in Tripolitania ed altrove, debba essere amichevolmente ma chiaramente e fermamente spiegata a viva voce a codesto Governo. Esso farebbe opera conforme ancor più ai suoi che ai nostri interessi dando subito nuovamente chiare e categoriche istruzioni a tutte le autorità ottomane in Tripolitania e Cirenaica e vegliando a che tali istruzioni siano eseguite con spirito sinceramente amichevole2 .

5 1 T. 1598/351 e T. 1599/352, pari data, non pubblicati.

6

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 350/73. Belgrado, 7 aprile 1911 (per. il 15 ).

Il ministro di Bulgaria mi parlò, or sono pochi giorni, della buonissima impressione prodotta qui dalla costituzione del nuovo Ministero bulgaro. Secondo il mio collega non dovevasi, però, esagerare la portata delle conseguenze che forse il Governo serbo immagina possano derivare dalla venuta al potere del signor Guechoff. «È probabile -mi disse il signor Tocheff -e sarebbe già un buon passo innanzi, che si giunga infine alla conclusione del trattato di commercio e, quindi, col rendere normali e più intensi i rapporti commerciali ed economici fra i due paesi, si possa arrivare in seguito ad una più intima comunione nelle relazioni politiche. Nulla di più».

Il ministro degli affari esteri, dal canto suo, parlandomi dello stesso argomento, mi disse che l'avvento al potere del signor Guechoff era stato accolto con grande soddisfazione da questo Governo perché il partito nazionalista bulgaro aveva sempre dimostrato di nutrire sentimenti amichevoli verso la Serbia ed anche, e sovratutto, perché avendo tendenze spiccatamente russofile, era lecito supporre che il Governo di Sofia seguirebbe una linea di condotta politica conforme a quella adottata dal Governo di Belgrado. Il signor Milovanovitch mi soggiunse poi che il Malinow, negli ultimi tempi, si era sempre dichiarato disposto ad entrare in trattative per la conclusione del trattato di commercio fra il suo paese e la Serbia: «ma ciò», continuò

il ministro, «non ci basta. Il trattamento della clausola della nazione più favorita è sufficiente ai limitati scambi commerciali che corrono fra i due paesi, e che non saranno certo notevolmente aumentati dall'esistenza di un trattato regolare. A noi occorre d'intendersi per uno scopo preciso e definito, in modo da sentirei politicamente uniti e concordi collo Stato vicino».

Da quanto confidenzialmente mi risulta -ed ho avuto l'onore di dame notizia all'E.V. col mio telegramma n. 35 1 -il signor Guechoff intanto, appena giunto al potere, in una conversazione coll'incaricato di Serbia a Sofia, gli espresse il desiderio di conoscere il modo di pensare del Gabinetto di Belgrado circa la situazione creata dall'insurrezione albanese, manifestandosi convinto dell'opportunità che vi era per i due Governi di scambiarsi vicendevolmente le loro vedute al riguardo. Il signor Milovanovitch ha subito risposto che quantunque il focolare della rivolta fosse, per il momento, assai lontano dai confini della Serbia, la situazione gli sembrava degna della più grande vigilanza da parte dei due Governi, serbo e bulgaro, e che, sebbene l'Austria si tenesse attualmente in un'attitudine di riserva, doveva essere osservata con diffidenza. In ogni caso il signor Milovanovitch credeva raccomandabile una linea di condotta intesa ad evitare che l'eventuale estendersi dell'insurrezione provocasse un intervento da parte della Monarchia. In un rapporto pervenuto ieri, stando sempre alle informazioni confidenziali che mi sono state fomite, l'incaricato d'affari di Serbia ha riferito di aver parlato al signor Guechoff nel senso sopra accennato, e che questi lo ha pregato di continuare a tenerlo al corrente del pensiero del Gabinetto di Belgrado, dichiarandosi non alieno da uno scambio di vedute circa un'azione concorde in quelle circostanze nelle quali se ne dimostrasse la necessità.

Sebbene sia possibile che il signor Guechoff, nelle sue conversazioni col signor Miloyévitch, abbia avuto soltanto l'intenzione di mettere in rilievo le sue buone disposizioni, non già per un accordo generale e preciso, ma per un'azione concorde, che potrebbe essere desiderabile e che potrebbe essere discussa caso per caso, tuttavia il passo fatto dal Governo di Sofia non è privo d'importanza, né credo a giudicare dall'opera costante esplicata da questa legazione russa in favore di ogni tentativo della Serbia per un riavvicinamento cogli Stati slavi balcanici -possa esservi estranea l'influenza di Pietroburgo.

Il signor Milovanovitch, in verità, è uno dei più caldi fautori di un'alleanza serbo-bulgara, la quale dovrebbe avere però come oggetto la netta divisione delle sfere d'influenza e di propaganda in Macedonia. Egli ha anzi creduto di potere indurre il Governo bulgaro ad entrare nelle sue vedute, mediante la disposizione, presa tempo fa, di chiudere le scuole serbe nei vilayet di Salonicco e negli altri distretti ove l'elemento serbo è in minoranza, per concentrarle in quelle località nelle quali, secondo l'opinione professata a Belgrado, l'influenza serba non dovrebbe essere discussa. Il Milovanovitch stesso, in una conversazione avuta con lui, poco prima delle aperture fatte dal Guechoff, ebbe a dirmi: «fino a che non sia riconosciuta la nostra assoluta preponderanza nelle regioni macedoni sino ad Uskiib, nes

sun accordo è possibile con Sofia. Se i bulgari non vogliono ammettere ciò, noi non avremo che a ritornare all'influenza austriaca».

Date le pretese più o meno giustificate del Governo serbo non sembra, per conseguenza, che possa essere facile il trovare una base sulla quale stabilire, come si vuole qui, una completa intesa con la Bulgaria.

Potrebbe darsi, del resto, che questo risveglio di intenzioni di concordia e di unione svanisca qualora i turchi riescano con ripetuti successi militari a domare prontamente la insurrezione albanese2 .

5 2 Per la risposta cfr. n. 7.

6 1 T. 1527/35, del 3 aprile, non pubblicato.

7

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1650/361. Pera, 9 aprile 1911, ore 21 (per. ore 24).

Telegramma n. 13221 . Ho veduto ora Rifaat pascià. Con linguaggio amichevole ma fermo, gli ho detto che né io né Kiazim avevamo fatto comprendere lo stato presente dell'opinione pubblica in Italia. Gli ho mostrato giornali e pubblicazioni rivelanti tale unanimità di sentimenti da impressionare e di cui il Governo non può non preoccuparsi; gli ho letto il testo dell'interrogazione parlamentare diretta a VE. e l'ho pregato fare quanto occorre per mantenere i nostri buoni rapporti. Rifaat ha risposto non sapere che fare in più di quanto ha già fatto. Credeva averci dato soddisfazione in tutto.Gli citai i tre nuovi incidenti che commuovono a buon diritto il pubblico italiano. Egli ha risposto deplorare vivamente l'eccesso di difesa del gendarme di Smirne; il fatto essere però di quelli che purtroppo accadono in ogni paese; non avere poi carattere anti-italiano poiché la nazionalità del morto era certamente ignorata dal gendarme ed anche un francese ed un austriaco furono feriti; la avvenuta o minacciata chiusura delle scuole francescane di Derna essere probabilmente effetto di zelo intempestivo che egli disapprova ma non atto di italofobia, poiché lo stesso provvedimento sarebbe stato preso se le scuole fossero state di altra nazionalità ed appunto un incidente analogo ha avuto luogo poco fa con AustriaUngheria per una scuola religiosa austriaca a Prizrend, incidente che si è appianato, come certamente si appianerà quello di Derna. Quanto al rinvio della discussione sulla nostra esplorazione mineralogica, Rifaat ne è spiacente come di un atto inabile, ma siccome valì, nel riferire su ristabilimento dei buoni rapporti con Pestalozza, dimostrava viva soddisfazione, crede non fosse ispirato da malanimo ed il rinvio si potrebbe spiegare anche in questo caso (?)2 , se la nostra opinione pubblica non fosse così sensibile. Ho replicato codesta sensibilità essere dovuta all'incessante

7 1 Cfr. n. 5. 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

ripetersi di incidenti. In Tripolitania più che altrove, occorre sommo tatto, mentre se ne manca in tutti i gradi della gerarchia. N e manca il valì che doveva evitare il rinvio; ne manca il caimacan di Derna che poteva aspettare o procedere altrimenti; ne manca l 'ufficio del catasto che persevera nel noto sistema nonostante tassativi ordini granviziriali in contrario. Ne manca direi perfino lo stesso Governo centrale che sceglie tali funzionari per tali luoghi. Rifaat ha invocato la scarsità del personale, le difficoltà di un nuovo regime delle quali gli altri governi tengono conto, l'influenza dell'ambiente locale in cui perdurano i sospetti e le animosità di un tempo. In conclusione, Rifaat telegrafa valì perché le formalità della partenza missione mineralogica siano affrettate; fa telegrafare dal valì (?)2 al caimacan di Derna per avere spiegazioni e cercare temperamenti; al valì di Smirne perché tenga dietro all'inchiesta in corso.

6 2 Per il seguito cfr. n. 31.

8

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 16601123. Vienna, 10 aprile 1911, ore 20,50 (per. ore 23,35).

Telegrammi di V.E. nn. 1330 e 13441 .

Pallavicini mi ha detto essere stato informato pure della sottomissiOne capo albanese Hisabes e suoi compagni e loro arrivo Gussinie come dell'ordine dalla Sublime Porta disarmare volontari musulmani di Scutari. Dubita che però tale ordine sia eseguito.

Ciò che gli procurava però una certa inquietudine in questo momento erano i sospetti che si avrebbero in Turchia contro i montenegrini di fronte insurrezione albanese. Conosceva gli addebiti fatti da Rifaat pascià al Governo montenegrino. Ma non credeva che si dovesse dubitare della sincerità delle dichiarazioni del re e del suo Governo e della loro intenzione mantenere neutralità.

Però, da quanto gli risultava, esisteva nel Montenegro un certo partito di cui facevano parte generali e specialmente il console del Montenegro a Scutari, persona intelligente da lui conosciuta, i quali non dividevano idee del re Nicola e del suo Governo.

Se gli insorti albanesi, dopo essere stati sconfitti dalle truppe turche, avessero continuato a rifugiarsi sul territorio montenegrino ed a rientrare, quindi, in Turchia riprendendo offensiva dopo essersi riforniti di armi e munizioni, Governo ottomano avrebbe potuto rivolgere ad un dato momento Governo montenegrino rimostranze ed anche un ultimatum per far cessare tale stato di cose e ciò costituiva il pericolo che

lO

conveniva prevenire. Egli non aveva mancato di impartire istruzioni rappresentante imperiale e reale a Cettigne dare consigli moderazione e prudenza al Governo montenegrino, ed avevalo inoltre incaricato di associarsi, nel fare tale passo, al suo collega d'Italia. Sapeva, d'altra parte, che Governo russo aveva impartito dal suo lato analoghe istruzioni al suo rappresentante in quella residenza.

8 1 Rispettivamente dell'8 e 9 aprile, non pubblicati.

9

IL PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER SOCCORRERE I MISSIONARI ITALIANI, BASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. 6630. Torino, 10 aprile 1911 (per. il 23).

Bene, sono lieto di annunziare all'E.V. che la missione carmelitana della Siria, divenuta da due anni missione completamente italiana, aderendo all'invito rivoltole da questa Associazione, ha risoluto di rinunziare alla protezione francese, e di chiedere la protezione del R. Governo.

La formale e definitiva rinunzia alla protezione francese, per tutta intera quella missione, -missionari, suore, chiese, istituti e proprietà diverse, -è stata oggi stesso rimessa ai consolati francesi di Tripoli e di Alessandretta, e colla presente mi pregio accompagnare a V. E. la domanda del reverendissimo padre Giuseppe da Arpino, superiore di tutta quella missione, controfirmata dai membri del suo Consiglio, perché si compiaccia il Governo di Sua Maestà ricevere la missione medesima sotto la sua protezione.

Questa Presidenza ha già fatto tenere a quella missione un competente numero di bandiere nazionali, da essere inalberato sulle chiese e sugli istituti della medesima, desiderando questa Associazione che il patriottico proposito della missione carmelitana abbia modo di affermarsi subito anche pubblicamente.

E nel rimettere la mentovata domanda di quella missione mi permetto caldissimamente pregare V. E. a volersi compiacere di accoglierla, ed a voler dare immediate istruzioni alla r. ambasciata a Costantinopoli, al r. consolato generale a Beirut e alle agenzie consolari di Tripoli (Siria) e di Alessandretta perché quelle missioni sieno subito ricevute sotto la protezione del R. Governo, e sieno integralmente conservate alle medesime da parte del Governo ottomano tutte le esenzioni di tasse, tutte le franchigie doganali e tutti i privilegi delle quali e dei quali le medesime hanno fino ad ora usufruito 1 .

9 1 Per il seguito cfr. n. 17.

10

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1688/127. Vienna, 11 aprile 1911, ore 20,50 (per. ore 6,15 del 12).

Dai miei telegrammi nn. 123 1 , 1242 VE. avrà rilevato quali siano le informazioni pervenute al Governo imperiale e reale circa situazione presente in Albania, come gli apprezzamenti fatti sulla medesima da Pallavicini.

Quanto alle intenzioni del Governo imperiale e reale in proposito, Pallavicini, nel colloquio che ebbi jeri con lui, accennando a ciò che aveva fatto conoscere al r. incaricato d'affari circa eventuale invio navi sulle coste albanesi per tutela sudditi Monarchia, ricordò le ragioni per le quali considerava tale provvedimento, non solo come materialmente inefficace, ma anche moralmente pericolosissimo.

Con ciò egli mi fece intendere che non era intenzione del Governo imperiale e reale di prendere nelle circostanze presenti un provvedimento siffatto e rilevò che era necessario per ora osservare con calma lo svolgersi degli eventi ed aspettare arrivo nuove truppe turche che non avrebbero potuto non migliorare situazione. Divido pienamente opinione di VE. che, se un intervento europeo fosse necessario, occorrerebbe evitare che esso avvenisse per parte di una sola potenza ma mi parrebbe prematuro, come VE. afferma, di parlarne per ora al Governo imperiale, non essendo il caso di pensare pel momento ad un intervento qualsiasi isolato od europeo. In ogni modo, secondo mio subordinato parere, a noi non conviene prendere iniziativa di qualunque azione senza esserci preventivamente concertati col Governo imperiale e reale e di far sì che azione due Governi sia ed apparisca pienamente concorde.

Vedrò di nuovo Pallavicini in occasione suo ricevimento ebdomadario e, senza ritornare ben inteso sull'argomento dell'invio di navi sulle coste albanesi, procurerò indagare ancora una volta suo pensiero e sue intenzioni qualora situazione in Albania fosse per assumere carattere grave.

Non mi risulta per il momento che preparativi siano stati fatti dal Governo imperiale e reale per ciò che riguarda le sue forze militari in vista degli eventi in Albania.

È bensì corsa voce che una parte della guarnigione di Serajevo, cioè 3° battaglione del 49° Reggimento Fanteria, sia stata inviata Visegrad presso la frontiera Sangiaccato Novi-Bazar e che siano tuttora sotto le armi Bosnia-Erzegovina uomini appartenenti classi più anziane che avrebbero dovuto essere congedate autunno scorso.

10 Cfr. n. 8. 2 T. 16611124 del 10 aprile, non pubblicato.

Mi riservo controllare tale voce per mezzo del r. console generale a Serajevo cui telegrafai. Quanto ai preparativi navali, assenza addetto navale mi rende oltremodo difficile procurarmi all'evenienza precise informazioni.

11

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATISSIMA PERSONALE 368. Roma, 11 aprile 1911 (per. stesso giorno).

Ti prego farmi sapere se permane la necessità di tener pronta a Brindisi la 2a Divisione della forza navale del Mediterraneo, per una eventuale missione in Albania1•

12

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

L. RISERVATISSIMA PERSONALE 6. Roma, 11 aprile 1911.

Grazie della tua dell' 11 1 . In vista della situazione tuttora incerta credo sia opportuno di continuare a tener pronta a Brindisi per una eventuale mtsstone m Albania la 2a Divisione della forza navale del Mediterraneo.

13

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI

D. 15. Roma, 12 aprile 1911.

Questa ambasciata di Francia mi fa conoscere che l'ambasciatore di Turchia a Parigi ha protestato presso il Governo della Repubblica contro una mozione che

Il 1 Per la risposta cfr. n. 12. 12 1 Cfr. n. Il.

sarebbe stata votata dall'Assemblea cretese, prima che questa si aggiornasse al 14 luglio prossimo. Secondo tale mozione, la costituzione che è ora in discussione alla Camera ellenica, non appena sia stata definitivamente concretata, sarebbe adottata e promulgata in Creta.

La medesima ambasciata m'informa che secondo l'avviso del Governo della Repubblica le Potenze Protettrici al momento della promulgazione della nuova costituzione in Creta, dovrebbero esigere il mantenimento integrale delle disposizioni contenute nella costituzione costì attualmente in vigore, e relative ai diritti ed ai privilegi dell'elemento musulmano, quali sarebbero lo statuto personale dei musulmani, le elezioni dei deputati loro, le loro scuole, eccetera. Per tal modo, secondo il pensiero del Gabinetto di Parigi, le Potenze Protettrici proverebbero al Governo turco come esse stesse non si disinteressano della sorte dei musulmani dell'isola.

Nei rapporti della S. V. ed in particolare in quello n. 39 in data del 15 marzo scorso', in cui sono riassunti gli ultimi lavori di codesta assemblea non trovo alcun accenno alla mozione cui allude la comunicazione di questa ambasciata di Francia; né fino ad ora mi fu fatta in proposito osservazione alcuna da parte di questa ambasciata di Turchia.

Prego pertanto la S. V. di v o l ermi fornire informazioni a riguardo di tale questione e di farmi conoscere altresì, quali siano gli intendimenti di codesto Governo circa le guarantigie che, data la eventuale riforma costituzionale, dovrebbero pur tuttavia essere assicurate alla popolazione musulmana, secondo gli impegni assunti verso le Potenze Protettrici 2 .

14

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 603. Berlino, 14 aprile 1911 1.

Ho l'onore di confermare a V.E. il mio telegramma di ieri col quale2 le rendevo conto di una comunicazione confidenziale del signor von Kiderlen-Waechter concernente i risultati dello scambio d'idee continuatosi in questi ultimi mesi fra i Gabinetti di Berlino e di Londra nel comune desiderio di una intesa tendente a dissipare la diffidenza già da troppo tempo protrattasi fra i due paesi. Trasmetto qui unito, come

14 mi riservavo in quel mio telegramma di farlo, il testo tradotto della predetta comunicazione fatta a noi e simultaneamente al Governo austro-ungarico in omaggio, (come mi fu detto), allo spirito di reciproca fiducia che deve animare le relazioni fra la Germania ed i suoi alleati.

Come risulta dall'unito documento, due sono i punti di cui si tratta: l'uno riguardante la questione degli armamenti, l'altro la questione della ferrovia di Bagdad in connessione con quella di Persia.

Circa gli armamenti i due Governi sono ora riusciti a formulare un accordo mediante il quale essi s'impegnano a comunicarsi periodicamente le misure adottate in ciascuno Stato per le rispettive costruzioni navali. Di questa disposizione già si conteneva un cenno nell'ultimo discorso del cancelliere al Reichstag, il quale mentre metteva in luce la impraticabilità di una limitazione delle forze navali alludeva a quello scambio d'informazioni come ad un mezzo atto a tranquillizzare le inquietudini del pubblico. Altri potrà domandarsi quali effetti pratici sia lecito attendere da simili comunicazioni le quali, evidentemente, non altereranno in alcun modo lo stato effettivo delle cose. Ma come ovviamente lo intendeva il cancelliere, si tratta più che altro di produrre nella massa del pubblico la impressione generica di una certa fiducia esistente fra i Governi, che potrà malgrado tutto conseguire il desiderato effetto di pacificazione morale. I termini di questo accordo, a quanto mi fu detto, non sono ancora stabiliti in modo definitivo, trattandosi di fare alla formula inglese una piccola aggiunta desiderata da questo Dipartimento della Marina. La sua conclusione è però imminente.

Quanto agli affari della ferrovia di Bagdad e di Persia, essi si trovano per ora allo stato preliminare, essendo soltanto inteso in massima che anche su questi punti si cercherà fra i due Governi un amichevole compromesso. Riguardo alla ferrovia di Bagdad si aspetta che siano anzitutto condotte a buon termine le trattative dirette, attualmente in corso fra la Turchia e l'Inghilterra, vertenti in ispecie sulle condizioni della sovranità di Koweit. Una volta queste concluse, la Germania si riserva di dire la sua parola. Riguardo poi alla Persia, qui si assicura non aversi finora una chiara idea di ciò che sarà per proporre il Governo britannico. Da parte della Germania molto probabilmente si vorrà attendere la firma del noto accordo con la Russia, tuttora sospesa non si sa bene se causa soltanto la malattia del signor Sazonoff o per esser sopravvenuto qualche nuovo dubbio. Sopra un punto in ogni caso la Germania insisterà fermamente e cioè sulla guarentigia del principio della porta aperta e della libera concorrenza economica di tutte le nazioni in Persia.

Mentre mi riservo di tenere V.E. informata di quanto potrò ulteriormente conoscere sui progressi di questi accordi fra la Germania e l'Inghilterra, appena occorre rilevare la loro importanza dal punto di vista di quel riavvicinamento fra le due nazioni che già da due anni si è andato preparando per desiderio dei loro Governi ed al quale hanno certamente contribuito le disposizioni dell'attuale cancelliere.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI TEDESCO, VON KIDERLEN-WAECHTER,

ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA

PROMEMORIA CONF!DENZIALISSIMO. Berlino, 13 aprile 1911.

Il desiderio di liberare l'atmosfera dalla reciproca diffidenza che ha invasa l'opinione pubblica in Inghilterra e in Germania ha mosso or son quasi due anni il Governo imperiale ed il Governo britannico ad iniziare uno scambio d'idee sui mezzi da adoperarsi per raggiungere quel fine. Mentre il Governo britannico è d'avviso che anzitutto convenga togliere di mezzo l'inquietudine che ha invasa la maggioranza del popolo inglese a causa dei piani navali germanici, il Governo imperiale ritiene dover considerare un più stretto riavvicinamento della politica inglese alla Germania come il mezzo più sicuro per il ristabilimento dei primitivi rapporti di fiducia fra i due paesi.

Il Governo imperiale peraltro, per tener conto del desiderio inglese, si è dichiarato anzitutto disposto a concludere un accordo col Governo britannico mercé il quale i due Governi s'impegnano a reciproche periodiche comunicazioni circa le divisate costruzioni navali del momento e sullo stato delle medesime. Le trattative per un tale accordo sono prossime alla conclusione.

Da parte sua il Governo britannico, senza presentare precise proposte, ha indicata la questione della ferrovia di Bagdad e quella di Persia come questioni la sistemazione amichevole delle quali sarà per avere una benefica influenza sui rapporti politici generali dei due paesi. Il Governo imperiale è disposto in connessione a queste due questioni ad entrare in trattative col Governo britannico per vedere in quale maniera potrebbe venire spianata la via a quella più completa intesa fra i due paesi che esso tiene di mira.

13 1 Non pubblicato nel vol. V NI della serie quarta. 2 Con R. riservato 398/75 del 21 aprile, non pubblicato, il console precisò che si trattava di un'interpellanza e non di una mozione e che non aveva avuto nessun seguito. 14 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 T. Gab. s.n./76 del 13 aprile, non pubblicato.

15

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 606/229. Berlino, 15 aprile 1911 (per. il 24).

Con i telegrammi nn. 74 e 75 1 V.E. fu informata dello scambio di comunicazioni verificatosi nella scorsa settimana fra il signor von Kiderlen-Waechter e l'ambasciatore di Francia in seguito all'avviso dato da quest'ultimo della intenzione del suo Governo di rafforzare le sue guarnigioni al Marocco, in vista di una eventuale azione militare verso Fez, a tutela delle colonie europee colà minacciate dalle tribù insorte.

Il signor Cambon, nel confermarmi quelle informazioni, aggiunse che dopo una conversazione avuta in proposito col signor von Kiderlen il quale si era dimostrato genericamente persuaso della legittimità di quella azione, egli aveva ritenuto prudente di far ciò risultare per iscritto. Egli quindi diresse al Dipartimento degli esteri una nota nella quale erano esposti i motivi ed i limiti della progettata mossa. Il signor von Kiderlen gli comunicò allora il testo di una nota di risposta che prendeva

atto di quelle dichiarazioni. L'ambasciatore avendovi però trovato certe frasi che sembravano toccare, secondo lui inutilmente, a lati più estensivi della questione, egli insistette affinché il testo venisse modificato con una dicitura più soddisfacente: e dopo qualche esitazione la risposta gli venne infatti trasmessa nei termini da lui desiderati.

Nel riferirmi queste cose, il mio collega naturalmente insisteva sul carattere puramente provvisorio e di assoluta necessità della contemplata azione militare. Si trattava esclusivamente, egli disse, della sicurezza di quel centinaio di europei residenti in Fez, a garantire la quale gioverebbe una rapida concentrazione di truppe francesi a Rabat in modo da poter tendere la mano agli assediati e facilitare la loro uscita. Questo però soltanto in caso di assoluto bisogno e ad imitazione di quello che fu tentato nel 190 l dalla spedizione Seymour per liberare le legazioni assediate dai boxers a Pechino. E infatti, soggiungeva il mio collega, essendo di poi pervenute notizie più rassicuranti, l'esecuzione di quel piano erasi lasciata in sospeso.

L'ulteriore sviluppo di questo incidente dipenderà ora dallo stato di fatto che sarà per prodursi sul teatro dell'insurrezione; al quale riguardo mi fu detto al Dipartimento esteri che gli ultimi telegrammi giunti da Tangeri lasciano ancora molta incertezza, ciò che, in ogni caso, risulta d'interessante da quanto precede, è l'azione diplomatica esercitata dall'ambasciatore di Francia per assicurarsi anticipatamente e con un documento scritto il nulla osta del Governo imperiale nell'eventualità di una ulteriore azione militare francese al Marocco. Ne risulta pure abbastanza chiaramente la continuazione delle concilianti disposizioni di questo Governo. Di ciò il signor Cambon si dimostrava meco soddisfatto, malgrado, come egli mi diceva, la sorda opposizione degli uffici del Ministero alla quale egli attribuisce certe resistenze che talora si manifestano nell'esecuzione delle benevole dichiarazioni ottenute dal segretario di Stato o dal cancelliere. Più che dell'attitudine della Germania il signor Cambon recentemente tornato da Parigi si mostra preoccupato del malumore della Spagna, la cui politica, secondo lui, tenderebbe di fatto al disfacimento del Sultanato per acquistarne fin d'ora una parte, mentre la Francia avrebbe invece di mira la conservazione della sua integrità territoriale. Il mio collega, naturalmente, non dice poi con quali viste il suo Governo tanto si interessa a questa integrità.

15 1 TT. 1656/74 e 1680/75, rispettivamente del l O e Il aprile, non pubblicati.

16

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 390/88. Belgrado, 17 aprile 1911 (per. il 24).

La visita di re Pietro all'imperatore Francesco Giuseppe è stata fissata fra il sette ed il dieci del prossimo mese, ed avrà luogo a Budapest, ove l'imperatore è solito, appunto in maggio, di fare ogni anno un breve soggiorno. L'incontro dei due sovrani nella capitale ungherese non toglie, mi disse il conte Forgach, alcun carattere di solennità alla visita, non essendo questa l'unica volta nella quale l'imperatore si sia trovato a ricevervi dei sovrani esteri; come è stato il caso, infatti, per la prima visita del re e della regina di Spagna. Si è poi preferito che l'incontro dei due sovrani si effettuasse a Budapest piuttosto che a Vienna, ritenendosi che le disposizioni d'animo della società e della popolazione ungherese avrebbero escluso il pericolo di qualche spiacevole incidente, cosa che non sarebbe stata impossibile nella capitale austriaca.

Le notizie relative ai negoziati che correvano a questo proposito fra i due Governi, sono state tenute segrete e la cosa non si è venuta a sapere a Belgrado che ora e per mezzo di giornali di Vienna. La stampa ultra nazionalista e quella di opposizione non risparmiano acerbissimi commenti al fatto, che considerano come un 'umiliazione verso l'Austria, e ne traggono occasione per fare una carica a fondo contro la politica del ministro Milovanovitch, politica di debolezza, di dedizione e contraria ai veri interessi del serbismo: la maggior parte dei giornali, però, registra la notizia senza entusiasmo, ma senza commenti sfavorevoli.

In sostanza la visita del re di Serbia ali 'imperatore Francesco Giuseppe non è certamente popolare, in questo momento, a Belgrado -non oso affermare in Serbia, perché le masse di tali quistioni ben poco si curano -ma è considerata dai non fanatici come la logica conseguenza della ripresa delle relazioni normali fra i due Stati. Del resto non v'è chi possa, in buona fede, condannare la politica del Milovanovitch, diretta a stabilire rapporti di buon vicinato con I'Austria-Ungheria, sovratutto nella situazione presente, nella quale colla visita del re -che di tale politica sarebbe la sanzione -egli vorrebbe evidentemente esercitare una certa impressione a Costantinopoli ed a Sofia, in modo da ottenere migliori disposizioni da parte della Sublime Porta e, lasciando supporre che le relazioni di buon vicinato stabilite colla Monarchia potessero, in seguito alle circostanze, diventare in avvenire più strette ed amichevoli, cercare di indurre la Bulgaria a dipartirsi dalla sua attitudine incerta e, come si giudica qui, un po' ambigua verso la Serbia.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

T. 1442. Roma, 19 aprile 1911, ore 20,30.

Suo telegramma n. 385 1• Ho ricevuto domanda documentata della missione carmelitana di Siria pel passaggio dalla protezione francese a quella italiana2 . Concorrendo le condizioni poste dall'accordo italo-francese del 30/31 agosto 19053, e cioè: l) spontaneità della domanda; 2) prevalenza numerica dei cittadini italiani tra i

2 Cfr. n. 9.

3 DDF, serie II, t. VII, n. 409.

18 componenti della m1sswne, ho diretto a questa ambasciata di Francia una nota verbale con cui, in conformità dell'accordo stesso, la prego di provocare dal Governo della Repubblica istruzione a codesta ambasciata francese di provvedere d'accordo coll'E.V. a regolare i rapporti col Governo ottomano nei riguardi con questo mutamento di protezione.

Finché non siano intervenuti definitivi accordi fra il R. Governo e il Governo francese, occorre, quindi, non impegnarsi circa la protezione della missione carmelitana, in quanto è comunità religiosa.

Prego V.E. di impartire analoghe istruzioni ai rr. consoli generali in Beirut e Aleppo. Rimane dunque fermo per ora lo statu quo ante, di cui fa parte il nostro diritto e dovere di proteggere i singoli religiosi e religiose, in quanto sono cittadini italiani, come ogni altro regio suddito, non avendo noi mai rinunziato alla tutela di alcun nostro connazionale, sia esso religioso o laico4 .

17 1 T. 1754/385 del 17 aprile, non pubblicato.

18

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1703/494. Costantinopoli, 20 aprile 1911 (per. il 9 maggio).

Nella discussione del bilancio degli affari esten, mcominciata 1en, una parte delle dichiarazioni di Rifaat pascià si è aggirata su Creta.

La politica ottomana riguardo all'isola, ha detto il ministro, non ha ottenuto i risultati definitivi desiderati; ma non può dirsi che sia una politica debole né inefficace. La soluzione, in conseguenza degli impegni presi dall'antico regime, non dipende dalla sola Turchia. Mercé la costituzione però, la situazione si è sensibilmente migliorata e la Turchia ha potuto assicurare la tutela dei suoi diritti. Mentre una gran parte della popolazione cretese voleva rompere ogni legame coll'Impero, il Governo ha potuto, mercé i suoi uffici presso le Potenze Protettrici, salvare i diritti dell'Impero nelle questioni della bandiera, del giuramento, eccetera.

Il deputato di Djanik, Mehmed Ali bey, che è di origine cretese, ha reclamato protezione per i musulmani dell'isola, che i cristiani minacciano di sterminio. Un altro deputato, Boussios effendi, ha trovato insufficienti le dichiarazioni e incerto il programma di Rifaat pascià.

Il gran vizir è allora intervenuto.

Il programma del Governo, ha detto, è bene determinato.

Vogliamo che la Creta sia una provincia privilegiata dell'Impero, che goda di un'amministrazione autonoma sotto la sovranità del sultano, e che i diritti dei musulmani che vi abitano siano tutelati.

«Vogliamo, in più, che ogni legame dell'isola con la Grecia sia rotto, che la protezione delle Potenze sia tolta, e che l'isola sia nuovamente riunita all'Impero. Certamente ciò non può attenersi con la forza, dati gli impegni presi sotto l'antico regime. Ma dalla proclamazione della costituzione in poi, tutti gli sforzi del Governo hanno avuto di mira di spezzare ogni legame esistente fra l'isola e la Grecia; di non permettere alcun passo nuovo verso l'unione dell'isola alla Grecia. I nostri sforzi sono stati coronati di successo nelle questioni del giuramento, della bandiera e degli ufficiali ellenici a servizio de li'isola ed abbiamo assicurazioni dalle Potenze che quei fatti non si rinnoveranno.

Come Io ha già detto con rammarico il ministro degli affari esteri, non abbiamo ancora ottenuto la soluzione definitiva della questione cretese conformemente ai nostri voti, perché I 'intesa in tale argomento tra le Potenze Protettrici, ed anzi tra le sei Grandi Potenze, è necessaria. Se vogliamo una soluzione contraria ai nostri desideri, essa è possibile in un giorno; se la vogliamo a noi favorevole, dobbiamo pazientare ancora».

Boussios effendi, che è greco, ha replicato che il popolo non comprende tutto ciò e protesta perché i sentimenti nazionalisti sono eccitati dal boicottaggio ed altrimenti. I greci ottomani sono messi in causa, soffrono e, per conseguenza, desiderano una pronta soluzione della questione.

17 4 Per il seguito cfr. n. 37.

19

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF COLONIALE 1848/37. Addis Abeba, 23 aprile 1911 (per. ore 19 del 24) l.

Rispondo al suo telegramma n. 14702 . Non essendo indicata data telegramma Ferrandi, cui si riferisce telegramma di V.E., non ho potuto rendermi conto esatto se notizie in esso contenute corrispondano a quelle comunicatemi da Citerni con lettera datata Dolo 2 aprile pervenutami il 20 corrente. Nella suddetta lettera Citerni riferisce dettagliatamente difficoltà e pretese opposte dai delegati etiopici, specialmente per affermare punto di vista abissino per il quale tutto il preteso territorio di Godio a

valle debba, nella presente delimitazione, rimanere all'Abissinia. Ma, nel riferire tali difficoltà, Citerni, pur facendone rilevare gravità e pregiudizio che recano alla missione e necessità pronto intervento legazione presso il Governo etiopico, non giustifica, però, gravi apprensioni provocate presso codesto Governo da telegramma Ferrandi per sicurezza ed esito missione. Citerni informa VE. anche che tale deplorevole stato di cose non ha fino allora prediudicato lavori rilievi. Io ritengo che difficoltà dipendano dalla pusillanimità, ignoranza, presunzione, malafede del capo locale e dei delegati etiopici, perché questo Governo non può avere alcun interesse ostacolare lavori missione che per suo carattere ed attribuzioni essenzialmente tecniche non dovrebbe destare sospetti né pregiudicare eventuali pretese etiopiche nella successiva definitiva delimitazione da [ ... Adis Abeba?p in base lavori missione. In seguito rapporto Ci terni essendo evidente [ ...]4 capi locali e contraddizione fra condotta questo Governo, ho energicamente protestato affinché siano rinnovate istruzioni tassative conformi a quelle confidenziali all'atto partenza missione e che ho comunicato a V. E. nei miei rapporti 3 e 125 . Ho già ricevuto da questo Governo assicurazioni conformi alla mia suddetta richiesta, ma, non giudicandole sufficienti, credo mio dovere insistere nella mia azione energica, onde eliminare ogni ulteriore difficoltà per la missione. Rispondo, oramai in merito telegramma di VE. [n. 1444?]6 che ritorno di degiac Nado Ghigner è stato effettivamente motivato dalla assoluta insufficienza preparazione mezzi per spedizione di tale importanza e forse anche dalla situazione interna Abissinia; tale ritorno è stato, del resto, giudicato opportuno dallo stesso Citerni, cui presenza di un così forte corpo di esercito non poteva che creare difficoltà, imbarazzi. Sull'allontanamento capi di godio ho specialmente protestato presso questo Governo, perché è evidente [che essi?] 3 furono condotti Ghigner per sottoporli pressioni nell'interesse etiopico e per iniziativa di quel capo: credo, però, che siano già ritornati loro paese e che missione abbia quindi potuto proseguire lavori. Ritengo sia opportuno riservare nostre dichiarazioni formali Governo etiopico di ritenerlo finanziariamente responsabile insuccesso missione e del suo susseguente richiamo, quando sarà evidente cattiva volontà e malafede di questo Governo e quando missione sarà realmente impossibilitata proseguire suo compito. Invece, però, credo che, una volta risolto presente incidente e confermate da parte Governo etiopico istruzioni e disposizioni concordate all'atto partenza missione, questa potrà compiere suo lavoro, almeno nella regione di Dolo e lungo confine Rahanuin, dando così modo risolvere questione di Godio e di Maidaba. Per quanto riguarda punto sull'Uebi Scebeli, debbo tuttora fare dovute riserve per la sicurezza missione in dipendenza situazione locale. Attendo risposta telegramma onde inviare istruzioni Ci terni [con suo telegramma?f Quando missione avrà eseguito suo compito e mi avrà fornito dati necessari, io mi faccio forte di ottenere questo Governo riconosci

4 Gruppo indecifrato.

5 R. 24/3 del 13 gennaio e R. 60/12 del4 febbraio, non pubblicati nel vol. VNI della serie quarta.

6 Così il decifratore. Ci si riferisce in tutta evidenza al telegramma citato alla nota 2.

mento accordo 16 maggio nello spirito in cui esso fu concluso da noi. Prego V.E. tener conto presente situazione etiopica che rende oltremodo difficile ogni trattativa7 .

19 1 Il telegramma fu trasmesso da Asmara il 24 aprile, ore 8,30. 2 T. uff. coloniale 1470 del 21 aprile, non pubblicato, relativo alla missione di delimitazione del confine somalo-etiopico.

19 3 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

20

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. 15. Roma, 23 aprile 1911.

Alla riapertura della Camera dei deputati, fissata pel 9 maggio, sarà difficile evitare o differire sine di e una discussione sui rapporti dell'Italia coli' Austria e colla Turchia e sulla situazione in Albania.

È molto importante che io possa fare dichiarazione (sic) che, non soltanto non arrestino o facciano indietreggiare il progressivo miglioramento dei sentimenti del popolo italiano verso l'Austria, ma giovino anche a far ulteriori passi nella via, così felicemente percorsa in questi ultimi mesi, della crescente fiducia e cordialità reciproca.

Vorrei perciò poter fare dichiarazioni, sostanzialmente concordate con codesto Governo, dalle quali risulti che l'Italia e l'Austria seguono, di fronte alla situazione in Albania, una politica, non soltanto identica, ma concordata e che è reciproco il fermo proposito di continuare a seguirla concordata in avvenire.

Secondo me i capisaldi delle mie dichiarazioni dovrebbero essere presso a poco le seguenti:

Le due Potenze mantengono fermi i loro precedenti accordi che escludono qualsiasi ambizione di acquisti territoriali in Albania, e considerano come base della loro politica il mantenimento dello statu quo territoriale e dell'integrità dell'Impero ottomano e degli Stati balcanici. Riconoscono che l'insurrezione albanese ed il regime politico ed amministrativo da applicare a quella regione sono questioni interne della Turchia, ma non possono nascondersi che l'estendersi dell'insurrezione potrebbe creare complicazioni internazionali, che le due Potenze alleate hanno desiderio ed interesse di evitare.

Sono perciò disposte, in forma che non urti le legittime suscettibilità della Turchia, a continuare a dare al Governo ottomano consigli di moderazione e di clemenza, e ad usare della influenza, di cui possono disporre, perché la Turchia con opportune concessioni, col rispetto delle abitudini, dei sentimenti e delle tradizioni albanesi, coll'astensione da tentativi troppo rapidi e violenti di accentramento e di riforme (imposte, leva militare eccetera) cerchi di calmare gli animi degli albanesi e di evitare che l'insurrezione si estenda o si rinnovi.

Non v'ha dubbio che tale dichiarazione, per quanto riguardosa, viste le suscettibilità ottomane, sarebbe da questo punto di vista preferibile non farla, ma sarà

difficile astenermene in considerazione dei sentimenti liberali della Camera e del Paese, e non sarebbe opportuno farla in modo da far credere ad un dissenso, che in realtà non esiste, tra Italia ed Austria su questo punto. Qui si arresterebbero le mie eventuali dichiarazioni.

Prego poi V. E. di considerare che io son convinto che l'Austria, al pari dell 'Italia desidera che non si formi una situazione, la quale, per la sicurezza dei rispettivi nazionali residenti in Albania, o per altre indeclinabili necessità, costringa l 'Italia e l'Austria ad invio di forze militari e navali in Albania.

Non dubito che l'Austria farà al pari di noi tutto il possibile per evitare questa necessità, ed io ho motivo di credere che sarà evitata. Se però diventerà inevitabile sarebbe assai pericolosa un'azione isolata d'una delle due Potenze e gioverebbe concordare sin da ora l'eventuale azione di entrambe. In ogni caso, l'intervento di forze militari delle due Potenze alleate non dovrebbe essere che temporaneo, e limitato, pei luoghi e per la durata, alla stretta necessità rigorosamente interpretata.

Reputo superfluo far notare a V.E. quanto sia desiderabile che io non debba fare dichiarazioni su questo punto così delicato, poiché il solo accenno ad un'azione siffatta desterebbe suscettibilità grande in Turchia; ma d'altra parte il Governo italiano non ha modo d'impedire a uno o più deputati di portare la discussione su questo terreno, e deve pur dare una risposta, che, se anche dovesse limitarsi ad essere evasiva, non deve essere concepita in modo da dar alimento alle diffidenze contro l'Austria. La dichiarazione migliore sarebbe che le due Potenze escludono qualsiasi ipotesi d'intervento, e, per parte mia, se si fosse sicuri che l'Austria non mi smentisca né colle parole né coi fatti, sarei ben lieto di fare una dichiarazione siffatta.

Evidentemente, tutto ciò che ho esposto sinora, suppone che il 9 maggio la situazione in Albania sia quale è oggi.

Nel dubbio, però, che possa mutare e sopratutto che possa estendersi l'insurrezione o dar luogo a complicazioni, e ad una azione austriaca nel Sangiaccato o altrove, sarebbe certo opportuno mettersi anticipatamente e fin d'ora d'accordo, come già da tempo è stato proposto da parte nostra.

Ma ciò è possibile se pari è la buona volontà da ambo le parti, e a noi non conviene far aperture, che verrebbero respinte.

Sulla opportunità e sul modo, preferibilmente non ufficiale, di sondare il terreno costì, io mi rimetto, perciò a V.E., limitandomi a farle notare: l) che è necessario vegliare per non lasciarci sorprendere dagli avvenimenti; 2) che è necessario evitare che nell'opinione pubblica italiana si risvegli e si manifesti oltre misura l'innata diffidenza verso l'Austria e si facciano passi indietro nella via del riavvicinamento.

PS. Prego V.E. di farmi conoscere l'avviso suo circa i concetti esposti in questa lettera, e circa il linguaggio che converrebbe tenere a codesto Governo, rimanendo inteso che ella attenderà, per tener parola di quanto precede al Governo stesso, che io abbia risposto alle considerazioni che ella sarà per espormil.

19 7 Per il seguito cfr. n. 23.

20 1 Per la risposta cfr. n. 24.

21

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 661/223. Il Cairo, 26 aprile 1911 (per. il 3 maggio).

Venne l'altro giorno a trovarmi Mohammed Ali Elui, dragomanno onorario della r. agenzia, e mi disse di aver ricevuto una lettera del Senussi che gli dava l 'incarico segretissimo di fare una pubblicazione in qualche giornale di Cairo per additare al pubblico i soprusi sofferti dai senussi per opera dei francesi. Com'è noto Mohammed Ali è affigliato alla congregazione senussita. Accludo la traduzione di detta lettera 1•

Ma Mohammed Ali rimase molto sorpreso quando gli feci leggere il qui accluso numero del Mokattam di Cairo, di alcuni giorni prima, che pubblicava una lettera diretta dal Senussi «a un amico» di questa città, lettera che non è altro che una parafrasi di quella diretta a lui con tanta segretezza. Mohammed Ali ne fu sdegnato e dichiarò che vi era un traditore, certo Makub.

La verità è che il Senussi, per ottenere la pubblicazione che lo interessava, si era rivolto a più d'uno dei suoi correligionari qui residenti, ciò che suscitava le recriminazioni di Mohammed Ali.

Ed è un fatto degno di nota come tanto il Senussi, quanto l'Idrissi, del Yemen, si rendano conto oggi dell'utilità di valersi della stampa periodica in appoggio delle loro aspirazioni. Come già informai con passati rapporti, anche l'Idrissi si rivolse a varii suoi corrispondenti di Cairo (fra i quali Mohammed Ali Elui) per ottenere pubblicazioni a suo favore e contro il Governo ottomano. Una di queste lettere è riprodotta nell'articolo del conte Aldobrandino Malvezzi nella Nuova Antologia del 16 marzo scorso, avente per titolo !'Insurrezione nel Yemen.

Mohammed Ali Elui, nella stessa occasione, mi comunicò anche un'altra notizia, ma a condizione che non ne facessi cenno al r. interprete cavalier Nacouz (!) (Mohammed Ali ha sempre avuto una certa prevenzione contro gli interpreti di carriera che, conoscendo l'arabo, possono controllarne le affermazioni). Egli mi disse che il messo, latore della sopra citata lettera del Senussi, gli aveva fatto sapere verbalmente che il Governo ottomano aveva offerto al Senussi stesso di inviare a Kufra un caimacan e di spedirgli armi e munizioni, ed il Senussi gli domandava di indicargli come dovesse regolarsi. Mohammed Ali desiderava che io telegrafassi a

V.E. per chiedere istruzioni circa il tenore della risposta da dare al Senussi. Risposi a Mohammed Ali che i senussi trovandosi in stato di guerra contro la Francia, non poteva il R. Governo avere alcuna ingerenza, sia pure indiretta, nell'invio di armi e munizioni. La domanda, infatti, era piuttosto insidiosa. Aggiunsi tuttavia, quanto all'invio del caimacan a Kufra, che quell'oasi fa parte dell'Impero ottomano, col

24 quale il R. Governo si trova in buone relazioni, per cui trovavo perfettamente naturale ed opportuno che i senussi sempre maggiormente dichiarassero la sovranità ottomana sull'oasi medesima.

L'oasi di Kufra, infatti, si trova a nord delle zone d'influenza delimitate tra Francia e Inghilterra colla convenzione del 21 marzo 1899.

Quindi Mohammed Ali mi disse che, del resto, egli aveva già deciso di rispondere al Senussi consigliandolo di accettare il caimacan, ma di rifiutare le armi e munizioni; e ciò, soggiunse, perché queste armi e munizioni potrebbero essere adoperate contro l'Italia quando questa facesse una spedizione per occupare la Tripolitania. Risposi a Mohammed Ali che l'Italia non ha alcuna intenzione di occupare la Tripolitania.

Non occorre insistere sulla inverosimiglianza dell'affermazione che il Gran Senussi si rivolga a Mohammed Ali per averne direttive circa la sua attitudine verso la Turchia. Telegrammi e rapporti dei rr. consolati in Tripolitania e Cirenaica informano, del resto, che i senussi da un anno a questa parte accentuano la tendenza ad ostentare la sovranità ottomana su Kufra.

A ragion veduta ispirai alla maggior prudenza le mie risposte ai quesiti di Mohammed Ali. Egli, come affigliato al senussismo, può dar spesso utili informazioni, da sceverare dalle solite esagerazioni, ma occorre prudenza nel comunicare con lui. Giorni sono lo incontrai che usciva dagli uffici dell 'Intelligence Departement, e fu assai imbarazzato nel vedermi. Le sue relazioni col commissariato ottomano sono note. Tuttavia ripeto, Mohammed Ali può servire come fonte di informazioni.

21 1 Non si pubblicano gli allegati.

22

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR

D. 21. Roma, 28 aprile 1911.

Con mio dispaccio odierno n. 201 le invio copia dei rapporti e dei documenti più importanti comunicatimi dal barone Aliotti e copia di un rapporto del governatore dell'Eritrea, tutti relativi all'inchiesta mista per l'incidente del «Genova». Unisco anche una memoria riassuntiva che le fornisce una sintesi di tutto il procedimento dell'inchiesta.

Ho esaminato tutti quei documenti e ho conferito col barone Aliotti.

Da essi risulta l) che per circostanze imputabili ad una delle parti in causa, cioè, a funzionari locali, l'inchiesta mista non potè essere compiuta, per quanto abbia messo in luce parecchie sostanziali circostanze favorevoli al sambuco «Genova»; 2) che essa fu sospesa per ragioni che non potevano essere prevedute dal protocollo

di Costantinopoli cioè per la materiale, morale impossibilità (riconosciuta come dato di fatto dallo stesso commissario ottomano) in cui i due commissari si sono trovati di proseguirla per accertate scandalose pressioni e minacce e subornazione da parte di autorità locali verso chi dovea fornire gli elementi per scoprire la verità; 3) che nessuna prova fu raccolta che potesse indurre a ritenere il «Genova» colpevole di contrabbando o di tentativo di esso, che anzi le prove raccolte lo escludono, non potendosi certo considerare come prove le dichiarazioni di agenti denunciatori parti interessate; 4) che il procedimento seguito dalla commissione doganale di Hodeida fu oltremodo irregolare, monco e capzioso, ed esso stesso prova che il verbale di condanna fu redatto in base a documenti che la stessa dogana riconobbe come insufficienti (Tescheré della dogana di Hodeida al mutessarif in data 29 agosto 191 O -vedi memoria Aliotti documento n. 5).

Ora, da una parte, le gravi ragioni che hanno cagionato la sospensione dell'inchiesta impediscono in modo assoluto che essa possa esser ripresa; e, dall'altra, la circostanza che l'inchiesta non fu compiuta, e non fu compiuta per ragioni che non potevano essere prevedute nel protocollo di Costantinopoli, per colpa, cioè, di una delle parti in causa nelle persone di funzionari locali ottomani, impedisce che i risultati possano, ai fini del protocollo stesso, essere sottoposti ad un arbitro, essendo venuto a mancare l'elemento indispensabile (compimento dell'inchiesta) per l'esecuzione di detto protocollo nella parte relativa all'arbitrato.

Di modo che la situazione che ne deriva fa ricadere naturalmente la questione nella trattazione dei due Governi, ciò che è stato espressamente riconosciuto dai due commissari (vedi processo verbale n. 9).

Né credo, del resto, possa codesto Governo desiderare che i gravi documenti in cui è dimostrato quanto gravemente irregolare sia stata la condotta delle autorità locali e in qual modo la Porta sia stata ingannata e mal servita da esse, vengano ad altri comunicati o comunque resi di pubblica ragione.

Siccome, però, non solo nessuna prova fu raccolta dell'affermato tentativo di contrabbando, ma è resultato implicitamente che tentativo di contrabbando non vi fu, mentre è stata luminosamente provata la condotta costantemente irregolare delle autorità locali durante tutto lo svolgimento dell'incidente e dell'inchiesta del «Genova», la vertenza deve avere una soluzione, secondo lo stato degli atti, senza pericolose pubblicità e con un'equa riparazione pel danno ingiustamente sofferto dal sambuco «Genova» a cagione dell'irregolare procedimento e della irregolare condotta delle autorità del Yemen.

Credo pertanto che una adeguata indennità accordata ai proprietari del sambuco e della merce per danni, interessi sofferti, ristabilendo l'equilibrio della giustizia, potrà chiudere l 'incidente in modo utile per le due parti, poiché codesto Governo deve lealmente riconoscere di essere stato male informato dai propri funzionari: ciò che salva il suo amor proprio. Ed io prego l'E.V. di voler presentare la domanda di indennità pel sambuco «Genova» secondo le indicazioni contenute nel rapporto del barone Aliotti, qui unito insieme con le richieste degli interessati2 .

Lascio all'E.V. di determinare l'ammontare secondo che crederà più utile e opportuno per il successo del negoziato. I documenti che le invio portano l'indennizzo alla somma di Lire 8000, non compresi i danni morali coi quali si potrebbe elevare la somma stessa a Lire 10000.

Ella vorrà dimostrare con abilità ed efficacia che l'incidente, mentre non può avere il seguito dell'arbitrato, deve però avere una soluzione, e che questa, dati i precedenti della vertenza e le vicende e i resultati dell'inchiesta mista, non può essere che la liquidazione di un'equa indennità, se non si vuole mettere in pubblico (e noi vi saremmo fatalmente costretti, se non si ottenesse soddisfazione, dovendo il

R. Governo render conto dei resultati della inchiesta innanzi al Parlamento) procedimenti che debbono essere e sono certo condannati dallo stesso Governo ottomano, la cui buona fede è stata sorpresa, e dare la prova che non è stato possibile, per colpa delle autorità ottomane, condurre con serena imparzialità una inchiesta mista, tanto insistentemente invocata da codesto Governo.

Sarà poi opportuno che prima di presentare la domanda formale di indennità ella abbia con Rifat un colloquio preparatorio che servirà di norma.

Non sfuggirà all'E.V. e anzi le servirà di elemento molto persuasivo presso codesto Governo, la circostanza che l'inchiesta mista ha purtroppo confermata a carico dei funzionari dello Yemen le gravi irregolarità da noi prima lamentate e altre gravissime (soprusi, subornazioni, eccetera) ne ha accertate nel procedimento che dovea preludere alla conclusione dell'inchiesta. Tutto ciò ci darebbe titolo per presentare ben altro reclamo che quello di un semplice indennizzo presso codesto Governo per la severa punizione dei funzionari colpevoli, e lascerebbe in seconda linea la questione del «Genova».

Desiderando, però, metterei sopra un terreno di una soluzione conciliativa, siamo disposti a passare oltre a questi fatti alla sola condizione che la nostra proposta sia senz'altro accolta3 .

22 1 Non pubblicato.

22 2 Non si pubblicano gli allegati.

23

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 1928/43. Addis Abeba, 29 aprile 1911 (per. ore 17,15 del 30) 1.

Facendo seguito al mio telegramma n. 41 di jeri2 , informo V.E. che Governo etiopico ha inviato fino dal giorno 25 corrente delegati etiopici ordini espliciti e tassativi perché sia lasciata ai delegati italiani e germanici piena libertà d'azione e

2 T. uff. coloniale 1895/41 del 27 aprile, non pubblicato.

di movimento per eseguire lavori rilievi. Corrieri inviati dal Governo etiopico dovrebbero arrivare Dolo in meno di dieci giorni. Da informazioni e da assicurazioni avute, mi risulta che questa volta Governo etiopico ha inviato realmente suoi delegati ordini chiari e precisi nel senso sopra riferito e che sia veramente sua intenzione che missione possa proseguire senza ritardo e senza inconvenienti. Sembra che una delle ragioni, per cui delegati etiopici abbiano con pretesti ostacolato e fatto sospendere lavori missione, sia constatazione da parte loro impressionante emigrazione popolazioni di Godio nel territorio Benadir.

22 3 Per il seguito cfr. n. 165.

23 1 Il telegramma fu trasmesso via Asmara il 30 aprile, ore 11,30.

24

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Vienna, 30 aprile 1911 1,

Ringrazio l'E.V. del suo dispaccio n. 15 (Gabinetto del ministro), in data del 23 corrente2 e poiché ella mi fa l'onore di chiedermi il mio avviso circa le eventuali dichiarazioni che potrà essere indotta a fare alla Camera circa la situazione in Oriente e particolarmente in Albania io mi permetto di esporle le considerazioni seguenti.

Sarebbe, a mio avviso, desiderabile evitare alla nostra Camera una nuova discussione sui nostri rapporti con la Turchia e sulla situazione in Albania. Per quanto i diversi oratori possano essere cauti, per quanto il linguaggio dell'E.V. possa essere reciso, è difficile che una siffatta discussione, date le condizioni del nostro ambiente parlamentare, non ingeneri nuove diffidenze tanto qua che a Costantinopoli.

Ma riconosco perfettamente con V.E. che non è in potere del R. Governo di evitare o differire sine die la discussione stessa e mi felicito con V.E. dell'intenzione di fare dichiarazioni sostanzialmente concordate con questo Governo, dalle quali risulti che l'Italia e l'Austria-Ungheria seguono di fronte alla situazione in Albania, come di fronte a tutto il problema orientale, una politica non soltanto identica, ma concordata, e che è reciproco il fermo proposito di continuare a seguirla concordata in avvenire.

Non credo che, in principio, né il marchese Pallavicini, né il conte Aehrenthal possano avere difficoltà ad autorizzare V.E. ad esprimersi in tal senso, purchè io, nell'intrattenerli in proposito, mi ricolleghi alle dichiarazioni da loro ripetutamente fattemi e tenga conto del desiderio evidente che si ha qui di evitare tutto ciò che, anche vagamente, può offuscare la suscettibilità del Governo ottomano e sembrare un'indebita intrusione negli affari interni della Turchia.

Cfr. n. 20.

Il Gabinetto di Vienna non approva certo tutto ciò che ha fatto all'interno il regime giovane turco e non ha mancato, non manca e non mancherà di dare a Costantinopoli consigli di moderazione e di prudenza. Ma intende di far ciò in forma affatto confidenziale e discreta, giacché non ignora che la Turchia, la quale si considera, dopo la rivoluzione, come un qualsiasi altro Stato civile dell'Europa, non tollererebbe che si usino verso di essa dei procedimenti che un altro simile Stato troverebbe certamente inammissibili per parte di Potenze straniere.

Per quel che riguarda particolarmente l'Albania, è indubitato che la Monarchia tiene fermi gli accordi, che ha con noi, e che escludono qualsiasi ambizione di acquisti territoriali, contraria al principio del mantenimento dello Statu quo territoriale e dell'integrità dell'Impero ottomano e degli Stati balcanici.

Non credo, per contro, che-almeno fino all'ora attuale-l'Austria-Ungheria tema seriamente che dall'insurrezione albanese possano derivare serie complicazioni internazionali, che le due Potenze alleate non solo, ma anche tutte le altre Potenze hanno desiderio ed interesse evitare. D'altra parte tutto induce a supporre che l'insurrezione non sarà per compromettere nemmeno gravemente i buoni rapporti fra il Montenegro e la Turchia, la quale, a quanto mi disse il marchese Pallavicini, non avrebbe intenzione di sollevare questioni per le infrazioni di neutralità commesse da quella Potenza.

Quanto ad un eventuale invio di forze navali e militari in Albania, per parte dell'Italia e dell'Austria-Ungheria, motivato dalla sicurezza dei rispettivi nazionali colà residenti o per altre indeclinabili necessità, V.E. ha saputo dal telegramma

n. 1083 del cavaliere Tommasini che il marchese Pallavicini lo ritiene materialmente inefficace e moralmente pericolosissimo.

Qui si considerano gli eventi che si svolgono nel vicino Oriente, qualora nei medesimi non fossero beninteso implicati direttamente gli interessi della Monarchia, come questioni in cui il Governo imperiale e reale non ha il diritto di ingerirsi, ma che spetta alla Sublime Porta soltano di definire e di regolare a seconda dei propri interessi.

Se tale fu in massima il punto di vista a cui s'ispirò nel passato la sua condotta di fronte alla Turchia, tanto più ora il Governo imperiale e reale crede attenersi all'identico punto di vista in quanto che la radicale trasformazione avvenuta nella costituzione dell'Impero ottomano non permette più alle Potenze di comportarsi verso la Sublime Porta seguendo il sistema da loro adottato a suo riguardo sotto l'antico regime.

Per cui l'insurrezione albanese non fece mai sorgere nel Governo imperiale e reale l'idea d'un intervento in Albania. Né una ragione plausibile esso troverebbe per esercitare un'azione qualsiasi in una parte od un'altra dell'Impero ottomano se l'insurrezione estendendosi assumesse un carattere grave e qualora il Montenegro, coll'entrata in campo, provocasse un conflitto armato colla Turchia.

In tal caso il Governo imperiale e reale, uniformandosi alla condotta seguita durante la guerra greco-turca, si adopererebbe a circonscrivere il conflitto e si con

certerebbe all'evenienza con noi e colle altre Potenze per evitare complicazioni maggiori. Tale sarebbe la politica dell'Austria-Ungheria nelle circostanze suddette, politica, la quale, oltre all'essere conforme alle dichiarazioni pubbliche del Governo imperiale e reale ed alle assicurazioni ufficiali da esso date a più riprese al R. Governo, venne sanzionata anche dal recente accordo segreto stipulato con noi.

L'ipotesi quindi d'un intervento qualsiasi dell'Austria-Ungheria nelle eventualità accennate nel dispaccio dell'E.V. non sarebbe da ammettersi per ora e credo che ella potrebbe essere sicuro di non essere smentito né colle parole, né coi fatti dal Governo imperiale e reale se dichiarasse che le due Potenze alleate, come le altre Potenze, escludono un'ipotesi siffatta.

In considerazione quindi di ciò non sarebbe quindi opportuno di far ora alcuna entratura presso il Governo imperiale e reale per concertarsi con esso in proposito. Questa infatti non sarebbe certo da lui accolta e potrebbe fargli supporre forse che noi non teniamo in debito conto gli impegni che prese con noi, come quelli che abbiamo assunti con esso.

Da quanto precede V.E. potrà già dedurre che le dichiarazioni eventuali di lei, da concordare con questo Governo, dovrebbero -a mio avviso -tenersi in termini generali, anche per evitare il pericolo che il linguaggio di lei faccia supporre alla Turchia che esista realmente per l'Italia e l'Austria-Ungheria una vera questione albanese e che le due Potenze mirino ad arrogarsi una situazione privilegiata per ciò che concerne quelle regioni. Ove a Costantinopoli sorgesse un simile sospetto, anche i nostri rapporti con la Turchia, che hanno tanto bisogno di migliorare, ne sarebbero nuovamente compromessi.

Le dichiarazioni di V.E., da comunicare preventivamente al marchese Pallavicini, potrebbero quindi -secondo il mio subordinato parere -suonare presso a poco così:

«La questione albanese è esclusivamente una questione interna della Turchia. L'Italia, che è animata dalla più cordiale amicizia per l'Impero ottomano, non intende far nulla che possa sembrare un'indebita ingerenza negli affari interni di esso. L'Italia non ha nemmeno veste per dar suggerimenti a Costantinopoli e si augura solo cordialmente che il nuovo regime turco, superate le difficoltà attuali, possa assicurare la prosperità di tutto l'Impero.

Il R. Governo non ha fino ad ora ragione di credere che dalle presenti difficoltà in Albania possano sorgere complicazioni europee.

Tutte le Potenze sono concordi, oggi come per il passato, da una parte a non interferire negli affari interni della Turchia, dali' altra a considerare sempre come base della loro politica orientale il mantenimento dello statu quo territoriale e dell'integrità dell'Impero ottomano e degli Stati balcanici.

Quello che vale per le Potenze in generale, vale naturalmente anche più per i Gabinetti di Roma e di Vienna, i quali considerano gli avvenimenti con completa fiducia reciproca e con assoluta identità di vedute.

Le preoccupazioni che una certa parte della stampa italiana ha recentemente manifestato all'indirizzo dell'Austria-Ungheria, a proposito della rivolta albanese, sono altrettanto assurde quanto quelle che, allo stesso proposito, una certa parte della stampa austriaca ha espresso all'indirizzo dell'Italia.

Né l'Italia, né la Monarchia hanno ragione di preoccuparsi, dal punto di vista internazionale, degli avvenimenti d'Albania e di considerare fantastiche ipotesi di intervento».

Ove all'E.V. piacesse di consentire meco, io mi esprimerei nei termini che qui precedono col marchese Pallavicini.

Mi permetto finalmente di ricordare all'E.V. che, ove nella nostra Camera dovesse aver luogo una discussione sulla politica estera e sui nostri rapporti con l'Austria-Ungheria, sarebbe vivamente desiderabile che (come VE. mi incaricò di comunicare al conte Aehrenthal col suo telegramma n. 740)4 , tanto dai banchi del Governo, quanto da quelli dei deputati si tenesse verso la Monarchia un linguaggio amichevole, analogo a quello usato nelle ultime Delegazioni verso l'Italia.

24 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

24 3 Cfr. n. l.

25

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 1969/124. Londra, 3 maggio 1911, ore 13,57 (per. ore 19,25).

Conformemente istruzioni che V.E. mi ha date verbalmente, parlai ieri a Grey, in via privata e confidenziale, delle pretese dichiarazioni console britannico al valì Tripoli1 . Premesso che né V.E. né io avevamo ritenuto notizia verosimile, dissi che mi pareva tuttavia opportuno metterlo al corrente, per debito lealtà, nell'unico intento dissipare qualsiasi equivoco. In modo speciale, attirai sua attenzione su gravi complicazioni che potrebbero, contrariamente amichevoli disposizioni Governo del re verso Turchia, sorgere, qualora Governo ottomano, a torto od a ragione, fiducioso eventuale appoggio Inghilterra, continuasse abusare nostra pazienza e perdurasse nel contegno sistematicamente ostile fino ad ora tenuto contro noi in Tripolitania, contegno che ha sollevato e solleva tuttora vivissima irritazione opinione pubblica nostro paese. Continuando così le cose, osservai, non si può escludere verificarsi ad un momento dato di qualche incidente di gravità tale da costringerci prendere, a tutela nostra dignità e interessi nostri connazionali, provvedimenti che potrebbero poi avere conseguenze più serie di quanto sia dato prevedere. Grey escluse nel modo più assoluto che console possa essersi permesso fare attribuitegli dichiarazioni senza istruzioni che qui nessuno ha mai sognato dargli, e che in ogni caso, non sarebbero mai state impartite a lui.

Riconoscendo, poi, importanza mie osservazioni, mi dichiarò spontaneamente avrebbe con lettera particolare incaricato ambasciatore d'Inghilterra Costantinopoli accertare con debite cautele, se erronee impressioni, basate su pretese dichiarazioni del console, prevalgono realmente nei circoli dirigenti ottomani, e, in caso affermativo, di adoperarsi per dissiparle.

24 4 T. del 26 febbraio, non pubblicato nel vol. VNI della serie quarta.

25 1 Il console «avrebbe assicurato al comandante ottomano che, in caso di conflitto tra l'Italia e la Turchia, l'Inghilterra impedirebbe alla prima di compiere atti di ostilità in Tripolitania» (D. 4 dell'll aprile col quale si chiedeva di verificare la corrispondenza di queste dichiarazioni con il pensiero del Governo britannico).

26

IL MINISTRO A TANGERI, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. 1 . Tangeri, 4 maggio 1911.

VE. mi consentirà di scriverle in questa forma di lettera particolare sugli affari del Marocco.

Lo svolgersi degli avvenimenti intorno a Fez da un mese a questa parte non faceva prevedere, logicamente, un intervento militare da parte della Francia. Ciò sovra tutto alla data che l'intervento è stato deciso a Parigi, secondo la comunicazione fattale dal signore Barrère e che VE. mi fece l'onore di trasmettermi (telegratnlna n. 1335 dell'8 aprile)2 . In quei giorni le cose invece miglioravano, specialmente dopo il successo riportato dalle truppe del sultano contro i berberi il 2 aprile e, giusta informazioni provenienti da varie fonti attendibili, gli stranieri in Fez non correvano pericolo. Così che potei scrivere il 7 aprile (rapporto riservato n. 413/70)2 che non credevo probabile si disponesse la Francia ad un'azione militare su Fez.

La rivolta, è vero, si è estesa, ma nulla di positivo hanno tentato i berberi contro quella capitale né hanno saputo tirar partito dai piccoli successi ottenuti. Si sono limitati alle solite razzie, a svaligiare corrieri e derubare qualche messaggero del sultano apportatore di quattrini e proposte di pace. Il fatto poi che finora non hanno avuto un capo, il quale dia unità alla loro azione, toglie al movimento importanza. Il sultano proclamato a Mequinez, Mulai Ez-Zin, fratello di Mulai-Hafid, non ha nulla compiuto per dimostrare che prende sul serio l'avvenuta proclamazione. Oggi stesso secondo le notizie pervenutemi dal capo della missione, in data 26 aprile, la situazione a Fez non è molto mutata e la popolazione si mantiene calma. Movimenti e sommosse del genere sono abbastanza frequenti in questo paese prodotti in massima parte della rapacità del sultano e dei principali capi, ma non per questo sono necessarie le operazioni militari seguite da occupazioni di territorio, come si va da qualche tempo praticando.

Francamente la presente impresa della Francia non è fra le più giustificate, lo è certo meno di quella a Casablanca nel 1907. È vero che la Francia ha una quarantina di ufficiali e sottufficiali nella «mahalla» sceriffiana ed ha il dovere di provvedere

26 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica una copia conservata tra le carte di Gabinetto. 2 Non pubblicato.

32 alla loro sicurezza ma è assai dubbio che faccia ciò efficacemente con una spedizione militare nell'interno atteso il fermento che innegabilmente esiste contro gli istruttori francesi.

Non si spiega l'impazienza della Francia. Il Marocco in fondo è oggi sotto la sua influenza quasi esclusiva proseguendo coi metodi sin qui adottati, poco alla volta le apparterrà del tutto, meno la piccola parte lasciata all'azione spagnola e ciò senza ricorrere a mezzi violenti, col tacito consenso delle Potenze e forse senza troppo urtare la Spagna. Nei vari rapporti dal 25 febbraio in poi, ho cercato di dimostrare tutto questo.

Se pertanto il Governo della Repubblica abbandonerà la politica sinora seguita al Marocco bisogna ammettere che si sia lasciato prendere la mano dal gruppo coloniale e dalla stampa. Ovvero è lecito fare un'altra ipotesi, vale a dire che esso abbia la sicurezza di non trovare ostacoli da parte della Potenza che sino a poco tempo fa si è opposta alle mire francesi su questo Impero. E tale assicurazione potrebbe aver conseguita mediante un compenso. Dal mio posto non sono in grado d'affermare ciò, mancando d'informazioni ed elementi positivi per un giudizio; mi limito ad esporre un'ipotesi che in certo senso è giustificata dall'attitudine della Germania. Esposi già questa attitudine in fine del rapporto 25 febbraio, n. 211/383 . Ma ora v'è di più. Il mio collega di Germania non solo ha istruzioni d'occuparsi soltanto degli interessi economici dei sudditi tedeschi ma sovente egli trova il suo Governo abbastanza tiepido nell'accogliere moderate proposte che sottopone per tutelare quegli interessi -non cito esempi per non allungare questa lettera. La principale preoccupazione a Berlino, da quanto è dato giudicare da qui, negli affari al Marocco, sembra quella di non far nulla che possa, anche indirettamente, urtare interessi francesi. Parlando col mio collega di Germania per affari che abbiamo comuni o analoghi pei nostri rispettivi connazionali ho osservato ciò.

Le laboriose colonie tedesche in Marocco sono malcontente di quello che chiamano l'abbandono del Governo imperiale.

La Germania fa ciò per ragioni di politica generale e sarebbe ragione sufficiente. Se non che la sua attitudine può pure essere indizio che ve ne sia altra e cioè che abbia ottenuto la promessa di un compenso al Marocco stesso.

Nella eventualità d'una liquidazione dell'Impero sceriffiano le sarebbe consentito dalla Francia di stabilirsi in un punto della costa meridionale per esempio a Mogador al quale, come si è detto spesso, essa ha rivolto le sue mire. Alcuni anni or sono si parlò molto di ciò e l'azione del conte Tattenbach autorizzò siffatta supposizione. Del resto l'ipotesi che faccio è fatta anche da altri ed io la riferisco a V.E. in seguito a quanto osservo da che sono a Tangeri sulla politica del Governo tedesco quale appare qui.

Merita pure di tener presente che attualmente si trovano nel sud Marocco, sulla costa del Capo Juh a Mogador, parecchi ingegneri tedeschi per esplorare le ricche miniere di quella regione la quale poi è anche in molte parti assai importante al punto di vista agricolo: essi sono in rapporti continui con gli indigeni e la loro attività è stata qui segnalata.

PS. Sarei grato all'E.V. se volesse farmi assicurare del recapito della presente lettera che spedirò il 6 a mezzo del piroscafo olandese a Genova4 .

26 3 In realtà del 24 febbraio. Non pubblicato nel vol. VIVI della serie quarta.

27

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 427/166. Madrid, 6 maggio 1911 (per. l' 11).

Faccio seguito al mio telegramma n. 561•

Ieri il ministro di Stato parlando con me al suo ricevimento mise egli stesso, contro le sue abitudini, la conversazione sulle cose del Marocco e mi confermò le sue preoccupazioni sulle intenzioni della Francia. L'opinione pubblica, egli mi disse, incomincia pure ad esserne seriamente preoccupata, e ad accusare il Governo d'inerzia e di pusillanimità. D'altra parte la situazione di Fez non è a suo giudizio grave quanto la rappresentano le notizie da fonte francese. Mentre, egli mi diceva, i giornali più autorevoli di Parigi (e mi citava il Temps) mettono ancora in dubbio l'arrivo della mehalla di Brémond, gli risultava in modo sicuro che essa era entrata nella capitale marocchina fino dal 26 aprile. Avendogli io fatto cenno delle ripetute dichiarazioni di disinteresse fatte dal Governo francese alle potenze firmatarie dell'atto d'Algesiras, egli mi si mostrava assai poco rassicurato dalle medesime. Egli mi accennò quindi alla situazione nei dintorni di Ceuta dove per gli accordi del novembre scorso il Maghzen si era obbligato a stabilire di concerto con la Spagna un'or

ganizzazione di polizia. In questi giorni il Governo spagnolo aveva richiesto il Governo marocchino di eseguire quella parte delle recenti stipulazioni, avvertendolo che in mancanza di ciò la Spagna avrebbe proceduto da sola all'organizzazione della polizia in quella regione. Finora, egli aggiunge, non era giunta alcuna risposta del Maghzen. Gli chiesi allora se il Governo spagnolo avvesse preso altre deliberazioni, ed egli mi rispose negativamente.

Stamani i giornali che più si occupano delle cose marocchine sono pieni di notizie di incidenti che si sarebbero verificati nei territori circostanti a Ceuta i quali vengono raffigurati in uno stato di completa anarchia. Queste notizie che sono disposto a credere per buona parte artifiziose, vanno considerate come preparazione ad una ristretta azione spagnola nei pressi di Ceuta. A qualche cosa di simile accennano altresì le dichiarazioni fatte ieri alla stampa dal signor Canalejas il quale parlò delle condizioni anormali nelle quali si trovavano quelle località e

34 della necessità di porvi pronto riparo. Risulta evidente che il Governo spagnuolo sentendosi costretto ad imitare pur su scala ridottissima l'azione francese intende con queste limitate operazioni presso Ceuta dar soddisfazione all'amor proprio nazionale che credo del resto non essere disposto a domandare molto di più. Notisi che si tratta d'un programma ridotto ai minimi termini attesoché non si parla della marcia su Tetuan ma di operazioni contenute in una sfera ancora più vicina ai presidi attualmente esistenti. E come dissi già in altri miei rapporti all'E.V. questo Governo agirà assai saviamente limitando la propria azione nella misura consentita dalle condizioni economiche e politiche della Spagna le quali sono in verità poco propizie ad una politica d'espansione.

26 4 Con D. 14 e D. 3 del 20 maggio, rispettivamente a Parigi e a Madrid, non pubblicati, si chiedeva di esprimere un parere sul! 'argomento trattato da questo rapporto. Si vedano al riguardo i nn. 41 e 42.

27 1 T. 2009/56 del 5 maggio, non pubblicato.

28

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1174/526. Parigi, 6 maggio 1911 (per. il 13).

Col mio telegramma del l o corrente n. 1721 esposi brevemente ma chiaramente a V.E. il mio pensiero circa la bonifica della Boiana e circa il tronco ferroviario da Monastir alla Danubio-Adriatico. Non essendovi alcun rischio per i capitalisti i quali per ora non assumono altro impegno che quello degli studi, i quali, quando non intendano assumere l 'affare, saranno loro rimborsati, io son certo che non vorranno negare la loro adesione, visto che il nostro interesse politico a rimanere associati ai capitalisti francesi in tutte le imprese nei Balcani, è evidente.

Però io credo che la riluttanza dei nostri capitalisti, i quali furono da me quasi nolenti trascinati a concorrere alla ferrovia Danubio-Adriatico ed ora considerano come una molestia qualunque nuovo affare a quello attinente si proponga loro, dipende da questo fatto, che i capitalisti francesi mobilizzano facilmente qualunque affare mediante emissione di titoli che il mercato di Parigi assorbe senza sforzo, mentre per i capitalisti nostri, non potendo fare lo stesso in Italia, qualunque loro partecipazione rappresenta una immobilizzazione. Ora il ministro degli esteri, se non è aiutato da forti capitalisti che in qualunque momento lo coadiuvino in imprese d'interesse politico, è privato di uno dei più efficaci strumenti d'azione. A mio avviso varrebbe la pena che di tale argomento V.E. conferisse col presidente del Consiglio e col ministro del tesoro per vedere se c'è modo di uscire dalle strettezze nelle quali io ebbi già a trovarmi più volte e nelle quali V.E. si trova ora quando vuole avviare ad imprese all'estero il capitale italiano2 .

28 1 T. 19451172, non pubblicato. 2 Per il seguito cfr. n. l 09.

29

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 456/107. Belgrado, 7 maggio 1911 (per. il 16).

Da un rapporto pervenuto, or non è molto, dal ministro di Serbia a Cettigne, risultava a questo ministro degli affari esteri che la Russia aveva seriamente ripetuto al Governo montenegrino le sue raccomandazioni ed i suoi consigli di calma e di moderazione di fronte all'agitazione albanese. Il signor Petkovitch riferiva poi nello stesso rapporto che analoghe raccomandazioni erano state date dal rappresentante germanico, il quale aveva energicamente ammonito il Governo, ricordandogli la responsabilità che avrebbe incorso davanti alle Potenze, desiderose della pace, qualora non avesse sinceramente mantenuto la più stretta neutralità.

Mi consta che il passo fatto dal signor Eckardt è stato considerato qui con soddisfazione, poiché si è voluto scorgere in esso una conferma del riavvicinamento della Germania e della Russia per quanto concerne le quistioni balcaniche. Si vorrebbe anzi che in seguito all'incontro di Potsdam, ove si sarebbe lamentata la politica aggressiva dell'Austria nella penisola, il Governo di Berlino avrebbe accondisceso a tenere in freno le mire ambiziose della alleata e si sarebbe stabilita inoltre un'intesa, secondo la quale, nel caso di gravi complicazioni nei Balcani, i due Governi sarebbero d'accordo intervenuti ad esclusione dell'Austria.

Si vorrebbe pertanto connettere la simultaneità delle rimostranze fatte a Cettigne dai rappresentanti germanico e russo, coll'intesa stabilita nel convegno di Potsdam, ed ho creduto, ad ogni buon fine, di riferirne aii'E.V. perché la convinzione in un'intesa russo-germanica, nel senso sovra indicato, si è venuta facendo strada in questo Governo in seguito a ciò che a tale proposito era stato detto dal mio collega di Russia.

30

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID E PARIGI E ALLA LEGAZIONE A TANGERI

T. 1685. Roma, 8 maggio 1911, ore 22,15.

D'ordine del suo Governo questo ambasciatore di Spagna mi ha fatto, in data di ieri, la comunicazione riservata e confidenziale che qui riassumo:

«Il governatore militare di Ceuta viene segnalando che i furti e le aggressioni dei mori aumentano intorno a quella piazza ed ostacolano transito e commercio di cui all'articolo 45 dello accordo ispano-marocchino del 20 novembre 1861.

Non è possibile provvedere in base accordo 16 novembre 191 O fra Spagna e Marocco perché organizzazione polizia così nel Riff, come a Ceuta, vi è subordinata alla designazione del bojà del campo di Melilla, designazione sulla quale il sultano e le autorità spagnuole non hanno potuto finora accordarsi.

Riservandosi di formulare al Makzen pratiche proposte per la più sollecita organizzazione della polizia, il Governo spagnuolo ha deciso di autorizzare il governatore di Ceuta a valersi, frattanto, provvisoriamente per quel servizio di un contingente adeguato della guarnigione formato in gran parte con tiragliatori del Riff, più specialmente idonei perché indigeni.

Sebbene queste misure rientrino nel disposto del trattato del 1861 ed, in ogni caso, si riferiscano al mantenimento dell'ordine e della tranquillità delle regioni di frontiera che è esclusiva competenza della Spagna e del Makzen, si comunica quanto precede al Governo italiano, perché non si attribuisca al provvedimento altro carattere se non quello provvisorio e locale che esso ha, né si stabilisca fra esso e lo stato politico dell'Impero, o la situazione generale presente, una realizzazione che non esiste».

Mi sono limitato a segnar ricevuta della fattami comunicazione.

31

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 458/109. Belgrado, 8 maggio 1911 (per. il 16).

Come era da aspettarsi, le previsioni piuttosto ottimiste di questo Governo per l'avvento al potere del Gabinetto Guechoff (mio rapporto del 7 aprile, n. 73)1 non hanno avuto lunga durata. Le aperture fatte dal Guechoff per uno scambio di vedute circa l'insurrezione albanese, mi disse il ministro degli affari esteri, non hanno avuto seguito. Il signor Milovanovitch ha dato allora istruzioni al rappresentante serbo a Sofia di non fare dal canto suo alcun passo presso il Governo bulgaro e di tenersi nella più grande riserva lasciando venire le cose, avendo però sempre presente, in ogni caso, il sincero desiderio del Governo serbo di stringere più intimi rapporti con lo Stato vicino. A queste istruzioni il signor Miloyevitch doveva conformare il suo linguaggio nelle conversazioni coi ministri di Italia e di Russia e doveva eventualmente limitarsi col ministro di Turchia ad insistere unicamente sulla cordialità delle relazioni esistenti fra la Serbia e la Bulgaria.

Il mio collega di Bulgaria, parlandomi, pochi giorni sono, delle relazioni serbobulgare ebbe a ripetermi le cose ormai note e da me già parecchie volte riferite nei mie rapporti sull'argomento circa le difficoltà di un'intesa fra i due Stati, come qui si desiderava, date le pretese della Serbia per una divisione di sfere d'influenza in Macedonia. «Ogni discussione in proposito è per il momento prematura» -mi

37 disse il signor Tocheff -«poiché la Macedonia appartiene alla Turchia. Conviene piuttosto di lasciare al tempo, e sovrattutto, ai giovani turchi l'incarico di liquidare la dominazione ottomana in Europa e quando il momento opportuno sia venuto -ciò che forse non tarderà molto -e la Serbia sia divenuta più forte, allora, ma non prima, sarà il caso di vedere se un accordo fra di noi possa essere possibile».

31 1 Cfr. n. 6.

32

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2096/92. Tripoli di Barberia, 9 maggio 1911 (per. ore 23,45 del 10) l.

In relazione al mio rapporto del 6, n. 5192 , informo V.E. che ho potuto accertare che nelle ultime sedute di questo Comitato Unione e Progresso nulla fu deliberato contrario Società araba fosfati da noi appoggiata; soltanto impressionano sfavorevolmente un articolo del giornale Merzad e le ingiurie in piazza di un marinaio del boicottaggio contro i membri di quella Società, accusandoli favorire, accompagnare gli italiani e commerciare coi loro denari a danno patria. Dato carattere del valì credo quella opposizione alimentata subdolamente da lui e dai suoi consiglieri, come indirettamente fomentata da questo console di Francia che approfittando ottime attuali relazioni col valì insinuerebbe contro le nostre imprese; anche Gutowski, tuttora costretto ad isolarsi per timore delle minacce del valì mi confermava confidenzialmente medesima sua impressione. Per ciò, se nostra situazione Costantinopoli lo comporta credo che sia conveniente fare rinnovare sempre al valì raccomandazioni in nostro favore.

33

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2125/140. Londra, 12 maggio 1911, ore 15,13 (per. ore 18,30).

Creta. Telegramma di V.E. n. 17121 . Questo Governo non ha preso ancora decisione in merito proposta francese, desiderando conoscere prima pensiero Gabi

netto di Pietroburgo. Nello informarmi di ciò, Nicolson ha aggiunto parergli per il momento più indicato concentrare sforzi Costantinopoli per ottenere che venga rinviata partenza cadì, salvo discutere poi questione di principio. Debbo osservare, per parte mia, che risposta suggerita da Governo francese mi pare troppo tagliente e tale da sollevare grosse complicazioni. Data attuale precaria situazione interna Turchia, non mi sembra prudente rivolgere delicata questione in modo così brusco che non mancherebbe di offendere sensibilmente sentimenti religiosi popolazione musulmana. Giova non dimenticare che cadì sono magistrati aventi carattere religioso; essi vengono nominati dallo Sceik-ul-Islam dal quale soltanto possono ricevere investitura. Tutto ciò a prescindere dalla incontestabile circostanza di fatto del non avere cioè mai Turchia riconosciuto costituzione cretese. Cambon, al quale ho fatto presenti queste mie osservazioni, mi ha detto di avere confidenzialmente intrattenuto della controversia questo ambasciatore di Turchia. Il quale avrebbe accennato alla seguente possibile soluzione: il Governo ottomano invierebbe Creta un solo cadì che, investito di pieni-poteri dallo Sceik-ul-Islam, avrebbe facoltà nominare eventualmente altri cadì. Tale modus vivendi è stato adottato finora per i cadì inviati in Bulgaria. A parere personale di Cambon e mio, migliore modus precedenti da adottarsi nella circostanza presente sarebbe, tutto compreso, quello ottenere anzitutto rinvio partenza cadì, dichiarando alla Sublime Porta che le Potenze protettrici si riservano discutere con calma questione e prendere opportuni accordi con essa circa soluzione. La quale potrebbe essere quella sopra indicata. Una volta adottata tale soluzione, dovrebbero le Potenze protettrici imporla ai cretesi, non essendovi motivo fondato per giustificare da parte dei cretesi opposizione ad una equa soluzione già accettata dalla Bulgaria Stato sovrano indipendente.

Di queste nostre vedute personali, abbiamo, Cambon ed io, reso jeri edotto Nicolson il quale ha detto le avrebbe sottoposte a Grey.

32 1 Il telegramma fu trasmesso da Gerba il IO maggio, ore 9,30. 2 R. 519/217, non pubblicato. 33 1 T. del IO maggio, non pubblicato, col quale si dava istruzione di verificare l'accoglienza data alla proposta francese. Quest'ultima suggeriva di dichiarare alla Turchia la nullità della nomina dei cadì.

34

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO

T. 1808. Roma, 18 maggio 1911, ore 15.

Creta. Mio telegramma n. 1794 (per Londra)' n. 1795 (per gli altriP, Non sarei alieno, da parte mia dall'accogliere la proposta inglese, in favore della quale, e

2 T. del 17 maggio, col quale di San Giuliano comunicava la proposta inglese sulla nomina dei cadì: «... gli ambasciatori delle quattro Potenze Protettrici a Costantinopoli dovrebbero dichiarare alla Sublime Porta che esse non vedono alcuna necessità per una modificazione dello statu quo; ma che, se si convinceranno che la nomina dei cadì è realmente urgente e indispensabile, esse sono pronte ad esa

benché essa sia in contraddizione colla costituzione cretese, militano due argomenti principali: l) che la nomina dei cadì sarebbe fatta dalle Potenze Protettrici nella loro qualità, riconosciuta dalla Turchia, di depositarie dell'isola: 2) e che le Potenze avrebbero modo, per mezzo dei loro consoli alla Canea, di apprezzare le ragioni di opportunità locale, che possono determinare la scelta fra le persone comprese nella lista compilata dallo Sceik-ul-Islam.

Dopo ciò, si affaccia ora una nuova proposta. Questo ambasciatore di Russia mi comunica che il suo Governo propone che la questione della nomina dei cadì in Creta venga deferita all'esame di una commissione composta dei dragomanni delle quattro ambasciate a Costantinopoli e di un rappresentante della Sublime Porta. Questa proposta avrebbe senza dubbio il vantaggio di far guadagnare tempo.

(per Londra e Parigi) Prego V.E. di telegrafarmi come l'accoglie codesto Governo3 .

34 1 T. del 17 maggio, non pubblicato.

35

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO

T. 1823. Roma 20 maggio 1911, ore 15.

Creta. Mio telegramma n. 18081• A quanto mi comunica questa ambasciata di Francia, il Governo francese non è favorevole alla proposta russa, temendo che offra occasione alla Porta di mettere in discussione lo statu quo e di riaprire tutta la questione cretese: esso ne teme anche una ripercussione nell'isola. A Parigi si preferirebbe la proposta inglese che avrebbe almeno il vantaggio di poter essere presentata ad ognuna delle due parti come una transazione.

Anche il Governo britannico, secondo mi dice questo suo ambasciatore, non crede opportuno di sottoporre la questione dei cadì all'esame dei dragomanni, ed esprime la speranza che il governo russo finirà pure coll'accettare la proposta inglese.

Ho risposto a Barrère e a Rodd che, a parer mio, converrebbe anzitutto tentare di far accogliere la proposta inglese, e, se ciò non riesce, presentare poi la proposta russa, stabilendo preventivamente, in modo preciso e categorico, che la riunione progettata dovrà occuparsi esclusivamente della questione della nomina dei cadì.

(meno Costantinopoli) Quanto precede, per sua informazione e norma di linguaggiO.

minare se non sia il caso che i cadì vengano nominati dalle quattro Potenze stesse sopra una lista delle

persone più adatte compilata dallo Sceik-ul-Islam».

34 3 Per il seguito cfr. n. 35.

35 1 Cfr. n. 34.

36

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 481/185. Madrid, 20 maggio 1911 (per. il 27).

Ho avuto ieri con il mio collega di Francia sulle cose del Marocco una nuova conversazione che non credo inutile riferire all'E.V.

Avendogli io osservato che da qualche giorno si sembrava qui più tranquilli circa gli intendimenti del Governo della Repubblica il signor Geoffray mi disse che nelle sue conversazioni il ministro di Stato gli si mostrava tuttora molto sospettoso dell'azione francese. Ed anche la stampa, compresi giornali in voce di ufficiosi come l'Imparcial, usavano un linguaggio poco adatto a rappacificare gli animi. Avendo io espresso l'opinione che le difficoltà maggiori incominceranno quando le truppe francesi saranno giunte a Fez, il signor Geoffray mi rispose che avevo perfettamente ragione, attesoché la Francia con la spedizione intrapresa mette il dito in un ingranaggio dal quale non potrà ritirarsi a suo piacimento. Il desiderio del Governo francese di non prolungare l'occupazione di Fez è schietto e leale, ma come precisare quando sarà pienamente ristabilita l'autorità del Governo sceriffiano, e quale sarà la situazione che, dopo compiuta la loro ardua missione, lasceranno le truppe della Repubblica ritirandosi dalla capitale del Maghzen? E questi dubbi, mi diceva il signor Geoffray, spiegano l'atteggiamento presente della Germania. Essa non dice nulla per ora, sta a vedere come si svolgono gli avvenimenti, nulla oppone finché può considerare sempre rispettato l'accordo d'Algeciras; ma se per forza ineluttabile di circostanze la nostra occupazione di Fez si facesse duratura la Germania approfitterà allora del suo vantaggio, affermerà che l'atto di Algeciras è decaduto e dichiarerà di riprendere la propria libertà d'azione. L'accento con cui il signor Geoffray, il quale non divide gli entusiasmi del partito coloniale francese, mi faceva queste osservazioni confidenziali, appariva perfettamente sincero. Si potrebbe argomentarne che il suo Governo non si nasconde i pericoli della situazione creata dalla sua recente politica marocchina, e non dimentica quanto lo aspetterebbe, ove spontaneamente o obbligato dalle circostanze esso venisse meno alle promesse disinteressate che moltiplica in questi giorni mentre le colonne francesi marciano sopra Fez.

37

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 1832. Roma, 21 maggio 1911, ore 15,25.

Missione carmelitana di Siria. Barrère è venuto giorni sono a dirmi che riconosceva il nostro buon diritto in base al noto accordo, ma che la Siria essendo un

punto particolarmente sensibile per la Francia, sarebbe atto amichevole da parte nostra se non accogliessimo la domanda dei carmelitani. Risposi che la domanda aveva avuto luogo completamente ali 'infuori del R. Governo, e che anzi io conscio degli interessi che la Francia ha in Siria, quando avevo avuto notizia della domanda stessa ero stato dolente che i carmelitani avessero issato la bandiera italiana senza prima aver preso accordi con noi, ma che, d'altro lato, era ben difficile pel R. Governo di non dar corso ad una domanda di protezione da parte di cittadini italiani, la quale era conforme agli accordi italo-francesi, ed aveva avuto pubbliche manifestazioni quali l'inalberamento della bandiera eccetera eccetera. Ad ogni modo, animato come ero da sentimenti sinceramente amichevoli, avrei esaminato la questione n eli 'intesa che, nel frattempo, nulla sarebbe intervenuto che avesse potuto pregiudicare il nostro buon diritto o porre in una situazione difficile i carmelitani italiani.

Mi giunge ora notizia che i carmelitani sono oggetto di ostilità e di indirette minacce da parte delle autorità consolari francesi e che, d'altra parte, gli indigeni, sapendo che essi non hanno ancora ottenuto la protezione italiana mentre hanno rinunziato a quella francese, commettono degli atti ostili contro i loro stabilimenti. Oggi, infine, ricevo il seguente telegramma dal r. console generale a Beyrouth:

«Si riferisce da Caiffa ... con Governo francese» (come nel telegramma in arrivo

n. 2229 1 , meno il riferimento al rapporto n. 4552). Non ho ancora potuto controllare se quest'ultima notizia sia esatta, ma da tutto quanto precede risulta che non è stato mantenuto quel contegno perfettamente passivo che io avevo chiesto a Barrère. Al punto in cui sono le cose, i carmelitani avendo inalberato la bandiera italiana e l'accordo italo-francese essendo noto al pubblico anche per le dichiarazioni fatte alla Camera italiana dal sottosegretario di Stato agli affari esteri il 15 maggio 19063 , reputo non si possa tardare più oltre, senza correre il pericolo che se ne occupi la stampa italiana, dando luogo ad incresciose polemiche, ad accogliere la domanda dei carmelitani. Queste polemiche sarebbero tanto più pericolose in vista della prossima soluzione della questione di Palazzo Farnese.

Sarò quindi grato all'E.V. se vorrà intrattenere di quanto precede codesto Governo, pregandolo di impartire sollecitamente le opportune istruzioni all'ambasciata francese a Costantinopoli affinché, d'accordo con quella r. rappresentanza, proceda alle necessarie comunicazioni al Governo ottomano. Noi confidiamo a tal uopo nello spirito amichevole che ispirò l'accordo del 1905 e che sempre anima i due Governi nelle reciproche loro relazioni e dobbiamo tener presente che l'accordo stesso fu oggetto di non lievi attacchi da noi, quando giunse a notizia del pubblico,

2 R. del 2 giugno 1910, non pubblicato nel vol. VNI della serie quarta.

3 Atti del Parlamento italiano. Camera dei Deputati, sessione 1904-1906 (l" della XXI! legislatura), Discussioni, vol. VII, dal 2 maggio al 16 giugno 1906, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, I 906, pp. 8 I 44-8 I 4 7.

attacchi che si rinnoverebbero se non ricevesse sollecita esecuzione, ora che se ne presenta l'opportunità, per la parte che ci interessa. Il tatto esperimentato dall'E.V. mi assicura che questo passo sarà fatto in modo da non urtare Barrère.

37 1 T. del 20 maggio, col quale il console Anielli comunicò: «...generale carmelitani ... ha revocato superiore missione Tripoli di Soria e sostituito con padre Cirillo superiore convento Carmelo tedesco ... ritengo non estranea azione Governo francese ...».

38

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALISSIMO 2246/54. Atene, 21 maggio 1991, ore 23,55 (per. ore 6 del 22).

Il signor Venizelos, allarmato dalla proposta inglese relativa cadì ed in generale dalla tendenza che egli crede ravvisare nelle Potenze a fare concessioni al Governo ottomano negli affari di Creta, ha esposto al ministro d'Inghilterra, in via privata e confidenziale e perché ne dia conoscenza ai suoi tre colleghi, l'idea che uno stato di cose chiaro e stabile, quand'anche implicasse un regresso nelle aspirazioni dell'isola, sarebbe meno pericoloso che l'attuale avvicendarsi di reclami da una parte e di agitazioni dall'altra, che a lungo condurrebbero a complicazioni. Egli preferirebbe pertanto che le Potenze Protettrici assumessero iniziativa senza lasciar trapelare in nessun modo origine di essa, di un ritorno in Creta alto commissario Zaimis. Il signor Venizelos si rende conto dei pericoli e delle difficoltà che quel ritorno incontrerebbe, sia in Creta a cagione della necessità di rimettervi le cose al punto in cui si trovavano prima della partenza di Zaimis, sia in Grecia ove gli avvenimenti provocherebbero una grave ripercussione. Ma egli nutre, da un canto, molta fiducia nel prestigio e nel tatto del signor Zaimis e, dall'altro, ritiene che, una volta passata la tempesta, non si sarebbe più ad ogni piè sospinto in presenza spinose questioni da risolvere e di allarmi per la pace.

Ministro d 'Inghilterra ha telegrafato ieri quanto precede al suo Governo senza, che io sappia, farvi commenti. I miei colleghi Francia, Russia telegrafano oggi aggiungendo che, a loro avviso, sia con la nomina dei cadì per parte Potenze, sia col ritorno del signor Zaimis in Creta, non tarderebbe presentarsi necessità rioccupare isola militarmente e tornano insistere sull'opportunità di non alterare statu quo.

Da quanto mi ha detto ministro d'Inghilterra, <<Unica» persona, noi eccettuati, che sia informata dell'idea di Venizelos, sarebbe finora Zaimis 1•

38 1 Per il seguito cfr. n. 152.

39

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2268/66. Cettigne, 23 maggio 191J, ore 16,05 (per. ore 21.45).

Telegramma di V. E. n. 183 91• Qui si crede generalmente che il Montenegro abbia in vari modi aiutato insorti specialmente fornendo loro viveri e munizioni.

Credenza può avere fondamento, ma non vi sono prove per accertarlo.

Governo montenegrino nega risolutamente avere violato neutralità e teme che la Turchia, profittando di una forza di oltre ottantamila uomini che avrà fra qualche giorno qui vicino, vorrà profittarne e trovare nella guerra una diversione alle difficoltà interne. Perciò avrebbe recentemente rinnovato false accuse contro il Montenegro.

È infondato timore Governo ottomano che il re Nicola abbia perduto il controllo propri sudditi. Al contrario, devesi unicamente alla sua influenza inalterata se il Montenegro non si è mosso o non si muoverà finché non sarà attaccato.

40

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2321/18P. Vienna, 25 maggio 19ll, ore 23,40 (per. ore 15,26 del 26).

Telegramma di V.E. n. 18792 . Aehrenthal mi ha detto che, dietro suo incarico, Pallavicini aveva risposto comunicazione fattagli ieri da questo ambasciatore di Russia relativa concentramento di truppe ottomane confine Montenegro nel senso riferito a V. E. col mio telegramma n. 1803 . A questo proposito, Aehrenthal ha osservato che termini istruzioni impartite ambasciatore di Russia Costantinopoli gli sembravano alquanto perentorie inusitate e poco confacenti alla situazione creata in

40 Il presente telegramma fu trasmesso alle ambasciate a Berlino, Costantinopoli, Londra, Parigi, Pietroburgo, con T. 1901 del 27 maggio con questa annotazione indirizzata anche a Vienna: «Il comunicato fatto alla stampa russa dal Ministero degli esteri prova del resto come a Pietroburgo si siano già accorti di aver battuto falsa strada».

2 T. del 24 maggio, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva come fosse stato accolto l'invito della Russia ad associarsi alla propria iniziativa presso il Governo ottomano sulla questione albanese.

3 T. 2296/180 del 24 maggio, non pubblicato (Pallavicini non vedeva la necessità del passo).

44 Turchia dal nuovo regime. Considerava, poi comunicazione stessa siccome piuttosto grave per le intenzioni che lasciavano trapelare nel Governo russo e per conseguenza che potevano avere in Turchia. Tale comunicazione inoltre avrebbe potuto avere una certa ripercussione sulle disposizioni del Montenegro ed anche della Bulgaria. Dall'ambasciatore d'Austria-Ungheria in Pietroburgo eragli stato riferito che Neratoff dimostravasi preoccupato per situazione in Macedonia. Ma, dall'esposizione politica fattagli al suo ritorno da Pallavicini, non gli risultava che esistessero indizi tali da giustificare quella preoccupazione. Ignorava finora quale risposta avesse dato Rifaat pascià alla comunicazione russa, ma, dai telegrammi da Costantinopoli pubblicati in questa stampa, deduceva che Governo ottomano cercasse attenuarne portata. Essa, però, non aveva potuto non produrre sul Governo e sulla opinione pubblica ottomana una spiacevole impressione e non sarebbe stata certo atta a rendere migliori rapporti con Russia. Aehrenthal ha rilevato, poi, che istruzioni impartite ambasciatore di Russia Costantinopoli, pur facendo conoscere termini comunicazione fatta Sublime Porta, tralasciava riferire quelli della comunicazione al Governo montenegrino limitandosi far noto che Russia avrebbe continuato raccomandargli moderazione e tranquillità. Supponeva che istruzioni suddette fossero state motivate dal re Nicola che si sarebbe rivolto direttamente allo czar prima di fare rappresentanti esteri Cettigne comunicazione di cui telegramma di V.E. n. 18644 e che, in seguito ordini ricevuti da Sua Maestà, Neratoff avesse dato corso senz'altro alle istruzioni stesse. Aehrenthal mi ha informato, infine, che aveva pregato Giers passare domani da lui, perché desiderava fargli conoscere che era sempre disposto scambiare sue idee con il Governo russo, ma che non crede opportuno procedere tale scambio di idee quando gli argomenti che dovevano formarne oggetto fossero stati già pubblicati siccome era avvenuto ora per istruzioni impartite Tcharykov.

39 1 T. del 21 maggio, non pubblicato, col quale si chiedeva di verificare le affermazioni turche sul sostegno dato dal Montenegro agli insorti albanesi.

41

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 502. Madrid, 26 maggio 1911 1.

Con il dispaccio confidenziale segnato a margine la E.V. mi comunica una interessante lettera del r. ministro a Tangeri chiedendomi in pari tempo di esprimerle il mio parere sulle informazioni contenute nella medesima2 .

2 Cfr. n. 26 e nota 4.

Consento nell'opinione anche qui dominante che il Governo francese abbia molto esagerato la gravità degli avvenimenti di Fez e i pericoli che correvano colà gli europei, specie i membri della missione militare, per giustificare una politica la quale più che alle vere esigenze della situazione sembra rispondere alle mire ambiziose del cosiddetto partito coloniale. Ciò risultava già dalle notizie che continuavano a giungere dalla capitale marocchina da fonti spagnuole e germaniche, e ora è confermato dalla relativa facilità onde Fez ha potuto resistere agli attacchi delle tribù insorte e la colonna di soccorso arrivare nelle sue mura. Se il Governo francese si crederà in dovere di inviare truppe a Fez ogni qual volta i suoi ufficiali e sott'ufficiali che inquadrano le truppe del sultano si troveranno in pericolo, esso dovrà ripetere quasi periodicamente la spedizione che ora ha intrapresa e condotta a termine. È questa una osservazione che giustifica in gran parte, non si può negarlo, le doglianze degli spagnuoli.

Ritengo anch'io che la Francia, quale si sia la potenza del partito coloniale, non si sarebbe avventurata in una politica così attiva se non avvesse avuto la certezza che la Germania la lascerebbe fare. Nei primi giorni delle difficoltà marocchine e dell'azione della Francia si sperava qui assai in un veto germanico, e giornali anche in voce di ufficiosi andavano raccomandando l'accordo con Berlino come il miglior mezzo di tutelare gli interessi spagnuoli al Marocco.

Ma ogni illusione di questo genere si è ora dileguata. Del resto il mio collega di Francia mi parlò sempre in modo da farmi capire che nulla temeva da parte del Governo imperiale, e il principe di Ratibor dal canto suo mi parlò sempre delle recriminazioni spagnuole come di cosa alla quale il suo Governo non si interessava affatto. E il Governo spagnuolo con le difficoltà che ha sollevato alle iniziative industriali tedesche nei suo possedimenti non ha certo fatto cosa che gli conciliasse le simpatie del Gabinetto di Berlino. Credo poi che fosse nel vero il signor Geoffray quando si esprimeva a proposito dell'atteggiamento della Germania nel modo che riferii a V.E. nel mio rapporto del 20 corrente n. 48l/1853 . La Germania infatti ove la Francia si impegni a fondo nell'avventura marocchina può sperare un doppio vantaggio, di distrarre la politica francese da altri campi d'azione e di potere ad un dato momento, dichiarando mutata per fatto della Francia la situazione di diritto, sciogliersi dagli impegni di Algesiras e del 1909 e reclamare il prezzo della sua presente condiscendenza.

Non sarei certo in grado di dire se questo argomento degli eventuali compensi sia stato già ventilato fra i due Governi. Ho udito an c h 'io parlare con una certa insistenza di Mogador; è voce ormai antica e suffragata dal fatto che spedizioni scientifiche e industriali tedesche si aggirano da tempo in quelle regioni. Ho però anche udito dire da persona che conosce assai bene i particolari della politica francese nel Marocco che il Governo della Repubblica sarebbe stato in un passato non lontano disposto ad intendersi con la Germania sulla base dell'attribuzione a quest'ultima di Mogador, ma che vi fu opposizione irremovibile da parte dell'Inghilterra. D'altra parte non posso dimenticare l'opinione espressa dalla stampa pan

46 germanista che l'eventuale compenso per l'occupazione del Marocco da parte della Francia, per essere adeguato, deve cercarsi dalla Germania sulla costa settentrionale dell'Africa. Ignoro se tale sia anche il pensiero del Governo imperiale, ma comunque sia questo argomento degli eventuali compensi che la Germania può chiedere per non ostacolare la politica della Francia, è un lato della questione marocchina che merita la più grande attenzione da parte nostra.

40 4 T. del 23 maggio, col quale si trasmetteva il T. 2256 del 22 maggio, contenente la comunicazione del re Nicola. Il re «visto grande assembramento di truppe turche presso frontiera Montenegro» avrebbe preso «misure di precauzione», a meno che le Potenze non avessero comunicato al suo Governo per iscritto, a mezzo delle legazioni, che il Montenegro non sarebbe stato attaccato dalla Turchia.

41 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

41 3 Cfr. n. 36.

42

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1329/602. Parigi, 26 maggio 1911 l.

Ho esaminato la lettera particolare diretta a V.E. dal r. ministro a Tangeri circa la quale V.E. chiede il mio parere col suo dispaccio del 20 maggio c.m., n. 142 • Tutta la prima parte della lettera corrisponde esattamente a quanto io ho esposto in numerosi telegrammi dalla fine d'aprile ad oggi. Anche io fin da principio ho rilevato che la spedizione francese mancava di qualsiasi giustificazione e quindi tradiva l'impazienza della Francia di impadronirsi del Marocco, lasciando al sultano un potere soltanto apparente e nominale. Ho anche riferito a V.E. l'opinione conforme degli ambasciatori miei colleghi, compreso quello di Russia e le acerbe querimonie dell'ambasciatore di Spagna. Contro tutto ciò sta una cosa sola: il lungo discorso che Cruppi tenne a me dopo lungo silenzio e nel quale fece tutti gli sforzi per persuadermi della lealtà dei suoi propositi e della sincerità delle sue affermazioni nel respingere ogni idea di conquista e nel voler scrupolosamente rispettare l'atto di Algesiras. Ma anche ammessa la sincerità delle dichiarazioni del signor Cruppi, non sarà egli tratto dagli avvenimenti ad andare più in là di quel che vorrebbe? E una volta occupato Fez, come farà a sgombrarlo? E anche sgombrandolo, se non solo gli ufficiali superiori, ma anche i sottufficiali della mahalla sceriffiana saranno francesi, ed il sultano obbedirà ai cenni del residente francese, mentre il ministro degli esteri marocchino El Mokri continuerà a stare a Parigi agli stipendi ed al servizio della Francia, come potrà [essere] seriamente tutelata l'indipendenza del sultano voluta dall'atto di Algesiras?

Come già ebbi a dire a V.E. il prosieguo dell'azione francese al Marocco è oggi alla mercé della Germania. Essa si è messa in una posizione tale che può egualmente

o chiudere gli occhi e fingere di non vedere ovvero destarsi all'improvviso, intervenire e vietare alla Francia di andare più oltre. Quel che farà la Germania nessuno può dirlo. Circa il compenso col quale la Francia comprerebbe la sua acquiescenza e su cui in modo particolare insiste il r. ministro a Tangeri io nulla sono in grado di dire.

Cfr. n. 26 nota 4.

Il barone Schoen, quando gli ho parlato di tale supposizione, l 'ha sempre respinta risolutamente. Egli dice che tale compenso sarebbe difficilissimo a trovare ed in ogni caso se anche se ne trovasse uno che potesse materialmente appagare la Germania, questa uscirebbe moralmente diminuita da un simile mercato.

Quanto alla Spagna, dopo che il Gabinetto di Madrid ha esposto alla Francia le sue domande non ci è stato altro di nuovo. Il signor Cruppi disse all'ambasciatore Perez Caballero che gli occorreva parecchio tempo per studiarle, e poi non gliene ha più tenuto parola.

42 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

43

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 506/197. Madrid, 29 maggio 1911 (per. il 2 giugno).

I pourparlers franco-spagnoli sulle cose del Marocco hanno avuto un periodo di sosta in seguito al disgraziato incidente di Issy. Si riprenderanno quanto prima, anzi a quanto mi risulta il Governo francese delibererà in un consiglio dei ministri da tenersi domani le proposte da presentarsi al Governo spagnuolo. Secondo alcuni giornali di qui, come l'Epoca e la Maiiana, il presidente del Consiglio interrogato sabato scorso circa l'intenzione della Spagna di occupare Tetuan, avrebbe lasciato intendere che anche quell'argomento fa parte dei pourparlers con la Francia. Non credo che quei giornali abbiano riprodotto esattamente le parole del signor Canalejas. In quelle trattative, nelle quali interviene anche l'ambasciatore d'Inghilterra, si studia il modo di dare qualche soddisfazione all'amor proprio spagnuolo, ma dal linguaggio dei miei due colleghi non si deve certo arguire che s'intenda giungere fino ad approvare l'occupazione da parte della Spagna di quella piazza oggetto delle sue ambizioni. Né mi sembra in generale che da parte francese si sia disposti a concedere molto. Mi risulta altresì che il ministro di Stato avrebbe preferito che quelle trattative fossero tenute del tutto segrete, e si duole che il signor Canalejas si sia mostrato una volta di più troppo espansivo con i suoi amici della stampa.

Parecchi indizi mi fanno però ritenere che il Governo spagnuolo pensa ora a Tetuan assai più di quanto afferma nelle sue dichiarazioni ufficiose. Credo che soprattutto in alto luogo dove tutto quello che sa d'impresa militare riesce cosa molto gradita, si vagheggi assai quella occupazione. L'occupazione di Monte Negron resa indispensabile, a quanto si affermò da fonte ufficiosa, da un 'aggressione che presentava in realtà ben poca importanza, prova che qui si sa ove occorra improvvisare krumiri e difatti tutti i giornali espansionisti si fanno mandare dai loro corrispondenti notizie allarmanti circa la precarietà della sicurezza pubblica nei dintorni di Tetuan. Quali si sieno però le ambizioni del Governo esso deve contare non solo con difficoltà internazionali ma anche con altre di indole interna. Lo stesso signor Moret mi diceva l'altro ieri che ogni azione spagnuola in Africa che non fosse strettamente richiesta dalla difesa dei possedimenti attuali sarebbe una colossale imprudenza. Le

condizioni del bilancio spagnuolo e specie dell'amministrazione militare che deve già provvedere a tenere sotto le armi una forza che supera di quasi trentamila uomini quella stabilita con la legge di bilancio, non sono certo tali da incoraggiare una politica di espansione, e la stessa incertezza della situazione parlamentare è d'ostacolo alle ardite determinazioni. Con tutto ciò non sarei soverchiamente sorpreso se il partito militare avesse il sopravvento su tutte queste considerazioni, e si appagasse il desiderio di coloro che sognano il ricupero del trofeo della campagna del 1860.

44

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE 2431/64. Pietroburgo, 31 maggio 1911, ore 17,10 (per. ore 20).

Neratoff mi disse oggi non aver trovato molto soddisfacente la risposta della Turchia alla comunicazione russa riguardo al Montenegro risposta, che qualificò di «poco benevola», mentre la comunicazione russa era stata ispirata da sentimenti amichevoli e da sincero desiderio di pace. Governo imperiale non si propone dare altro seguito alla questione, pago soltanto aver contribuito col suo passo a rendere meno grave la situazione nei Balcani. Parlandomi del Montenegro, Neratoff si mostrò tuttavia ancora preoccupato delle tendenze bellicose del partito militare montenegrino che potrebbe a momento dato spingere re Nicola in qualche pericolosa avventura.

45

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2025. Roma, 5 giugno 1911, ore 22,30.

Nel comunicare al r. ambasciatore a Costantinopoli il contenuto del telegramma di V. E. n. 1941 , ho soggiunto che mi sembrerebbe opportuno un consiglio amichevole da parte sua alla Sublime Porta, come quello dato dal suo collega austroungarico per la pacificazione dell'Albania, accordando debite concessioni a quelle popolazioni. Prego V.E. di chiedere a Aehrenthal se egli non ha difficoltà a che, nella discussione che comincia domani alla Camera dei deputati, io dichiari, se interrogato, che ho dato a Mayor le suddette istruzioni, conformi a quelle che furono impartite ai

49 loro rappresentanti da altre Potenze, o, meglio ancora, precisamente dall'AustriaUngheria. Ciò potrebbe fare, a mio avviso, buona impressione in Parlamento. Ben inteso, non mancherei di premettere che si tratta d'affari interni della Turchia, e di passi non ufficiali, esprimendomi in modo riguardoso per il Governo ottomano2 .

45 1 T. 2426/194 del 31 maggio, non pubblicato, col quale Avama riferiva una conversazione con Aehrenthal sulla questione dell'insurrezione albanese e sui consigli dati dall'Austria-Ungheria alla Turchia di favorire la pacificazione del Paese con la concessione di riforme.

46

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Parigi, [7] giugno 1911 (per. ore 18,20) l.

Cruppi messo da me alle strette perché malgrado la promessa fattami non dava il suo visto all'ammissione alla cote dei titoli del Banco di Roma ha finito per confessare che è Barrère che tiene fermo tutto. A te sarà facile verificare se Barrère ritarda il suo assenso per ricattare Pacelli e ottenere da lui che Propaganda Fide sconfessi Carmelitani Siria. Ad ogni modo di fronte all'attitudine subdola assunta da Barrère nelle due questioni, mi pare che si potrebbe dirgli francamente che fino a che esse non saranno [ ...]2 come noi ne abbiamo il diritto non è possibile portare innanzi la questione di Palazzo Farnese. Gli avversari numerosi e influenti che troverà in Parlamento la soluzione che la Francia vuole e che noi siamo disposti a concedere avrebbero modo impressionare Assemblea con imprevedibili conseguenze quando potessero addurre due esempi di patente denegata giustizia della Francia a nostro riguardo. Consegno telegramma corriere che lo spedirà da Torino.

47

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. S.N. Roma, 8 giugno 1911, ore 0,45.

Decifri Ella stesso. Suo telegramma n. 1691• In seguito alle elezioni generali portoghesi è probabile che presto tutte le Potenze tra cui Italia riconosceranno quella Repubblica.

Finora noi abbiamo evitato qualunque apparenza di parteggiare per il nuovo o per l'antico.

Ella non deve compiere alcun atto che sia in contraddizione con questa condotta del Governo e che paia ispirato dal desiderio di favorire le aspirazioni di re Manuel e di considerarlo ancora come regnante. Potrà regolarsi con lui come con qualsiasi altro personaggio di sangue reale e mi rimetto in proposito al suo tatto. Si intende bene che se consegnerà medaglia direttamente ciò non potrà essere che in via affatto privata. È pure evidente che ciò nonostante desiderabile che V.E. abbia le minori relazioni possibili con re Manoel.

45 2 Con T. 2549/209 del 7 giugno, non pubblicato, Avarna comunicava che Aehrenthal dava il suo assenso alla menzione del passo dell'Austria-Ungheria presso la Sublime Porta nelle dichiarazioni di San Giuliano al Parlamento. Suggeriva, però, di omettere il riferimento alla questione delle riforme, argomento adatto ad una conversazione amichevole e non ad una dichiarazione pubblica.

46 1 Trasmesso dal prefetto di Torino, Vittorelli, il 7 giugno, ore 17. 2 Gruppo indecifrato. 47 1 T..../169 del 5 giugno, non pubblicato, col quale si chiedevano istruzioni sul modo politicamente più opportuno per consegnare un'onorificenza al re Manuel.

48

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 479/146. Pietroburgo, 8 giugno 1911 (per. il 17).

È un fatto che non può sfuggire neanche all'attenzione di un osservatore superficiale come da qualche anno a questa parte si stia manifestando in Russia la tendenza di entrare col nostro paese, in più intimi e diretti rapporti. Questa tendenza dello spirito pubblico russo, che trova la sua ragione di essere in una constatata identità di interessi politici dei due paesi, particolarmente in Oriente, e forsanche in una ancora incosciente aspirazione verso una più stretta colleganza tra il mondo slavo e latino a scopo di comune difesa contro le velleità invadenti del germanismo, si è specialmente addimostrata dopo il convegno di Racconigi ed ebbe anche in questi ultimi tempi qualche eloquente manifestazione. Non vado però fino ad asserire che questo bisogno di un riavvicinamento all'Italia sia già così profondamente radicato nell'opinione pubblica russa da renderlo uno dei cardini della politica estera di questo Impero. Il popolo russo, alieno da ogni sentimentalità in fatto di relazioni con Stati forestieri non ha, nelle questioni internazionali, altra guida che quella dei suoi interessi diretti ed immediati, e noi siamo ancora troppo lontani dal grande Impero del nord per poterei lusingare di occupare una parte primaria nelle sue amicizie.

Checché ne sia è innegabile che dalla proclamazione del Regno d'Italia le nostre relazioni colla Russia, non furono mai migliori né più promettenti di adesso.

All'amicizia colla Russia i predecessori di V.E. hanno consacrato gran parte dei loro sforzi e gli obbiettivi proseguiti possono dirsi ora interamente raggiunti. Non trattasi ora più di addivenire a nuove conquiste, ma di mantenersi nelle posizioni penosamente guadagnate. Ma perché possa svilupparsi e dare appieno i suoi frutti, l'ancor gracile pianta del riavvicinamento italo-russo non può essere abbandonata a se stessa ma ha bisogno di continue e premurose cure.

È da ascriversi a particolare fortuna che i due ministri che in questi ultimi anni tennero successivamente in Russia il portafoglio degli affari esteri, i signori Iswolsky e Sassonoff fossero ambedue fervidissimi amici del nostro paese, ed a loro difatti devesi in gran parte se l 'intesa fra i due paesi potè essere raggiunta e mantenuta. Ma non è da escludersi l'eventualità che ad una data più o meno lontana, un loro successore a noi meno benevolo, dimostri delle velleità ad allontanarsi da quella politica, il che gli riuscirebbe certamente facile quando essa non trovasse un appoggio sicuro nel suffragio della pubblica opinione.

La crisi provocata dali' annessione della Bosnia ed Erzegovina ha chiaramente dimostrato in che mani oggidì si trovi la forza in Europa, e chi aspira a tenersi dalla parte del manico non è certo a Pietroburgo che deve indirizzare i suoi sguardi. D'altra parte è pure fuori di dubbio, e nessuno più di me ne è sinceramente convinto, che l 'Italia per conservarsi i benefizi della pace ed assicurare il suo avvenire, deve mantenersi fedele ai patti che la legano coi due Imperi centrali ed adempiere scrupolosamente a tutti i suoi doveri di alleata.

Ogni altra via sarebbe per noi sommamente azzardosa. Ma questo programma non solo nulla ha di incompatibile col mantenimento delle nostre buone relazioni colla Russia, ma, per quanto riguarda almeno quest'ultima Potenza, vi si adatta perfettamente. A questo proposito credo dover ricordare le parole dettemi non molto tempo fa dal signor Sassonoff, e da me riferite all'E.V., che cioè la permanenza dell'Italia nella Triplice era dalla Russia non solo non avversata, ma vivamente desiderata perché costituiva presentemente la più sicura garanzia della conservazione della pace in Europa.

Dall'epoca della caduta del primo Impero napoleonico fino a pochi anni addietro la Russia ha goduto in Europa di una situazione preponderante, molto al disopra delle reali sue forze. Ora invece dopo la sua disgraziata guerra col Giappone il suo credito, a giudizio di molti, vien posto assai al disotto della posizione che è in grado di occupare. Il pensare a quel modo significa incorrere in un grave errore di prospettiva. La Russia fu bensì battuta dal Giappone, ma la guerra a cui dovette sottostare, impreparata, a migliaia di leghe di distanza dalle sue basi di operazione, fu combattuta in tali condizioni di difficoltà strategiche che avrebbero pur reso a qualunque altra Nazione europea anche più agguerrita, assai problematico il trionfo. La Russia ha attraversato, egli è vero una terribile crisi rivoluzionaria, non ancora interamente sopita e di cui risentirà ancora a lungo le conseguenze, ma il suo Governo potè in tempo utile reagire, ed ora si ritiene sicuro di potere garantire al paese la tranquillità e la pace interna. Non devesi inoltre dimenticare che un popolo di 130 milioni di cui 90 milioni della stessa razza, lingua e religione, costituisce già una forza imponente. Rozzi e semi-barbari ma disciplinati e resistenti essi traversarono immutati quasi i secoli, e potrebbero essere oggidì ancora gli stessi soldati che tennero vittoriosamente testa alle agguerrite truppe dei più rinomati capitani dell'epoca moderna, Carlo XII, Federico il Grande e Napoleone.

La guerra col Giappone fu in ogni tempo invisa al paese, e dalla sua impopolarità sorse la rivoluzione la di cui possibile ripetizione continua vivamente a preoccupare il Governo imperiale contribuendo a paralizzame l'azione in fatto di politica internazionale. Ma, se non subito, almeno in un avvenire più o meno lontano, potrebbe anche prodursi l'eventualità che sotto il soffio di una grande idea nazionale l'intorbidita coscienza popolare si risvegli da lungo letargo e sia la prima a reclamare una guerra che sarebbe allora combattuta con ardore e fors'anche con successo. Ed una guerra siffatta lungi dall'essere uno spauracchio pel governo potrebbe anche all'evenienza costituire ai suoi occhi un potente diversivo contro le difficoltà interne.

Potrò ingannarmi ma credo che il grande popolo slavo del nord è ancora lontano dall'avere compiuto la sua evoluzione storica, che [esso che] dispone di enormi risorse e di una forte fibra nazionale sia chiamato a giuocare ancora una parte preponderante e decisiva in Europa e particolarmente in Oriente ove non intende rinunciare alla grande missione storica che crede essergli affidata. Ed in previsione di una tale eventualità che potrebbe anche essere non troppo lontana, dovrebbe, a mio giudizio, l'Italia studiarsi di mantenere colla Russia le buone relazioni esistenti, compito questo tanto più facile che l'identità degli interessi dei due paesi non lascia prevedere il sopraggiungere di avvenimenti atti a turbare questa buona intesa. E per ottenere questo scopo non occorrerà addivenire a vistose manifestazioni capaci di adombrare le sempre sveglie suscettibilità dei nostri alleati. Basterà, a mio parere, continuare ad essere largo in ogni occasione verso la Russia delle solite cortesie internazionali, studiarsi di mantenersi in diretto contatto col suo Governo provocando quando possibile fra i due Gabinetti scambi di vedute sulle questioni politicamente di interesse comune all'ordine del giorno ed assecondare nel limite del possibile gli sforzi che si stanno facendo attualmente in Russia ed in Italia per promuovere le relazioni di traffico tra i due paesi. Gioverà indubbiamente pure nello stesso senso le relazioni così cordiali ed affettuose esistenti fra i sovrani dei due paesi.

49

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2080. Roma, 9 giugno 1911, ore 10,30.

Telegramma di V.E. n. 211 1• Il r. vice console a Durazzo ci aveva informati che la situazione era colà minacciosa per i sudditi europei e che era necessario subito invio di una nave da guerra per la protezione dei nostri connazionali. Egli soggiungeva che il suo collega austro-ungarico, d'accordo con lui, aveva dato al proprio Governo la stessa informazione e fatto la stessa domanda. Abbiamo quindi creduto di dover mandare senz'altro una nave a Durazzo, prevenendo subito di ciò il Governo imperiale e reale e dichiarandogli che il nostro comandante aveva istruzione di procedere d'accordo col comandante della nave austro-ungarica che si sarebbe recata colà. Data l'urgenza e la gravità della situazione e il pericolo per i nostri connazionali quali ci erano rappresentati dal nostro console, noi non potevamo agire

altrimenti; e non posso comprendere come si dica che ciò sia in opposizione cogli impegni assunti dai due Governi di procedere in pieno accordo nelle varie questioni balcaniche. Ora, poiché anche il nostro console ci telegrafa oggi che la situazione è migliorata a Durazzo, le autorità avendo preso sufficienti misure d'ordine pubblico, ho invitato il r. ministro della marina a dare ordine al comandante della «Varese» di ritornare in Italia non appena il nostro rappresentante a Durazzo abbia ritenuto cessato ogni pericolo per i nostri connazionali. Nel comunicare quanto precede al conte Aehrenthal, ella vorrà fargli comprendere quanto gravi sarebbero state le conseguenze se fosse accaduta uccisione di qualunque italiano per effetto di un ritardo nel! 'invio della nave2 .

49 1 T. urgentissimo 2570/211 dell'S giugno, non pubblicato, col quale Avama riferiva che Aehrenthal era rimasto contrariato dalla decisione italiana di inviare una nave a Durazzo.

50

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE 2600/215. Vienna. 9 giugno 1911, ore 20,55 (per ore 23).

Telegramma di V.E. n. 20801 . Non potendo far conoscere stasera stessa contenuto telegramma di V.E. ad Aehrenthal, perché è già partito per Shonbrunn, mi riservo comunicarglielo domani verso le tre. Mi permetto intanto di sottoporle le considerazioni seguenti: le obiezioni di V.E. alle parole di Aehrenthal riferite nel mio telegramma n. 211 2 , gli furono da me immediatamente fatte, come risulta dal mio telegramma di stamane n. 2143 . Ma non posso dissimulare a V.E. che l'annunzio che sarà da me dato ad Aehrenthal che ella (dopo avere saputo che egli era contrario allo invio di una nave austro-ungarica a Durazzo e dopo essere stato informato dal r. console in quel porto che la situazione è migliorata, le autorità locali avendo preso sufficienti misure d'ordine pubblico) non ha creduto di richiamare la r. nave «Varese», non potrà produrre su di lui che una spiacevole impressione, perché egli vedrebbe forse confermata nel fatto suddetto l'impressione sua primitiva che il R. Governo intenda procedere per proprio conto, anziché d'intesa col Gabinetto di Vienna. Trattandosi di cosa piuttosto grave, che potrebbe avere conseguenze pei nostri rapporti con la Monarchia, prego V.E. di scusare se, a scarico della mia responsabilità, ho creduto chiamare la speciale attenzione di lei sulle considerazioni che precedono.

2 Cfr. n. 49, nota l.

3 T. 2598/214, pari data, non pubblicato.

49 2 Per la risposta cfr. n. 50.

50 1 Cfr. n. 49.

51

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 684/282. Tripoli di Barberia, 9 giugno 1911 (per. il 17).

Ho l'onore di rimettere copia di comunicato scritto fattomi stamane dal cavaliere Bresciani 1: quanto vi è espresso corrisponde ad uno stato di cose non ignorato e che è forse bene rammentare ogni tanto. Sui sentimenti avversi di Ibrahim Pascià a nostro riguardo non possiamo ne dobbiamo farci illusioni; egli ci contrarierà in qualsiasi cosa, e se sono fondate le informazioni della r. ambasciata che questo valì di Tripoli abbia avuto autorizzazione di dare concessioni che non comportino onere per il tesoro ottomano, a patto sempre di informarne il Ministero dei lavori pubblici, che le approva o le emenda o le rigetta, dopo esame, noi italiani possiamo sin d'ora considerarci esclusi da qualsiasi anche minima, concessione o appalto di lavori.

Che tale autorizzazione gli sia stata data lo confermerebbe la facilità con la quale egli ha trattato qui con l'inglese Arturo Tayar per i lavori del porto, la concessione data al francese Lemoigne per il pozzo artesiano, le disposizioni prese perché alla nuova Scuola agricola che sta per compiersi siano assegnati tunisini arabi alla direzione, e la probabilità di altre sorprese.

Nel caso speciale, a noi importa più direttamente il consolidamento della Società tripolina-ottomana, costituitasi qui per i fosfati e che sta ora regolarizzando la propria posizione in Costantinopoli per mezzo dell'avvocato Salem. Ma è propriamente contro tale Società appoggiata da capitalisti italiani, che il valì lavora per dissolverla: egli ha preso dall'ufficio notarile il nome di tutti i firmatari interessati, per trovare modo di disgustarli o con l'intimidazione indurli a ritirarsi; se di tale sistema ha usato anche col Gutowski, con quanta maggiore probabilità di riuscita potrà egli usarne verso indigeni timorosi e non appoggiati?

Le sue insinuazioni sui reconditi fini degli italiani poterono essere attenuati dalle dichiarazioni contrarie del Musbah El Scerif che seppe far risaltare tutto il vantaggio dell'esplorazione mineralogica per il paese e per le popolazioni.

A quegli associati che annoiati o intimiditi si vorrebbe ritirare in disparte, il Bin Zikri non ha mancato di dire, come al Scerif Ghenaba, di non dare quella soddisfazione ad un governatore come questo che per la forza delle cose non potrà stare qui a lungo.

Ma in tanto purtroppo il governatore si mantiene e si consolida e ne aumenta il suo astio contro il Banco di Roma, del cui concorso non si vuol decidere ad usare.

Concludendo la situazione è invariata a nostro danno ed in Ibrahim Pascià abbiamo il più accanito avversario, anche quando, ottemperando ad ordini ricevuti, si vede costretto ad eseguirli.

51 1 Non si pubblicano gli allegati.

52

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2625/216. Vienna, 10 giugno 1911, ore 23,35 (per. ore 6 dell' 11).

Telegramma di V.E. n. 20921• Ho informato oggi Aehrenthal dell'ordine impartito r. nave «Varese» rimpatriare, essendo cessati motivi per i quali era stata inviata Durazzo. Ho creduto, in pari tempo, spiegargli di nuovo ragioni che avevano indotto

R. Governo effettuare quell'invio e che era pienamente giustificato dall'urgenza e gravità della situazione, facendogli rilevare come ciò non potesse essere considerato in opposizione agli impegni presi dai due Governi. Aehrenthal, dopo avermi letto alcuni brani di un telegramma del signor de Mérey in cui questi riferiva una conversazione avuta con V.E. in proposito, ha osservato che le ragioni da me addotte non distruggevano primitiva e penosa impressione che tuttora perdurava in lui, prodottagli dall'annunzio della decisione di lei, che riteneva sempre come contraria a quanto era stato convenuto tra i due Governi. Gli impegni infatti che avevano presi li obbligavano a scambiarsi loro idee preventivamente prima di adottare decisione qualsiasi riguardante rispettiva condotta nei Balcani e di non prendere quella decisione che di comune accordo.

Nella fattispecie, ciò non era avvenuto e V.E. aveva creato un precedente col prendere decisione suddetta senza essersi prima concertato con lui, ma informandolo di essa dopo che era stata effettuata. Ho fatto considerare Aehrenthal quanto gravi sarebbero state le conseguenze e quali responsabilità avrebbe assunto R. Governo se fosse accaduta uccisione di qualche italiano per effetto di ritardo invio nave. Ma Aehrenthal, nel ripetermi gli argomenti già riferitimi nel precedente colloquio, ha osservato che invio r. nave «Durazzo» era tanto più grave che si trattava d'una regione che forma l'oggetto d'una intesa comune e che poteva dar luogo a questioni delle più delicate. Ed ha aggiunto che V.E., così agendo, erasi scartato in certo modo dalla linea di condotta che due Governi eransi prefissi e ciò avrebbe potuto rendere alquanto difficile il seguire una politica identica, se nell'avvenire non si fosse cercato di attenersi al sistema stabilito di scambiare proprie idee prima di prendere decisione qualsiasi. Nonostante ripetuti sforzi non sono riuscito far rimuovere Aehrenthal dalle idee manifestatemi. Ma impressione spiacevole da lui avuta dalla decisione suddetta

56 mi è sembrato essere stata alquanto attenuata dall'importante discorso pronunziato jeri da VE. alla nostra Camera dei deputati, circa il quale riferisco con altro telegramma2. Sono stato informato in via riservatissima dal mio collega di Germania, col quale Aehrenthal si era lagnato dell'accaduto, che egli erasi mostrato con lui tanto più infastidito che esso avrebbe potuto esporlo a gravi attacchi da parte di questa stampa che gli avrebbe potuto rimproverare sua inazione e fatto rilevare azione isolata Italia, come prova della poca concordanza di vedute e di condotta che esisteva tra la Monarchia e noi, nonostante la politica di amicizia da lui seguita a nostro riguardo. Non ho potuto comunicare Aehrenthal telegramma di V.E. n. 20973 , perché è stato da me ricevuto al mio ritorno dal Ballplatz.

52 1 T. 2092 del IO giugno, non pubblicato.

53

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 909/326. Berlino, 11 giugno 1911 (per. il 17).

Dalla r. ambasciata in Londra VE. ha avuto a suo tempo i ragguagli della recente visita fatta a quella Corte dagli imperiali di Germania e dei favorevoli effetti da essa prodotti e sperati dal punto di vista dei rapporti anglo-tedeschi. Avendo io avuto ieri occasione di intrattenermi con S.M. l'Imperatore Guglielmo, ho potuto udire da Sua Maestà stessa la conferma della eccellente impressione in lui lasciata dal suo viaggio, e ciò non solo per l'accoglienza ricevuta dalla famiglia reale e dalle autorità inglesi, ma anche e più specialmente per le spontanee manifestazioni di simpatia della popolazione di Londra, da lui evidentemente apprezzate con la massima compiacenza. L'eco di queste impressioni era già qui giunta durante il soggiorno delle loro Maestà in Inghilterra, per mezzo di telegrammi spediti dall'imperatore al cancelliere, dal quale ne avevo allora avuto notizia. Lasciando da parte ogni esagerazione, si considera infatti quel viaggio come un vero successo in confronto dei precedenti incontri col re Edoardo, che erano stati più che altro successi di stima. Certo è che i fautori dell'amicizia inglese sono qui sensibilmente cresciuti di numero in questi ultimi tempi, come lo dimostra anche il fatto che furono poche, questa volta, le riserve ed allusioni maligne con le quali i giornali pau-germanisti miravano nell'occasione di altre simili visite a toglier loro ogni valore, cercando piuttosto di trame nuovi elementi di sospetto e di livore. L'augurato riavvicinamento fra i due paesi riuscirebbe più palese, come fu molte volte rilevato, se la conclusione di un accordo specifico su qualche materia importante di

comune interesse venisse a suggellarlo. Ma sotto questo rapporto nulla vi è fin qui di concretato in quanto concerne per esempio l'affare di Bagdad. E quanto agli armamenti navali, bisogna accontentarsi della intesa per vero alquanto vaga, circa il promesso scambio di notizie sulle rispettive costruzioni. È questa una formula, come si osserva con ragione, che nulla muterà alla realtà delle cose: essa ha il merito però di rappresentare l'unica verità sincera e cioè che, con reciproco buon volere, può stabilirsi fra due paesi una atmosfera di fiducia tale da escludere ingiusti sospetti sullo scopo dei loro armamenti, ma che a nessuno Stato è dato di vincolare la propria libertà di azione circa la misura degli armamenti stessi, determinata dalle circostanze particolari di ciascuno.

La coincidenza del viaggio imperiale a Londra ha alquanto distolta l'attenzione del pubblico dalla visita che simultaneamente facevano a Pietroburgo il principe e la principessa ereditaria. Di essa si occuparono più che gli altri i giornali conservatori, per la loro naturale tendenza ad annettere più particolare importanza ai buoni rapporti della Germania colla Russia anziché coll'Inghilterra. Le Loro Altezze Imperiali si preparano ora -e come essi stessi me lo dissero, con molta soddisfazione -a recarsi a Londra per rappresentarvi S.M. l'Imperatore alle feste d'incoronazione del re Giorgio.

52 2 T. 2626/217, pari data, non pubblicato. 3 T., pari data, non pubblicato, col quale si comunicava che la «Varese» partiva da Durazzo quella stessa mattina.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 555/213. Madrid, 12 giugno 1911 (per. il 16).

Dopo lunghe incertezze il Governo spagnolo si è finalmente deciso, e abbandonando per il momento almeno l'idea di occupare Tetuan ha mandato le sue truppe a Larache ed Alcazarquivir. Malgrado le prime dichiarazioni del signor Garcia Prieto era facile prevedere che le truppe inviate nel porto di Larache erano destinate ad un sollecito sbarco. Quando il signor Canalejas dichiarò che il giudizio sulla opportunità di quello era lasciato al console di Larache veniva a dichiarare implicitamente che Io sbarco era imminente. Ed infatti le tre compagnie di fanteria di marina non rimasero che poche ore a bordo, e appena sbarcata la maggior parte di esse fu incamminata sopra Alcazar.

La decisione del Governo spagnuolo desta vivo risentimento nella stampa francese, ed infatti non si poteva scegliere per una azione al Marocco punto che fosse più sensibile alla Francia. Questa avrebbe forse lasciato senza osservazioni giungere gli spagnuoli a Tetuan che da molto tempo è considerato come una specie di hinterland di Ceuta. Ma la presenza loro sulla costa atlantica ed in un punto all'intemo dell'importanza d'Alcazar è tale da dispiacere assai alla Francia. Ed infatti il signor Geoffray che, trattenuto in casa da una indisposizione, non ha potuto vedere in questi giorni il ministro di Stato, gli ha però scritto fin dal primo annunzio dell'invio di truppe a Larache per dirgli che aveva incarico di fargli sapere che il Governo della Repubblica non poteva dare la sua approvazione a quella determinazione del Governo spagnolo.

Dal punto di vista del diritto questa infatti si giustifica difficilmente, ed anche le considerazioni di fatto che si vanno qui enumerando non sembrano sufficienti. Nulla vi è nell'Atto di Algesiras che autorizzi la Spagna ad occupare Alcazar; lo stesso sbarco a Larache che si giustificò affermando che occorreva rinforzare quel tabor di polizia non è suffragato dalle disposizioni dell'Atto generale, il quale stabilisce in quel punto un tabor composto di forze marocchine inquadrate da istruttori spagnoli, ma non riconosce alla Spagna il diritto di tenervi soldati propri. E le voci di disordini che si sarebbero prodotti ad Alcazar e avrebbero preannunziato per un avvenire prossimo disordini anche maggiori, erano evidentemente esagerate. Difatti non si può citare di concreto che l'assassinio di un indigeno protetto spagnuolo, e le esigue forze spagnuole che si recarono ad Alcazar (un trecento uomini appena) non furono in alcun modo molestate il che sarebbe certo avvenuto se forze ribelli importanti avessero tenuto la campagna. Si può quindi considerare che gli spagnuoli andarono ad Alcazar di propria esclusiva autorità, così come i francesi andarono a Fez. Ed il motivo vero della loro improvvisa determinazione si deve cercare nel timore (che non credo del tutto infondato) che una delle colonne francesi operanti nell'interno del Marocco li prevenisse in quel punto importantissimo d'Alcazarquivir che è destinato ad essere uno dei nodi vitali della futura ferrovia che riunirà Tangeri a Fez.

Nella sua nuova politica il signor Canalejas trova all'interno largo appoggio anche all'infuori dei suoi amici. I carlisti si sono dichiarati per bocca dei loro leaders parlamentari partigiani decisi di una politica di ardita espansione. I conservatori spingono sulla stessa via, e trovano in quanto il Governo liberale fa ora la giustificazione di quella loro azione a Melilla che fu tanto osteggiata dai liberali quando erano all'opposizione. E credo che uno dei motivi che determinarono maggiormente il signor Canalejas ad agire fu appunto il timore che un suo atteggiamento soverchiamente circospetto nella questione marocchina fosse sfruttato contro di lui dai partiti di opposizione, sopratutto nei circoli di Corte. Vi sono però fra i liberali non pochi oppositori ad una politica di espansione, e lo prova lo stesso discorso pronunziato giovedì scorso dal signor Villanueva; quanto agli elementi repubblicani e socialisti essi sono decisamente contrari; nulla succederà finché tutto andrà bene ma alla prima complicazione militare quei partiti sono disposti a rinnovare le gesta del 1909. Ed in verità si deve dubitare assai se la Spagna sia preparata ad uno sforzo qualsiasi oltre le sue frontiere. Pochi mesi di soggiorno qui bastano per constatare come il paese sia assolutamente sprovvisto di quelle energie sociali ed economiche senza le quali ogni tentativo di espansione coloniale non può assumere altra forma che di operazioni militari e di sacrifici di sangue e di denaro senza frutto per l'avvenire.

Frattanto questa punta sopra Alcazar non è fatta per migliorare i rapporti con la Francia, già piuttosto difficili. So che il signor Geoffray era stato chiamato a Parigi per conferire sulla situazione; le sue condizioni di salute non gli permisero di rispondere subito alla chiamata. È più che probabile che i negoziati in corso fra i due paesi procederanno ora con difficoltà anche maggiori che per lo passato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

D. 55. Roma, 15 giugno 1911.

Nel confermare all'E.V. i miei telegrammi circa il passaggio sotto la protezione italiana della missione carmelitana di Tripoli di Siria, credo opportuno di aggiungere alcuni schiarimenti, di cui l'E.V. potrà valersi nel trattare con codesto Governo questo importante argomento.

L'accordo itala-francese del 30-31 agosto 1905 1 , relativo alla protezione delle missioni cattoliche in Oriente, ha regolato stabilmente questa delicata materia, che fu in passato argomento di così frequenti ed irritanti contestazioni tra i due Governi.

Ed il Governo del re, animato appunto da leali sentimenti di amicizia, non mancò di render pubblico l'accordo stesso, mediante le dichiarazione pronunziate dal sottosegretario di Stato agli affari esteri il 15 maggio 1906 alla Camera italiana2 e di informarne e le proprie rappresentanze diplomatiche e consolari ed i singoli interessati (comunità ed individui) affinché tutti coloro che non si trovassero nei precisi termini dell'accordo medesimo si astenessero dal far passi pel cambiamento di protezione.

L'accordo in pratica stabiliva, come l'E.V. ben sa, da parte del Governo italiano la rinunzia ad esercitare la sua protezione ed a rivendicare i suoi diritti sopra tutte le missioni cattoliche in Oriente, quale che fosse la nazionalità dei membri delle missioni stesse e quale che fosse la loro origine, mentre, fino allora, il R. Governo aveva sostenuto esser legittimo il proprio intervento ogni qualvolta una missione religiosa contasse nel suo seno qualche cittadino italiano o fosse d'origine italiano o comunque comprendesse qualche interesse italiano.

Si trattava, adunque, della rinunzia attuale ad un diritto sempre proclamato dal

R. Governo, diritto che anche presentemente altri Governi -come ad esempio il Governo germanico -reclamano ed applicano ogniqualvolta se ne presenta loro l'opportunità.

Né il valore di questa rinunzia era diminuito dai trattati esistenti ab antiquo tra la Porta e la Francia, e dalle recenti convenzioni, in primo luogo perché a questi trattati e convenzioni non aveva mai aderito il R. Governo e res inter alias acta, aliis nec nocet nec prodet ed in secondo luogo perchè, se questi trattati e convenzioni potevano valere pei cattolici ottomani o per quelli di nazionalità francese, non potevano valere (né noi avevamo mai riconosciuto che valessero) pei religiosi italiani, pei loro beni e per le comunità d'origine italiana.

55 1 Cfr. n. 17, nota 3. 2 Cfr. n. 37, nota 3.

Che, se il R. Governo non rinunziò formalmente, mediante l'accordo del 1905, ad esercitare la propria protezione sui religiosi italiani -uti singuli -questa protezione venne, in pratica e per la forza naturale delle cose, a passare in seconda linea, dopo la protezione francese, che copriva le intere comunità e non potè poi quasi mai esser efficacemente esercitata sui beni personali dei singoli religiosi, in quanto questi beni o si confondevano con quelli delle rispettive comunità o quanto meno si trovavano -se immobili, iscritti nei registri consolari francesi.

Si trattava, adunque, pel Governo francese, di un vantaggio attuale, derivante dagli accordi del 1905; e, pel R. Governo, d'un danno pure attuale, di una vera diminutio capitis, anzi, la quale non sarebbe stata né sarebbe non solo accettabile, ma neppure concepibile se non fosse compensata da equivalenti vantaggi.

Ed i vantaggi consistevano appunto nell'impegno, da parte del Governo della Repubblica, di aderire al passaggio sotto la protezione italiana di quelle comunità religiose le quali -essendo composte in prevalenza di cittadini italiani -ne avessero fatto spontaneamente domanda.

Per la natura stessa di questi vantaggi -che l'accordo del 1905 riservava al Governo italiano -essi dovevano verificarsi successivamente nel decorso del tempo: essi erano -in altre parole -vantaggi avvenire, di fronte al danno attuale che il R. Governo subiva ed al vantaggio, pure attuale, che il Governo della Repubblica ne ritraeva.

Né mancarono -anche da parte dei rr. agenti diplomatici, oltreché di privati cittadini-appena l'accordo fu noto-osservazioni circa il danno che esso causava ad alcuni dei più vitali nostri interessi materiali e morali, osservazioni che poterono esser vittoriosamente confutate solo adducendo, da un lato i sentimenti di amicizia verso la Francia, che avevano ispirato l'accordo, dall'altro l'utilità che alla nostra influenza in Oriente sarebbe andata gradualmente derivando dalla successiva e leale applicazione dell'accordo stesso.

Nessuno poteva certo prevedere allora-e, se ciò fosse stato preveduto, nessun ministro italiano avrebbe certo concluso l'accordo -che, giunti al momento di applicarlo, si sarebbe fatto appello alla nostra amicizia -come ha fatto questo ambasciatore di Francia nel caso della missione carmelitana di Tripoli di Soria per indurci a rinunziare ai legittimi e modesti vantaggi dell'accordo, dopo averne lealmente ed integralmente applicato le clausole per noi onerose.

Ammettere un simile sistema equivarrebbe ad annullare completamente la portata degli accordi internazionali, in quanto essi hanno di vantaggioso per limitarsi a subirne gli oneri -equivarrebbe, cioè, ad accettare una condizione di cose addirittura insostenibile.

Né vale il dire che la Siria è un terreno particolarmente delicato per la Francia, la quale sarebbe, per tradizione storiche e per interessi attuali, in particolar modo sensibile per tutto quanto concerne quella regione.

Nessun trattato, nessuna convenzione internazionale riconosce questa posizione privilegiata della Francia in Siria, mentre quando tale situazione esiste, come in Tripolitania per noi, al Marocco per Francia e Spagna, in Persia per Russia ed Inghilterra, essa risulta da atti internazionali, più o meno solenni e più o meno generali, ma tali sempre da vincolare gli Stati che vi hanno partecipato.

Ma, venendo in particolare alla questione che ci interessa, occorre riconoscere che l'accordo del 1905, è quello che è, coi suoi vantaggi e coi suoi inconvenienti, né può subire in Siria od altrove arbitrarie limitazioni nella pratica sua portata da una delle due parti contraenti.

D'altro lato, la situazione della Siria -di fronte alla Francia -non si è modificata dal 1905 in poi, o -meglio -se si è modificata, ciò è avvenuto a danno e non a vantaggio della preponderanza francese, come risulta dalle concessioni ferroviarie a tedeschi eccetera eccetera.

Non sembra, anzi, conforme al bene inteso vantaggio della Francia che, soli, interessi germanici si svolgano in Siria, mentre questa regione può, con utilità comune e del progresso locale e della stessa influenza francese, offrir campo proficuo anche alla politicamente disinteressata attività italiana.

Si tratta, adunque, di uno stato di cose anteriore ali' accordo del 1905, di cui evidentemente il Governo francese ha dovuto tener conto, nel concludere l'accordo stesso, e del quale, per conseguenza, non potrebbe valersi ora per esimersi dall'eseguirne le clausole.

Lo stesso argomento -infatti-potrebbe esser accampato (e lo fu difatti, in quasi identici termini pei Domenicani di Pera e di Smirne) a proposito di qualsiasi altro passaggio sotto la protezione italiana di una comunità religiosa in Oriente, giacché, per tradizione risalente ai tempi della Monarchia, la Francia aveva sempre considerato l'Oriente come un campo riservato esclusivamente alla sua attività religiosa, e spesso non solo religiosa, né l'accordo del 1905 avrebbe più alcun senso, se non lo si dovesse considerare come la conseguenza di un cambiamento d'indirizzo e del riconoscimento -anche in questo campo -del principio di nazionalità.

Questo cambiamento d'indirizzo, del resto, è conforme alle gloriose tradizioni francesi per quanto concerne il riconoscimento delle varie nazionalità e fu altamente proclamato alla Camera francese nel 1903 dallo stesso ministro degli affari esteri del tempo, signor Delcassé (seduta del 29 gennaio) nei termini seguenti: «Notre protectorat s'exerce de moins en moins en faveur d'étrangers. Comme toutes choses, il a évolué avec le temps, et, tout en gardant son caractère universel, il tend de plus en plus ... à ne s'exercer que pour des français». Ed il signor Combes, presidente del Consiglio, parlando innanzi alla medesima Camera il 25 novembre 1904, del protettorato, riconosceva, «le déclin qu'il a subi» e «que ce déclin s'est accentué avec le temps».

Nel 1905 stesso, quando la Francia credette di dover sostenere delle eccezioni al principio di nazionalità nel campo della protezione delle missioni d'Oriente, e quindi all'accordo itala-francese, lo fece esplicitamente, come ad esempio per la Custodia di Terrasanta e pei Salesiani di Nazareth, né potrebbero ammettersi ora altre tardive limitazioni dei diritti riconosciuti.

Il paragone fatto dal signor Barrère tra la situazione creata in Tunisia, nei rapporti italiani, dalla convenzione del 1896 e quella derivante dall'accordo del 1905 non regge al più superficiale esame.

La convenzione del 1896 ebbe ed ha completa esecuzione: noi ne abbiamo eseguite e ne eseguiamo le clausole, come le ha eseguite e le eseguisce la Francia. È certo in facoltà dei due contraenti il disdirla, ma è anche chiaro che il disdirla senza legittimi motivi costituirebbe -da una parte e dall'altra -nelle circostanze attuali -un atto positivo, poco amichevole, il quale avrebbe conseguenze che non riguarderebbero solamente la situazione speciale della Tunisia e degli italiani che vi dimorano, ma involgerebbero complessi problemi di politica e di orientamento internazionale.

L'accordo, invece, del 1905 non ha avuto ancora-né poteva averla per la sua stessa natura -completa esecuzione: esso si va via via eseguendo, né il procedere, per parte nostra, a tale graduale e legittima applicazione di una intesa da ambo le parti liberamente consentita ci può certo esser imputata quale atto poco amichevole verso l'altro contraente.

Ciò premesso, in linea di diritto, è da osservare, in linea di fatto, che il passaggio della missione carmelitana di Siria sotto la nostra protezione nulla innova sostanzialmente nello statu quo ante. La missione era ed è interamente italiana, con lingua d'insegnamento e con tradizioni italiane ed essa si è trovata sempre in ostilità più o meno latente colle autorità consolari francesi.

Sottratta ormai ad una protezione da essa non voluta, svolgerà pacificamente la propria attività, lasciando alla attività francese il campo ben più vasto del convento del Carmelo a Caiffa e delle altre istituzioni carmelitane di Siria -non dipendenti dal superiore di Tripoli-nelle quali noi ci asteniamo dall'esercitare ogni e qualsiasi influenza.

Concentrate le proprie forze e le proprie risorse in questo campo, l'elemento francese guadagnerà certo d'influenza e di efficacia d'azione -pur lasciando a noi quel campo separato e legittimo di attività, che ci spetta.

L'accordo del 1905 non stabilisce un limite di tempo per la notifica al Governo ottomano del cambiamento di protezione.

È evidente, tuttavia, che le relative pratiche tra i Governi italiano-francese non possono prolungarsi per troppo tempo senza violare lo spirito dell'accordo stesso ed esporci a gravi incidenti (come l'E.V. rileverà dagli acclusi estratti di lettere e telegrammi del superiore della missione carmelitana di Siria), che l'interesse del mantenimento dei reciproci buoni rapporti deve consigliare di evitare.

A tale concetto, appunto, si ispiravano le istruzioni impartite a codesta r. ambasciata col telegramma ministeriale del 21 febbraio 1906, allorché si trattò del passaggio sotto la protezione italiana dei Domenicani di Pera e di Smirne, istruzioni secondo le quali se, entro un mese, non fosse pervenuta alcuna risposta dal Governo francese, il R. Governo non avrebbe potuto esimersi dall'accettare senz'altro la domanda dei Domenicani. Ed in seguito a tali istruzioni il conte Tornielli dirigeva il 23 febbraio 1906 al signor Rouvier, presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri della Repubblica, una nota con cui comunicava: «Le Gouvernement Royal m'a chargé de faire connaìtre à V.E. qu'il se croirait autorisé à considérer votre silence comme une adhésion tacite ... », intendendo con ciò che non era in potere del Governo francese di ritardare sine die la soluzione di tali questioni (vedi rapporto della r. ambasciata a Parigi n. 520/255 del 27 febbraio 1906).

Io non dubito che, grazie all'efficace intervento dell'E.V., non occorrerà giungere a tali comunicazioni e confido, quindi, che potremo ottenere sollecitamente una esauriente risposta.

Dal telegramma del r. ambasciatore a Costantinopoli da me comunicato all'E.V. con telegramma n. 2136 del 12 corrente3 , l'E.V. avrà rilevato come -almeno dall'ambasciata francese in Costantinopoli -si accenni a sollevare la distinzione tra parrocchie e missione e tra beni della missione e beni delle parrocchie.

Ho già esposto all'E.V. nel telegramma succitato quale sia effettivamente la situazione a tale riguardo.

Aggiungo ora che non potrebbe dar luogo a contestazione circa la pertinenza dei beni il fatto che la missione abbia ricevuto in passato doni o sussidii così dal Governo francese come da cittadini esteri.

L'E.V., infatti, allorché era a capo di questo dicastero, bene a ragione si esprimeva a tale proposito nei termini seguenti: «Non esito a dichiarare che né la proprietà dell'immobile dell'istituto religioso, né i doni che ad esso possono aver fatto Governi od associazioni straniere, né altre analoghe circostanze estrinseche possono esercitare alcuna influenza sulla nazionalità del! 'istituto medesimo». E più innanzi I'E.V. osservava che «la notificazione dell'intenzione corrisponde per tutto, in sostanza, alla notificazione della protezione già accordata», e concludeva: «È ormai per noi definitivamente acquisita, da parte della Francia, indipendentemente da qualunque possibile modificazione futura dei suoi Governi, ... la espressa rinunzia alla sua secolare pretesa e l'obbligo assunto di riconoscere il protettorato nostro sugli istituti di incontestata nazionalità italiana» (vedi dispaccio alla r. ambasciata a Costantinopoli n. 49603/653 del 5 ottobre 1905).

Per quanto, infine, concerne il contegno della Santa Sede e della S. Congregazione di Propaganda di fronte alla domanda dei Carmelitani, credo di poter assicurare l'E.V. che esso sarà-questa volta come negli anteriori casi analoghi-puramente pasSIVO.

Abbiamo fondato motivo di credere, infatti, che la Segreteria di Stato e Propaganda non interverranno né per distogliere i Carmelitani dalla domanda di cambiamento di protezione, né per confermarla, e ciò malgrado le pressioni d'ogni genere che mi risulta esser state esercitate dal signor Barrère così sopra la Segreteria di Stato e Propaganda, come presso la Curia generalizia carmelitana e presso alcuni alti dignitarii ecclesiastici.

Cade, adunque, completamente anche questa obiezione sollevatale dal signor C ruppi.

Nel pregare l'E.V. di voler porre ogni suo impegno per condurre a sollecito risultato questa pratica per noi oltremodo importante e in sé e come questione di principio, rimango in attesa di conoscere l'esito dei passi che ella avrà creduto di fare a tal uopo4 .

4 Per il seguito cfr. n. 88.

55 3 Non pubblicato.

56

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO CONFIDENZIALE 373/133. Cettigne, 17 giugno 1911 (per. il 21).

Ho avuto l'onore di conversare lungamente ieri col re Nicola, il quale mi espresse, fra l'altro, la sua inquietudine nel vedere tante forze militari turche ai confini del Regno. Vi si troverebbero attualmente circa 43.000 uomini, con 120 bocche da fuoco, di cui 48 a tiro rapido. Se a queste forze si venissero ad aggiungere quelle dislocate nel vilayet di Kossovo, in occasione della visita del sultano, il numero potrebbe accrescersi fino a rappresentare un esercito di 96.000 uomini presso a poco. Ora, ecco su quale ragionamento Sua Maestà fonda le sue apprenswm.

La più larga amnistia che sta per accordare il sultano a tutti i compromessi nella presente rivolta non sarà sufficiente a persuadere i combattenti a cedere le armi e sottomettersi ed i rifugiati in Montenegro a rientrare in Turchia, se i benefici inerenti a tale atto di sovrana clemenza non saranno assicurati dall'intervento di una Potenza estera, che così sarà implicitamente garante della loro applicazione agli amnistiati. Senza un tale intervento sarà facile alle autorità ottomane di eludere gli effetti di essa amnistia, non fosse che imputando di un qualsiasi reato comune coloro fra gli amnistiati che vorranno colpire, od altrimenti, ed in modo ancora più spiccio, trovando un pretesto per punire chi loro piacesse.

Ma consentirà il Governo ottomano ad ammettere che si abbia ragione di dubitare della sua parola, e che della esecuzione di un atto sovrano si faccia mallevadore, perché in lui non si ha fede, un altro Stato? A meno che non si trovi un espediente capace di salvare, nella forma, l'amor proprio dei turchi, tutte le probabilità sono per il loro rifiuto di accettare l'ingerenza straniera in siffatta occorrenza. Ed allora i profughi al Montenegro non ripasseranno la frontiera e gli insorti che si trovano ancora di fronte a Turgut pascià continueranno a battersi, avendo per campo di azione la striscia di terreno che sta fra la riva destra dello Zem ed il confine montenegrino presso Triepsci. Sopraffatti dal numero i malissori piegheranno verso questo confine e lo varcheranno, ma saranno inseguite dalle truppe ottomane, le quali non rispetteranno il territorio del Reame. Ne nascerà un conflitto turco-montenegrino, e da esso sicuramente la guerra.

Queste previsioni debbono essere state già fatte dai turchi. Esse spiegano il concentramento di un poderoso esercito, assolutamente sproporzionato ai bisogni della repressione della rivolta, bensì necessario nella eventualità di una guerra contro il Montenegro.

Sua Maestà mi ha detto, poi, che ha deciso di lasciare liberi i rifugiati di fare come credono, dopo la proclamazione dell'amnistia, cioè di astenersi dal dar loro alcun consiglio: né quello di ritornare in patria, né quello di rimanere qui.

Mi sono permesso di fare osservare al re che non dovrebbe essere impossibile prendere al confine dei provvedimenti tali da evitare uno scontro tra turchi e montenegrini, quando vi fosse da ambedue le parti il desiderio di non venire alle mani. Si può tenere per certo che la Turchia non vuole la guerra col Montenegro: questo da parte sua ha sempre dichiarato la ferma intenzione di conservare la pace col vicino. Non avrebbe dunque da escludersi la possibilità di una intesa atta a prevenire un avvenimento così grave, e pieno di paurose incognite.

Sua Maestà mi rispose che aveva già proposto lo stabilimento di una zona neutra tra la linea di confine e le posizioni turche, e che la proposta non era stata accettata; segno evidente delle intenzioni di Turgut di attaccare il Montenegro.

Voglia l'E.V. consentirmi di manifestarle qui tutto il mio pensiero. Il re Nicola non vuole la guerra. Ciò ho detto parecchie volte e ripeto anche adesso. La sua volontà è legge in questo paese, e nessun partito militare amante delle avventure osa contraddirla o tenta di opporvisi. Ma egli non vuole neanche uscire a mani vuote dalle attuali complicazioni, senza ritirare verun profitto, né materiale, né morale, dalle circostanze che lo hanno portato a grandi sacrifizii pecuniari, tali da mettere lo Stato sull'orlo del fallimento. I suoi aiuti ai malissori, rifugiati e non rifugiati, gli hanno eretto un piedistallo dal quale non intende di scendere. La soluzione, adunque, del conflitto turco-albanese all'infuori del di lui intervento non può soddisfarlo. Egli farà di tutto per impedirla e, riuscendovi, alla ripresa degli attacchi dei turchi contro i ribelli a breve tratto dal Regno, gl'incidenti turcomontenegrini non mancheranno. La qual cosa non equivarrebbe ad una vera e propria guerra premeditata e prefissa. Il re spera che si arresterà a tempo, e da un principio di azione, che qualcheduno s'intrometterà a non far progredire, qualche compenso verrà al Montenegro.

Se non che, con l'acume e l'esperienza, onde Sua Maestà si distingue, scorge il pericolo che ad un siffatto piano si connette, quello cioè, che il turco s'impegni nella guerra a fondo. È questa la causa della preoccupazione con cui il re enumera l'imponente forza nemica, come questo sarebbe il più valido motivo per persuaderlo a prestarsi ad una conciliazione tra gli albanesi ed i turchi, se fosse possibile che ad essa per mezzo suo si addivenisse.

57

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 2795/185. Londra, 19 giugno 1911, ore 19,45 (per. ore 6 del 20).

Marocco. Domani ambasciatori di Spagna faranno alle Potenze una comunicazione in cui, in sostanza, verrà dichiarato che Governo spagnuolo, occupando Larache e Alcazar, ha inteso compiere una operazione di semplice polizia. Non appena

essa sarà compiuta e soddisfazione per assassm10 protetto arabo sarà stata data, truppe spagnuole si ritireranno.

Questa dichiarazione è conseguenza di amichevoli raccomandazioni da parte dell'Inghilterra accompagnate da quelle rassicuranti spiegazioni cui accennai mio telegramma n. 1791 . Nel confidarmi quanto precede, Villa-Urutia ha aggiunto, a titolo personale, che, prima, però, di abbandonare posto occupato, Spagna vuole vedere che cosa farà Francia.

A quanto mi ha detto collega, qui, pur rivolgendo raccomandazioni a Madrid dietro insistenti pratiche di Cambon, non si è trascurato di mettere acqua nel vino francese.

In complesso, mia impressione è che Governo inglese, rendendosi ben conto che, qualora sorgessero complicazioni, esso, in base impegni assunti, dovrebbe prendere nettamente posizione accanto Francia, fa il possibile per evitare sorgano tali complicazioni che potrebbero eventualmente compromettere migliorate relazioni anglo-germaniche. Tale contegno è per il momento favorito da atteggiamento conciliante fino ad ora serbato dalla Germania.

58

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 517/186. Teheran, 19 giugno 1911 (per. l '8 luglio).

Come ebbi l'onore di preannunziare nel mio rapporto n. 339/133 del 23 aprile

u.s. 1 , i consiglieri finanziari i nord-americani giunsero a Teheran nei primi giorni del mese di maggio u.s. Essi furono al loro arrivo, insieme alle rispettive famiglie, fatti oggetto di molti riguardi ed attenzioni da parte delle autorità persiane le quali per rendere ad essi meno disagevole il primo periodo di soggiorno nella capitale, hanno posto a loro disposizione la magnifica villa di Atabek, oggimai nota per il fatto d'arme occorsovi il 7 agosto 1910. I nuovi arrivati non hanno male corrisposto a tante premure poiché appena giunti si sono posti all'opera prendendo tosto contatto con gli uomini del Governo dal quale dipendono ed assumendo ciascuno la propria carica. Va notato che i consiglieri nord-americani -pare per rendersi più indipendenti da qualsiasi influenza straniera -hanno ostensivamente evitato di entrare in rapporti d'ogni genere sia con le legazioni estere -eccetto s'intende con la propria

-che con i membri delle colonie europee. Né hanno valso osservazioni o critiche inspirate dall'atto poco riguardoso o contraddicente agli usi sociali per indurii a mutare di atteggiamento.

I cinque agenti, tutti giovani, sembrano dotati di esperienza e di buona volontà, veri figli di quella razza forte ed intraprendente che popola gli Stati Uniti, in circa un mese e mezzo di lavoro, hanno già dato prova di quell'energia che caratterizza il yankee nelle manifestazioni della propria attività. Hanno già fissato, nelle linee generali, ma ben determinate, la sfera della propria azione ottenendo anche, a tal fine, la sanzione del Medjiless a due leggi da essi stessi preparate. È incredibile l'entusiasmo che al momento presente essi hanno saputo inspirare nella pubblica opinione persiana. Entusiasmo che per non poca parte sembra dovuto al contegno da essi abilmente assunto verso gli stranieri residenti in Persia e che ha loro permesso, malgrado la timidità ed anche la celata insoddisfazione di alcuni uomini del Gabinetto poco amanti di rigidi freni nell'impiego delle entrate dello Stato, ad assicurarsi, nell'ambito dell'amministrazione della pubblica finanza, poteri straordinari.

A richiesta del Governo dello scià, il signor Mornard, belga, amministratore generale delle dogane persiane, cioè il capo dell'unico servizio di Stato che funzioni in questo paese ammirevolmente, uomo di grande capacità ed espertissimo in tutti i problemi finanziarii della Persia e profondo conoscitore della sua situazione politica, redasse quel progetto di legge di controllo del recente prestito di cui ebbi occasione di fare cenno in precedenti rapporti quale misura e condizione imposta -in principio -dal Medjiless per accordare il suo assenso all'operazione finanziaria. Il progetto medesimo che avrebbe tosto dovuto essere presentato al Parlamento, era molto elaborato e contemplava la costituzione di una commissione mista di europei e di persiani, ma, a dire dello stesso signor Mornard il quale aveva, in ciò, dovuto cedere ai dettati dei ministri dello scià, esso non presentava tutte le garanzie desiderabili per un severo controllo lasciando al Governo una certa libertà di azione nell'impiego dei fondi del prestito. In altri termini la futura legge avrebbe avuto per iscopo di corrispondere alla richiesta del Medjiless condotto in tale questione dall'influenza del partito democratico e dell'opinione pubblica, senza legare troppo le mani dei ministri.

Non si comprende per quale forza occulta l'ingegnoso disegno sia improvvisamente crollato. Con una recente leggina di quattro articoli, di cui qui unito trasmetto il testo (annesso 1)2 , il Medjiless passando sopra alle precedenti deliberazioni da esso adottate o volute, in principio, affidava l'intero controllo del prestito al tesoriere generale dell'Impero (articolo I e II) ch'è l'ameri~ano signor Shuster, imponeva a questo come unica condizione che alla fine di ogni mese esponesse la situazione finanziaria creata dal prestito (articolo III) e rinunciava alla creazione della commissione mista per il controllo.

I fondi provenienti dal prestito non sono peraltro le sole entrate che incombe al tesoro persiano di amministrare; esso dispone di altri cespiti che tutti però, meno quelli doganali, sono indefiniti, incerti, mal destinati e potrebbe crearsene degli altri laddove si riuscisse a stabilire ed a far osservare un sistema d'imposte sull'intero paese allargando così la disponibilità di quel bilancio generale dello Stato che, sino ad ora, la Persia costituzionale non è riuscita a concretare sotto nessuna forma.

Una tale situazione non ha dovuto tardare a presentarsi, nella sua penosa realtà agli occhi dei riformatori americani i quali hanno così compreso la portata e l 'urgenza del loro principale compito. Ed è quindi evidente la genesi di un'importante e può dirsi vasto, nella azione che contempla, progetto di legge da essi preparato e fatto, giorni sono, presentare dal Governo al Medjiless che lo ha ~se se ne eccettua un piccolo emendamento ~interamente approvato.

Mentre i particolari della nuova legge si potranno desumere dal testo, in inglese, che qui unito trasmetto in copia, noto che i poteri di controllo su tutte le entrate, spese ed operazioni finanziarie della Persia conferiti al tesoriere generale sono illimitati al punto di porre gli stessi ministri dello scià in uno stato di tutela. Il medesimo funzionario ha mano libera d'istituire tutti i servizi e gli uffici che crederà necessari per l'adempimento del suo mandato. Intanto ha già ottenuto un credito di

60.000 toman per la creazione di tre uffici centrali alla cui testa saranno i suoi colleghi. La sua azione rimane solo limitata dall'obbligo impostogli di ottenere l'approvazione del Parlamento ai contratti di nuovi funzionarii stranieri che fossero per essere da lui desiderati. Esso preparerà il bilancio generale dello Stato con il diritto di esigere, con ogni sollecitudine, da ministri e funzionari persiani tutti gli elementi che gli accorrano. A lui l'incarico di studiare e prescrivere economie nell'amministrazione e di proporre nuovi cespiti ed entrate.

Sembra, a quanto si assicura, che i consiglieri finanziari nord-americani abbiano immediatamente cominciato a valersi dei poteri di controllo ottenuti sia chiedendo ai ministri conto di certe spese ed impieghi di fondi già fatti, che informando le autorità centrali e provinciali, le banche che fanno servizio di conto corrente pel Governo che nessun mandato può essere emesso e nessun versamento eseguito senza l'approvazione del tesoriere generale. Hanno preso la direzione della zecca~ che rappresenta una delle poche sorgenti di entrate del Governo persiano ~ la quale notoriamente era sinora sfruttata dai funzionari persiani a profitto personale. Pare inoltre siano decisi a far venire dali' America altri funzionari da destinarsi alle provincie. Questo come i precedenti sono dei provvedimenti opportuni per lo svolgimento della loro missione, ma sarebbe azzardato il dire, sin da ora, se questa avrà felice esito. In tutt'altro paese che non fosse la Persia potrebbero, forse, farsi delle previsioni, ma qui è necessario di tener conto di una situazione politica e di tanti coefficienti contrarii che occorre comprendere e vincere. Si richiede sagacia, estremo tatto, perseveranza. Di quale sia il modo di procedere degli americani e di quale situazione si va creando intorno ad essi tratterò in un prossimo rapporto.

57 1 T. 2698/179 del 14 giugno: l'ambasciatore spagnolo aveva detto a Imperiali che «portata significato azione spagnola sono esagerati e denaturati in Francia».

58 1 Non pubblicato.

58 2 Non si pubblicano gli allegati.

59

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A LISBONA, PAULUCCI DI CALBOLI

T. 2309. Roma. 24 giugno 1911, ore 11.

Riassumo informazioni pervenutemi circa il riconoscimento della Repubblica portoghese. Stati Uniti hanno riconosciuto ufficialmente e incondizionatamente. Francia si propone rispondere che è pronta a riconoscere. Spagna riconoscerà quando l'avrà fatto Inghilterra, aggiungendo però che sembra opportuno attendere nomina presidente definitivo. Germania è di questo stesso avviso, decisa in ogni modo a regolarsi su quanto faranno Francia e Inghilterra. Russia riconoscerà soltanto dopo tutte le altre Potenze. Austria-Ungheria non ha finora preso alcuna decisione. Dall'Inghilterra non ho ancora notizie. Per parte mia, ho risposto oggi ad una interrogazione alla Camera dei deputati, che, in seguito alle deliberazioni dell'Assemblea portoghese, era stato iniziato uno scambio d'idee fra alcune Grandi Potenze; che esso era tuttora in corso, ma che una decisione non avrebbe tardato ad essere presa. Ho osservato però che un presidente della Repubblica non era stato ancora eletto secondo le forme costituzionali.

60

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3000/122. Tripoli di Barberia. 2 7 giugno 1911 (per. ore 23,30 del 28) l.

Telegramma di V.E. n. 2258, del 222 pervenutomi jersera. Nostra missione mineralogica non ha mai pensato internarsi verso il Fezzan, ma soltanto da Socna ripiegare ad oriente sino Zelle per poi tornare a nord verso Moc Libby sul mare. Quella regione della Sirtica è la più infruttuosa sotto il punto di vista mineralogico per gli zolfi come scrive anche ultimamente il Sanfilippo. Quelle popolazioni per quanto indipendenti non sono ribelli al Governo ottomano e basterà l 'influenza dell'autorità locale di Socna e la cooperazione favorita dell'autorità di notabilità della regione, per inspirare fiducia a quella gente persuadendo la dei buoni [ effetti?P della missione. Contro qualche eventuale malanno dopo le selve, sarà sempre più che

2 In realtà del 21, non pubblicato.

3 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

sufficiente la scorta esistente, tanto più se aumentata. Per ciò mantengo quanto già ho scritto e telegrafato che la missione deve in ogni modo proseguire sino a Socna, ciò che può fare senza alcun pericolo, e che da Socna il caimacan saprà e potrà trovare le garanzie locali opportune di guide e di notabilità che assicurino vieppiù la sicurezza generale alla missione, ciò che si otterrebbe quando quel caimacan non abbia ordini di fare il contrario e che a lui si lasci latitudine di operare per il meglio, assicurandogli che il Governo ottomano ha realmente desiderio che la missione riesca. In conseguenza, importa che al valì sia dato ordine perentorio che la missione prosegua al più presto per Orfella e poi per Socna, avvertendone sin da ora l'autorità di Socna perché prepari il terreno per la desiderata e necessaria continuazione del programma della nostra missione. Concludo che, se il Governo ottomano ed il valì lo vogliono, questo viaggio non può presentare difficoltà dal lato della sicurezza con quaranta gendarmi e con venti fucili, della missione; le difficoltà sono piuttosto per la stagione estiva calda e per il rifornimento acque, viveri, dopo Socna, ma a questo si è provveduto e, detto in confidenza, se la missione, a cagione della stagione, non si sentisse di proseguire da Socna, verso Zelle, ritornerebbe direttamente da Socna a Sirt, espletando, in ogni modo, la maggior parte del suo programma. Intanto, io qui continuerò presso il valì insistere per la continuazione del viaggio della missione per Orfella e Socna. Jersera il cavalier Bresciani è partito per Bengasi col piroscafo e si fermerà qualche ora in Misurata per conferire con Sanfilippo e Sforza; porterà loro mie lettere e raccomandazioni dandomi un cenno della situazione.

60 1 Il telegramma fu trasmesso da Gerba il 28, ore Il.

61

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1515/665. Vienna, 27 giugno 1911 (per. il 30).

Le elezioni generali austriache non sono ancora finite e non lo saranno che nella prima settimana di luglio. In parecchi collegi della Galizia ed in qualcuno della Dalmazia le votazioni definitive non hanno ancora avuto luogo.

Ma i risultati principali, noti già da alcuni giorni, hanno avuto già tali conseguenze per la politica interna dell'Austria che io non posso tardare più oltre a riferirne a V.E.

Il fatto saliente delle elezioni attuali è stato la sconfitta completa del partito cristiano-sociale nella città di Vienna. A primo scrutinio il partito non aveva potuto conservare che due dei venti collegi urbani, che aveva nella passata legislatura. Nei ballottaggi ne ha salvato uno e ne ha perduti diciassette. Sono cadute tutte le notabilità del partito: il principe Luigi di Liechtenstein, il capo nominale, il dottor Pattai, ex-presidente della Camera, il dottor Weiskirchner, ministro del commercio, il signor Wittek, ex-ministro, il dottor Neumayer, borgomastro della capitale. Contemporaneamente cadeva nel collegio di Mistelbach (Bassa Austria) l'ex-ministro dottor Gessmann, che di fatto era l'anima del partito.

Certo questa clamorosa disfatta non distrugge completamente il partito cristiano-sociale, che è riuscito a conservare quasi intatte le sue posizioni nelle provincie. Esso tornerà infatti nella nuova Camera con 76 rappresentanti, mentre ne aveva 95 nella precedente. Tuttavia il risultato è molto importante moralmente perché priva il partito dei suoi capi, perché gli toglie l'ascendente che gli derivava dal fatto di essere il gruppo più numeroso dell'assemblea e perché la perdita di Vienna, che era stata la culla del partito, ne segnerà probabilmente la rovina definitiva.

Il partito cristiano-sociale era stato la creazione di un tribuno geniale. Esso si era basato sopra tre cardini: la lotta contro l'alta finanza israelita, l'avversione contro il magiarismo e la reazione contro lo spirito anti-cattolico, che anima il liberalismo tedesco, in Austria come in Germania. Il dottor Lueger, mirabile maneggiatore della plebe, donde usciva, seppe, facendo agire queste tre forze, mettere al suo seguito tutta la sua città natale. Così egli conquistò prima il municipio di Vienna, poi la dieta della Bassa Austria, poi il Consiglio dell'Impero.

Ma la fortuna aveva fatto tralignare il partito. Coloro che avevano protestato con alti clamori contro la tirannide dei capitalisti ebrei, giunti al potere, si impelagarono in affari ed in speculazioni non certo superiori ad ogni sospetto.

Sul terreno ecclesiastico il partito, che aveva trovato tanto favore per il rispetto verso il sentimento e le tradizioni religiose della popolazione, si abbandonò ad un clericalismo opportunista ed intrigante, che si rilevò nella sua forma più brutale nell'allontanamento dalla curia arcivescovile di Vienna di un prelato eminente e popolarissimo, il defunto monsignor Marschall, il quale non si mostrava abbastanza supino davanti le sue imposizioni.

Anche rispetto al contegno dell'Austria di fronte all'Ungheria, le cose erano andate mutando. Il dottor Lueger aveva veramente avuto il merito di scuotere la coscienza d eli' Austria di fronte alla prepotenza ma giara. Poco più di dieci anni fa, ogni volta che fra le due parti della Monarchia c'era una delle tante controversie, che nascono dalla convivenza comune, il Governo ungherese, forte dell'appoggio dell'opinione pubblica turbolenta, minacciava. Dopo qualche blando tentativo di conciliazione, la Corona intimava al Governo austriaco di cedere e questo, che l'opinione pubblica non sosteneva, cedeva. A questo male il dottor Lueger fu il primo a voler mettere riparo. Ma ora -specialmente dopo l'introduzione del suffragio universale -la necessità di tener testa, nelle questioni di interesse comune, all'Ungheria è talmente presente a tutti i partiti ed a tutte le nazionalità dell'Austria, che, anche per questa parte, il partito cristiano-sociale mancava al suo scopo.

Già da qualche tempo il partito aveva scosse le basi per la discordia e la poca illibatezza dei molti suoi capi. Finché il dottor Lueger fu in vita, il suo grande prestigio personale seppe ancora imporsi a tutti. Ma, poco più di un anno dopo la sua morte, la sconfitta è venuta. Che essa sia per essere durevole si può dedurre dal fatto che l'antico programma, che ne fece la fortuna, è venuto a mancare e che manca anche l'uomo il quale, sia per intelligenza sia per probità, possa rianimarlo. I resti del partito, i gregari eletti nelle provincie, finiranno probabilmente per disunirsi aderendo ad altri gruppi o per costituire una specie di partito clericale agrario senza grande importanza politica.

All'infuori della disfatta del partito cristiano-sociale, le elezioni generali rappresentano una vigorosa affermazione della borghesia liberale, che mette in prima linea il principio di nazionalità. Questa affermazione è stata fatta a spese dei clericali da una parte e dei socialisti dall'altra, cioè dei due partiti che mettono l'idea religiosa ed austriaca o le aspirazioni sociali in prima linea, posponendo ad esse l'idea nazionale.

Così l'unione nazionale tedesca, che nella Camera passata contava 76 membri, ne avrà l 04 nella nuova e costituirà il gruppo più forte deli'assemblea.

La deputazione czeca ritornerà eguale di numero, ma i gruppi clericali di essa sono stati decimati. Fra i caduti conviene ricordare il conte Jaroslav Thun, non per le qualità sue personali, che non sono eminenti, ma perché egli è al tempo stesso cognato dell'arciduca ereditario (sua moglie è la sorella della duchessa di Hohenberg) ed il fratello del conte (da pochi giorni principe) Francesco Thun, uomo di fiducia dell'arciduca ereditario stesso e luogotenente imperiale e reale in Boemia.

I clericali sloveni mantengono le loro forze e così pure quelli italiani. Ma i liberali italiani sono riusciti a strappare ai socialisti (malgrado l'appoggio dato a questi dagli sloveni) uno dei collegi urbani di Trieste.

In Galizia le elezioni non sono ancora finite. Per quella regione anche la legge elettorale è speciale. E l'elemento polacco, col completo asservimento dell'autorità governativa, vi fa ogni genere di pressioni e di brogli per assicurare la sua preponderanza contro l'elemento ruteno, che, sebbene costituisca circa il 60 per cento della popolazione, è scarsamente rappresentato alla Camera. In uno dei giorni scorsi nella città di Drohobycz, durante le operazioni elettorali, dove si erano prodotti disordini di non grande importanza, la truppa ha fatto fuoco su una folla inerme, per la maggior parte di curiosi, ed ha fatto più di due dozzine di vittime e moltissimi feriti.

Per quanto si può giudicare dai risultati finora conosciuti, le elezioni della Galizia avranno due caratteristiche: annientamento completo dei gruppi clericali e rafforzamento del gruppo conservatore a danno del partito radicale, chiamato «pan polacco», di cui è capo il professor Glombinski, ministro delle ferrovie.

Le prime conseguenze delle elezioni generali sono state le dimissioni dei due membri del Ministero Bienerth che, come uomini parlamentari, rappresentavano al Governo due partiti, colpiti dal verdetto degli elettori: il dottor Weiskirchner ed il professor Glombinski. Le loro dimissioni sono state subito accettate dall'imperatore e la reggenza dei dicasteri del commercio e delle ferrovie è stata affidata provvisoriamente a due funzionari.

Ma le cose non si sono fermate qui. I capi del partito cristiano-sociale, riavutisi dallo scompiglio della sconfitta, si sono radunati a consiglio ed hanno deciso che i rappresentanti del partito stesso nella

Camera, che nella passata legislatura erano stati i più fedeli sostenitori del Gabinetto Bienerth, dovrebbero riservarsi libertà di movimenti di fronte al Governo.

Dinanzi questo colpo di scena, la situazione del barone di Bienerth, la quale come era da prevedere -non era certo uscita migliorata dalle elezioni, affrontate con una certa leggerezza, diveniva insostenibile. L'antica maggioranza si componeva dei tedeschi liberali, dei cristiani-sociali, dei polacchi, degli italiani, e dei ruteni della Bucovina. Essa non aveva però mostrato la resistenza necessaria di fronte alla violenza, con la quale gli czechi attacavano il barone di Bienerth, di cui volevano la testa. Era chiaro che essa si sgretolerebbe tutta ora che i cristiano-sociali prendono arie sospette e gli italiani si chiudono in un prudente riserbo, dal quale non sembrano disposti ad uscire se non quando avranno affidamenti concreti per la pronta istituzione della facoltà giuridica nazionale.

Nonostante il favore costante dell'imperatore ed ancor di più dell'arciduca ereditario, del quale è stato strumento docile e mediocre, il barone di Bienerth ha compreso che il suo ritito si imponeva ed ha dato le sue dimissioni personali da presidente del Consiglio, che sono state accettate. A capo del Governo austriaco è stato nominato il barone di Gautsch, presidente alla Corte dei Conti, che già due volte nel passato aveva tenuto lo stesso ufficio. Gli altri ministri sono rimasti in canea.

Il barone di Gautsch dovrebbe iniziare trattative coi vari partiti per la costituzione di un Gabinetto a larga base parlamentare, in cui dovrebbero essere rappresentati, oltre che i tedeschi, (nazionali e cristiano-sociali) ed i polacchi anche gli czechi e gli sloveni.

Gli czechi hanno accolto con viva soddisfazione il ritiro del barone di Bienerth, per evitare il quale la Corona aveva ricorso tre mesi fa allo scioglimento della Camera e, siccome desiderano vivamente di tornare al Governo, è probabile che non si mostreranno troppo intransigenti.

Invece i tedeschi vedono con rammarico l'uscita dal Governo del barone di Bienerth, che ha per loro il merito di avere resistito sempre tanto alle lusinghe (sic) quanto alle lusinghe degli czechi. E, siccome escono dalle elezioni rafforzati, è probabile che insisteranno più che mai nella loro antica pretesa di non voler che gli czechi siano assunti a Vienna al Governo, finché in Boemia non sarà raggiunta la pacificazione delle nazionalità rivali mediante un equo compromesso.

Per quel che concerne la politica estera, i mutamenti sopravvenuti nella costituzione della Camera austriaca non avranno grande influenza. La politica estera nella Monarchia è ancora quasi completamente al riparo dalle influenze parlamentari. Tuttavia il sopravvento degli elementi liberali non potrà che avere, sia pure indirettamente, benefici effetti per l'incremento della Triplice Alleanza e specialmente dei buoni rapporti fra l'Italia e l'Austria-Ungheria.

Per la questione speciale della facoltà giuridica italiana è arrischiato far previsioni. Certo, se gli sloveni e gli czechi entrano nella futura maggioranza ministeriale e se questa assume dimensioni tali che il gruppo italiano possa allontanarsene senza pericolo per il Governo, la soluzione di tale questione non sarà facilitata.

62

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 2402. Roma, 30 giugno 1911, ore 10,40.

Albania. Questo incaricato d'affari d'Inghilterra mi ha fatto ieri, a nome del suo Governo, la comunicazione seguente: «Nell'interesse della pace sarebbe desiderabile che il Governo ottomano si mostrasse disposto a soddisfare gli albanesi nelle questioni della lingua, delle scuole e dei fondi per il miglioramento delle comunicazioni stradali, che l'amnistia generale fosse accordata senza eccezioni, con assicurazione che coloro che deponessero armi non saranno ulteriormente inquietati. Senza di ciò sarebbe impossibile alle Potenze di far valere la loro influenza per evitare gravi conseguenze che deriverebbero da un prolungarsi della rivolta. Il Governo britannico è pronto a dare istruzioni in questo senso al proprio ambasciatore a Costantinopoli, se le altre cinque Potenze faranno altrettanto».

(per Berlino) A quanto mi riferisce V.E. col telegramma n. 113 1 , codesto Governo ha già dato una risposta negativa all'iniziativa del Governo britannico.

(per Londra) Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 1922 . Mi son limitato a prendere atto di questa comunicazione, e ho chiesto di conoscere la risposta che vi daranno gli altri Governi.

(per Parigi, Pietroburgo, Vienna) Prego V.E. di farmi conoscere quale risposta darà codesto Governo a tale iniziativa inglese3 .

63

IL DIRETTORE DELLA SUCCURSALE DEL BANCO DI ROMA A TRIPOLI DI BARBERIA, BRESCIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Tripoli di Barberia, ... giugno 1911.

Nel febbraio 1907, chiamato dalla fiducia del Banco di Roma, il quale aveva preso gli opportuni accordi con S.E. il ministro degli esteri onorevole Tittoni, venni a Tripoli di Barberia per aprirvi una succursale del Banco stesso.

2 T. confidenziale 294 71192 del 27 giugno, non pubblicato.

3 Per la risposta da Parigi cfr. n. 64. Con T. 3037/266 del 30 giugno, non pubblicato, Avama rispose che Aehrenthal aveva scartato la proposta. La risposta da Pietroburgo non è stata rinvenuta.

Programma del Banco di Roma era che a Tripoli (sic), oltre che la razionale espanzione verso l'Oriente in seguito all'apertura delle sue sedi di Malta e d'Egitto, quello di creare a Tripoli il maggior numero possibile di interessi italiani, sia aiutando quelli già esistenti, sia creandone dei nuovi. In una parola si voleva specialmente dalle sfere governative una seria penetrazione economica in questo paese, in vista degli speciali interessi politici che l'Italia doveva tutelarvi, non escludendo la probabilità anche di una non lontana occupazione.

Come si sono svolti in seguito gli avvenimenti non è qui il caso di parlarne. Io mi permetterò di esporre aii'E.V. alcune osservazioni e considerazioni da me fatte in questi anni, sulla potenzialità militare della Turchia in questo paese e sulle difficoltà che potrebbe incontrare l'Italia nel caso di un'azione militare.

Dirò subito che si dovrebbe escludere una vera occupazione della Tripolitania e Cirenaica, che presenterebbe seria difficoltà, non tanto per la resistenza delle forze turche, quanto per quella che può opporre l'elemento indigeno locale.

Se l'Italia occuperà questi paesi sotto la forma del protettorato, l'impresa non incontrerà nessuna difficoltà. L'Italia troverà il più grande ed efficace aiuto negli indigeni (arabi) ai quali si deve far brillare l'idea della liberazione dal giogo turco, che essi sopportano avviliti da tanto tempo, e la risurrezione dell'antica potenza araba. Bisogna che essi credano di far risorgere la loro patria sotto il protettorato di una potenza amica, che essi ritornino ad essere qualche cosa nel mondo, mentre oggi la dominazione turca li ha immiseriti, schiacciati. Mediante questa molla, un'azione militare sarebbe rapida e credo anche incruenta. Non occorre una lunga preparazione. Oggi gli arabi aprirebbero la breccia al primo venuto che li liberasse da uno stato di miseria morale e materiale che non può essere peggiore. Al contatto nostro hanno imparato a conoscerci più degli altri ed oso dire che non vi sia indigeno intelligente che non faccia voti per una liberazione oggi, meglio che domani.

Per lunghi anni hanno sperato nell'aiuto dell'Italia e noi abbiamo mantenuto vivo questo sentimento. Non nascondiamo però che oggi sono al colmo della pazienza e a me specialmente lo dicono con maggior fiducia che con altri.

Giorni sono lo stesso Caramanli Hassuna Pacha, sindaco della città di Tripoli, che è perseguitato dall'attuale valì appunto perché sospetto di italofilia mi diceva: «Non ne posso più; cosa fa il tuo paese? Dì ai tuoi capi ch'io ho 15000 uomini con me, e che se sarò difeso, io non vedo l'ora di schiacciare questi prepotenti».

Riferisco queste cose perché con tutta certezza, data una breve preparazione, posso assicurare che un'azione militare qui si ridurrebbe a far capitolare la guarnigione di Tripoli in poche ore.

Ad Homs, Zleiten, Misurata e Sirt gli stessi indigeni protetti da una sola nave che si presentasse davanti al porto (rada) innalzerebbero in un'ora la bandiera della rivolta. Le poco numerose guarnigioni sparse all'interno sarebbero obbligate o a capitolare volontariamente o a morire di stenti perché mai troverebbero presso gli indigeni nessun aiuto.

La guarnigione di Tripoli consta di circa 2500 uomini che possono aumentare in caso d'allarme, richiamando le guarnigioni del Gebel, Gherian, Jefren e pochi altri posti distaccati, fino ad un massimo di 4000 uomini così ripartiti: fanteria 2500 uomini, cavalleria da 600 a 800, artiglieria (cannoni Krupp) 5 batterie da 6 pezzi, gendarmeria 300 uomini.

I forti staccati di Tripoli non hanno nessuna importanza, sono muniti di pochi cannoni Krupp da campagna e sono battuti facilmente dalla parte del mare. Il forte poi che dà sul porto non è calcolabile e occorrendo si potrebbe effettuare anche lo sbarco nella città senza difficoltà dalla parte del porto stesso. Nel porto ci sono galleggianti e due rimorchiatori atti a sbarcare almeno 500 uomini in una sola volta.

Un'operazione militare su Tripoli dovrebbe a mio parere svolgersi nel modo seguente. In seguito a qualche grave incidente una squadra di tre o quattro corazzate dovrebbe presentarsi davanti al porto di Tripoli (mentre nelle rade di Homs, Zleiten; Misura e Sirt basterebbe un solo incrociatore). Nelle 24 ore seguenti dovrebbero sbarcare due corpi d'operazione di 5000 uomini: uno fra Zanzur e Zawia l'altro a Tagiura e marciare su Tripoli riunendosi alle spalle della città, la quale sarebbe minacciata dal mare dalla squadra e chiusa alle spalle dal corpo d'operazione.

Si possono prevedere tre soluzioni.

La prima che la guarnigione esca dalla città e si interni nel paese; soluzione disastrosa perché il corpo d'operazione occuperebbe la città ed alla guarnigione non rimarebbe che internarsi nel paese senza speranza di ricevere soccorsi, molestata dagli indigeni, finirebbe col capitolare chiedendo di essere rimpatriata.

La seconda che dia battaglia alle porte della città stessa. La terza che credo la più probabile che davanti al fatto compiuto capitoli senz'altro.

Può succedere un massacro di europei a Tripoli? Non è da escludersi. Ma anche questo si può evitare quando colla squadra si trovassero già in porto tre o quattro vapori mercantili e nelle 48 ore che correrebbero dall'arrivo della squadra all'azione del corpo d'operazione si potrebbero imbarcare tutti gli italiani (circa 800) e quella parte di stranieri che possono temere della loro vita. I sudditi stranieri indigeni ed i maltesi non hanno nulla a temere. Dopo le 48 ore la città di Tripoli sarebbe tranquilla e si assisterebbe allo spettacolo di una vera gioia da parte degli indigeni che oggi minacciati dal valì si prestano a qualche aborto di dimostrazione italofoba.

Tagliare i fili telegrafici e pensare a non far funzionare la stazione radiotelegrafica di Derna è la cosa più semplice.

L'Italia completerebbe poi rapidamente l'opera sua se, non appena occupata Tripoli, emanasse un proclama e un decreto. Col proclama, promettendo protezione, aiuti eccetera, si invitano le tribù a dedicarsi oramai al miglioramento delle loro terre e ai loro commerci, tenendo alto il nome e la fama di un popolo che ha una storia gloriosa eccetera, eccetera. Col decreto si dovrebbe esonerare per dieci anni gli indigeni dalle tasse agricole.

La nomina poi immediata di un bey, che deve essere l'attuale Hassuna Pacha dei principi Caramanli, e di alcuni capi indigeni a governatori dei vari distretti (su ciò potrei dare indicazioni precise) renderebbe tutto il paese indistintamente favorevole ali 'Italia.

L'occupazione però della Cirenaica se non presenta difficoltà per i diversi punti della costa ne presenta di delicatissime per l 'interno.

Premetto che quando si dovesse decidere per l'occupazione di Tripoli si dovrebbe contemporaneamente provvedere all'occupazione della Cirenaica per evitare complicazioni che potrebbero sorgere con qualche altra potenza interessata.

Una nave a Solum, Tobruk, Bomba, Derna e due navi a Bengasi sarebbero necessarie per impedire la sorpresa che qualcun altro, colla scusa della protezione di qualche cittadino, non vi innalzi un'altra bandiera.

In ciascuno dei porti di Solum, Tobruk, Bomba e Derna basterebbe una compagnia di soldati che protetti dalle navi possono sfidare qualsiasi pericolo di attacco. A Bengasi invece occorrerebbero non meno di 2000 uomini.

Il pericolo della Cirenaica è rappresentato dai senussi.

Anche per la Cirenaica bisogna trovare la forma della protezione o se si ritiene necessaria l'occupazione, limitata per ora alla costa. Opportune trattative che si possono svolgere saggiamente anche in seguito, potranno condurre ad un accordo coi senussi. Se per esempio si potesse d'accordo con il capo dei senussi scegliere un bey ben accetto al paese, l 'impresa della conquista completa non sarebbe più che questone di tempo e abilità. Il Banco di Roma ha agenti in tutta la Cirenaica ed io potrei in breve tempo preparare quanto occorre pel caso di un'azione militare.

Il Banco di Roma è fra gli indigeni popolare e simpatico.

Ho creduto mio dovere di buon italiano esporre riservatamente queste mie idee che potranno o non potranno valere, a seconda del giudizio di chi meglio di me conosce la situazione. Occorrendo potrò dare tutti i particolari che mi verranno richiesti, come darò tutta la mia attività e la mia vita, se occorre, lieto di poter essere utile al mio Paese in un'impresa che preparata bene non può presentare eccessive difficoltà, né richiedere gravi sacrifici.

62 1 T. 29631113 del 27 giugno, non pubblicato.

64

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3048. Parigi, l° luglio 1911, ore 21 (per. ore 23,40).

N. [...p. Rispondo al telegramma n. 24022 . Circa risposta alla comunicazione inglese, Governo francese non ha nulla ancora deciso. Proposta sembra però destinata a naufragare, Governo germanico essendosi pronunziato recisamente contro intervento a Costantinopoli. In massima, a questo Ministero degli affari esteri si è assai scettici sul valore pratico delle promesse che si ottenessero dalla Turchia. Si pensa inoltre che questione Albania interessi più direttamente Italia Russia ed Austria-Ungheria e che spetta a queste di prendere eventuale iniziativa.

64 1 Gruppo indecifrato. 2 Cfr. n. 62.

65

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2433. Roma, 1° luglio 1911, ore 21,10.

Oggi l'ambasciatore di Germania mi ha consegnato la seguente comunicazione scritta: «Alcune case tedesche, stabilite nel sud del Marocco, specialmente a Agadir e nei dintorni, si sono allarmate per un certo fermento fra le tribù di quelle regioni, che gli ultimi avvenimenti sembra abbiano prodotto in altre parti del paese. Queste case tedesche si sono rivolte al Governo imperiale per chiedergli protezione per le loro vite e i loro averi. Dietro loro domanda il Governo ha deciso d'inviare al porto d'Agadir una nave da guerra, per prestare, in caso di bisogno, aiuto e soccorso ai suoi sudditi e protetti come pure ai considerevoli interessi tedeschi impegnati nelle dette regioni. Appena che lo stato delle cose al Marocco sia ritornato alla calma precedente, la nave incaricata di questa missione dovrà lasciare il porto di Agadim.

Jagow ha soggiunto che a questo si limita la comunicazione ufficiale, ma poi in via confidenziale ha aggiunto le considerazioni che qui riassumo. Quando la Francia decise la marcia su Fez, le notizie sulla sicurezza degli europei che aveva la Germania erano meno gravi di quelle che aveva la Francia, e tuttavia la Germania non protestò e non si oppose. Oggi la Francia, tra le altre cose, ha istituito polizia francese non soltanto nei porti aperti giusta l'atto di Algeciras ma anche altrove. L'atto di Algeciras va sempre più diventando un'illusione. Nelle parti del Marocco dove non sono truppe francesi o spagnuole vi ha un'agitazione che minaccia interessi di tedeschi, che la Germania vuole proteggere da sé. Ritirerà però le sue forze appena l'ordine sarà ristabilito; ma dubita che ciò sia possibile. Jagow non fece alcuna allusione né pro né contro la possibilità di uno sbarco; ma io ebbi l'impressione che questo sia probabile. Egli aggiunse che il Governo tedesco è sempre disposto a mettersi d'accordo colla Francia e colla Spagna sopra una soluzione definitiva della questione del Marocco che sia di soddisfazione di tutte le Potenze firmatarie d eli' Atto di Algeciras; e che spera n eli' appoggio dell'Italia.

lo gli ho risposto che la Germania sa che abbiamo accordi colla Francia1 , che dobbiamo mantenere, tanto più che la Francia li mantiene lealmente per la Tripolitania, e ce ne ha dato una prova recente col trasloco del suo console da Bengasi. Aggiunsi che non esamino se i miei predecessori fecero bene o male a stipulare tali accordi; ma che vi furono indotti dal rifiuto dei nostri alleati di comprendere il Marocco nel Trattato della Triplice Alleanza, e di appoggiarci verso la Francia nelle questioni di Tunisi e di Abissinia (sic)2 . Jagow riconobbe che avevo ragione; ma disse che, se la Germania fosse stata più presto informata di quei nostri impegni,

Tunisi corretto su Tripoli, anziché su Abissinia. Si intenda perciò di Tripoli e di Tunisi.

avrebbe forse altrimenti regolato la sua condotta prima di aderire alla Conferenza di Algeciras. Conchiuse che in ogni modo sperava che avremmo appoggiato la Germania nei casi non previsti dall'accordo franco-italiano. Io replicai che ciò è da esaminare caso per caso, dovendo noi tener conto dei tre principali nostri impegni, cioè: Triplice Alleanza, Atto di Algeciras, e accordo franco-italiano. Ciò crea per noi una situazione delicata nella quale sarà mia guida il desiderio di essere leale con tutti. Jagow replicò alla sua volta essere questa la migliore politica.

Così stando le cose, a me pare che convenga anzitutto che, in via non ufficiale ma confidenziale, io comunichi alla Germania senza indugio il periodo seguente dell'accordo franco-italiano del 1902, relativo agli interessi rispettivi delle due Nazioni in Tripolitania-Cirenaica e al Marocco: «Chacune des deux Puissances pourra librement développer sa sphère d'influence dans !es régions susmentionnées, au moment qu'elle jugera opportun, et sans que l'action de l'une d'elles soit nécessairement subordonnée à celle de l'autre».

Prego VE. informare De Selves di questa mia intenzione: suppongo che egli non si opporrà, e non ne vedrei il motivo. Se si oppone, prego VE. dirmene le ragioni che esamineremo amichevolmente prima di prendere una decisione. Non vi ha dubbio però che il fare tale comunicazione alla Germania ci renderà più facile un'attitudine amichevole verso la Francia senza danno dei nostri rapporti colla Germania. È superfluo aggiungere che tutta la conversazione fra me e Jagow è strettamente confidenziale, e deve restare tanto segreta, che la comunico solo a VE., e non per ora agli altri ambasciatori, tranne Pansa. Ciò non si applica naturalmente alla comunicazione scritta3 .

65 1 Cfr. serie III, voi VI, nn. 518, 619, 620, 621 e 622.

66

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3068/116. Berlino, 2 luglio 1911, ore 11,45 (per. ore 13,25).

Invio di una nave da guerra ad Agadir jeri annunziata dai rappresentanti germanici ai diversi Gabinetti ha prodotto una assai viva impressione presso queste ambasciate di Francia e di Spagna che nessun previo avviso né altro indizio aveva preparate a questa mossa. Kiderlen è ripartito per alcuni giorni ed il sottosegretario di Stato naturalmente asserisce che la misura adottata non ha altro scopo oltre quello della necessaria protezione della colonia tedesca. Credo in ciò debba scorgersi anzi tutto il bisogno di dare una soddisfazione all'opinione pubblica dimostrando che l'apparente indifferenza del Governo imperiale di fronte ai recenti eventi non significa rinunzia ad interessarsi alle cose del Marocco. Questo ambasciatore di Spagna

80 mi disse che, a parer suo, si tratta per la Germania di prendere posizione, in vista dei negoziati intesi a regolare quella questione colle due Potenze occupanti. Cambon, attualmente a Parigi, sarà quindi di ritorno fra breve.

65 3 Per la risposta cfr. n. 68. Legrand informò a sua volta De Selves delle intenzioni di di San Giuliano: cfr. DDF, serie II, t. XIV, n. Il.

67

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 612/237. Madrid, 3 luglio 1911 (per. il 9).

In conformità delle istruzioni datemi dalla E.V. col telegramma del 18 giugno1 , sono partito da Madrid il 23 successivo, motivando la mia assenza con affari di famiglia che mi chiamavano a Parigi e a Bruxelles dove effettivamente mi recai. Chiuso ufficialmente il Congresso eucaristico con la grande processione del 29, ritornai a Madrid ieri sera ed ho oggi notificato il mio ritorno a questo ministro di Stato. Non posso ritenere che non si sia notata qui la coincidenza di questo mio viaggio con l'apertura del Congresso, ma non credo che ciò sia stato inopportuno.

In mia assenza il cavalier Serra ha egregiamente informato la E.V. dello svolgersi del Congresso.

Questo riuscì assai meno grandioso che i promotori non sperassero, e si può dire che più che un Congresso internazionale sia divenuto un Congresso spagnuolo. Così si puo dire che esso si è tenuto anche, per quanto era possibile data la qualità e la mentalità dei convenuti, nell'ambito religioso, e che la politica ebbe in esso la minor parte possibile. Il Governo osservò una attitudine corretta ed usò di tutta la sua influenza perché non si trasmodasse in inopportune manifestazioni. Unici incidenti scorretti furono il grido di «Viva il Papa-re» nelle riunioni di

S. Francisco el Grande e l'uso dei colori pontifici nell'addobbo delle strade. Ma questi erano sempre combinati nello stesso drappeggio con altri colori in modo che non puo dirsi che il vessillo pontificio sia stato dove che sia tollerato, e così il grido sopra citato non si udì nelle vie, ma soltanto a porte chiuse nella chiesa nella quale si radunava il Congresso. Tutto sommato visto l'ambiente e il paese nel quale si riuniva il Congresso e la scarsa coltura e il fanatismo dei numerosi congressisti qui convenuti dalle provincie si poteva temere ben peggio e si deve riconoscere che il Governo ha mantenuto le promesse ripetutamente fattemi di voler impedire che il Congresso assumesse un carattere di dimostrazione politica ostile alle nostre istituzioni.

Il palazzo dell'ambasciata che si trovava sul percorso della processione del 29 era particolarmente custodito dalla forza pubblica, ma da quanto mi riferirono i

segretari che assistettero a quella cerimonia dalle finestre del palazzo, nessun grido né atto scorretto, partì dal lunghissino corteo. Anche i telegrammi scambiati tra il re Alfonso e il Sommo Pontefice in questa occasione non contengono nessun accenno politico.

Una portata politica avrà però il Congresso testé chiuso e sarà di lasciar migliorate le relazioni della Spagna con la Santa Sede. Si erano fatte in passato vive pressioni sul Gabinetto liberale del signor Canalejas perché il Congresso o almeno la grande processione che ne fu la maggiore manifestazione esteriore non fossero autorizzati. Non mancarono le minaccie di disordini. Contuttociò il signor Canalejas tenne fermo, autorizzò Congresso e processione, e riuscì a mantenere l'ordine pubblico. È questa una prova di buona volontà che il Governo liberale aggiunge a quelle che da parecchio tempo va dando alla Santa Sede e della quale questa non può non essere soddisfatta. Ora si è anche approfittato senza il minimo indugio della morte del signor Ojeda per chiedere il gradimento d'un nuovo ambasciatore che non si nominerà certamente per !asciarlo indefinitamente in congedo. Tutto ciò prova che malgrado l'atteggiamento energico che il presente Gabinetto liberale aveva da principio assunto nella controversia col Vaticano esso non si sottrae alle influenze che dominano in questo paese il quale in fatto di politica ecclesiastica ha ancora le idee di mezzo secolo fa. La separazione della Chiesa dallo Stato vagheggiata già dal signor Canalejas è ancora molto lontana.

Una circostanza curiosa si riscontra nel fatto che l'ambasciatore designato presso il Vaticano, signor Navarro y Reverter, ebbe già mentre era ministro delle finanze una lunga disputa con l'arcivescovo di Valenza per la vendita di certi beni di congregazioni religiose alle Baleari. La controversia ebbe per conseguenza la scomunica pronunciata dal prelato contro il ministro, il quale viene ora chiamato a rappresentare il suo sovrano presso il Sommo Pontefice.

67 1 T. s.n., in realtà del 17 giugno, non pubblicato, col quale si dava istruzione di assentarsi dalla Spagna durante il Congresso eucaristico con un pretesto plausibile.

68

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO PERSONALE S.N./313. Parigi, 4 luglio 1911, ore 21,20 (per. ore 6,55 del 5).

Ho fatto appena a tempo, prima che De Selves partisse per l'Olanda, a parlargli di quanto l'E.V. mi ha comunicato con telegramma n. 2433 1 e De Selves ha fatto appena a tempo a riferirne a Caillaux, col quale ho conferito stamane. Egli si riserva di meditare meglio la cosa e tornare a discuterla con me e De Selves, al ritorno di questi, dal punto di vista degli interessi franco-italiani, che è quello nel quale io mi

82 sono esclusivamente posto. Intanto Caillaux osserva che, comunicando alla Germania gli impegni che l'Italia ha con la Francia per il Marocco, non si può fare a meno comunicarle quelli che la Francia ha verso l'Italia per la Tripolitania. Ora Caillaux dice di avere la certezza che questi ultimi sarebbero subito fatti noti dalla Germania a Costantinopoli, con grande nocumento della posizione della Francia e dell'Italia colà. Caillaux ha pregato me e prega l'E.V. di considerare questa sua obiezione. Poiché non tornerà che sabato, sarebbe opportuno che per detto giorno io conoscessi il pensiero di V.E. in proposito2 .

68 1 Cfr. n. 65.

69

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3105/119. Berlino, 4 luglio 1911, ore 22,10 (per. ore 6,15 del 5).

Marocco. Riferisco sostanza di quanto mi ha detto oggi sotto-segretario di Stato circa affari Marocco. A sostituire «Panther», richiamata per riparazioni, trovasi in viaggio per Agadir incrociatore «Berlino» di circa quattromila tonnellate e 400 uomini di equipaggio. Non si ha finora intenzione di procedere ad alcuno sbarco, ma quella stazione sarà mantenuta fino alla soluzione delle presenti difficoltà. Motivo immediato della presa decisione fu quello della nota versione ufficiale, cioè l'appello di quei coloni tedeschi, che si ritengono minacciati da possibili disordini favoriti dall'imminente ritiro dei raccolti e dalla vicinanza di El-Glaui, l'ex ministro destituito per influenza francese. S'intende che l'effettivo pericolo per Agadir non è né più né meno grave di quello denunziato dagli spagnoli a Larache o dai francesi a Fez. Ma, in presenza del dilagarsi della costoro occupazione e della continua creazione dei posti di polizia in località non previste dall'Atto di Algeciras, «Germania non potere evidentemente aspettare, per dare segno di vita, che Francia avesse intascato l'intero Marocco».

Quanto al da farsi, il desideratum del Governo imperiale sarebbe, in prima linea, il ristabilimento puro e semplice dello statu quo ante sulla base dell'Atto di Algeciras. Si riconosce, però, che questo sarà difficile a conseguirsi completamente dopo quanto avvenuto. Germania, d'altra parte, non desidera una qualsiasi spartizione territoriale del Marocco, la quale creerebbe pericolose complicazioni, tanto più che in tal caso sarebbero a prevedere, oltre alle pretese della Spagna anche quelle dell'Inghilterra probabilmente su Tangeri e forse anche su Tetuan. Governo imperiale non ha quindi escogitato finora alcun proprio progetto di soluzione; si attende per la prossima settimana il ritorno di Cambon da Parigi e si spera che egli sia latore di

83 qualche proposta che sarà qui esaminata con lo spirito più conciliante. Tali proposte potrebbero fra altro riferirsi a questioni economiche (per esempio la ferrovia TangeriFez) e simili, circa le quali Germania altro non esige se non una guarentigia di perfetta uguaglianza.

Nell'espormi quanto precede, nel corso della conversazione, sotto-segretario di Stato si mostrava fiducioso di una soddisfacente soluzione, dichiarando che si faceva qui molto calcolo sull'influenza personale di Cambon che dovrebbe avere tanto maggior peso a Parigi, data la inesperienza degli attuali ministri. Egli non crede che alle recenti incaute iniziative di quel Governo, dovute agli incitamenti del gruppo coloniale, abbia avuto parte Delcassé. Kiderlen ebbe anzi a dire, giorni sono, che egli avrebbe preferito vedere Delcassé al Ministero degli affari esteri per poter trattare con persona di autorità. Kiderlen sarà qui di ritorno in settimana.

68 2 Per la risposta cfr. n. 76.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3123/210. Londra, 5 luglio 1911, ore 8,52 (per. ore 12,40).

Marocco. Nicolson nulla di preciso ha potuto dirmi, non avendo avuto agio conferire con Grey dopo lungo odierno Consiglio dei ministri. Dichiarazione, che tutti si aspettavano da Grey alla Camera, è stata rinviata. Nel corso della conversazione che ha avuto, beninteso, carattere affatto privato e accademico con Nicolson, gli ho chiesto quale importanza conveniva attribuire ad un articolo con tendenza alquanto germanofila comparso ieri su Westminster Gazette. Ha dichiarato in modo categorico articolo non rappresentare in alcun modo vedute Governo, il quale non verrà certo meno né allo spirito né alla lettera suoi impegni con la Francia. Incidentalmente, poi, ha osservato essere ovvio che ali 'Inghilterra non converrebbe vedere Germania acquistare sull'Atlantico un porto che potrebbe col tempo divenire base operazioni militari. Ha, inoltre, aggiunto essere tempo di finirla con questo sistema di politica a base di pugno e di fatti compiuti. La Germania ha fatto ora primo passo; conviene attendere risposta che non si farà aspettare. Sarà un negoziato non facile, nel quale occorrerà molta abiltà e molta fermezza. Intanto, sono sfumati i benefici effetti che si speravano dalla visita imperatore, circa la quale Nicolson mi ha ricordato suo contegno scettico in contrasto con entusiasmo generale. Ripeto, ad ogni buon fine, che Nicolson mi ha, stante intimità nostre relazioni, manifestato vedute puramente sue personali. Ambasciatore di Russia, che io ho veduto più tardi, pur constatando vivissima irritazione qui prodotta dalla mossa germanica, non si mostra in complesso seriamente allarmato. Per quanto al Foreign Office vigano tuttora intatte disposizioni ereditate dalla politica dei conservatori, è evidente che, in una questione così grave, Governo non può non tener debito conto tendenze generali eminentemente pacifiche del partito liberale. D'altra parte, è ovvio pure supporre che un eventuale contegno troppo rigido del Governo inglese potrebbe non convenire nemmeno al Governo francese. Linguaggio stampa odierna si mantiene misurato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO 2483. Roma, 5 luglio 1911, ore 10,30.

Ho ricevuto i due telegrammi di V.E. nn. 269 e 277 1 , e prendo atto con soddisfazione di quanto le disse Aehrenthal circa opportunità che i Governi italiano e austro-ungarico tengano identico linguaggio alla Turchia in ulteriori eventuali occasioni. Ciò che egli aggiunge posteriormente circa le tre potenze più direttamente interessate nella questione albanese, è stato in altri termini espresso dall'ambasciatore di Russia a Londra ad Imperiali. Questi così mi telegrafa: «Benkendorff, parlandomi dell'utilità di quel contegno» (eccetera come nel telegramma n. 3058, fino alle parole: «appoggio Francia, Inghilterra»?. D'altra parte Rodd, tornato da poco da Londra, m'informa di una conversazione colà avuta con Cartwright, il quale gli disse essere convinto che Aehrenthal gradirebbe che l'iniziativa di un'azione qualunque itala-austriaca per porre fine alla rivolta in Albania partisse dall'Italia. Comunico tutto ciò a V.E. perché ella, prima di muovere alcun passo in proposito, mi esponga il suo avviso circa la convenienza di parlame ad Aehrenthal, sia nel senso di iniziare eventuale azione diplomatica itala-austriaca, sia nel senso di associare a siffatta azione anche la Russia. In questo ordine di idee ho ricevuto, e comunico a V.E. per sua personale informazione, il seguente telegramma del r. ambasciatore a Parigi: «Qui si vedrebbe di buon occhio» (eccetera come nel telegramma n. 3091, fino alle parole: «terreno più propizio»3).

2 T. del lo luglio: «Benckendorff, parlandomi dell'utilità di quel contegno identico itala-austrorusso caldeggiato da Grey, disse che relazioni austro-russe sono ancora fredde al punto da rendere malagevole all'una od all'altra Potenza di iniziare conversazioni per intendersi su di una efficace collaborazione. A parere del collega, l'Italia, terza Potenza più direttamente interessata, stante cordialità sue relazioni coi due Paesi, sarebbe specialmente qualificata per intervenire a Vienna e Pietroburgo, allo scopo di facilitare intesa tra le tre Potenze, per eventuale azione comune che avvenimenti potrebbero da un momento all'altro rendere imperiosamente necessaria ed alla quale sarebbe assicurato cordiale appoggio Francia, Inghilterra».

3 T. del 3 luglio: «Qui si vedrebbe di buon occhio che Italia, Austria e Russia s'intendessero per un'azione comune verso la Turchia. Io tentai già un tale accordo, ma mio accordo s'infranse contro rivalità personali di Isvolsky ed Aehrenthal. V.E. ove ritenesse tale accordo desiderabile, come io fermamente lo ritengo, troverebbe ora terreno più propizio ... ». Per la risposta cfr. n. 75.

71 1 T. 3040/269 del 30 giugno e T. 3088/277 del 2 luglio, non pubblicati.

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L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3134/614. Therapia, [5] luglio 1911, ore 16 (per. ore 19).

Albania. Situazione non accenna migliorare. Tale è pure il parere di Pallavicini. Però, anche con lui gran visir si mostra ottimista. Ragionando sulle dichiarazioni fatteci da Hakki pascià, siamo venuti a questa conclusione. Il Governo ottomano farà di tutto per evitare guerra. Prolungherà se occorre i termini per la sottomissione. Non garantirà né prometterà nulla apertamente per non offendere sentimenti militari e musulmani con scendere a patti con briganti cristiani. Ma, nel fatto, coloro che rientreranno saranno oggetto di speciali riguardi onde invitare altri seguirne esempio. Si permetterà il porto d'armi ai pastori, guardie forestali eccetera, dietro garanzie consiglio degli anziani di ciascun villaggio e, dopo ottenuta licenza dalla autorità governativa, si distribuiranno cereali ai bisognosi, si ripareranno case e chiese danneggiate. Nelle operazioni militari non si riprenderanno occupazioni militari, ma si manterrebbero posizioni. In tal modo, gran visir spera non provocare ostilità col Montenegro e, lentamente, ma senza urtare, richiamare insorti alle loro case.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

D. RISERVATO 60. Roma, 5 luglio 1911.

Mi pregio inviare qui accluso alla E.V. un promemoria relativo all'atteggiamento tenuto dalle autorità francesi verso la Tripolitania e verso le iniziative che noi tentiamo di svolgere in quella regione.

Rimetto questo documento ad informazione personale della E.V. ed eventuale norma di linguaggio nella questione dei Carmelitani Scalzi di Siria. Qualora poi se ne presenti favorevole opportunità ella potrà anche valersene per richiamare codesto Governo all'esatta osservanza dell'accordo franco-italiano.

ALLEGATO

PROMEMORIA. Roma, . . . 1911.

Le relazioni tra le autorità della Tripolitania e quelle della Tunisia sono ostentamente ottime. E mentre le iniziative italiane incontrano ogni genere di opposizione, quelle francesi vengono ricercate e appoggiate.

Questa tendenza a stringere rapporti tra la Tripolitania e la Tunisia appare manifesta nella delimitazione della linea di frontiera condotta a termine rapidamente e in modo favorevole alla Francia, nel collegamento della linea telegrafica, e da quello di una strada carrozzabile con servizi d'automobili che uniranno Tripoli alla Tunisia, nell'istituzione di tre borse di studio accordate dal Governo ottomano a giovani tripolini, subito stati designati, che dovranno frequentare la Scuola agricola di Tunisi, eccetera eccetera.

Ingegneri francesi sono messi a disposizione del Governo tripolino e l'ingegner Hegly funzionario autorevole dell'amministrazione tunisina ebbe l'incarico di fare degli studi a Megenin, a Tauerga per la bonifica della oasi, ad Ain Laca per la presa d'acqua da distribuire a Tripoli eccetera eccetera.

Così fu del pozzo artesiano affidato alla ditta franco-tunisina Lecrerc che dovette abbandonare i lavori solo per i suoi sbagliati calcoli -lavori del resto ripresi dal signor Lemoigne. Il quale Lemoigne ha ottenuto senza difficoltà una concessione analoga a Bengasi.

Questa attività spiegata dalle autorità tunisine viene assecondata dai rappresentanti della Francia nel vilayet.

Così la maggior diffusione della lingua francese è stato uno dei due scopi esplicitamente enunciati dal vice console di Francia a Bengasi signor Lelorrain sin dal suo giungere in residenza. E non sembra avventato il credere che le autorità francesi non siano rimaste estranee alla istituzione in Tripoli di un liceo turco, che aveva per iscopo di far argine alla influenza italiana e per il quale fu destinato il signor Gucion insegnante di francese nel Liceo di Trebisonda.

Allo stesso scopo di francesizzazione si ispirava, piu tardi, l'interprete del viceconsolato di Francia a Bengasi, signor Bramii quando accusò il Consiglio d'amministrazione della comunità israelitica, composta in maggioranza d'italiani, di non saper condurre a termine la costruzione della nuova sinagoga. Sembra infatti che la proposta del Bramii tendesse a soddisfare un antico desiderio del viceconsolato di Francia di vedere istituita in Bengasi una Scuola della Alliance Israélite con programma prettamente francese.

Dal canto suo il r.console generale in Tripoli dichiarava recentemente di ritenere che l'opposizione che si va manifestando nel giornale Mersad e nel popolo contro la società araba dei fosfati che è appoggiata dagli italiani, fosse alimentata direttamente dal valì e suoi consiglieri ed indirettanente dal console di Francia in Tripoli il quale approfittando delle ottime attuali relazioni col valì insinuerebbe contro le nostre imprese.

Dal resto il sovracitato signor Lelorrain viceconsole di Francia a Bengasi parlando del signor Lemoigne che era andato a Tripoli per ottenere la concessione di pozzi artesiani in quel vilayet, esplicitamente dichiarava al cavalier Bemabei, «<l est bien entendu que l'ltalie a le privilège des concessions en Tripolitaine mais elle n'en a pas le monopole».

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L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 625/241. Madrid, 5 luglio 1911 (per. l' 11).

Il marchese d' Alhucemas che vidi ieri al mio ritorno mi si mostrò anche più riservato del solito sulle cose del Marocco. Egli sviò tosto la conversazione dall'incidente d'Agadir per condurla sulle trattative franco-spagnuole che egli con accento che non mi pareva molto convinto mi disse di sperare di poter riprendere in breve con buone probabilità di intesa. Questa estrema riserva, del resto conforme alle abitudini del ministro di Stato, non mi sorprese in questa circostanza essendo naturale il desiderio dei ministri spagnuoli di non pronunciarsi circa un avvenimento del quale non possono peranco valutare la portata né prevedere le conseguenze. Nella stampa però e anche nelle varie sfere politiche l'improvviso intervento della Germania fu accolto con grande soddisfazione. Ho ragione di credere che sia giunto del tutto inatteso, ma è certo che giunse in buon punto, quando cioè il dissidio franco-spagnuolo stava facendosi più acuto, quando qui più si temeva che un atteggiamento energico del Governo della Repubblica potesse porre il Governo spagnuolo in una situazione difficile. È innegabile che l'arrivo del «Panther» a Agadir operò in favore della politica spagnuola una assai opportuna diversione. E da tante parti si è andato qui ripetendo che la miglior risposta alle prepotenze francesi era un'intimo accordo con la Germania, che ora quasi tutti sono qui disposti a credere che l'intervento della Germania si sia verificato d'intesa con la Spagna e rappresenti quindi per questa un notevole successo diplomatico. Le mie informazioni e la mia costante impressione sono, come telegrafai alla E.V. 1 , assolutamente contrarie a quella supposizione, e ritengo che questo Governo non sia stato posto in alcun modo prima degli altri a conoscenza delle intenzioni della Germania. Me lo disse con molta spontaneità e precisione di parole il principe di Ratibor affermandomi che la notizia che fu incaricato di comunicare al marchese d' Alhucemas aveva sorpreso lui quanto il suo interlocutore; né ritengo che il mio collega abbia in quell'occasione voluto dissimulare la verità. Egli mi aveva del resto sempre ripetuto quello che più volte ho riferito alla E.V., che cioè se la Germania si decidesse a far qualcosa al Marocco lo farebbe per conto ed interesse proprio e non per appoggiare la causa della Spagna.

Comunque sia basta che l'intervento della Germania sia sgradito a Parigi perché qui sia ben accolto. Accanto però al piacere di vedere a sua volta nell'imbarazzo la possente rivale, incominciano a sorgere le preoccupazioni per le ambizioni di cui può essere indizio l'intervento della Germania. La stessa ubicazione del pegno che essa sembra essersi assicurato in vista di spartizione del Marocco, è oggetto qui di non liete riflessioni. Mi risulta da buona fonte che la Spagna quando negoziò con la Francia l 'accordo del 1904, fece quanto potè perché Agadir fosse attribuito alla sua sfera d'influenza, e non potè malgrado lunghi sforzi ottenerlo. Agadir è l'unico porto del litorale meridionale del Marocco che abbia serio valore, è vicino al territorio di Santa Cruz che la Spagna si assicurò fin dal 1860 col contratto di Wad-Ras e che non occupò mai effettivamente ma che fu contemplato anche negli ultimi negoziati con El-Mokri; inoltre Agadir è quasi in faccia alle Canarie. Tutto questo spiega perché la Spagna annettesse in passato molta importanza a comprender quel punto nella propria sfera e come non si veda in fin dei conti volentieri insediarvisi un'altra potenza. I pericoli che può preparare agli interessi spagnuoli nell'avvenire l'atto compiuto dalla Germania non sfuggono certo a questo Governo, e sono forse il motivo principale del gran riserbo che esso mantiene intorno ad un avvenimento che la maggioranza del pubblico, tutta dominata dai suoi rancori contro la Francia, ha salutato con soddisfazione.

74 1 T. 3094 del 3 luglio, non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3160/281. Vienna, 6 luglio 1911, ore 22,25 (per. ore 7 del 7).

Telegramma di V.E. 2483 I. La Wiener Allgemeine Zeitung e la N eu e Freie Presse fecero conoscere ieri l'altro sera che in seguito allo scambio di vedute tra Austria-Ungheria, Italia e Russia, erasi constatata esistenza tra le tre Potenze d'una perfetta concordanza di vedute circa questione albanese ed il secondo di detti giornali aggiungeva che esse erano anzi addivenute ad un pieno accordo tra loro. Per avere informazioni particolareggiate circa tale notizia che si affermava provenisse dall'ufficio stampa del Ministero imperiale e reale degli affari esteri ed a cui aveva alluso in parte conte Khuen seduta ieri Camera deputati ungherese, io aveva chiesto ad Aehrenthal di ricevermi ieri, ma egli ne fu impedito essendo stato costretto assentarsi da Vienna. Mi propongo però indagare cosa oggi avendomi Aehrenthal dato appuntamento per oggi stesso. L'affermazione di Cartwright a Rodd, da questo riferita a V.E., circa una nostra iniziativa per una azione qualunque italo-austro-ungarica intesa porre fine rivolta Albania, dimostrerebbe che egli non abbia avuto sufficiente conoscenza del completo ed intimo accordo tra noi ed Austria-Ungheria per ciò che riguarda la questione albanese e della linea di condotta che Aehrenthal intende seguire in massima nella medesima sia per il momento che per l'avvenire, salvo eventi imprevisti. La nostra azione infatti si è svolta finora di conserva coll'Austria-Ungheria e V.E. conosce già dai miei anteriori telegrammi come essa dovrebbe svolgersi secondo parere Aehrenthal qualora situazione si aggravasse e fosse imminente conflitto tra Montenegro e Turchia ed anche nel caso in cui questo scoppiasse. Per cui, non mi sembra che vi sia da parte nostra la convenienza di iniziare in proposito una eventuale azione diplomatica italaaustro-ungarica. È indubitato che Aehrenthal desidera che all'azione italo-austroungarica, si associ pure quella della Russia. Mi risulta, da fonte autorevole, che egli si è accorto di essere andato troppo oltre verso Turchia col noto articolo del Fremdenblatt e che vorrebbe evitare che Russia si trovasse in un campo diverso dal nostro ed ottenere, quindi, possibilmente la sua cooperazione nello svolgimento futuro della questione presente. L'avere annoverato la la Russia insieme all'Italia ed ali' Austria-Ungheria tra le Potenze più interessate nella questione, fa constatare che tale è realmente il suo desiderio. E, se la notizia in parola fosse confermata per ciò che riguarda la concordanza di vedute tra Austria-Ungheria e Russia rispetto la questione albanese, ciò dimostrerebbe che, non ostante la freddezza che esiste tuttora nei rapporti tra l'Austria-Ungheria e la Russia, Aehrenthal sarebbe riuscito a raggiungere l'intento prefissosi. Quindi, anche per questo riguardo, non mi sem

75 Cfr. n. 71.

89 brerebbe opportuna una nostra iniziativa. Del resto, conoscendo l'estrema suscettibilità di Aehrenthal e le dichiarazioni da lui fatte nel tempo di non desiderare, cioè, l'intermediario di alcuna Potenza, nemmeno della Germania, per migliorare rapporti Monarchia colla Russia, non credo che una nostra proposta di coadiuvarlo per rendere più definitiva e reale l'opera che ha iniziato potrebbe riuscirgli gradita. Ciò non toglie, però, che noi potremmo valerci degli amichevoli rapporti che abbiamo colla Russia e la Monarchia per adoperarci con molta discrezione al fine di facilitare un'azione concorde delle due Potenze con noi per quello che riguarda la questione albanese. Resterebbe tuttavia da esaminare se sarebbe della nostra convenienza per la tutela avvenire dei nostri interessi nei Balcani di agevolare in generale il completo riavvicinamento dell'Austria-Ungheria alla Russia. N o n devesi dimenticare che il gran miglioramento dei rapporti dell'Austria-Ungheria con l'Italia è andato di pari passo col peggioramento dei rapporti tra Austria-Ungheria e la Russia. Fallito nel 1908 l'accordo a tre, lo stesso onorevole Tittoni conclude nel 1909 l'accordo a due tra l'Italia e la Monarchia2 , il quale, insieme agli amichevoli rapporti che non abbiamo mai cessato di intrattenere colla Russia indipendentemente dall'Austria-Ungheria, mi sembra che costituisce per ora e per il prossimo avvenire la migliore tutela dei nostri interessi nella Penisola balcanica.

76

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 2520. Roma, 6 luglio 1911, ore 23,50.

Ricevuto ten suo odierno telegramma riservato concernente comunicazione non ufficiale alla Germania della parte de li 'accordo franco-italiano relativo al Marocco e alla Tripolitania 1• Le grand mi aveva fatto osservare che la comunicazione di quella parte poteva far nascere nella Germania maggiori diffidenze sulla parte che non le si comunicherebbe. Questa obiezione mi sembra molto seria, ed io stesso ci avevo pensato dopo aver telegrafato a V.E. Mi pare invece meno seria l'obiezione di Caillaux perché la Turchia al pari del mondo intero, sa benissimo lo spirito e la sostanza dell'accordo franco-italiano rispetto alla Tripolitania. In ogni modo parmi che non sia il caso di insistere per ora, potendo noi, per ora, aderire al desiderio della Francia di non fare la comunicazione e forse valerci più tardi di tale nostra adesione come un mezzo di più di resistere eventuali esagerate pretese francesi nelle ulteriori probabili fasi della questione del Marocco. Agenzia Stefani riceve da Parigi un telegramma che annuncia essersi V.E. recato da Caillaux per assicurarlo della nostra fedeltà all'accordo franco-italiano pel Marocco. Ho impedito che questo telegramma venisse pub

76 1 Cfr. n. 68.

90 blicato. È probabile che nel corso del colloquio V.E. abbia detto anche questo e ciò è perfettamente naturale, ma è ben diverso da un passo ufficiale fatto espressamente come il telegramma Stefani ne aveva l'apparenza indubbiamente inesatta. Ne ho anche parlato a Jagow che se ne è persuaso e telegraferà occorrendo al suo Governo.

75 2 Cfr. serie IV, vol. VNI, nn. 3, 5, 6, 13, 17 e 21.

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IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 414/146. Cettigne, 6 luglio 1911 (per. l ' 11).

In un colloquio avuto ieri l'altro col re Nicola, tenendo presenti le istruzioni che l'E.V. si è compiaciuta d'impartirmi anche recentemente, non ho mancato di rinnovargli, da parte del R. Governo, le raccomandazioni di continuare a tenere un contegno calmo, prudente e circospetto di fronte alla Turchia, che si trova impegnata a sedare l'insurrezione scoppiata presso i confini del Montenegro.

Sua Maestà ebbe alle mie parole un movimento di meraviglia, e mi disse di comunicare all'E.V. come fosse quasi offeso di queste reiterate raccomandazioni: «Non una -sono sue parole -ma cento volte vi ho dichiarato formalmente che non ho verona intenzione di attaccare la Turchia, e perciò mi regolo ed agisco in conformità di tale deliberato proposito. Dubitarne ora, e seguitare ad esortarmi a non fare ciò che non desidero di fare è poco riguardoso per me».

Poi prese un foglio di carta e si mise a scrivere, mentre io gli facevo rispettosamente osservare che le nostre amichevoli insistenze venivano dettate dal grande e particolare interesse dell'Italia per il Montenegro, e per il suo sovrano, non meno che per la conservazione della pace nei Balcani, voluta e considerata necessaria da tutte le Potenze, le quali vedevano le disastrose conseguenze cui avrebbe potuto condurre una guerra turco-montenegrina, e le gravi ripercussioni e complicazioni che essa avrebbe facilmente potuto far nascere in Europa certo senza profitto del Montenegro, anzi con sicuro danno suo materiale e morale, e con discredito della dinastia.

«Vostra Maestà-ho continuato-non sarà, ne sono persuaso, né sorpresa né offesa, quando vorrà pensare da quali motivi è ispirato il Governo italiano nel ripetere spesso consigli e raccomandazioni, con cui non intende affatto di dubitare delle assicurazioni già date da Vostra Maestà in senso pacifico, ma di imprimere con maggior forza nell'animo suo, per desiderio di vederla immune da pericoli, il bisogno di evitare qualsivoglia atto che potrebbe dare origine ad un conflitto armato con l'Impero ottomano».

A questo punto il re mi porse il foglio su cui aveva scritto le seguenti parole: «Non cher baron. Le Monténégro n'est pas intentionné de faire la guerre à la

Turquie. Mon pays n'acceptera pas une lutte avec cet Empire que s'il en est attaqué. Nicolas». Egli mi disse di conservare l'autografo per suo ricordo, ed a titolo di conferma del già preso impegno.

Poi proseguì dicendo che il solo pericolo stava nella probabile offensiva di Turgut pascià contro i ribelli rimasti in armi tra la destra riva del fiume Zem e la frontiera montenegrina. Il generalissimo, allo spirare del termine concesso per la sottomissione, si sarebbe mosso con tutte le sue forze per sterminarli, e non avrebbe rispettato nell'inseguimento il limite della frontiera. Allora le truppe montenegrine sarebbero entrate in azione, e la guerra ne sarebbe necessariamente venuta.

In previsione di ciò Sua Maestà mi ha comunicato di avere dato gli ordini per mobilizzare una divisione, forte di sei a settemila uomini, con 30 cannoni, tra Podgoritza e Triebsi (Zatriebac), fin da sabato, 8 corrente, per essere pronta in ogni evento.

Per chi non conoscesse l'intimo sentimento del re Nicola, una simile comunicazione sarebbe da considerarsi come allarmante, mentre, in realtà, ha lo scopo di provocare dalle Potenze, interessate al mantenimento della pace, una maggiore attività tendente a conseguire dalla Turchia le concessioni volute per indurre gl'insorti a deporre le armi ed i rifugiati a rimpatriare affidando però al re stesso l'incarico della pacificazione.

Tanto ciò è vero che sino a questo momento nessun ordine è stato emanato in relazione alla mobilitazione in parola, ed io sono convinto che non sarà emanato neanche più tardi.

Del resto, non ve n'è praticamente alcuna necessità, anche se si è decisi ad affrontare i turchi violatori del territorio; poiché tutto l'esercito montenegrino si può mobilizzare, per così dire, in un attimo, la mobilizzazione consistendo semplicemente in questo: avvisare i soldati, ovverosia tutti i cittadini, già armati, a tenersi pronti alla chiamata, e non allontanarsi troppo dai loro villaggi.

Senonché a me è sembrato assolutamente inopportuno ed anche pericoloso l'annunzio di una tale mobilitazione, intesa come spauracchio, e mi meraviglio che il re vi abbia pensato. La Turchia potrebbe vedervi una sfida. Sarebbe più saggio ed avveduto invece -né ho mancato di dirlo essendo la mia opinione stata richiesta -lasciare come si trova il contingente delle guardie-frontiera, pure ammettendo l'eventualità di violazioni del territorio dello Stato, da parte dei soldati ottomani in prossime operazioni militari, salvo a protestare di poi, ed agire secondo le circostanze, forti della ragione che si metterebbe dalla parte del Montenegro. Che se, per avventura, il contegno dei turchi fosse tale da non poter essere in alcun modo tollerato, e da esigere inevitabilmente il ricorso alle armi, in poche ore il Montenegro potrebbe radunare e portare al confine una parte delle sue forze ed in un paio di giorni l'intero esercito. Inutile, quindi, proclamare da ora la mobilitazione di una divisione, che non ha senso.

Non sarà senza interesse di sapere l'impressione che produrrà sul Governo ottomano la notizia di questa nuova mossa del re Nicola, che a me pare imprudente.

78

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3180/323. Parigi, 7 luglio 1911, ore 18,05 (per. ore 22,35).

Marocco. Fra Germania e Francia la questione in questo momento si pone nei seguenti termini: nessuna delle due vuole essere la prima ad iniziare la conversazione dovendo una attendere che l'altra cominci a parlare e faccia delle proposte. Dai discorsi degli uomini politici francesi e dal linguaggio della stampa, malgrado ostentata fermezza e sicurezza, traspare questo stato d'animo: scarsa fiducia nelle forze della Francia e grandissima fiducia nell'intervento dell'Inghilterra. Agenzia Havas pubblica telegramma da Tangeri di fonte inglese con testo trattato segreto tra Francia e sultano Marocco che sottopone questo a vero e proprio protettorato ed aggiunge che, assunte informazioni a fonte autorizzata, può dichiarare che il preteso trattato è apocrifo. Qui, però, tutti credono che il sultano e El-Mokri hanno venduto il Marocco alla Francia e che il trattato esiste veramente.

79

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3210/98. Madrid, 8 luglio 1911, ore 19 (per. ore 23,10).

Rispondo ultima parte del telegramma di V.E. n. 25261• Si ritiene qui generalmente che Germania non si accontenterà di semplici guarentigie economiche ma chiederà compensi territoriali nel Marocco stesso o a Camerun. Quanto alla Spagna, credo che, salvo che vi si trovi costretta da forza maggiore, essa, non rinunzierà ad un acquisto territoriale che in qualche misura la compensi della posizione preponderante presa dalla Francia e assicuri sua supremazia su quella che essa considera sua sfera d'influenza. Mi riferisco a tale proposito a quanto mi disse il ministro di Stato l'altro jeri (vedere mio telegramma n. 972); aggiungo che Spagna potrebbe tanto meno appagarsi di semplici concessioni economiche, che, data scarsità sue risorse, essa non potrebbe in pratica approfittarne.

79 1 In realtà il T. 2526 del 7 luglio, non pubblicato, non contiene nessuna richiesta. L'ultima parte riassume il n. 70. 2 T. 3172/97 del 6 luglio, non pubblicato.

80

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1636/699. Vienna, 8 luglio 1911 (per. il 14).

Col mio telegramma n. 280 ho segnalato a V.E. un comunicato del Fremdenblatt relativo all'invio dell'incrociatore tedesco ad Agadir.

Tutta la stampa austriaca, senza eccezione, si è espressa in tale occasione in perfetta armonia colla parola d'ordine ufficiosa. L'attitudine di simpatia verso la Germania si è anzi accentuata da quando si è conosciuta la risposta del Governo inglese alla comunicazione tedesca relativa all'invio dell'incrociatore. Si rileva universalmente che il Gabinetto di Londra ha due pesi e due misure; che ha lasciato la Francia lacerare del tutto l'atto di Algesiras e protesta invece contro una piccola infrazione che la Germania ha dovuto commettere per premunirsi dagli effetti dell'azione francese.

Il linguaggio della stampa austriaca merita tanto maggior attenzione, in quanto al principio dell'attuale crisi marocchina esso era piuttosto simpatico verso la Francia e riservato verso la Germania di cui si temeva forse qualche mossa avventata.

81

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1082/378. Berlino, l0 luglio 1911 (per. il 14).

Riferendomi alla corrispondenza telegrafica in questi ultimi giorni scambiata con V.E. circa gli affari dei Marocco, stimo utile ricapitolare in modo sommario le loro recenti vicende per confermare con qualche maggiore particolare le notizie che ebbi da parte mia a trasmetterle su quell'argomento.

L'invio avvenuto il primo di questo mese di una nave da guerra tedesca ad Agadir deve considerarsi come un atto di protesta contro l'azione condotta da tre mesi al Marocco dal Governo francese e come l'affermazione del proposito della Germania di provocare da parte di questo una spiegazione dei suoi intendimenti e costringerlo ad un più soddisfacente e positivo accordo per l'avvenire.

L'occupazione della Schauja, sebbene protratta fin dall'anno scorso oltre le promesse e destinato secondo ogni apparenza a divenire definitivo, era sopportato qui con poco piacere ma con pazienza, al che contribuiva una certa fiducia che aveva saputo inspirare il ministro Pichon secondato dalle abili e concilianti assicurazioni di questo ambasciatore francese. Ma poco dopo l'avvento del Gabinetto Monis e del ministro degli esteri signor Cruppi a Parigi, cioè circa la metà aprile u.s., si cominciò a parlare colà di gravi pericoli corsi dagli europei in Fez e verso la fine di quel mese si iniziava la marcia delle truppe della Repubblica verso l'interno. Fu allora da ognuno osservata la attitudine tranquilla del Governo imperiale di fronte a quelle congiunture nonché l'apparente soddisfazione colla quale esso accolse le dichiarazioni del signor G.Cambon circa gli onesti intendimenti del suo Governo. In data del 30 aprile però un comunicato ufficioso della Nord Deutsche Allgemeine Zeitung significava apertamente che qualora la Francia si trovasse indotta, volontariamente

-o no, ad oltrepassare i limiti dell'Atto d'Algesiras «la Germania riacquisterebbe la propria liberta d'azione». Pochi giorni dopo, in un privato colloquio col signor von Kiderlen, essendosi fatto tra noi allusione all'interesse che avrebbe avuto la Francia ad aspettare dal tempo la soddisfazione delle sue ambizioni al Marocco che tutte le circostanze contribuivano a favorire, il segretario di Stato mi disse: «il tempo infatti sarebbe corso a totale beneficio dei francesi ma essi non lo compresero: tanto meglio per noi!». Egli ripartiva il giorno dopo per Kissingen. Ai primi di maggio, dopo qualche esitazione del Gabinetto di Parigi che qui fu interpretata nel senso di una rinuncia ad occupare Fez, l'avanzata su quella capitale fu risoluta. Il signor G.Cambon che personalmente mi aveva più di una volta lasciato intendere i suoi dubbi circa la saviezza della politica adottata dal suo nuovo Ministero mi si mostrava piuttosto inquieto e, come ebbi allora a riferirlo, non mi nascose che egli prevedeva un qualche atto di reazione da parte della Germania; egli perfino calcolava meco che i guai con questo Governo comincerebbero a prodursi entro tre mesi e come ora si vede, quel calcolo sbagliava di poco. L'entrata delle truppe francesi a Fez si effettuava il 23 di maggio. L'ambasciatore cercò di attenuarne l'impressione col reiterare le assicurazioni di un prossimo ritiro di quelle truppe tosto che l'ordine fosse colà ristabilito insieme all'autorità del sultano. Anche di ciò questo sottosegretario di Stato conformemente all'attitudine adottata, prese atto senza osservazioni. Egli però mi diceva (il 28 maggio) che se quella promessa del Governo francese tardasse più del discreto ad essere adempiuta «qualcuno si troverebbe per ricordargliela». - -o meno trapelato nel pubblico, essendone stata discretamente avvisata la stampa e ciò spiega la calma colla quale, salvo qualche voce d'impazienza degli ultra-nazionalisti, i sovraccennati avvenimenti vennero generalmente accolti dai giornali tedeschi. A ciò contribuì senza dubbio la fiducia di cui gode personalmente l'attuale segretario di Stato per gli affari esteri, al quale nessuno rimproverò nemmeno di rimanere durante quel tempo assente dalla capitale. È lecito asserire di passaggio che uguale indulgenza non si sarebbe certamente accordata al suo predecessore. Ma dal signor von Kiderlen ognuno aspettava che al momento opportuno egli avrebbe saputo dimostrare che il suo silenzio non significava indifferenza. Solo rimaneva a vedersi quando verrebbe quel momento ed in qual forma sarebbe per manifestarsi l'atteso risveglio.

È probabile che questo sia stato infine determinato dall'intervento della Spagna, che con la sua occupazione di Larache ed El'Ksar venne più che mai a porre in evidenza la violazione degli accordi di Algesiras, conseguenza dell'azione francese che per prima vi aveva dato le mosse. Come la Spagna spiegò qui la sua condotta imitando le assicurazioni francesi circa la temporaneità della sua occupazione motivata da più o meno autentiche ragioni di sicurezza degli europei e circa il rispetto dell'integrità del Marocco, eccetera, così il Governo germanico accolse questi schiarimenti come aveva fatto colla Francia, senza osservazioni. Invano il signor G.Cambon si adoperava con sottili distinzioni a dimostrare che i due casi erano diversi. E quando il sultano presentò la sua protesta contro lo sbarco degli spagnuoli, si ostentò qui di non attribuirvi importanza mostrando con ciò di accogliere la massima che il sultano la cui capitale era occupata dai francesi, non era più libero di parlare per proprio conto ma solo per ispirazione di questi.

Il segretario di Stato era ancora assente da Berlino ed il signor G.Cambon in licenza a Parigi, quando, contemporaneamente alla partenza dell'imperatore per la sua consueta crociera nei mari del Nord, fu annunciato che la cannoniera «Panther» di passaggio a Teneriffa nel suo viaggio di rimpatrio dal Sud-Africa, aveva ricevuto ordine di recarsi ad Agadir per tutelarvi gli interessi di alcune ditte tedesche le quali avevano domandato protezione contro «la possibilità di un estendersi dei torbidi dominanti in altre parti del Marocco».

I termini stessi di questo comunicato indicano che il Governo imperiale non ha preteso di far credere che si trattasse di far fronte ad un pericolo effettivo ed imminente. Il sottosegretario di Stato col quale allora me ne intrattenni, non nascondeva infatti che i pericoli per i tedeschi di Agadir non erano né piu né meno di quelli accampati riguardo ai francesi di Fez ed agli spagnuoli di Larache. Si trattava in realtà di una dimostrazione intesa a mettere un punto fermo ai procedimenti dei francesi, senza attendere che questi avessero «intascato l'intero Marocco». Di quelle dichiarazioni del dottor Zimmermann ho reso conto col mio telegramma del 4 corrente1• Esse mi furono in sostanza confermate anche con maggior vigore in un colloquio da me avuto ieri col signor von Kiderlen poco prima ritornato in Berlino. Egli si preparava in quel momento appunto alla sua prima conversaziore col signor G.Cambon giunto anche egli la sera prima da Parigi coll'incarico di aprire negoziati per un componimento della nuova situazione creata dall'intervento della Germania. I francesi, mi disse il segretario di Stato, stavano avanzando poco per volta in territorio marocchino con una serie di piccoli passi graduati, di ciascuno dei quali preso separatamente si poteva discutere se fosse più o meno conciliabile con l'Atto di Algesiras, ma il cui effetto finale era poi praticamente quello di fare dell'intero paese un protettorato francese. Si parlava bensì di una prossima evacuazione di Fez. Ma che poteva ciò significare se le truppe francesi marciavano di là su Mequinez, se si lasciavano a Fez ufficiali e funzionari francesi padroni del sultano, se si stabilivano in tutto il paese posti di polizia e simili comandati da francesi? Anche dal punto di vista economico, i francesi reiteravano le loro dichiarazioni sulla porta aperta e la parità di trattamento di tutti gli stranieri. Ma il potere di fatto essendo in loro mano essi avevano mille modi con cui eludere quella parità. Le chicanes doganali o ferroviarie, egli osservava a titolo d'esempio, possono, ovunque ve ne sia l'intenzione, esercitarsi in modo da annullare gli effetti di qualsiasi tariffa contrattuale; ed infatti già erano giunti, sia da Casablanca sia da altre località, reclami di sudditi tedeschi contro abusi esercitati a loro danno non in forma palese, ma per via

96 indiretta, in modo da lasciar prevedere fin d'ora che cosa accadrà nel giorno in cui la Francia fosse divenuta definitivamente padrona. Per conseguenza, concludeva il segretario di Stato, egli si proponeva di non perdersi a discutere col signor G.Cambon la legalità di tale o tal altro atto particolare del suo Governo, ma bensì di considerare nel suo insieme la situazione dalla quale ormai praticamente risultava che, comunque lo si volesse intendere, l'Atto di Algesiras aveva subito più di uno strappo. Si trattava quindi di cercare, d'accordo una via di uscita da un complesso di cose inaccettabile per la Germania.

Quale sarà questa via di uscita? Su questo punto non mi fu possibile estrarne dal signor von Kiderlen alcuna informazione precisa. Sarebbe prematuro, egli disse il fame cenno prima che gli fossero note le intenzioni del Governo francese del quale egli attendeva che il signor G.Cambon gli porterebbe qualche proposta. Egli soltanto mi accennò, ma a titolo piuttosto di gravame per fatti anteriori, che più volte il Gabinetto di Parigi gli aveva fatto pervenire negli scorsi mesi qualche proposizione alla quale poi esso non dava più seguito dopo che egli (Kiderlen) aveva accettato di discuterla. Ciò non può riferirsi evidentemente che a questioni di indole economica quali sono quelle enumerate in un notevole articolo del Temps del sei luglio che ha tutta l'apparenza di almeno approssimativa verità, cioè a progetti d'intesa per miniere, ferrovie ed altri lavori pubblici. Sono questioni che certamente verranno riprese nei prossimi negoziati, riferendosi a materie per le quali una eventuale cooperazione franco-tedesca era già prevista in massima dal noto accordo del febbraio 1909. Ma le attuali conversazioni si limiteranno a ciò, o si estenderanno ad altre possibili intese di ordine politico più importante come sarebbe a cessioni o rinuncie territoriali? Un'allusione da me fatta al signor von Kiderlen a codesta eventualità, mi offrì occasione per fargli la comunicazione prescrittami da V.E. col suo telegramma n. 25462 giuntomi poco prima, relativa ai nostri impegni colla Francia e ciò come per naturale connessione, senza darvi il carattere di una formale notificazione in nome del R. Governo. Pur essendo essenziale che qui si conosca chiaramente la nostra posizione, non era forse opportuno il produrre l'impressione di una specie di diffida da parte nostra pel caso di una domanda d'appoggio del Governo imperiale in vista degli attuali negoziati. Che se poi si trovasse opportuno di procedere ad una notificazione formale di quel genere, converrebbe allora accompagnarla, con il testo stesso dei nostri accordi cui alludeva V. E. nel suo precedente telegramma del 2 luglio n. 24373 . Il non avere avuto seguito la riserva ivi fatta circa la eventuale comunicazione di quel testo, subordinata al parere di Parigi, facendomi ritenere che almeno pel momento se ne sia rinviata la idea, mi parve più opportuno che il mio linguaggio pur essendo tale da escludere ogni dubbio, apparisse come la semplice conferma da me fatta personalmente di cose già note anche a Berlino nella loro sostanza. Con questo concetto rammentai al signor von Kiderlen le circostanze nelle quali dietro l'impossibilità di includere nel trattato della Triplice Alleanza la

97 tutela dei nostri interessi nel Mediterraneo, l'Italia si era trovata costretta a provvedervi per proprio conto, ottenendo direttamente dalla Francia certi accordi riguardanti la Tunisia e la Tripolitania, mediante il corrispettivo della nostra rinuncia a continuare l'ostruzione all'azione francese al Marocco: e ciò in un'epoca nella quale nessuno ancora pensava ad una qualsiasi ingerenza della Germania nelle cose di quel paese. Quegli impegni che dobbiamo naturalmente rispettare, ci pongono, dissi, riguardo al Marocco in una situazione non dissimile (mutatis mutandis) da quella dell'Inghilterra; ma come per questa così anche per noi sussistono, se pure in minori proporzioni, interessi speciali ed altri di ordine superiore ai quali dovremmo vegliare qualora si producessero al Marocco mutamenti tali da compromettere l'equilibrio del Mediterraneo ed indirettamente la situazione generale europea. Per un tale caso conchiusi, noi intendevamo riservarci all'occorrenza la facoltà d'interloquire al pari di ogni altra Potenza; e quindi facevo assegnamento sull'amicizia del Governo imperiale, confidando che di quanto fosse ora per conchiudersi in quel senso esso ci terrebbe eventualmente informati. Il signor von Kiderlen, dopo avere ascoltato senza farvi alcuna obbiezione queste mie osservazioni, vi assentì promettendo che come prima i negoziati colla Francia prendessero una forma concreta egli non mancherebbe di parteciparmene la sostanza.

Il negoziato oggi appena incominciato, volendosi tenere per ovvie ragioni, segreto, solo tra qualche giorno sarà probabilmente in grado di fornire sul suo andamento qualche dato positivo. Debbo !imitarmi per ora a confermare quanto riferivo a V.E. col mio telegramma del 7 luglio4 , su quelle che, secondo le mie impressioni, sarebbero le sue basi, e cioè il rispetto almeno nominale della integrità territoriale del Marocco, per modo da non pregiudicare la lettera dell'Atto d'Algesiras che si vuole conservare; uno sviluppo, in forma più concreta dell'accordo franco-tedesco del 1909, allo scopo di meglio garantire gli interessi economici della Germania e ciò probabilmente mediante una specificazione delle imprese nelle quali il predetto accordo prevede la collaborazione dei nazionali dei due paesi; ed in fine una rettificazione dei confini delle colonie africane francesi e tedesche (per esempio del Togo e del Camerun), con qualche vantaggio a favore di queste ultime, in compenso del confermato riconoscimento da parte della Germania della preponderanza politica della Francia al Marocco. Sempre a titolo di semplice mia impressione, aggiungerò che nella trattazione del secondo fra i tre punti sovra menzionati, non sarei sorpreso se la Germania intendesse riservarsi in qualche modo lo sfruttamento della regione del Sus. In omaggio al rispetto dell'integrità marocchina si eviterà di occupare a titolo di possesso Agadir come qualunque altro porto; ma se si troverà convenienza nell'investire colà ingenti capitali tedeschi, il risultato ne sarà praticamente lo stesso. Ciò dipenderà dalle risorse del paese che sono per ora inesplorate. A quanto mi fu detto si è accertata la sua fertilità ma la materia che meglio si presta a speculazione, è quella delle miniere e sebbene si sappia che parecchie ne esistono nel Sus non risulta ancora se esse siano abbastanza ricche per meritare di essere attivamente coltivate.

Con riserva di tornare tra breve su questi argomenti, ...

P.S. Per chi avesse vaghezza di speciali notizie sulla regione del Sus, ricordo eh negli archivi del R.Ministero devono esistere alcuni rapporti del cavalier Scovasso, credo del 1869, nei quali quel R.Ministro dava su di essa interessanti ragguagli, proponendola in acquisto al R.Govemo, che in quella epoca stava facendo ricerche di un territorio adatto allo stabilimento di una colonia penitenziaria5 .

81 1 Cfr. n. 69.

81 2 T. dell'8 luglio, non pubblicato. 3 T. in realtà del 1° luglio col quale si trasmetteva il T. 2433 (cfr. n. 65) ed un altro telegramma diretto a Parigi in pari data, non rinvenuto.

81 4 T. 3188, non pubblicato.

82

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3259/218. Londra, 11 luglio 1911, ore 14 (per. ore 20).

Marocco. Riassumo impressioni apprezzamenti in via confidenziale manifestatimi ieri da ambasciatore di Spagna. Con invio nave Agadir, Germania deve aver mirato da un lato arrestare dilagare azione francese e dall'altra tastare il terreno per accertarsi se e fino a qual punto una occupazione territoriale tedesca al Marocco sarebbe stata tollerata dall'Inghilterra. Accortasi ora invincibile ostilità inglese ad ogni intrapresa di tal genere, è da prevedere che Germania non insisterà e abbandonerà Agadir, non prima, però, avere ottenuto adeguato compenso. Il quale potrebbe consistere, oltre che in una cessione territoriale al Congo o alla Guinea, nell'acquisto speciali privilegi economici al Marocco di portata e importanza maggiore di quelli assegnatile dall'Atto di Algeciras. Tutto ciò a prescindere da compensi di minore entità, quale a esempio quotazione valori tedeschi borsa Parigi. In complesso, Germania mira a sistemare una buona volta questione Marocco tirandone maggiore profitto possibile. Intervenuto accordo anglo-franco-germanico, Francia avrebbe mano più libera e Spagna si troverebbe sola di fronte potente vicina che indubbiamente mira, in violazione impegni contratti, ad accaparrarsi da sola egemonia politica Marocco. Donde necessità assoluta per Spagna di non abbandonare, secondo che insistentemente le viene consigliato da qui, occupate posizioni che costituiscono nelle sue mani arma di difesa nei negoziati futuri che, a quanto sembra, avranno luogo a Berlino tra la Cancelleria imperiale e ambasciatore di Francia che sarebbe incaricato rappresentare anche Inghilterra. A questi negoziati Spagna intende naturalmente partecipare, confidando nelle dichiarazioni fatte a Madrid dali' ambasciatore di Germania nell'annunziare occupazione Agadir (mio tegramma 205) 1• Linguaggio Villa-Urrutia mi ha lasciato impressione che primitiva soddisfazione per subitaneo intervento tedesco siasi ora alquanto modificata per subentrata apprensione di una intesa franco-germanica più o meno a spese interessi spagnuoli. Mi riservo contro!

82 1 T. 3081/205 del 3 luglio, non pubblicato.

lare possibilmente informazioni di Villa -Urrutia circa modalità negoziati specie per quanto riguarda rappresentanza inglese affidata alla Francia. Dato che queste informazioni fossero esatte, sembra a me sarebbe opportuno da parte nostra provvedere a che quella parte almeno del negoziato relativo compensi economici al Marocco non si svolga all'infuori di qualsiasi nostra partecipazione. Ciò a evitare pericolo trovarci un bel giorno di fronte al fatto compiuto ed a concessioni economiche date e ottenute in una forma che, con evitare modificazione formale Atto di Algeciras, ci precluda ogni titolo di intervenire a tutela degli interessi nostri. Nel sottometterle rispettosamente questa mia osservazione, le sarò grato telegrafarmi se ella ritiene, come crederei, opportuno di fare del suo telegramma n. 25462 oggetto non di semplice conversazione ma di una comunicazione formale ben inteso verbale3 .

81 5 Annotazioni in calce: «Ci deve essere anche nota del povero Fossati».

83

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3291/306. Vienna, 12 luglio 1911, ore 20 (per. ore 22,30).

Aehrenthal mi ha rimesso oggi pro-memoria, di cui riferisco, dietro suo desiderio, all'E.V. sostanza per telegrafo, inviando oggi stesso testo per posta. In tal promemoria, Aehrenthal rileva, che secondo giusta osservazione Neratoff, affare albanese consta di due questioni distinte: quella dei malissori e quella dei rapporti turcomontenegrini. Quanto alla prima questione, Gabinetti Vienna, Roma, Pietroburgo sono stati di parere costituire essa un affare di politica interna ottomana che non comportava un intervento Potenze e non si prestava, quindi, che ai consigli amichevoli che esse avevano già dati. Per contro, seconda questione rileva dal dominio degli interessi internazionali. Da questo lato appunto, situazione è lungi dali' essere soddisfacente. Montenegro prepara mobilitazione d'una parte del suo esercito e giunge fino ad informare Sublime Porta essere costretta prendere provvedimenti militari preventivi. Notizie pervenute da Cettigne fanno credere che Montenegro agisca, sia in vista degli eventi che potrebbero sorgere alla scadenza termine accordato malissori per sottomissione, sia in attesa estensione movimento insurrezionale. Per ovviare prima tali eventualità, Gabinetto di Vienna si è concertato con i Gabinetti di Roma e Pietroburgo circa consigli amichevoli da darsi Sublime Porta per proroga dei termini sottomissione. Siccome Sublime Porta sembra di:;posta accordare spontaneamente proroga, un tempo prezioso è in ogni modo guadagnato. Però, se, nonostante proroga, movimento insurrezionale si estendesse o altro incidente si producesse al confine, potrebbe darsi che tre Gabinetti si trovassero di fronte a situazione

82 2 Cfr. n. 81, nota 2. 3 Non è stata rinvenuta nessuna risposta a questo telegramma.

seria. Secondo il parere Gabinetto di Vienna, importerebbe considerare sino d'ora le decisioni da prendere in un'eventualità simile ed intendersi sui passi da farsi tanto Costantinopoli che Cettigne per prevenire apertura ostilità. Nel caso in cui Gabinetti Roma e Pietroburgo consentissero in questo modo di vedere, tenore tali passi potrebbe essere concertato sin d'ora tra i tre Gabinetti. È bene inteso che questi Gabinetti si riserverebbero conformare loro azione diplomatica alle esigenze della situazione. Aehrenthal mi ha detto che avrebbe rimesso oggi un identico pro-memoria al mio collega di Russia e che avrebbe aspettato che tanto V.E. quanto Neratoff gli comunicassero loro idee in proposito. Avendogli chiesto di farmi conoscere intanto suo pensiero sulla questione da lui posta, egli mi ha risposto che non credeva manifestarmelo, preferendo che Gabinetti Roma e Pietroburgo esprimessero dapprima loro parere circa medesima. Però da quanto ho potuto arguire, azione da esercitarsi dai tre Gabinetti dovrebbe, a parer suo, mantenersi sempre sul terreno diplomatico e sarebbe da escludere, in modo assoluto, idea d'un intervento qualsiasi per parte loro, il quale non potrebbe avere che conseguenze pericolose. Questa azione diplomatica dei tre Gabinetti, qualora non riuscisse ad impedire un conflitto tra Montenegro e Turchia, avrebbe, però, in ogni caso il vantaggio di circoscriverlo ed evitare che si estendesse. Aehrenthal ha espresso desiderio conoscere al più presto possibile pensiero di V.E. sul pro-memoria suddetto, essendo urgente che tre Gabinetti convengano sulla linea di condotta da tenere in comune. E gli premerebbe poter determinare ciò in modo preciso, anche in vista sua partenza congedo che avverrà verso il 20 corrente 1•

84

IL MINISTRO A TANGERI, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 796/143. Tangeri, 12 luglio 1911 (per. il 20).

La notizia dell'invio della cannoniera «Panther» ad Agadir mi fu data in via confidenziale dal ministro della Germania, il lo corrente, pochi minuti dopo che egli l'avea comunicata ufficialmente a Si Mohammed Guebbas, rappresentante del sultano in Tangeri: ne informai subito V.E. con telegramma n. 23, riservato 1• Il mio collega mi disse pure che le istruzioni in proposito gli erano giunte telegraficamente nella notte e dovea eseguirle, secondo gli era prescritto, a mezzodì del predetto giorno alla stessa ora, cioè, che analoga comunicazione dovea farsi dagli ambasciatori di Germania a Madrid e Parigi e all'ora che, più o meno, si supponeva, la

84 1 T. 3054/23, del l o luglio, non pubblicato.

cannoniera giungesse dinanzi Agadir. La nota tedesca qui rimessa è uguale a quella comunicatami da VE. con telegramma n. 24382•

Il ministro di Germania mi confidò che la decisione del suo Governo gli giungeva inaspettata. Quantunque disse sapere da qualche tempo che i tedeschi i quali hanno interessi nel Sous agivano fortemente per spingere il Governo imperiale ad esercitare un'azione al Marocco. Egli mi parve molto soddisfatto della decisione ma non saprei dire se e fino a qual punto egli l'abbia raccomandata a Berlino.

In Tangeri la notizia fu nota la sera stessa del l o luglio, ma, come accade sempre qui, con molte esagerazioni: si parlò dello sbarco di un grosso contingente di truppe tedesche e di marcia di esse su Marrakesh eccetera eccetera. Vi fu generale stupore, ma presto le varie nazionalità, delle quali è composta parte della popolazione della città, presero partito a favore o contro l'azione tedesca. I francesi furono costernati, tanto più che non prevedevano tale avvenimento. Gli indigeni, che non capiscono nulla in materia di politica, e meno ancora il patriottismo, rimasero quasi indifferenti; quelli delle classi più elevate, massime i commercianti, mostrarono e dimostrarono ancora una certa soddisfazione sperando che qualunque cosa avvenga nel paese valga meglio che la continuazione dello sgoverno del Magzen e dei suoi rapaci agenti. Un indizio caratteristico di ciò si è avuto giorni or sono quando un centinaio di soldati inglesi sono qui venuti dalla vicina Gibilterra per una gita di piacere. La popolazione indigena li ha accolti lietamente, anzi alcuni hanno anche gridato agli ospiti «benvenuti, rimanete». Si era creduto che realmente si effettuasse lo sbarco di truppe britanniche che era stato annunziato.

Dall'interno non ho notizie ma credo che fra gli indigeni l'impressione sia stata la stessa, meno a Fez dove i francesi, con tutta verosimiglianza, hanno spiegata la portata dell'avvenimento.

Nel telegramma dell'8, n. 283 , feci conoscere a V.E. il modo con cui il sultano avea accolta la nota tedesca rimessagli dal console di Germania in Fez e le cose dette.

Tra i diplomatici si ritenne dapprima che l'azione della Germania fosse compiuta d'accordo con la Francia. Da qualche tempo si osservava l'attitudine del ministro di Germania più che conciliante per gli interessi francesi giusta le istruzioni ricevute, tanto che egli s'era attirate le ricriminazioni dei suoi connazionali. Mi riferisco per ciò alla lettera particolare che ebbi l'onore di dirigere a VE. in data 4 maggio4 .

L'idea che vi fosse per l'affare di Agadir un'intesa era poi anche giustificata da telegrammi che negli ultimi giorni di giugno aveano annunziato colloqui a Kissingen tra il signor di Kiderlen-Waechter e l'ambasciatore di Francia a Berlino in seguito ai quali questi era partito per Parigi a recarvi i desiderati del Governo germanico. Debbo aggiungere che anche il mio collega tedesco, nell'informarmi il l o corrente della comunicazione suddetta a Si Mohammed Guebbas, avea espresso questa opinione; così pure l'incaricato d'affari di Francia che vidi la sera di quello stesso giorno.

3 T. riservatissimo 3197/28, non pubblicato.

Cfr. n. 26.

Fu pertanto grande la sorpresa allorché l'indomani i telegrammi Havas rendevano conto dell'accoglienza che la comunicazione del signor de Schon avea trovato presso il signor De Selves e l'opinione pubblica francese.

Da Tangeri, con le scarse indicazioni che si hanno e in mancanza d 'un Governo, d'una stampa che meriti questo nome, e d'una opinione pubblica, è malagevole spiegare l'azione della Germania che, secondo risulta ormai anche qui, ha prodotto molta impressione in Europa. I noti Mannesmann si sono assai agitati tanto nei centri commerciali e parlamentari tedeschi che per mezzo dei loro amici ed agenti al Marocco, fra i quali erano ultimamente due membri del Reichstag, dei giornalisti e persino qualche ufficiale dell'esercito tedesco in disponibilità. Costoro hanno continuamente viaggiato in questi ultimi tempi tra Tangeri, Casablanca, Mogador, e alcuni si sono spinti fino nel Sus. Emissari dei Mannesmann hanno poi acquistati terreni affrettandosi così di creare interessi in quella lontana regione del Marocco ed assicurandosi con adeguati mezzi la cooperazione degli indigeni e delle autorità. Oltre ai Mannesmann altri tedeschi, che avevano stabilito nello scorso marzo e aprile la loro base d'azione nelle Canarie, hanno fatto continue visite sull'opposto littorale marocchino per esplorarvi il sottosuolo (anche per questo mi riporto alla mia lettera sopra ricordata).

Non v'è dubbio che l'attività di industriali, commercianti e speculatori tedeschi sia stata efficace per produrre come risultato l'affare di Agadir. Se non che in un paese di Governo forte come la Germania mi pare che ciò non basti e che non si possa ammettere siasi il Governo imperiale lasciato prendere la mano dagli interessi privati, tanto più che questi interessi non correvano alcun pericolo e nessun fermento si era verificato ad Agadir e nel Sus.

Le ragioni per l'azione tedesca mi sembra debbano ricercarsi nei fattori di politica generale e massime nel desiderio della Germania d'assicurarsi almeno un porto nel Marocco per i suoi commerci e come base navale. L'intervento francese e spagnuolo, con la probabile conseguenza della liquidazione di quest'Impero, l'ha verosimilmente decisa ora ad agire, tanto più dopo che ha avuto conoscenza del trattato segreto tra la Francia e Muley Hafid, trattato che sembra ormai esista realmente. Agadir può rappresentare un'ipoteca sul paese.

È naturale che la Germania si trovi adesso di fronte non solo la Francia ma ancora più l'Inghilterra, la quale considera pregiudicevole ai suoi interessi la realizzazione del programma tedesco anche limitato nel senso qui su accennato. Le dichiarazioni di Asquith ai Comuni il 6 corrente danno sufficienti indicazioni. In tal modo l'apparizione della modesta cannoniera nella remota rada di Agadir ha preso vaste proporzioni e costituisce un nuovo elemento per giudicare dello stato delle relazioni tra Germania ed Inghilterra.

Così, oltre ai telegrammi su mentovati n. 23 e 28, confermo col presente rapporto quelli n. 285 e 30 in data 3 e 10 correnté.

6 T. confidenziale 3237/30 dell'li luglio, non pubblicato.

83 1 Per la risposta cfr. n. 85.

84 2 T. riservatissimo del l o luglio, indirizzato alle ambasciate a Londra, Madrid, Pietroburgo, Vienna e Washington e alla legazione a Tangeri. Si limita a comunicare la nota tedesca a proposito della quale cfr. n. 65.

84 5 Si intende, in realtà, il T. 3088/24 del 3 luglio, non pubblicato.

85

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO 2639. Roma, 13 luglio 1911, ore 22,30.

Mérey mi ha rimesso oggi un promemoria il cui contenuto è perfettamente identico a quello riferito nel telegramma di V.E. n. 3061 . Constato con molto piacere che quanto le ha detto Aehrenthal concorda sostanzialmente con quanto ho esposto nel mio telegramma n. 26232 che si è incrociato con quello di V.E. al quale rispondo.

Nessun dubbio che affari albanesi constano formalmente di due questioni distinte: quella dei malissori e quella dei rapporti turco-montenegrini. Ma a tale distinzione formale non risponde interamente la realtà delle cose, visto che la condotta del re Nicola influisce sensibilmente sulla questione dei malissori.

È pure vero che la prima è una questione interna della Turchia, ma colle riserve espresse nel mio telegramma n. 23793 , e trovate giuste da Aehrenthal come dal telegramma di V.E. n. 2694 .

In ogni modo, ciò non esclude che almeno per ora le tre Potenze non possano per questa parte fare altro che dar consigli amichevoli alla Turchia: anzi, perché ciò non sembri alla Turchia una pressione collettiva, si potrà vedere se non convenga che questi passi siano fatti da ciascuna delle tre Potenze separatamente, ma simultaneamente o quasi. Essi dovrebbero riferirsi sopratutto ai due punti praticamente più importanti per i malissori, cioè armi e servizio militare, ma potrebbero comprendere anche altri argomenti.

Quanto ai rapporti turco-montenegrini, nessun dubbio, a mio parere, che le tre Potenze, anzitutto e soprattutto, debbano dire chiaramente a re Nicola che, in caso di sconfitta, egli non potrà sperare nella benevolenza loro se egli provoca una guerra contrariamente ai loro consigli, e prevenirlo francamente che dovrà in tal caso sopportare tutte le conseguenze. Per il caso poi di una sua vittoria, dovrebbero dirgli che le tre Potenze non abbandoneranno il principio del mantenimento dello statu-quo territoriale, e dell'integrità dell'Impero ottomano. D'altro canto, sarei d'avviso di dire contemporaneamente a re Nicola che, se egli seconda lealmente i propositi pacifici delle tre Potenze, queste sono disposte a tener conto del suo desiderio di avere una parte del merito della pacificazione, e a concordare con lui il modo. Devesi certamente fare ogni sforzo perché l'azione delle tre Potenze si mantenga sul terreno diplomatico, e si eviti un intervento che sarebbe pericoloso. È pure evidente che, se la guerra scoppiasse dovremmo tentare di circoscriverla, ma temo che non sarebbe facile.

2 T. del 13 luglio, non pubblicato.

3 T. del 27 giugno, col quale di San Giuliano osservava «. .. il grave pericolo di complicazioni internazionali che possono derivare da certi atti interni della Turchia ...» e concludeva: « ... Perciò di tali atti non possono disinteressarsi soprattutto quelle Potenze, come l'Italia e l'Austria-Ungheria che prima delle altre ne risentirebbero la ripercussione».

4 T. 3040/269 del 30 giugno, non pubblicato.

Di questo mio telegramma do pure comunicazione al r. ambasciatore a Pietroburgo5.

85 1 Cfr n. 83.

86

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 3312/636. Therapia, [14] luglio 1911, ore 12,45 (per. ore 15, 45).

Telegramma 2589 1• Secondo informazioni avute da fonte indiretta e che mi riservo di controllare, il Consiglio superiore dei lavori pubblici avrebbe deciso di mettere in aggiudicazione costruzione porto e banchina Tripoli. Relazione deliberazioni prese sarà inviata prossimamente Sublime Porta. Se questa approverà, verrà bandito avviso di asta pubblica. Secondo medesima fonte, Governo farà di tutto perché impresa concessionaria non sia né inglese né italiana, volendosi evitare partecipazione quelle due nazionalità. Tayar non ha avuto nessuna concessione, nonostante simpatia di cui gode presso valì.

87

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 3355/311. Vienna, 15 luglio 1911, ore 20,30 (per. ore 24).

Ho comunicato Aehrenthal telegramma di V.E. riservatissimo n. 26391• Aehrenthal ha rilevato che proposta contenuta nel suo pro-memoria era intesa ottenere che tre Potenze interessate, considerando fin d'ora situazione seria che avrebbe potuto crearsi se, dopo spirata nuova proroga, insurrezione si estendesse e si producessero incidenti al confine, si concertassero sui passi da farsi Cettigne e Costantinopoli per prevenire apertura ostilità. Nel suo pensiero, quindi, tali passi dovrebbero avvenire simultaneamente nelle capitali suddette non già separatamente ma collettivamente, data la gravità del momento in cui sarebbero fatti.

Secondo Aehrenthal, non converrebbe per ora di fare passi separatamente a Costantinopoli nel senso indicato da V.E. Circa poi i passi da farsi a Cettigne,

86 1 T. del l O luglio, non pubblicato. 87 1 Cfr. n. 85.

105 Aehrenthal ha ricordato quanto mi aveva detto in ordine alla proposta che V.E. aveva fatto comunicare da Bollati al signor de Mérey e su cui riferisco con altro mio telegramma odierno n. 3102 . Come pure circa il desiderio re Nicola aver una parte eventuale del merito della pacificazione, Aehrenthal mi ha ripetuto le osservazioni già da lui fattemi al riguardo e delle quali è cenno nel precitato mio telegramma3 .

85 5 Per la risposta cfr. n. 87.

88

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3343/356. Parigi, 15 luglio 1911, ore 22,15 (per. ore 6 del 16).

Carmelitani. Sono lieto di partecipare a VE. che, nel mio odierno colloquio con De Selves, la questione dei Carmelitani è stata risoluta interamente secondo i nostri desideri. La Francia consente al passaggio sotto la nostra protezione di tutti gli istituti della missione, compreso anche Biscerri e la parrocchia di Alessandretta. Non ho avuto bisogno di fare alcuna concessione né per la protezione dei Maroniti, né per il consolato di Casablanca. Invece, non mi è stato possibile mettere un limite di tempo per il riconoscimento della protezione francese sul convento di Monte Carmelo, poiché nelle conversazioni precedenti abbiamo fatto figurar troppo questa concessione per ottenere l'adesione della Francia per Biscerri e la parrocchia di Alessandretta e oggi non possiamo più ritirarla. Vi è un precedente per simile riconoscimento che in occasione analoga noi facemmo per la custodia di Terra Santa. Pregherei VE. di verificare e telegrafarmi in quale forma fu fatto, perché, a mio avviso, ora potremmo attenerci alla stessa forma. Appena avremo fatta la nostra dichiarazione per Monte Carmelo, prego VE. telegrafarmi uno schiaramento poiché io ho inteso sempre parlare che si compone di due stabilimenti: Monte Carmelo e Caiffa: Bapst dice che comprende anche quello di San Giovanni d'Acri 1•

3 Aehrenthal si era espresso negativamente al riguardo.

87 2 T. riservatissimo 3390/31 O, non pubblicato (consenso alla proposta).

88 1 Di San Giuliano rispose con T. 2740 del 21 luglio, del quale si pubblica il seguente brano: «In quanto a San Giovanni d'Acri non risulterebbe dalle notizie di cui siamo in possesso che tale stabilimento faccia parte del Monte Carmelo. Ho telegrafato a Schiaparelli per informazioni e mi riservo di comunicarle a V.E. non appena mi saranno pervenute. Il riconoscimento per la Custodia di Terra Santa, secondo quanto risulta dalle ricerche fatte, avvenne con lettera particolare del ministro degli affari esteri al signor Barrére e nei seguenti termini: "Pour ce qui est de l'échange de vues que nous devrions entreprende pour étabilir d'una façon pratique le moyen de déterminer le caractère intemationa1 de tel ou te! autre institut religieux, je n'ai pas de difficulté d'admettre que cet echange de vues serait superflu pour la Custodie de Terre Sainte dont le caractére intemational est un fait incontestable". Invio per posta i precedenti della questione e lettera sovracitata. Convengo poi pienamente con V.E. della opportunità di attenerci ora alla stessa forma». La lettera menzionata risaliva al 13 gennaio 1907 (copia allegata al D. urgente 64 del 22 luglio 1911 non pubblicato).

89

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3350/129. Berlino, 16 luglio 1911, ore 13 (per. ore 15, l0).

Marocco. A quanto mi è dato rilevare sulle conversazioni fra Kiderlen e Cambon, esse procedono in modo soddisfacente pur prevedendosi che si potrarranno piuttosto a lungo. Il sistema dei negoziati paralleli a Berlino e Parigi era stato adottato pro-forma per riguardo alle suscettibilità francesi, ma, nella pratica, essi saranno guidati da qui. Sir E. Goschen mi disse non risultargli che sia stato già stabilito un qualunque metodo per le comunicazioni al suo Governo circa queste trattative le quali si trovano per ora nella fase preliminare. Egli pure mi ha confermato, quanto al loro oggetto, le previsioni esposte nel mio rapporto del l O corrente

n. 3 78 1 , che, cioè, si vuole evitare ogni alterazione territoriale al Marocco e mantenere possibilmente la lettera dell'Atto di Algesiras limitandosi a stabilire accordi economici, nonché qualche rettificazione di frontiera a spese del Congo francese: ciò a titolo di guarentigia e compenso alla Germania pel suo riconoscimento della posizione politica della Francia già prevista dall'accordo del 1909 ed ora ulteriormente sviluppata in seguito ai recenti fatti. Questo riconoscimento equivarrebbe, nei riguardi della Germania, a quello che la Francia ha già ottenuto separatamente dall'Italia e dall'Inghilterra. Si tratta ora di trovarne la formola. Alle lagnanze dell'ambasciatore di Spagna per essere tenuto all'infuori, Kiderlen ha risposto che gli attuali negoziati concernono interessi esclusivamente tedeschi e francesi, né pregiudicheranno in alcun modo quelli della Spagna o di qualunque altra potenza. Non risulta che, come lo suppose Villa Urrutia (telegramma di V.E. n. 2630)2 , Cambon sia incaricato rappresentare Inghilterra nelle presenti trattative, ma è certo che esse terranno pur conto degli interessi britannici e sir E. Goschen, che mi si mostrava da principio un poco inquieto, sembra adesso rassicurato. Quanto agli interessi nostri (astrazione fatta dalla allusione di V.E. all'hinterland del Camerun che io non sono in grado di apprezzare), ritengo che, almeno in materia economica, al Marocco essi dovrebbero risultare implicitamente tutelati dalle guarentigie volute dall'Inghilterra, le quali prenderanno probabilmente una forma estensibile a tutte le nazioni.

Noto, inoltre, che già esistono accordi per la partecipazione italiana a certe imprese industriali né essi potrebbero venire modificati senza il nostro concorso.

Su questi punti, mi propongo tuttavia di fare qualche riserva con Kiderlen e Cambon, quando, le trattative essendo più avanzate, avrò occasione di parlarne, il che spero sarà nella entrante settimana. Circa la notizia della Frankfurter-Zeitung, secondo la quale la unione delle miniere marocchine avrebbe sospeso le sue opera

107 zioni, Kiderlen ha detto dover essere ciò interpretato nel senso che quella compagnia attenderà per agire conclusione degli accordi ora in discussione.

89 1 Cfr. n. 81. 2 T. riservato del 13 luglio, non pubblicato, col quale si comunicava il n. 82 chiedendo un parere sul contenuto.

90

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO 2711. Roma, 18 luglio 1911, ore 20,35.

Secondo informazioni giunte alla r. ambasciata a Costantinopoli, il Consiglio superiore dei lavori pubblici avrebbe deciso mettere in aggiudicazione costruzione porto e banchina Tripoli. Dopo approvazione Sublime Porta, sarebbe bandito avviso asta pubblica, nella quale, sempre secondo quelle informazioni, Governo turco farà di tutto perché concessionario non sia né italiano, né inglese.

Io mi propongo di far dichiarare alla Sublime Porta che, se queste notizie sono esatte, sarà molto meno male lasciare le cose come sono. Poiché, se il concessionario del porto di Tripoli non sarà italiano, nessuno in Italia crederà alla sincerità dell'asta, e l'opinione pubblica del Regno potrebbe costringere il Governo a risoluzioni estreme.

Di quanto precede informo fin d'ora l'E.V., !asciandola giudice del modo e del momento di far sì che i nostri alleati sappiano con precedenza che, se ciò avvenisse, noi potremmo essere obbligati ad agire, cogliendo il primo dei frequenti incidenti tripolini. Questo si dovrebbe dire, tanto per debito di lealtà verso i nostri alleati, quanto perché essi potessero usare della loro influenza a Costantinopoli per evitare che una tale situazione pericolosa si produca1 .

91

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3412/364. Parigi, 19 luglio 1911, ore 14,35 (per. ore 20, 20).

Marocco. Risposta telegrammi nn. 2691 e 2703 1• Riassumendo telegrammi scambiati con V.E., parmi nostra situazione rispetto trattative francesi tedesche per Marocco possa definirsi così: noi non abbiamo diritto di chiedere compensi alla

91 1 TT. rispettivamente del 17 e del 18 luglio, non pubblicati.

Francia per lo scempio che essa ha fatto del trattato di Algeciras e per qualunque sua ulteriore azione politica al Marocco, avendo lasciato ad essa piena libertà di azione col nostro accordo segreto del 1902. Noi potremmo domandare alla Francia una partecipazione del capitale italiano alle imprese finanziarie minerarie ferroviarie e portuarie al Marocco, ma di tale domanda non è il caso di parlare, perché sul capitale italiano, per ragioni ben note, non si può contare. Resta pertanto esclusa qualunque nostra domanda positiva nel negoziato franco-tedesco ed il terreno su cui ci poniamo è puramente negativo, di opporci, cioè a qualunque misura che restringa il principio della porta aperta o menomi la eguaglianza economica nel Marocco ed a qualunque concessione della Francia, la quale, come quella della Danubio-Adriatico, leda i nostri interessi. In buoni termini, la Francia, se vuole, paghi pure, ma colla tasca sua e non colla tasca nostra. Nel caso io non avessi reso un'immagine fedele della posizione nostra, prego V.E. di volermelo significare2 .

90 1 Per le risposte cfr. nn. 95 e 98.

92

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3414/366. Parigi, 19 luglio 1911, ore 19,30 (per. ore 22,15).

De Selves mi ha oggi partecipato che, in conformità della promessa fattami, ha già inviato a tutti gli agenti francesi in Tripolitania e Cirenaica una circolare per ricordar loro gli impegni che la Francia ha assunto verso l'Italia. Ho ragione di ritenere che, se noi facessimo qualche cosa di simile coi nostri agenti al Marocco, la cosa riuscirebbe qui oltremodo gradita.

93

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 3438/225. Londra, 20 luglio 1911, ore 7,56 (per. ore 23,50).

Marocco. Nicolson mi ha detto testé non essere in grado di entrare in particolari sullo scambio di vedute ora in corso tra Londra e Parigi per giungere ad una intesa tra i due Governi circa risposta da dare alle finalmente manifestate proposte tede

sche, le quali sono a un dipresso quelle annunciate dai giornali. Dal linguaggio tenutomi al riguardo, per quanto in termini vaghi, sembrami poter arguire che esse appaiano qui inaccettabili perché considerate, in grado non minore dell'occupazione Agadir, lesive interessi britannici. In via affatto amichevole e personale, Nicolson non mi ha dissimulato sua preoccupazione per piega piuttosto grave che, grazie alle «ciniche e sbalorditive» pretese germaniche, va prendendo questione. Ha pure rilevato che Mettemich, nella visita fattagli ieri, non menzionò nemmeno affari Marocco. Avendo chiesto quale importanza convenga attribuire articoli Times caldeggianti invio navi inglesi Agadir, ha replicato non potersi né affermare né escludere tale eventualità, questione dovendo formare oggetto esame Consiglio dei ministri che si riunirà domani.

91 2 Per la risposta cfr. n. 97.

94

IL MINISTRO A TANGERI, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 832/155. Tangeri, 20 luglio 1911 (per. il 31).

Ad onta della voce corsa qui ripetutamente e riprodotta da alcuni giornali in Europa, le navi tedesche ad Agadir non hanno operato alcun sbarco, secondo è confermato anche da informazioni di fonte francese. Il comandante la cannoniera «Panthem e quindi quello dell'incrociatore «Berlin», giungendo in rada, fecero le visite alle autorità, come di consueto, accompagnati da qualche ufficiale ed uomini di bassa forza. Dopo, qualche ufficiale e piccole squadre di marinai son scesi a terra di tanto in tanto per diporto. La sola cosa, forse, degna di esser osservata in quella visita è che furono rimessi doni al caid, ma neanche questo realmente si può considerare un fatto anormale tenuto conto del paese. Tale notizia pervenne qui per indiscrezione essendo stata radio-telegrafata al ministro di Germania dal console in Mogador, in chiaro, il quale, essendo console di seconda categoria, è sprovvisto di cifrario. Il mio collega tedesco ne fu molto spiacente.

Tre giorni or sono si parlò ancora di sbarco di alcuni ufficiali con cinquanta uomini armati, ma si è poi verificato che tutto si riduce ad una gita fatta da un ristretto numero di ufficiali e alcuni uomini di bassa forza con fucili da caccia nelle campagne circostanti. Invero si udirono colpi di armi da fuoco che sembra abbiano allarmati gli indigeni. Ed ieri l'altro il ministro di Germania ricevè una nota dal rappresentante del sultano in Tangeri con cui Si Mohammed Guebbas segnala il fatto occorso e il pericolo che vi sarebbe se esso si riproducesse, potendo fomentare disordini in un paese dove l'autorità del Magzen è assai debole. Scopo di questa nota, eh' è redatta in termini assai cortesi, è di liberarsi da qualsiasi responsabilità qualora sorgesse qualche incidente. Con ogni probabilità la nota è stata inviata per consiglio della legazione di Francia. Non è verosimile che Si Mohammed Guebbas siasi deciso da solo ad un passo simile; né è probabile abbia così agito in seguito ad ordini da Fez.

Questa è la sola nota che il ministro di Germania abbia ricevuto dal Magzen per l'affare di Agadir. Nessuna protesta, nè osservazione è stata a lui inviata. Ebbi l'onore di riferire a V.E. coi telegrammi n. 241 e 28 2 , l'accoglienza che il sultano e il suo rappresentante qui fecero alla notificazione dell'invio della cannoniera «Panthem. Benché non si possa realmente stabilire un paragone fra l'azione tedesca ad Agadir e l'intervento militare della Spagna a Larache ed Alcazar, pure non si può a meno di rilevare la differenza notevolissima fra il contegno verso il Governo spagnuolo e quello verso la Germania sia da parte delle autorità marocchine che dei funzionari francesi qui e della stampa francese in generale. L'organo della legazione è stato particolarmente aggressivo, quasi rendendo responsabile la Spagna di tutti i mali dai quali è afflitto il Marocco, laddove di fronte alla Germania, meno poche eccezioni, ha tenuto un linguaggio più che temperato.

Mi si riferisce che il console di Germania a Mogador abbia rivolte vive premure a Glaui ex governatore di Marrakesh e fratello, credo, del destituito gran visir, omonimo, di recarsi ad Agadir «a fine d'entrare in relazione cogli ufficiali delle navi tedesche per il comune interesse». Questo passo, se è vero, non è scevro di pericoli; poiché la famiglia Glaui, ora in disgrazia, dispone di grande influenza nel sud-est del Marocco, ma è in piena rottura col sultano Muley Hafid. L'invito rivolto all'ex-governatore può significare che la Germania intenderebbe servirsi di lui appoggiandolo nelle rivendicazioni contro Muley Hafid, protetto dalla Francia. Mi si dice pure che il Glaui abbia rifiutato l'invito. Bisogna d'altra parte tener presente che il console tedesco (di seconda categoria) a Mogador è il signor Maur, della ditta Morx e Maur, quella, cioè, che assieme ai Mannesmann ha agito a Berlino per decidere il Governo imperiale all'azione di Agadir. È quindi probabile che il passo fatto sia dovuto alla sua iniziativa e per riguardo agli interessi della ditta la quale, come tutti i tedeschi qui, più o meno, sperano che la Germania rimanga nella principale rada del Sus.

Oltre a ciò v'è un altro pericolo che minaccia quella regione sinora tranquilla. Muley Hafid ha investito di poteri discrezionali, per stabilire la sua autorità nel Sus, Metugni, nemico acerrimo dei Glaui e ligio, sembra, alla Francia. Metugni con una mahalla si dirige su Agadir ed essendo preceduto da fama di concussionario, i caid più importanti si uniscono per difendersi dalle gesta di lui. In così fatto ambiente esercita la sua attività il zelante console Maur. Un radiogramma da Mogador giorni or sono faceva conoscere che egli era partito per Agadir in compagnia d 'uno dei più intriganti caid, Kurimi.

È difficile dire da qui se e fino a qual punto il Governo tedesco sia partecipante a siffatta azione. In un paese quale è ora il Marocco spesso accade che i militari e i funzionari civili, per effetto di autosuggestione, vadano molto al di là dei desideri dei loro Governi.

2 Cfr. n. 84, nota 3.

È possibile che da una situazione quale è sopra descritta derivino un'agitazione e anche effettivamente disordini che potrebbero danneggiare gli interessi tedeschi comunque non rilevanti -colà stabiliti. Ciò renderebbe il Governo imperiale più esigente e non faciliterebbe i negoziati ora in corso a Berlino.

94 1 T. 3088/24 del 3 luglio, non pubblicato.

95

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3453/134. Berlino, 21 luglio 1911, ore 19,50 (per. ore 21,45).

Telegramma di V.E. n. 2711 1• Approfittando del mio colloquio di oggi con Kiderlen, gli ho fatto cenno delle conseguenze da V.E. previste per il caso che la concessione del porto di Tripoli riuscisse accordata a concorrenti non italiani. Avendomi egli domandato che cosa da noi si desiderasse, ho stimato utile informarlo del consiglio che VE. si proponeva di fare pervenire alla Sublime Porta. In attesa dell'ulteriore sviluppo di questo incidente, mi sono limitato per ora a dargli quel preavviso tanto più che Kiderlen è in questi giorni interamente assorbito dai negoziati per il Marocco.

A proposito di Tripoli, Kiderlen mi disse per propria iniziativa avere, secondo la promessa, fatto prendere informazioni sul conto del Lochow ed essergli soltanto risultate la conferma di quelle che, egli osservò, mi erano state già date da Zimmermann. Egli ignorava che Lochow fosse ora per venire in Germania e per quale motivo.

96

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 3481/233. Londra, 22 luglio 1911, ore 15,49 (per. ore 20,45).

In relazione telegramma di V.E. 27121 , credo, ad ogni buon fine, dover ricordare che, nell'aprile 1905, sultano, in seguito esplicito categorico monito da

95 Cfr. n. 90. 96 1 T. riservato del 18 luglio col quale si ritrasmetteva il n. 90.

me rivolto a Palazzo ed alla Sublime Porta, dichiarò in modo formale non avere egli alcuna intenzione dare a sudditi e a società di qualsiasi nazione estera concessione porto di Tripoli. Di tale formale dichiarazione fu da noi preso atto. Essa essendo stata fatta dal sultano allora sovrano assoluto, sembrami costituire un impegno vincolante libertà d'azione Governo ottomano, tale insomma da fornirci sufficiente titolo per energica protesta, seguita, se necessario, da altri provvedimenti, qualora impegno stesso venisse ora violato sia apertamente con concessione data ad una qualsiasi società, né italiana né ottomana, sia velatamente, quando etichetta ottomana nascondesse ente estero. Rassegno quest'osservazione a V.E. per quel che può valere. Termini dichiarazione sultano risulteranno dalla mia corrispondenza telegrafica dell'epoca. Di tutto ciò De Martino è perfettamente al corrente.

In pari tempo, mi permetto rappresentare a V.E. opportunità da me ravvisata di fare anche a questo Governo una comunicazione ad un dipresso conforme a quella fatta ai Gabinetti alleati. Non si tratta certo invocare buoni uffici Inghilterra Costantinopoli, ma di mettere semplicemente questo Governo al corrente nostre intenzioni. Questa amichevole confidenza mi parrebbe consigliabile stante nostri speciali accordi. Del resto, io, in varie occasioni, parlando beninteso a titolo personale, non ho mai omesso accennare gravi provvedimenti che, contrariamente note sue intenzioni, potrebbe Governo del re, spintovi da imperiose pressioni opinione pubblica, vedersi costretto, un giorno, o, l'altro, adottare, in presenza delle perduranti irragionevoli ostilità turche ali 'azione nostra civilizzatrice in Tripolitania.

A questo accenno, né da Grey, né da Nicolson ho mai udito pronunciare una parola che suonasse protesta o riserva.

Sarò grato a V.E. manifestarmi suo avviso, impartirmi istruzioni per norma di l inguaggio2•

97

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 2752. Roma, 22 luglio 1911, ore 16,30.

Suo telegramma n. 3641• Nessun dubbio che debbasi eseguire lealmente accordo franco-italiano del 1902.

Non si può affatto contare sul capitale italiano per qualsiasi impresa nel Marocco salvo forse il caso poco probabile di qualche combinazione alla quale

97 1 Cfr. n. 91.

tutte le Grandi Potenze che hanno interessi nel Mediterraneo dovessero partecipare. Nessun dubbio che i compensi alla Germania debbano essere a carico della Francia e non a danno d'interessi nostri. È probabile che non ci converrà presentare domande positive relative al Marocco nel negoziato franco-italiano ma tale esclusione non può considerarsi fin da ora come cosa certa non potendosi ancora prevedere quale piega prenderà questo negoziato e quali saranno le reciproche concessioni. Resta anche a vedere quale situazione nel Marocco ed altrove risulterà dall'accordo franco-tedesco e quale ripercussione avrà sui nostri interessi e sulle eventuali decisioni da prendersi. In ogni modo per ora mi pare che la nostra attidudine debba consistere nel tenerci il più possibile informati nell'eseguire lealmente i nostri impegni e nel far comprendere che non lasceremo sacrificare alcun nostro interesse nel Mediterraneo né altrove. Prego infine V.E. di darmi il suo autorevole parere2 .

96 2 Per la risposta cfr. n. 102.

98

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3489/327. Vienna, 22 luglio 1911, ore 20,50 (per. ore 22,15).

Ho intrattenuto Aehrenthal del contenuto telegramma 2 711 1 .

Nel pregarmi di ringraziare V.E. della lealtà con la quale mi aveva incaricato parlargli, Aehrenthal ha riconosciuto importanza che alla questione si ammetteva dal

R. Governo per gli interessi che aveva da tutelare in Tripolitania. Ma una azione dell'Italia in quella regione non avrebbe potuto non dare luogo ad un conflitto con la Turchia e condurre forse a serie complicazioni. Non era, infatti, da prevedere che Governo ottomano, di fronte ad una simile azione, sarebbe rimasto inattivo, perché ciò gli avrebbe fatto perdere ogni prestigio all'estero ed all'interno e si sarebbe potuto, quindi, creare una situazione pericolosa per la sua esistenza stessa. Come amica ed alleata dell'Italia, doveva chiamare su ciò attenzione R. Governo e pregarlo considerare grave responsabilità che avrebbe potuto assumersi. Aehrenthal ha aggiunto che non avrebbe mancato far conoscere Pallavicini cose da me dettegli, dandogli istruzioni adoperarsi in momento opportuno in via amichevole e colla dovuta discrezione, presso Sublime Porta perché non mettesse in atto intenzioni che le si attribuivano2 .

2 Per la risposta cfr. n. IO l.

97 2 Con T. 3529 del 25 luglio, non pubblicato, Tittoni rispose di convenire pienamente.

98 1 Cfr. n. 90.

99

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3482/328. Vienna, 22 luglio 1911, ore 21 (per. ore 23,20).

Aehrenthal mi diede lettura di un telegramma del generale de Giesl, in cui si fa conoscere che re Nicola aveva riunito presso di sé rappresentanti esteri per far loro conoscere elenco concessioni che avrebbero dovuto essere accordate ai malissori e che aveva fatto comunicare al Governo ottomano per mezzo ministro di Turchia Cettigne. Qualora Governo ottomano avesse consentito accordare tali concessioni, esse avrebbero dovuto essere comunicate a Potenze, le quali, dal canto loro, avrebbero invitato Governo montenegrino consigliare malissori ritornare loro focolari. Re Nicola aveva aggiunto, però, che quelle concessioni non sarebbero state mai accolte da malissori che dietro garanzia Potenze, senza la quale egli stesso non avrebbe potuto raccomandarle malissori stessi. Tutti i rappresentanti esteri eransi pronunziati contrari comunicazione loro fatta dal re Nicola, facendo conoscere che era da dubitare innanzi tutto che Turchia avesse consentito accordare concessioni proposte da re Nicola e che Potenze si fossero indotte invitare Montenegro raccomandarle a malissori ed a fornire garanzie richieste. Re Nicola avrebbe allora informato rappresentanti esteri che, in tal caso, non dovevasi sperare conseguire sottomissione malissori e pregava Potenze di non volerlo più intromettere nella questione. Aehrenthal mi ha detto che non poteva che approvare risposta data dal generale de Giesl al re Nicola. Non credeva che Sublime Porta avrebbe potuto accettare di accordare concessioni proposte dal Governo montenegrino, perché, in tal caso, gli avrebbe riconosciuto diritto di ingerirsi in una questione che considerava interna dell'Impero. Ma, ammesso Sublime Porta avesse consentito a dare quelle concessioni, egli, per parte sua, avrebbe rifiutato di invitare Governo montenegrino di raccomandarle per l'accettazione ai malissori, perché sarebbe venuto meno al principio da lui sempre propugnato e non avrebbe poi potuto mai assumersi dare garanzie.

100

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 3528/235. Londra, 25 luglio 1911, ore 16,20 (per. ore 21).

Premesso che sulla sostanza conversazione franco-germanica non si credeva autorizzato parlare pure essendone minutamente informato, Nicolson mi diceva ieri a titolo confidenza strettamente amichevole e personale sperare egli che chiaro linguaggio cancelliere Scacchiere produca salutare effetto a Berlino, aprendo occhi al Governo tedesco e dissipando eventuali false e perniciose impressioni quivi probabilmente generatesi circa disposizioni Inghilterra. Più egli riflette al colpo di mano di Agadir, meno riesce comprendere come Governo germanico non abbia intuito che un così brutale procedimento doveva necessariamente produrre qui vivissima irritazione e compromettere quel miglioramento nelle relazioni anglo-germaniche dal Governo inglese sinceramente desiderato e del quale si cominciavano a intravedere soddisfacenti dimostrazioni. Ancora più inesplicabile gli riesciva il fatto del non essersi Governo germanico reso conto che, a parte ogni questione di lealtà verso Francia, Governo e opinione pubblica inglese si sarebbero concordamente sollevati contro pretese giudicate lesive interessi nazionali. Comunque, allo stato attuale delle cose, impressione puramente personale di Nicolson è che a Berlino si comincia a capire falso passo fatto e si escogita modo migliore cavarsi dalla difficile posizione. A Nicolson sembra in complesso che una rettifica di frontiera franco-germanica in qualche colonia africana nonché un accordo sulle questioni che formarono oggetto dei negoziati interrotti da Cruppi potrebbero formare base di intesa accettabile da ambo le parti. Dal canto suo Inghilterra non si opporrebbe ad una qualsiasi soluzione basata sua dignità quando beninteso fosse compatibile con interessi britannici.

101

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO 2811. Roma, 2 5 luglio l 911, ore l 8.

Telegramma di VE. n. 3271• Appunto per le savie considerazioni espostele da Aehrenthal, e rispondenti al pensiero del Governo italiano, noi desideriamo vivamente evitare tale estremità, e da sedici mesi io sopporto con calma le accuse quotidiane di viltà e di inerzia da parte della stampa italiana e di gran parte del Parlamento. Non bisogna però dimenticare che, nei paesi democratici e liberali come l'Italia, nessun Governo può alla lunga fare una politica invisa alla maggioranza della Nazione. Se la Turchia non rimuove l'attuale valì di Tripoli: se non pone fine ai quotidiani atti di ostruzionismo contro ogni nostro interesse economico in Tripolitania: se concede a non italiani la costruzione del porto di Tripoli, temo che né l'attuale né alcun altro Ministero italiano potrà rifiutare al sentimento nazionale una decisiva soddisfazione, qualunque ne siano le conseguenze. Credo pure che si sia ancora in tempo ad evitare tali estremità, e che un amichevole consiglio alla Porta dato dai nostri alleati non sarebbe troppo in ritardo se giungesse ora, e se fosse prontamente seguito. Dico tutto ciò a V.E. perché ne tenga conto nelle sue conversazioni verbali, amichevoli e non ufficiali con Aehrenthal o chi per esso.

101 1 Cfr. n. 98.

102

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. RISERVATO 2813. Roma, 25 luglio 1911, ore 18,45.

Facendo seguito al mio telegramma n. 2812 1 e in risposta a quello di VE.

n. 2332 autorizzo VE. a parlare con sir Edward Grey in via personale ed amichevole nei sensi da lei suggeriti3 .

103

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3533/378. Parigi, 26 luglio 1911, ore l (per. ore 6,45).

Passate le prime incertezze, si possono riassumere le impressioni varie prodotte qui dal discorso di Lloyd. Il mondo degli affari, che fino da principio si era mostrato molto timoroso, è nuovamente in grande allarme; coloro che nutrono patriottici dubbi circa la consistenza dell'esercito francese, e fra questi ci sono anche vari uomini politici, sono malcontenti della manifestazione inglese e ad un appoggio dato pubblicamente in modo così rumoroso e compromettente avrebbero preferito un appoggio dato diplomaticamente con forma più riservata e discreta; finalmente gli chauvins e coloro che fino da principio riponevano tutte le loro speranze nell'intervento inglese, si mostrano lieti e parlano di umiliazione della Germania. Schon non vede De Selves dalla settimana passata. Contava vederlo domani al ricevimento ebdomadario, ma questo non avrà più luogo, dovendo De Selves andare a Rambouillet da Fallières.

Schon mi dice che non andrà da De Selves se questi non lo manderà a chiamare. Egli dice inoltre che la frase gettata là da Kiderlen circa il Congo ha avuto il vantaggio di indicare un terreno su cui trattare. Alle grida che tale frase ha fatto [ ...]1 a Cambon è stato risposto che allora dicesse egli ciò che la Francia è disposta a cedere, ma pare che la risposta non sia venuta. Schon dice che, se la Francia non vuole fare una concessione apprezzabile, la Germania dovrà richiamarla al rispetto dell'atto di Algeciras, esigendo, non soltanto il ritiro da Fez, ma anche lo sgombro

2 Cfr. n. 96.

3 Per la risposta cfr. n. l 04.

della Chaouia e chiedendo che l'istruzione dell'esercito marocchino non sia affidata a soli ufficiali francesi, perché ciò pone di fatto il sultano del Marocco nelle mani della Francia, ma sia affidata ad ufficiali di varia nazionalità.

Tutto ciò, se non giustifica gli allarmi eccessivi di una parte della stampa e dell'opinione pubblica, induce però a considerare la situazione con minore ottimismo, perché certamente in questi ultimi tre giorni è divenuta più difficile e complessa. Previsione è impossibile a farsi, perché non si sa fino a che punto spingerà le cose la Germania, né si sa fino a che punto le spingerà l 'Inghilterra, la quale potrebbe avere minacciato seriamente, ma potrebbe anche avere minacciato per burla, come già fece per l'annessione della Bosnia-Erzegovina. Però, se è da tener presente che allora le minaccie di Grey furono più gravi di quelle recenti di Lloyd George, è anche da tener presente che oggi gli interessi inglesi sono più direttamente in giuoco.

102 1 T. pari data col quale si ritrasmettevano i nn. 98 e 101.

103 1 Gruppo indecifrato.

104

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. RISERVATO 3547/237. Londra, 26 luglio 1911, ore 22,58 (per. ore 6 del 27).

Telegramma V. E. n. 28132 .

Ho attirato oggi seria attenzione Grey sulla situazione intollerabile in cui ci pone deplorevole contegno Turchia verso di noi in Tripolitania. Governo del re, ho detto, rispettoso quanto e più di chiunque altro integrità dell'Impero ottomano, desideroso evitare complicazioni internazionali ha dato prova di longanimità veramente esemplare, sperando sempre riuscire con tempo e con rinnovate prove d'amicizia a persuadere turchi della sincerità della nostra azione economica. I nostri sforzi sono stati infruttuosi; ostilità turca contro qualunque interesse Italia perdura, anzi va sempre più accentuandosi. Questo stato di cose non può durare più a lungo perché vi si ribella opinione pubblica italiana che ne fa questione di dignità nazionale. Se, ad esempio, costruzione porto Tripoli non venisse data ad un italiano o se si rinnovasse uno dei continui incidenti in violazione nostri diritti, Governo di Sua Maestà non potendo più a lungo resistere pressione opinione pubblica, si vedrebbe mal suo grado, costretto agire vigorosamente senza più preoccuparsi conseguenze sua decisione. Di tutto ciò avevo ordine prevenirlo lealmente, a titolo confidenza strettamente personale fattagli dall'E.V., stante cordialità nostre relazioni e in vista speciale accordo italo-inglese per Tripolitania. Nel corso della conversazione ho rilevato parermi posizione italiani in

Triplolitania sia identica a quella dell'Inghilterra nel sud Persia. Che direste voi, ho concluso, se Governo persiano sistematicamente ostacolasse qualsiasi vostra intrapresa economica, se concedesse Porto Bushir ad un non inglese? Grey ha replicato che precedenti miei accenni lo avevano già reso edotto difficoltà nostra situazione e convinto perfetto fondamento nostre lagnanze. Italia è fra tutte le Nazioni quella cui interessi in Tripolitania meritano maggiore considerazione. Se pertanto Italia, a tutela suoi diritti conculcati, si vedesse, fallito ogni possibile tentativo, costretta agire, Inghilterra non solo non interverrebbe contro, ma le concederebbe simpatia appoggio beninteso solo morale, riservandosi al momento psicologico di fare sentire a Costantinopoli che Turchia non può aspettarsi da Italia diverso trattamento dopo il suo scorretto procedere a nostro riguardo. Grey ha osservato, sempre a titolo amichevole consiglio personale, parergli indispensabile che nostra eventuale azione fosse giustificata da una flagrante violazione nostri diritti ovvero da potente dimostrazione del proposito della Turchia di volerei porre in Tripolitania in condizioni inferiorità rispetto alle altre nazioni.

Converrebbe in altri termini evitare che detta azione abbia per scopo di reclamare da Turchia posizione economica preponderante e specialmente privilegiata, perché, in tal caso, egli si troverebbe a disagio nel giustificare dinnanzi Parlamento concessaci simpatia e appoggio morale, Inghilterra avendo sempre mantenuto intatto anche nei suoi accordi colla Francia per il Marocco rispetto al principio della porta aperta in materia economica.

104 1 Il contenuto di questo telegramma venne riferito, anche con citazioni testuali, da Gtourrt, Memorie, pp. 223-224; si veda anche BD, vol. IX/l, n. 221. 2 Cfr. n. l 02.

105

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3574/242. Londra, 27 luglio 1911, ore 14,20 (per. ore 19).

Marocco. Conte Benckendorff, pur constatando, come me, lieve accenno miglioramento situazione, considera ancora prematuro e imprudente abbandonarsi a troppe rosee speranze. Grey gli parlò ieri in termini ad un dipresso analoghi a quelli adoperati con me; aggiunse solo una frase dalla quale favorevole impressione di lui su buon volere di Kiderlen risultava temperata dall'apprensione che Germania intenda fare un troppo buon affare. Conte Benckendorff ha impressione personale che Germania insiste per ottenere un qualche porto sul mare o almeno sul fiume Congo, desiderati entrambi che potrebbero sollevare obbiezioni da parte degli inglesi. Collega ritiene, come me, non impossibile che Francia, per timore complicazioni più gravi, tenda esercitare qui azione calmante, ma, d'altra parte, egli crede che contegno accentuatamente rigido adottato dall'Inghilterra sia stato motivato dalla convinzione essere esso unico mezzo per giungere ad una soluzione pacifica senza infliggere alla Francia grave umiliazione.

106

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 3589/244. Londra, 27 luglio 1911, ore 22,50 (per. ore 6 del 28).

Marocco. Ho veduto testé Asquith reduce dalla Carnera, dove ha fatto dichiarazione di cui V.E. sarà già al corrente. Mi ha detto : «nelle ultime 24 ore, situazione ha preso decisamente piega migliore. Le conversazioni di Berlino procedono ora regolarmente e vi è motivo di sperare che esse conducano ad un accordo equo, soddisfacente per ambe le parti; se tale accordo non lederà nostri interessi, noi non potremo che essere felici».

Cambon considera situazione come migliorata. «li tono della Germania, mi ha detto, si è all'ultimo momento sensibilmente addolcito e, se non sorgono nuove complicazioni, che, nel negoziare con i tedeschi, non è mai prudente escludere in modo assoluto, il momento critico veramente si potrebbe considerare come passato». Questo momento, secondo mi risulta da fonte ineccepibile, è durato 48 ore; lunedì, difatti, Metternich d'ordine del suo Governo, con un linguaggio deliberatamente altezzoso quasi minaccioso, mosse qui amare rimostranze per discorso del cancelliere dello Scacchiere, manifestando sgraditissima sorpresa Governo germanico per una non desiderata e non giustificata irnmistione inglese in un colloquio della Germania con un'altra Potenza. Grey senza scomporsi, rispose freddamente che discorso Llyod George aveva fedelmente riprodotto pensiero Governo e che pertanto egli non aveva spiegazioni da dare. Ricordava solo dichiarazione da lui ripetutamente fatta in pubblici ed in privati colloqui con ambasciatore circa fermo proposito Inghilterra di schierarsi accanto Francia in ogni controversia derivante da questione Marocco. Due giorni dopo, ossia jeri, Metternich è tornato al Foreign Offìce, ma, con linguaggio completamente mutato divenuto anzi amichevole, ha parlato del sincerissimo desiderio del suo Governo di giungere intesa completa colla Francia, delle sue disposizioni concilianti eccetera; da quanto mi ha confidato Cambon, irritazione tedesca è stata negli ultimi giorni molto maggiore contro Inghilterra che contro Francia. Ciò è dimostrato dal fatto che, proprio al momento in cui qui Metternich parlava in tono così urtante, Kiderlen, mutando registro e recedendo da primitive inaccettabili pretese, cominciava dimostrare disposizioni più concilianti.

107

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3609/143. Berlino, 28 luglio 1911, ore 19,36 (per. ore 21,15).

Marocco. In via strettamente confidenziale ho ottenuto qualche informazione sui termini attuali del negoziato in corso fra la Germania e la Francia. Non è vero che Kiderlen abbia domandato cessione dei diritti di riversione spettanti eventualmente alla Francia sul Congo belga; è vero per contro che la sua prima domanda si è estesa all'acquisto di tutta la parte del Congo francese prospicente l'Oceano (come è indicato nella nota mappa pubblicata dal Times). Francia rifiuta di rinunziare ad alcuna parte della costa, ma sarebbe disposta a cedere un tratto di territorio nell'[intemo?]l lungo tutta la frontiera orientale del Camerun tedesco, riservandosi un passaggio nella parte bassa sulla sponda destra dell'Ubangi per conservare l'accesso agli altri suoi possedimenti verso il nord. Kiderlen allega che la porzione del Congo da lui domandata equivale ad un dipresso per estensione a quella del Marocco, il quale è poi più importante per la Francia per la sua posizione geografica e politica. Cambon risponde che il territorio offerto al Congo, oltre ad essere assai fertile, è un libero possesso in piena sovranità, mentre i diritti sul Marocco sarebbero pur sempre limitati da quelli spettanti a terze Potenze ed alla Germania stessa in virtù dell'Atto di Algeciras. Ciascuna delle due parti mantiene finora le proprie posizioni. Entrambe, però, e specialmente Germania, vorrebbero evitare appello ad una nuova conferenza europea che sarebbe la conseguenza di una rottura di questi negoziati. Discorso pronunziato ieri da Asquith alla Camera dei Comuni ha sensibilmente attenuato qui impressione sfavorevole di quello di Lloyd George specie per la dichiarazione che Inghilterra non considererebbe come pregiudiziale ai propri interessi una eventuale cessione di territorio alla Germania fuori del Marocco.

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL RE VITTORIO EMANUELE III E AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI'

PROMEMORIA RISERVATO. Fiuggi, 2 8 luglio 1911.

Scrivo questo promemoria di mio pugno e ne faccio fare da persona di fiducia tre sole copie, delle quali una per Sua Maestà il Re, una pel presidente del Consiglio, ed una per essere depositata nell'armadio dei documenti segreti alla Consulta.

Dal complesso della situazione internazionale e di quella locale in Tripolitania, io sono oggi indotto a ritenere probabile che, tra pochi mesi, l'Italia possa essere costretta a compiere la spedizione militare in Tripolitania. È necessario, in tutto l'indirizzo della nostra politica, di tenere conto di questa probabilità, pur dovendosi, a mio avviso, cercare d'evitarla2 .

108 1 Ed. in Dalle carte ... , vol. III, n. 48, pp. 52-56 e in MALGERI, La guerra libica, n. l, pp. 385

l07 1 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

108

2 In una lettera del l" luglio di San Giuliano richiamava l'attenzione di Giolitti in questi termini: «La situazione che può delinearsi al Marocco richiede da parte nostra il più presto possibile un calmo

Alcuni dei mezzi occorrenti per evitarla, come lo dimostrerò in seguito, hanno al medesimo tempo per iscopo e per effetto di agevolarne il successo, qualora essa diventi necessaria.

La ragione principale, per la quale io credo preferibile di evitare la spedizione in Tripolitania, è la probabilità (probabilità non certezza) che il colpo che il successo di tale spedizione darebbe al prestigio dell'Impero ottomano, spinga all'azione contro di esso i popoli balcanici, entro e fuori l'Impero, oggi più che mai irritati contro il pazzesco regime centralista giovane-turco ed affretti una crisi che potrebbe determinare e quasi costringere l'Austria ad agire nei Balcani.

Ne potrebbero seguire, molto probabilmente, modificazioni allo statu quo territoriale nei Balcani e nell'Adriatico, in parte realmente nocive agli interessi dell'Italia, in parte giudicate come tali, sia pure a torto, dall'opinione pubblica italiana.

Esse, e le conseguenti manifestazioni anti-austriache, specialmente nell'alta Italia, accadrebbero nel momento stesso in cui l'Italia si troverebbe, per quanto transitoriamente, pure sensibilmente indebolita per terra e per mare (e perciò stesso meno influente in Europa e meno temuta e apprezzata militarmente dali' Austria), perché la spedizione in Tripolitania richiede almeno un corpo d'esercito, e quasi tutta la flotta.

Date, infatti , le forze turche di terra esistenti in Tripolitania, e le forze navali turche esistenti nel Mediterraneo, è indubitato che la spedizione non deve farsi se non con forze talmente preponderanti da rendere sicuro e rapido il successo.

La necessità che il successo, oltreché sicuro, sia rapido, è evidente.

Bisogna che tutta l'Europa si trovi in presenza di un fatto compiuto, prima quasi di prenderlo in esame, e che la situazione, che ne seguirà, venga, nei rapporti internazionali, rapidamente liquidata.

La Francia non può, per patto, opporsi; l'Inghilterra, l'Austria e la Germania vedranno tale nostro atto con dispiacere, ma non avranno modo di impedirlo, massime se sarà rapidamente compiuto.

Ripeto che la ragione principale per cui io credo si debba cercare di evitare tale atto, è il timore della sua ripercussione sulla situazione nella penisola dei Balcani e ne li' Adriatico. Può darsi che tale ripercussione non avvenga, ma le probabilità che avvenga sono oggi abbastanza serie per rendere desiderabile di evitarla.

All'infuori, però, di tale ragione, di cui è grandissima la gravità, tutte le altre considerazioni di politica estera consiglierebbero, a mio parere, di affrettare l'occupazione della Tripolitania da parte nostra.

Accenno alle principali:

l) La Francia adempie lealmente l'accordo del 1902, ma oggi, non avendo ancora tunisificato il Marocco, ha interesse ad adempierlo. Tale interesse della Francia verrà meno quando avrà tunisificato il Marocco, cioè quando la parte dell'ac

esame della linea di condotta da tenere e delle eventuali risoluzioni da preparare» (citazione dalla copia conservata tra le carte di Gabinetto del Ministero degli esteri). Così commenta il brano MALGERI (ivi, p. l 00): «È questo il primo documento, in ordine di tempo che si rinviene tra le carte Giolitti sul problema di una possibile azione italiana, o per lo meno sulla opportunità di esaminare la situazione alla luce degli avvenimenti che si stavano verificando nel Mediterraneo». Quanto al ruolo di Giolitti nella scelta di occupare la Tripolitania si veda: ivi, pp. 97-105, 132-136, 155-156.

cordo franco-italiano favorevole alla Francia avrà già esaurito il proprio fine e resterà ad applicare solo la parte di esso favorevole all'Italia.

2) È fuori dubbio che la tunisificazione del Marocco, che sarà probabilmente il risultato delle attuali trattative franco-tedesche, modificherebbe a nostro danno l'equilibrio del Mediterraneo.

3) Risoluta la questione di Tripoli prima della rinnovazione della Triplice Alleanza, saremmo verso i nostri alleati in condizioni migliori per trattare dei patti da modificare.

4) Può darsi che gli alleati pongano come condizione alla rinnovazione dell'alleanza lo scioglimento dell'accordo franco-italiano del 1902, il che ci creerebbe gravi difficoltà, sia che rifiutassimo tale condizione, sia che l'accettassimo. Tali difficoltà verrebbero meno se, prima della rinnovazione dell'alleanza, venisse meno l'accordo franco-italiano, e ciò accadesse non per denunzia o rottura nostra, ma automaticamente, per esserne venuto meno l'oggetto, cioè per aver noi già preso la Tripolitania, e la Francia il Marocco.

5) Sarebbe in ogni modo utile aver noi occupato Tripoli prima che si modifichi lo statu quo territoriale nei Balcani e nell'Adriatico per evitare che i nostri alleati considerino Tripoli come compenso ad un eventuale ingrandimento territoriale dell'Austria, mentre noi sosteniamo che i compensi debbono essere nello stesso bacino dell'Adriatico, e gli accordi italo-austriaci lasciano la cosa nell'incertezza.

6) Nell'attuale situazione internazionale non incontreremmo ostacoli politici troppo gravi alla occupazione della Tripolitania, mentre potrebbero essere più gravi in un altro momento in cui, per altri motivi, essa divenisse proprio inevitabile.

7) È solo dopo aver occupato la Tripolitania che saranno possibili relazioni realmente amichevoli (naturalmente dopo un certo periodo di tempo e di tensione) tra l'Italia e la Turchia.

8) Le gravi difficoltà militari della Turchia in varie parti dell'Impero le renderebbero ora più difficile di inviare forze notevoli in Tripolitania.

9) Se cause politiche non indeboliscono o dissolvono l'Impero ottomano, questo, fra due o tre anni, avrà una flotta poderosa che potrà renderei più difficile ed anche impossibile l'impresa di Tripoli ed incoraggerà la Turchia ad un contegno ancor più provocante ed ostile dell'attuale verso i nostri interessi in Tripolitania.

Esaminate così le ragioni di politica estera pro e contro la prossima occupazione della Tripolitania, bisogna esaminare le probabilità maggiori o minori che tale decisione venga imposta al Governo (il Ministero attuale od un altro) dall'opinione pubblica italiana.

Tali probabilità vanno ogni giorno crescendo per i seguenti motivi: l) è probabile che gli accordi franco-tedesco-inglesi nel Marocco daranno luogo a reciproci compensi, taluno dei quali, come la presa di possesso del Marocco da parte della Francia, sposterebbe realmente l'equilibrio del Mediterraneo e qualche altro, anche non danneggiando in realtà interessi italiani, può produrre nel paese impressione, probabilmente infondata, ma non per questo meno grave;

2) perché continua ed è quasi certo che continuerà la condotta del Governo ottomano ostile ad ogni nostro interesse economico in Tripolitania ed offensiva pel nostro amor proprio nazionale;

3) perché è vivo e diffuso in Italia il sentimento, per quanto infondato, che la politica estera del Governo è troppo remissiva e che gli interessi e la dignità dell'Italia non sono abbastanza rispettati, ed è vivo e generale il bisogno che l'energia nazionale si affermi vigorosamente in qualche modo;

4) perché ogni piccolo incidente tripolino ed italo-turco è ad arte ingigantito dalla stampa per diversi moventi, tra cui il denaro e l'intrigo del Banco di Roma, interessato ad affrettare l'occupazione italiana della Tripolitania.

Ho detto più sopra anche gli stessi mezzi che servono a cercare di evitare la spedizione in Tripolitania, servono anche, ove diventi inevitabile, ad assicurarne il successo; ciò è vero tanto dei mezzi politici quanto dei mezzi militari.

Per cominciare da questi ultimi, è evidente che quanto più e meglio saranno preparati i mezzi militari (terrestri e navali) tanto più sicuro e rapido sarà il successo.

Perciò io credo che converrebbe fin d'ora cominciare alcuni preparativi, anche perché, se la decisione d'agire si dovrà prendere, è necessario che tra la decisione e l'azione interceda il minor tempo possibile onde non vi sia tempo ad intervento diplomatico altrui, a maggiori preparativi turchi e a mutamento d'una situazione generale che sarà parsa favorevole.

Cominciare alcuni preparativi gioverebbe (come accadde pel caso Guzman) anche a diminuire la probabilità che la spedizione diventi inevitabile, perché tali preparativi, per mezzo di abili indiscrezioni, si comincierebbero a sapere dal pubblico, ed anche dalla Turchia, si smentirebbero dal Governo in modo non troppo reciso, e gioverebbero a far capire alla Turchia che non siamo più disposti a tollerare il suo modo di condursi verso di noi. Ciò potrebbe probabilmente indurla a modificare il suo contegno (come avvenne nel caso Guzman) e quindi renderebbe più facile a noi l'evitare la necessità di ricorrere a tali estremi. Infatti i turchi non cedono che alla forza.

I mezzi politici sono quelli stessi tentati finora e che, uniti a tale larvata intimidazione, converrà continuare ancora un poco, nella speranza, per verità non molto fondata, che finiscano per riuscire, almeno in parte, al desiderato miglioramento dei reciproci rapporti, ed anche allo scopo di dimostrare all'Europa che, prima di agire, abbiamo esauriti tutti i tentativi amichevoli e siamo stati sin troppo longanimi e pazienti.

D'altronde ancora un mese o due di tentativi pacifici non saran tempo perduto se verranno utilizzati a perfezionare i nostri preparativi militari.

Non posso però dissimulare la convinzione, che mi sono formata, che il mezzo più efficace per evitare la spedizione militare in Tripolitania è di prepararla e di lasciar sapere, senza dirglielo ufficialmente, alla Turchia che la prepariamo, perché egli è soltanto coll'intimidirla che potremo indurla a modificare quella politica verso ogni nostra legittima attività in Tripolitania, la quale finirebbe per rendere inevitabile la nostra spedizione.

E se questa spedizione dovesse avvenire, quale dovrebbe essere l'obbietto?

Bettòlo vagheggia l'occupazione di Tobruk; essa però, con poco minori rischi e spese che l'occupazione di Tripoli, non sarebbe risolutiva.

Se dobbiamo affrontare tutte le possibili conseguenze di un'azione audace, bisogna che essa sia tale da risolvere il problema e quindi dovrebbe subito e direttamente mirare ad impadronirsi dei due centri del Governo turco nell'Africa del Nord, cioè prima Tripoli, e, pochi giorni di poi, Bengasi.

Fatto ciò, si cercherebbe di dare all'esercizio della nostra sovranità su Tripoli la forma più idonea a ridurre ad un minimum, almeno per alcuni anni, le nostre spese e l'impiego permanente di forze militari italiane in quelle regioni. Si potrebbe probabilmente utilizzare la dinastia, non ancora spenta, dei Karamanli, o venir con la Turchia ad una soluzione come quella adottata per la Bosnia nel 1878 o colla Cina dalla Germania ed altre potenze europee.

Ma discutere tutto ciò è prematuro oggi; oggi basta tener presente la probabilità che la spedizione diventi presto inevitabile e indirizzare fin d'ora la nostra azione al doppio fine di tentare, da una parte, di evitarla e di preparame fin d'ora il successo, se, come appare sempre più probabile, diventerà, contro la volontà nostra inevitabile.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3661/672. Therapia, 1° agosto 1911, ore 14,05 (per. ore 21).

Telegramma di V. E. n. 2885 1• Contratto concessioni studi firmato sabato scorso. Comprende linee seguenti: l) ferrovia Danubio-Adriatico con tracciato intermedio oggetto telegramma n. 665 2; 2) ferrovia Monastir-Resna-Okrida-Janina-Baja di Gumnitza; 3) raccordo tra Monastir e Dibra; 4) raccordo fra Monastir e frontiera bulgara a Tcharevoslo; 5) Samsun-Sivas Kar[asu] e Kar[hin] -Erzerum-Trebisonda. Tracciato intermedio Danubio-Adriatico è meno favorevole interessi italiani, perché traffico avrà minore convenienza dirigersi Adriatico a preferenza Salonicco e perché, ferrovia toccando San Giovanni di Medua prima di Scutari, resterà inutilizzato raccordo Scutari-Antivari. Lettera Theodoli spedita jeri espone esaurientemente questione. Bompard disse Theodoli che difficoltà politiche anche maggiori ostacoleranno concessione definitiva e che per superarle occorre non far comparire interessamento italo-russo; perciò ambasciatore di Francia ritiene inattuabile clausola convenzione

Parigi 1908 che affida separatamente costruzione ferrovia ai francesi e porto agli italiani, dovendo nuove società essere ottomane e costruzione porto non essendo contemplata. Mi sembra essere questa opportunità favorevole per riprendere conversazione allo scopo di ottenere nostra partecipazione costruzione ferrovia ed interessamento alla linea ferroviaria Monastir-Gumiza, la quale, per ora, mette da parte la Monastir-Valona oggetto di precedente corrispondenza3 .

109 1 T. del 29 luglio, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva di appurare se fosse stato firmato il contratto per la ferrovia Danubio-Adriatico. 2 T. 3598/665 del 28 luglio, non pubblicato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3705/677. Therapia, 3 agosto 1911, ore 23,10 (per. ore 6,55 del 4).

Agenzia telegrafica ottomana ha segnalato ieri articolo della Stampa di Torino, nel quale è detto, a proposito questione marocchina, che Tripolitania deve divenire italiana. Quel giornale essendo qui considerato come avente attinenza con Governo, articolo fu notato senza, però, impressionare. Ormai in Turchia siffatte minacce non sono più prese sul serio. Esse servono, però, a perpetuare l'equivoco che rende impossibile lo stabilmento di normali relazioni con questo Governo, equivoco che ha origine nella nostra falsa posizione rispetto alla Tripolitania, poiché la nostra proclamata penetrazione pacifica non è qui altrimenti considerata che quale tentativo di penetrazione politica. Giornale Giovane Turco commenta predetto articolo in termini moderati, affermando Tripolitania resterà sempre turca e propugnando trattato arbitrato con Italia onde evitare che questa colga continui pretesti per «incomodarci e indisporci». Lloyd Ottomano, che ha attinenza con ambasciata tedesca, afferma Italia non ha alcun diritto valersi questione marocchina per sue ambizioni tripoline. Giornali di lingua turca si limitano riprodurre detto articolo del Lloyd Ottomano. Mi viene riferito che questo incaricato d'affari Germania, parlando in presenza di altro collega, criticò severamente articolo della Stampa e consimili irritanti manifestazioni e fece paragone con periodo precedente occupazione Tunisi, quando in Italia non si parlava altro che di Tunisi, mentri ci fu «soffiato». Osservo che, da anni, questa ambasciata tedesca, con innegabile profitto, assume la parte di moderatrice dell'Italia nella sua azione in Tripolitania. Ritengo, quindi, che presente suo atteggiamento abbia una portata puramente locale.

109 3 Per il seguito della questione cfr. n. 131.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE 3727/397. Parigi, 4 agosto 1911, ore 14,55 (per. ore 18,l0).

Perez Caballero, nell'annunziarmi la prossima conclusione del modus vivendi colla Francia, espresse fiducia per sollecito regolamento della questione marocchina della quale De Selves gli aveva promesso di occuparsi subito ed io di ciò resi conto a V.E. nel telegramma 383 1• Oggi Perez Caballero è venuto da me a lagnarsi perché, dopo concluso il modus vivendi, le trattative col Governo francese si sono arrestate. Perez Caballero mi ha detto che egli ritiene che l'accordo franco-germanico non può essere concluso senza intervento Inghilterra e Spagna, poiché, nell'accordo del 1907 col quale la Francia, Inghilterra e Spagna si garantirono reciprocamente i loro possessi, fu anche espressamente stipulato che nessuna delle tre Potenze poteva senza il consenso delle altre fare cessione di territori bagnati dall'Atlantico sia in Africa che in Europa. Quanto alla tesi spagnuola, Perez Caballero la riassume così con molta logica e chiarezza: se le truppe francesi lasceranno Fez, le truppe spagnole potranno lasciare Larache e Alcassar el Kebir, però, come la mahalla sceriffiana a Fez sarà comandata da ufficiali francesi, la mahalla a Larache e Alcassar el Kebir dovrà essere comandata da ufficiali spagnuoli. La Francia, inoltre, deve impegnarsi a non dare suggerimenti al sultano per ciò che riguarda la zona di influenza spagnuola senza essersi inteso prima colla Spagna e la Spagna deve prendere uguale impegno per la zona di influenza francese. Finalmente, poiché la zona di influenza spagnuola è un quinto del Marocco e quella francese quattro quinti, la Francia deve ammettere la Spagna in tutti i lavori pubblici e imprese finanziarie nel Marocco.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO 1

T. RISERVATO 300 l. Roma, 4 agosto 1911, ore 23,20.

Incaricato d'affari di Turchia è venuto a trasmettere ufficiosamente al sottosegretario di Stato doglianze suo Governo per linguaggio unanime stampa italiana eccitante all'occupazione della Tripolitania. Nel corso della conversazione accennò

127 anche alla favorevole accoglienza trovata alla Camera da interrogazioni aventi carattere di ostilità verso Turchia, aggiungendo che tali manifestazioni della pubblica opinione dovrebbero essere moderate da dichiarazioni franche ed esplicite del Governo italiano tali da escludere ogni sospetto dell'esistenza di una politica ufficiale ed una di connivenza con agitazione per la Tripolitania. Conchiuse che la mancanza di un'azione energica da parte del R. Governo potrebbe turbare rapporti tra i due paesi. Il sottosegretario di Stato premettendo che intonazione del linguaggio non poteva essere da lui accolta, osservò non essere ammissibile che si facessero insinuazioni di doppiezza sulla nostra politica. Fece notare che Italia aveva tenuto verso Turchia un contegno amichevole nella questione albanese e che R. Governo era andato incontro ad accuse di debolezza per non aver sufficientemente reagito ai molteplici atti di ostilità compiuti da funzionari ottomani verso nostri connazionali ed i nostri interessi (specialmente dal valì di Tripoli) e per avere tenuto alla Camera un linguaggio improntato alla più prudente cautela. Concluse che egli non poteva prendere nemmeno atto di quella comunicazione. La informo di quanto precede aggiungendo che nelle sue conversazioni con codesti uomini di Governo S.V. potrà opportunamente lasciare intendere che se non muta la condotta delle autorità turche verso i nostri interessi in Tripolitania le conseguenze potranno essere ben più gravi che gli articoli dei giornali o i discorsi dei deputati. Il Governo italiano non intende affatto fare le dichiarazioni chieste dall'incaricato d'affari né alcun altro atto amichevole verso la Turchia fino a che questa non avrà tolto ogni legittima cagione all'irritazione legittima dell'opinione pubblica italiana.

111 1 T. 3575/383 del 27 luglio, non pubblicato.

112 1 Il contenuto di questo telegramma venne riferito, anche con citazioni testuali, da GIOLITTI Memorie, p. 222.

113

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 729/283. Zarauz, 4 agosto 1911 (per. 1'8).

Sir Maurice de Bunsen tornato ieri da Londra dove passò buona parte di questi ultimi due mesi mi confermò pienamente le notizie giunte aii'E.V. da varie parti circa la profonda irritazione cagionata in Inghilterra dal fatto d'Agadir. Da qualche tempo, egli mi disse, si era riprodotto un notevole riavvicinamento tra la Germania e l'Inghilterra; la recente visita dell'imperatore, quella del principe e della principessa ereditarii che avevano incontrato ovunque le maggiori simpatie, lo stesso giro automobilistico compiuto in Inghilterra dal principe Enrico di Prussia, tutto ciò aveva avuto ottimi effetti ed i rapporti fra i due paesi erano migliori che non fossero mai stati. Ma l'incidente d'Agadir distrusse d'un colpo tutti i buoni risultati ottenuti. Ciò che più dispiace in Inghilterra non è l'intervento della Germania nell'imbroglio marocchino; non si disconosce al Governo imperiale il diritto di interloquire nella importantissima questione. È il modo improvviso e troppo energico onde si produsse quell'intervento che dispiacque fortemente a Londra, e l'initazione non è soltanto nelle sfere governative ma in tutti i circoli politici e anche nella opinione pubblica in generale. Il Governo inglese in previsione delle difficoltà che poi si produssero, aveva vivamente sconsigliato la Francia di avventurarsi tanto a fondo nella impresa marocchina; aveva suggerito alla sua alleata di non andare a Fez ma di prendere una forte posizione sulla via di quella capitale e d'imporre di là la pace al sultano e alle tribù. Ma ora l'occupazione di un porto sull'Atlantico da parte della Germania era una grave minaccia per gli interessi inglesi, e il Governo imperiale avrebbe potuto prevedere quale effetto quella occupazione avrebbe avuto in Inghilterra. La situazione sembrava però al mio interlocutore oscura bensì ma non ancora grave, attesoché può essere pienamente rischiarata dal buon esito dei negoziati di Berlino nel quale egli dimostra una certa fiducia. Egli pensa però che ormai qualunque sia la soluzione che si prepari, un fatto nuovo esisterà sempre ed è il protettorato della Francia sul Marocco che del resto l'Inghilterra ha in certo modo consentito fino dal 1904. Vista però la diversa situazione d'altre Potenze egli crede che si vada incontro alla necessità d'una nuova conferenza che riveda l'operato di quella d'Algeciras. Da quanto egli mi diceva mi pare di dover argomentare che quando si tratterà, in una conferenza o altrimenti, del nuovo assetto del Marocco, il Governo inglese insisterà perché sia data soddisfazione anche alla Spagna. Malgrado che esso abbia vivamente disapprovato l'occupazione d'Alcazar non si possono disconoscere i gravi interessi che la Spagna ha in gioco, né si può farle sgombrare Alcazar senza un equo compenso. Se tali sono realmente le disposizioni del Governo inglese, e non sarebbero del resto che conformi agli obblighi da esso assunti nel 1904, quanti desiderano una pronta risoluzione delle difficoltà marocchine devono rallegrarsene. Quello che infatti resterà da temere, anche dopo un eventuale pacifico e soddisfacente componimento del dissidio franco-tedesco, è che il partito coloniale francese cerchi di far pagare alla Spagna i sacrifizi che la Francia avrà dovuto accettare a Berlino. In tal caso l'azione conciliatrice dell'Inghilterra avrà molto valore, ed è ben naturale che essa si produca attesoché una umiliazione che dovesse subire la Spagna riuscirebbe disastrosa per la dinastia, alle sorti della quale, sopratutto dopo il matrimonio di re Alfonso, il Governo britannico ha sempre dimostrato viva sollecitudine.

114

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3746/687. Therapia, [5] agosto 1911, ore 13,40 (per. ore 18,45).

Durante il colloquio con l'incaricato d'affari di Germania, questi mi disse che considerava poco buoni rapporti fra Italia e Turchia. Richiesto del motivo, mi ha risposto che le ormai palesi aspirazioni sulla Tripolitania e le nostre discussioni parlamentari hanno profondamente urtato i turchi, che, d'altra parte, sono divenuti eccessivamente suscettibili. Parlando del porto di Tripoli, disse che Governo si trova nella impossibilità di aggiudicarlo ad una ditta italiana sotto pena di essere immediatamente rovesciato; per tale ragione una aggiudicazione non sarebbe mai sincera. Convenne meco che, in tale stato di cose, i turchi farebbero meglio a lasciare il porto di Tripoli come si trova e mi espresse convinzione che così sarà fatto. Incaricato d'affari di Germania mi informò incidentalmente che il Governo ottomano ha offerto ai tedeschi la costruzione del porto di Valona, ma non sapeva se offerta sarebbe accettata.

115

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSAI

T. 3029. Roma, 6 agosto 1911, ore 20,15.

*Il reggente la r. ambasciata in Costantinopoli mi ha telegrafato quanto segue: «Agenzia telegrafica ... eccetera ... portata puramente locale» (come da telegramma in arrivo n. 3705)2 . Premetto che Stampa sebbene favorevole ad altre parti del programma del Ministero ne combatte sempre la politica estera.*

L'atteggiamento dell'ambasciata tedesca a Costantinopoli segnalato da De Martino contribuisce a mantenere in Turchia la pericolosa illusione che le nostre minacce non vanno prese sul serio.

*Come ho già telegrafato a V.E. è vero che R. Governo non desidera occupare Tripolitania né adottare altri mezzi coercitivi, ma* in un paese democratico e parlamentare non può il Governo alla lunga seguire una politica contraria alla volontà nazionale. Il movimento della opinione pubblica italiana perché si ponga fine ad uno stato di cose che ritiene umiliante per la dignità nazionale, si fa sempre più irresistibile. *La Gemania ha molta influenza a Costantinopoli ed è ancora in tempo se vuoi esercitarla senza indugio ad impedire che il R. Governo sia costretto ad agire. Bisogna che sia traslocato il valì di Tripoli, modificato il linguaggio della stampa turca ufficiosa, dataci soddisfazione per insulti ali' esercito, posto fine alla politica di ostilità contro ogni nostra attività economica in Tripolitania.

Se questo sia fatto il R. Governo confida di poter modificare le attuali correnti dell'opinione pubblica italiana e di potersi mostrare amico sincero della Turchia il cui consolidamento risponde ai nostri maggiori interessi. Se ciò non avviene*, se in Germania ed in Turchia si continua a credere che noi nulla faremo e continueremo a sopportare tale stato di cose, allora la Turchia avrà da noi una dolorosa sorpresa ed agiremo risolutamente qualunque ne siano le conseguenze. *Lascio a V.E. il giudicare se e come parlarne amichevolmente con codesto Governo che* per evitare una

130 rottura tra Italia e Turchia ed una nostra spedizione in Tripolitania deve agire da moderatore non a Roma ma a Costantinopoli3 .

115 1 Il telegramma è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e l'omissione dei brani tra asterischi, da DE MARTINO, La mia missione, p. 269. 2 Cfr. n. 110.

116

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 3035. Roma, 7 agosto 1911, ore l 5.

Rispondo al suo telegramma n. 393 1• Non è esatto che io abbia mai risposto ad iniziative russe con un rinvio puro e semplice a Vienna né mai tali iniziative concrete e chiare mi sono stare comunicate. Per molte gravi ragioni, tra cui la nostra possibile azione in Tripolitania, credo necessario evitare tutto ciò che possa indebolire attuale intesa i tal o-austriaca e ridestare a Vienna diffidenze verso di noi o dare all'Austria pretesto di non osservare interamente l'obbligo reciprocamente assunto di procedere d'accordo nella questione albanese. Con questa premessa comprendo però l'opportunità che l'Italia proceda d'accordo anche con la Russia ed eviti sopratutto che le pratiche avviate dalla Russia a Vienna possano portare a definitive conclusioni senza la compartecipazione dell'Italia perché ciò arrecherebbe gravissimi danni alla nostra situazione. V.E. vorrà quindi mantenere il più intimo contatto con il signor Iswolski procurando di cancellare l'infondata impressione comunicatale ispirando il suo linguaggio all'intendimento di evitare ogni possibilità di accordi austro-russi all'infuori dell'Italia. Non mi è parso finora opportuno un intervento più attivo e palese dell'Italia perché non vedo come le tre Potenze, ed ancora meno una sola di esse, possano renderlo efficace. Ad ogni modo se Russia facesse proposte concrete e pratiche le esaminerei con tutto il buon volere conciliabile con le considerazioni suesposte.

117

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 677/202. Pietroburgo, 7 agosto 1911, (per. il 17).

Ora che l'insurrezione dei malissori può sembrare domata, la tensione dei rapporti tra la Turchia ed il Montenegro che ne fu la diretta conseguenza e che per un tempo oscurò, l'orizzonte balcanico, non tarderà pure a dissiparsi. In tale stato

116 1 T. riservatissimo personale 3687/393 del 3 agosto, non pubblicato.

di cose è probabilmente destinato a rimanere, per ora almeno, senza altro seguito, un tentativo recentemente fatto dal conte d' Aehrenthal e che ebbe da VE. la più completa adesione di addivenire ad una comunanza di vedute e di azione tra le tre Potenze più interessate nella questione, Italia, Russia ed Austria-Ungheria, al fine di evitare un conflitto tra la Turchia ed il Montenegro. Credo utile tuttavia di spendere ancora qualche parola intorno a questo tentativo che rappresenta senza dubbio un fenomeno interessante della politica, sempre così larga di sorprese, dell'accorto diplomatico austriaco.

In una delle sue conversazioni col duca d'Avarna, da VE. riferitami, il conte d'Aehrenthal ha tacciato come troppo pessimista, a suo credere, l'impressione del conte Thurn circa le disposizioni poco favorevoli del Gabinetto di Pietroburgo alla proposta in parola. Sento, dal canto mio, di meritare pure lo stesso addebito, come del resto lo attestano i telegrammi ed i rapporti da me spediti sull'argomento a V.E., in cui non nascondevo che al passo del conte d'Aehrenthal non sembrava qui riservato molto successo. I fatti paiono ora avermi dato ragione e posso dire che l'attitudine evasiva o per lo meno declinatoria assunta in proposito dal Governo imperiale superò ancora la mia aspettativa. Salvo qualche frase banale e cortese: de l'eau bénite de court come dicono i francesi, esso, si schivò sempre dal dar una franca adesione alla proposta di Aehrenthal. Pur assentendo nella forma ad entrare in un sembiante di conversazione coi due altri Gabinetti, il signor Neratoff però, sempre insistette perché alla divisata opera pacificatrice fossero chiamate a concorrere tutte le altre potenze; alla proposta dei passi in comune da farsi a Costantinopoli ed a Cettigne rispose poi mettendo avanti la sua proposta di mediazione. Aggiungesi poi che nel mentre la proposta del conte di Aehrenthal trovavasi qui in corso di esame ed era già stata platonicamente accettata dal signor Neratoff, l'azione individuale della diplomazia russa a Costantinopoli e particolarmente a Cettigne non fu mai così insistente e risoluta, senza che mai il signor Neratoff abbia creduto rendere direttamente informati i Gabinetti di Roma e di Vienna di tali suoi passi che pure ottennero spesso, particolarmente presso il Montenegro, effetti risolutivi. Ultimamente poi il Gabinetto di Pietroburgo, messo i piedi contro il muro, dalle proposte del conte d'Aehrenthal di presentare agli altri due Gabinetti un programma di azione comune si schermì proponendo a sua volta che dello studio di tale questione fossero incaricati i rappresentanti a Costantinopoli. Non potevasi più chiaramente fare intendere che il lasciare che l'Austria-Ungheria assumesse in quella questione una attitudine direttiva, assai poco garbava alla Russia.

Molto probabilmente del progetto del conte di Aehrenthal non si parlerà più almeno per ora, e ciò è senza dubbio un male perché, oltrechè a servire di mezzo di riavvicinamento tra la Russia e l'Austria-Ungheria la di Ct'i perdurante tensione costituisce un fenomeno inquietante nella politica internazionale esso avrebbe potuto sopravvivere alla causa che l'ha determinato e continuare ad esercitare una benefica azione pacificatrice anche di fronte a nuove complicazioni che presto o tardi non mancheranno di prodursi o in una parte o nell'altra della penisola balcanica.

Ed è da deplorarsi che questa intesa a tre non abbia potuto iniziarsi appunto riguardo alla questione dell'Albania e del Montenegro o ve noi siamo maggiormente interessati, offrendo così l'addentellato per l'introduzione dell'Italia nel triplice accordo.

L'errore fondamentale in cm e mcorso, a parer mio, il conte d'Aehrenthal, consiste nell'aver potuto credere che l'adesione della Russia alla sua proposta che avrebbe certamente un marcato cambiamento nella politica estera di quest'Impero, si sarebbe potuto ottenere sotto la reggenza del signor Neratoff che oltre alle sue, credo, assai tiepide disposizioni personali verso l'Austria-Ungheria, ha una sacrosanta paura della stampa nazionalista russa, che da una simile intesa sarebbe rimasta oltremodo irritata.

Il signor Neratoff, ed intorno a lui i suoi principali coadiutori e consiglieri, signor Savinsky, Nelidoff ed altri, tutti venuti su all'epoca del signor Iswolsky, sono piuttosto inclini alla politica dell'antico ministro di cui condividono, in parte almeno, le passioni ed i rancori.

Il signor Sassonoff invece, il quale, all'epoca del Convegno di Potsdam, ha già dimostrato di sapersi allontanare, quando lo richiedano gli interessi del paese, dalle vie battute dal suo predecessore, avrebbe solo posseduto l'iniziativa e l'autorità necessaria per arrischiarsi ad un tale mutamento e sormontare l'opposizione dei partiti.

È quindi da augurarsi che allorquando il signor Sassonoff, rinfrancato di salute e di energia, sarà ritornato a Pietroburgo ed avrà ripresa la direzione del Ministero degli esteri, la questione sollevata dal conte di Aehrenthal sia posta nuovamente sul tappeto se non altro per scrutare le di lui disposizioni al riguardo. Giova però qui osservare, che un accordo siffatto non potrà avere probabilità di essere favorevolmente accolto in Russia che quando l'Italia si presentasse in condizioni di perfetta indipendenza di fronte all'Austria-Ungheria.

Altrimenti una simile intesa non offrirebbe alla Russia nessuna garanzia; sarebbe anzi da essa rigettata senz'altro come gravemente dannosa ai suoi interessi.

115 3 Per il seguito cfr. n. 128.

118

IL SIGNOR INSABATO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. Tripoli di Barberia, 8 agosto 1911.

L'altro giorno a Malta ho impostato per lei e diretta al commendator Peano, una lunga lettera dove dimostravo l'inganno di cui è rimasto vittima il Governo italiano a proposito delle pseudorelazioni del consolato di Bengasi coi senussi e le accennavo alla necessità di porre al più presto riparo a questa situazione che mette in pericolo l'avvenire della nostra influenza in Cirenaica e Tripolitania.

Ora a Tripoli sto raccogliendo nuovi dati che completano e confermano quanto ho detto, mi pare però opportuno avvertirla subito di alcune notizie che possono servire a rischiarare la situazione.

Appena giunto a Tripoli ho avuto una nuova prova della immensa influenza del bey Mohammed Ali Elui fra i musulmani. Infatti egli si è recato subito alla zauia

(convento) senussita principale della città e vi ha incontrato il sindaco della città Hassuna pascià Karamanli ed il valì di Tripoli Ibrahim pascià. Tutti e due costoro sono senussiti ed hanno fatte varie confidenze al bey e gli hanno parlato a lungo delle relazioni fra essi e gli italiani.

Il valì ha detto al bey che egli non è mai stato ostile agli italiani, ma che i dissidi sono nati per la mancanza di tatto di alcuni consoli e per la violenza con cui i nostri rappresentanti volevano far legalizzare delle compere di terreni, che non erano in regola. Ha parlato anche dell'incidente Guzman, giurando che il Governo turco non vi entrava assolutamente e che l'affare Guzman è stata una montatura italiana per creare un incidente. Queste le affermazioni del valì contro l'Italia, ma siccome egli è senussita non poteva nascondere al bey la verità completa e gli ha esposto anche il lato della questione contrario alla Turchia, egli ha detto che il Governo dei giovani turchi è una rovina per l'Islam, egli ha raccontato come ad esempio la Camera turca abbia votato un credito per distribuire dell'orzo ai poveri della Tripolitania, e come non ne sia arrivata a Tripoli neppure una misura. A proposito della compera dei terreni da parte d'italiani il valì ha detto di avere ricevuto da Costantinopoli l'ordine di ostacolare agli italiani l'acquisizione di terreni, specialmente se dietro ad essi vi sia il Banco di Roma, e di impedire agli arabi di vendere. Il valì Ibrahim pascià ha risposto al suo Governo in questo modo: «Impedire le compere di terreni e la voltura, quando tutto è in completa regola, è impossibile perché i cadì vi si rifiuterebbero, e del resto è quasi inutile poiché in generale gli italiani ed il Banco non comperano quasi mai in regola. In quanto poi all'impedire agli arabi di vendere non è possibile data la terribile miseria che infierisce, l'unico mezzo sarebbe che il Governo mi mettesse a disposizione una somma ed in tal caso potrei all'ultimo soppiantare il compratore italiano e comperare io per il Governo turco».

Ibrahim pascià non ha neppure avuto risposta a questa sua lettera.

Nel parlare con lui, col Karamanli e cogli altri senussiti il Mohammed Ali Elui, accennò alla rivolta degli arabi dello Yemen contro i turchi, e disse che l'Idrissi, capo dei rivoltosi, aveva riportate numerose vittorie, e che la situazione dei turchi in Arabia è assai grave.

A questo punto il valì lo chiamò da parte e gli disse: «ti prego, figlio mio, di non parlare e di neppure nominare l'Idrissi in Tripolitania, poichè il suo nome mette in furore i turchi, e perché gli arabi, se sapessero la verità, potrebbero anche ribellarsi ai turchi. Quello che tu dici, è la verità, ti dirò anzi di più, l'Idrissi ha riportata una nuova vittoria, ed ha sconfitto definitivamente le truppe del Gran Sceriffo della Mecca, partigiano dei turchi, e che in questa battaglia è rimasto ucciso il figlio del Gran Sceriffo. In questo momento l'Idrissi marcia sulla Mecca e Medina. Se egli riuscirà a prenderle, la potenza turca sarà finita, perché il sultano non sarà più califfo. Vedi dunque come il Governo turco abbia estremo interesse a nascondere la situazione, ora, se tu ne parlassi, non solo potresti tu cadere in sospetto, ma io stesso pel fatto solo di averne parlato con te, potrei essere denunciato a Costantinopoli dalle numerose spie del Comitato Unione e Progresso, che mi circondano».

Queste parole del valì mettono in luce meglio di ogni cosa il male che rode profondamente l'Impero turco, e indicano a noi la strada da seguire per affrettare lo sfacelo e profittame.

In un'altra mia le parlerò a lungo delle accuse che ho più sopra riferite e che il valì ha fatte all'Italia, e debbo confessare che purtroppo ha ragione e che un bel po' di colpa risale anche ai giornalisti ed ai corrispondenti che hanno alterata e svisata la vera situazione: l'incidente Guzman è una vera montatura della quale le farò la storia in un'altra mia, ed in quanto ai terreni, prima ancora d'arrivare a Tripoli e nella precedente le ho già fatto cenno, riservandomi di sviluppar tutto in un rapporto speciale, come i terreni siano stati acquistati in modo che rasenta il pazzesco!

Intanto sto raccogliendo nuovi dati anche per Tripoli. Venerdì prossimo sono invitato assieme al bey, a passare una giornata nei giardini di S.E. Karamanli pascià, sindaco di Tripoli. Date le relazioni fra turchi e italiani credo di essere il primo italiano che ha ricevuto un simile invito confidenziale, ma ciò dimostra, come sarebbe possibile andare d'accordo ed ottenere molte cose anche attualmente senza rinunziare però all'occupazione simultanea della Tripolitania e della Cirenaica che, a parere mio, s'impone a breve scadenza.

* * *

A Tripoli abbiamo trovato delle lettere giunte al bey dal Cairo che gli annunciano l'arrivo di Sidi Alì El Ebedie con tre lettere del Gran Senussi e l'arrivo di altri cinque suoi messi che debbono far la scorta al bey nella sua prossima andata a Giarabub. A proposito di questa andata del bey Mohammed Alì Elui dal Gran Senussi, le scriverò a lungo poiché è necessario che ella decida sul da farsi e su ciò che il Mohammed deve dire.

Da questa sua andata dipende l'avvenire delle nostre relazioni coi senussia ed una imprudenza nuova aggiunta a quelle commesse dal Bernabei potrebbe guastare per sempre un meravigliosa penetrazione pacifica tra le popolazioni della Cirenaica.

Voglio solo far notare che oggi specialmente si impone la necessità di avere amici i senussia, non solo per ragioni commerciali eccetera, ma anche in vista di una possibile occupazione. Infatti in questi ultimi anni tutta la popolazione della Cirenaica si è armata non vi è un ragazzo di 14 anni che non abbia il suo Mauser o il suo Martini.

I contrabbandieri maltesi e greci ogni giorno sbarcano fucili (noto subito che il famoso El Enesi l'uomo di fiducia del console Bernabei è il più forte contrabbandiere d'armi che v'è in Cirenaica).

Il giorno prima che io giungessi a Bengasi a Ras El Halal due velieri di pescatori di spugne avevano sbarcati uno 1.000 fucili e l'altro 2.500 con relative munizioni. Fra una diecina di giorni si aspetta lo sbarco di altri 7.000 fucili.

Ho parlato a lungo di questo contrabbando con un frate francese della missione cattolica di Bengasi certo frère Patrice de Nantes. Egli mi ha detto che in un anno e mezzo che egli è a Bengasi non ha contato meno di una trentina di sbarchi d'armi. Egli ne ha sempre prevenuto ogni volta il console francese, il quale correva dal mutessarif per avvertirlo affinché facesse sorprendere i contrabbandieri, ma all'ultimo momento o il posto di sbarco era cambiato o i soldati arrivavano troppo tardi. Il Governo francese ha fatto varie rimostranze al mutessarif poiché egli sa che buona parte di queste armi sono inviate al Wadai per combattere i francesi, ma il Governo turco o non ha potuto o non ha voluto far nulla. Comunque le armi penetrano in Cirenaica e tutti si armano, dato anche il prezzo non molto elevato (calcolato il

guadagno dei contrabbandieri) dei fucili che vengono pagati m media 20 o 25 franchi e delle cartucce che costano pochi centesimi.

Data quindi una occupazione italiana, noi ci troveremmo di fronte ad una popolazione armata la quale, se ci fosse avversa, potrebbe rendere se non impossibile per lo meno difficile e sanguinosa la occupazione.

Sotto qualsiasi punto di vista si esamini la questione risulta assolutamente necessario stringere definitivamente e sul serio delle buone relazioni d'amicizia coi senussi, la cosa non è né pericolosa né difficile, né costosa ed in un'altra mia le esporrò il piano che crederei opportuno adottare.

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI

T. 3060. Roma, 9 agosto 1911, ore 19,40.

Ringrazio la S.V. delle interessanti notizie datemi con il suo telegramma n. 51 1• Occorre però che ella tenga sempre ben presente che l'Italia non può agevolare in alcun modo ai senussi l'acquisto di armi e munizioni e deve sempre tener presenti i doveri di Potenza civile unita da amichevoli rapporti con la Turchia rapporti che in questo momento politico importa più che mai tener saldi.

120

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

D. CONFIDENZIALE 81 . Roma, 9 agosto 1911.

Come V.S. non ignora, la politica del R. Governo mira al mantenimento dell'integrità dell'Impero ottomano, e, alieno da ogni avventura, è conscio del grande

Per Londra solo. Riferenclomi ai suoi telegrammi nn.... mi compiaccio eli quanto le ha eletto sir Edward Grey e sir Arthur Nicolson, ai quali V.E. potrà sempre ripetere che noi non abbiamo mai chiesto alla Turchia di escludere dalla Tripolitania e Cirenaica l'attività economica altrui, ma soltanto di non frapporre ostacoli alla nostra.

136 interesse che ha l'Italia a continuare in pace la sua opera di progresso, di sviluppo economico e di riforme civili.

In presenza, però, dei possibili mutamenti nell'equilibrio del Mediterraneo, cui può dar luogo la fase attuale della questione del Marocco, e della continua e provocante opposizione del Governo ottomano ad ogni legittima attività economica italiana in Tripolitania e Cirenaica, non posso escludere a priori la possibilità che da un momento all'altro possa il R. Governo esser costretto ad occupare quelle provincie o a quella qualsiasi azione coercitiva, che le circostanze potranno consigliare.

Prego la S.V. di volermi far conoscere il più presto possibile il suo parere e le sue previsioni sui punti seguenti:

l) che cosa si dovrebbe fare dal Governo italiano per cercare di evitare tale estremità pur continuando a dare protezione e sviluppo agli interessi economici italiani in Tripolitania e Cirenaica;

2) quale forma, d'azione coercitiva la S.V. stima più opportuna ed efficace, sia direttamente in Tripolitania e Cirenaica sia in altra parte dell'Impero;

3) quale ripercussione tale eventualità potrebbe avere, per la scossa che darebbe al prestigio dell'Impero ottomano, sulla situazione in Albania, in Macedonia e in genere nella penisola balcanica;

4) quale reazione ottomana sia da aspettarsi sotto forma o d'eccidio (al quale io non credo) di italiani residenti nell'Impero ottomano o più facilmente di boicottaggio e se questo sarebbe più o meno prolungato ed efficace;

5) se vi sia grande differenza tra le conseguenze, i rischi, i danni possibili d'una nostra azione coercitiva limitata o temporanea e quella derivante dalla occupazione risolutiva della Tripolitania e Cirenaica2 .

Per Parigi soltanto. In ogni modo noi non possiamo dubitare che fedele agli accordi franco-italiani del 1902, il Governo francese adotterà verso di noi, in qualsiasi fase della questione di Tripolitania, la stessa attitudine amichevole che noi abbiamo sempre tenuta verso di esso in quella del Marocco».

li dispaccio inviato al\ 'ambasciata a Pietroburgo reca invece il seguente testo: «Come risulta dai qui uniti telegrammi, i rr. rappresentanti a Parigi, Berlino, Londra e Vienna hanno già avuto occasione di intrattenere i Governi presso cui sono accreditati di questa questione. Credo ora giunto il momento che l'E.V. colga l'occasione favorevole per tenere parola a codesto Governo dell'argomento, ispirandosi ai concetti esposti nei documenti qui uniti, in una conversazione amichevole. Ciò che intanto mi importa conoscere è il parere e le previsioni di VE. che ben conosce codeste sfere dirigenti, sull'impressione che su di esse darebbe una nostra eventuale azione in Tripolitania e Cirenaica, o qualsiasi altra nostra azione coercitiva verso la Turchia, e sulla condotta che in tal caso seguirebbe verso di noi codesto Governo».

Per le risposte da Berlino, Parigi, Pietroburgo e Vienna cfr. nn. 128, 135, 137 e 123.

Con L. del 19 agosto, non pubblicata, Imperiali rimandava ad un rapporto di poco precedente (R. riservatissimo 1433/379 del 17 agosto, non pubblicato) nel quale riferiva che Grey gli aveva confermato la sua posizione, al riguardo della quale cfr. n. 104.

Un dispaccio sostanzialmente analogo fu inviato infine anche ai consoli a Tripoli e a Bengasi (rispettivamente con i nn. 98 e 99) per chiedere un parere sulle modalità e conseguenze di un'eventuale azione o occupazione militare. Per la risposta da Tripoli cfr. n. 130. Da Bengasi si rispose con R. segretissimo del 6 settembre, non pubblicato.

119 1 T. 3735/51 del 5 agosto, non pubblicato.

120 1 Il dispaccio fu inviato con alcune varianti anche alle ambasciate a Londra, Parigi e Pietroburgo rispettivamente con i nn. 24, 17 e l O; a Berlino e Vienna fu trasmesso telegraficamente, il l O, ore 20 (senza numero). Dopo i primi due paragrafi comuni a tutti i dispacci il testo prosegue nel seguente modo (con l'eccezione di quello inviato a Pietroburgo): «Già V.E.• come risulta dai suoi telegrammi nn .... e dai miei telegrammi nn ...., ha avuto occasione cl'intrattenerne codesto Governo, e, qualora ella non mi esprima diverso avviso, io inclinerei a credere che non sia opportuno tornare a parlargliene. Se dovremo agire, lo abbiamo già abbastanza preavvisato, e, se esso vuole evitare che a noi s'imponga la necessità di agire, già gli abbiamo detto in qual senso dovrebbe esercitare la sua influenza verso la Turchia.

120 2 Per la risposta cfr. n. 132.

121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI 1

L. RISERVATISSIMA. Vallombrosa, 9 agosto 1911.

Mi giunge la voce che il Banco di Roma tratti e sia per concludere la cessione dei suoi affari in Tripolitania ad una società di banchieri austro-tedeschi.

Dispongo subito che si cerchi di accertare quanto vi sia di vero in questa notizia, affinché, se fondata, si provveda ad evitare che la cosa avvenga, ma intanto reputo mio dovere farti conoscere che più volte il Pacelli ha fatto questa minaccia, ma che io non credo che la tradurrà in atto finché serberà la speranza che l'Italia occupi la Tripolitania o che il Banco di Roma venga altrimenti compensato delle perdite che soffre in Tripolitania. Molto probabile è, a parer mio, che il Pacelli faccia presto tutto il possibile perché l'opinione pubblica creda o con chiusa o prossima a concludersi siffatta cessione. Non credo, ripeto, che egli per ora la faccia, e non lo credo per varie ragioni, tra cui perché, nell'ultimo mio colloquio con lui il 24 o 25 luglio, egli era bensì convinto che dal Governo un compenso serio in altre cose non avrebbe ottenuto, ma era pure convinto che, volente o nolente, il Governo sarebbe stato costretto presto dalla forza delle cose ad occupare la Tripolitania. Egli si mostrava, infatti, deciso a far nuovi acquisti di terre in Cirenaica, ed anche pel porto di Tripoli appariva meno svogliato che in precedenti conversazioni. Ciò non ostante, egli può aver mutato proposito e, nel dubbio, è certo che non si deve perdere un minuto di tempo per prendere tutte le precauzioni in nostro potere nello scopo di evitare che gli affari del Banco in Tripolitania passino in tutto o in parte in mani straniere.

Penso che avrai letto a quest'ora il mio pro-memoria del 28 luglio sulla questione della Tripolitania da me consegnato a Peano perché tu lo legga a Bardonecchia2.

In questi giorni (scrivo il 7 agosto, ma qualche giorno passerà per mandare a copiare a Roma) la situazione internazionale si è venuta delineando nel modo da me previsto. Da un lato, infatti, appare sempre più probabile che la Germania, con adeguati compensi, darà alla Francia, mano libera al Marocco; dall'altro lato cresce la diffidenza ottomana verso le nostre mire sulla Tripolitania, e perciò cresce e crescerà l'opposizione di quel Governo contro ogni nostra attività economica in quelle provincie, ed è naturale ed inevitabile che così avvenga, visto l'atteggiamento dell'opinione pubblica in entrambi i paesi ed il linguaggio dei nostri giornali che risponde al sentimento prevalente in Italia.

2 Cfr. n. l 08.

Già ti avevo segnalato le conseguenze del linguaggio d'un giornale, ministeriale in tutto tranne che in politica estera, quale è la Stampa, e oggi l'inchiuso telegramma

n. 677 da Therapia3 conferma le mie previsioni. Certo, in tale situazione di cose, è vano sperare che i nostri rapporti colla Turchia possano avere altra soluzione che o l'occupazione di Tripoli o un qualche atto d'intimidazione che la renda superflua. La seconda alternativa, di esito certo ai tempi di Abdul Hamid, è d'esito difficile oggi, atteso il risveglio dello chauvinisme turco, ed anche perché, come telegrafa De Martino, i turchi non credono alle nostre minaccie.

Senza pregiudizio di quelle decisioni, in un senso o nell'altro, che il corso degli eventi potrà consigliare, nel dubbio che le decisioni debbano esser risolutive, è necessario che i preparativi, nel massimo segreto, comincino sin d'ora, perché, se decisioni si prenderanno, bisognerà che l'attuazione sia rapidissima.

PS. Per non costringerti alla fatica di leggere la mia cattiva calligrafia ho fatto copiare questa lettera a macchina. Ora aggiungo che, dei numerosi telegrammi scambiati in questi giorni, ne unisco qui alcuni che ti confermeranno esser assai difficile (anzi io direi impossibile) che la Turchia muti atteggiamento a Tripoli verso di noi, anche perché ogni tentativo amichevole nostro o dei nostri alleati viene paralizzato dalla condotta della stampa italiana. Le pratiche, risultanti dagli annessi telegrammi, presso le altre potenze hanno doppio scopo: l o tentare (con poca speranza) di modificare mercé l'influenza loro l'attitudine della Turchia quanto occorre per esimerci dalla necessità di agire; 2° dimostrare a quelle potenze e sopratutto ai nostri alleati che, se dovremo agire, abbiamo prima tentato ogni mezzo per evitare tale necessità e abbiamo prevenuto in tempo gli alleati e l'Inghilterra. Ora mi pare che non convenga più fare altri passi presso altre potenze, e decidere noi, senza sentir altre potenze, quello che vorremo fare. Quanto alla Russia e alla Francia (quest'ultima legata a noi dai patti del 1902) ho scritto a Tittoni e Melegari nei sensi consigliati dalle circostanze4 .

Abbiamo intanto colla Turchia in Tripolitania alcuni altri incidenti di poca importanza, ma non si può decidere sul modo più o meno conciliante o intransigente di trattarli finché non si sia un po' più chiaramente delineata la situazione anche dal punto di vista, che tu solo puoi giudicare, della coordinazione tra la questione di Tripoli e la situazione politica interna.

In Albania la politica concordata tra Italia, Austria e Russia ha avuto buoni risultati, ma Aehrenthal ha dovuto rassegnarsi a quel ch'egli non voleva, e di cui io più volte gli avevo indicato la necessità, cioè ad ammettere l'intervento di re Nicola in modo che questi ne abbia parte del merito presso gli albanesi. Senza di ciò la pacificazione non si sarebbe mai fatta, perché re Nicola aveva i mezzi d'impedirla.

Il nostro console a Tripoli telegrafa che il fatto dell'equipaggio dell'«Hamidié» non ha importanza. Il Giornale d'Italia critica l'allontanamento da Tripoli del cavalier Tedesco: tu sai che fu fatto per malversazioni, e che non si può dire.

121 Cfr. n. l\0. 4 Cfr. n. 120, nota l.

121 1 ACS, Carte Giolitti (originale dattiloscritto con correzioni e posi scriptum di mano di di San Giuliano); ed. in Dalle Carte ... , n. 50, pp. 57-59. Nell'Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli esteri si conservano la minuta e alcune copie dattiloscritte parzialmente emendate e prive del post scriptum presente nell'originale.

122

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Londra, 10 agosto 1911.

Parlandomi giorni fa della situazione della Turchia che a lui appare oltremodo precaria ed allarmante, l'ambasciatore di Francia mi chiese come andavano gli affari nostri in Tripolitania.

Senza beninteso fare il benché minimo accenno ai miei recenti colloqui con Grey e Nicolson, dissi a Cambon che la questione non essendo più di mia competenza, le mie impressioni erano principalmente tratte dalla lettura dei nostri giornali. Dai quali mi pareva di scorgere che la situazione invece di migliorare, siccome si aveva buon motivo di sperare diciotto mesi fa, alla fine della mia missione a Costantinopoli, è sensibilmente peggiorata. I turchi ridivenuti più che mai ciechi, si ostinano a non afferrare che il vero loro interesse, ad evitare i paventati pericoli, dovrebbero (sic) spingerli a facilitare nel modo più ampio e più leale la nostra azione economica civilizzatrice che ridonda, al postutto, a vantaggio di regioni da essi mantenute in istato di semi barbaria. I turchi, invece, ragionando «alla turca» seguono una via diametralmente opposta. Col perdurare nel contegno deliberatamente, sistematicamente ostile ad ogni nostra intrapresa, col violare persino il più delle volte, senza ritegno né pudore, diritti e privilegi a noi acquisiti in base ai trattati ed alle capitolazioni, hanno conseguito il bel risultato di generare ~ e bene a ragione ~nella opinione pubblica italiana, un risentimento, una irritazione tale da rendere, a mia impressione, oltremodo imbarazzante la posizione di un Governo qualsiasi che inclinasse a mostrare uno spirito conciliante, il giorno in cui un novello e più grave incidente ponesse la situazione nella sua incresciosa crudità dinanzi agli occhi della Nazione.

Quando penso a tale eventualità mi viene fatto di domandarmi, come potrebbe il Governo resistere all'imperiosa pressione dell'opinione pubblica, reclamante energiche misure per porre una buona volta termine a siffatto intollerabile stato di cose. Osservai pure sembrarmi che al momento presente a dare maggior carattere di attualità alle cose di Tripolitania, possa altresì contribuire il riaprirsi della questione marocchina. Della quale, e per la tutela dei suoi interessi economici nel Marocco stesso e per la connessione sua evidente con l'assetto generale e definitivo di tutta la questione mediterranea affricana, l'Italia, Potenza mediterranea, deve irremissibilmente occuparsi e preoccuparsi. Erano tutte queste, conclusi, impressioni personali delle quali lo rendevo edotto, in via famigliare, stante la piacevolissima cordialità delle nostre relazioni.

Cambon statomi attentamente ad ascoltare replicò che da quanto gli avevo narrato egli si rendeva ben conto del pieno fondamento delle nostre lagnanze e della conseguente grave situazione che potrebbesi eventualmente determinare.

Osservò poi che una nostra azione energica in Tripolitania, se sarebbe stata forse alquanto arrischiata or son due anni, allorquando i Giovani turchi inebriati per il loro trionfo ed incoraggiati dalla larga, troppo larga, simpatia prematuramente loro

dimostrata dall'Europa intera, sarebbero stati capaci di qualunque follia, aveva molto maggior probabilità di condurre ad un risultato soddisfacente, con mezzi pacifici, oggi che la precarietà della situazione interna è cresciuta, mentre sono indiscutibilmente diminuite le simpatie delle Potenze per i Giovani turchi. Da tutto ciò pareva a Cambon poter dedurre che qualora in seguito ad una qualche più grave algarade turca si decidesse noi di agire con la massima energia in Tripolitania, il Governo ottomano, una volta acquistata la persuasione di non trovare appoggio da nessuna parte, finirebbe alla lunga per cedere, pacificamente, dinanzi all'inevitabile, né più né meno, di quello che avrebbe fatto in caso analogo il sultano Abdul-Hamid. Ed il giorno, concluse, in cui voi prenderete una irredutabile decisione in questo senso, i primi a consigliare ai turchi di cedere, sarebbero come sempre furono in passato, i loro migliori amici attuali, ossia i tedeschi.

Dopo averle riferito quasi testualmente il mio colloquio con Cambon sono a chiedermi:

l) se la simpatia da lui dimostrataci corrispondente in sostanza a quella manifestatami da Grey e da Nicolson va considerata come la semplice espressione di vedute personali, o riflette pure, e fino a qual punto, il pensiero del suo Governo;

2) se la coincidenza delle vedute di Cambon con la risposta datami da Grey è interamente fortuita ed accidentale, ovvero conseguenza di un segreto scambio di vedute.

Ad entrambi tali quesiti che mi sembrano ovvii non sono purtroppo in grado di dare una risposta concreta; preferisco quindi astenermi dall'avventurarmi in semplici congetture.

Per semplice amour de l 'art ed a rischio di espormi al rimprovero: ne su tar ultra crepidam, mi pennetto, facendo a fidanza sulla benevolenza di cui ella mi ha sempre onorato, di sottoporle, rispettosamente, alcune osservazioni.

Io non sono così convinto come sembra Cambon di una pacifica e remissiva acquiescenza finale del nuovo regime ottomano ad una nostra azione energica, decisiva, tale da condurre ad una manifesta o velata presa di possesso della Tripolitania.

Convengo però con lui, siccome l'ho sempre ritenuto e ripetutamente scritto, che la resistenza sarebbe incomparabilmente minore se intorno alla Turchia noi si riescisse, con una previa azione diplomatica, a fare il vuoto, completo, assoluto, precludendole ogni via di scampo, togliendole ogni speranza di simpatia e di appoggio, adoperandoci in altri termini ad ottenere che le altre Potenze s'impegnino a ripetere al momento psicologico a Costantinopoli quel medesimo Tu l 'as voulu George Dandin che Grey si è dimostrato eventualmente disposto a dire. A conseguire tale intento -non è mestieri aggiungere -occorrerebbe in modo precipuo che l'azione iniziale nostra apparisse pienamente giustificata come quella che fosse detenninata da ineluttabili necessità da parte nostra di proteggere interessi e diritti in modo patente violati dalla Turchia.

Ma oltreché il constatato isolamento diplomatico potrebbe e dovrebbe anzi avere massimo peso a sconsigliare la Turchia da inutile resistenza, la considerazione della manifesta sua inferiorità di fronte a noi per difetto di una marina capace di poter proteggere gli invii di truppe in Tripolitania.

Tale considerazione mi pare di natura ad essere seriamente meditata da noi, pel fatto che oggi a differenza di quanto avveniva sotto il sultano, l'impotenza navale della Turchia è soltanto temporanea. Il lasciare quindi all'Impero il tempo e l'agio di provvedere ali' incremento dell'efficienza della sua marina, avrebbe per conseguenza di accrescere in modo assai più sensibile le difficoltà nostre a risolvere con mezzi pacifici l'arduo problema.

Per quanto concerne la preparazione «diplomatica» l'attuale situazione internazionale prodottasi dalla controversia marocchina, potrebbe essere da noi messa a profitto per assicurarci non sola la sincera, incondizionata simpatia ma anche il valido appoggio morale delle potenze amiche e sopratutto delle alleate, simpatia ed appoggio che avremmo fondatissimi motivi di reclamare, sia in vista dell'immediata rinnovazione della Triplice Alleanza, sia in contemplazione di quel vagheggiato definitivo accordo marocchino nel quale noi Potenza mediterranea abbiamo diritto e dovere di intervenire a tutela dei nostri vitali interessi ed al Marocco ed altrove. Capisco che la questione del Marocco, legalmente parlando, si deve considerare come disgiunta da quella della Tripolitania. Nella sostanza però la connessione mi pare incontestabile, non fosse altro, che per il fatto dell'essere entrambe questioni riannodantesi a quella dell'equilibrio mediterraneo che sarebbe irremissibilmente turbato a danno nostro, qualora dall'accordo definitivo sul Marocco noi non si traesse altro vantaggio se non quello della porta aperta assicurata a noi come a tutte le altre potenze senza avere almeno acquistato la «elasticità diplomatica» per agire in Tripolitania in modo da stabilire quivi, magari col dovuto rispetto dei famosi diritti di sovranità del sultano in 1 posizione almeno uguale a quella della Francia al Marocco. E a darci l'argomento ad hominem per giustificare la nostra azione provvederà -se ne può stare sicuri -la stessa Turchia.

In conclusione a me umilmente parrebbe per quanto mi è dato giudicare da qui, non possedendo sulla questione nel suo insieme sufficienti elementi di giudizio, che la mossa di Agadir con il conseguente riaperto conflitto marocchino, potrebbe essere un provvidenziale accidente di cui ci potremmo giovare per facilitarci la soluzione della questione tripolina. Soluzione però che, qualora il R. Governo si decidesse ad agire, dovrebbe essere radicale e definitiva. Qualunque soluzione intermedia sotto forma di piccole soddisfazioni ottenute, rimozione di funzionarii, disbrigo di minori affari pendenti, promesse e magari anche attuali concessioni di intraprese economiche, giungerebbe ora tardiva e servirebbe solo ad accrescere le difficoltà ed a complicare ancora di più la situazione futura, il giorno in cui la Turchia, fortificatasi e padrona di una decente marina, ridivenisse arrogante e riassumesse quel contegno provocante ed intransigente di cui oggi tanto giustamente ci lagnamo.

In questione di tanta importanza io non mi permetto certo di dare consigli al R. Governo. Ho creduto però essermi lecito di aprire a lei, mio capo ed amico, in via affatto particolare, l'animo mio.

Non mi resta dopo ciò che ad invocare la sua indulgenza e ad offrirle i miei più cordiali ossequi, con la preghiera di farmi cortesemente sapere che la presente le è pervenuta.

122 1 Così nel documento. Si intenda una.

123

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N./366. Vienna, 12 agosto 1911, ore 17,30 (per. ore 18,45).

Ringrazio V.E. del telegramma riservato senza numero in data di ieri1 . Convengo pienamente con V.E. che non sia opportuno tornare a parlare al conte d'Aehrenthal, per le ragioni esposte nel suo telegramma, della possibilità d'una eventuale nostra azione in Tripoli, ove le circostanze la rendessero necessaria. Per cui, mi asterrò di dar seguito, al ritorno del conte d'Aehrenthal in Vienna, alle istruzioni impartitemi con telegramma personale numero 29342 .

Tuttavia V.E. stimerà (?)3 forse conveniente dati gli amichevoli rapporti esistenti tra le due Potenze alleate, di prevenire Aehrenthal non solo delle ulteriori decisioni che R. Governo stimasse dover prendere in proposito, ma anche dei fatti gravi che fossero per provocare tali decisioni.

124

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 12 agosto 1911 1

Nel trattato della Triplice Alleanza, rinnovato il 28 giugno 1902, si stabilisce che nel caso che il trattato stesso non fosse denunziato un anno prima della sua scadenza da una o dall'altra parte contraente, esso resterà in vigore per l'identica durata di altri sei anni.

Il trattato non essendo stato quindi denunziato un anno prima della data suddetta venne rinnovato automaticamente il 28 giugno 1907 per altri sei anni cioè fino al 28 giugno 1913.

Quantunque dieci mesi appena ci separino dalla data fissata per la sua denunzia non sarà credo fuori di luogo di esaminare fin d'ora quali sieno le disposizioni del Governo imperiale e reale in proposito2 .

giudicherà.

La questione del rinnovamento del trattato non ha formato oggetto di speciale esame da parte della stampa della Monarchia.

Sebbene essa abbia evitato di manifestare la sua opinione sopra questa delicata questione e di fare quindi intravedere quali sarebbero a questo riguardo le intenzioni del Governo imperiale e reale si può affermare senza esitazione che la generalità dell'opinione pubblica tanto in Austria quanto in Ungheria è favorevole al rinnovamento del trattato della Triplice Alleanza.

Hanvi però in Austria persone appartenenti al partito clericale e feudale ed in parte pure a quello militare che vedrebbero con piacere sostituita la Triplice Alleanza tal quale è ora costituita da altra Triplice Alleanza formata dali' Austria-Ungheria, dalla Germania e dalla Russia.

Ma quest'alleanza, che, a quanto si è affermato in altri tempi, sarebbe vista pure con piacere dall'arciduca ereditario per l'attrazione che su di lui eserciterebbe l'identità di concezione della funzione monarchica che si ha nei due paesi, come in Germania, non è nelle presenti circostanze internazionali di prossima attuazione, né è da prevedere che possa effettuarsi in avvenire.

Un'alleanza siffatta, la quale non potrebbe essere costituita sulla base stessa dell'antica alleanza dei tre Imperi, sarebbe forse possibile nel caso soltanto in cui venissero meno i motivi che indussero la Russia a stringere colla Francia vincoli d'alleanza e che questa cessasse d'esistere, ciò che non é da supporre per ora.

D'altra parte da quanto è dato di arguire, S.M. l'Imperatore è convinto dell'interesse che ha l'Austria-Ungheria a che la Triplice Alleanza continui a sussistere e sarebbe disposto a procedere al suo rinnovamento. Da uguali sentimenti sarebbe animato il conte d'Aehrenthal siccome lo dimostra la politica da lui seguita finora a nostro riguardo.

Per cui se al momento della scadenza l'imperatore Francesco Giuseppe ed il conte d'Aehrenthal si trovassero, come è da sperare, l'uno sul trono l'altro al Ballplatz, tutto induce a credere, salvo che nel frattempo non sopravvengano avvenimenti imprevisti che modifichino le loro disposizioni, che il trattato potrà essere rinnovato senza incontrare alcuna difficoltà da parte loro.

Dubbi potrebbero sorgere circa le intenzioni dell'arciduca ereditario ove il suo avvento al trono avesse luogo prima della scadenza del trattato.

Nonostante le disposizioni poco favorevoli all'Italia che vengono attribuite a Sua Altezza Imperiale e Reale non è da supporre che il nuovo imperatore, data l'evoluzione che si è operata in Austria in seguito all'introduzione del suffragio universale ed i sentimenti di libertà e di indipendenza da cui è animata l'Ungheria, possa aver la possibilità di modificare radicalmente le condizioni di politica interna ed estera in cui troverà stabilito il Governo al momento che assumerà il potere. Ma egli sarà invece indotto dalla forza delle circostanze a prescindere da quelle dispo

n. 11217 e OeUA, vol. III. n. 2575; sul ruolo che avrebbe avuto Avarna si vedano le note in calce ai nn. 11216-11217 (GP cit.). I due Governi concordarono poi di accertare il fondamento di tali disposizioni: GP, vol. XXX/2, nn. 11218-11222 e OeUA, vol. III, nn. 2579,2584 e 2636.

sizwni e a seguire l'indirizzo stesso del suo predecessore col rinnovare il trattato nell'interesse stesso della Monarchia.

Del resto a quanto lo stesso conte d' Aehrenthal dichiarò a S. E. l'onorevole Tittoni, nel convegno di Desio nel 1907, Sua Altezza Imperiale e Reale sarebbe un partigiano convinto della politica d'alleanza e d'amicizia seguita verso di noi dall'imperatore Francesco Giuseppe e sarebbe suo fermo proposito di perseverare in tale politica anche dopo il suo avvento al trono.

Quantunque io non abbia indizi positivi per pronunziarmi circa le condizioni alle quali l'Austria-Ungheria avrebbe intenzione di rinnovare il trattato avendo sempre evitato di toccare sia in via diretta che indiretta tale questione con questi uomini politici, tuttavia per l'esperienza acquistata durante i varii anni della mia dimora qui e per la conoscenza delle tendenze di questi governanti, credo di non fare errore nel! 'affermare che l'Austria-Ungheria non sarebbe disposta a rinnovare il trattato che alle stesse condizioni di quello esistente, le quali vengono da essa riconosciute tali da garantire sufficientemente gli interessi della Monarchia come quelli degli altri contraenti e non accetterebbe proposte qualsiasi intese a modificarne la sostanza.

Ed è poi da dubitare che, in vista specialmente delle manifestazioni che nel senso di tali modificazioni sono avvenute a più riprese in una parte della nostra opinione pubblica, la quale si dimostra poco soddisfatta delle stipulazioni del trattato, l'Austria-Ungheria possa pensare a prendere d'accordo colla Germania l'iniziativa di proporci di addivenire al suo rinnovamento per non esporsi da parte nostra a domande che non crederebbe potere accogliere e preferisca invece di aspettare che tale iniziativa sia da noi presa.

Ma se, per prevenire appunto queste domande e metterei nell'impossibilità di formularle, i nostri alleati credessero cogliere un'occasione propizia per farci conoscere la loro intenzione di rinnovare il trattato alle stesse condizioni di quello esistente, noi saremmo costretti o di accettare tale proposta o di andare incontro ad un rifiuto se il R. Governo stimasse opportuno di chiedere delle modificazioni alle stipulazioni del trattato stesso.

Contrariamente a quanto è avvenuto in Austria-Ungheria, l'opinione pubblica italiana si è occupata nel passato ed anche di recente del rinnovamento del trattato e la maggioranza di essa come dei nostri uomini politici ha riconosciuto l'opportunità di tale rinnovamento perché corrispondente ai reali interessi d'Italia.

Però mentre tal uni giornali, pur constatando che gli utili arrecati ali 'Italia o alla Triplice Alleanza sono stati minimi o quasi nulli, non hanno esitato a porsi il quesito se ai vincoli di alleanza coi due Imperi non sarebbero da preferirsi quelli d'un accordo colle Potenze dell'Intesa Cordiale, altri per contro nel dichiararsi favorevoli al rinnovamento della Triplice Alleanza hanno rilevato che questa non potrebbe avere più valore per l 'Italia che alla condizione soltanto di darle maggiore estensione e renderla più precisa e conforme alle nostre convenienze ed ai fini cui miriamo.

Ma coloro che si sono occupati da noi della questione del rinnovamento della Triplice Alleanza e delle eventuali modificazioni da introdurvi lo hanno fatto senza conoscere le stipulazioni che criticavano e senza specificare in modo tassativo quali sarebbero le nuove clausole che vi vorrebbero inserire.

Non vi ha dubbio che finché il principio dello statu quo sanzionato dal trattato non sarà intaccato, questo avrà un reale valore per noi che siamo interessati più d'ogni altra potenza a che nessun cambiamento avvenga nei Balcani a favore di chicchessia.

Ma se, per forza di circostanze impreviste ed indipendenti dalla volontà delle potenze contraenti, lo statu quo non potesse essere mantenuto, la situazione cambierebbe aspetto ed il trattato mostrerebbe tutta la sua superficialità creando uno stato d'incertezza dannoso ai nostri interessi per la mancanza in esso d'una stipulazione determinante la natura dei compensi che dovrebbero esserci attribuiti il giorno in cui la Monarchia fosse costretta di procedere a nuove occupazioni nella penisola balcanica.

Sembrerebbe quindi necessario a prima vista di completare il trattato con una nuova stipulazione in tal senso.

Siccome ebbi già occasione di riferire all'E.V. ed ai suoi predecessori, noi non potremmo consentire ad un ingrandimento della Monarchia nella penisola balcanica se non a condizione che ci siano cedute le regioni di lingua italiana dell'Austria (valle dell 'Isonzo e Trentino ).

Ma colla lettera particolare da me diretta il 2 marzo 191 O al ministro Guicciardini3 nella quale trattai nei vari suoi particolari di questa questione, feci rilevare l'impossibilita in cui ci troveremmo di ottenere tali compensi, non essendo da prevedere che 1'Austria-Ungheria possa consentire alla cessione delle regioni suddette se non in seguito ad una guerra sfortunata o alla vigilia di gravi complicazioni europee.

Non sarebbe quindi prudente di toccare tale questione per ora né in un avvenire prossimo, ove lo statu quo nei Balcani non fosse veramente sul punto di essere minacciato, per non metterei in una situazione più tosto delicata di fronte ali' Austria-Ungheria e compromettere anche il rinnovamento del trattato.

Del resto la questione dei compensi non potrebbe essere da noi trattata in occasione del rinnovamento, perché se si deve tener conto di quanto mi disse il conte d'Aehrenthal (mia lettera confidenziale del 18 gennaio 191 0)4 essa non avrebbe per ora, a suo parere, un carattere di attualità e non dovrebbe essere esaminata che al momento nel quale fossero per prodursi le eventualità di cui i compensi sarebbero la naturale conseguenza.

Un'altra questione che sembrerebbe pure necessario di prendere in esame sarebbe quella relativa alla clausola, già contemplata nella dichiarazione ministeriale annessa al trattato del 18825 , la quale stabiliva che le stipulazioni del trattato stesso non debbano essere considerate in alcun caso siccome dirette contro l'Inghilterra.

La viva opposizione da noi incontrata da parte della Germania per fare inserire tale clausola negli anteriori rinnovamenti, non consiglierebbero certo di risollevare

4 lvi, n. 59.

5 MARTENS, t.x, n. 5, pp. 17-20:19-20 e PRIBRAM, n. 5, pp. 24-28: 27-28.

questa questione, quella clausola essendo stata ritenuta dalla detta potenza come atta a neutralizzare in parte gli effetti del trattato.

Ma noi potremmo per contro cogliere occasione del rinnovamento del trattato per chiedere che si completi l 'intesa relativa ali' Albania introducendo vi la dichiarazione fatta dal conte Goluchowski a S.E. l'on. Tittoni nel convegno di Venezia del 1905, che, cioè le regioni dei vilayet macedoni abitate in maggioranza da popolazioni albanesi dovranno a suo tempo essere unite ali' Albania propriamente detta per dare a questa la delimitazione geografica ed etnografica di cui non è cenno nell'intesa stessa.

Per le considerazioni quindi che precedono il R. Governo si troverà, secondo ogni probabilità al momento della scadenza del trattato di fronte all'alternativa o di denunziarlo o di rinnovarlo alle stesse condizioni di quello attualmente esistente.

L'idea emessa dal conte di Robilant nel 18856 alla vigilia della prima scadenza del trattato che il regime dell'alleanza non è indispensabile alle nostre relazioni coll'Austria-Ungheria e che l'assenza di tale regime potrebbe anzi giovare allo sviluppo d'interni rapporti tra i due paesi, non sarebbe certo da prendersi in considerazione specialmente nella presente situazione internazionale, perché la sua applicazione, oltre al non corrispondere ai principi informatori della nostra politica nel vicino Oriente, potrebbe condurre a dei risultati del tutto opposti a quelli preconizzati dal conte di Robilant.

Ignoro quali sieno le disposizioni del R. Governo a questo riguardo: però secondo il mio subordinato parere, a noi non converrebbe certo di denunziare il trattato, ma di rinnovarlo anche alle condizioni stesse di quelle presenti.

Gli eventi che si sono svolti in Europa come i mutamenti avvenuti dal 1882 in poi, cioè da quando il trattato della Triplice Alleanza fu stipulato, non sembrano aver diminuito per noi la sua efficacia, anzi essi hanno contribuito a far constatare in massima la necessità della sua continuità.

Per la forza militare che rappresenta, per l'autorità incontestata che ha saputo acquistare in Europa la Triplice Alleanza ha raggiunto infatti un'egemonia tale da renderla in certo modo arbitra della politica continentale e degli utili che ne sono risultati per i suoi componenti l'Italia pure ha potuto fruire, in linea generale, a vantaggio del suo prestigio e della sua influenza all'estero.

In linea particolare poi non si può negare che la Triplice Alleanza è stata nel suo complesso benefica all'Italia rispetto alla sua politica interna perché coll'assicurare la pace in Europa le ha permesso di completare la sua riorganizzazione nazionale e conseguire quel notevole incremento economico universalmente riconosciuto.

Quanto alla politica estera si è obiettato che la Triplice Alleanza non sarebbe stata così proficua all'Italia non avendo essa partecipato che in via più tosto indiretta ai successi dei suoi alleati né ottenuto quei vantaggi territoriali o il conseguimento di quelle aspirazioni nazionali a cui da noi si tende.

Per rispondere però a tali obiezioni sarebbe innanzi tutto da esaminare se noi non avremmo potuto forse prendere una parte più diretta ai pretesi successi dei nostri

alleati, se la nostra azione politica foste stata in certe date eventualità meno vacillante e se invece di subire l'influenza delle diverse con·enti della nostra opinione pubblica, che ne attraversarono talvolta le finalità, avesse avuto un indirizzo più chiaro e netto, sempre uguale e continuo ed inteso a meglio sfruttare la Triplice Alleanza col cogliere le occasioni propizie per la maggiore tutela dei nostri interessi immediati.

Ma se è evidente l'interesse che ha l'Italia a rinnovare il trattato anche alle stesse condizioni di quelle attuali, non meno evidente è l'interesse che avrebbero l'Austria-Ungheria e la Germania a procedere dal loro lato al suo rinnovamento.

E che di tale interesse esse ne sieno convinte lo si rileva da quanto Io stesso signor di Keudell faceva intendere nel 1886 al conte di Robilant che la strettissima alleanza che univa le due potenze -la quale era da loro considerata come una questione di vita o di morte -non sarebbe stata sufficiente a tener testa ad ogni possibile eventualità in Europa se non fosse stata completata dall'accessione dell'Italia a quell'unione7 .

Il nostro distacco infatti dalla Triplice Alleanza, che ci porterebbe naturalmente ad unirei alle Potenze dell'Intesa Cordiale, avrebbe per conseguenza uno squilibrio tale di forze da diminuire in certa misura la potenzialità e l'influenza dell'AustriaUngheria e della Germania sul continente e potrebbe condurre coll'andar del tempo a gravi complicazioni e forse anche a conflitto tra i due aggruppamenti onde è divisa l'Europa.

Ma il nostro distacco dei due Imperi non potrebbe esser giustificato dal punto di vista dei nostri interessi che nel caso soltanto che la nostra accessione alle Potenze dell'Intesa Cordiale ci assicurasse in modo positivo il conseguimento di quei vantaggi che la Triplice non ci avrebbe procurato e specialmente di quelle aspirazioni nazionali il cui rifiuto da parte dell'Austria-Ungheria avrebbe motivato il distacco stesso.

Non è però da presumere che noi troveremmo da parte delle Potenze dell'Intesa Cordiale un'accoglienza tale da indurci a rinunziare alla situazione attuale nella speranza di poter conseguire, mediante la loro cooperazione, l'intento cui miriamo. È da dubitare infatti che quelle potenze che considerano la nostra permanenza nella Triplice Alleanza come un elemento essenziale di pace, possano desiderare veramente la nostra accessione all'Intesa Cordiale, la quale collo spostare l'equilibrio europeo potrebbe compromettere le condizioni politiche presenti.

Se noi quindi persistessimo a volerei distaccare dalla Triplice Alleanza senza valutare colla dovuta ponderazione le nostre convenienze ci troveremmo soli di fronte all'Austria-Ungheria ed in tal caso un incidente qualsiasi che fosse per sorgere coll'eccitare la nostra opinione pubblica, radicalmente ostile all'Austria-Ungheria, potrebbe inasprire i reciproci rapporti in modo da rendere inevitabile in progresso di tempo un conflitto armato tra i due Stati.

L'affermazione che l'Italia e l'Austria-Ungheria non possono essere che alleate

o nemiche è meno assurda di quanto taluni vorrebbero far credere.

E di ciò non si potrà non esser convinti se si consideri quanto di delicato vi sia tuttora nei nostri rapporti colla Monarchia, i quali sebbene impressi ad una perfetta e completa intimità lasciano purtroppo intravedere la sfiducia profonda da cui sono animati i due Governi e specialmente le rispettive popolazioni relativamente alla loro politica orientale.

Un Governo quindi che fosse veramente sollecito degli interessi vitali d'Italia non potrebbe non essere indotto a rinnovare il trattato della Triplice Alleanza anche alle stesse condizioni dell'attuale, checché fosse per obiettare la nostra opinione pubblica riservando ad un'epoca più propizia la soluzione della grave questione dei compensi e adoperandosi nel frattempo a preparare il terreno perché essa possa effettuarsi possibilmente in avvenire a seconda delle nostre aspirazioni nazionali8 .

123 1 Cfr. n. 120, nota l. 2 T. personale del 31 luglio, non pubblicato, col quale si dava istruzione di attendere il ritorno di Aehrenthal per comunicargli quanto indicato al n. 101. 3 Il punto interrogativo è del decifratore. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna reca

124 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 Il 31 luglio Kiderlen-Waechter scriveva ad Aehrenthal di aver appreso da fonte romana attendibile che Vittorio Emanuele III e Giolitti erano disposti a rinnovare la Triplice tal quale: GP, vol. XXX/2,

124 3 Cfr. serie IV, vol. V-VI, n. 150.

124 6 Si tratta in realtà del 1886: cfr. serie Il, vol XX, n. 4.

124 7 lvi, n. 18.

125

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, CATALANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 418/191. L'Aja, 12 agosto 1911 (per. il 20).

Le recenti divergenze sorte fra l'Inghilterra, la Germania e la Francia in ordine alla questione marocchina fecero nascere ad un momento dato gravissime preoccupazioni in questi circoli governativi, ritenendosi che finalmente fosse per scoppiare il temuto conflitto armato fra la Gran Bretagna e l 'Impero germanico che qui del resto si considera inevitabile.

Fin dal 31 luglio scorso, a quanto mi è stato confidenzialmente riferito da un ufficiale di mia conoscenza, le piazze forti dell'Helder, di Kykduin e d'Eriprins furono messe in assetto di guerra e le rispettive guarnigioni consegnate.

Furono pure inviati in tutta fretta numerosi reparti di truppe alla frontiera tedesca. Ed a quanto si racconta, non so con quale fondamento di verità, fu tale l'eccitazione degli animi che una vecchia nave da guerra olandese, il «Kortenaer», che faceva ritorno dall'alto mare verso l'Helder, fu presa dal Comando della piazza per l'avanguardia della flotta germanica. Le suddette misure militari furono naturalmente tenute rigorosamente segrete e ben poco n'è trapelato nella stampa.

Del resto, in generale i giornali neerlandesi si sono disinteressati della questione marocchina come di una cosa che non riguardava direttamente l'Olanda. Ne fa eccezione un notevole articolo di un certo signor Valter, pubblicato da una delle più reputate riviste mensili olandesi il Tydspiegel. Il signor Valter, nel rilevare che l'Olanda è stata una delle Potenze fmnatarie dell'Atto di Madrid del 1880 e di quello di Algeciras del 1906, afferma che per conseguenza incombe al Governo della regina il dovere di far sentire la sua voce in capitolo. E notando che, in occasione della recente visita del

presidente della Repubblica francese alla regina, il signor De Selves ebbe a dichiarare al signor van Swinderen che la Francia sarebbe stata lieta di fare tutto quanto stava in essa per giovare agli interessi del commercio neerlandese, il signor Valter esprime la speranza che tali parole significhino che il Governo della Repubblica si sia impegnato di appoggiare il Gabinetto dell' Aja nella tutela degli interessi delle società olandesi concessionarie di miniere nel Marocco 1 . Qualora ciò non fosse, il signor Valter è del parere che converrebbe all'Olanda di schierarsi risolutamente dalla parte della Germania, poiché, a suo modo di vedere, gli interessi delle società minerarie olandesi sarebbero maggiormente tutelati ove prevalesse la politica della «porta aperta» sostenuta dalla Germania, che non nel caso ove il Marocco diventasse una colonia francese.

124 8 Per il seguito cfr. n. 162.

126

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3846/405. Parigi, 13 agosto 19ll, ore 12,30 (per. ore 16).

Marocco. Schoen mi dice che non vede prossima la conclusione del negoziato di Berlino. Della cessione di Togo da parte della Germania non si parla più. La Francia vorrebbe territori quasi sconosciuti nell'interno dell'Africa, mentre la Germania li vorrebbe verso la costa. Di ciò si discute ad intervalli, ma con poco frutto. L'assenza di Caillaux da Parigi contribuisce a mandare in lungo le cose. Perez Caballero mi dice che ci è stato un momento nel quale De Selves ha mostrato l'intenzione di discutere con lui la situazione creata dalle occupazioni spaguole, ma poi, non ne ha fatto nulla. Perez Caballero è contento, perché i francesi, dopo il modus vivendi, si sono allontanati da Larache e Alcassar el Kebir e non hanno più cercato di provocare incidenti.

127

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 3452/967. Therapia, 14 agosto 1911 (per. il 28).

Ringrazio V.E. per le interessanti notizie contenute nei dispacci a margme indicati1 , circa il progettato stabilimento di oleifici stranieri in Turchia.

127 1 D. 167 e I 70, rispettivamente del 23 e del 29 luglio, non pubblicati.

Dal complesso di quelle notizie, e dalle altre fomite dal r. consolato generale in Tripoli, sarebbe a mio avviso, da rilevare quanto appresso.

l) Quelle iniziative industriali, e le altre consimili, indubbiamente favorite dalle autorità locali, costituiscono un danno evidente alla nostra posizione politica ed economica in Tripolitania e potranno, col tempo, creare una condizione di cose assai contraria alle nostre aspirazioni dell'avvenire.

2) Non abbiamo nessun modo di impedire a sudditi esteri di fare i loro affari in Tripolitania.

3) Non abbiamo nessun modo di impedire ai turchi di favorire le iniziative straniere a danno delle italiane. Il Governo ottomano esercita così un suo sacrosanto diritto di difesa contro la penetrazione italiana dalla quale solamente ha da temere.

4) Quanto più si tarderà l'unica e logica soluzione della questione tripolina, tanto più difficile diverrà la soluzione medesima.

125 1 Annotazione a margine: «La Francia e Germania sono d'accordo per le miniere».

128

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Berlino, 11-14 agosto 1911.

Mi disponevo a rispondere al suo telegramma del 6 corrente (n. 3029)1 concernente gli affari di Tripoli, quando mi giunse stamane l'altro telegramma suo (s.n.) sullo stesso argomento2• Volevo scriverle appunto per dirle che valendomi della facoltà !asciatami dalla prima di quelle sue comunicazioni, io mi sono astenuto dal riparlame a questo segretario di Stato. Vedo ora che ho fatto bene, tale essendo pure il pensiero di lei. Non solo nella conversazione di cui nel mio telegramma

n. -134 da lei citato3 , ma ancora una seconda volta il 1° agosto (vedi mio telegramma n. -149)4 , io già ebbi occasione di chiamare l'attenzione di von Kiderlen sui motivi che potrebbero indurci ad una qualche azione in Tripolitania. Una terza intimazione a così breve intervallo sarebbe evidentemente di troppo e non potrebbe che indebolire l'effetto delle due prime. Tanto la prima come la seconda volta, del resto, von Kiderlen non mi fece osservazioni di sorta. La prima volta egli si limitò a domandarmi che cosa da noi si desiderasse ed avendolo io detto (che si lasciasse dormire la concessione del porto di Tripoli) egli ne prese nota: ho anzi l'impressione che in tal senso egli avrà detto qualcosa a Costantinopoli. La seconda volta, egli mi guardò in viso con occhio interrogativo, ma non aprì bocca, né io stimai opportuno di entrare in maggiori spiegazioni.

2 T. riservatissimo personale del l O agosto identico al D. 8 del 9 agosto (cfr. n. 120 e nota l).

3 Cfr. n. 95.

4 T. 3659/149, non pubblicato.

Ogni spiegazione sarebbe del resto superflua, ben sapendosi qui, come altrove, quali sieno gli scopi della nostra penetrazione cosiddetta economica in Tripolitania e quale il significato degli incidenti nostri con quelle autorità locali. So che Kiderlen vi alluse giorni sono con uno di questi miei colleghi dicendogli che il Governo italiano aveva là un console che glieli sollevava.

Sarebbe infatti un illudersi il credere che il suo silenzio con me significhi approvazione. La Germania ha troppi interessi in Turchia e da troppo tempo li ha fondati sull'appoggio politico da essa prestato alla Sublime Porta, per poter desiderare di vederla esposta ad una nuova catastrofe. È quindi ben naturale che ciò sia sentito specialmente dall'ambasciata tedesca di Costantinopoli che di quegli interessi ha la custodia. Ogni qual volta ebbi a parlare con Marschall degli incidenti turcoitaliani, egli sempre si adoperò a dimostrarmi ch'essi erano quelli comuni a tutte le ambasciate estere in Turchia. Le diffidenze contro di noi in Tripolitania li rendono necessariamente più acuti. Ma come può essere altrimenti, in presenza dei discorsi che si tengono in Italia da trenta anni in qua? Dico da trenta anni, perché fu precisamente nel 1881 che si cominciò da noi a parlare della Tripolitania e ciò appena un mese dopo l'occupazione francese di Tunisi -e per iniziativa di amici del caduto Ministero Cairoli, per distrarre l'attenzione del pubblico da quella nostra umiliante sconfitta (ricordo di quell'epoca un articolo derisorio, credo del Débats, intitolato: L 'Jtalie, ou Tripoli et le bonheur!). Sarebbe superfluo il menzionare i periodici ritorni di quelle nostre manifestazioni nell'ultimo decennio, compreso il discorso di Tittoni del 1905 che dichiarava alla Camera non avere l'Italia intenzione di occupare, per ora, la Tripolitania. Tutto ciò ha generato nel pubblico italiano la convinzione che la Tripolitania ci appartiene in diritto e che basta stendere la mano per impossessarsene. Si ritiene inoltre che quel possesso sarà per noi la fonte di ogni bene. Su questo secondo punto è lecito nutrire un qualche dubbio, avendo presenti i casi della Francia in Algeria durante i primi cinquanta anni della sua occupazione e tenendo conto della limitazione dei nostri mezzi, nonché dei noti casi della nostra amministrazione coloniale. Ammesso però, come io pure ammetto, che il possesso della Tripolitania sia di per sé desiderabile per l'Italia, non fosse altro a titolo di soddisfazione morale, rimane la questione del suo costo, non essendovi buona cosa che al di là di un certo prezzo non diventi troppo cara. Ora, io sono di parere che in eventuali circostanze le quali ci permettessero di fare quell'acquisto dans ses prix doux, in proporzione del suo intrinseco valore, ci converrebbe di farlo senza esitare, anche a costo di un qualche rischio: ma non vedo che le circostanze attuali sieno di quelle. I nostri diritti su Tripoli sono diritti negativi, risultando dagli accordi colla Francia e l 'Inghilterra i quali, col tacito consenso delle altre Potenze, escludono che quella provincia possa, fuori del suo legittimo proprietario, appartenere ad altri che all'Italia. Ma quegli accordi confermano in prima linea la sovranità della Turchia e solo prevedono a nostro favore l'eventualità di uno smembramento di questa. Ora io ammetto che non si debba aspettare il giorno -probabilmente remoto -di un vero e proprio smembramento. A fornirci motivo o pretesto per un'azione, basterebbe una qualsiasi perturbazione un po' grave, esterna od interna dell'Impero ottomano -guerra, rivoluzione, massacri o simili -eventi che da un

secolo vi si riproducono a intervalli medi di quindici o venti anni. Nessuno può prevedere la data di qualche guaio che penda sul regime dei giovani turchi; ma a parer mio non dovrebbe esservi per noi alcun danno nell'attesa. Ogni anno che passa, si accrescono le forze dell'Italia e, d 'altra parte, si può ritenere per certo che nel frattempo nessuna terza Potenza stenderà la mano sulla Tripolitania, guarentita oltre che dagli accordi a tutti ormai noti, dal complesso della attuale situazione europea e dal nostro proposito di non soffrire alcun simile intervento.

Ma avendo presenti i suoi telegrammi devo considerare l'eventualità da lei più volte accennata che anziché seguire questa politica -che supporrebbe frattanto il mantenimento verso la Turchia di un contegno amichevole, atto a dissiparne le diffidenze -il nostro Governo si trovi invece indotto «dalla pubblica opinione» a precipitare gli eventi con una azione immediata. Non è qui il luogo di ricercare quale sia il valore di questa «pubblica opinione», specie in materia di politica estera di cui mancano, fra altro, al pubblico i necessari elementi di giudizio. Mi limito ad accennare al fatto che i tre o quattro errori fondamentali, ora riconosciuti, della nostra politica estera dal 1878 in qua, furono tutti commessi a loro tempo sotto la spinta o col plauso universale del pubblico. Ma astrazion fatta da queste inutili obbiezioni pregiudiziali, e dato che occorra procedere ad un'azione in Tripolitania, è dunque da ritenersi che allo stato delle cose, essa potrebbe soltanto provocarsi in base ad un qualche incidente locale. La Turchia che sente il pericolo, farà probabilmente di tutto per evitarlo, ma evidentemente non vi è questione così piccola che non si possa ingrossare. L'archeologo schioppettato tempo fa dai beduini era (taluni diranno disgraziatamente) un americano; dei nostri consoli non credo che alcuno sia esposto a farsi avvelenare dai turchi, se non per morbus consularis; ma qualche altra cosa si può sempre trovare. Ciò che voglio dire è che nessuno in Europa si illuderà circa la natura aggressiva del nostro atto: ed è a considerarsi che non si tratta di un paese di Europa e con popolazione cristiana la cui liberazione dal giogo ottomano è un desideratum ammesso con aeterna auctoritate adversus hostes fino dal tempo delle crociate, ma si tratta di un paese essenzialmente musulmano la cui popolazione dovremo poi noi stessi soggiogare. So bene che cosa si risponderà a questi scrupoli di ordine morale, che non hanno mai arrestato la violenza di altri Governi eccetera. Ne faccio menzione, ponendomi pel momento da un punto di vista completamente amorale, per rilevare che più un atto è ingiusto e più è necessario il suo completo successo affinché sia perdonato. Bisognerebbe che la nostra occupazione fosse così rapida e trionfante da non lasciar nemmeno il tempo alle proteste della Porta di giungere ai Gabinetti, ai quali essa denuncerà la violazione del suo territorio commessa dall'Italia che ne ha guarentito con solenni trattati l'integrità et cetera. Se infatti, per disgrazia, si producesse un qualunque accroc nel corso di quelle nostre operazioni navali o militari, sarebbero da attendersi interventi più o meno amichevoli per mediazioni, arbitraggi e simili, e della Germania stessa, che probabilmente nulla direbbe in presenza di una strappata di denti sans douleur, non si può guarentire che essa non si lascerebbe smuovere dai piati degli amici turchi, quando noi ci trovassimo incagliati a mezza strada. Una nuova edizione peggiorata dell'affare di Sanmun riuscirebbe fatale.

E con ciò sarebbe ora di finire questa già lunga lettera. A titolo, beninteso, puramente personale, mi permetto però di aggiungere ancora il cenno di talune conseguenze che una nostra spedizione tripolina, nelle circostanze attuali, certamente avrebbe, quand'anche tutto procedesse presto e bene.

In primo luogo: una dichiarazione di guerra seguita da una più o meno lunga resistenza armata dei turchi, da prevedersi come certa, ci imporrà una spesa che nessuno è in grado di calcolare, ma che tenendo conto di tutto, sarà tale da compromettere il pareggio già un po' instabile delle nostre finanze.

In secondo luogo: lo stato di guerra autorizzando ogni sorta di rappresaglie, che cosa avverrà del nostro nascente commercio e delle nostre colonie in Turchia, esposti l'uno e le altre al boicottaggio ed a tutte le vessazioni di cui sono capaci i turchi? I greci non si sono peranco rimessi ora, dopo 14 anni, dei danni subiti per quel titolo durante e dopo la guerra del 1897, quando migliaia dei loro sudditi si videro costretti a cercare la protezione di altre nazionalità. E le posizioni da noi perdute nel commercio sarebbero poi tanto più difficili a riconquistarsi in quanto che altri -a cominciare dai nostri cari amici -si affretterebbero ad occuparle.

Ed in terzo luogo: una guerra con l'Italia non avrebbe per effetto di spingere per esempio i bulgari a scendere in campo, precipitando nei Balcani gli eventi che abbiamo sempre trovato interesse a ritardare? E ciò in un momento in cui, essendo noi occupati altrove, non avremmo mezzo di influenzarli? Come ella sa, io non ho mai creduto alla marcia dell'Austria su Salonicco, ma nemmeno vorrei poi troppo fidarmi a darlene (sic) noi stessi la tentazione.

Nell'enumerare queste circostanze, non intendo che esse debbano essere decisive. Sono il primo a riconoscere, come dissi, il valore che avrebbe per noi la Tripolitania, non foss'altro come facciata sulla strada maestra del Mediterraneo. Ma qualunque decisione sia per adottarsi, ho creduto doverle esporre le cose quali mi si presentano, che, se vere, mi pare sieno da tenersi in conto nel pesare il pro ed il contro di una nostra azione a freddo, in questo momento.

P.S. Berlino, 14 agosto 1911. Ho tardato a spedirle questa lettera perché essendomi sopraggiunto un invito a colazione da von Kiderlen, mi era venuto il dubbio ch'egli volesse forse dirmi qualche cosa su Tripoli: ma sebbene si fosse noi soli, egli non me ne fece cenno di sorta. E meglio così!

128 1 Cfr. n. 115.

129

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1343/468. Berlino, 19 agosto 1911 (per. il 23).

Con i miei telegrammi che le confermo, ho cercato di tenere V.E., informata delle fasi per le quali sono passate in queste ultime settimane le trattative fra il signor von Kiderlen ed il signor Giulio Cambon circa la questione del Marocco. Se non ho potuto riferirle con maggior precisione le proposte volta per volta avanzate dall'una

o dall'altra parte, ciò è dipeso non solo dal segreto di cui si circonda quel negoziato, ma eziandio dal fatto che fino a questi ultimi giorni esso si mantenne in termini preliminari e generici che sempre hanno impedito di darvi una forma definitiva e concreta. Di ciò il segretario di Stato e l'ambasciatore di Francia si rimandano reciprocamente la responsabilità. Mentre il signor Cambon si lagna del sistema, come egli dice, del suo interlocutore di proporre talora una soluzione e talora un'altra, accennando vagamente a offerte e domande imprecise per poi ritirarle o modificarle in un susseguente colloquio, il signor von Kiderlen muove lo stesso rimprovero al signor Cambon.

Nel mio rapporto del 10 luglio', al primo inizio delle presenti trattative, dicevo che esse avrebbero per oggetto: nell'interesse della Francia, di determinare e possibilmente estendere al lume dei recenti fatti, le condizioni della sua preponderanza politica al Marocco già ammessa in principio nel noto accordo del 1909; e, nell'interesse della Germania, di stabilire positive guarentigie a favore del suo sviluppo economico in quel Paese e, come complemento di ciò, a titolo di compenso, una qualche cessione o rettificazione territoriale a favore delle colonie africane tedesche all'infuori del Marocco.

Queste previsioni erano sostanzialmente giuste. Esse però attribuivano all'ultimo punto un'importanza assai minore di quella che si è dipoi dimostrata. Il signor Giulio Cambon mi aveva fatto allora allusione a qualche piccola rettificazione territoriale resa equa e necessaria, egli stesso diceva, dalla linea di frontiera difettosa del Camerun tedesco e dall'interesse della Germania al poter costruire colà una ferrovia di comunicazione col Congo belga. Ma il mio collega rimase sorpreso ed esterrefatto quando fino dalla prima seduta il signor von Kiderlen gli domandò la cessione dell'intero Congo francese prospiciente all'Oceano. Dietro la sua protesta essere ciò assolutamente impossibile, il signor von Kiderlen offrì allora in cambio la colonia tedesca del Togo, allo scopo di facilitare, egli disse, al Governo francese l'adesione del Parlamento al proposto accordo. E qui cominciò fra i due negoziatori una serie di difficilissime e non sempre gradevoli conversazioni che sarebbe per ora impossibile descrivere nelle loro successive fasi, ma delle quali è ormai noto in sostanza che l'ambasciatore francese offrì una notevole estensione di territori nell'hinterland del Camerun a spese del Congo francese 2 . Con questo però egli riteneva che rimanesse fermo il cambio col Togo. Il segretario di Stato invece, che sembrava da prima disposto ad entrare nelle viste del signor Cambon discutendone i dettagli, tanto che questo credette un momento di essere vicino ad una conclusione, -dichiarò ad un certo punto che l'offerta del Togo s'intendeva fatta in compenso di un'accettazione totale delle sue domande, ma che trattandosi solo dell'hinterland, gli era

129 Cfr. n. 81. 2 Aggiunta posteriore: «coll'aggiunta anche di un tratto di costa al nord di Libreville».

155 impossibile considerare la rinuncia a quella colonia tedesca, contro la quale l'opinione pubblica -che ne aveva avuto sentore -si era frattanto pronunciata con violenza. Taccio di altre proposte e contro-proposte che furono scambiate delle quali non ho cognizione abbastanza precisa -quella per esempio della cessione di un'isola francese del Pacifico (Tahiti), che fu poi abbandonata. Debbo riferirmi al riguardo ai telegrammi da me successivamente inviati a V.E. mano mano che l'una o I' altra notizia mi veniva riferita. Ciò che risulta da tutto ciò, è che di queste sei settimane di trattative, si può dire che le prime cinque furono spese in avvisaglie preliminari, varie e contradittorie, finché si giunse nell'ultima a constatare che le due parti si trovavano più che mai lontane da un'intesa.

In tale stato di cose, come ne ho informato V.E. per telegrafo, il signor Cambon si è ora risolto, -dietro suggerimento dello stesso signor von Kiderlen, -a prendere un congedo, mentre questi, dopo di essere stato ricevuto ieri dall'imperatore a Wilhelmshoehe (nella occasione del consueto banchetto per l'anniversario di S.M.I. Francesco Giuseppe) si è recato dal canto suo a riposare nella Foresta Nera. Per non inquietare il pubblico e la Borsa, si annuncia che questa sosta è unicamente motivata dal bisogno del signor Cambon di recarsi a ricevere definitive istruzioni dal proprio Governo e che le trattative saranno riprese al principio di settembre. Questo è vero alla lettera, ma ciò che non si dice è che né da una parte né dall'altra non si sa per ora su quale base quella ripresa potrà avere luogo.

Oltre alle difficoltà intrinseche, hanno contribuito a questa poco soddisfacente conclusione diverse altre circostanze. Fra queste è da citarsi il linguaggio della stampa dei due Paesi, di cui è difficile dire quale sia stata più indiscreta ed imprudente. Quella nazionalista di Germania si distinse in particolar modo per la sua intransigenza e V.E. avrà certamente notato, pel rumore che se n'è fatto, un recente articolo del Post che attaccò persino la persona dell'imperatore accusandolo di essere intervenuto a imporre al suo Governo rinunce umilianti per la dignità e gli interessi della Germania. Si può notare passando che la polemica così sollevata avrà per effetto fra altro di rendere vieppiù difficile a S.M. l'imperatore di pronuciare una parola di pace, qualora ad un dato momento gli si presentasse l'opportunità di ciò fare. Una seconda causa di perturbazione è poi derivata, come Io riferii, dalI 'attitudine del! 'Inghilterra, il discorso in ispecie di Mr. Lloyd George, appena attenuato da quello successivo del primo ministro, avendo ridestato tutti gli antichi livori contro quel Governo e ciò non solo da parte di giornali tedeschi ma anche nel mondo ufficiale. Il signor Giulio Cambon dice che qui si commise uno sbaglio non prevedendo l'assoluta fedeltà dichiarata dall'Inghilterra ai propri impegni verso la Francia. Egli crede anzi sapere (evidentemente per notizie del fratello di Londra) che quel Governo sarebbe risoluto, alla occorrenza, ad andare fino in fondo, risoluzione questa che sembra essere considerata più che altro come compromettere nelle sfere governative di Parigi ove si vuole la pace. --Ed in fine (la nota personale avendo anche la sua parte), si aggiunge a tutto ciò un terzo elemento non favorevole alla soluzione delle presenti difficoltà, e cioè la posizione del signor von Kiderlen già portato alle stelle (ed al potere) dalla stampa conservatrice che decantava in lui un nuovo Bismarck e che, dopo di aver ravvisato la mano del maestro nel clamoroso gesto di Agadir, comincia ora ad accusarlo di debolezza e remissività, perché egli non poté ottenere l'intero Congo oltre ad una parte del Marocco e tutte le altre cose che un giornalista può così facilmente iscrivere sopra un foglio di carta. Che il signor von Kiderlen sia ora piuttosto irritato è abbastanza indicato da certe sue frasi già da me riferite a V.E. Egli mi disse un giorno che i circoli militari tedeschi ritengono essere il momento attuale il più favorevole per una guerra tanto in terra che in mare e che se, contrariamente ai propri sentimenti, egli la facesse dichiarare, sarebbe sicuro di divenire l'uomo più popolare della Germania. Ma con questo segretario di Stato non è facile talvolta il discernere il vero scopo delle sue parole che vogliono essere prese cum grano salis. Posso notare soltanto che il signor Giulio Cambon, anche lui evidentemente di poco buon umore, dice che il signor von Kiderlen gli parve, specie negli ultimi tempi, nutrire il proposito di non giungere ad un accordo, la cui mediocrità apparirebbe come un suo insuccesso personale e che egli piuttosto spinga ad una rottura dei negoziati coll'idea di farla seguire da qualche nuovo atto di intimazione. Del resto, il signor Cambon si duole ugualmente delle tendenze regnanti a Parigi dove il Governo subirebbe la influenza di persone interessate od irragionevoli, avverse alle eque transazioni da lui raccomandate, per il che anzi egli crede essere questo suo viaggio indispensabile per rappresentare verbalmente al Quay d'Orsay la vera situazione delle cose.

Ad ogni modo non rimane per ora che da attendere il riaprirsi dei negoziati che dovrebbe aver luogo entro un paio di settimane. Malgrado tutti i sintomi contrari più sopra esposti, mi risulta che negli uffici competenti di questo Dipartimento degli Esteri si continua a confidare in una soluzione. Ma se questa non dovesse verificarsi o se qualche nuovo incidente sopravvenisse nel frattempo ad intorbidare la situazione, non credo sia dato a nessuno il prevedere sin d'ora ciò che potrà uscirne. Ieri ho veduto il sottosegretario di Stato dottor Zimmermann tornato in questi giorni di congedo. Alla mia domanda delle sue personali impressioni circa le eventuali conseguenze di una rottura dei presenti negoziati, egli rispose che il Governo imperiale non aveva fin ora considerato ciò che gli rimarrebbe a fare in quel caso: probabilmente, egli disse, si comincerebbe col rimanere davanti ad Agadir; ma è certo, aggiunse, che non si andrà ad una nuova conferenza; con che egli ripeteva una dichiarazione già fattami ancora pochi giorni or sono dal signor von Kiderlen. Ad una mia allusione all'eventualità di un appello della Francia alle Potenze questi aveva risposto rilevando che sulla Francia ricadeva la responsabilità di una evidente violazione dell'Atto di Algesiras ed essere norma di diritto internazionale che nel caso di un simile trattato sottoscritto da Stati diversi, a ciascuno di questi spettava il diritto di chieder conto di un'infrazione da esso reputata pregiudizievole ai propri interessi, senza che per ciò gli occorresse di rivolgersi al consesso degli altri firmatari. È notevole che una dichiarazione in termini identici fu fatta inserire nella Kolnische Zeitung di ieri. Aggiungo qui unito a titolo di informazione il testo di un altro comunicato pure ufficioso del Local Anzeiger che è abbastanza interessante, come quello che descrive l'attuale stato delle trattative marocchine in termini involuti e si direbbe, intenzionalmente confusi, tali da fra credere che il Governo voglia quasi preparare l'opinione pubblica ad una qualche ancora ignota transazione. Così almeno esso è interpretato dai fogli nazionalisti che amaramente se ne dolgono.

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IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

R. RISERVATO 1059/449. Tripoli di Barberia, 19 agosto 1911 2.

*Mi onoro rispondere all'ossequiato dispaccio riservatissimo in data 9 corrente col quale l'E.V. si è degnata domandare il mio avviso sul modo migliore nel quale dovrebbe svolgersi una eventuale nostra azione militare in Tripolitania e Cirenaica3 . Il solo problema difficile è quello di garentirsi, per quanto è dato, la adesione o quanto meno la neutralità di tutto o di parte delle popolazioni arabe, tenendo conto che* non solo occorre garentire l'incolumità dei nostri connazionali qui residenti, ma è pur necessario, ad evitare possibili intromissioni di altre Potenze europee, preoccuparsi della sicurezza degli altri europei che qui risiedono. È meglio all'E.V. che a me noto come gli arabi fossero un tempo a noi favorevoli, e quale sia stata l 'utile e proficua opera patriottica su di essi svolta, dieci anni or sono, dal defunto cavalier Scaniglia. Simpatia e fiducia generali ed esclusive di un tempo sono oggi in gran parte perdute, e per la mancata azione nostra che gli arabi attendevano sicura, e per le incertezze mostrate negli anni trascorsi, e perché le autorità turche da un lato hanno fatto il possibile per screditare il nostro nome, e dall'altro per accaparrarsi le simpatie arabe.

*La simpatia e la fiducia di dieci anni or sono veniva a noi principalmente perché l'Ital;a rappresentava la nazione che avrebbe sollevato queste popolazioni arabe da un dominio politico in quel tempo particolarmente abborrito; se però oggi le continue ribellioni la sollevazione permanente contro il turco non è più, uno stato d'animo generalmente ostile ed avverso ai turchi esiste, e l'Italia può sempre rappresentare quel Governo che saprà ridare a queti territori molta della passata floridezza.

2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

3 Cfr. n. 120 nota l. A tal proposito GALLI (Diarii, p. 58) annotava: <•Per tale eventualità egli mi pone una serie di quesiti che mi fanno rizzare i capelli. Se fossi qui da un anno risponderei senza troppo riflettere. Direi cioè un pensiero buono o cattivo, non so, ma ormai chiaro e preciso per me. Ma qui da venti giorni che ho da dire? Non c'è che richiamarsi agli eterni principi, mettervi i nomi e le cose della Tripolitania. Così faccio».

Inoltre altro è parlare di poche simpatie, altro di resistenza viva ad una eventuale nostra azione. L'influenza dei capi è massima, e senza il loro consenso né in Tripoli né nell'interno una qualunque resistenza delle popolazioni è possibile.*

Ora è bensì vero che molti di essi sono legati al Governo turco, ma altri (e sono i principali) per il filo degli interessi fan capo al Banco di Roma e sono stretti da particolare e personale simpatia al cavalier Bresciani (specialmente Assuna Pascià Karamanli la cui personale influenza è certamente grandissima). Per qualche altro si potrebbe seguire la traccia lasciata dal cavalier Scaniglia, valendosi dello stesso fidatissimo mezzo che egli ebbe allora, il cavalier Smirli, interprete di seconda categoria, persona accorta e cauta, profondo conoscitore di uomini e cose di questo Paese, legato da parentela alla maggior parte degli arabi influenti.

Rimane la azione delle confraternite religiose: madania e senussi. *Su di esse il Governo turco ha cercato riversare favori di ogni sorta per averle fedeli ed amicarsele, ed alcuni dei capi madania di questa città sono regolarmente sussidiati dal Governo turco, ma* la loro congregazione è costituita da pochi e poveri.

I senussi, dei quali il capo locale Sidi-Ab-El Uahab è in ottime relazioni col Governo, obbediscono com si sa al gran senussi di Kufra: Sidi-Ahmet-El Serif, che si dice a noi favorevole. Le fila per giungervi *o* sono al Cairo, se si può aver fiducia in Mohamed-Ali-Elui-Bey (egli dovrebbe ora trovarsi a Roma,* vedi mio rapporto 13 c.m. n. 437 *4 . I giornali arabi ispirati dal valì hanno notato la sua presenza qui e lo hanno accusato di essere emissario del R. Governo) od a Bengasi se le relazioni avviate dal cavalier Bernabei sono certe e non contestabili. Tuttavia i senussi non possono avere nella Tripolitania propriamente detta la influenza quasi decisiva che possono svolgere in Cirenaica.

Se dunque vi è la preordinata decisa intenzione di svolgere qui una azione militare (che troverebbe il tempo suo propizio nel mese di ottobre per il clima temperato e le ancor buone condizioni del mare) occorrebbe iniziare subito quella accorta opera sui capi e sulle masse che con la forza morale, con le buone maniere e qualche consiglio, con molti sussidi ed aiuti pecuniari valga a fare entrare negli animi degli arabi, come egregiamente scriveva il cavalier Scaniglia, «la persuasione che quando Allah avrà determinato, la loro salute verrà dall'Italia», e valga a garantirci l'incondizionato appoggio di tutti o della maggior parte dei capi influenti.

Non per questo le previsioni sulla effettiva portata di tale azione preparatoria debbono essere rosee ed ottimiste. I reali effetti di simile preparazione non si potrebbero vedere che al momento decisivo, e qualunque ipotesi sulla sua vera efficacia non credo possa essere conclusione sicura di elementi ponderabili in ogni loro aspetto. Troppi lati possono sfuggire e troppi calcoli possono mostrarsi poi errati.

*Tuttavia se anche non completamente riuscita ogni preventiva opera di preparazione deve avere un effetto benché minimo, e per quanto piccolo esso porterebbe un indebolimento alla possibile e sempre temibile unione delle popolazioni arabe alle truppe turche. Ora è evidente che la resistenza di queste è tanto minore quanto maggiore è la adesione dei capi alla nostra causa, come d'altro canto è pur vero che la unione di popolazione fanatiche della città alle truppe è di tanto men probabile quanto più rapida ed improvvisa sia la nostra azione militare.

Mi sono riferito sin qui alle popolazioni della città. Per quelle dell'interno il concorde giudizio di molte persone interrogate dice che la loro avversione al turco è ancora maggiore che sulla costa.

Se l'opera per guadagnare preventivamente i capi alla nostra causa, e di accaparrarci simpatie delle masse arabe riesce, la resistenza delle truppe di per se stesse è minima.* Esse sono oggi poche, e per maggiore evidenza unisco copia di un quadro recante la dislocazione ed il quantitativo delle truppe al lo maggio scorso. Da allora i mutamenti dell'effettivo sono minimi, e non si ha qualche mutamento sensibile se non nello stato degli ufficiali.

*N o n ho la competenza necessaria per dire nei suoi dettagli quale dovrebbe essere la nostra azione militare (credo del resto, per quanto mi consta che essa sia stata già accuratamente studiata dallo Stato Maggiore tanto della guerra che della marina), ma sembra che ove la guarnigione di Tripoli potesse essere accerchiata (lo sbarco avvenendo fuori di città in qualche località prossima a ciò adatta, ed avendosi la simultanea presenza della squadra nel porto) la sua resistenza dovrebbe essere nulla.

Se l'accerchiamento non fosse attuabile o non riescisse e la guarnigione di Tripoli potesse ritirarsi nell'interno, essa si troverebbe ben presto alle prese con le difficoltà del rifornimento viveri, che non potrebbero loro giungere che per via di mare. Anche oggi non solo alle piccole guarnigioni dell'interno, ma anche a quelle popolazioni, farine, orzo, grano eccetera eccetera giungono da Tripoli.

Fiaccata la resistenza della guarnigione di Tripoli cadono le piccole guarnigioni, né dovrebbe fare in nessun caso timore l'appello alla guerra santa. Le popolazioni della costa non vi aderirebbero in nessun caso perché troppo sotto occhio hanno l'esempio di quello che può fare un Governo europeo con l'esempio dei possedimenti francesi e dell'Egitto. E le tribù che forse potrebbero udire un tale appello sono povere, disarmate e lontane troppo perché possano essere temibili. *

Non credo neppure che la truppa territoriale di recente istituzione possa incutere un qualche timore. Essa è composta in gran parte di israeliti della città, truppa di nessuna consistenza e resistenza. Gli arabi dell'interno non vi partecipano affatto. Quanto ha scritto in proposito il Tarachi *(vedi mio rapporto 17 c.m. n. 445)*5 non credo abbia oggi un qualunque reale significato, *e poco potrebbe averne anche in seguito.*

Rimane dunque fermo che, a mio avviso, la sola difficoltà è guadagnarci preventivamente l'adesione dei capi arabi. *Il non farlo potrebbe provocare il possibile temuto eccidio di qualche connazionale per opera di fanatici aizzati. La adesione di capi arabi ci può garantire che questo non avverrà.

Per tale opera non facile, bisognosa di geloso riserbo, di unità di direzione, di piena armonia di intendimenti, io non vedo qui oggi che due persone: lo Smirli da adoprarsi come strumento obbediente, il Bresciani la cui azione potrebbe essere buona in quanto sempre sconfessabile e non coinvolgente la responsabilità del R.Govemo. Egli è qui da quattro anni, conosce la maggior parte dei capi arabi, ha coraggio ed iniziativa, molta fede ed entusiasmo. Entrambi dovrebbero essere sotto la direzione di questo r. ufficio.

Decisa l'azione* questa opera preventiva dovrebbe essere iniziata senza indugio, abbisognando essa, io ritengo, di un mese od un mese e mezzo per giungere ad un punto in cui si possa avere sicurezza della sua riuscita. E dovrebbe essere pure qui inviato, per la parte esclusivamente militare, un ufficiale di Stato Maggiore, la cui qualità potrebbe essere facilmente dissimulata.

Il pretesto sarebbe opportuno venisse da un incidente provocato ad arte, poiché se ne potrebbe scegliere il momento più propizio. Ove esso dovesse riguardare il consolato io sarei pronto ad espormi a qualunque possibile rischio.

*La squadra arriverebbe 24 ore dopo, e dopo 48 o 52 si dovrebbe avere lo sbarco. La azione tanto più rapida tanto più facilmente trionferebbe perché con lo sgomento e la sorpresa impedirebbe il tentativo che le autorità turche farebbero sulle popolazioni arabe per averle seco, ed impedirebbe la distribuzione di armi, che in questi depositi pare vi siano circa 46.000 fucili.

La presenza della squadra vale anche a garentire la sicurezza dei nostri connazionali, poiché in caso di pericolo, ed avendosi magari la fortuita o contemporanea presenza di qualche vapore mercantile, la piccola colonia di Tripoli (circa ottocento persone) potrebbe essere facilmente e rapidamente imbarcata.

Un paio di piccole unità dovrebbero essere inviate ad Homs dove vivono circa venti italiani. E ad Homs dovrebbero essere chiamati in tempo utile due italiani che abitano a Misurata che ne dista circa una giornata.

Così pure, una azione dovendo accadere prima dell'ottobre, dovrebbe essere richiamata la missione mineralogica, e si dovrebbe far partire da Zuara il dottor Beguinot della missione archeologica.

È ovvio che non ho parlato della Cirenaica dove la occupazione dovrebbe essere effettuata rapidamente e contemporaneamente.*

Ho accennato più largamente a quella che dovrebber essere preparazione perché la parte più delicata e difficile, e la sola che può presentare degli ostacoli. È anche la sola nella quale l'opera mia potrebbe tentare di esplicarsi fino da questo momento.

*La azione militare di per se stessa non presenta certo problemi molto difficili a risolvere. Mi riservo di far conoscere all'E.V. quanto altro riterrò utile comunicare al riguardo della richiesta fattami.*

130 1 Il rapporto è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi, da GALLI, Diarii, pp. 58-60.

130 4 R. 1034/437, non pubblicato.

130 5 R. l 049/445, non pubblicato.

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IL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, STRINGHER, AL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, G. DELLA TORRETTA

L. RISERVATA 57647. Roma, 19 agosto 1911 (per. il 23).

Ho ricevuto regolarmente la sua lettera del l O corrente contenente copia di rapporti e telegrammi relativi alla ferrovia Danubio-Adriatico 1•

Successivamente, il marchese Theodoli mi ha mandato da Costantinopoli la copia del contratto firmato tra il Governo ottomano e la Società ottomana della Jonction Salonique per lo studio della ferrovia Danubio-Adriatico, non che la copia di una convenzione preliminare tra il Governo ottomano e la Régie Générale des chemins de fer per un'eventuale operazione finanziaria di circa 800 milioni di franchi, che in parte dovrebbe servire alla costruzione delle ferrovie di Anatolia e di Albania.

La lettura del contratto per lo studio della ferrovia Danubio-Adriatico ha attutito alquanto in me le cattive impressioni che ebbi a manifestarle con le mie lettere del 5 1 e del 12 agosto2 .

Anzitutto resta bene confermato che si tratta di un contratto di studii e non già di un contratto di costruzione. Il contratto non comprende più la diramazione dall 'arteria principale a Monastir; il tracciato attuale parte da Merdaré (frontiera serba) e passando per Prizrend e la vallata del Drin, sboccherebbe dalla vallata del Mat a San Giovanni di Medua, con diramazione per Scutari.

Non di meno, si tratta sempre di una linea meno favorevole agli interessi italiani di quella prevista negli accordi del 1908. Sopra tutto vi è una anomalia stridente con i nostri interessi nel fatto che, in conseguenza del contratto attuale, l'impresa del porto, che è impresa preminentemente italiana, dovrebber essere compiuta sopra studi fatti da ingegneri francesi.

Devo poi richiamare l'attenzione della S.V. sulla circostanza che la Banque Impériale Ottomane, che mi ha scritto in questi giorni confermandomi l'avvenuta firma del contratto, sollecita una risposta per la nostra partecipazione all'affare della Bojana. -Ora, a questo proposito, devo riferirmi alla mia lettera diretta a S.E. il ministro degli esteri il 28 luglio 2 -con la quale avvertivo che il commendator Rava, che, in unione al signor Pacelli, aveva avuto occasione di conferire a Parigi con l'ambasciatore, confermava che le trattative avrebbero potuto essere riprese qualora la Banca Imperiale ottomana accettasse la formula, che il gruppo italiano abbia il diritto -a studi finiti -di astenersi dal partecipare all'assunzione dei lavori, nel qual caso dovrebbe, naturalmente, avere il rimborso delle spese sostenute,

131 Non rinvenuta. 2 Non pubblicata.

per parte sua negli studi. lo concludevo col proporre a S.E. di incaricare il nostro ambasciatore di chiedere al signor Auboyneau, se accettava questo ordine di idee. Non ebbi più risposta in proposito, ma, come la S.V. vede, è diventato ormai necessario di provocarla d'urgenza da S.E. Tittoni.

Confido per questo nella sollecitudine di V.S., ... 3•

132

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE S.N. 1 . Therapia, 21 agosto 1911.

Ho l'onore di rispondere at quesiti contenuti nel dispaccio n. 8, in data 9 corrente2•

Quesito l. «Che cosa si dovrebbe fare dal Governo italiano per cercare di evitare tale estremità (occupazione della Tripolitania od altra azione coercitiva) pur continuando a dare protezione e sviluppo agli interessi economici italiani in Tripolitania e Cirenaica».

I due termini del quesito si escludono a vicenda. (lP.

È giunto il momento in cui la politica da tanti anni ormai seguita in Tripolitania si è resa impossibile. Questa politica ha consistito in ciò che da un lato abbiamo preteso dalla Turchia una situazione privilegiata in ordine alla nostra penetrazione economica e dall'altro abbiamo preteso dalle Potenze l'astensione da ogni azione politica ed economica. L'opposizione più o meno larvata, più o meno cortese del Governo ottomano alle nostre iniziative economiche in Tripolitania, è naturale ed inevitabile e seguirà come pel passato. È troppo chiaro ormai per i turchi che la nostra «penetrazione pacifica» non è altro che «penetrazione politica». Il Governo ottomano è al corrente di alcune fra le nostre intese relative alla Tripolitania. Si tratta per esso di legittima difesa. Non abbiamo che due vie da seguire, o far macchina indietro, abbandonare alla loro sorte le iniziative economiche e fare pubblicamente quelle dichiarazioni che l'incaricato d'affari di Turchia (fatto nuovo e sintomatico) richiese al R. Governo e che S.E. il Principe di Scalea fieramente respinse, o risolvere la questione tripolina (2). Ma la prima ipotesi è manifestamente da escludere per ragioni di politica interna e la via di mezzo non esiste, perché i turchi, a ragione non si lasceranno mai persuadere della sincerità delle nostre intenzioni.

Inoltre pel fatale concatenarsi delle circostanze, abbiamo perduto di fronte agli orientali ed al Governo turco quel prestigio di Grande Potenza che deve essere corrispondente ai vitali nostri interessi politici ed economici in Turchia. L'orientale

2 Cfr. n. 120.

3 I nn. tra parentesi, da l a 18, corrispondono ad altrettante annotazioni di di San Giuliano pervenuteci in copia dattiloscritta (cfr. allegato).

163 -per necessità psicologica -rispetta soltanto chi teme. Il rispetto, n eli' orientale, è sempre congiunto ali 'impressione della forza. Troppe volte abbiamo minacciato a parole. Alle nostre minacce ormai nessuno crede più a Costantinopoli. (3).

È dunque necessario reintegrare il prestigio politico dell'Italia in Oriente.

Si abbietta che il regime giovane-turco si è mostrato, anche con altre Potenze, di difficile composizione nella trattazione di singoli affari. È vero. Ma se quelle Potenze dettero prove di piccole condiscendenze in alcuni casi, ebbero però campo di far trionfare altri e notevoli interessi politici ed economici. (4).

Perdurando questo stato di cose, l'avvenire ci riserva una sequela di incidenti inevitabilmente rinnovantisi nella ordinaria e quotidiana tutela dei tanti nostri interessi, ed i rapporti italo-turchi andranno sempre peggiorando. (5).

Il quesito n. l rispecchia pertanto una impossibilità materiale. Quesito 2. «Quale forma di azione coercitiva la S.V. stima più opportuna ed efficace, sia direttamente in Tripolitania e Cirenaica, sia in altra parte dell'Impero». Vi sono due forme di azione coercitiva: la dimostrazione navale e l'occupazione territoriale.

La dimostrazione navale al tempo dell'ex sultano Abdul Hamid ottenne sempre effetto sicuro. Oggi, col nuovo regime, riuscirebbe solo ad esasperare il sentimento nazionale giovane-turco. Il tempo delle dimostrazioni navali in Turchia è finito. (6).

Una occupazione territoriale, mettendo la Turchia davanti al fatto compiuto ed irrevocabile, potrebbe solo costituire quell'affermazione di forza atta a reintegrare il nostro prestigio in Oriente.

L'occupazione territoriale potrebbe aver luogo:

I. Nel Mar Rosso. È da escludere uno sbarco sulla costa Hodeida Moka (per l'insurrezione e per le prevedibili difficoltà da parte dell'Inghilterra). Sono da escludere le isole Farsan, causa la Germania. Resta l'isolotto di Gébel Zukar (progetto Martini). Ma poiché non possiamo, né dobbiamo, mandare una forza navale imponente al di là del Canale di Suez, sarà da prevedere una resistenza da parte delle cannoniere turche stazionanti nel Mar Rosso, nonché successivi e ripetuti tentativi di rioccupazione turca mediante le numerose truppe concentrate nel vicino Yemen. La questione inevitabilmente trascinerebbe a lungo. (7).

II. Isola di Rodi (progetto Tittoni), Metelino o altra isola dell'Arcipelago. È da escludere, perché la gravità e l'importanza dell'azione militare non corrisponderebbe alla entità dei nostri interessi in quelle località. Solo vantaggio sarebbe la riaffermazione del nostro prestigio. (8).

III. Occupazione di Tobruk in Cirenaica (progetto Bettòlo ). Avrebbe per effetto di prolungare per un tempo indefinito le operazioni militari in Cirenaica e Tripolitania, lasciando insoluta la questione tripolitana e peggiorando ancora i rapporti italo-turchi. (9).

IV. Spedizione a Bengasi e Tripoli e occupazione definitiva della Cirenaica e Tripolitania. l -È questa l'unica soluzione conforme alla tendenza manifesta dell'opinione pubblica italiana.

2 -È il solo mezzo che permetta di ristabilire dopo un tempo relativamente breve (come per l'Austria dopo l'occupazione della Bosnia) le relazioni normali colla Turchia essendo tolta di mezzo l'unica ed irrimediabile ragione di attriti e malintesi. (10).

3 -È la soluzione corrispondente ai vitali nostri interessi politici nel Mediterraneo.

4 -È il modo di evitare che in occasione di una crisi generale o sconvolgimento dell'Impero ottomano, la Tripolitania ci sia lasciata, nonostante le intese, quale compenso di acquisti austriaci nei Balcani. E in tale ipotesi, l'acquisto della Tripolitania se non altro, riuscirebbe a diminuire l'importanza degli altri compensi che avremmo ragione di chiedere. (Jl).

5 -È necessario di profittare delle varie intese colle Potenze circa la Tripolitania, mentre sono recenti ed hanno pieno vigore. L'esperienza anche di questi giorni dimostra come gli accordi perdono valore col tempo. Possono sorgere circostanze che ai nostri accordi tolgano efficacia. (12).

6 -Più tardi e più la soluzione diverrà difficile sia per gli armamenti turchi, che per gli interessi stranieri che inevitabilmente si stabiliranno in Tripolitania. (l3). 7 -Non può durare a lungo la politica nostra di impedire ad altri l'azione economica in Tripolitania. Oltre certi limiti non ci riusciremo più. (14).

8 -Serie obbiezioni militari non esistono e mi rimetto, in proposito, ai rapporti del r. addetto militare. Le navi turche (15) non possono ostacolare i nostri convogli di trasporti e la flotta italiana può fermare i convogli turchi.

Ma sotto l'aspetto militare mi sia permesso di fare una considerazione d'indole morale: il prestigio dell'esercito italiano! Ognuno che abbia vissuto in Oriente, sa bene che nella considerazione internazionale, l'ombra di Adua -gloriosa sconfitta -si projetta ancora oggi sulla rinomanza dell'esercito italiano. Quell'ombra svanirebbe per effetto di un'azione militare in Tripolitania. E l'effetto morale nell'esercito stesso? Quanto sarebbe mai risollevato il morale dell'esercito in seguito ad una spedizione, per quanto priva di pericoli, ma che nel modo popolo nostro e nelle truppe si chiamarebbe poi «la conquista» di Tripoli? È trascurabile questo elemento morale quando si pensi al giorno in cui l'esercito italiano dovrà accorrere alle nostre frontiere?

Quesito 3. «Quale ripercussione tale eventualità potrebbe avere per la scossa che darebbe al prestigio dell'Impero ottomano sulla situazione in Albania, in Macedonia e in genere nella penisola balcanica».

Posso affermare per l'esperienza di dodici anni di servizio in Levante e per averne fatto ora oggetto di caute ed accurate osservazioni, che nessuna ripercussione avverrebbe nella penisola balcanica. La Grecia non si muoverebbe, anzi il Governo di Venizelos in caso di difficoltà tenderebbe ad avvicinarsi alla Turchia. La Bulgaria non si muoverebbe, causa la Romania, e perché la Russia non è ancora pronta. La Serbia non si muoverebbe.

Tale è il parere che pur ieri espresse il marchese Carlotti, ministro in Atene, di cui ognuno riconosce l'esperienza nella politica balcanica. Il duca Avarna mi diceva testé a Vienna che è da escludere una ripercussione immediata. Ma, osservai, se la ripercussione non è immediata, il rapido succedersi degli avvenimenti ne toglierebbe a noi la responsabilità.

Non è neppur sicuro che si verificherebbe qualche torbido, qualche recrudescenza di bande in Macedonia, o qualche agitazione di Albania. Già è una situazione di cose preesistente, l'insurrezione in Albania è sempre allo stato latente, deve ricominciare presto o tardi, ed i turchi sono pronti a soffocarla. Nessuno potrebbe mettere tali movimenti a carico di una nostra azione in Tripolitania. Si potrebbe anzi ritenere che sarebbero desiderabili quale diversivo.

L'obiezione della ripercussione nella penisola balcanica è l'argomento ormai sfatato

Mi preme in proposito di riferire confidenzialmente a V.E. il seguente parere espressomi dal duca Avarna: nella questione di Tripoli ci troviamo di fronte alla doppia alternativa: o avanti, o indietro. Se non si può tornare indietro, questo è il momento favorevole per agire. Cogli alleati è possibile regolare la cosa mediante opportuna preparazione, per quanto ad essi la nostra azione tornerà sgradita. Non si avrà ripercussione immediata nella penisola balcanica. Una spedizione in Tripolitania sarà utile diversivo alle agitazioni irredentiste italiane.

E quanto agli alleati debbo osservare che le nostre aspirazioni nella Tripolitania e le troppo clamorose manifestazioni della nostra opinione pubblica hanno fino ad oggi servito al loro gioco di moderatori. Occorre far chiaramente comprendere a Vienna ed a Berlino che è giunto il momento di pensare agli interessi italiani. Vienna e Berlino si rassegneranno, ma solamente quando avranno acquistato la vera convinzione che il R. Governo ha realmente preso la decisione irrevocabile di agire.

Quesito 4. «Quale reazione ottomana sia da aspettarsi sotto forma o di eccidio di italiani residenti nell'Impero ottomano, o di boicottaggio e se questo sarebbe più o meno prolungato ed efficace».

In Turchia possono avvenire massacri di armeni, greci, bulgari, ma non già di una nazionalità europea che non offre agglomerazioni nelle campagne e che nelle città vien confusa colle altre nazionalità franche. Vi potrà essere qualche assassinio qua e là di sudditi italiani, ma niente di grave.

È da prevedere il boicottaggio, ma non bisogna esagerarne né (sic) il danno, purtroppo, gran parte del commercio italiano si vale della bandiera estera e sarà quindi esente dal boicottaggio. Il boicottaggio si presenta come questione di politica interna italiana, più che di politica estera. Non so se vi siano possibili intese preliminari coi gruppi industriali più interessati, ad esempio i cotonieri. (17).

Il boicottaggio cesserà come cessò quello contro l'Austria ma con perdite per noi assai minori.

Quesito 5. «Se vi sia grande differenza tra le conseguenze, i rischi, i danni possibili d'una nostra azione coercitiva limitata o temporanea e quella derivante dalla occupazione risolutiva della Tripolitania e Cirenaica».

La differenza vi è, e grande, in questo senso solamente, che, dopo una nostra azione coercitiva limitata o temporanea, avremo bensì reintegrato il nostro prestigio, ma sarà ancora meno possibile di ristabilire su base normale i rapporti colla Turchia in quanto perdurerà l'ostacolo irriducibile dell'equivoco tripolino. (16).

ALLEGATO

OSSERVAZIONI DI S.E. IL MARCHESE DI SAN GIULIANO AL RAPPORTO DEL R. MINISTRO DE MARTINO

REGGENTE LA R. AMBASCIATA A COSTANTINOPOLI, RIGUARDANTE LA TRIPOLITANIA.

l) Che i due termini del quesito si escludano a vicenda è pure mia convinzione. Posi il quesito per sentire il parere di un competente, ma mi ero già formato tale convinzione. Ne avevo il dubbio fondatissimo prima di assumere il Ministero degli esteri, ma questi sedici mesi di esperienza han tramutato il dubbio in convinzione.

2) Unisco copia del mio telegramma a De Martino in proposito.

3) Qui la mia opinione non concorda che in parte con quella di De Martino. Le nostre minacce giovarono alcuni mesi fa nella questione Guzman e più recentemente (colla cooperazione dei nostri alleati) per ottenere il trasloco del valì ed evitare l'immediata concessione a stranieri del porto di Tripoli. Ma son d'accordo con De Martino che una terza minaccia non seguita o dal piegare della Turchia alle nostre domande o da una nostra azione coercitiva, ci farebbe perdere ogni prestigio.

4) Qui l'opinione di De Martino è da accettare con una importante riserva. Le Potenze, cui egli allude, poterono chiedere alla Turchia cose, che la Turchia non credeva nocive ai propri interessi (ferrovia di Bagdad e d'Anatolia eccetera) e renderle grandi servigi (prestito tedesco eccetera). L'Italia chiede cosa che la Turchia giustamente crede pericolosa, non può renderle eguali servigi, e i capitalisti italiani rifiutano gli affari (Mesopotamia eccetera) che la Turchia sarebbe disposta a dare ed offrire.

5) 6) 7) 8) 9) Giustissimo.

l O) Credo an c h 'io che ciò avverrebbe.

11) 12) 13) 14) Giustissimo.

15) Dal complesso delle nostre informazioni è probabile che De Martino non abbia torto nel credere non molto grandi le difficoltà militari, ma è anche possibile che esse in pratica risultino assai più serie di quel che De Martino ed altri pensano.

Io non mi credo competente in cose militari, ma sono stato due volte in Tripolitania, conosco i turchi e credo che sarebbe grave errore l'immaginarsi che non avremo da vincere una resistenza seria. Bisogna quindi regolarsi come se il nemico fosse temibile ed esagerare piuttosto in questo senso.

16) Anche in questa questione della ripercussione balcanica l'ottimismo di De Martino mi pare esagerato. La verità è che il pericolo di ripercussione balcanica è diminuito dopo la pacificazione dell'Albania e sarà minore se agiremo in autunno o in inverno possibilmente non più tardi di dicembre.

17) Non credo ai massacri di europei; non ci ho mai creduto. Ho posto il quesito per avere il parere di un competente. Credo al boicottaggio e credo, a differenza di De Martino, che può anche durare e danneggiare, ma appunto perciò non credo che convenga affrontarlo se non per un fine che ne valga la pena, cioè risolvere la questione di Tripoli.

Non credo affatto che convenga al Governo far passi presso i nostri cotonieri, che naturalmente s'ispirerebbero solo ai loro interessi privati. 18) Tale è sempre stata la mia opinione e ho posto il quesito solo per avere il parere d'un competente.

131 3 Per il seguito cfr. n. 141.

132 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica la copia conservata tra le carte di Gabinetto.

(16) di cui si sono per anni valsi i nostri alleati nella parte per loro così proficua che si sono assunti di moderatori, verso la Turchia, delle nostre ambizioni tripoline. E noi non possiamo neppure ragionevolmente adontarcene, poiché da parte nostra non esisteva un deciso programma di azione, del quale gli alleati non potrebbero non tener conto.

133

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 4050/267. Londra, 23 agosto 1911, ore 4,35 (per. ore 23).

Secondo il parere Benckendorff controversia marocchina pur non ispirando ancora vero proprio allarme, dà luogo a non poche né lievi preoccupazioni. Da parte francese si cominciano scorgere accentuate tendenze fino ad ora non prevedute a resistenza e combattività. Da parte tedesca si vede chiaramente che opinione pubblica annette speciale importanza al Marocco e non si rassegnerebbe facilmente ad un insuccesso diplomatico quale essa considererebbe abbandono definitivo Marocco senza compenso veramente attraente, che Francia difficilmente potrebbe dare. Benckendorff ha veduto settimana passata suo cognato principe Hatzfeld ed è rimasto molto impressionato per confidenze fattegli circa serio malcontento serpeggiante nella parte più influente partito conservatore prussiano più fedele e devoto Corona contro imperatore del quale si deplora con veemenza remissibilità eccessiva indegna di un Hohenzollem e di un re di Prussia. A quanto sembra Sua Maestà ritenendo che conflitto franco-germanico scatenerebbe guerra generale europea, continuerebbe essere animato disposizioni pacifiche, concilianti. Nessuno, però, può garantire se e fino a qual punto, tali disposizioni potrebbero mantenersi se pressioni partito preponderante in Prussia divenissero più imperiose. Comunque, Benckendorff ritiene questa pericolosa incertezza non potrà durare a lungo secondo lui <<Una bomba in un senso o nell'altro» dovrà scoppiare entro settimana prossima alla ripresa conversazione franco-germanica. Su questo punto ultimo analoga impressione ho raccolta oggi nella City dove non si è dissimulato che situazione generale europea inspira seria preoccupazione.

134

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3568/994. Therapia, 23 agosto 1911 (per. il 5 settembre).

Ho l'onore di trasmettere qui unito a VE. copia di una lettera direttami dal cavaliere Bresciani, direttore della sede del Banco di Roma a Tripoli, relativa ai suoi progetti in Cirenaica ed alle nostre relazioni coi senussi.

Riguardo all'intervento del r. console in Bengasi, è mio avviso che questi dev'essere al corrente di tali progetti, ma usare ogni cautela nella sua azione coi senussi. Poiché però ci si offre l'opportunità di valersi delle relazioni annodate con essi dal Banco di Roma sarebbe bene di ricavame tutto I 'utile possibile e non intralciarle.

Così l'impianto di una agenzia a Kufra è specialmente importante; anzi è indicato di esortare il Banco ad attuarla al più presto per ragioni per sé evidenti. A questa iniziativa l'autorità consolare dovrebbe rimanere assolutamente estranea1.

ALLEGATO

IL DIRETTORE DELLA SUCCURSALE DEL BANCO DI ROMA A TRIPOLI, BRESCIANI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

L. Roma, 9 agosto 1911.

Ho potuto quest'anno compiere una più lunga ispezione in Cirenaica , durante la quale ebbi occasione di occuparmi delle nostre relazioni coi senussi. Le dico subito che questo affare che potrebbe essere commercialmente buono per il Banco di Roma e politicamente ottimo per il Governo, minaccia di guastarsi.

È mia convinzione, ed i primi esperimenti me ne danno ragione, che un troppo diretto intervento del r. console in Bengasi in trattative che devono mantenere un assoluto carattere commerciale, non può che guastare, in primo luogo perché qualora gli indigeni si convincessero, come purtroppo avviene a causa della inopportuna ingerenza del console, che il Banco di Roma è un agente del consolato, sarebbe finita colla garanzia, i crediti eccetera.

E purtroppo ciò e già avvenuto qua e là.

Le relazioni coi senussi possono, anzi devono essere commerciali e in questo modo io ho un assoluto affidamento, avendo parlato con diversi veri interessati. Dalle buone relazioni commerciali ne deve venire poi un'ottima intesa politica, contrariamente cioè alla teoria del cavalier Bernabei che dice ai senussi: siate miei amici politici ed io vi farò far affari col Banco di Roma. È pericoloso ed anche puerile perché si presta benissimo ad un giuochetto qualsiasi. Secondariamente poi, questa azione troppo diretta del cavalier Bernabei dà all'occhio agli altri consoli che non sono degli ingenui e se ne parla già troppo.

Ripeto la mia convinzione è quella di sviluppare il più possibile le relazioni commerciali coi senussi, impiantando anche una agenzia a Kufra, affidata a uno di loro, e per permettere al nostro Governo di giovarsi abilmente di queste relazioni.

La via tracciata dal cavalier Bemabei non garantisce nulla al Banco e sarebbe possibile solamente se il Governo garantisse in proprio le operazioni che il Banco facesse. Io non la crederei pratica ugualmente. Le ho detto francamente il mio pensiero e sarò ben lieto di piegarmi a tutti quei consigli che l'E.V. vorrà darmi in proposito.

134 1 Annotazione di San Giuliano: «Sono d'accordo su tutto». Per il seguito cfr. n. 161.

135

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 2076/927 1 . Parigi, 25 agosto 1911.

Rispondo alla nota confidenziale di V.E. del 9 corrente2• Avendo seguito attentamente i diversi episodi e le diverse fasi dei nostri rapporti colla Turchia mi rendo perfettamente conto della possibilità che V. E. possa essere costretta da un momento all'altro ad occupare la Tripolitania o ad esercitarvi un'azione coercitiva. La necessità

135 1 Orginale non rinvenuto. Si pubblica la copia conservata tra le carte di Gabinetto. 2 Cfr. n. 120, nota l.

169 di una simile azione sorgerebbe non solo nel caso che la Turchia continuasse colà ad ostacolare i nostri interessi, ma anche quando in qualche grave questione assumesse un'attitudine a noi ostile ovvero ci arrecasse una grave offesa quale a mio avviso sarebbe l'applicazione senza nostro consenso della sopratassa doganale del 4%, della quale è parola nel telegramma di V. E. n. 3229 del 23 corrente3 .

Nell'ipotesi che l'eventualità prevista da V. E. possa presentarsi mi permetto fare un'osservazione. Sarebbe un grave errore credere che l'occupazione della Tripolitania si risolverebbe per noi in una passeggiata militare.

La nostra flotta potrà bloccare e bombardare i porti della Tripolitania ed intercettare qualunque comunicazione con Costantinopoli, ma un nostro sbarco incontrerà una forte resistenza. Da anni la Turchia va aumentando le guarnigioni ed i mezzi di difesa in Tripolitania epperò noi dobbiamo esser pronti a trovarci di fronte delle truppe che si battono valorosamente. Pel prestigio dell'Italia nel mondo sarebbe fatale se affrontando le truppe turche anche in uno scontro secondario le truppe italiane avessero la peggio. Per evitare in modo assoluto tale pericolo è necessario presentarsi quasi fulmineamente con forze preponderanti. Non voglio invadere il campo dei tecnici pronunziando giudizi che ad essi spettano. Però da conversazioni avute con essi quando io reggevo il Ministero degli esteri mi formai la convinzione che per occupare la Tripolitania senza timore di sgradite sorprese si sarebbe dovuto preparare uno sbarco sollecito e quasi contemporaneo di un corpo di spedizione di centomila uomini.

Venendo poi alla parte del dispaccio di V. E. che più particolarmente mi riguarda, dirò che a mio avviso, questo Governo è stato da me sufficientemente preavvisato e che non credo di dover chiedere nuove dichiarazioni circa la fedeltà della Francia agli impegni ch'essa ha assunto coll'accordo del 1902. Già al riguardo io ebbi le più esplicite e categoriche dichiarazioni dai ministri Pichon e Cruppi e tali dichiarazioni mi furono recentemente ripetute dal ministro De Selves. Ove io tornassi a provocarle mostrerei di non aver prestato fede a quelle esaurienti, che mi sono state fatte.

Il giorno in cui il Governo italiano crederà di occupare la Tripolitania, potrà fare pieno assegnamento sull'attitudine amichevole del Governo francese. Dico di proposito del Governo francese e non della Francia poiché è da prevedere che una parte della stampa e l'elemento coloniale chauvin ci sarà ostile; ma ciò a noi poco importa.

V. E. sa che può contare sulla astensione della Germania legata dal patto speciale della Triplice Alleanza. Già il principe Biilow ebbe più volte a dirmi: «<o non vi consiglio di andare a Tripoli , ma quando vorrete andarci non sarà certo la Germania che ve Io impedirà». In eguale posizione si trova rispetto a noi l'AustriaUngheria la quale potrebbe, però, essere indotta ad intervenire in Macedonia quando la nostra occupazione di Tripoli avesse per effetto di dare il crollo ali 'Impero ottomano, oppure solamente di provocarvi una rivoluzione o una pericolosa agitazione.

La Russia si è impegnata con noi a Racconigi. Rimane solo l'Inghilterra colla quale abbiamo patti abbastanza chiari e nella quale qualche volta si sono manifestate correnti turcofile che si sono imposte al Governo. Ma appunto perché quel Governo non agirà per partito preso ma solo sotto l'impero delle correnti predominanti in quel momento e per riguardo alla situazione parlamentare di sua natura mutabile, a me non parrebbe utile ne opportuno che l'ambasciatore a Londra insistesse troppo per ottenere dall'Inghilterra una specie di consenso preventivo e, malgrado gl'inconvenienti che la cosa potrebbe presentare, io farei trovare l'Inghilterra di fronte al fatto compiuto.

Del resto e V. E. e il r. ambasciatore a Londra hanno per pronunziarsi al riguardo maggiori elementi che io non abbia.

135 3 T. Gab. riservatissimo del 22 agosto, non pubblicato.

136

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 726/221. Pietroburgo, 25 agosto 1911 (per. il 31).

Nell'ultimo colloquio che ebbi col reggente di questo Ministero imperiale degli affari esteri non mancai, come già ne espressi il proponimento nel mio rapporto n. 215 del 16 agosto!, di scrutare colle debite cautele le disposizioni del signor Neratoff riguardo al mandato affidato recentemente agli ambasciatori delle tre Potenze a Costantinopoli di procedere d'accordo a scambi di vedute su una delle pendenti questioni balcaniche. Come me lo aspettavo il signor Neratoff mi dichiarò che dopo che si era appianato il conflitto fra la Monarchia2 ed il Montenegro che solo doveva costituire l'oggetto degli studi dei tre ambasciatori il mandato loro affidato non gli sembrava avere più ragione di esistere.

Credetti allora opportuno di insistere calorosamente sulla necessità che vi sarebbe a mio avviso a che, sia pure accademicamente, i tre rappresentanti rivolgessero egualmente la loro attenzione in comune sulla questione della pacificazione dell'Albania che, anche dopo la sottomissione dei malissori, costituiva un punto assai inquietante sull'orizzonte politico dei Balcani. Mi valsi perciò in parte degli opportuni concetti svolti nel rapporto del r. ministro a Cettigne da V. E. comunica

136 1 R. 712/215, non pubblicato. 2 Correzione di mano posteriore nell'interlinea: «Turchia».

171 tomi. Il signor Neratoff pur continuando a dimostrare una certa riluttanza a qualsiasi intromissione della Russia nella questione albanese che il Governo imperiale ha sempre ritenuto dover essere di assoluta spettanza della Turchia, ammise tuttavia l'opportunità che i Gabinetti delle tre Potenze più interessate continuassero a rivolgere la loro attenzione a questo spinoso problema, e sembrava non escludere che i rappresentanti delle tre Potenze a Costantinopoli potessero scambiare in proposito le loro vedute e comunicare ai rispettivi Governi i risultati dei loro studi.

Non sarebbe forse disutile che delle disposizioni addimostratemi dal signor Neratoff fosse tratto partito a Vienna ed a Roma. La conversazione fra i tre ambasciatori non condurrà forse praticamente a risultati molto apprezzabili giacché difficilmente la Russia si lascerà indurre ad intervenire attivamente nella questione albanese sia anche con semplici consigli a Costantinopoli, ma essa avrà avuto se non altro il vantaggio di non interrompere il contatto fra i tre Gabinetti riguardo alle questioni balcaniche.

137

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S. N. il 09. Pietroburgo, 26 agosto 1911, ore 15,50 (per. ore 16,45).

Ho intrattenuto oggi amichevolmente Neratoff nel senso dispaccio di V. E.

n. l 01 . In base ai concetti svolti in questo dispaccio ed annessi documenti, gli ho esposto ragioni che avrebbero eventualmente potuto obbligare R. Governo a procedere occupazione Tripolitania e Cirenaica. Neratoff disse che Turchia sarebbe stata difficilmente in grado opporsi efficacemente ad una tale nostra azione, ma manifestava qualche apprensione circa le sue conseguenze, sia per incitamento che vi potrebbero trovare alcuni Stati balcanici alle loro rivendicazioni territoriali contro la Turchia, sia perché ne riescirà fatalmente diminuita azione Italia nella questione albanese ed in quella Danubio-Adriatico.

Avendo, però in ultimo chiesto a Neratoff cosa sarei stato in grado riferire a VE. circa accoglienza da lui fatta a questa mia comunicazione, egli ha risposto che «questa accoglienza era piuttosto favorevole e che Governo imperiale non si sarebbe opposto per parte sua, qualora Governo italiano credesse momento venuto di procedere alla detta occupazione».

137 1 Cfr. n. 120 e nota l. Su questo colloquio si veda anche IB, s. III, vol. l 11, n. 360.

138

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 4166/427. Parigi, 29 agosto 1911, ore 19,20 (per. ore 0, 15 del 30).

Facendo seguito mio telegramma di ieri n. 4261, informo V.E. che LanckenWakenitz è venuto da Berlino e ha portato una risposta recisamente negativa. La Germania sarà irremovibile nel chiedere tutto il Gabon. Mentre la Francia vorrebbe conservare la riva destra del Sanga e vorrebbe che, tranne la striscia parallela alla frontiera meridionale del Camerun che cederebbe, come dissi ieri, detto fiume costituisse la nuova frontiera tra il possedimento francese e quello tedesco, la Germania vorrebbe che ambedue le rive del Sanga fossero sue. Il confine preteso dalla Germania, staccandosi da Mpomba alla confluenza del Sanga coll'Oubanghi, seguirebbe per quanto è possibile i grandi corsi d'acqua e, passando per Leketi, France Ville, Lasson Ville, Boné raggiungerebbe la baia di Carisco al nord di Libre Ville nel punto della costa proposto dalla Francia. La situazione si è così straordinariamente aggravata perché, mentre a Berlino hanno dichiarato di rifiutarsi nettamente a qualsiasi modificazione della linea di frontiera meridionale proposta a Parigi, De Selves ha preso anch'egli imprudentemente degli impegni coi deputati coloniali, dichiarandosi interamente solidale con Le Brun. Quindi, se Falliéres e Caillaux si risolvessero di cedere alla Germania, dovrebbero cambiare i ministri degli esteri e colonie ed è facile prevedere quali impressioni e agitazioni ciò produrrebbe nella stampa, nella pubblica opinione e nel Parlamento francese. Pertanto devesi ritenere, fin d'ora che il colloquio che avrà luogo a Berlino tra Kiderlen e Cambon riuscirà del tutto negativo, che il negoziato dovrà essere non interrotto, ma rotto e che siamo alla vigilia di una situazione pericolosissima, dalla quale può scaturire la guerra. Ciò, fino a questo momento, è segretissimo e non è saputo da nessuno tranne che da me e da lsvolsky, il quale è tenuto al corrente quotidianamente da De Selves. Dato questo stato di cose, le mie previsioni sono semplici e chiare e coincidono perfettamente con quelle che e Schoen e Isvolsky mi hanno manifestate senza conoscere le mie e senza conoscere l'uno quelle dell'altro. Le nostre previsioni sono che, rompendosi il negoziato, la Francia può benissimo adagiarsi al Marocco nello statu quo, poiché essa vi ha di fatto costituito il suo protettorato. Invece la Germania non può rimanere nella posizione ridicola di tenere una nave a fare la guardia davanti Agadir. Per non compromettere la propria serietà ed il proprio prestigio, la Germania non potrà fare a meno di sbarcare al Marocco e di occupare Agadir e il suo hinterland. Ciò avvenendo, deve

173 ritenersi che la Francia non farebbe nulla o si limiterebbe a qualche innocua dichiarazione. Invece, devesi del pari ritenere che l'Inghilterra interverrebbe mettendo il suo veto ed inviando delle navi ad Agadir. In tal caso, la guerra sarebbe inevitabile. Insomma, data l'impostazione attuale della questione, mentre nessuno vuole la guerra, si verrebbe alla guerra fatalmente per necessità di cose. Isvolsky, che è allarmatissimo, dice giustamente che Russia, Austria-Ungheria e Italia hanno tutto l'interesse di impedire questa guerra, che creerebbe a tutti e tre una situazione difficile ed imbarazzante. Però, non vede come e da chi una mediazione potrebbe essere esercitata. Egli crede che soltanto un intervento personale dell'imperatore Francesco Giuseppe presso l'imperatore Guglielmo e presso il presidente Fallières potrebbe avere qualche probabilità di successo.

138 1 T. riservato 4143/426, non pubblicato.

139

IL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1096/337. Bengasi, 29 agosto 1911 (per. il 4 settembre).

Per quante ricerche io abbia fatte per appurare la notizia dall'E.V. comunicatami col telegramma in margine notato!, riflettente i giacimenti di fosfati in terreno sito in questo distretto ed appartenente ai senussi, circa l'esercizio dei quali uno dei deputati di Bengasi cercherebbe di entrare in rapporti coi senussi stessi, non risulta che la medesima abbia alcun fondamento.

Le miniere in Cirenaica non sono ancora state esplorate da nessun viaggiatore competente.

L'ingegnere Sanfilippo poté visitare la località detta Eghlet EI-Zauia della Sirtica dove si raccoglie lo zolfo ed estendere le sue investigazioni circa la natura e la costituzione dei terreni nella pianura di Bengasi e nella zona montuosa di Derna. Egli partendo da qui si riprometteva di tornarvi per formarsi un concetto, per quanto possibile, esatto, sulla esistenza di giacimenti minerali di qualche importanza in Cirenaica.

È noto all'E.V qualmente l'ingegner Lemoigne cercò nel principio di quest'anno di fare un'esplorazione mineralogica nell'interno di questa provincia per conto dell'amministrazione ottomana, ma non raggiunse Io scopo da esso prefisso, avendo il Governo locale opposto un rifiuto alla sua domanda per ragioni di sicurezza pubblica.

Fra le domande inoltrate a questo mutessarrifato per ottenere il permesso di ricerche di miniere in Cirenaica, va notata quella del notabile indigeno Mansour Kehia che, presentata in modo generico, venne restituita dal Governo centrale per essere modificata a tenore di legge e per la quale il Kehia, in base all'accordo segreto preso col Banco di Roma, aspetta sempre l'invio qui di un ingegnere di miniere italiano onde valersi, nel modo più opportuno, delle sue cognizioni tecniche per ripresentare all'autorità competente la sua domanda corredata delle necessarie carte topografiche indicanti specificatamente le varie zone in cui dovranno svolgersi le ricerche di giacimenti minerali, nonché la natura e l'importanza di essi.

Si sa pure dell'esistenza di un'altra domanda del notabile indigeno Mansour Scetuan riferentesi a giacimenti di fosfati in terreni siti nel Golfo sirtico. Da attendibilissime ulteriori informazioni da me assunte risulta che i limiti dei detti terreni sono: ad ovest, Bir El-Agher, a nord, il mare, ad est, Djoun El-Chebrit, e a sud, ElHoscia verso Zella in linea del Fezzan. Persone competenti al servizio del Governo locale mi hanno assicurato che sebbene la zona compresa fra Sirt e Muctar, nella quale si trovano i suddetti terreni, faccia parte del vilaiet di Tripoli, però è considerata alla dipendenza del mutessarrifato di Bengasi per il fatto che i beduini della tribù Mogarba che vi sono attendati hanno sempre pagato la tassa «miri» agli agenti di questa amministrazione fiscale. Mi sono accertato altresì che i senussi, oltre alle loro zauie, non posseggono terreni in quelle regioni, i quali appartengono, a titolo collettivo, alla tribù summenzionata. Comunque la domanda di cui si tratta è stata accolta da questo mutessaref e trascritta regolarmente negli atti del locale consiglio amministrativo per gli effetti della priorità.

Dai colloqui avuti coi deputati Omer Mansour pascià e Jussuf Bey Scetuan, arrivati qui, di recente, per passare vacanze parlamentari, mi è sembrato di comprendere che a Costantinopoli non si vuole, in questo momento, assolutamente sapere di concessioni da dare a stranieri e specialmente ad italiani in Tripolitania e Cirenaica. Entrambi i deputati sono, però, di parere che, senza la compartecipazione di capitali esteri, non è possibile ottenere la rigenerazione di queste due provmce.

Omer Mansour pascià mi ha dichiarato, confidenzialmente, che approvava l'accordo da noi pattuito col suo padre circa il permesso di ricerche e la concessione di miniere in Cirenaica, ma che il successo di tale accordo dipendeva assolutamente dal segreto che intorno ad esso conveniva mantenere fino a che la concessione non sia stata accordata.

Jussuf bey Scetuan mi ha confermato le proposte da esso antecedentemente fatte al Banco di Roma nell'intento di entrare in qualche combinazione con esso in materia di domande di concessioni, meravigliandosi che finora quell'Istituto non abbia creduto di dargli una risposta in proposito. Egli opina che, per eludere le diffidenze del Governo ottomano a nostro riguardo, converrebbe mettere in concorrenza a Costantinopoli due domande di concessioni, di cui una italiana e l'altra ottomana, facendo, contemporaneamente, sollecitare da ambo le parti la definizione delle relative pratiche. È più che probabile che il Governo della Porta, per intralciare la domanda italiana, propenda a favorire quella ottomana che finirà per ottenere la concessione. In tal caso i capitalisti italiani ed ottomani che, sin dall'inizio delle pratiche, avranno avuto cura di stipulare, mediante valido contratto, le condizioni d'un segreto accordo reciproco per raggiungere lo scopo, si fonderanno in un sol gruppo formando una società ottomana, legalmente riconosciuta, per lo sfruttamento delle ottenute concessioni.

Questa idea, studiata in sede competente, potrebbe, forse, con opportune modifiche od aggiunte, essere utilizzata, nell'attuale momento, a vantaggio delle nostre legittime aspirazioni in questo Paese.

Nel confermare all'E.V. il mio telegramma n. 52 del 6 corrente2 , reputo mio dovere di aggiungere che il deputato Scetuan bey è, fra i rappresentanti arabi della Camera legislativa ottomana, una delle personalità più intelligenti, capaci ed attive, ed ha molte aderenze influenti a Costantinopoli. Ciò fa ritenere che mantenendosi il capitale italiano, chiamato ad esercitare una certa egemonia in questa regione, indifferente alle proposte concrete di esso deputato in materia di concessioni, non è improbabile che egli finisca per rivolgersi ad altri capitalisti, specie ai francesi che, come l'E.V. sa, hanno costantemente rivolti gli occhi verso le ricchezze minerarie, e, più particolarmente, i giacimenti di zolfo e di fostàti n eli' Africa del nord.

Uguale rapporto trasmetto alla r. ambasciata.

139 1 T. 2878 del 29 luglio, non pubblicato.

140

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. CIFRATA PERSONALE S.N. Londra, 29 agosto 1911.

Durante recente soggiorno Inghilterra, re di Spagna ha confidato a questo sovrano vive apprensioni inspirategli da piega affari marocchini. Re di Spagna teme che desiderati accordi franco-germanici possano in definitiva ed in pratica risolversi nel passaggio in mano francese di tutto Marocco, dal quale Spagna finirebbe per essere esclusa.

Ma così grave insuccesso, nella sola questione estera che interessa la Spagna, avrebbe secondo il parere di Sua Maestà gravissima ripercussione nella politica interna, facilitando propaganda anti-monarchica, e conducendo molto probabilmente ad una rivoluzione. In tale eventualità il re ha dichiarato essere suo fermo proposito combattere fino all'ultimo, non volendo egli abbandonare trono facendo fine del re di Portogallo.

Re d'Inghilterra, alquanto imbarazzato, ha risposto in modo evasivo. Ha osservato che nella questione Marocco, Inghilterra non ha troppa libertà d'azione in seguito suoi impegni con la Francia. Sua Maestà ha consigliato re di Spagna ad

aprirsi con Grey. Con lui Sua Maestà Cattolica ha avuto difatti un segretissimo colloquio, del risultato del quale, sembra non sia rimasto troppo soddisfatto, Grey essendosi limitato ad ascoltare senza pronunziarsi in un senso o nell'altro, e senza comunque dare il benché menomo affidamento circa evenhmle contegno inglese.

«Mi pareva, ha detto il re, che le mie parole scivolassero su di lui come acqua su di un mantello impermeabile».

Queste segretissime informazioni mi vengono da un alto personaggio estero qui stabilito, completamente all'infuori della politica, ed in intima relazione di personale amicizia col re di Spagna. Da questo personaggio ho saputo pure che Sua Maestà Cattolica non intende nullamente ingerirsi negli affari portoghesi fino a tanto che sarà permesso, siccome egli pensa conservare speranza in una restaurazione monarchica. Quando però ogni speranza in tal senso fosse perduta, re di Spagna considerandosi sciolto da ogni obbligo di lealtà presso il re Manoel, e convinto come è che Repubblica condurrà gradatamente a intollerabile anarchia in Portogallo, non ha escluso possibilità di una azione spagnuola nel Regno vicino, contro il quale cova nell'animo di ogni spagnuolo sentimenti di profonda antipatia basata su invincibile disprezzo. Al riguardo osservava il mio interlocutore, che conosce a fondo Spagna, non essere impossibile che in evenhlale azione in Portogallo, giovane re intravvede nella sua mente supremo diversivo per paralizzare gravi conseguenze insuccesso marocchino, e arrestare così effetto deleterio propaganda anti-dinastica, della quale in Spagna, come in Portogallo precipua origine si fa risalire all'oro francese.

Nel pregarla di volermi cortesemente accusare ricevuta della presente, ...

139 2 T. 3862/52, in realtà dell'Il agosto, non pubblicato.

141

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4170/430. Parigi, 30 agosto 1911, ore 18 (per. ore 20,50).

Stringher può mandare adesione gruppo italiano agli studi dichiarando che gruppo, a studi finiti, si riserva, se crede, di astenersi dal partecipare all'assuzione dei lavori, nel qual caso dovrebbe aver rimborso sua parte spese studi1• Banca Imperiale ottomana accetterà adesione così formulata perché tale è stata sempre la sua intenzione. Dopo ciò, qualunque ulteriore ritardo nell'adesione sarebbe del rutto ingiustificato e radicherebbe qui la convinzione che per imprese ali' estero c'è da fare poco o nessun conto sul capitale italiano2 .

141 Cfr. n. 131. 2 Per il seguito cfr. n. 146.

142

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 771/236. Pietroburgo, 30 agosto 1911 (per. il 18 settembre).

In questi circoli finanziari e commerciali comincia a manifestarsi una certa apprensione a riguardo dell'accordo recentemente stipulatosi fra la Russia e la Germania relativamente alle cose di Persia.

Le voci che già si fecero udire l'autunno scorso allorquando, dopo il convegno di Potsdam, questo ministro degli affari esteri mandò a Mosca il signor di Klemm per scrutare le disposizioni di quel mercato rispetto alle progettate ferrovie di Persia, si fanno ora nuovamente vive e pronosticano che il riallacciamento della ferrovia Bagdad col nord della Persia significa l'abbandono definitivo di quel monopolio commerciale finora esercitato dalla Russia in quelle regioni giacché il commercio russo difficilmente si troverà in grado di lottare con successo là come altrove, contro la più esperta ed attiva concorrenza germanica.

Queste preoccupazioni sembrano pure in certa misura essere condivise da alcuni membri del Gabinetto, e l'aggiunto del ministro del commercio, in una recente intervista concessa ad un redattore della Birjewaia Wedomosti dichiarava che il solo mezzo per la Russia di conservarsi il mercato persiano sia quello di addivenire senza perdita di tempo ed a costo anche di gravi sagrifizì pecuniari alla costruzione di ferrovie riallaccianti la Persia colla rete ferroviarie russa e che dovranno trovarsi in esercizio prima del compimento della linea Anikin -Teheran. Per chi conosce il carattere russo non può farsi molte illusioni sulla pronta realizzazione di quel programma.

Anche nei riguardi della politica, l'accordo russo-germanico ha qui dato luogo a non pochi commenti.

Da alcune parti è stato asserito che all'accordo sia aggiunta una clausola segreta di carattere politico e concernente l'impegno preso dalla Germania e dalla Russia, e di cui parlò a suo tempo nel Reichstag il cancelliere dell'Impero signor von Bethmann-Hollweg, di non prender parte a combinazioni dirette contro l'una o l'altra potenza. Da parte del Gabinetto di Pietroburgo, l'esistenza di quest'impegno non venne mai né smentita né ammessa. Il giornale Rossia, quell'organo creato a bella posta dal signor Stolypine a sostegno della sua politica, e che ha fama di officioso, ma che, qualche volta, anche su argomenti di politica estera di primaria importanza, si compiace sbizzarrirsi a suo talento, senza aspettare dal Governo le necessarie ispirazioni, ha pubblicato recentemente sul proposito un molto strano articolo in cui pare riconosca implicitamente l'esistenza dell'impegno predetto.

Dopo avere detto che la base della politica estera della Russia resta come sempre la Triplice Intensa, l'organo ufficioso dichiara che anche un impegno preso dalla Russia di non prender parte a combinazioni contro la Germania nulla cambia alla situazione, giacché essa non ebbe mai ragione di mal volere contro la Germania né si sarebbe mai prestata a lavorare a suo danno. Del resto, soggiunge molto ingenuamente il giornale, non v1 e ragione di credere che le amiche della Russia, la Francia e l'Inghilterra, nutrano contro la Germania propositi aggressivi.

L'addebito mosso da alcune parti al Gabinetto di Pietroburgo di avere consentito di firmare l'accordo colla Germania al momento in cui i rapporti fra questa e le due Potenze della Triplice Intesa sono molto tesi a causa del Marocco, non parmi avere molto fondamento. L'accordo in questione era già da lunga pezza preparato ed il tenore ne era stato comunicato da tempo a Parigi e Londra ove sapevasi che sarebbe stato firmato fra breve. La Francia del resto stipulò essa pure nel 1909 a Berlino il suo accordo sul Marocco, quando i rapporti fra la Germania e la Russia erano alquanto tesi per l'appoggio della prima prestato all'Austria durante la crisi dell'annessione della Bosnia ed Erzegovina. La Russia, a parte l'assistenza morale dovuta all'alleata ed a parte la preoccupazione destata dalla gravità della situazione internazionale, non ha motivo di particolarmente infervorarsi pel Marocco. Il singolare calore con cui l'Inghilterra ha sostenuto in questa vertenza le parti della Francia sta in aperto contrasto colla più che tiepida assistenza prestata dalle due Potenze alla Russia all'epoca della crisi dell'annessione.

A ciò devesi forse attribuire se l'attitudine del Gabinetto di Pietroburgo durante quest'ultima fase della questione marocchina fu assai riservata e passiva.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A LISBONA, PAULUCCI DI CALBOLI

T. 3312. Roma, 31 agosto 1911, ore 16,30.

Suo telegramma 60 1 . Da Londra mi si confermano istruzioni di codesto incaricato d'affari d'Inghilterra da lei riferite; colla aggiunta, però, che «se altri rappresentanti non ricevono ordine di riconoscere presto, ovvero se altra grande potenza agisse senza aspettare passo collettivo, incaricato d'affari inglese procederà immediatamente al riconoscimento». È mia intenzione che ella proceda di accordo col suo collega d'Inghilterra, per modo che, o simultaneamente con lui ed altri colleghi, o, quanto meno, subito dopo di lui, ella formuli in nome del R. Governo dichiarazione di riconoscimento. Per ciò occorre che questione chiese sia subito risolta, o con immediato scambio effettivo di note, o almento con impegno reciproco di scambio ulteriore a prossima data. Quanto a condizioni per soluzione di tale vertenza, le confermo il mio telegramma n. 33022; con questa avvertenza, che ella potrà consentire a scambio di note sia ottenendo tassativamente da codesto

Governo quelle stesse concessioni fatte ad Inghilterra per quanto riguarda «proprietà» dei nostri istituti, ovvero, se ciò non è possibile, facendo, relativamente alla questione della «proprietà» e del nostro diritto alla parità di trattamento, formali ed esplicite riserve.

143 1 T. 4157/60 del 29 agosto, non pubblicato, col quale si riferiva che l'incaricato d'affari britannico aveva avuto istruzione di riconoscere la Repubblica portoghese. 2 T. del 29 agosto: istruzioni di «insistere perché agevolezze fatte ad Inghilterra siano estese a nostri stabilimenti ... ».

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

D. 11. Roma, 31 agosto 1911.

Mi è pervenuto il rapporto riservatissimo di V. E. del 3 corrente n. 205 1 , e credo opportuno, a maggiore schiarimento di quanto ho già avuto occasione di significarle in proposito, e per sua norma di linguaggio e linea di condotta, aggiungere quanto segue.

Concordo pienamente con V.E. nell'idea che il giorno in cui lo statu quo balcanico non potrà più mantenersi, tanto l'Italia quanto la Russia avranno un eguale interesse ad opporsi all'avanzata dell'Austria.

È da sperare che questo giorno sia ancora lontano, e che nel frattempo così l'Italia come la Russia si siano rese militarmente più forti, condizione essenziale sia per opporsi con successo all'avanzata austriaca, sia per conchiudere con la Monarchia accordi conformi ai rispettivi legittimi interessi. Da ciò deriva come logica conseguenza che l'Italia ha, al pari della Russia, interesse grandissimo a prolungare la durata dello statu quo balcanico.

L'identico interesse ha per complessi motivi oggi anche l'Austria, e risulta in modo sicuro e positivo che a tale scopo è stata costantemente diretta la sua azione in quest'ultimi mesi. Quello dunque che ha potuto sembrare in codeste sfere dirigenti palese ed incontrastato appoggio alla politica austriaca altro non è che la constatazione del fatto che nella presente fase della questione balcanica, politica austriaca, e politica italiana hanno identità d'intenti.

E poiché specialmente nei recenti torbidi d'Albania identici erano pure gl'intenti della Russia, non appare giustificato il malcontento di essa verso l 'Italia. Il Gabinetto di Pietroburgo non potrebbe citare un solo passo da noi fatto contrario agli interessi russi e a favore di un punto di vista esclusivamente austriaco. Il fatto di essersi tenuti in stretto contatto con il Gabinetto di Vienna non può né deve suscitare diffidenze a Pietroburgo, perché contemporaneamente abbiamo tenuto lo stesso contatto con il Governo russo per arrivare al risultato desiderato che le Potenze maggiormente interessate nelle questioni balcaniche cooperino lealmente di comune intesa al man

tenimento dello statu quo balcanico. E perciò le proposte russe a noi fatte furono comunicate a Vienna, come le austriache a Pietroburgo, e accettammo senza distinzione tutte quelle che ci parvero le più adatte per far ritornare l'ordine e la tranquillità nella penisola balcanica. Questa è la realtà delle cose, e confido che l'E.V., ogni qual volta se ne presenti l'opportunità, vorrà nelle sue conversazioni con il signor Neratoff cercar di dissipare ogni dubbio in proposito e assicurarlo che il Governo italiano tiene a conservare con la Russia quegli amichevoli rapporti così felicemente stabiliti.

A parer mio, poi, sulla condotta di codeste sfere dirigenti continuano ad influire i sentimenti ostili alla persona del conte d'Aehrenthal ed i ricordi del 1908 -e fa sì che i loro giudizii e le loro azioni non si ispirano unicamente, come dovrebbero, al calcolo spassionato degli interessi e alla oggettività delle cose. Se noi vogliamo andar d'accordo con la Russia nelle questioni d'Oriente e riconosciamo la grande utilità per noi di procedere d'intesa con essa, per quanto riguarda la persona del ministro imperiale e reale degli affari esteri, vi ha realmente una differenza tra noi e la Russia. Si capisce che in Russia se ne desideri la caduta; a noi giova invece che egli rimanga al potere, e ciò per varie ragioni, tra cui la quasi certezza che verrebbe sostituito da persona assai più ligia agli elementi clericali, militaristi e anti-italiani.

Bisognerebbe che il Governo russo, con giudizio sereno e obbiettivo si rendesse conto di ciò, e non guardasse con sospetto il nostro contatto con il Gabinetto di Vienna, solo perché vi è a capo la persona del d'Aehrenthal, e si fissasse bene nell'idea che corrisponde agli interessi della Russia il non dar motivo o pretesto ali' Austria di prendere decisioni indipendenti da noi -ciò che quasi certamente avverrebbe, date le circostanze attuali, se noi nelle questioni balcaniche mantenessimo meno stretto il contatto con Vienna.

Finalmente devo far presente ali 'E.V. che la questione di Tripolitania ci occupa in questo momento in modo particolare: sebbene essa potrà avere una tregua per il mutamento del valì, dovrà molto probabilmente riacutizzarsi fra breve, e se noi saremo costretti ad agire, avremo più che mai bisogno per qualche tempo di essere quanto è possibile sicuri dal lato dell'Austria. Perciò per debito di lealtà non posso dissimularle che, pur essendo vivo e sincero il nostro desiderio di procedere d'accordo con la Russia, ed essendo chiara la probabilità di una ancora maggiore identità di interessi e d'azione fra l'Italia o la Russia nell'avvenire, tali nostri intendimenti debbono nella presente situazione internazionale venire conciliati con l'interesse prevalente che oggi abbiamo a mantenere saldo l'accordo esistente fra noi e l'Austria e ad evitare con cura tutto ciò che può ingenerare reciproche diffidenze.

Date questo circostanze, e dato anche che in una nostra possibile azione in Tripolitania ci è di somma utilità un favorevole contegno della Russia come forza moderatrice per la eventualità di una ripercussione nei Balcani, io faccio sicuro affidamento nell'azione oculata dell'E.V. presso codesto Governo. Occorre convincerlo in ogni caso che la nostra intimità con Vienna non contiene nulla che possa destare sospetti a Pietroburgo, che possa ledere gli interessi legittimi della Russia essa è determinata dai noti accordi e dalla identità di scopo del mantenimento dello statu quo nella penisola balcanica, scopo che coincide perfettamente con il punto di vista russo. Perciò da Pietroburgo si può guardare con fiducia lo stato presente dei rapporti italo-austriaci, che non sono in alcun modo in contradizione con il riavvicinamento italo-russo al mantenimento del quale il R. Governo continua, come per il passato, a dare la stessa importanza.

144 1 R. riservatissimo 685/205, in realtà del 9 agosto, non pubblicato.

145

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO l4ll/494. Berlino, 2 settembre 1911 (per. il 5).

Circa l'andamento dei negoziati del Marocco ho già riferito volta per volta telegraficamente a V.E.

Credo però opportuno riassumere in breve in questo rapporto quale sia il modo di pensare qui circa l'attitudine dell'Inghilterra della Russia della Spagna e dell'Italia di fronte ai negoziati stessi.

Quanto all'attitudine dell'Inghilterra, regna l'impressione che essa sia stata, se così si puoi dire, la «cattiva consigliera» che ha spinto la Francia ogni qual volta ha creduto che con ciò avrebbe indotto la Germania ad una ritirata umiliante, salvo poi ad emettere dei consigli di prudenza (come quelli della Westminster Gazette), quando sembrava che la Francia potesse andare più in la delle intenzioni britanniche o sembrava che la Germania non avrebbe ceduto. L'articolo della Neue Freie Presse che qui, a torto od a ragione, si continua ad attribuire a Cartwrigt ha dato il tracollo: onde la ripresa di una campagna di anglofobia il cui leit motiv si può riassumere in queste parole: la Francia è l'avversaria che conosciamo, che abbiamo di fronte, e colla quale possiamo discutere ma il nemico è l 'Inghilterra: nemico implacabile che troviamo e troveremo ad ogni piè sospinto sul nostro cammino. E questo modo di vedere è da credere sia in fondo condiviso al Dipartimento degli esteri. Alcune volte una parola di sfuggita ne dice lungo su uno stato d'animo: l'altro giorno avendo detto a Zimmermann che sir Edward Goschen sperava partire presto in congedo perché riteneva i negoziati essere prossimi a conclusione, Zimmermann mi rispose testualmente, con impazienza: «Ca depend de son Gouvemement: s 'ils donnaient de bons conseils à leurs amis l es français, nous serions vite d'accorci». Come riferivo a V.E. nel mio telegramma odierno 1 , secondo Cambon Kiderlen non ha affatto capito che l'Inghilterra non può permettere che la Germania s'insedi al Marocco come non intende che la Francia si stabilisca nel Marocco settentrionale sulle rive del Mediterraneo che vuole riservato alla Spagna. Di più

182 egli avrebbe annesso troppa importanza alle accoglienze fatte a Londra all'imperatore ed al kronprinz ed avrebbe ad esse attribuito una portata politica che non avevano, onde poi malumore maggiore per la disillusione avuta.

Quanto alla Russia si considera perfettamente corretta l'attitudine del Governo, ma si crede che vi sia un partito che vorrebbe intervenire in qualche modo: ed è evidentemente rivolto a quello la dichiarazione precisa, corsa come una parola d'ordine per tutta la stampa, «non abbiamo bisogno di mediatori».

L'attitudine di fronte alla Spagna del Governo e dell'opinone pubblica è abbastanza curiosa. Indubbiamente l'intervento della Spagna ha dovuto in origine esser visto di buon occhio, ma poi quando al principio dei negoziati colla Francia essi sembravano avviarsi rapidamente ad una conclusione dovette ad un dato momento sembrare molesta la complicazione spagnuola. Von Kiderlen con una delle sue boutades abituali, che celano finezza sotto forma rude, pare abbia detto un giorno a Cambon: «Mais qu'est-ce-qu'ils vellent les espagnols? que nous leurs demandions aussi quelque chose?». Fosse o no sollecitato o declinato, incoraggiato o scoraggiato il loro intervento, certo è che non piacerà agli spagnuoli l'articolo odierno della Kreuz Zeitung che accludo nel quale è detto che la Spagna, che avrebbe potuto unirsi alla Germania al principio dei negoziati non avendolo fatto, ora dovrà cavarsi d'impaccio da sé, e non può certo domandare alla Germania d'intervenire quando essa si fosse già messa d'accordo colla Francia. Tutto questo è molto verosimile, quantunque non collimi interamente colle assicurazioni che sembra siano state date da questo Governo a quello di Madrid, ma probabilmente queste si limitavano a mere assicurazioni di non pregiudicare la situazione della Spagna. Ad ogni modo queste questioni se le sbrigheranno tra loro Francia, Spagna ed Inghilterra e probabilmente qui si pensa che l'appoggio che l'Inghilterra darà alla Spagna potrà affievolire l'Entente Cordiale.

Venendo infine all'Italia son lieto di potere rinnovare la costatazione che tutta la stampa ci è di questi tempi favorevole. Come ho detto nei precedenti rapporti essa considera che ci siamo ultimamente riavvicinati alla Triplice, che esce considerevolmente rafforzata dalla presente fase politica. È sintomatico però che mentre si riferiscono gli articoli dei giornali italiani sulle nostre aspirazioni su Tripoli e altrove non una parola è mai detta circa la loro legittimità o il modo con cui qui si giudicano. Mi sono ben guardato naturalmente di parlare di così gravi argomenti senza istruzioni, ma debbo dire che ho l'impressione che al dipartimento mi parlano del Marocco come cosa che ci può interessare ma nella quale non abbiamo da dire una parola. Il che del resto è naturale dopo le dichiarazioni che abbiamo anche ultimamente rinnovate.

Ad ogni modo come V.E. vedrà dall'accluso estratto2 della Vossische Zeitung si attribuisce il malumore e pessimismo degli ultimi due giorni della stampa francese anche all'attitudine dell'Italia.

145 1 T. riservatissimo 4230/179, non pubblicato.

145 2 Non si pubblicano gli allegati.

146

IL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, STRINGHER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA URGENTE. Roma, 2 settembre 1911.

Le accuso ricevimento della sua lettera di jeri e dell'annessa copia del telegramma della r. ambasciata in Parigi, riguardante la progettata impresa della Bojana1•

S.E. Tittoni, partecipando che la Banca Imperiale ottomana accetterà senz'altro l'adesione del gruppo italiano formulata con le note riserve, soggiunge che tale è sempre stato il suo intendimento.

Siffatta affermazione, che si trova in contrasto con il contegno sin qui tenuto dalla Banca ottomana, fa dubitare che nella comunicazione di S.E. Tittoni possa celarsi un equivoco.

Fin dal 5 aprile decorso, infatti, questa Banca, partecipando a Parigi l'adesione del gruppo italiano all'affare della Bojana, dichiarava intendersi tale adesione limitata, per il momento, a sopportare le spese degli studii per la nostra quota-parte sul preventivo di 7.000 lire turche, senza alcun ulteriore impegno, e intendersi inoltre che le spese della prima missione, calcolate in franchi 25/m, sarebbero comprese nella citata somma di 7.000 lire turche e che la quota di concorso del gruppo in quelle spese non andrebbe, in ogni caso, per esso perduta.

Ma a tali riserve, la Banca Imperiale ottomana rispondeva immediatamente comunicando una lettera della Régie Générale con la quale si faceva notare come le dette riserve fossero in contraddizione con le clausole del contratto, che impongono agli assuntori degli studii di concorrere anche all'aggiudicazione dei lavori, mentre i nostri amici non intendono di impegnarsi sin d'ora a siffatto concorso, ignorandone le condizioni.

Il gruppo italiano non abbandonò sinora il suo punto di vista, ma interessò S.E. Tittoni a conferire in argomento con M. Auboyneau, mantenendo nel frattempo in sospeso l'adesione italiana.

Ora, se realmente, come l'ambasciata di Parigi partecipa, la Banca Imperiale ottomana si è determinata ad accogliere le condizioni indicate dai partecipanti italiani, (i quali aderiscono agli studii anticipando la loro parte di spese, ma non intendono di essere vincolati fin d'ora a partecipare ai lavori, e in caso di non partecipazione ali' opera domandano che a suo tempo sia loro rimborsata la parte rispettiva della spesa per gli studii) -S.E. Tittoni può senz'altro comunicare l'adesione del gruppo, facendone avere dalla Banca medesima il benestare.

Sarò grato a V.S. se vorrà far conoscere al più presto a S.E. Tittoni quanto precede, affinché ogni possibile eventuale equivoco sia sollecitamente e convenientemente rimosso.

146 1 Cfr. n. 141.

147

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA RISERVATISSIMA 79841 . Roma, 4 settembre 1911.

L'attività militare dell'Austria-Ungheria si è ridestata alla nostra frontiera, con intensità preoccupante, sin dal 1903, e da allora questo Ministero ha richiamato di tratto in tratto su di essa l'attenzione delle LL.EE. il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri.

Rallentatasi negli anni 1908-09-10, dopo l'annessione della Bosnia Erzegovina, essa si è risvegliata da qualche tempo in maniera allarmante tantoché con lettera

n. 6452 riservata del 30 giugno u.s. 2 si è nuovamente rappresentata alle predette Eccellenze, invitandole a portare la loro attenzione su fatti che tanto potrebbero essere l'indice di una dimostrazione che l'Austria intendesse fare e di cui veramente non sarebbe chiaro lo scopo; quanto potrebbero preludiare ad una nuova impresa del genere di quella che ha condotto all'annessione della Bosnia-Erzegovina.

La portata dell'anzidetta attività non è invero lieve. L'Austria infatti aumenta già da tempo le unità nei corpi d'armata di frontiera, e, stando alle notizie che si hanno, dovrebbe ancora (per la primavera del 1912) accrescere:

nel XIV corpo: 5 battaglioni; 8 compagnie di artiglieria da fortezza

nel III corpo: 3 battaglioni; 6 squadroni.

E si rileva altresì una tendenza ad addensare forze ad immediata vicinanza della nostra frontiera, sicché per la primavera del 1912 si avrebbero i seguenti aumenti, rispetto alla dislocazione del gennaio 1911: nel Tirolo meridionale e Pusterthal: 15 battaglioni, 3 squadroni, 2 batterie

campali;

nel Trentino, 8 compagnie da fortezza;

nella zona Isonzo -Trieste, 3 battaglioni di fanteria, 6 compagnie alpini.

Né minor attività pone l'Austria nel completare il proprio sistema di fortificazioni cui non si accontenta di dare semplice carattere difensivo. E così, nonostante fin dal 1906 avesse completato al nostro confine un invidiabile assetto con opere in massima parte di tipo modernissimo, talché non vi era rotabile (dallo Stelvio al Matisone) che non fosse stata sbarrata efficacemente: nonostante avesse organizzato nel Trentino un formidabile campo trincerato, non perciò essa ha rallentato i propri lavori: e noi vediamo come ora essa si preoccupi di allargare la cerchia di quel campo trincerato, così da dargli carattere eminentemente offensivo, di chiudere passi secondari fino ad ora rimasti indifesi, di rimodernare sempre più gli sbarramenti, di sostituire gli armamenti di tipo non moderno con cannoni a tiro rapido e con installazioni di recente modello, di completare le dotazioni, di assicurare sempre meglio i mezzi di comunicazione, di sorveglianza e di ricovero, intervenendo persino nelle imprese private e

1 Originale non rinvenuto. Si tratta della copia trasmessa con D. confidenziale 26 del 19 settembre all'ambasciata a Vienna, non pubblicato.

2 Non rinvenuta.

sovvenzionandole lautamente così da ottenere che certi alberghi, ed osterie, e rifugi di alta montagna diventino atti all'accasermamento di truppe e al ricovero di materiali) e là dove, come nel basso Isonzo, non ritiene necessario di costruire opere di fortificazione, non si indugia però nel predisporre grandi mezzi ferroviari, così da poter contare sulle possibilità di raccogliere sempre più rapidamente forti masse; colle quali aver modo di iniziare una energica offensiva.

Insomma, dopo di essersi assicurata la superiorità delle forze al nostro confine, l'Austria continua ad accentuarla ogni dì più, e moltiplica sempre più, con sorprendente e impressionante attività, i mezzi materiali atti a trame, a momento opportuno, il maggiore profitto.

Tale la situazione, quando, con foglio n. 822 riservatissimo del 15 agosto, il comando del corpo di Stato Maggiore trasmise il riassunto di uno speciale ed importantissimo documento (Irredenta-Akt) di carattere ufficiale, che, mentre pone fuor di dubbio le notizie dianzi accennate di notevoli rafforzamenti che si apporteranno quanto prima nelle guarnigioni austriache alla nostra frontiera, mette in rilievo il fatto che, presso il vicino Impero, le vedute politiche dell'autorità militare possano, con una certa facilità, prendere il sopravvento rispetto a quelle del Ministero degli affari esteri. Per quanto il fatto non ci fosse sfuggito, pure la conferma di esso gli aggiunge indubbiamente gravità e merita di essere preso in seria considerazione, e misurato con ogni cura.

Vero è che con lettera n. 265 riservata in data 28 agosto u.s. S.E. il ministro degli affari esteri trasmetteva un rapporto del nostro ambasciatore a Vienna3 dal quale si desume come egli creda di poter escludere che l'attività militare dell'Austria abbia in vista, anche solo vagamente, un'aggressione all'Italia. Non è avventato però supporre che I' ottimismo del r. ambasciatore possa venir scosso quando egli prenda conoscenza od abbia soltanto notizia, sia pure sommaria, del contenuto del predetto documento (Irredenta-Akt) la cui gravità è fuor di dubbio indiscutibile, non tanto forse quando lo si consideri a sé, quanto se Io si esamini in relazione al dato di fatto creato dali 'attività straordinaria di cui l'Austria, da qualche anno, fa mostra alla nostra frontiera.

ALLEGATO

IRREDENTA AKT (Riassunto) Il documento si compone:

A-di uno studio di un impiegato del Ministero degli esteri (un alto impiegato della carriera diplomatica) circa all'essenza dell'irredentismo ed ai mezzi per combatterlo (in margine porta annotazioni di pugno del generale Conrad).

B-di un'esame critico dello studio medesimo, fatto presso il Ministero della guerra.

C -di una lettera con la quale il capo di Stato Maggiore dell'esercito invita il Ministero della guerra a trasmettere a quello degli esteri l'accennato esame critico e a sottoporre lo studio all'imperatore ed all'arciduca ereditario. La lettera è compilata sulla base di una pagina d'appunti che sono di pugno del generale Conrad.

A-Studio dell'impiegato del Ministero degli esteri (ottobre 1910).

Il fenomeno dell'irredentismo si manifesta anche in Italia. Quivi, a tale riguardo, i gradi in sottordine delle gerarchie politico-amministrative non agiscono sempre secondo le intenzioni

3 Non rinvenuto.

delle sfere più alte. Queste stesse, pur avendo la visione dei reali interessi del paese, fanno concessioni di grande momento alle vedute nazionaliste, come dimostrano l'intervento di un ministro in carica al congresso della Dante Alighieri e, sopra tutto, i provvedimenti militari. Inoltre tutta la stampa italiana, fatta eccezione per qualche foglio assolutamente ultra-clericale, tiene palesemente come fermo fondamento della propria azione politica il principio della unificazione di tutti i territori dove si parla la lingua italiana.

Ma il fenomeno è molto più vivo nelle provincie italiane della Monarchia. Quivi la stampa si comporta a dirittura come straniera ali' Austria. Qui vi ogni cittadino di nazionalità italiana, se non è proprio un contadino, è un irredento.

Ora in Austria è diffusa tra i generali l'opinione che si debba opprimere in guerra il Regno d'Italia perché da questo viene la forza d'attrazione per le provincie italiane dell'Impero e perché quindi con la vittoria sul Regno e il suo annientamento politico, cesserebbe ogni speranza per gli irredenti. Intanto, fino al momento della guerra (che dovrebbe, per ragione del reciproco sviluppo di potenza dei due Stati essere affrettato con ogni mezzo) si dovrebbero opprimere le provincie italiane col rigore penale, e con l'opporsi ad ogni desiderio riguardante le questioni di coltura.

E tale modo di vedere è errato! Perché anche non considerando le calamità di una guerra (qui il Conrad annota in margine: «Oh se avessimo aggredito in tempo, cioè nel 1907», la quale annotazione è in perfetta armonia con i concetti svolti nella nota Memoria e nelle Er:fordernissé) non vi è ragione di colpire il Regno che, nel fenomeno dell'irredentismo è soltanto un fattore secondario, il movimento avendo la propria origine nelle provincie italiane dell'Impero: e perché la persecuzione politica di queste provincie agevolerebbe la formazione contro di noi di una quadruplice alleanza, e ci isolerebbe.

All'irredentismo bisogna dunque portar rimedio nelle provincie stesse dell'Impero, precisamente perché quivi il fenomeno è assai più vivo che in Italia, tanto che anzi da quivi origina il movimento che tende a coinvolgere il Regno: e perché, per rimediarvi, dentro l'ambito dei nostri territori naturalmente si dispone di maggiori mezzi.

E l'opera che porti rimedio all'irredentismo deve essere opera di conquista pacifica, basata sul principio del legare gli italiani all'Austria mediante interessi morali e materiali, e sostenuta da un rigore maggiore, ma più giustificato, nel perseguitare le mene irredentiste nonché dall'intedescamento delle regioni stesse.

Tal genere di opera sarà agevolata dal fatto che sono di sentimenti generalmente austriaci i contadini: avversi all'irredentismo, come veduta contraria al concetto della fratellanza universale, i socialisti: e avverso al Regno, per ragione della questione romana, lo strato più alto del clero, e segnatamente taluni ordini religiosi (i gesuiti, per esempio).

Per conseguenza si dovrebbe: in riguardo al clero: provvedere a migliorame le condizioni materiali così che quelle risultino preferibili a quelle fatte ai corrispondenti gradini della gerarchia del Regno; a far sì che il clero abbia mano nell'insegnamento, e che certi ordini

4 Annotazione del documento: «Vedi l'annotazione a pagina 7» che qui, di seguito, si trascrive: «La Memoria, di cui è parola nel riassunto del documento, è uno studio del capo dello Stato Maggiore, generale Conrad, circa alle varie possibilità di guerra per la Monarchia austro-ungarica, e al raggruppamento ed all'impiego delle forze dell'Impero nei vari casi.

Le Erfordernisse costituiscono un documento nel quale sono esposte tante esigenze militari per cui sono necessari e provvedimenti del tempo di pace e provvedimenti in caso di mobilitazione, col concorso per lo più delle autorità civili e spesso con disturbo, se non con violazione, di quelli che sarebbero i diritti dei pacifici cittadini. Per dare un'idea più concreta, nel documento sono trattate le misure di polizia militare, l'appoggio delle autorità civili in tutto quanto può riguardare la mobilitazione e i bisogni dell'esercito mobilitato, i vincoli da mettere a tutte le imprese commerciali e industriali straniere, l'organizzazione della protezione del confine, eccetera».

Un memoriale di Conrad sull'argomento è edito in OeUA, vol. II, n. 1666 (2 luglio 1909).

religiosi possano su questo esercitare un controllo influente; in riguardo alla nobiltà: (tenuta ora come di classe inferiore, rispetto a quella veramente austriaca): facilitare la costituzione dei maggioraschi, senza dei quali nessuna nobiltà può finanziariamente rimanere in vita; pareggiare il valore dei titoli di nobiltà italiana con quelli di nobiltà austriaca, e boema; conferire, quindi, anche ai nobili italiani le cariche di corte: e infine dar residenza in città italiana a qualche membro della famiglia imperiale; in riguardo ai commercianti industriali e agricoltori: introdurre opportune riforme dei provvedimenti doganali che diminuiscano l'afflusso dei prodotti della penisola a beneficio della produzione locale: e nel tempo stesso agevolare e rendere più lucrativo il commercio delle provincie italiane col rimanente dell'Impero: inoltre dar sempre incremento allo sviluppo industriale e commerciale di quelle provincie mediante il porto di Trieste e tutto ciò che si connette alla vita di quel!' emporio; in riguardo ai bisogni di coltura: risolvere la questione universitaria, e sopprimere, per ciò che riguarda la coltura media, tutti i fatti (che sono tanto dannosi) del genere di quello del ginnasio di Gorizia.

Circa alla repressione dei tentativi irredentisti, sarebbe necessaria una riforma della legge penale, nel senso che ciò che riguarda l'irredentismo fosse da essa espressamente considerato, di guisa che i delitti del genere non potessero sfuggire come ora accade, con una legge di carattere generico. In ogni caso si dovrebbero fare processi soltanto a colpo sicuro per evitare di dare, dannosamente, a tanta gente aureola di martiri. Inoltre bisognerebbe riformare la legge sulla stampa in relazione col fatto speciale, e magari comprare l'organo più influente (i/ Piccolo).

Di pari passo andrebbe svolta l'opera di intedescamento col dirigere al Trentina una parte della corrente emigratoria tedesca (austriaca): con l'inceppare l'importazione, nelle provincie italiane, del capitale proveniente dal Regno e che ora vi trova condizioni assai vantaggiose e infine col modificare gli organi politico-amministrativi locali, cercando d'introdurvi l'influenza dell'elemento intimamente fedele costituito dagli ufficiali ed impiegati stabilitisi nelle provincie italiane a godervi la pensione di riposo. Infine col fondare e sostenere un «Pro Austria Verein».

8 -Esame critico fatto dal Ministero della guerra (gennaio 1911). Il Ministero della guerra non esclude in modo assoluto i provvedimenti pacifici, ma non li crede applicabili da per tutto. Principalmente poi li giudica insufficienti, perché il punto di vista del compilatore dello studio è sbagliato.

Il moto irredentista non è che la semplice continuazione del moto per il quale è stata fatta l'Italia. Quindi ha la propria origine e il proprio alimento nel Regno, dove gli apparecchi militari hanno, secondo il giudizio di tutti i competenti, quegli scopi aggressivi che sono necessari al compimento appunto del processo di formazione del Regno stesso.

Ne consegue che il modo di vedere diffuso tra i generali, e criticato dall'autore dello studio, è perfettamente giusto in quanto che, ravvisando la necessità di opprimere in guerra l'Italia, arriva appunto ad annientare I'irredentismo nella propria origine e nel proprio alimento.

Anzi siccome Io studio viene ad interessare in modo tanto vitale il problema militare della Monarchia, è necessario di sapere se esso studio è tenuto dal Ministero degli esteri come di carattere interno, o se, invece, è stato comunicato ad altre autorità: perché in quest'ultimo caso il Ministero della guerra sentirebbe il preciso dovere di controbatteria, ritornando energicamente su quelle vedute che già sono state espresse, tra l'altro, nelle Erfordernisse.

C -Lettera del capo di Stato Maggiore al Ministero della guerra (in data 14 marzo 1911). Negli appunti, di pugno del Conrad, che hanno evidentemente servito per la compilazione della lettera, oltre ad essere accennate idee conformi a quelle dell'esame critico qui sopra riferito, è sostenuto con particolare vigore il concetto che la guerra con l'Italia è inevitabile, sia per la questione delle provincie irredente, e sia per la gelosia del Regno a riguardo di tutto ciò che la Monarchia intraprende nei Balcani e nel Mediterraneo orientale:

che in Italia si fa di tutto per essere pronti, al più presto: che quindi bisogna prevenire, o almeno mettersi in condizione tale da togliere all'Italia ogni velleità. Nella lettera sono esposti i concetti accennati negli appunti, ed è fatta richiesta che lo studio, con l'esame critico del Ministero della guerra, sia trasmesso al Ministero degli esteri, e che lo

studio, con le osservazioni del capo di Stato Maggiore, sia sottoposto all'imperatore ed all'arciduca ereditario.

Appunti del generale Conrad von Hotzendorf allo studio del/ 'alto impiegato del Ministero degli esteri. ... 14 marzo 19JI.

L'irredentismo è vivo in Italia quanto nella Monarchia, in quanto si tratta di uno stesso moto al di qua e al di là del confine. L'irredentismo non è una questione di politica interna: bensì una grave questione di politica estera, giacché ha per iscopo la separazione di territori della Monarchia. È errato di credere che l'irredentismo possa essere domato con azione unilaterale all'intemo, poiché esso riceve continuo nutrimento dal di fuori. La guerra con l'Italia, o presto, o tardi, è inevitabile: questo non bisogna nascondersi: bensì si deve trame le conseguenze come con grande perseveranza si fa in Italia. Guadagnare il Piccolo alla nostra causa è un'utopia (ciò che segue nel manoscritto a riguardo di tale questione è indecifrabile).

Completo disconoscere della situazione!

L'Italia aspira ai territori e farà per ciò la guerra quando le convenga.

L'Italia vuole estendersi appena vi sia preparata, e intanto si oppone a tutto ciò che noi vogliamo intraprendere nei Balcani. Ne consegue che bisogna abbatterla per ottenere di aver noi le mani libere. Da parte dell'Italia l'irredentismo vien considerato soltanto come un mezzo che serve

allo scopo reale.

148

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 4276/285. Londra, 5 settembre 1911, ore 2 (per. ore 22,20).

Rispondendo analoghe mie domande, Grey mi disse ieri: l) che situazione presente appare a lui «oscura e preoccupante», sia perché fino ad ora, malgrado tutto, non è riuscito [a capire]! che cosa vuole realmente Germania, sia, sopra tutto, perché teme che Governo imperiale incontri difficoltà calmare agitazione importante elemento opinione pubblica da esso suscitata con mossa di Agadir. Recente campagna giornali austriaci lo hanno molto perturbato, avendo potuto accertarsi che essa fu ispirata dalla Germania. Attacchi contro ambasciatore d'Inghilterra Vienna sono assolutamente ingiustificati, risultandogli in modo positivo che egli non ha aperto bocca con nessuno. 2) Che, stando così le cose, non può purtroppo, escludersi probabilità di una guerra, qualora Germania, giudicando momento attuale specialmente propizio, avesse in animo provocarla. 3) Che, quando conversazioni Berlino non conducessero ad un accordo, non si mancherebbe certo ricorrere espedienti diplomatici per evitare guerra. Questo tentativo, però, abortirebbe fatalmente se Germania, decisa fare guerra, ne impedisse pacifici risultati, dirigendo Francia ultimatum o prendendo misure incompatibili con dignità Francia. 4) Che proposte formulate da Giulio Cambon o Kiderlen devono

considemrsi come definitive, ma che egli non è sicuro se del tenore delle medesime sia stata data completa integrale conoscenza a Schoen nei recenti colloqui con De Selves. Grey non si preoccupa troppo della violenta campagna stampa germanica contro Inghilterra. «<ngiurie giornali, per quanto inspimte», mi disse, «lasciano indifferenti se non sono seguite da qualche atto dei poteri responsabili di natum rendere impossibile mantenimento relazioni tm i due Governi. Se la prendano quanto come vogliono con noi, purché si intendano con Fmncia e si eviti una guerm; questo è l'essenziale». Grey osservò che rimproveri tedeschi contro Inghilterm aver aizzato Fmncia resistenza, compromettendo così accordo altrimenti facilmente raggiungibile tm Parigi Berlino, sono ingiusti, calunniosi. Lungi da spingere Francia resistere Inghilterm quando Fmncia le si è rivolta per consiglio, ha risposto: «Largheggiate quanto volete al Congo, se ciò può facilitare intesa». Grey prega VE. voler considemre quanto precede come strettamente confidenziale.

148 1 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO URGENTE 4275/184. Berlino, 5 settembre 1911, ore 21 (per. ore 23,50).

Cambon ha consegnato jeri a Kiderlen proposte francesi sulle quali si mantiene da ambo le parti grande riserbo. Kiderlen si sarebbe limitato a riceverlo senza emettere alcun apprezzamento. Il Dipartimento le sta ora esaminando e chiamerà a consulto alcune persone di altre amministrazioni e periti estranei, prima di dare un risposta, per la quale trascorrerà almeno una settimana.

A differenza di Cambon, al Dipartimento si ritiene che l'intesa sui compensi territoriali n(.,l sarebbe troppo difficile. A quanto ho creduto capire, la difficoltà non verterebbe più che sulla estensione da dare rispettivamente al «Becco d'Anitra» ed alla zona verso il mare. Invece, l'ottimismo del Dipartimento è molto minore di fronte alla questione della definizione dei diritti rispettivi della Francia e delle altre Potenze al Marocco. Come ho già telegrafato varie volte a VE., diversi indizi mi avevano fatto presentire ciò. Intanto in questi giorni, l'opinione pubblica, nella stampa e nelle riunioni, si è pronunziata contraria ad un completo abbandono del Marocco alla Francia e la Post ed altri giornali nazionalisti attaccano violentemente il Governo per il miserabile mercato al quale si accinge. Siccome la Francia offre il compenso territoriale solo a condizione di essere lasciata libera al Marocco, è evidente che indirettamente le difficoltà che la Germania tàrà su questo punto avranno una ripercussione sulla questione dei compensi territoriali. Al Governo francese conviene naturalmente mostrare ai terzi che le difficoltà derivano dalle eccessive domande per compensi territoriali del Governo germanico. A questo invece conviene mettere in rilievo che le difficoltà derivano da desiderio della

Francia di tunisificare il Marocco, escludendone interamente la concorrenza anche economica delle altre Potenze.

Ed è per questo che Zimmermann mi ha detto oggi: «noi lavoriamo per il bene di tutti, perché l'aspettarsi qualche cosa da buon volere della Francia in materia di libertà commerciale è un'illusione. Le garanzie non saranno mai sufficienti».

Con tuttociò, al Dipartimento si spera di riuscire ad un'intesa e si esclude che una interruzione dei negoziati debba per forza condurre alla guerra, dichiarando però allo stesso tempo che ad essa si è pronti.

La stampa, commentando la dimostrazione dei socialisti, dichiara che essi hanno sfondato una porta aperta, perché nessuno, salvo pochi nazionalisti, esaltati, desidera la guerra. Si può essere, del resto, certi che i socialisti andrebbero come gli altri in caso di guerra. Sarebbe pericoloso in Francia se si facessero l'illusione che quella dimostrazione possa impacciare il Governo; anzi il rilevarla non farebbe che accrescere le suscettibilità patriottiche tedesche.

150

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Londra, 7 settembre 1911, ore 4,55 (per. ore 23,50).

Cambon mi ha chiesto testé come andavano nostri affari Tripolitania e le nostre relative controversie con la Turchia. Ho risposto che non ne sapevo nulla che ignoravo pensiero Governo, ma non senza rilevare che per quanto concerne disposizione opinione pubblica italiana parevami vadano verificandosi impressioni personali già da me precedentemente manifestatigli. «Di fatti» ha replicato collega «vedo che nei nostri giornali si comincia parlare molto della Tripolitania».

(Ciò è vero) 1 ho replicato: «Sarebbe difficile per non dire impossibile che nostra opinione pubblica rimanesse indifferente alla vigilia del pratico assorbimento Marocco per parte vostra e della Spagna e per conseguenza della sistemazione generale di tutte le questioni attinenti Africa mediterranea». Ha risposto Cambon: «Tutto ciò è evidente. Il momento per voi è indubbiamente propizio tanto più che oggi si può dire che in Turchia non vi sia governo, vuole dire che converrà agire con prudenza ed a gradi: cominciare col chiedere ed ottenere dalla Turchia speciali privilegi economici incatenarcela per così dire con impegni formali salvo poi ad andare più oltre in ogni caso di violazione da parte sua avendo sempre dinanzi agli occhi raggiungimento dello scopo determinato come abbiamo fatto noi al Marocco». Con tutto il rispetto dovuto all'opinione di Cambon io non saprei troppo

se e fino a qual punto converrebbe a noi seguire modus procedendi da lui accennato. Al punto in cui sono le cose a me remissivamente pare che se ci decidiamo a fare uno sforzo, nostro interesse è di trame massimo profitto non contentandoci di una semplice preponderanza economica che potrebbe a rigar esserci pure contestata, non arrestandoci infine prima di esserci assicurati in Tripolitania situazione a un di presso analoga a quella di Francia e Spagna al Marocco. Qualsiasi soluzione intermedia incompleta, mentre non soddisferebbe amor proprio nazionale ci potrebbe preparare per il futuro nuove e più grandi complicazioni con la Turchia e magari con qualche altra potenza. Per quanto riguarda appoggi morali inglesi credo mio dovere richiamare la sua attenzione sulle condizioni cui Grey lo ha esplicitamente subordinato nella comunicazione fatta, condizione da lui giustificata per motivi parlamentari. Giova di fatti ricordare che per quanto attenuata sia simpatia generale inglese per Turchia, non esiste meno nella Camera frazione liberale rappresentata dal Daily News, che in ogni circostanza prende con ardore difesa causa Comitato Unione e Progresso.

150 1 Ciò è vero preceduto dall'annotazione gruppo indecifrabile. Nel registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra, tuttavia, non risulta né questa frase né altre parole.

151

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 4304/292. Londra, 7 settembre 1911, ore 15,15 (per. ore 18,45).

Telegramma di V.E. n. 33671• Da Villa-Urrutia ho saputo jen m via strettamente confidenziale che, in questi ultimi giorni, Governo francese ha presentato alla Spagna uno schema d'intesa elaborato dai fratelli Cambon a richiesta di De Selves. Base de !l'intesa sarebbe rendere operativa seconda parte segreta accordo 1904, riconoscendosi definitivamente dalla Francia diritti spagnoli identici a quelli francesi sulla regione assegnata alla Spagna nell'accordo predetto. Francia, però, allegando gravi sacrifici da essa sostenuti per compensare Germania, pone per condizione abbandono Ifni e della zona d'influenza spagnola intorno Ifni. A ciò Spagna recisamente si rifiuta, osservando essere assurdo che essa debba pagare per ottenere esecuzione di una intesa già da anni intervenuta. Di tutto ciò Villa-Urrutia ha intrattenuto Grey, ottenendo risposta già a me telegrafata a V.E.2 . Linguaggio di Villa-Urrutia mi lascia impressione che Spagna, ad evitare future contestazioni con Francia anziché intendersi fin da ora con Repubblica, mira ottenere che riconosci

2 T. 4267/287 del 5 settembre: «Alle osservazioni di Villa-Urrutia Grey rispose che, fino a tanto che situazione non sarà chiarita e accordo raggiunto tra i due principali contendenti, qualunque discussione su questioni concernenti interessi altra Potenza sarebbe prematura e assolutamente accademica».

192 mento suoi diritti venga solennemente consacrato dall'atto finale di accordo anglogermanico, con che Spagna vorrebbe assicurarsi una specie di garanzia anche della Germania per il rispetto suoi diritti contro le sempre possibili future violazioni francesi. Avendo io osservato che Germania potrebbe eventualmente farsi pagare tal favore chiedendo alla Spagna cessione suoi possedimenti Rio de Oro, replicò Villa-Urrutia che, per quanto Spagna siasi fino ad ora mostrata decisamente contraria siffatta cessione, non sarebbe al postutto impossibile giungere ad un accordo su questo punto, qualora, ad esempio, Germania si mostrasse disposta prendere quella colonia mediante un compenso magari pecuniario.

Anche Villa-Urrutia constatò lunedì preoccupazione, depressione di Grey. Al Foreign Office pravaleva, però, jeri nota alquanto meno pessimistica dei giorni scorsi.

151 1 T. del 4 settembre, non pubblicato, col quale si comunicava il T. 4245, pari data, non pubblicato, relativo al comunicato stampa del ministro di Stato spagnolo sull'occupazione di !fui.

152

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI E PIETROBURGO, ALLA LEGAZIONE AD ATENE E AL CONSOLATO A CANEA

T. 3390. Roma, 7 settembre 1911, ore 23,10.

Questo ambasciatore d'Inghilterra precisando proposta del proprio Governo per Creta e procedura da seguire mi comunica che, secondo Grey, rappresentanti Potenze Protettrici in Atene, o direttamente, o a mezzo quel ministro degli affari esteri, dovrebbero comunicare a S.M. ellenica decisione presa dalle Potenze stesse di non ricoprire posto alto commissario, essendosi esse convinte che qualsiasi mutamento statu quo sarebbe inopportuno; quei rappresentanti aggiungerebbero che comunicazione prima che la decisione sia pubblica è fatta a Sua Maesta in considerazione sua «eccezionale» posizione e che Potenze sono sicure che Sua Maestà apprezzerà ragioni della decisione stessa.

Inoltre Grey propone siano date istruzioni a Canea e Costantinopoli perché, appena avvenuta la comunicazione ad Atene, Conduros e Porta siano informati che le Potenze hanno deciso di non sostituire alto commissario e di nulla innovare allo statu quo. Ho risposto all'ambasciatore che accetto le proposte del Governo inglese e che istruzioni nel senso predetto sarebbero inviate per telegrafo ad Atene Costantinopoli e Canea.

(meno Atene-Costantinopoli e Canea) Prego informare codesto Governo che tale invio già è stato fatto.

(per Atene-Costantinopoli e Canea). Il presente dispaccio serve alla S.V. di formale istruzione nel senso predetto, in quanto riguarda le azioni da spiegarsi da parte sua d'accordo coi suoi colleghi delle altre tre Potenze Protettrici tostoché essi siano del pari autorizzati.

153

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO S.N. 1 . Parigi, 7 settembre 1911.

Rispondendo alla nota di V.E. del 31 agosto (Gabinetto n. 19)2 constato, innanzi tutto, la coincidenza per la quale nella mente di V.E. e nella mia si è affacciato contemporaneamente Io stesso pensiero. Infatti quando la nota di V.E. mi è giunta, io avevo già redatto una lettera privata per V.E. sullo stesso argomento ed esaminandolo proprio dallo stesso punto di vista dell'E.V. Quindi non faccio altro che trascrivere la lettera privata che avevo preparata dandole la forma di risposta ufficiale alla nota dell 'E.V.

Durante tutto il tempo in cui ressi il Ministero degli esteri, uno dei punti del mio programma fu di evitare l'occupazione di Tripoli, di cercare di iniziare e svolgere colà un'azione economica ed efficace col concorso della Turchia colla quale io mi lusingavo noi avremmo potuto stabilire rapporti veramente intimi, ed intanto di assicurare sempre più da parte delle altre Potenze il riconoscimento dei nostri diritti sulla Tripolitania per qualunque futura eventualità. Per quest'ultima parte noi ci eravamo assicurati l'assenso della Gennania e dell'Austria-Ungheria nel trattato della Triplice Alleanza e quello della Francia nell'accordo speciale del 1902. Io potei ottenere quello della Russia nel Convegno di Racconigi dell'ottobre 19083 . Dall'Inghilterra, salvo le dichiarazioni ben note a V.E. (che allora reggeva l'ambasciata di Londra) circa le oasi di Giarabub e Kufra, non fu possibile ottenere nulla di più positivo e concreto.

Ciò posto, io mi sono in questi giorni più volte domandato ciò che V.E. ora esplicitamente mi chiede: hanno ancora valore le considerazioni che fino ad oggi hanno spinto prima di me e, dopo di me, V.E. a fare il possibile per evitare l'occupazione di Tripoli?

Senza esitare rispondo negativamente. Dopo quanto abbiamo fatto per cattivarci la fiducia e l'amicizia della Turchia ed il modo come questa ci ha corrisposto, in me si è formata la convinzione che tale fiducia e tale amicizia noi non la otterremo mai. La nostra rinunzia in qualsiasi modo manifestata non persuaderà mai la Turchia, la quale rimarrà sempre verso di noi sospettosa e diffidente e quindi ostile. L'assenso preventivo delle altre Potenze dandoci la sicurezza di non trovar mai in avvenire ostacoli da parte di esse ci faceva attendere tranquillamente e senza impazienze che il giorno dell'occupazione di Tripoli fosse giunto per naturale maturarsi di eventi. Ma questa sicurezza per quel che riguarda la Francia, il giorno in cui essa, dopo essersi intesa con la Germania, stabilirà nel Marocco il suo

!53 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica una copia conservata tra le carte di Gabinetto. 2 Non rinvenuta.

Recte 1909.

protettorato, verrà ad essere affievolita e di più si affievolirà coll'andare del tempo e col succedersi al Governo di uomini nuovi i quali solo fino ad un certo punto si terranno legati dagli impegni presi dai loro predecessori. Si può esser certi che appena la Francia si sarà consolidata al Marocco il gruppo coloniale metterà gli occhi su Tripoli e comincerà a sostenere che il possesso di essa è necessaria alla Francia a cagione della prossimità della Tunisia, come già ha sostenuto la necessità per la Francia di avere il Marocco a cagione della prossimità dell'Algeria. Da principio il Governo cercherà di resistere e di mantenere le promesse fatte all'Italia e poi pian piano finirà per lasciarsi trascinare a rinnegare quelle promesse. Né a ciò lo tratterrà il timore di turbare i buoni rapporti coll'Italia. Tale considerazione non ha distolto la Francia dall'occupazione di Tunisi come il timore di turbare i buoni rapporti con la Spagna e di spingerla verso la Germania non ha impedito alla Francia di negare sfacciatamente la parte d'influenza riconosciuta alla Spagna nel Marocco dall'accordo speciale segreto con essa firmato e di cercare di ritoglierle prepotentemente ciò che le aveva concesso.

La mentalità francese è così fatta che il giorno in cui la Francia mancherà gli impegni contratti con noi per la Tripolitania essa, e per essa la sua stampa, accuserà noi di ambizioni smodate, di pretese eccessive, di mancanza di riguardo verso la Francia, proprio come ha fatto ora con la Spagna. Se V.E. ha seguito la polemica della stampa francese tendente a dimostrare che la Francia era rimasta fedele a quell'atto di Algeciras che invece essa per prima ha ridotto a brandelli, e per sostenere al contrario che la Spagna l'aveva violato e che la Germania a sua volta aveva violato l'accordo franco-tedesco del 1909, non potrà essere rimasta impressionata dell'audacia, della disinvoltura, dell'abilità, con la quale i francesi sogliono nelle questioni internazionali, quando hanno più torto, assumere le parvenze della ragione. Insomma io sono convinto che la Francia si condurrebbe con noi come un seduttore il quale si sottrae al matrimonio dopo aver fatta sua una giovane con la promessa delle legittime nozze. Ciò naturalmente avverrebbe gradatamente, col decorrere del tempo per un processo lento di oblio d'impegni, di sorgere di nuovi appetiti e dopo un succedersi al Governo di uomini diversi da quelli che ci hanno detto e ripetuto di voler essere fedeli agli impegni che hanno con noi; sarebbe probabilmente preceduto dalla denunzia dall'accordo che noi non possiamo certo sostenere debba valere in perpetuo, ma avverrebbe sicuramente.

V.E. giustamente nota che io non posso risponderle in base a fatti concreti, ma soltanto sopra impressioni e dubita quindi che la mia risposta possa essere assoluta e precisa. Ebbene io rispondo appunto in base alle mie impressioni, ma la mia risposta non è perciò meno precisa, perché queste impressoni sono così profonde da produrre in me una visione chiara e sicura dell'avvenire.

Da tutto ciò una necessità deriva per noi: quella di preparare l'incidente che ci dia pretesto plausibile ad occupare Tripoli il giorno in cui la Francia col concorso della Germania si stabilirà al Marocco. Naturalmente dovremmo dire quel che hanno detto tutti in simili circostanze e cioè che occupiamo Tripoli temporaneamente e che lo terremo nel nome del sultano fino a che avremo garantito gli interessi italiani, ma naturalmente il giorno della ritirata e della restituzione al sultano non verrà mai, come non è mai venuto per l'Egitto e per la Bosnia-Erzegovina.

Nell'ultimo mio rapporto a V.E. mi permisi farle alcune osservazioni nel caso fosse stata deliberata l'occupazione della Tripolitania. A quelle mi permetto aggiungerne altre due: io credo che noi dovremmo dame l'annunzio alle Potenze nel momento dello sbarco dei nostri soldati, ma non prima. Son certo che nessuna di esse farà osservazioni sul fatto compiuto, ma sono egualmente certo che, prevenute prima, cercherebbero con tutti i mezzi di distoglierci dall'impresa e ciò non già per ostilità verso di noi, ma per evitare le noie ed i fastidi che ad esse procurerà la ripercussione che la nostra occupazione di Tripoli avrà indubbiamente nelle cose interne dell'Impero ottomano. Io credo inoltre che noi dovremmo pensare ad assicurarci il favore della popolazione araba, che già è ben disposta per noi, riannodando fila che abbiamo lasciato cadere e sopratutto spendendo senza lesinare grandi somme di denaro.

Io ho seguito come V.E. una politica prudente e aliena da avventure, raccogliendo come V.E. una messe di impopolarità che credo sia per ambedue un titolo di onore. Però vi sono dei momenti in cui bisogna correre l'avventura ed il rischio perché non c'è libertà di scelta. Questo sembra a me il momento attuale. La Tripolitania è indispensabile all'Italia per l'equilibrio del Mediterraneo. Potremmo attendere se non ci fosse pericolo che ci sfuggisse ed abbiamo atteso pazientemente fino a che questo pericolo non si è manifestato. Oggi questo pericolo comincia a delinearsi e coll'andar del tempo diverrà più grave. L'occupazione quindi della Tripolitania s'impone a noi come una ineluttabile necessità.

154

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N./446. Parigi, 9 settembre 1911, ore 14,15 (per ore 16,30).

La straordinaria loquacità della stampa italiana circa Tripoli, è rilevata da tutti i giornali, i quali ne traggono sicuro indizio che l'Italia ne prepara l'occupazione. È evidente che quanto più si pensa all'occupazione, tanto meno occorre parlame. Se noi stessi diamo l'allarme e diffondiamo la notizia, toglieremo anticipatamente valore all'incidente che dovrà servirei da pretesto per l'occupazione e daremo modo alla Turchia di preparare una resistenza più forte. Credo che sarebbe utile un'azione tua e di Giolitti sulla stampa italiana, la quale dovrebbe prendere lezioni di patriottismo dalla stampa francese, tutta concordemente intonata nella questione marocchina, secondo le vedute del suo Govemo 1 .

154 1 Per la risposta cfr. n. 157.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. GAB. RISERVATISSIMO 3411. Roma, 10 settembre 1911, ore 12,45.

L'incaricato d'affari di Russia dopo avere accennato al linguaggio della stampa estera ed italiana di questi ultimi tempi sulla questione tripolina in riguardo ai nostri rapporti con le Potenze estere, mi ha chiesto, non senza mostrare una certa inquietudine, se nelle supposte trattative nostre con l'Austria a questo proposito, si era potuto venire verso di essa a qualche concessione che potesse riguardare la penisola balcanica.

Questo passo dell'incaricato d'affari mi ha dato l'opportunità di assicurarlo nel modo più formale che nessuna trattativa era stata intavolata da noi con il Gabinetto di Vienna in proposito, che nulla di vero esiste in quello che riferiscono i giornali su tale argomento, e che infine, in qualunque caso, era anzi ferma intenzione del R. Governo di tenere la questione tripolina assolutamente separata da quelle balcaniche, e che perciò in ogni eventualità, la Russia nulla aveva da temere da questo punto di vista.

L'E.V. conosce quali possano essere le preoccupazioni del R. Governo per una eventuale ripercussione sullo statu quo nei Balcani a causa di una nostra azione di Tripolitania. Ritengo, quindi, conveniente che ella trovi l'opportunità di confermare al signor Neratoff quanto ho detto al barone Korff, assicurandolo che se l'Italia fosse obbligata ad agire in Tripolitania, ciò non avverrebbe sicuramente in seguito ad intesa con l'Austria-Ungheria che potesse portare una modificazione qualsiasi nei Balcani e che anzi il R. Governo farebbe ogni sforzo acciocché una sua eventuale azione in Tripolitania non arrecasse alcun turbamento allo statu quo nella Penisola balcanica.

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. RISERVATO 3421. Roma, 10 settembre 1911, ore 22,10.

Tripoli. Per eventuale linguaggio e per norma di V.E. chiamo la sua attenzione sui punti seguenti: l) ho fatto subito smentire dali' Agenzia Stefani le infondate notizie data dal deputato Cirmeni alla Neue Freie Presse secondo le quali l'Italia avrebbe chiesto ed ottenuto l'appoggio di tutte le Potenze tranne l'Austria per una eventuale azione in Tipolitania. 2) È falso che l'Italia voglia il monopolio del commercio e delle imprese economiche in Tripolitania. Noi vogliamo la porta aperta per tutti ma non vogliamo che la Turchia impedisca il libero svolgimento della attività economica italiana in Tripolitania. 3) È evidente che nella situazione presente le imprese economiche di altre Potenze in Tripolitania possono apparire a torto o a ragione all'opinione pubblica italiana come un pericolo politico, ma il giorno in cui la nostra situazione politica in Tripolitania fosse assicurata, cesserebbe per noi ogni motivo di vederle con diffidenza e preoccupazione e ci terremmo fedeli al principio della porta aperta che del resto è applicato, come è noto, nelle nostre colonie.

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Roma, 11 settembre 1911, ore 18.

Tuo telegramma 9 settembre1• Da tempo tanto io quanto Giolitti ci sforziamo di far tacere la nostra stampa ma finora non ci siamo riusciti. L'indisciplina, l'anarchia, l'ignoranza dei nostri giornalisti ed uomini politici sono un vero pericolo nazionale. Abbiamo dato formale smentita alle invenzioni di Cirmeni.

158

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE 1470. Berlino, 11 settembre 1911.

Ho trovato qui al mio ritorno il suo telegramma del 3 corrente nel quale ella mi chiedeva se risultasse di alcuna pratica preventiva del principe imperiale ottomano qui fatta a proposito di una eventuale nostra azione a Tripoli, e domandava inoltre il mio parere se in un simile caso la Germania, nell'interesse dei suoi rapporti con la Turchia, preferirebbe che quella nostra azione avvenisse di sorpresa e senza prevenirla1.

Sul primo punto, non posso naturalmente sapere ciò che fu detto o taciuto nei colloqui privati del principe con l'imperatore. Ma posso dire che non ebbi finora a rilevare il menomo indizio che vi si sia trattato della Tripolitania, in quanto che nessun'eco se ne è destata in questi circoli ufficiali. Tutto indica che la visita ebbe

158 1 T. Gab. riservatissimo personale s.n., non pubblicato.

un carattere di pura cortesia, e ciò che ho udito dire dell'impressione prodotta dalla persona di Sua Altezza Imperiale cioè di scarsa intelligenza e portante le tracce dei lunghi anni passati in semi-prigionia, permette quasi di escludere che egli abbia potuto essere incaricato di una qualsiasi missione politica.

Il signor von Kiderlen che vidi lungamente jeri l'altro, non mi fece allusione veruna a Tripoli, ed in conformità della intesa con lei stabilita, io ho evitato di toccare quel tasto malgrado che da alcuni giorni la stampa se ne occupi con insolita frequenza; e così mi proporrei di continuare fino ad istruzioni o circostanze contrarie. Non potrei infatti entrare in quell'argomento, nemmeno per edificarmi circa il secondo quesito da lei postomi, senza compromettere le intenzioni implicate dal quesito stesso sul quale intendo ch'ella desidera soltanto conoscere la mia impressione personale. Questa è che certamente il Governo germanico preferirà di non essere previamente interpellato circa una nostra spedizione a Tripoli in modo da lasciar credere alla Turchia di averla approvata. Osservo però in linea di fatto che se la spedizione si decidesse, un momento verrebbe in cui la sua preparazione renderebbe impossibile il tacerne. Per quanto si voglia agire di sorpresa, una flotta con forse quarantamila uomini non può allestirsi e mettersi in movimento nello spazio di 24 ore ed, allo stato delle cose, è piuttosto a temersi che i primissimi indizi di un'azione vengano a cognizione del pubblico più presto che non sia a desiderarsi. In quel momento potrei parlare a Kiderlen e dirgli che abbiamo voluto evitare di prevenirla anticipatamente, per un riguardo al suo Governo, risparmiando di porlo in imbarazzo verso la Sublime Porta. Ma su ciò attenderò a suo tempo le istruzioni di lei.

Soltanto col corriere di ieri l'altro ho ricevuto la sua lettera del 20 agosto 2 in risposta alla mia dell'l l di quel mese3 . Per obbligo di sincerità devo dirle che avendo molto riflettuto d'allora in poi su questo affare, non ho trovato risposta alle obbiezioni che mi ero permesso di sottoporle contro la opportunità attuale di una discesa a Tripoli. Ho letto quanto ne dicono i nostri giornali ed osservo che mentre essi parlano largamente dei diritti dell'Italia, nessuno di essi, nemmeno fra i più seri, sembra tenere il menomo conto dei diritti della Turchia. Ma anche facendo astrazione dal diritto, noto che si ignorano totalmente le difese che la Turchia potrebbe pure opporci e cioè: la resistenza immediata delle sue armi, la distruzione del nostro commercio in Levante e gl'incitamenti alle tribù musulmane, tali da renderei per molti anni amara la nostra conquista. Ciò all'infuori del pericolo di uno sconquasso in Macedonia che sfuggirebbe allora al nostro controllo. I giornalisti a quanto vedo, sono anzi già pronti a sollevare contro la Francia la questione dei suoi possessi nell'interno dell'Africa.

In presenza di ciò, mi riesce un po' difficile, le confesso, il sottopormi ai verdetti di questa «opinione pubblica», la quale mi sembra essere inspirata più che altro dalla retorica cui diede occasione il nostro cinquantenario e forse più

3 Cfr. n. 128.

ancora da spirito di opposizione al ministero. Ma ciò mi porta su un terreno estraneo alla mia competenza. Devo quindi considerare l'eventualità che, per ragioni di ordine superiore alle obbiezioni dirò così professionali che io possa allegare, il Governo si risolva a correre i rischi di questa impresa. In tal caso, non mi occorre dirle che altro sono le opinioni personali che un agente ha il dovere di esporre ai suoi superiori circa l'opportunità di un qualunque progetto in fieri, ed altro è l'azione dell'agente stesso, quando si tratta della sua esecuzione. E quindi la ringrazio della fiducia espressa nella sua lettera che in qualunque evenienza farò quanto sta in me affinché, per ciò che concerne Berlino, tutto proceda il meglio possibile secondo le sue intenzioni e per il bene del nostro paese.

PS. Non mi trovo ancora in grado di rispondere al suo telegramma di ten concernente l'eventuale destinazione di due ufficiali tedeschi al servizio della marina turca4 perchè preferendo evitare di parlare di ciò direttamente a questo Dipartimento esteri, attendo il prossimo ritorno a Berlino del colonnello Calderari che probabilmente avrà modo di procurarmi quella informazione. Non è a dubitarsi che, se ai tedeschi riuscisse di ottenere quel posto soppiantandovi gli inglesi, lo farebbero con gioia, specie nell'attuale momento di risvegliata anglofobia in seguito all'affare del Marocco.

157 1 Cfr. n. 154.

158 2 Non pubblicata.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. RISERVATISSIMO 3466. Roma, 13 settembre 1911, ore 21,30.

Oggi è venuto a trovarmi l'incaricato d'affari di Turchia. Egli si è !agnato del linguaggio della nostra stampa nella questione di Tripolitania e ha espresso il desiderio che il Governo ponesse fine a tale campagna con una esplicita dichiarazione. Egli ha inoltre ripetuto che il Governo ottomano non ha frapposto nè intende frapporre ostacoli ali 'attività economica italiana in Tripolitania.

Io gli ho risposto che questa sua affermazione è in contrasto coi fatti e che il linguaggio della stampa italiana è conseguenza necessaria prevedibile e prevista del contegno della Turchia verso i nostri interessi economici in Tripolitania.

Ho aggiunto che non credevo che il Governo italiano debba fare alcune dichiaraztom. Egli ha replicato che tornerà tra qualche giorno a trovarmi e che intanto si asterrà dal riferire questo colloquio al suo Governo.

158 4 T. 3404 del 9 settembre, non pubblicato.

160

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, Dl SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1480/516. Berlino, 13 settembre 1911 (per. il 23).

Col mio telegramma riservato di ieri1 ho prevenuto V.E., che il signor von Kiderlen-Wachter, in conformità di una promessa da lui fattami giorni sono, ha spedito a codesto ambasciatore di Germania copia delle proposte francesi relative al futuro regime politico-economico del Marocco nonché di un sunto delle contro-proposte tedesche, con l'incarico di dame a lei comunicazione a titolo d'informazione personale e confidenziale.

Ad ogni buon fine e per regolarità di corrispondenza, stimo utile trasmetterle qui unito le copie dei documenti stessi2 , che a me pure vennero consegnate con la raccomandazione di non far conoscere ad altri che noi ne siamo in possesso. Il sunto delle contro-proposte tedesche è quello che fu preparato da questo Dipartimento degli esteri per uso della comunicazione fattane ora appunto ai Governi dei principali Stati confederati della Germania.

Per non ritardare questa spedizione, debbo astenermi dall'entrare qui in un esame particolareggiato delle proposizioni di cui si tratta, dal cui raffronto risultano del resto abbastanza chiaramente i punti sostanziali di divergenza fra le due parti contendenti. Rilevo soltanto che circa uno fra i più importanti di quei punti, concernente la guarentigia del principio della porta aperta e la parità di trattamento in materia di concessioni industriali e simili, (articoli III-VII), il sunto del contro-progetto tedesco si limita ad alludere genericamente a misure di dettaglio (detail bestimmungen) intese a meglio assicurare quella parità a favore di tutte le potenze contro ogni eventuale trattamento differenziale. Malgrado le contrarie asserzioni del signor von Kiderlen, quelle misure di dettaglio sarebbero nel testo del contro-progetto formulate in modo da procurare alla Germania, secondo il signor Cambon, privilegi affatto speciali. A quanto ammise, parlando con me, il dottor Zimmermann, si tratterebbe infatti di stipulare che la Francia si obblighi -sia pure con reciprocità -a far partecipare la Germania alle concessioni eventualmente ottenute in materia di ferrovie e miniere. Si obbietta da parte francese che una simile associazione se preveduta dall'accordo del 1909, non avrebbe più motivo di esistere coll'accordo attuale.

Un giudizio su questo punto non potrà farsi se non dietro una più esatta cognizione delle domande tedesche. Tra uno o due giorni si attende del resto la risposta del Gabinetto di Parigi a queste proposizioni. I prossimi negoziati, come può arguirsi da quanto precede, saranno ancora, assai laboriosi. Essi non verranno agevolati dalle premature discussioni della stampa francese, riguardo alle quali si

160 1 T. riservatissimo 44011191, non pubblicato. 2 Non si pubblicano gli allegati.

fanno qui vive lagnanze contro il Ministero del Quai d'Orsai che contrariamente agli assunti impegni, continua, anche in quest'ultima fase delle trattative, a dare in pasto ai giornali tutto ciò che gli giunge dall'ambasciata di Berlino. E di ciò si duole più che ogni altro il signor Cambon, il quale quando si reca a discutere col segretario di Stato, si trova dovergli recare argomenti già deflorati la vigilia in qualche articolo del Temps.

Come ne avevo prevenuto VE., la questione dei compensi territoriali è lasciata in bianco nel relativo articolo (II) dell'attuale progetto. Si assicura dalle due parti che quando le altre saranno risolute, questa non presenterà ulteriori difficoltà di grave momento: il che però rimarrà ancora a vedersi.

PS. Ho segnato in margine al qui unito progetto francese gli emendamenti ed aggiunte risultanti per ciascun articolo delle controproposte germaniche.

161

IL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1148/354. Bengasi, 13 settembre 1911 1.

Riferendomi ai riveriti dispacci2 all'oggetto in margine segnato3 , ho l'onore di informare l'E.V quanto segue.

Il non facile compito dall'E.V affidatomi di mettere fuori di discussione la questione delle armi e munizioni, senza perciò alienare i senussi, la insistenza colla quale Sidi Ahmed El-Scerif El-Senussi continua a chiedere l'invio di dette armi, l'incoraggiamento che, al riguardo, gli viene dato dall'Elui e compagni del Cairo, e l'assoluta opportunità che m'impone il dovere di tenere il massimo riserbo ogni qualvolta trattasi di armi per i senussi e non lasciar credere che siamo disposti a fornirle loro per i riguardi internazionali che obbligano il R. Governo di astenersi rigorosamente da qualsiasi ingerenza in tale materia, mi hanno messo nella posizione di barcamenarmi alla meglio nei rapporti iniziati col capo dei senussi per mezzo dei locali agenti segreti, senza avere potuto, finora, nulla concretare in proposito.

Reputo, pertanto, mio dovere di mettere l'E.V. al corrente delle ultime fasi per cui è passata questa questione.

Come preannunziai col rapporto in data 25 aprile u.s. n. 47411474 l'emissario Ali El Ebedie arrivò qui l'l l maggio scorso da Kufra ed, insieme al noto agente senussita Othman El-Anezi, venne a vedermi di nascosto, il 13 successivo alle ore 9 di sera.

2 DD. 146 e 154, rispettivamente dell'8 e del 13 maggio, non pubblicati.

3 «Relazioni con le confraternite musulmane. Senussi».

4 Non pubblicato.

Innanzi tutto l'Anezi e l'Ebedie vollero spiegarsi, m mia presenza, circa il contenuto della lettera di Sidi Ahmed El-Scerif El-Senussi, di cui copia è annessa al citato rapporto, secondo la quale quest'ultimo sembrava accusare l'Anezi di avere fatto mancare l'invio delle armi promesse dal Governo italiano per mezzo dell'Elui.

L' Anezi dichiarò recisamente all 'Ebedie che ciò non è affatto comprovato e fa, piuttosto, supporre che l'Elui abbia intrigato presso i siada di Kufra allo scopo di rompere le relazioni con Bengasi per continuarle col Cairo: ciò che ridonderebbe a svantaggio dei senussi poiché è volontà assoluta del R. Governo che le relazioni si mantengano con Bengasi.

Ali El-Abedie rispose che i senussi vogliono bene all'Elui perché è un mussulmano devoto che serve con fedeltà il Governo italiano e cerca realmente il bene dei senussi e dell 'Islam.

Egli soggiunse che, sette anni or sono, l'Elui promise a Sidi Ahmed El-Scerif l'invio di 4000 fucili in dono da parte del Governo italiano. I senussi, dopo avere esitato, accettarono. Ma, poi questa promessa non fu mantenuta. Stretto dalle domande l'Elui finì per dichiarare che il ministro italiano che aveva fatto la promessa non c'era più, e che l'attuale ministro vi si opponeva; ma che esso Elui avrebbe continuato ad interessarsi alla questione in modo da indurre il Governo italiano a dare le armi.

Interloqui subito, dicendo che a me non consta che il Governo italiano abbia fatto simile promessa all'Elui. Mi risulta invece che l'Italia ha sempre avuto in mira di attivare scambi commerciali con Kufra a vantaggio reciproco degli italiani e dei senussi. Il ministro, probabilmente, avrà voluto dire ciò all'Elui, il quale non ha saputo spiegarsi nelle sue lettere a Sidi Ahmed El-Scerif. L'Elui, poi, mosso da qualche interessato consigliere, ha cercato, con incredibile leggerezza, a fame pubblicità, credendo sia questa la via per raggiungere lo scopo; ma con ciò non ha fatto che danneggiare se stesso e compromettere la riputazione dei senussi. Per ciò il meglio da farsi è che l'Elui si distacchi da quei consiglieri che non hanno qualità di trattare negozi a nome del Governo italiano ed obbedisca piuttosto al ministro, facendo quello che sarà da esso giudicato per il maggior bene dei senussi.

Indi spiegai all'Ebedie il progetto relativo alla apertura di un'agenzia commerciale a Kufra da parte di capitalisti italiani di Bengasi allo scopo di agevolare gli scambi commerciali coi senussi, i quali ne trarrebbero il loro tornaconto al presente e nel futuro. L'agenzia poi si adoprerà a fare rivivere il commercio carovaniero, ora languente, fra Bengasi ed i sultanati del Wadai e Darfour, in modo da ridonare all'oasi di Kufra il suo antico splendore commerciale e la sua importanza geografica come capolinea delle carovane importanti del Sudan centrale.

Ali El-Ebedie, dopo avere dichiarato che veramente queste parole lo avevano convinto che da Bengasi si poteva essere molto più utili ai senussi che non dal Cairo, confessò che si era ingannato di credere, finora, il contrario e promise che, col primo corriere, notificherà a Sidi Ahmed El-Scerif questa sua impressione basata sulla buona e sincera accoglienza da me e dall' Anezi usa tagli e sulle cose serie a lui dette e lo indurrà a valersi piuttosto delle relazioni di Bengasi che di quelle del Cairo pel conseguimento dei suoi fini. Egli soggiunse che da qui aveva ordine di recarsi per la via di Giarabub al Cairo per fare alcuni acquisti per conto del capo dei senussi e che, non appena sarà giunto colà, fra due mesi, non mancherà di influire sull'Elui perché si astenga dal seguire i consigli del dottor Insabato e dell'ingegnere Parvis ed agisca d'accordo col ministro per tutto quel che riguarda i senussi.

In seguito a ciò Ali El-Abedie si congedò dicendo che sarebbe partito il giorno seguente, come difatti partì, per la zauia di Missous onde assistere ad un congresso degli sceikh delle principali zauie della Cirenaica e quindi recarsi a visitare le zauie stesse e proseguire per Giarabub.

Ignoro se egli abbia mantenuto la sua promessa di scrivere al capo dei senussi e parlare coll'Elui nel senso come è detto sopra. Si attende tuttora il suo ritorno dal Cairo.

Dopo la partenza di Ali El Ebedie l' Anezi, dietro il mio consiglio, essendosi abboccato coll'influente agente senussita, l'ulema Sidi Abdul-Aziz Ben Gassem ElIssaui, al quale, tempo fa, io avevo partecipato confidenzialmente il progetto relativo all'istituzione in Kufra di un'agenzia commerciale da parte del Banco di Roma affidata, ben inteso, a personale indigeno (vedi mio rapporto l O aprile 191 O

n. 742/242)5 ed avendo avuto la conferma dell'utilità di tale istituzione colla promessa di appoggiarla e renderla accetta a Kufra, si affrettò a spedire al capo dei senussi una lettera colla quale lo informò del risultato del colloquio avuto coll'emissario Ali El-Ebedie, soggiungendo che, per stabilire una base seria di reciproca amicizia fra i senussi e gli italiani, occorrevano due cose: cessare i rapporti coll'Eiui e destinare a capo di questa zauia senussita una persona degna della massima fiducia con potere di trattare, all'accorrenza, affari di qualche importanza.

L'Anezi spiegò poi a Sidi Ahmed El-Scerif qualmente I'Elui non è più considerato, come prima, dal Governo italiano per avere dato prove di indiscrezione e leggerezza leggendo le lettere dei senussi a persone che non hanno qualità di conoscerle e come su di lui pesino non infondati sospetti di essere informatore di pascià egiziani. Per questi motivi è necessario che i buoni rapporti iniziati fra i senussi e gli italiani siano continuati per mezzo di Bengasi esclusivamente.

Quanto alla nomina di un nuovo mokaddem a Bengasi, l'Anezi fece intendere al capo dei senussi l'opportunità di destinarvi Sidi Mohamed EI-Issaui, fratello del predetto Sidi Abdul-Aziz Bel Gassem El-lssaui, acciocché i due fratelli, la cui discrezione e fedeltà sono al disopra di qualsiasi elogio, possano trattare in perfetto accordo con esso Anezi tutte le questioni in cui c'entrano interessi italiani, senza destare il benché minimo sospetto.

Sorvolando poi sulla questione delle armi, senza dare cioè nessun affidamento né pro né contro, I'Anezi annunziò al capo dei senussi la progettata istituzione a Kufra di un'agenzia commerciale ossia vasto emporio per parte di questa Banca italiana in cui sarebbe interessato esso Anezi e Sidi Abdul-Aziz predetto, per gli scambi commerciali a prezzi ragionevoli, con reciproci vantaggi degli akhuan e della Banca stessa e che io stavo occupandomi per la riuscita dell'impresa e gli mandavo i miei saluti.

A questa lettera e ad altra anteriore Sidi Ahmed EI-Scerif rispose colle due missive in data 7 e 29 aprile u.s. di cui trasmetto qui unita traduzione (allegati n. l e

204 2)6 alla E.V, entrambe dirette a fare sapere allo Anezi che, prima, egli aveva scritto di mettersi d'accordo coll'Elui, ma dopo le spiegazioni avute, ha capito che i rapporti cogli italiani non possono essere fruttiferi che per mezzo suo, e quindi lo invita a rivolgersi personalmente a quelle persone per conseguire lo scopo. Egli dimostra poi di gradire l'apertura di un emporio a Kufra con capitali italiani per la rivendita delle merci a buon prezzo agli akhuan ed a quelle popolazioni arabe, ringraziandomi per l'interessamento che io vi prendo e contraccambiando i miei saluti.

In considerazione poi dell'opportuna domanda dell' Anezi, il capo dei senussi si affrettò di mandare a Bengasi Sidi Ahmed El-Issaui fratello di Sidi Abdel-Aziz El-Issaui in qualità di mokaddem di questa zauia principale, con speciale incarico di prestare il suo valido concorso ed aiuto ogni qualvolta egli ne venisse richiesto dall' Anezi.

Per altro Sidi Ahmed El-Scerif insiste e vuole assolutamente le armi promesse dal Governo italiano per mezzo dell 'Elui.

Le cose erano a questo punto quando arrivò il cavalier Bresciani a Bengasi.

N o n mancai, in conformità alle istruzioni dall'E. V. impartitemi, di in d urlo vivamente ad istituire un'agenzia d'affari a Kufra, a scopi puramente ed esclusivamente commerciali dimostrandogli i maggiori vantaggi morali e materiali che avranno tutte le imprese del Banco in questa contrada con l'appoggio e la protezione dei senussi.

Dopo alcune tergiversazioni, basate su ragioni di indole finanziaria, il cavalier Bresciani accettò, finalmente, ad entrare in società coi predetti agenti senussiti Othman Anezi e Sidi Abdul Aziz El-Issaui per l'impianto di detta azienda con un capitale adeguato agli affari che vi si svolgeranno, a seconda delle circostanze e nel miglior interesse nostro e dei senussi.

Fu deciso che la prima carovana di merci, per un valore di circa ventimila franchi, sarebbe condotta da Sidi Abdul-Aziz, il quale andrà personalmente a Kufra per aprire l'agenzia. Questo socio, secondo che si metteranno le cose, rimarrà colà per dirigere l'agenzia o farà ritorno a Bengasi, lasciando al suo posto il proprio nipote -che promise di fare venire dalla moschea El-Azhar del Cairo, ove trovasi attualmente per ragioni di studio -ovvero manderà a Kufra un'altra persona di fiducia che sarà di gradimento degli ahkuan senussi mentre l'Othman Anezi prenderà la direzione della sede dell'agenzia stessa a Bengasi.

L'operazione, finanziariamente parlando, fu giudicata ottima, poiché, oltre ai sicuri benefici che darà, sarà ben garantita per il fatto che tanto l'Anezi che Sidi Abdul-Aziz posseggono beni stabili in questa città per un valore di circa centomila franchi.

Nel corso della conversazione col cavalier Bresciani, Sidi Abdul-Aziz accennò ad un'operazione che l'agenzia di Kufra potrebbe pure tentare con successo, affidando del bestiame a mezzadria alle zauie senussiane dell'interno, operazione vantaggiosa sotto ogni rapporto e più che sicura.

Tutti gli accordi essendo stati presi, mancava la firma del contratto di società che il cavaliere Bresciani, partendo da qui, promise di inviare da Tripoli. Ma egli si imbarcò per l'Italia senza inviare tale documento e non si è potuto, finora, comprenderne la ragione.

Intanto l'Anezi, per non perdere tempo, aveva chiesto ed ottenuto il consenso del cavaliere Bresciani d'ordinare in Egitto, per conto dell'agenzia di Kufra, una partita di manifatture per vestiario più in uso nel Sudan per una somma di circa dodicimila franchi. La merce è già arrivata a Bengasi contro assegno che l'Anezi dovette pagare rilasciando analoga cambiale al Banco, già scaduta e rinnovata per un mese.

D'altra parte, tanto Sidi Abdul-Aziz che lo sceikh di questa zauia, suo fratello, hanno già annunziato al capo dei senussi la formazione della società cogli italiani per l'apertura di un'agenzia commerciale a Kufra e che una parte delle merci acquistata giungerà, quanto prima, colà.

Cosa penserà Sidi Ahmed El-Scerif quando non vedrà giungere questa merce e saprà che tale nostra impresa non ha più avuto luogo? Egli dirà che, o i suoi agenti lo hanno ingannato, o le parole degli italiani non hanno valore.

Per evitare questi apprezzamenti sarebbe opportuno che il cavaliere Bresciani venisse sollecitato da codesto ministero a non ritardare l'invio del contratto di società di cui è sopra parola, per il quale gli interessati hanno rinnovate premure presso questa agenzia del Banco di Roma.

In relazione poi ai riveriti telegrammi dell'E.V. in data 9 e 14 agosto u.s.

n. 30607 e 3ll88 non ho mancato di fare presente al cavaliere Bresciani, sin dall'inizio della pratica e prima di ricevere i detti telegrammi, che l'agenzia di Kufra deve avere un carattere privato ed esclusivamente commerciale. Tutt'al più si potrebbe largheggiare nel credito coi senussi, come usano fare i negozianti indigeni che sono in rapporti d'affari con loro; ma l'agenzia non deve in nessuna maniera fornire armi né prestarsi a favorire tale commercio.

Io credo che la istituzione dell'agenzia di Kufra per parte del Banco contribuirà a mettere gradatamente fuori d'argomento la questione delle armi, in quanto noi avremo dato ai senussi una prova evidente della nostra amicizia agevolando i loro interessi in ciò che ci è permesso di fare, senza negare bruscamente una promessa che essi ritengono sia stata fatta, per mezzo dell'Elui, dal Governo italiano, né incorrere in tal caso l'alea di una rottura delle relazioni con noi.

Qualora il cavaliere Bresciani, per una ragione o l'altra, non credesse di dare seguito al contratto stipulato con l'Anezi e Sidi Abdul-Aziz non saprei che dire.

Pur pregando l'E.V. di volere impartirmi le pregiate sue istruzioni al riguardo, oso confermare la proposta contenuta nel mio rapporto in data 6 corrente n. 1130/351 8 .

161 Cfr. n. 119. 8 Non pubblicato.

161 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

161 5 Non pubblicato nel vol. VNI della serie quarta. In realtà il rapporto è del IO agosto.

161 6 Non si pubblicano.

162

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL RE VITTORIO EMANUELE III

L. Roma, 13 settembre 1911.

Ho l'onore d'inchiudere a Vostra Maestà un rapporto riservato dell'ambasciatore di Vostra Maestà a Vienna, che, sebbene porti la data del 12 agosto1 , mi è pervenuto soltanto adesso, essendosi egli servito del corriere mensile.

Il rapporto si riferisce all'importante problema del rinnovamento della Triplice Alleanza e reputo opportuno commentarli con alcune mie osservazioni.

Nella prossima primavera al più tardi, bisognerà che il Governo italiano abbia deciso se ed a quali condizioni debba rinnovare la Triplice Alleanza, se debba prendere l'iniziativa di trattare in proposito cogli alleati o aspettare le loro proposte

o se debba lasciare che si rinnovi tacitamente.

Io divido l'opiniore del duca Avama, che le sfere dirigenti austriache desiderino in massima il rinnovamento della Triplice Alleanza. L'alleanza dei tre imperatori (Russia, Austria, e Germania), per quanto vagheggiata da influenti elementi conservatori in quei tre paesi, trova ostacolo ne Il'irriducibile e fatale antagonismo tra Austria e Russia nella penisola balcanica, oltre che nella dipendenza della Russia dalla finanza francese, e nella utilità che la Russia ritrae dall'amicizia inglese nelle questioni di Persia e dello Estremo Oriente. Tuttavia, la solidarietà conservatrice tra elementi influenti in Austria, Russia e Germania può creare una combinazione che, per quanto poco duratura, potrebbe avere effetti da non trascurare nello interesse del nostro paese. Dobbiamo perciò in una certa misura e senza esagerazioni considerarli come un pericolo, non molto probabile, ma contro il quale è pur bene stare in guardia e di cui conviene, per quanto sta in noi, diminuire la probabilità.

Credo anch'io, al pari del duca Avama, che non sarà facile per noi ottenere che l'alleanza venga rinnovata a condizioni migliori delle attuali: conviene anzi premunirsi contro il pericolo che ci si domanda di rinnovarla a condizioni meno favorevoli.

È gia concordato con l'Austria che, se questa estende i suoi domini nella penisola balcanica, ci spetta un compenso, ma non è probabile che essa consenta a determinare quale il compenso debba essere prima di sapere in modo ugualmente concreto quali sarebbero le sue nuove conquiste in Oriente e in quali condizioni si compirebbero.

Non è neanche probabile che i nostri alleati consentano a stipulare esplicitamente che noi non abbiamo obbligo di partecipare ad una eventuale guerra contro l 'Inghilterra, sebbene siano persuasi che in via di fatto non vi parteciperemmo.

Convengo col duca Avarna che l'Austria non si rassegnerà a cederci alcuna delle sue provincie italiane se non in caso di necessità assoluta.

Perché l'Austria si induca a darci compensi veramente importanti sarebbero, anzitutto, necessarie due condizioni, di cui l'una è in poter nostro, e l'altra no. La prima è che l'Austria giudichi l'Italia così forte militarmente, per mare e per terra, da costituire una nemica temibile ed un'alleata efficace ed utilissima e in dati casi indispensabile; fortunatamente l 'Italia molto ha fatto per rafforzarsi militarmente e continua a lavorare, così che è da sperare e da credere che presto sarà conseguita questa condizione, nella cui graduale attuazione si fanno intanto ogni giorno non disprezzabili progressi.

L'altra condizione sarebbe che l 'Italia riescisse ad ispirare fiducia all'Austria, cioè che l'Austria si convincesse che valga la pena di fare sacrifizi per noi, che, datici nelle provincie italiane della Monarchia adeguati compensi, possa poi fare assegnamento sicuro sulla nostra amicizia e sul nostro appoggio. Ora, tale fiducia l'Austria non ha, né può avere poiché in nessun caso potrebbe cederci tutte le sue provincie di lingua italiana o in parte italiane, e quindi, sa bene che la cessione del Trentino e della Valle dell'Isonzo non porrebbe fine all'irredentismo.

E in genere, anche senza arrivare alle cessioni territoriali, in tutti i nostri rapporti coll'Austria, noi potremmo ottenere molto di più e potremmo trarre dall'alleanza assai maggiori benefici, se non esistesse in Austria una così profonda diffidenza verso l'Italia. Tale diffidenza, che a me risulta da varie ed ineccepibili fonti dirette, è generale, profonda, e quel che è peggio, sincera. Si ha fiducia in Austria in

S.M. il Re e nei più seri uomini di Stato italiani, ma non si ha fiducia nella Naziona italiana.

Si è convinti che specialmente n eli' Alta Italia, la cui influenza si sa essere prevalente nel nostro paese, l'avversione all'Austria e l'irredentismo siano più vivi che mai, e che, al primo momento in cui l'Austria sarà in imbarazzi o in pericolo, l'opinione pubblica o meglio il sentimento pubblico prenderà la mano al R. Governo e lo forzerà o a far la guerra all'Austria o almeno ad accrescere le sue difficoltà. Non vi ha modo di far cessare questa diffidenza austriaca, perché non vi ha modo di far cessare le frequenti manifestazioni pubbliche in Italia, le quali l'alimentano e la rafforzano. A queste manifestazioni si dà in Austria assai maggiore importanza di quelle che hanno, perché gli austriaci sono meno avversi alla illimitata libertà e perché giudicano il carattere del nostro popolo dal proprio. Non è possibile, purtroppo, far astrazione da questa cagione di debolezza nei nostri rapporti coli' Austria e di riflesso colla Germania, e temo che più o meno ne risentiremo gli effetti se avremo a discutere modificazioni al trattato della Triplice Alleanza.

Sulla utilità per noi di rinnovare la Triplice Alleanza io non ho dubbj. Se li avessi avuti, quattro anni di missione a Londra e oltre sedici mesi di lavoro alla Consulta, me li avrebbero tolti. L'accessione dell'Italia alla Triplice Intesa (la quale del resto non esiste che in un senso assai limitato) se pur fosse, e per ora non è, desiderata da quelle tre Potenze, non basterebbe forse a capovolgere del tutto la preponderanza militare del blocco austro-tedesco, e non verrebbe compensata da nuovi alleati con sufficente riguardo ai nostri interessi. Basta vedere la condotta, per esempio, della Francia verso di noi nella questione dei Carmelitani di Siria, dei Salesiani di Mossoul, dei pescatori di Tunisi, e così via per vedere quale sia il vero modo di concepire i rapporti franco-italiani nel fondo dell'anima francese.

Militarmente poi, è difficile giudicare in qual misura fattori morali ed anche demografici e fisiologici abbiano indebolito l'esercito e la flotta francesi, e quanti anni occorreranno perché la Russia, non ancora guarita dalla piaga della corruzione, abbia raggiunto il grado di potenzialità militare di cui sarebbe virtualmente capace. Quanto all'Inghilterra, priva o quasi d'esercito, conserva, è vero e conserverà probabilmente la superiorità navale, ma non più di quanto occorre per la propria difesa e per la sicurezza del proprio vettovagliamento. Ha perciò poca forza offensiva e non grande aiuto può recare ai suoi alleati.

D'altra parte, mi consta che Austria e Germania sono convinte della grande utilità per loro dell'alleanza italiana, ed io ho speranza che finiremo per rinnovare l'alleanza a condizioni, se non migliori delle attuali almeno eguali.

Qui, però, non posso non accennare ad un pericolo, aggravato dai recenti eventi internazionali, ed al modo di prevenirlo.

Noi abbiamo finora mantenuto un certo equilibrio tra le alleanze e le amicizie. Il duca Avama fa nel suo rapporto una critica severa di questa politica, ed io non dico che la critica sia del tutto ingiusta; ma è da notare che tale politica fu imposta all'Italia dal rifiuto degli alleati di tutelare efficacemente i suoi interessi nel Mediterraneo.

Ora, è possibile che nel rinnovare la Triplice Allenza, i nostri alleati ci chieggano qualche garanzia contro questa politica d'equilibrio: una tal richiesta, specialmente se la questione di Tripoli non sarà risoluta prima, ci porrebbe in gravi difficoltà.

Non bisogna infatti dimenticare che risoluta la questione marocchina, cesserà in gran parte per la Francia l'interesse a mantenere gli accordi coll'Italia, e potrà facilmente cercare un pretesto per emanciparsene, se non trarrà dall'amicizia nostra corrispondenti vantaggi in altri campi, e sopratutto se noi, per stringerei maggiormente agli alleati, raffredderemo alquanto i nostri rapporti con essa. Dovremo, quindi, per poter aderire a una politica più triplicista dell'attuale, chiedere agli alleati garanzie più efficaci delle attuali per la Tripolitania, le quali o ci verrebbero negate o ci verrebbero date a prezzo di minori compensi al confine nord-orientale e in genere nell'Adriatico e nei Balcani, e di maggiore condiscendenza verso la politica balcanica dell'Austria.

Né questo è tutto; riferii a suo tempo a Vostra Maestà che, nell'aprile 1910, quando, nominato ministro degli esteri da pochi giorni, vidi a Parigi il signor Pichon; questi francamente mi disse che gli accordi franco-italiani del 1902 relativi alla Tripolitania sarebbero venuti meno se avessimo rinnovato la Triplice Alleanza a condizioni diverse dalle attuali. È notevole che ciò mi sia stato detto quando la Francia aveva ancora interesse alla nostra benevolenza nel Marocco, e dal signor Pichon, che certo è meno espansionista di molti altri francesi, e più di loro conciliante e ben disposto verso l'Italia. Né è da trascurare che tunisificato il Marocco, cresce la tentazione della Francia ad estendere via più il suo impero nord-africano incorporandovi più tardi la Tripolitania. È indubitato però che ci presenteremo in assai migliori condizioni alle discussioni od alle trattative per la rinnovazione della Triplice Alleanza se avremo prima risoluto la questione di Tripoli. Potremo allora con meno pericoli e maggiori vantaggi fare una politica più risoluta, di intimità e di accordi coi nostri alleati.

Ciò è vero anche dal punto di vista militare: infatti occupata la Tripolitania, se non faremo una politica impaziente ed inframettente nei rapporti cogli arabi, basterà tenervi poche forze, mentre finché non sarà occupata, vivremo sempre coll'incubo di dover essere costretti da un momento all'altro a distrarre dall'Italia le considerevoli forze navali e terrestri che occorrono per occuparla, in conflitto colla Turchia. Aver definito prima questo conflitto, ci rafforzerà anche militarmente nelle trattative per il rinnovamento della Triplice Alleanza.

Queste sono alcune delle ragioni in favore dell'azione; non mancano2 quelle in senso contrario, ma oggetto di questa lettera è il problema della rinnovazione della Triplice Alleanza, e tanto la questione di Tripoli, quanto ogni altra è in questa lettera trattata di questo solo aspetto, il quale però è di vitale importanza per il nostro Paese3 .

162 1 Cfr. n. 124.

163

L'ONOREVOLE SONNINO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

L. RISERVATA PERSONALE. Antignano, 13 settembre 1911.

Non ti sorprenda questa mia lettera. Il momento è pel nostro paese così storicamente importante, che ritengo mio dovere di nulla tralasciare per confortare il Governo all'azione più energica e risoluta. Sono profondamente convinto che se l'Italia non va ora a Tripoli, non ci anderà più, e che invece ci anderebbe ben presto qualche altra Potenza. Ma è inutile che io svolga a te la tesi che consiglia ogni maggiore nostra audacia, poiché tu la sai meglio di me, e non puoi non sentire tutta la terribile responsabilità che peserà sul tuo nome se per pochezza d'animo il Governo non si muove e lascia passare l'occasione propizia.

Lo scopo di questa mia è di dirti, autorizzandoti anche a valerti presso il presidente del Consiglio di questa mia manifestazione, che se vi decidete ad agire sul serio, potete contare sull'aperto e disinteressato mio appoggio alla Camera e su quello dei miei amici, e quanto più arditamente agirete e tanto più larga ed attiva sarà la nostra adesione, per compensare, nella misura delle nostre forze, le defezioni che la vostra azione potrebbe per avventura cagionare in altri campi.

Augurandoti, pel bene della patria, ogni maggiore ardire, ti stringo cordialmente la mano.

3 Per il seguito cfr. n. 171.

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Autografo di Sonnino: documento n. 163 (ASMAE, Gabinetto 1910-1920)

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162 2 Depennato: «e non sono lievi».

163 1 Autografo: v. riproduzione dell'originale. Ed. in SONNINO, Carteggio, n. 459, p. 527.

164

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Pietroburgo, 14 settembre 1911, ore 16,03 (per. ore 18,20).

Ho oggi stesso intrattenuto N eratoff nel senso telegramma di V. E. 341 P. Egli si dimostrò assai soddisfatto delle assicurazioni di V.E. a cui attribuisce una particolare importanza giacché mi sembrava alquanto preoccupato della ripercussione che una eventuale nostra azione in Tripolitania potrebbe avere sulla situazione nei riguardi della politica dell'Austria-Ungheria. Dal linguaggio di Neratoff ho potuto comprendere che si è temuto qui un momento aver Italia consentito assicurare adesione o appoggio dell'Austria-Ungheria alle nostre imprese in Tripolitania mediante concessioni all'influenza austro-ungarica in Albania. Ho approfittato dell'occasione per parlare pure a Neratoff dei nostri attuali rapporti coll'AustriaUngheria nel senso della lettera riservata di V.E. n. 11 Gabinetto2 , ed ho la convinzione che le mie parole hanno prodotto su lui un'impressione delle più tranquillanti. Mi propongo tornare nuovamente sull'argomento in una delle nostre prossime conversazioni. Anche Neratoff è d'avviso nel momento presente la politica dell'Austria-Ungheria come la nostra e la russa abbiano precipuamente di mira mantenimento statu quo nei Balcani.

165

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

D. 37. Roma, 14 settembre 1911.

Ho ricevuto il suo telegramma n. 808 del 5 corrente relativo all'incidente di Hodeida1•

1 Cfr. n. 155.

2 Cfr. n. 144.

Non posso, a questo riguardo, che confermarle le mie precedenti istruzioni, essendo fermo intendimento del Governo del re di non recedere dalla posizione assunta e di esigere dalla Porta le riparazioni che abbiamo chiesto e che ci sono dovute2 .

165 1 T. 4261/808, non pubblicato, col quale De Martino riferiva che il gran visir si mostrava persuaso che il contrabbando fosse stato effettuato; il gran visir, inoltre, non intendeva recedere dalla sua posizione. Sull'argomento cfr. n. 22.

166

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2193/894. Vienna, 14 settembre 1911 (per. il 23).

Riferendomi al dispaccio dell'E. V. del 22 agosto scorso 1 , segnato in margine, e facendo seguito al mio rapporto del 6 corrente, n. 2160/880 2 , ho l'onore d'informarla che mentre siamo alla vigilia dell'accettazione delle dimissioni del ministro comune della guerra, generale barone di Schonaich, il quale verrebbe sostituito, secondo si afferma, dal generale von Auffenberg, attuale comandante in BosniaErzegovina, nessun indizio fa ritenere prossimo il ritiro del generale barone Conrad von Hotzendorf da capo di Stato Maggiore dell'esercito austro-ungarico.

Questi godrebbe infatti tuttora l'intera fiducia dell'arciduca ereditario di cui dividerebbe tutte le idee, sia per quanto concerne la rigida unità dell'esercito e l'opposizione alle pretese degli ungheresi, sia per quanto riguarda l'aumento del bilancio militare.

Il generale Conrad è infatti un uomo totalmente alieno di occuparsi di politica ed essenzialmente militare. Egli spinge l'azione militare all'estremo, colla massima energia, senza preoccuparsi della ripercussione politica che i provvedimenti da lui invocati possono avere.

Non sarebbe esatto, a quanto mi è stato riferito, che egli sia sistematicamente ostile all'Italia. È però vero che egli è il principale fautore dell'aumento ulteriore delle guarnigioni austro-ungariche al nostro confine e sarebbe a ciò mosso non da sentimenti bellicosi verso di noi, ma dall'opinione che qui si ha che, poiché noi aumentiamo i nostri contingenti e armamenti al confine orientale, l'Austria-Ungheria deve fare lo stesso.

In questi suoi eccessi egli sarebbe stato anzi a parecchie riprese frenato dal conte d'Aehrenthal, il quale gli avrebbe fatto rilevare la necessità di procedere con una certa cautela per non urtare le nostre suscettibilità.

2 Non pubblicato.

Per quanto concerne l'aumento del bilancio, il generale Conrad era in dissidio col ministro della guerra generale Schonaich, giacché ritiene essere indispensabile rialzare le somme attualmente stanziate per l'esercito, per poter perfezionare gli armamenti.

165 2 Per il seguito cfr. n. 172.

166 1 0.166, non pubblicato.

167

IL PRESIDENTE DELLA COMPAGNIA D'ANTIVARI, PAGANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Venezia, 14 settembre 191 I (per. il 19).

Come è noto all'E.V. sono intervenuti in questi ultimi tempi patti speciali fra il Governo turco ed il gruppo finanziario francese della Régie Générale de Chemin de Fer, a Costantinopoli, per lo studio sul terreno del tracciato della ferrovia DanubioAdriatico. Sembra che tale tracciato si svolga partendo da Merdarè sul confine turco e per Pristina, Prizrend, Dibra faccia capo a San Giovanni di Medua nel mare Adriatico e rappresenti quindi un giro vizioso che arrecherà un considerevole aggravio economico al traffico serbo e degli altri paesi danubiani, e farà quasi eguale la distanza fra Merdarè e l'Adriatico, a quella da Merdarè a Salonicco. È previsto inoltre un collegamento fra San Giovanni di Medua e Scutari.

Sarà pure noto all'E.V., che il Governo montenegrino ha saggiamente iniziato trattative col Governo turco per ottenere fin d'ora l'autorizzazione per congiungere Scutari con Antivari con una linea costiera Antivari-San Giorgio, e come il Governo di Cettigne pretenda di avere già ottenuto una tale autorizzazione da quello di Costantinopoli.

Il gruppo francese è legato per la Danubio-Adriatico ad un gruppo italiano da un protocollo a firma dell'illustre direttore generale della Banca d'Italia commendator Stringher che risale ad alcuni anni fa, ed ora ha notificato tali sue intese di massima al gruppo italiano e quest'ultimo deve riunirsi nei prossimi giorni per invito del commendator Stringher stesso, onde prendere in esame la situazione e dare il proprio consenso alla linea di condotta tenuta dai francesi fino ad oggi.

Deve essere pure noto all'E.V. come sia parere unanime dei tecnici che nei bassi fondi di San Giovanni di Medua, sia impossibile o quasi, la costruzione di un porto mercantile.

In previsione di questa linea Danubio-Adriatico, che le trattative odierne incominciano per la prima volta a mettere sul tappeto, con carattere di probabile esecuzione, in previsione di essa ripeto, il Governo italiano nella persona del ministro degli affari esteri del tempo, ha patrocinato e spinto la finanza italiana alla costituzione della Compagnia di Antivari. Sempre per la stessa finalità furono condotti tutti i lavori fino ad oggi compiuti in Antivari e che hanno finora assorbito oltre otto milioni di capitale italiano, ed il porto di Antivari è oggi pronto e attrezzato per ricevere anche subito il traffico completo che potrebbe fluire dalla progettata ferrovia Danubio-Adriatico. La ferrovia attuale Antivari-Vir e la navigazione sul Lago di Scutari, esercitate dalla Compagnia di Antivari, servono il traffico dell'interno del Montenegro e nulla hanno a che vedere col traffico che svilupperebbe il nuovo tronco di ferrovia di collegamento con la grande arteria.

Mi pregio anzi allegare all'E.V. uno schizzo 1 indicante il tracciato della ferrovia che ha in esercizio la Compagnia di Antivari e quello dell'altro congiungente Scutari-Antivari di cui sopra parlato.

Tutto ciò esposto, credo dover attirare l'attenzione dell'E.V. sulla necessità imprescindibile che l'intervento italiano nella combinazione suesposta sia coordinato agli interessi italiani già costituiti e che di questa necessità si faccia eco il nostro Governo per mezzo del Ministero che ella presiede. A questo ordine di idee dovrebbe quindi uniformarsi l'atteggiamento del gruppo finanziario italiano e la risposta da dare al gruppo francese e mi permetto di segnalare all'E.V. i punti di tale problema che nell'interesse italiano, io crederei, occorra difendere:

l) il gruppo italiano suddetto non sollevi eccezioni né per il limitato rimborso delle spese già fatte o da farsi, né per il tracciato designato dal Governo turco con raccomandazione però a chi curerà gli studi di svolgerli più a nord possibile.

2) Pure accettandosi da parte del gruppo finanziario suddetto San Giovanni di Medua come primo sbocco della ferrovia, ciò che non si può negare al Governo turco, anche per evidenti ragioni strategiche, non si dia alcun affidamento al Governo turco per i capitali necessari ai lavori portuali a San Giovanni di Medua.

3) Comunicazione esplicita da parte del gruppo italiano a quello francese dell'interesse italiano per la congiungente Scutari-Antivari che deve formare perciò parte integrante degli studi assunti; dichiarazione dell'interesse italiano di avere ad Antivari l'effettivo porto commerciale di sbocco della Danubio-Adriatico, ciò che collima anche coll'interesse economico della Danubio-Adriatico.

4) Esprimere il desiderio che il gruppo franco-italiano-russo-serbo affidasse immediatamente alla Compagnia di Antivari, a condizione da convenirsi, l' esecuzione degli studi relativi al tracciato della linea Antivari-Scutari sul territorio montenegrino.

In tanto per quanto si riferisce alla eventuale costruzione del tronco ScutariAntivari, la Compagnia di Antivari ha indirizzato al Governo montenegrino la lettera di cui le accludo copia e mi permetto far rilevare all'E.V. la opportunità di inviarla al ministro in Cettigne, perché abbia ad appoggiare le nostre proposte.

Mi metto a disposizione, come lo sono tutti gli organi della Compagnia, per tutte quelle spiegazioni che ella ritenesse opportuno avere, ed amo sperare che con quei provvedimenti che l'E.V. sarà per prendere, e per l'illuminata e particolarissima cura che ha per gli interessi italiani nell'Adriatico, saranno evitati gli irreparabili danni che deriverebbero all'influenza italiana in quei Paesi, se ora nella preparazione della esecuzione di questa nuova via maestra internazionale restassero negletti e tenuti in non cale o compromessi gli interessi italiani già costituiti in vista della medesima.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DELLA COMPAGNIA D'ANTIVARI, PAGANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI MONTENEGRINO, GREGOVIé

L. Venezia, 11 settembre 1911.

Par le groupe financier italien qui a foumi !es capitaux de notre Compagnie et qui est en meme temps associé au groupe financier français qui s'occupe du chemin de fer Danube à l'Adriatique, nous somrnes informés, que l'on est en train de dresser !es études techniques de certe ligne et nous apprenons en meme temps que le Gouvemement montenegrin aurait déjà conclu des accords avec le Gouvemement turc pour la construction d'une embranchement qui relierait Scutari à Antivari par S. Giorgio. Nous nous empressons de declarer des à present à

V. E. que nous sommes à disposition du Gouvemment pour nous charger de tous !es études relatifs au tracé sur territoire montenegrin et notre groupe financier est tout disposé à nous appuyer aussi ensuite pour la construction de certe ligne lorsque le Gouvemment voudra nous en soumettre !es conditions en conformité du droit de prélation que nous est acquis par la concession dont la Compagnie jouit (Art. 91 Convention).

Dans l'attente des comunications de V.E....

167 1 Non allegato al rapporto.

168

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4444/859. Therapia, [15] settembre 1911, ore 14,30 (per. ore 15 ).

Tripolitania. Telegramma di V.E. n. 3463 1• La notizia di un atteggiamento dell'Inghilterra contrario ad una azione italiana in Tripolitania giunse qui con i giornali esteri; finora non fu rilevata da questa stampa e non vi si presta fede. Piuttosto fu rilevata la notizia data da giornali di Vienna, secondo la quale il Governo austroungarico avrebbe fatto sapere che il momento non è opportuno. Ma, come ho informato col telegramma n. 836, del 12 corrente2 , si ha qui la tendenza a fare assegnamento sulla Germania. Tuttavia confrontando i miei telegrammi nn. 6773 e 8114, V.E. avrà notato un cambiamento nel linguaggio dell'incaricato di affari di Germania. Questi, discorrendo con me, a titolo del tutto personale, mi disse che aveva scritto a Berlino che noi stiamo irritando i turchi, pur essendo decisi a non occupare la Tripolitania. Aggiunse che ormai dovremmo prendere una decisione in un senso o nell'altro, ma che, di questo passo, le nostre relazioni ordinarie con la

2 T. riservatissimo personale 4387/836 del 12 settembre, non pubblicato.

3 Cfr. n. 11 O.

4 T. riservatissimo personale 4270/811 del 5 settembre: l'incaricato d'affari di Germania confermava il malcontento della Turchia per le aspirazioni italiane in Tripolitania, aggiungendo: «O vi prendete la Tripolitania (sic), ma se non la prendete, dovreste doppiamente non parlame».

Turchia diventeranno impossibili. La conversazione essendo caduta sui possibili atti di rappresaglia dei turchi in caso di nostra azione militare, l'incaricato d'affari disse che i turchi non ne avranno la forza pur avendone il diritto.

168 1 T. del 13 settembre, non pubblicato.

169

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3508. Roma, 17 settembre 1911, ore 17,45.

Questo incaricato d'affari di Germania mi ha comunicato per «mia personale e confidenziale informazione» il tenore delle ultime proposte francesi per il Marocco e delle modificazioni chieste dalla Germania. Le proposte francesi erano in sostanza le seguenti: articolo l) riconoscimento da parte della Germania della preponderanza politica francese al Marocco, salvo uguaglianza economica per tutti; articolo 2) occupazione militare francese; articolo 3) libertà commerciale per trenta anni; articolo 4) tasse; articolo 5) rappresentanza diplomatica del Marocco alla Francia; articolo 6) abolizione eventuale delle capitolazioni; articolo 7) aste per i lavori pubblici; articolo Il) cessioni di territori coloniali. Le modificazioni proposte dalla Germania consistono essenzialmente in questi punti: che l'estensione della preponderanza politica della Francia avvenga «Sur la demande» del sultano: che siano assicurate e precisate le garanzie economiche per tutti gli Stati, e garantiti i diritti della Banca del Marocco: che la libertà commerciale sia stabilita in perpetuo, e non solo per trenta anni; che venga aperto il porto di Agadir.

Tali domande tedesche non concorderebbero con quelle che VE. riferiva col suo telegramma n. 4541 , e che furono poi in gran parte confermate da un comunicato della Agenzia Reuter.

Non v'ha dubbio che questa comunicazione confidenziale sia stata fatta anche a Vienna, e che il Governo imperiale e reale è ormai informato al pari di noi. Ma io non credo -e rispondo con ciò al rapporto di V.E:, n. 1015 del 13 settembre2 che i nostri consigli potrebbe influire a Berlino; e credo pure che in questo momento critico, mentre potremmo forse desiderare che non ci siano dati consigli non richiesti, non ci convenga dame noi l'esempio. Del resto, un telegramma di ieri di Pansa riferisce quanto segue: «Jersera Cambon ha presentato a Kiderlen» (eccetera come nel telegramma n. 4467)3 .

2 R. riservato 2276/1015, non pubblicato.

3 T. 44671192 del 16 settembre, relativo allo spirito conciliante con cui Kiderlen-Wachter aveva accolto le controproposte francesi.

169 1 T. 4410/454 del 13 settembre , non pubblicato.

170

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATO 3521. Roma, 18 settembre 1911, ore 20.

Qualche giornale italiano pubblica che se Italia diventerà padrona della Tripolitania dovrà rivendicare quelle parti dello hinterland di essa che sono state usurpate dalla Francia e dall'Inghilterra. Mi affretto a far conoscere a

V.E. che tali pubblicazioni non rispondono affatto al pensiero del Governo e mi rimetto al suo tatto per trovar modo di impedire che nella stampa, nel Governo e nei circoli politici di costì tali erronee impressioni si formino e se formate dissiparle. V.E. non ignora del resto che sui confini della Tripolitania e Cirenaica esiste tra l'Italia e l'Inghilterra uno scambio di note verbali del dicembre 1907 e che ancor più chiaramente e completamente determinate sono negli accordi italo-francesi del 1902 che si riferiscono ali' accordo anglo-francese del 21 marzo 1899. Mai a un Governo italiano può venir in mente di violare gli impegni contratti. Nessuno può prevedere oggi quali provvedimenti l'Italia dovrà prendere per tutelare i suoi interessi in Tripolitania e Cirenaica ma è certo che se quelle provincie appartenessero all'Italia l'azione di qualsiasi governo italiano non potrebbe ispirarsi che alla tradizionale amicizia verso l'Inghilterra che in Somalia nel Sudan e dovunque ha sempre avuto a lodarsi del nostro vicinato.

Lo stesso vale pei nostri rapporti colla Francia. Con entrambe le potenze abbiamo svariati interessi in reciproco contatto la cui importanza prevale di gran lunga su quella di qualche oasi africana e d'altronde di fronte al risveglio di tutto il mondo islamico la presenza dell'Italia in Tripolitania costituirebbe un aiuto di più alla Francia ed all'Inghilterra e permetterebbe anche una più efficace repressione del contrabbando di armi che oggi vengono adoperate contro la Francia nel Wadai e più tardi potrebbero anche esserlo contro gli inglesi nel Darfur e nel Kordofan. Perciò i problemi dello hinterland africano potrebbero in ogni evento essere ragioni di più intesa solidarietà d'interessi tra le tre Potenze nei loro rapporti colle popolazioni africane e non mai di discordia.

Ripeto che mi rimetto a V.E. sul modo e sul tempo di combattere i tentativi di produrre costì erronee impressioni sugli intendimenti dell'Italia tanto in questa questione quanto in qualsiasi altra tra cui importantissima la calunniosa voce diffusa dai turchi che l'Italia aspiri ad un monopolio economico in Tripolitania e voglia escludere la libera e legittima concorrenza straniera 1 .

170 1 Per la risposta da Londra, cfr. n. 178. Con T. 4540 del 20 settembre Tittoni rispose che non aveva fatto nessuna dichiarazione perché «le insinuazioni dei giornali turchi circa il preteso monopolio economico italiano in Tripolitania» erano «passate qui affatto inosservate».

171

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Berlino, 18 settembre 1911 (per. il 26).

Col mio telegramma di ieri l'altro 1 , informavo V.E. dell'invito che mi aveva fatto per oggi questo segretario di Stato, ad un privato colloquio del quale non mi accennava l'oggetto. In quel giorno stesso avendo io avuto occasione di parlare con questo incaricato d'affari di Austria-Ungheria, mi avvidi con sorpresa che egli aveva cognizione di quel mio appuntamento; ed alla mia domanda se egli ne conoscesse pure lo scopo il signor von Flotow rispose di no, ma in termini vaghi egli fece allusione ad una recente conversazione fra il conte di Aehrenthal ed il duca di Avarna, in modo da !asciarmi intendere che vi era connessione fra le due cose. E ciò aveva fatto nascere in me il sospetto che si trattasse forse dell'affare di Tripoli. Questo le dico soltanto per spiegarle il mio precitato telegramma, col quale le chiedevo ad ogni buon fine s'ella avesse a darmi alcuna istruzione preventiva, pel caso che così fosse.

Invece, il signor von Kiderlen, dal quale mi recai or ora, voleva parlarmi del rinnovamento della Triplice Alleanza, -del che la prevenni per telegrafo 2 .

Il Trattato, egli osservò, non scadrebbe che nel 1914; ma oltreché non si può prevedere quali saranno in quel momento le condizioni politiche dell'Europa, il fatto stesso a tutti noto della prossima scadenza darebbe allora occasione a preventive preoccupazioni, commenti e discussioni da parte del pubblico, della stampa e dei Parlamenti, col risultato forse di imbarazzare la libertà d'azione dei tre Governi. Ora invece, mentre nessuno ancora ne parla, questi potrebbero tranquillamente intendersi e, l'accordo una volta stabilito, non si avrebbe che da annunciarne post jàctum la conclusione; e l'opinione dell'universale essendo ormai abituata a considerare la Triplice Alleanza come un fattore permanente dell'equilibrio europeo, il suo quarto rinnovamento verrebbe da tutti accolto come cosa naturale e prevista. Nella fiducia, aggiunse von Kiderlen, che il Governo italiano dividesse questi sentimenti, il conte di Aehrenthal ne aveva parlato giorni sono al duca d'Avarna, ed era sua impressione che la proposta non dovesse riuscire sgradita a Roma.

Alla mia domanda se l'idea di questa anticipazione fosse nata a Vienna o qui, il segretario di Stato rispose che egli stesso vi aveva per prima pensato e che per suo suggerimento il conte d'Aehrenthal ne aveva intrattenuto il mio collega di Vienna come egli faceva ora con me. Quando l'idea fosse da noi accolta, egli disse, il negoziato potrebbe iniziarsi formalmente mediante due lettere che l'imperatore Francesco Giuseppe indirizzerebbe a tal uopo al Nostro Augusto Sovrano ed all'impe

171 1 T. Gab. riservatissimo s.n./195, non pubblicato. 2 T. Gab. riservatissimo personale s.n./196, non pubblicato.

218 ratore Guglielmo ed i tre Governi procederebbero quindi al necessario scambio d'idee che dovrebbero senza difficoltà condurre ad una pronta conclusione.

Risposi al signor von Kiderlen che non avrei tardato ad informare V.E. della sua comunicazione, riservandomi di partecipargli l'accoglienza che le farebbe il Governo di Sua Maestà. Quanto al contenuto del nuovo Trattato, avendomi il segretario di Stato accennato che esso potrebbe essere, a parer suo, una pure e semplice conferma di quello ora vigente, credetti dovergli ricordare la dichiarazione scambiata dal conte Guicciardini col conte d'Aehrenthal nel dicembre 1909, per l'applicazione degli impegni concernenti i Balcani al Sangiaccato di Novi Bazar in seguito all'abrogazione dell'articolo 25 del Trattato di Berlino, ed osservai che forse il R. Governo desidererebbe che la sostanza di quella dichiarazione venisse indicata in qualche modo nel nuovo Trattato. A ciò rispose il mio interlocutore non vedervi difficoltà e che tali questioni di forma si risolverebbero senz'altro.

Non volendo, in materia così importante, arrischiarmi a pregiudicare in alcun modo le eventuali disposizioni del R. Governo, ho stimato prudente di astenermi dall'entrare in maggiori dettagli. E così si rimase intesi che scriverei in questa forma particolare a V.E. per sentire che cosa ella pensasse della proposizione di cui si tratta.

A titolo di prima mia impressione personale, mi sembra che essa sia degna di essere presa in considerazione. Ammesso infatti che il rinnovamento della nostra alleanza può riguardarsi come scontato in massima dalla aspettazione generale in Italia e fuori, non vedrei alcuna seria obiezione a che esso venisse anticipato di circa un anno. Dico un anno, perché non essendo lontano il 1912, credo sia già preveduto che il rinnovamento dovrebbe aver luogo nel '13 per il '14, come il Trattato scadente nel 1903 era stato già rinnovato nel 1902.

A favore di questa anticipazione panni poi che, oltre all'argomento addetto da von Kiderlen, militino altre due circostanze, l'una generale e l'altra a noi speciale in questo momento.

La prima è la considerazione della grave età dell'imperatore Francesco Giuseppe. Quali saranno le tendenze del suo successore circa le quali si fanno tante e sì diverse congetture? Non sarebbe prudente far sì che salendo al trono, questi trovasse la Monarchia già vincolata dal nuovo Trattato?

La seconda considerazione che mi si presenta è poi quella dell'eventualità di una nostra possibile azione a Tripoli. lo ignoro, mentre le scrivo, quali saranno le decisioni del R. Governo, né mi occorre qui ritornare su quanto ebbi a sottoporle a quel riguardo 3 . Ma se una qualche nostra azione diplomatica od altra, si verificasse, mi par certo che la sua eventuale coincidenza col rinnovamento dei nostri patti d'alleanza con la Germania e l'Austria-Ungheria non potrebbe avere che un effetto favorevole all'azione stessa, sia con l'escludere sempre più ogni possibile velleità di opposizione da parte di queste Potenze, e sia per la impressione che se ne produrrebbe generalmente in Europa ed in Turchia.

Nel chiudere la presente lettera non è necessario segnalare l'importanza del mantenere in ogni caso un assoluto segreto sul suo oggetto. Ed in attesa delle istruzioni che ella vorrà favorirmi per norma del mio linguaggio4 , ...».

171 3 Cfr. nn. 128 e 158.

172

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 4509/884. Therapia, [19} settembre 1911, ore 12,55 (per. ore 17).

Hodeida. Faccio seguito al mio telegramma 808 1 .

Avuto colloquio con Salih bey il quale avvertì che parlava in via personale. Salih bey sosteneva che il contrabbando è pienamente provato; che dai libri delle navi da guerra è risultato inesistente la tempesta che avrebbe motivato l'approdo del sambuco; che il sambuco aveva fatto altra spedizione consimile. Disse pure che si potrebbe ammettere che il sambuco facesse il contrabbando d'accordo con qualche autorità locale subaltema. Accennò vagamente che su questa base si potrebbe trovare la via di un accordo e il Governo ottomano avrebbe punito severamente l'autorità locale colpevole, mentre contro sambuco non si sarebbe altrimenti proceduto potendosi ritenere punito col danno subito. Disse che è pronto consegnare la sua relazione contro rimessa contemporanea della relazione Aliotti. Aggiunse che possiede molti altri documenti in riserva per la discussione. Inutile riportare gli argomenti da me sostenuti conforme alle istruzioni di V.E. La discussione rimase senza conclusione né mi sono adoperato a conseguirla2 •

173

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO S.N. Roma, [19] settembre 1911 1.

Suo telegramma n. 1952 . Non è possibile prevedere oggi quale esito avrà presente tensione rapporti italo-turchi ma è certo che dobbiamo tutelare gli inte

172 1 Cfr. n. 165, nota l. 2 Per il seguito cfr. n. 179. 173 1 Minuta autografa. La data è stata ricavata dalle carte dell'ambasciata a Berlino. 2 Cfr. n. 171, nota l.

ressi ed il prestigio dell'Italia e ciò è conforme anche all'interesse della Germania. Il sentimento pubblico in Italia è così unanime che l'atteggiamento della Germania in questa crisi influirà molto sulla solidità della Triplice Alleanza. Una volta tolta di mezzo la questione di Tripoli ci sarebbe più facile una politica di più intima e costante intesa coi nostri alleati e colla Turchia stessa. Se prenderemo risoluzioni energiche crediamo far cosa utile e gradita alla Germania non prevenendola per facilitarle il modo di conciliare l'amicizia colla Turchia coll'amicizia coll'Italia.

Una volta che la Francia abbia mani libere in Marocco se questione Tripolitania non sarà risoluta Francia potrà esigere da noi molti atti di condiscendenza per continuare essa ad osservare i suoi impegni verso di noi nella questione di Tripoli. Noi non chiediamo appoggio ai nostri alleati né alcun atto che sia contrario ai loro interessi ed al loro desiderio di rimanere amici della Turchia ma soltanto che non creino difficoltà alla nostra eventuale azione. Se ne creassero, nessun Governo italiano avrebbe la forza di mantenere la Triplice Alleanza che invece dobbiamo tutti desiderare che esca come io ne ho piena fede rafforzata da questa prova. Dico tutto ciò non già per essere comunicato a codesto Governo ma per uso personale di V. E. che saprà regolare il suo linguaggio e l'opera sua secondo le circostanze.

171 4 Per il seguito cfr. n. 173.

174

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4538/464. Parigi, 20 settembre 1911, ore 20,45 (per. ore 23,50).

De Selves mi ha chiesto oggi che cosa ci sia di vero circa la nostra eventuale occupazione di Tripoli della quale parlano i giornali. Ho risposto che ignoravo ciò che R. Governo avesse deliberato in proposito, ma sapevo soltanto che non era disposto a tollerare più oltre il contegno della Turchia. De Selves mi ha risposto colle seguenti precise parole: Qualunque cosa voi facciate a Tripoli e comunque la facciate, noi, fedeli ai nostri impegni, saremo con voi incondizionatamente. Ho ringraziato De Selves e gli ho detto che non avevamo mai dubitato della lealtà della Francia nel mantenere gli impegni presi 1•

174 1 Per il seguito cfr. n. 175. Su questo colloquio cfr. DDF, serie II, t. XIV, n. 356.

175

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO PERSONALE 4539/465. Parigi, 20 settembre 1911, ore 20,45 (per. ore 23,50).

Richiamo tua attenzione su dichiarazione fatta spontaneamente da De Selves di cui al mio telegramma 464 1• Possiamo essere certi che una volta stabilita la Francia al Marocco, il successore di De Selves non ci ripeterà dichiarazioni così esplicite e rec1se.

176

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

R. 1197/514. Tripoli di Barberia, 20 settembre 1911 2.

*Mi onoro confermare i miei telegrammi 228, 231, 234, 238 3 inviati all'E.V. circa la situazione odierna.*

La persistente e tenace azione del comitato giovane turco ha cominciato a produrre i suoi effetti, e per quanto ancora latente un pericolo per la colonia oggi esiste. A dare alimento alla agitazione contribuiscono pur troppo le notizie *che senza misura di responsabilità e senza alcun limite sono* portate dai giornali italiani. Essi sono letti per le vie dai più fanatici, ed ho potuto io stesso assistere ieri l'altro sera a questo fatto. *Mi sono perciò permesso telegrafare all'E.V. prima accennando alla possibiF~à di trovarsi nella necessità di una pronta protezione, poi chiedendo espressamente che non meno di due navi si trovino a Siracusa pronte a salpare per Tripoli.

A prevedere il peggio mi autorizzano* l'agitazione ed il fermento dei giorni scorsi, specialmente della sera di martedì. Ora è bensì vero che la sera del 27° giorno del Ramadan è contrassegnata da speciali e maggiori preghiere e da maggiore concorso nelle moschee, ma è pure certo che per quanto mi è stato assicurato da musulmani stessi mai erano stati fatti tanti incitamenti perché si accorresse alle

2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

3 T. riservato s.n./228 del 18 settembre, TT. 4519/231, 45211234 del 19 settembre, T. 4524/238 del 20 settembre, non pubblicati.

moschee, e mai fu imposta per le ore serali di preghiera la chiusura dei caffè e di altri locali di ritrovo. Mi si è detto che nelle moschee si parlò invitando ad una vigilante calma, parole ambigue che negli animi rozzi dei più fanatici possono produrre triste effetto.

*A confermare poi la possibilità di un pericolo stanno oltre a molti piccoli sintomi che ritengo superfluo riferire due circostanze più significative: la prima che* nei giorni di lunedì e martedì i pochi revolvers e le altre armi qui in vendita furono tutte acquistate dagli arabi anche a prezzi elevati *(persino ad un nostro stabilimento tipografico si andava continuamente chiedendo se ve ne erano in vendita); la seconda che* un arabo noto e bene informato come suo espresso consiglio mi disse che ove il R. Governo avesse deciso la occupazione di Tripoli avrebbe dovuto prendere serie misure precauzionali per evitare eccessi a danno degli italiani qui residenti non solo, ma anche degli altri europei, né volle dirmi il motivo di questo suo consiglio per quanto io insistessi. Mi raccomandò solo di tenerne conto.

*Siccome perciò la situazione potrebbe precipitare è necessaria misura precauzionale quella che ho richiesto col mio telegramma odierno n. 238, poiché credo che la contemporanea presenza di almeno due corazzate varrebbe ad impedire se non qualche particolare danno, certo eccessi più gravi e generali contro i connazionali.

Che se poi la cosa non dovesse contrastare ai maggiori fini della politica del R. Governo io chiederei che fino da questo momento due rr. navi fossero qui inviate. Con tale presenza che dovrebbe sopratutto permettere l'eventuale imbarco della colonia italiana e delle altre colonie europee l'attesa di ulteriori avvenimenti potrebbe aversi con maggiore tranquillità e calma.

Per le voci gravi giuntemi dall'interno, per quanto non controllabili* ho creduto opportuno non solo far tornare il dottor Beguinot da Zuara come anche il di lui padre mi aveva direttamente chiesto, ma invitare la missione mineralogica a proseguire con la massima possibile celerità fino alla costa dove potrà imbarcarsi. Ho pure avvertito l'ingegner Cortini, che è quasi in permanenza a lavorare nell'oasi di essere pronto a tornare al mio primo avviso. (Egli si trova una distanza massima di quattro ore di cavallo). Da Homs non ho alcuna notizia, il silenzio mi fa sperare che tutto sia ancora tranquillo in quella piccola colonia.

*Confido che VE. aderisca alla preghiera fatta col mio telegramma n. 238, ed assicuro che non richiederò l 'invio delle rr. navi a T ripoli se non in caso estremo, salvo però che VE. non ritenga possibile il loro invio subito senza nuocere ai fini generali che ho sopra accennato.*

Certo è necessario che decisa una azione militare siano prese misure molto precise e minute per difendere la colonia.

A formare la situazione odierna così diversa da quella della precedente settimana hanno certamente in gran parte contribuito i giornali del Regno, poiché mi risulta in modo non dubbio che le autorità *locali hanno detto parole tranquillanti ed hanno mostrato telegrammi* da Costantinopoli nei quali si toglie ogni importanza alle voci diffuse dai giornali. Deploro perciò vivamente la venuta dei giornalisti in questa situazione, e non esiterei un solo momento assumendomi tutta intiera la responsabilità di ogni possibile conseguenza, a valermi contro di essi del potere di espulsione che mi conferisce la legge consolare qualora dovessi persuadermi che la loro presenza fosse ragione di maggiore agitazione e di incidenti. *Già solo il loro arrivo e la loro presenza sarà motivo di infiniti commenti da parte degli arabi i quali si chiederanno certo la causa del loro ritorno. Mi consta da informazioni private che oltre il Pasetti ed il Felici che V.E. mi ha annunciato, verranno il Piazza ed altri ancora. Ripeto dunque che non esistei4 un solo istante ad espellerli. Circostanze eccezionali esigono mezzi di eccezione.

Questa sera si riunirà in consolato tutta la colonia nostra per la commemorazione del XX Settembre, e spero che la festa possa svolgersi tranquillamente senza spiacevoli incidenti, ma anzi fra il maggiore entusiasmo patriottico.

Copia del presente rapporto trasmetto alla r. ambasciata ... *

175 1 Cfr. n. 174.

176 1 Il rapporto è slato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi, da GALLI, Diarii, pp. 72-73.

177

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

Roma, 21 settembre 1911.

Ritengo con di San Giuliano che si spieghi essere necessario qualche movimento militare per la possibilità che occorra proteggere connazionali minacciati in parecchie parti dell'Impero ottomano. Ciò senza forma ufficiale.

178

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO 4578/302. Londra, 21 settembre 1911 1.

Vidi ieri Nicolson tornato dal suo congedo. Dopo di avere parlato del Marocco mi disse averlo Grey messo al corrente dei colloqui avuti con me circa Tripolitania2 e mi chiese se vi erano novità. Premesso che della decisione del Governo di Sua Maestà io nulla di concreto e positivo sapevo dissi che dal momento in cui egli aveva preso l'iniziativa discorrere della questione mi pareva bene cogliere l'occasione per rettificare alcuni erronei apprezzamenti letti in vari

2 Cfr. BD, vol IX/l, n. 231.

giornali. Gli parlai quindi nel senso telegrammi di VE. 34663 e 3521 4 e su quella dichiarazione leale ed esplicita chiamai la sua attenzione. Nicolson ne prese nota e mi parve con compiacimento specie di quella relativa rettificazione confine. Mi chiese poscia quali erano disposizioni opinione pubblica italiana e replicai parermi che salvo una opposizione piuttosto formale da parte di frazione socialista nazione conscia primaria importanza questione per tutelare gli interessi italiani nell'Africa mediterranea ne reclama vigorosamente pronto definitivo regolamento. Soggiunse Nicolson che caparbietà e esaltato nazionalismo giovani turchi potrebbero rendere necessaria una nostra spedizione militare. Risposi che se anche tale eventualità circa la quale nessuna informazione io possedevo avesse avverarsi colpa e responsabilità ricadrebbero interamente sulla Turchia che ci ha messo alla lettera con spalle al muro con la sua irragionevole opposizione a qualunque nostra intrapresa e con deliberata sistematica tendenza viola nostro diritto nell'intento ridurci praticamente in una posizione di inferiorità rispetto altri Paesi. Nicolson mi domandò da ultimo quando si riuniva nostro Parlamento al che replicai ritenevo ciò avverrebbe fine novembre. In complesso tono linguaggio Nicolson confermò appieno impressioni !asciatemi da precedenti colloqui con Grey nel senso cioè che nostra azione in Tripolitania non debba incontrare ostacoli da parte dell'Inghilterra per la quale come feci osservare a Nicolson nel corso del colloquio il passaggio eventuale Tripolitania in mano dell'Italia sua fida e provata amica rappresenta dopo tutto un interesse politico non trascurabile nessun essendo in grado di prevedere la sorte finale in un futuro più o meno prossimo di quella regione qualora ciò che mi sembrava inverosimile Italia rinunziasse ora far valere suoi diritti acquisiti in base accordi stipulati con Francia e Inghilterra. Della questione tripolina questa stampa si è fino ad ora pochissimo occupata limitandosi semplicemente riprodurre senza commenti qualche telegramma da Costantinopoli o dall'Italia. Se pertanto come avrei motivo dedurlo dal linguaggio Grey e Nicolson la nota partente dal Foreign Office sarà favorevole non mi parrebbe doversi prevedere contegno deliberatamente ostile da parte dei più autorevoli giornali. Sarà però sempre prudente aspettarsi a qualche recriminazione del Daily News o altro foglio di importanza secondaria favorevole alla causa giovane turca. Nicolson avendomi fornito propizia occasione dar opportunissimo schiarimento comunicatomi dalla

E.V. mi pare oramai indicato per meglio mettere cose a posto dare Grey integrale lettura dei due precitati telegrammi ciò che mi propongo fare lunedì o martedì risultandomi Grey sarà allora passaggio qui. Qualora V.E. credesse potermi illuminare maggiormente sulle decisioni definitive del Governo di Sua Maestà le sarei grato telegrafarmelo per mettermi in grado di informarne Grey col quale ritengo sotto ogni rispetto desiderabile procedere con massima franchezza.

Cfr. n. 170.

176 4 Così nel documento; s'intenda esiterei.

177 1 Annotazioni di Contarini in pari data: «Telegramma comunicato dal commendator Peano in risposta ad altro spedito da lui a S.E. Giolitti e concordato col sottoscritto in base ad istruzioni inviate da Anticoli dal marchese di San Giuliano al marchese della Torretta. Per accordo col commendator Peano comunicato personalmente a S.E. Leonardi Cattolica che ne ha preso atto».

178 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

178 3 Cfr. n. 159.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

D. 40. Roma, 21 settembre 1911.

Le segno ricevimento dei due rapporti n. 935 del 4 agosto e n. 984 del 20 agosto

u.s. 1 relativi alla condizione giuridica dei sambuchi eritrei nelle acque del Mar Rosso e la ringrazio di avermi inviato in visione lo schema di nota da inviarsi alla Porta.

Ho letto attentamente la nota in data 31 luglio con la quale la Sublime Porta espone il proprio punto di vista, contrario non solo ai nostri interessi, ma pur anche al nostro buon diritto, quale risulta dallo stato di fatto e di diritto originato dalla intesa verbale del 1902.

Mentre le confermo il mio dispaccio n. 31 del l o agosto2 , debbo aggiungere che ho stimato opportuno di modificare in alcuni punti lo schema di nota rimessomi dalla

S.V. con il rapporto del 20 agosto.

Le modificazioni apportate si riferiscono essenzialmente a tre punti: all'opportunità, cioè, di richiamarci in modo esplicito agli ordini emanati dalla Sublime Porta nel 1905 ed alla convenienza di non sollevare la questione delle capitolazioni e tanto meno quella della nostra sovranità su Massaua.

Gli ordini della Sublime Porta non furono, infatti, segretamente comunicati al r. console generale in Hodeida, bensì gliene fu data visione e gli fu concesso, dal cadì reggente il mutasserifik di Hodeida, di prendeme copia, dietro sua richiesta.

Noi ci troviamo quindi in pieno diritto di avvalerci di tale comunicazione.

Diverso è il caso dei documenti rimessi in copia a cotesta r. ambasciata di cui il dispaccio n. 15 del 28 marzo u.s. 3 documenti che furono ottenuti dal cavalier Sola in via segreta e dei quali non è quindi il caso di parlare.

Ho anche creduto opportuno nelle modificazioni apportate alla nota che le rimetto, di esporre il nostro punto di vista in relazione al regolamento doganale del 1863 ed all'atto generale di Bruxelles e ciò per sgombrare il terreno da ogni accessoria argomentazione contro la nostra tesi per dare quindi completa risposta alla nota ottomana del 31 luglio.

Prego accusarmi ricevuta.

ALLEGATO

NOTA VERBALE. Therapia, ....

L'ambassade de Sa Majesté le Roi d'Italie n'a pas manqué de communiquer en son temps au Gouvemement du roi la note verbale de VE. du 6 avril demier n. 6339/21, et celle du 31 juillet au sujet, toutes !es deux, du régime des boutres italiens dans la Mer Rouge.

2 Non pubblicato.

3 Non pubblicato nel vol. VNI della serie IV.

En conformité des instructions reçues j'ai l'honneur de soumettre à l'appreciation de V.E. les considérations suivantes ayant trait au régime des boutres susdits.

Les propositions faites par l'ambassade impériale ottomane à Rome au Ministère royal des affaires étrangères par la note du 11 septembre 1902 relativement au traitement des boutres n'ont pas été acceptées par le Gouvemement royal, ainsi qu'il ressort de sa réponse datée du 20 septembre de la mème année à l'ambassade impériale.

Dans cette reponse il est dit notamment: «Ces propositions étant identiques dans le fond à celles qui ont formé l'objet en mai demier d'une communication analogue de S.E. Tewfik pacha à l'ambassade royale à Costantinople, et que cette demière, conformément à ses instructions, a declaré alors ne pouvoir ètre adoptées par le Gouvemement royal comme base de l'accord dont il s'agit, le Département royal des affaires étrangères, en rémerciant l'ambassade impériale de son obligeante communication, a le regret de ne pouvoir que confirmer dans cette occasion la déclaration dans le sens susindiqué, verbalement faite, en son temps, à la Sublime Porte par le marquis Carlotti». Le chargé d'affaire d'Italie à Costantinople avait en effet déclaré -au mois de juin 1902 -à S.E. Tewfik pacha que les dites propositions étaient inacceptables par le Gouvemement royal. Au mois de novembre 1902 une entente verbale avait lieu entre M. Prinetti, ministre des affaires étrangères, et S.E. Rechid bey, dont voici la teneur: «Le traitement des sambouks italiens dans !es ports ottomans sera désormais réglé en voie de fait et sans engagement de part et d'autre d'après les énonciations contenues dans la communication récente de l'ambassade impériale et en tout cas sur le pied de tout autre pavillon qui dans les circonstances analogues serait le plus favorisé».

Ce modus vivendi non seulement a été le seui accepté par les deux Gouvemements, mais la Sublime Porte, saisie des obligations que de ce chef elle se reconnaissait, par devers le Gouvemement royal, pour eviter à l'avenir toute action pouvant donner lieu à de nouveaux incidents entre les deux Gouvemements, ne manqua pas de donner à ses autorités locales des ordres rigoureux pour que dans aucune occasion et sous aucun prétexte, soit dans la mer libre, soit dans les eaux territoriales, les boutres italiens ne pussent ètre ni visités ni arrètés par !es croiseurs ou par les autorités impériales.

Ces ordres, donnés par la Sublime Porte aux autorités locales de la Mer Rouge, précédés de longues négociations entre !es deux Gouvemements, pendant lesquelles notre point de vue demeura clair et immuable, ne peuvent, par conséquent, ètre considerés que comme le corollaire immédiat et nécessaire des négociations qui les ont provoqués.

On chercerait en vain, en effet, de soustraire ces ordres aux contingences spéciales à la suite desquelles la Sublime Porte !es édicta.

On ne saurait, d'ailleurs, reconnaìtre à tels ordres le caractère de res interna corporis, puisque communication en fut donnée, en 1905, par l'autorité locale au consul général de Sa Majesté à Hodeida, à sa requète.

Cette communication ne peut que faire ressortir le lien indissoluble qui existe entre !es ordres susdits et l'accord verbal entre les deux Gouvemements. Par le fait mème de cette communication, car sans ça on ne saurait pas comprendre la portée de celle démarche, ces ordres ont acquis la force d'une vraie et propre obligation, dont se dégage le caractère contractuel du régime appliqué jusqu'ici aux boutres italiens, et à laquelle nous ne saurions pas voir comment le Gouvemement impérial pourrait se soustraire.

Tels ordres ont déterminé l'état de fait qui s'est établi depuis huit ans et auquel visait l'accord verbale de 1902.

De cet état de fait dont je viens de rappeler l'origine contractuelle, découle en notre faveur un état de droit, dont on ne saurait contester la portée. Etant donné cet état de droit, je pourrais me passer d'exposer à V. E. le point de vue du Gouvemement royal au sujet de l'interpretation donnée par la Sublime Porte au règlement douanier de 1863.

Néanmoins dans mon désir de ne laisser subsister le moindre doute sur le bien-fondé de notre attitude au sujet du régime des boutres italiens dans la Mer Rouge, je dois observer comme le Gouvemement impérial ne parait pas, dans son argumentation, faire de différence entre la procédure à suivre en cas de contrebande avérée et les moyens par lesquels ont peut constater la contrebande mème.

Dans la note du 6 avril VE. affirme l'impossibilité dans laquelle se trouverait MM. les commandants d es croiseurs ottomans de constater la con tre bande si o n n' admettait pas leur droit de visite sur !es boutres supçonnés.

Cette argumentation sort, évidemment, du domaine de la question qui se débat, laquelle n'est point de savoir par quels moyens MM. !es commandants des croiseurs ottomans peuvent se prendre pour constater la contrebande, mais d'établir s'ils ont ou non, à l'état actuel du droit intemational conventionnel et coùtumier, le droit de visite sur !es biìtiments étrangers.

Or ce droit, contraire en tout point à la lettre et à l'esprit des traités en vigueur entre l'Empire ottoman et !es Puissances, non seulement n'est point admis par le règlement douanier de 1863, mais le règlement de 1892, qui statuait sur ce point, fut jugé contraire aux intérèts des Puissances et ne fut pas par elles accépté.

Ni, à soutien de la thèse de la Sublime Porte, peut-on avoir recours à l'Acte général de Bruxelles, cité par V.E., car à l'artide 42 de cet Acte, où il est question de l'arrèt des biìtiments suspects, il est textuellement ajouté: «Le présent artide n'implique aucun changement à l'état de choses actuel en ce qui concerne !es eaux territoriales».

L'artide 45 du mème Acte général établit aussi que «la visite ne peut avoir lieu qu'à l'égard des biìtiments naviguant sous le pavillon d'une des Puissances qui ont condu ou viendraient à conclure !es conventions particulières visées à l'article 22».

Or, aucune convention particulière à cet égard n'existant entre l'Empire ottoman et l'ltalie, il est évident que l' Acte général de Bruxelles ne peut vraisemblablement ètre invoqué dans notre cas.

Le Gouvemement royal, qui ne pourrait adopter, sans préjudice des intérèts qui lui ont confiés, d'autres vues que celles jusqu'ici immuablement maintenues, se plaìt donc à espérer que la Sublime Porte voudra bien reconnaìtre le bien-fondé de nos argumentations et se rallier à notre proposition qui est celle du maintien du statu quo crée par l'état de choses etabli par l'accord verbal de 1902 et par les ordres de la Sublime Porte qui en fut le corollaire.

179 1 R. 9323/935 e R. 3547/984, non pubblicati.

180

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1682/448. Londra, 21 settembre 1911 (per. il 27).

Ho l'onore di rispondere al dispaccio n. 113 (Div. III, Sez. I, pos. 4) del 6 corrente1 .

Al Foreign Office, dove la cosa è stata chiarita colla dovuta riservatezza, ammettono che il riconoscimento della Repubblica portoghese da parte del Governo francese, subito dopo l'elezione a presidente del signor Arri~ga nonostante l'intesa intervenuta tra alcuni Governi interessati per un'azione concorde e simultanea in proposito, è la conseguenza di un equivoco, del quale sarebbe da trovarsi la spiegazione nella circostanza che in questo momento l'attenzione del Quai d'Orsay è tutta concentrata nella faccenda marocchina.

Questa è, direi così, la versione ufficiale della cosa. Vi sono infatti persone bene informate, le quali pensano che la decisione del Governo della Repubblica sia stata influenzata da simpatie di fratellanza repubblicana e da pressioni di circoli interessati.

180 1 Non pubblicato.

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, A CAVOUR

T. S.N. Roma, 22 settembre 1911, ore 11,45.

Telegramma del console a Tripoli insiste esservi pericolo colonia, di cui alcuni già partiti, altri partiranno per Malta.

In precedenti telegrammi egli aveva già espresso il timore che arrivo da Tripoli del piroscafo ottomano «Derna» con armi e munizioni, possa essere causa occasionale pericolo connazionali.

Detto piroscafo, già partito per Tripoli da Costantinopoli.

Spingardi, qui presente, crede al pari di me, che sarebbe necessario impedire arrivo Tripoli del detto piroscafo e di ogni altro che Turchia credesse mandarvi con rinforzi di ogni genere. Se tu autorizzi provvederemo subito in tal senso; penserò poi io a trovare giustificazioni dal punto di vista del diritto internazionale e della politica estera.

Situazione tesa attuale non può durare senza gravi inconvenienti politica estera. Inoltre Spingardi teme che ogni indugio renda più forte resistenza turca in Tripolitania.

Essendo inevitabile azione militare, urge affrettarla. Panni potremo fin d'ora autorizzare ministro guerra e marina a prendere tutti i provvedimenti che con ponderato giudizio reputano necessari per assicurarne il successo1•

182

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO 4580/306. Londra, 22 settembre 1911, ore 15,52 (per. ore 17,45).

Nei recenti contratti stipulati da ufficiali inglesi al servizio di potenze estere è stato definitivamente stabilito che in caso di guerra tra quella potenza e qualsiasi altra il contratto è rescisso.

181 1 Per la risposta cfr. n. 186.

183

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. CONFIDENZIALE 4599/307. Londra, 22 settembre 1922, ore 15,52 (per. ore 19, 15).

Cambon mi disse ieri risultargli che linguaggio nostra stampa ha generato vero panico Costantinopoli donde sono partiti ordini agli ambasciatori di Turchia indagare quali comunicazioni vennero fatte dall'Italia ai Gabinetti e quali accoglienze esse ebbero. Cambon si mostrava alquanto preoccupato per tendenze giovani turchi che spingono vacillante Governo a propositi bellicosi data impossibilità materiale efficace resistenza causa deficienza marina ottomana feci osservare Cambon che tendenza bellicosa Turchia diminuirebbe a mio avviso sensibilmente se Grandi Potenze concordemente dimostrassero Turchia vanità ogni resistenza e le consigliassero rassegnarsi davanti all'inevitabile. Convenendo in tali vedute replicò Cambon avere ogni motivo ritenere che Inghilterra ci è favorevole e che nemmeno dall'AustriaUngheria abbiamo da temere serie difficoltà. Francia intende osservare verso noi contegno pienamente conforme accordo esistente ciò non solo nel campo politico ma anche in quello economico. In tale ordine di idee De Selves gli ha privatamente scritto che avendo saputo che alcune case francesi si preparavano concorrere per l'aggiudicazione porto Tripoli di Barberia, egli ha fatto loro pervenire amichevoli consigli astenersi. Unica incognita ad impressionare Cambon rimarrebbe Germania la quale più ogni altra potenza è ora in grado di esercitare a Costantinopoli salutare influenza in senso pacifico a Cambon non sembra in tale condizione probabile pacifica acquiescenza turca fino a tanto che Sublime Porta riterrà poter sperare in un palese o velato appoggio Germania. Cambon mi disse poscia se Governo del re aveva iniziato conversazione con Turchia se vi erano grosse questioni aperte eccetera. Risposi che di tutto ciò nulla io sapevo. Per quanto mi concerne essendomi sin ora limitato solamente rettificare qui inesattezze rilevate nei giornali nostri e soprattutto esteri su pretesa proposito attribuito al Governo del re. Collega accenno poi vagamente a speranza in un mutamento di contegno da parte Turchia e mi domandò se sulla questione tripolina io ritenevo genuine concorde movimento opinione pubblica che deve fatalmente imbarazzare il nostro come imbarazzerebbe qualunque altro governo in caso analogo. Replicai sembrarmi nazione reclami ora quasi unanimemente regolamento definitivo questione tripolina. Per quanto mi è possibile giudicare da lontano movimento opinione pubblica italiana parermi determinato da due considerazioni precipue. Stanchezza indignazione per intollerabile contegno Turchia che non ha voluto mai apprezzare nostra longanimità capire lealtà nostre intenzioni ed intuire che suo interesse vitale consigliava facilitare nostra pacifica espansione come agevolare a danno quella di altre potenze in altre regioni. Sfiducia completa basata esperienza veracità promesse turche. Tutto ciò a prescindere dalla inevitabile ripercussione che sull'opinione pubblica italiana non può non esercitare probabile prospettiva della sistemazione generale questione africana, mediterranea favore Francia Spagna. Incidente marocchino è stato pertanto a mio avviso goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo. Cambon riconobbe fondamento miei argomenti osservando che stante mancanza di una marina resistenza Turchia non potrebbe in definitiva essere mai molto efficace e così concluse ci avviamo fatalmente aprire una nuova questione. Al che replicai che se ciò avverrà causa dovrà attribuirsi non all'Italia ma in gran parte Turchia e in parte anche alle potenze che hanno dato carattere di attualità questione Marocco.

Mi ha fatto piacere aver da Cambon conferma amichevole disposizione inglese. Ho creduto parlare con lui con maggiore franchezza essendomi accorto che egli era stato informato dei miei colloqui con Grey e Nicolson.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. RISERVATISSIMO 2219. Roma, 22 settembre 1911, ore 17.

Dalla r. ambasciata in Washington ricevo notizia telegrafica che la nave americana «Chester» è partita jeri mattina per Tripoli. Come è noto, quella nave si reca colà per la protezione dei cittadini americani componenti una missione archeologica, un membro della quale fu qualche tempo fa vittima di un assassinio.

In vista di prossimi eventi, prego l'E.V. di voler dare al comandante delle forze navali che salperanno per le acque della Tripolitania, le più precise istruzioni di intrattenere, in ogni congiuntura, le più cordiali relazioni col comandante della nave americana, e di prestargli, occorrendo, il suo appoggio.

185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. PERSONALE 3578. Roma, 22 settembre 1911, ore 17.

Prego V.E. evitare possibilmente di parlare per ora con codesto Governo della questione di Tripoli. Qualora V.E. sia di diverso avviso prego telegrafarmene le ragioni1•

Prego V.E. non allontanarsi dalla sua residenza senza speciale autorizzazione.

Per norma eventuale di linguaggio la informo che due rr. navi si recano in Sicilia non già per operare uno sbarco in Tripolitania, ma per proteggere nostri connazionali residenti in Turchia la sicurezza dei quali, secondo notizie ricevute dai rr. consoli, desta qualche preoccupazione.

185 1 Per la risposta da Berlino cfr. n. 199.

186

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

Cavour, 22 settembre 191I, ore 17,10 (per. ore 18,47).

Decifra da te. Già mio telegramma stamane riconosceva necessità impedire che a Tripoli giungano altri soldati e armi e convenienza a mandare navi da guerra tutela nostra colonia colà. Penserai tu a trovare ragione di tale provvedimento che confermo ritenere necessario. Telegrafo ministro della guerra. Sarò a Roma posdomam.

187

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. 4600/246. Tripoli, 22 settembre 1911, ore 18,20 (per. ore 21,50).

Giornale arabo Tarachi rileva unanimità stampa italiana nel chiedere occupazione di Tripoli. Dice delle riunioni già segnalate *ali 'E.v.., e dei telegrammi inviati a Costantinopoli dei quali ho comunicato il contenuto. Riconosce necessità dell'Italia di allargare propri confini, ma assicura che arabi sono decisi difendere loro territorio fino ultimo sangue. Aggiunge che l'Italia non potrà mandare qui che cinquantamila uomini mentre in Tripolitania vi sono centocinquantamila uomini atti alle armi, che impresa è impossibile per l'Italia, che essa preparerà tristi momenti per gli altri possedimenti europei n eli' Africa musulmana, dando il segno di una lotta fra la Croce e la Mezzaluna. Riporta articoli più allarmanti dei giornali italiani, ma riferisce

pure che Tribuna, indicata come giornale ufficioso, smentisce tutto ciò che si stampa negli altri giornali.

Fui jeri dal reggente vilayet che mi ha assicurato di ripetere quotidianamente ordini severi alla polizia per il mantenimento ordine pubblico che, secondo lui, non sarebbe stato turbato. Diceva ignorare ancora incidente arabi. *Situazione per ora immutata. Telegrafo quanto precede al r. ambasciatore.*

186 1 Risponde al n. 181.

187 1 Il telegramma è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi, da GALLI, Diarii, pp. 74-75, con l'aggiunta del seguente commento: «Fo finta di credere».

188

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, A CAVOUR

T. RISERVATISSIMO S.N. Roma, 22 settembre 1911, ore 19,25.

I Governi tedesco ed austriaco hanno espresso il desiderio di affrettare la rinnovazione della Triplice Alleanza senza modificazioni. Sebbene possa essere desiderabile ritardare alquanto nostra risposta, tuttavia per il caso che da un momento all'altro, *e prima del tuo ritorno o di poterti telegrafare,. possa, anche in visita della questione di Tripoli, diventare inevitabile ed improrogabile una risposta panni che io debba darla in massima affermativa.

Prego telegrafarmi subito.

Io telegrafo in pari data nello stesso senso a S.M. il Re 1•

189

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

D. I Roma, 22 settembre 1911.

Come gia ho detto a V.E. in precedenti dispacci, telegrammi e lettere particolari, la questione della Tripolitania va sempre diventando più grave e più critica.

V.E. non ignora che da anni la politica italiana ha avuto per obbietto d'impedire che la Tripolitania cada in mano di una potenza europea, e, con questo scopo, di cui niuno può disconoscere l'importanza di primo ordine pel nostro paese, è stata inserita una clausola apposita nel trattato della Triplice Alleanza e sono stati stipulati i noti accordi tra l'Italia da una parte, e la Francia e l'Inghilterra dall'altra.

Noi non avevamo però, stipulando quegli accordi, alcuna impazienza d'impadronirci di quella regione; ci bastava che non corresse pericolo di diventare d'altri il giorno in cui non avrebbe potuto più essere turca, e ci bastava altresì che restando turca, potessimo nel frattempo svilupparvi i nostri interessi economici e la nostra pacifica influenza.

Non è vero che noi abbiamo mai voluto un monopolio economico; non è vero che abbiamo mai preteso che la Tripolitania e la Cirenaica venissero chiuse alle imprese economiche altrui. A noi bastava che, realmente, sinceramente, imparzialmente, la Turchia avesse trattata l'attività economica italiana alla pari di quella delle altre nazioni. Data questa vera ed effettiva parità formale, ne sarebbe venuta la nostra preponderanza di fatto, visto che niuna potenza ha l'interesse, che abbiamo noi, ad intensificare colà la propria operosità economica. Avremmo, in tal guisa, assicurata per l'avvenire la nostra egemonia in Tripolitania, e non avremmo avuto alcun interesse ad affrettare il giorno d'impradronircene, perché avremmo avuto, !asciandola alla Turchia, tutti i vantaggi senza gli oneri e i rischi. E la Turchia tutto avrebbe avuto da guadagnare da questo stato di cose, che ci avrebbe cointeressati a mantenere la sua integrità in Africa, come vi siamo cointeressati in Europa. E difatti, V.E. non ignora che abbiamo tutelati gli interessi della Turchia nelle trattative e negli accordi segreti colla Francia e colla Gran Brettagna relativi ai confini della Tripolitania e della Cirenaica. A questi principi e a questi intenti, io ho ispirato non soltanto le mie dichiarazioni in Parlamento, ma anche i miei atti: ho, infatti, appena chiamato a dirigere il Ministero degli esteri, assunto subito, nella questione di Creta e in ogni altra, un atteggiamento molto favorevole alla Turchia, e ho portato nella soluzione dei frequenti incidenti uno spirito di conciliazione, che risponde ai fini della politica generale della Triplice Alleanza verso la Turchia, e che però ha molto indebolito la mia posizione personale di fronte al Parlamento ed al Paese, ma né gli attacchi della stampa e dei deputati, né alcun sentimento d'egoismo o d'amor proprio mi hanno fatto rinunziare alla politica d'amicizia e di conciliazione verso la Turchia, finché ho conservato un filo di speranza che essa non riescisse sterile nello interesse del nostro Paese, dei buoni rapporti italo-turchi, e dell'identità di attitudine delle tre potenze alleate.

Così si è visto anche nella questione d'Albania, nella quale il linguaggio e gli atti del Governo furono ispirati a tale deferenza ed amicizia verso la Turchia che, nei provvedimenti presi contro i comitati albanofili e nelle espulsioni di patriotti albanesi dal Regno, tanto il presidente del Consiglio quanto io siamo stati accusati, sebbene a torto, d'aver derogato a quei principii liberali, che formano la gloria e la forza dell'Italia e l'essenza del programma del Ministero attuale.

Questi, che io le ricordo, sono fatti incontestabili, e certo V.E. saprà valersene nel tempo e nel modo che reputerà opportuni, nei suoi colloqui con codeste sfere dirigenti.

Or bene di questa politica così amichevole verso la Turchia, quale è stato il frutto? Ora dissimulata, ora aperta, l'ostilità della Turchia ad ogni nostra legittima attività economica in Tripolitania è stata costante ed invincibile. Invano, sin dall'autunno scorso, prima anche, ho con frequenti dispacci, telegrammi, conversazioni cogli ambasciatori di Turchia e d'altre potenze, preveduto e manifestato i pericoli cui la Turchia andava incontro perseverando in tale politica. Si è forse creduto che fossero vane minaccie quelle che non erano né minaccie né vane, ma erano in quella vece giuste e veridiche previsioni. Più volte ho fatto sapere ai nostri alleati e alla Turchia che a poco a poco l'eccitazione dello spirito pubblico in Italia sarebbe giunto a tale da rendere un conflitto inevitabile ed una azione risolutiva improrogabile. La Turchia ha persistito nel suo ostruzionismo: gl'incidenti si sono moltiplicati: alla Camera e nella stampa io ho cercato di attenuarli, ma la loro frequenza era prova irrefutabile d'un sistematico disegno di ostacolare la nostra attività economica e pacifica, e, com'era da prevedere, finalmente l'irritazione generale in Italia divenne tale che non si è mai vista una così completa unanimità nel nostro paese come in questa questione ed in questo momento, salvo poche voci discordi, e queste stesse non sul nostro diritto, che tutti riconoscono violato, né sulla nostra dignità, che tutti riconoscono offesa, ma sui mezzi migliori per sostenere il diritto e porre fine alle offese.

Tale sentimento generale ha naturalmente trovato e trova espressione adeguata nel linguaggio della stampa italiana, che, conosciuto in Turchia, vi ha pure naturalmente rafforzato irrevocabilmente i propositi ostili ai nostri interessi in Tripolitania e reso praticamente impossibile la nostra attività economica in quella provincia, alla quale è ugualmente impossibile che l 'Italia rinunzi.

Da tali impossibilità scaturisce pure l'impossibilità di mantenere buoni rapporti tra l 'Italia e la Turchia finché rimane tra i due Paesi questo perno di discordia.

E tale impossibilità significa per noi l'impossibilità non meno assoluta di seguire verso la Turchia quella politica amichevole che seguono verso di essa i nostri alleati e che è interesse loro e nostro che possa essere seguita anche da noi.

Da queste premesse deriva, per logica necessità, una conseguenza molto chiara ed evidente, cioè che è interesse nostro e dei nostri alleati, e, per quanto possa parere un paradosso, anche della Turchia stessa, che la questione di Tripolitania venga tolta di mezzo. E in qual modo? Dato lo stato degli animi in Turchia, che potrà, per evidenti ragioni, aggravarsi, ma non mai mutare in senso sinceramente favorevole, appare chiaro che un solo modo è oggi praticamente possibile: assicurare all'Italia la direzione effettiva del governo e dell'amministrazione della Tripolitania e Cirenaica.

Assicurato questo, non è vero che gli interessi economici d'altri paesi possano soffrime, perché anzi cesserebbero del tutto quei motivi politici d'esser gelosi dell'attività economica altrui, i quali possono sussistere nell'animo di molti italiani finché permane il sospetto che essa possa costituire un futuro pericolo politico per l'Italia e per la sua posizione nel Mediterraneo. Finché la Tripolitania resta turca, finché perciò i nostri interessi colà sono in balìa della Turchia, che li osteggerà sempre più, quanto più sarà o si crederà forte, non è possibile una amicizia sincera italo-turca, non è possibile una politica concorde della Triplice Alleanza verso la Turchia, ma la forza delle cose ci costringerà ad un contegno diverso da quello dei nostri alleati verso la Turchia, e talora opposto. È superfluo esporle tutti i pericoli di

235 questo stato di cose, indipendente dalla nostra volontà, anzi ad essa contrario, e tale da rischiare di rendere vana la nostra partecipazione alla Triplice Alleanza appunto in quella questione d'Oriente nella quale è più che in ogni altra necessario che essa sia concorde e compatta, e che tutta l'azione nostra e dei nostri alleati, e sopratutto l'azione nostra e dell'Austria, sia il più possible identica.

Questo stato di cose sarà aggravato dallo imminente accordo franco-tedesco. Esso darà politicamente mano libera alla Francia nel Marocco, e perciò può diminuire o venir meno l'interesse della Francia a mantenere gli accordi del 1902 coll'Italia relativi appunto al Marocco ed alla Tripolitania. Per mantenerli e per non crearci ostacoli in Tripolitania, essa vorrà farsi pagare, cioè ci richiederà atti di condiscendenza in altre questioni, e se, nelle possibili sue divergenze coi nostri alleati, noi parteggeremo troppo per questi, ci minaccerà di denunziare l'accordo, così che, dopo risoluta la questione del Marocco, se non sarà risoluta anche quella della Tripolitania, noi saremo costretti «a giri di walzem anche più accentuati di quelli, che ci furono rimproverati in passato. Ora, pur mantenendo buoni rapporti colla Francia, io credo cattiva la politica dei «giri di walzem, e credo che una più salda e costante intimità e concordia d'intenti e d'opere coi nostri alleati debba costituire la base della nostra politica estera. Questa pur troppo non è possibile se non viene tolta di mezzo la questione di Tripolitania.

Così, a mio vedere, si delinea, con evidente chiarezza, la situazione.

Giunto a questo punto del mio ragionamento, V.E. mi chiederà naturalmente: che cosa ha dunque deciso il R. Governo? Che cosa farà? Come risolverà la questione di Tripoli?

Non posso rispondere adesso a questa domanda; le decisioni del Governo dipenderanno da cause diverse, ma, quali che esse siano, se saranno di natura da riescire molto sgradite alla Turchia, a me pare, qualora V.E. non sia di diverso avviso, che i nostri alleati gradiranno di non esserne prevenuti, come la Germania gradì di non essere prevenuta dall'Austria dell'intenzione di procedere all'annessione della Bosnia ed Erzegovina. Tale modus procedendi mi pare, in siffatta ipotesi, quello che meglio li metterà in grado di non raffreddare né l'amicizia dell'Italia, né quella della Turchia verso di loro, e di ispirarsi, senza danno dei loro interessi in Oriente, allo spirito dell'alleanza la quale subirà, per effetto della questione di Tripoli, la prova del fuoco, dalla quale dipende dai nostri alleati che esca o saldamente temprata e rafforzata, o irrimediabilmente scossa ed indebolita.

E di fronte all'agitazione dei partiti sovversivi italiani contro una nostra eventuale azione militare in Tripolitania e ai sentimenti che animano oggi in questa questione l'esercito e l'armata e tutti quei fattori politici che rendono salda, viva e fattiva la nostra partecipazione alla Triplice Alleanza, usciranno rafforzati dal successo e dall'amichevole contegno dei nostri alleati quei principj, quei sentimenti e quei coefficienti sociali, politici e morali il cui prestigio e la cui forza devono stare a cuore, per solidarietà e ripercussione di tendenze, di principj, di tradizioni e di effetti ai sovrani ed ai Governi di Germania o d'Austria.

Le considerazioni esposte sin qui, e tutte quelle altre, che nel suo senno illuminato, V.E. potrà escogitare, saranno senza dubbio fatte valere da V.E. al momento opportuno e nei modi che le circostanze consiglieranno. Per ora, a me pare, è nostro interesse non parlare affatto della questione di Tripoli ed evitare possibilmente che altri ce ne parli. Qualora V.E. sia, su questo punto delicato, di diverso avviso, la prego di telegrafarmelo, indicandomene le ragioni.

La prego pure di avvisarmi per telegrafo ricevimento di questo dispaccio riassumendo il suo giudizio sulle considerazioni, che vi sono svolte, le previsioni sull'eventuale attegiamento di codesto Governo e sulla misura nella quale V.E. crede che le ragioni da me addotte possano essere costì giudicate giuste e convincenti2.

188 1 T. s.n., pari a data, redatto con l'omissione del brano fra asterischi e con la seguente variante dopo il primo paragrafo: «Aspetto in proposito gli ordini di Vostra Maestà. Io telegrafo nello stesso senso al presidente del Consiglio». Con T. s.n. del 23 settembre, non pubblicato, il re rispose dichiarandosi dello stesso avviso di San Giuliano ed esprimendo meraviglia per la simultaneità del passo degli alleati in quel momento. Per la risposta di Giolitti cfr. n. 195.

189 1 Inviato con il n. 13 a Berlino e con il n. 29 a Vienna.

190

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

D. 30. Roma, 22 settembre 1911.

Come già ebbi a dirle, nessuno oggi può prevedere se, quando ed in quali forme l'Italia verrà in possesso della Tripolitania, ma ho già fatto notare a V.E. nella mia lettera del 16 corrente n. 281 , nel mio telegramma del 18 corrente n. 3521 2 ed in altre comunicazioni, come e perché se il R. Governo dovesse prendere tale decisione, gli interessi della Gran Brettagna ne sarebbero avvantaggiati.

Certo, è superfluo che io suggerisca a V.E. le ragioni che possono convincerne codesto Governo e codesta opinione pubblica, ma, a quelle, che già le ho esposte, una se ne aggiunge che a me pare di gran valore.

La Turchia va sempre piu perfezionando i suoi ordinamenti militari, ma, anche quali sono oggi essa è in grado di attaccare dalla Palestina il canale di Suez e l'Egitto, con forze molto maggiori e per certi rispetti anche migliori delle forze di terra che vi può contrapporre l'Inghilterra. È evidente, dunque per l'Inghilterra, l'interesse ad evitare che la Turchia possa attaccare l'Egitto anche dal lato opposto, cioè dal lato della Cirenaica, obbligandola a distrarre dal canale di Suez e dalla penisola del Sinai, una parte della truppe destinate a fronteggiare l'azione militare turca proveniente da Oriente. Certo non giova all'Inghilterra che l'Egitto sia da due parti opposte limitrofe alla Turchia, e che i senussi possano, spinti ed aiutati dalla Turchia, molestarle dal sud-ovest. Sostituire da un lato, come vicina dell'Egitto, l'Italia alla Turchia, é nell'interesse evidentissimo dell'Inghilterra.

In Inghilterra si ha piena coscienza del pericolo che al canale di Suez ed all'Egitto può derivare da un'azione militare turca; io mi trovavo arpunto in Inghilterra quando sorse l'incidente di Akaba, e la stampa non mancò di mettere in evidenza tutta l 'importanza strategica della penisola del Sinai per la difesa del canale di Suez e dell'Egitto. Certo, per quanto sia [ ... p non sarebbe difeso sufficientemente,

2 Cfr. n. 170.

3 Lacuna del documento.

né si può fare, come alcuni scrittori allora sostennero, assegnamento sulla flotta inglese, sia perché l'invasione si può fare per vie interne, sia perché probabilmente un attacco della Turchia contro il canale e l'Egitto non avverrebbe che in una guerra generale in cui la flotta inglese o sarebbe impegnata fuori del Mediterraneo o anche nel Mediterraneo potrebbe avere avversari terribili.

Riassumendo, a me pare che l'interesse della Gran Brettagna a far sì che l'Egitto confini colla Turchia da un solo lato anziché da due, mi pare evidente, e non meno evidente l'interesse suo ad avere da un lato come limitrofa una potenza europea che avrebbe l'interesse ed il modo di opporsi al pari di lei all'eventuale risveglio panislamico. Verrebbe dalla nostra occupazione assai indebolito il potere ed il prestigio del sultano di Stambul come califfo, e precluso all'Islam africano ogni rapporto diretto con esso ed ogni via di rifornimento di armi e munizioni.

Non mancherà certo a V.E. il modo di far valere eventualmente al momento opportuno queste ed altre considerazioni. Mi limiterò soltanto a ripetere che in Inghilterra non basta convincere il Governo e le sfere dirigenti, ma anche l'opinione pubblica, e perciò i direttori dei più autorevoli giornali politici.

189 2 Le risposte non sono state rinvenute. Sull'argomento si veda il n. \99.

190 1 Non pubblicata.

191

[IL CONSOLE GENERALE A TRIESTE, THAON DI REVEL,]l AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 7803/671. Trieste, 22 settembre 1911 (per. il 26).

Ho l'onore di portare a conoscenza di V.E. che domenica 24 corrente, avrà luogo in Trieste un convegno interregionale degli studenti italiani. Scopo precipuo di tale congresso è la costituzione di una federazione tra le società studentesche di queste regioni.

Notevole è il passo che nell'ora presente compie questa gioventù italiana che fino a ieri divisa, in disordinate coorti, si accinge oggi ad organizzarsi e a disciplinarsi per meglio riuscire nel comune fine di ottenere un centro proprio di cultura nazionale. Nell'ordine del giorno del congresso in parola non si accenna soltanto alla costituenda confederazione, ma bensì anche alla questione universitaria che stavolta assume una importanza assai grande sia per il voto che farà seguito alla discussione che su di essa sarà aperta e che esprimerà i desiderata della effettiva maggioranza, sia pure per le sorprese che la discussione stessa potrà procurare dovendosi altresì trattare in merito alla proposta degli studenti del Trentino, i quali col grido «tutti nel Regno» vorrebbero, con gesto sdegnato e generoso ad un tempo, invadere le nostre scuole in Italia per poi presentarsi nell'Impero muniti di diplomi che a loro giudizio dovrebbero essere riconosciuti dal Governo austriaco. Sembra, invero, ovvio dimo

191 Il rapporto è privo di firma; il giorno successivo firma il reggente Paternò.

238 strare tutta la improntitudine di tale proposta. Questo assenteismo della parte migliore della gioventù italiana non potrebbe se non essere di effetto esiziale per le conquiste intellettuali e sociali cui essa aspira. Il terreno ceduto oggi alle altre nazionalità, che persisterebbero colla consueta loro energia nella tenace penetrazione così fortemente iniziata in queste regioni, non verrebbe più riconquistato.

Questa seconda parte del programma del prossimo congresso, avversata come è dalle classi dirigenti del partito liberale di Trieste, darà con tutta probabilità luogo ad interessanti contradditori dai quali scaturirà forse una decisione che rappresentando comunità di interessi e di aspirazioni riuscirà a conferire alla nuova federazione serietà e costanza di propositi.

Non mancherò di riferire a V.E circa l'esito del congresso, limitandomi, naturalmente, a segnalare quanto possa offrire un interesse di qualche rilievo.

192

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

L. Roma, 22 settembre 1911.

Tutto ciò che ha detto il ministro della guerra turco al nostro addetto militare è uno dei soliti vecchi e sfatati tranelli turchi.

Sarebbe pericoloso ritardare e pericoloso pure il credere che la resistenza militare turca non sarà seria. Guai a chi disprezza il nemico!

193

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. PERSONALE 599. Roma, 23 settembre 1911, ore 2.

Suo telegramma n. 1961• Ho appreso con vivo compiacimento che KiderlenWaechter abbia posto spontaneamente questione rinnovazione Triplice Alleanza. È evidente che non posso dare una risposta in merito subito senza aver ricevuto prima sua lettera particolare annunziatami e conferito poi con il presidente del Consiglio e presi gli ordini di Sua Maestà. Presentandosi l'opportunità V.E. potrà esprimersi con Kiderlen-Waechter in questo senso in guisa da produrre su di lui l 'impressione che in massima il R. Governo è favorevolmente disposto. Una volta che V.E. si sarà espresso in questo senso io sarei d'avviso che V.E. evitasse fino a nuove mie

239 istruzioni di parlare della rinnovazione della Triplice Alleanza e della questione tripolina. Se V.E. fosse di diverso avviso prego telegrafarmi indicandomene il motivo. Qualora poi sia per iniziativa di Kiderlen-Waechter o per altro motivo ella non potrà esimersi senza inconvenienti dall'avere conversazioni in tali argomenti

V.E. potrà, se lo crede opportuno, esprimersi nel senso seguente: non essere autorizzato ancora a fare alcuna comunicazione tuttavia crede poter prendere su di sé la responsabilità di confidargli che sa essere io personalmente favorevole ad assecondare il desiderio di codesto Governo di rinnovare fin d'ora la Triplice Alleanza purché prima si sia o risoluta la questione di Tripoli che diventa ogni giorno più acuta o acquistato da noi la sicurezza che per la pronta risoluzione di essa in senso favorevole ai nostri interessi non incontreremo difficoltà da parte dei nostri alleati, difficoltà che renderebbe opinione pubblica contraria al rinnovamento. Aggiungo per informazione personale di V.E., che le ho spedito un dispaccio in cui sono svolte le ragioni che a parer mio dimostrano l'evidenza che la nostra partecipazione alla Triplice sarà più intima e l'alleanza diverrà più salda dopo soluzione favorevole della questione tripolina2 . Egualmente per opportuna informazione di V.E. aggiungo che, pur personalmente convinto della utilità di procedere fino da ora al rinnovamento della Triplice, occorre da una parte la massima segretezza e dall'altra un abile temporeggiamento e ciò per impedire che Francia ed Inghilterra con possibili erronee interpretazioni non assumano nella questione tripolina un contegno meno favorevole ai nostri interessi il che incoraggerebbe la Turchia e prolungherebbe la crisi e ciò non gioverebbe neanche ai nostri alleati. Prego inoltre V.E. di telegrafarmi il suo pensiero sopra i seguenti quesiti: «l) Esiste o no una ragione recondita che possa aver determinato codesto Gabinetto a metter ora sul tappeto la questione del rinnovamento? 2) Conviene o no chiedere modificazioni del trattato e nel caso affermativo quali? 3) Conviene o no in questo momento ed in rapporto al rinnovamento della Triplice annunziare la nostra intenzione di agire in Tripolitania e Cirenaica oppure aspettare ad annunziarlo che tale azione sia iniziata o stia per iniziarsi? 4) Nel caso che ella giudichi di dover parlare di queste nostre intenzioni, conviene o no avanzare subito l'idea di sottoporre il rinnovamento della Triplice alla condizione che non ci creino ora difficoltà?».

Infine le comunico il seguente telegramma di Avarna in data 20 settembre: «Aehrenthal ... quello stesso senso a P ansa» (come nel telegramma in arrivo

n. 4557)3 .

Al predetto telegramma ho risposto nei termini seguenti: «Come V.E. vede le mie istruzioni ... della questione tripolina» (come nel telegramma in partenza

n. 3600)4 .

3 T. riservatissimo personale 4557/420: Aehrenthal chiedeva se fosse esatta la notizia che Giolitti e di San Giuliano «si occuperebbero del rinnovamento della Triplice Alleanza e troverebbero che momento era opportuno per rinnovarla alle medesime condizioni», dichiarando la propria disponibilità al riguardo.

4 T. riservatissimo personale del 23 settembre col quale di San Giuliano ritrasmetteva, fra I 'altro, il T. 3599, rivolgendo anche ad Avama gli stessi quesiti e aggiungendo: «Per la verità non è esatto ciò che le ha detto Aehrenthal che da parte nostra si sia pensato ad affrettare la rinnovazione della Triplice Alleanza. La verità è, che essendo la scadenza ancora lontana, noi non ci eravamo finora occupati di

193 1 Cfr. n. 171, nota 2.

193 2 Cfr. n. 189.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 7004. Roma, 23 settembre 1911, ore 2,30.

Il Governo del re ha deciso d'impedire lo sbarco a Tripoli delle armi portate dal piroscafo «Derna» e qualsiasi sbarco a Tripoli o in Cirenaica di rinforzi turchi. Circa il modo ed il luogo dei provvedimenti si lascerà libertà d'azione alle autorità della r. marina. Le comunico ciò per esclusiva informazione di V.S. dovendo ciò naturalmente rimanere segreto. La prego intanto di fare immediatamente codesto Governo la seguente comunicazione: ci risulta esser grave il pericolo per l'incolumità dei nostri connazionali in Tripolitania e Cirenaica a causa sobillazioni di masse ignoranti e fanatiche fatte dagli ufficiali turchi, ulema, emissari del Comitato Unione e Progresso contro l'Italia e gli italiani. Alcune famiglie italiane sentendosi in pericolo si sono già imbarcate per Malta altre s'imbarcheranno domani. In tale situazione il R. Governo considera l'eventuale arrivo in questo momento di piroscafi ottomani in Tripolitania e in Cirenaica recanti truppe, armi o munizioni come estremamente pericoloso pei nostri connazionali perché ecciterebbe maggiormente fanatismo delle masse la cui esplosione improvvisa il Governo ottomano sarebbe anche volendo impotente ad impedire.

195

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

Torino, 23 settembre 1911, ore 12,45 2 .

Decifra da te. Agli alleati la risposta in massima non può essere che affermativa. Non capisco bene la ragione della domanda fatta ora ma certamente non si deve far sorgere diffidenza. Domattina sono Roma3 .

questa questione, ma, non potendo dare risposta concreta e definitiva fino a che non avrò preso gli ordini da Sua Maestà e conferito col presidente del Consiglio, penso che saremo tutti favorevoli alla rinnovazione della Triplice Alleanza alle stesse condizioni purché essa ci faciliti o per lo meno non renda più difficile e non ritardi la pronta decisiva definitiva e favorevole risoluzione della questione tripolina». Per le risposte cfr. nn. 205 e 209.

2 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

3 Con T. Gab. segreto s.n. del 24 settembre, non pubblicato, di San Giuliano comunicava a Berlino e a Vienna il consenso di massima del Governo al rinnovo anticipato e confermava le istruzioni e le richieste del n. 193 (cfr. anche n. 193 nota 4).

195 1 Risponde al n. 188.

196

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLA LEGAZIONE A CETTIGNE, AI CONSOLATI GENERALI AD ALESSANDRIA, BEIRUT, HODEIDA, PIREO, SMIRNE E SALONICCO E AI CONSOLATI AD ALEPPO, CANEA, GERUSALEMME, PORTO SAID, RAGUSA, TREBISONDA E VALONA

T. GAB. RISERVATISSIMO S.N. Roma, 23 settembre 1911, ore 16,40.

Rinnovo istruzioni telegrafare giornalmente esteri guerra marina movimento navi e truppe turche.

197

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 4637/475. Parigi, 23 settembre 1911, ore 18,45 (per. ore 21,40).

In questo momento noto agente mi ha portato copia di un rapporto che l'ambasciatore di Turchia a Berlino ha spedito al gran visir in data 30 agosto. L'ambasciatore dice che, in obbedienza alle istruzioni di Sua Altezza, si è recato da Kiderlen e, in nome dell'amicizia che il Governo imperiale ha tante volte affermato pel Governo ottomano, lo ha pregato di intervenire presso il Governo italiano per distoglierlo dalle sue mire su Tripoli. Il signor Kiderlen ha risposto che egli non sapeva in argomento che quello che avevano pubblicato i giornali, ma che doveva riconoscere che, turbando l'azione francese al Marocco l'equilibrio del Mediterraneo, era naturale che l'Italia, potenza mediterranea per eccellenza non restasse a ciò indifferente e cercasse un compenso che potesse servire da contrappeso alla posizione privilegiata che andava ad acquistare una altra potenza egualmente mediterranea. In queste condizioni la Germania non potrebbe, senza ferire gli interessi vitali della sua alleata, consigliarla a desistere dalla sua attitudine, tanto più che, ove ciò facesse, il Governo italiano potrebbe essere indotto a considerare se non gli convenisse cercare (?) 1 all'infuori della Triplice Alleanza la tutela dei propri interessi. L'ambasciatore di Turchia conclude notando che le dichiarazioni di Kiderlen vengono dopo che da qualche tempo egli si è accorto che nei circoli politici tedeschi non si usa più a suo riguardo quella premura e quella franchezza alle quali egli era abituato e nota anche come ciò contraddica ai sentimenti manifestati dagli stessi circoli in occasione della visita di S.A. il Principe ereditario.

197 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3606. Roma, 23 settembre 1911, ore 20.

Qualora diventino inevitabili nostra azione militare per la Tripolitania e rottura rapporti diplomatici tra Italia e Turchia, sarebbe mia intenzione affidare alla Germania protezione sudditi italiani. Senza parlarne per ora con codesto Governo, prego

V.E. di farmi conoscere se crede che sarà accettata. In caso affermativo, appena avvenuta rottura, potrà far questo passo anche senza aspettare mie ulteriori istruzioni, perché potrebbe esservi urgenza 1 .

199

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4636/200. Berlino, 23 settembre 1911, ore 21,55 (per. ore 1,55 del 24).

Mi riferisco suoi telegrammi 2131 1 e 35782• Come risulta dalla mia corrispondenza io aveva sempre evitato di far qui minima allusione Tripoli e mi proponevo continuare così fino a nuovo ordine. Ma oggi Kiderlen-Waechter mi ha chiamato a sé per intrattenermene. Egli si riferiva oltre che alle notizie dei giornali ad una conversione avuta costà dall'incaricato d'affari Germania con Bollati, il quale gli aveva parlato della nostra intenzione di offrire alla Turchia un compenso pecuniario per la cessione della Tripolitania. Kiderlen mi disse: essendo assolutamente escluso che il Governo giovane turco accetti simile proposta che significherebbe sua immediata caduta si presenta eventualità di una azione militare dell'Italia e di una guerra italo-turca. Ora questa potrebbe avere gravissima ripercussione provocando distacco Creta, nuove sollevazioni albanesi, ribellione dello Yemen e forse una aggressione della Bulgaria col pericolo di un disfacimento dell'Impero ottomano che oltre alle sue imprevedibili conseguenze politiche vi cagionerebbe se non altro una fatale perturbazione interessi economici di tutte le potenze a cominciare dall'Italia. In presenza di questa eventualità vi è luogo a considerare se non vi sarebbe modo di soddisfare per l'avvenire le aspirazioni dell'Italia, la quale deve in prima linea

2 Cfr. n. 185.

garantirsi contro il pericolo che la Tripolitania venga occupata da altra potenza. È noto che la Francia ha già presi certi impegni in questo senso, ma questi impegni potrebbero essere resi più formali e più solenni per modo da rendere certi che nel giorno di una distruzione della Turchia, la Tripolitania apparterrà all'Italia senza nessun compenso a carico si questa. In un tale ordine di idee, il Governo imperiale sarebbe disposto prestarci il suo amichevole appoggio. Risposi a Kiderlen che non conosceva le intenzioni attuali del R. Governo in questo affare, ma a titolo puramente personale gli rappresentai le difficoltà che avevamo incontrate in Tripolitania da parte autorità turche a pregiudizio della nostra legittima espansione economica, eccetera e le circostanze per le quali, in seguito all'imminente insediamento della Francia al Marocco, si era venuta formando in Italia una corrente vivacissima della opinione pubblica nel senso che non poteva più indugiare una definitiva soluzione della questione di Tripoli. In questo momento osservai Francia che ha bisogno della nostra adesione pel Marocco non può sollevarci difficoltà né disdire suoi impegni verso di noi; ma se si rinviasse la soluzione ad un avvenire indefinito, nessuno può prevedere se le nostre relazioni colla vicina Repubblica non potranno ad un dato [momento ?P nuovamente guastarsi per una causa qualunque e allora, malgrado ogni contraria promessa, il pericolo per la Tripolitania potrebbe rinascere tanto più grave per effetto della ingrandita potenza dell'Impero africano francese. Frattanto questa preoccupazione ci obbligava a fare sempre buon viso alla Francia esponendoci talvolta da parte dei nostri alleati al rimprovero dei «giri di valzer» mentre invece, una volta risoluta questione di Tripoli in modo da assicurare equilibrio del Medereneo, la nostra posizione nella Triplice Alleanza diventerebbe più libera e franca a vantaggio nostro e nostri alleati. Pur ripetendo essere queste mie impressioni personali, mentre non conoscevo le intenzioni del R. Governo, osservai ancora in modo generico che una nostra eventuale azione in questo momento presenterebbe bensì qualche inevitabile pericolo, ma doversi tener conto dal nostro punto di visita del fatto che essa non solleverebbe ora difficoltà internazionali, essendo presumibili le disposizioni della Russia e della Inghilterra, né potendosi dubitare, aggiunsi, di quelle dei nostri alleati, i quali ora appunto ci proponevano il rinnovamento del nostro trattato. In conclusione dissi a Kiderlen che avrei ad ogni modo informato

V.E. della nostra conversazione. Egli mi ripeté che unico oggetto della sua preoccupazione era la prospettiva di un precipitata liquidazione della Turchia. Non stimai opportuno per oggi di fare al rinnovamento della alleanza altra allusione fuorché quella sopra riprodotta, né Kiderlen me ne riparlò, avendogli io detto che la mia lettera particolare a V.E.4 doveva essere giunta solo ieri. La prego anzi avvisarmi per mia quiete del suo ricevimento.

4 Cfr. n. 171.

198 1 Richiesta rinnovata il 26 settembre: cfr. n. 225.

199 1 Errore di trascrizione o decifrazione. Si tratta presumi bi!mente del T. 3421 (cfr. n. 156).

199 3 Integrazione e punto intemogativo del decifratore.

200

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

R. 1203/517. Tripoli di Barberia, 23 settembre 1911 2 .

Mi onoro confermare all'E.V. i miei telegrammi n. 242, 244, 245, 246, 249, 251, 252 e 2553•

La situazione assai grave nei giorni 18 19 20 settembre e che poteva far temere da un momento all'altro qualche grave fatto si è andata man mano chiarendo. La ragione sta in questo che, *sulla base di quanto indicavano i giornali italiani*, era ritenuto per fermo che la nostra squadra arrivasse a Tripoli il 20 settembre. Perciò il fermento cresceva coll'avvicinarsi a quella data, e coll'allonta-narsene, senza che alcun nuovo fatto si sia verificato, man mano diminuisce. Se non fosse l'allarme che hanno dato le prime partenze della più cospicue famiglie italiane e quello ancora maggiore che daranno le partenze di domani che saranno ancor più numerose, la situazione non sarebbe cattiva.

Le fughe4 dei connazionali tengono però sull'attenti l'elemento indigeno il quale sa bene che esse sono determinate da telegrammi allarmanti che giungono dal Regno e ritiene perciò che realmente qualche cosa di serio debba avvenire.

Così che la situazione presente potrebbesi riassumere in questo: timore generalmente diffuso nella colonia italiana e nella maltese ( comincierà domani l'esodo dei maltesi), atteggiamento sospettoso degli indigeni arabi, agitazione alimentata dal Comitato Unione e Progresso ed in special modo dagli ufficiali.

L'autorità locale non ha alcun interesse a che qualche disordine avvenga ora, perciò ritengo che per il momento, salvo imprevedibili complicazioni, nulla di grave possa avvenire a danno dei connazionali. *Eccessi saranno certamente da temersi all'ultimo momento ed in special modo da parte delle truppe se esse si vedranno fatalmente sopraffatte dalla nostre forze militari. È perciò assolutamente necessario che la autorità militare tenga ben presente questa eventualità ed operi in modo da potere operare un piccolo sbarco anche nella città stessa e nel termine minimo possibile, operazione che non mi sembrerebbe di eccessiva difficoltà dal momento che le opere fortificatone non hanno alcuna efficienza*.

Né conviene dimenticare che vi è anche una numerosa colonia maltese ed altre piccole colonie europee, le quali, se pure in grado minore sarebbero egualmente esposte a pericoli come la nostra.

2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

3 TT. 4550/242, 45511244, s.n./245 del 21 settembre, T. 4602/249 del 22, TT. 4632/251, 4633/ 252, 4634/255 del 23 settembre, non pubblicati, con l'eccezione del n. 187.

4 GALLI, cit.: «partenze».

A tranquillare la colonia eccezionalmente sgomenta mi sono adoperato e mi adopero in ogni modo possibile: *oggi ho persino rifiutato di prendere in deposito alcuni valori di una famiglia italiana che partirà domani ed i libri di commercio di ditta che sospende temporaneamente le sue operazioni. Ho opposto un assoluto rifiuto poiché pur essendo un obbligo del mio ufficio l'ademplierlo potrebbe in qualche modo indirettamenente autorizzare supposizioni che non conviene certo si facciano*.

Quanto al contegno degli arabi, che è quello che più preme, ripeto che essi sono pian piano volenti o nolenti attratti nell'orbita del comitato giovane turco. Hassuna Pascià tenne nei primissimi giorni delle riunioni un contegno non troppo chiaro e che poteva essere interpretato anche in modo a noi favorevole. Successivamente egli ha accentuato pian piano il suo atteggiamento di appoggio ai turchi. Io credo che egli si aspettasse un qualche parola da parte nostra, per non averla ancora ricevuta egli, a tutela del suo interesse, deve ritenere che forse anche questa volta si tratta di un movimento della sola stampa non seguito dal governo. *Perciò, poiché adesso l'E.V., mi chiede quale somma iniziale mi sarebbe necessaria per cominciare l'opera indicata nei miei precedenti rapporti io* credo utile non attendere oltre a cominciarla di fatto, poiché ogni giorno perduto chiederà in seguito un lavoro maggiore e più difficile. È pure da chiedersi se noi otterremo che Hassuna Pascià faccia a ritroso il cammino percorso fin qui, e nella ipotesi che vi aderisca, se potrà condurre seco gli altri capi arabi e le masse che sottostanno alla sua influenza.

*E mi permetto a questo punto assicurare l'E.V. della cautela di quanto andrò facendo in tale riguardo, preferendo piuttosto rinunciare a qualche piccola cosa che tenerla senza avere una qualche probabilità di buon risultato.

Copia del presente rapporto trasmetto alla r. ambasciata .... *

200 1 Il rapporto è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi da GALLI, Diarii, pp. 75-76.

201

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N. Roma, 24 settembre 1911, ore 10,30.

La situazione dei nostri connazionali in Tripoli ed in altri porti della Tripolitania e Cirenaica è diventata molto pericolosa. L'eccitazione continua contro di essi e contro l'Italia provocata da ufficiali turchi, ulema e agenti Comitato Unione e Progresso che agiscono sulle masse ignoranti e fanatiche. Il pericolo per l 'incolumità dei connazionali è così grave che molti di essi sono già fuggiti sbarcando a Malta ed altri stanno per partire. I nostri consoli riferiscono che una nuova e più pericolosa esplosione di fanatismo si prevede all'arrivo probabile di piroscafi ottomani recanti armi munizioni e truppe. In questo stato di cose il Governo del re può da un momento all'altro trovarsi nella necessità di provvedere energicamente alla sicurezza dei connazionali nel modo che le circostanze consiglieranno. Esso non ha mancato di attirare l'attenzione del Governo ottornano su tali imminenti pericoli. Il Governo ottomano ha molto male ricambiato la nostra costante politica di amicizia verso di esso dimostrata anche recentemente sia nella questione albanese che in quella di Creta e nelle spirito di conciliazione con il quale abbiamo trattato le varie frequenti e persistenti manifestazioni di ostilità ad ogni nostro legittimo interesse economico in Tripolitania e Cirenaica.

Comunico quanto sopra a V.E. con preghiera di intrattenere di ciò codesto Governo esclusivamente quando io ne avrò dato istruzione con posteriore telegramma, e quando giungesse costì notizia accertata di qualche atto da parte nostra che renda opportuna una conversazione con codesto ministro degli affari esteri nel senso sopracitato.

202

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. RISERVATISSIMO 3618. Roma, 24 settembre 1991, ore 11.

Con un telegramma riservato il reggente la r. ambasciata a Costantinopoli mi informa 1 che gli vien riferito essere intenzione della Sublime Porta di chiedere la convocazione di una conferenza per la questione tripolina. Io non credo a tale intenzione, e in ogni caso tale idea non può essere accettata dal Governo italiano che si riserva piena libertà d'azione per tutelare la dignità e gli interessi del paese.

Quanto precede per sua norma di linguaggio e di condotta.

203

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3619. Roma, 24 settembre 1911, ore 15.

Faccio seguito al mio telegramma n. 35991• Aspetto la risposta di V.E. per determinare il momento in cui si dovrà parlare a codesto Governo della questione di Tripoli. Quando il momento sarà venuto, prego V.E. di spiegare ben chiaramente che il solo motivo per cui abbiamo tardato a parlargliene è il nostro amichevole

203 Cfr. n. 193.

247 desiderio di non mettere gli alleati in una posizione difficile, e di dar loro maniera di conciliare il loro interesse di conservare l'amicizia della Turchia con i sentimenti ed i doveri che uniscono reciprocamente gli alleati.

Per questa ragione, ben comprendendo non essere il caso di chiedere alla Germania l'appoggio previsto dall'articolo IX del Trattato d'Alleanza, non vi era luogo ali' «accordo preventivo» e al «maturo esame» che il trattato prescrive soltanto in questo caso. Confidiamo però che l'attidudine della Germania in questa situazione così decisiva per l'avvenire d'Italia e la sua posizione nel Mediterraneo, sarà di natura da rafforzare sempre più i vincoli dell'alleanza e della amicizia fra le due Nazioni.

202 1 T. riservato 4643/923 del 23 settembre, non pubblicato.

204

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI

T. 3622. Roma, 24 settembre 1911, ore 19,50.

Suo telegramma n. 2561•

Se sarà necessario provocare l'incidente cui ella accenna glielo telegraferò.

Squadra si sta concentrando in Sicilia. Dubito che arrivo costì di due sole rr. navi possa eccitare popolazione senza fornire sufficiente protezione. Se ella è di diverso avviso prego telegrafarmelo subito. Ella può promettere ad Hassuna Pascià che se il suo contegno verso di noi lo

meriterà, avrà sotto il nostro regime posizione molto superiore, materialmente e moralmente a quella che ha oggi.

205

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE 1549. Berlino, 2 4 settembre 1911 1.

Mi disponevo a rispondere al telegramma di V.E. (n. 3599)2 giuntomi ieri mattina, quando ricevetti un nuovo invito del signor von Kiderlen che mi pregava di passare da lui. Questa volta veramente egli voleva parlarmi dell'affare di Tripoli e

2 Cfr. n. 193.

248 col mio telegramma di ieri sera3 le ho reso conto della nostra conversazione in modo abbastanza completo perché poco mi rimanga da aggiungervi.

Come ne eravamo intesi con V.E., io mi ero finora astenuto dal fare qui alcuna allusione a Tripoli, ed anche ora, se Kiderlen si fosse limitato, come vi ero preparato, a chiedermi ragguagli circa le nostre intenzioni, avrei cercato di rispondergli dal canto mio in termini piuttosto vaghi. Ma come ella poté vederlo, egli entrò senz'altro nel vivo della questione alludendo alle notizie dei nostri armamenti ed alla comunicazione ricevuta dall'incaricato d'affari in Roma della nostra intenzione di domandare alla Sublime Porta la cessione della Tripolitania mediante un compenso pecuniario. Mi trovai quindi nel caso di dovergli parlare senza troppe reticenze: ciò, beninteso, a titolo puramente personale e dichiarandogli, come del resto è verità, che non ero informato dei progetti del mio Governo. A queste spiegazioni si doveva ad ogni modo venire presto o tardi ed al punto cui è ormai giunta la cosa, tanto vale che esse sieno fin d'ora avvenute.

Io non so che cosa ella penserà della proposta fattami, sia pure in termini un po' vaghi, dal segretario di Stato: cioè di prestarci il suo appoggio per ottenere dalla Francia una più formale guarentigia della sua assoluta astensione da Tripoli, per modo da fame risultare, col concorso della Germania-e suppongo anche dell'Austria-Ungheria -una positiva ipoteca a nostro favore su quella regione, per il giorno del disfacimento dell'Impero ottomano. Le notizie che riempiono i giornali, di preparativi militari e navali già iniziati su vasta scala in Italia, mi fanno però credere che simili combinazioni giungerebbero ora in ritardo. Avendo io risposto a Kiderlen che riferirei a VE. le sue parole, egli si fece a dimostrarmi l'impossibilità per il Governo giovane turco di vendere per danaro una provincia dell'Impero senza condannarsi ad inevitabile rovina: ne deriverebbe quindi una guerra! Ed egli si estese sui pericoli ed i danni di uno scoppio di ostilità, per la sua probabile ripercussione in Creta, in Albania, nel Yemen e forsanco in Bulgaria e Macedonia, con susseguente sfacelo dell'Impero, distruzione del commercio in Levante, irritazione del mondo islamico, eccetera, eccetera. Dopo di aver cercato come meglio potei di attenuare l'effetto di queste gravi previsioni, mi feci dal canto mio ad esporre le circostanze che a proposito della Tripolitania avevano provocato l'eccitamento della pubblica opinione in Italia, nonché le ragioni che fino ad un certo punto la giustificavano. Per non ripetere il mio telegramma, mi riferisco a quanto in esso ho sommariamente accennato degli argomenti da me presentati al mio interlocutore. Questi non mi replicò che debolmente e sempre nel tuono il più amichevole, ma finì col ripetermi che oggetto unico della sua preoccupazione era la prospettiva di una precipitata liquidazione dell'Impero ottomano.

Ora, io non sono in grado, dopo questo primo colloquio, di guarentire ciò che farà o dirà la Germania in circostanze come quelle di cui si tratta, delle quali è tuttora ignoto lo sviluppo. Ma mi rimane l'impressione già riferita nelle mie lettere

precedenti, che cioè, malgrado la naturale ripugnanza inspiratagli da tutto questo affare, il Governo imperiale non si opporrà seriamente ad una nostra azione che riuscisse rapida e liscia; che se invece, questa fosse per urtarsi in qualche intoppo o prolungarsi oltre il bisogno, sarebbero allora da attendersi da Berlino intromissioni e proposte che, per quanto presentate in forma amichevole ed a scopo di pacificazione, non potrebbero non riuscire per noi imbarazzanti.

Come V.E. lo avrà rilevato, von Kiderlen non ritornò durante questa conversazione sul rinnovamento proposto giorni sono della Triplice Alleanza, né io ritenni utile riparlargliene, !imitandomi a dirgli di passaggio che la mia lettera particolare a ciò relativa doveva jeri soltanto essere giunta a mani di lei. Bensì, ad un certo punto del nostro discorso, nell'alludere ad una delle circostanze che avevano contribuito a creare le opinioni del pubblico in Italia, -la convinzione cioè che né la Francia né la Russia né l'Inghilterra potrebbero nell'attuale momento fare opposizione alle nostre vedute su Tripoli, -soggiunsi, come cosa naturale e fuori di questione, «che tanto meno una tale opposizione era da aspettarsi dai nostri alleati e nel momento appunto in cui essi avevano proposto la riconferma dell'alleanza». A ciò Kiderlen nulla obiettò; né io insistetti. Ritengo invero che, allo stato delle cose, non sarebbe necessario né opportuno il mettere i punti sugli i col far dipendere il rinnovamento dall'attitudine della Germania nell'affare di Tripoli. Senza pretendere una adesione che essa sinceramente non può darci, dobbiamo supporre che una sua neutralità se non benevola almeno non ostile, è cosa che va da sé; né vi è bisogno di spiegare a Kiderlen che un contegno contrario comprometterebbe il rinnovamento. Da questo punto di vista in ispecie, è anzi da considerarsi come una fortuna che esso ci sia stato domandato dalla Germania nel momento attuale.

Quanto precede dispone implicitamente del terzo dei quesiti propostimi nel citato telegramma di V.E., e dà il mio parere sul quarto.

Sul quesito primo, se cioè esista una ragione recondita alla proposta di rinnovare fin d'ora il Trattato di alleanza, risponderei che, all'infuori delle considerazioni generiche esposte da Kiderlen, debba avervi contribuito in prima linea quella menzionata nella mia precedente lettera -e cioè il timore che la scomparsa del vecchio imperatore Francesco Giuseppe, quale potrebbe in qualunque momento verificarsi, avesse per effetto di rendere incerta la sorte dell'alleanza di fronte alle ignote tendenze del successore. Può darsi anche che Jagow ora qui in congedo, abbia rappresentato che il momento sarebbe favorevole per riguardo alle attuali tendenze del Governo e del pubblico in Italia. Ma non saprei vedere altro motivo, se non quello del pregio che qui si annette, malgrado tutto, alla nostra alleanza. Dico malgrado tutto, alludendo alla modificazione che per forza di cose si è nell'ultimo decennio prodotta nello spirito dell'alleanza stessa per quanto riguarda i nostri rapporti colla Francia. Ma a questo mutamento tutti ed anche qui si sono ormai adattati. Per parlare francamente, il Governo imperiale sa benissimo che solo fino ad un certo punto e con qualche riserva esso potrebbe far assegnamento sulla attiva cooperazione dell'Italia quando il casus foederis si presentasse. Ma se è poco probabile che ciò avvenga entro un termine calcolabile ad occhio nudo, -ed i recenti casi del Marocco hanno provato quali progressi abbia fatti la ripugnanza ad una guerra europea, -non è dubbio che ove questa disgraziatamente scoppiasse tra la Francia e la Germania, sarebbe pur sempre un'immensa guarentigia per quest'ultima l'avere nell'Italia un'alleata, sia pure un po' tiepida e restìa. Le circostanze politiche sono del resto mutevoli ed a nessuno è dato affermare che ad un dato momento non possa riprodursi tra la Francia e l'Italia un nuovo periodo di dissapori analogo a quello che le ha recentemente divise durante una ventina d'anni. Infine, è da tenersi presente, dal punto di vista della Germania, il suo grande interesse al mantenimento dei nostri rapporti con l'Austria-Ungheria. E mi pare che tutti questi motivi sieno di per sé sufficienti a giustificare il suo desiderio di confermare il Trattato mentre il suo rinnovamento non presenta difficoltà né a Roma né a Vienna.

Quanto a modificazioni da chiedersi al Trattato stesso, non vedo per il momento quali potrebbero essere. Il signor von Kiderlen evidentemente intende e anzi mi ha detto ch'egli contempla una sua semplice riconferma. Come le accennai nel mio telegramma, ho fatto con lui allusione, in via accademica, alla eventualità che il R. Governo desiderasse introdurre qualche espressione nel senso delle dichiarazioni scambiate nel 1909 fra il conte Guicciardini ed il conte d'Aehrenthal allo scopo di ben stabilire che le clausole dell'articolo VII del Trattato devono applicarsi al nuovo stato di diritto creato fra la Turchia e l'Austria-Ungheria in seguito all'annessione della Bosnia-Erzegovina ed alla abrogazione dell'art. 25 del Trattato di Berlino in quanto concerne il Sangiaccato di Novi-Bazar. Feci lì per lì quell'osservazione, ricordando che all'epoca della dichiarazione predetta mi era stato accennato a Roma che vi sarebbe luogo a tenerne conto nel rinnovare a suo tempo il Trattato di alleanza. Può osservarsi però che se quella dichiarazione era utile ed efficace per il periodo ancora rimanente del vecchio Trattato, essa non sarebbe più necessaria col Trattato nuovo. Infatti, il testo dell'articolo VII così come sta, menziona il mantenimento od eventuali modificazioni dello «statu quo actuel»: sicché col riprodurre nel nuovo accordo i termini stessi, questi verrebbero necessariamente a riferirsi allo stato di cose esistente alla data della sua firma.

Non so se mi sbaglio, ma ripensando alle due conversazioni del 18 e di jeri con Kiderlen, ho l'impressione che quando, nella prima, egli mi parlava dell'anticipato rinnovamento della Triplice (evidentemente già combinato in precedenza con d'Aehrenthal), egli non si rendesse conto della imminenza della nostra azione tripolina: e mi domando se, conoscendola, egli avrebbe fin d'ora proposto quel rinnovamento. Quando gli dissi ieri fra le altre cose, che non avevamo voluto prevenirlo troppo presto per risparmiargli imbarazzi verso la Turchia, vidi che questo argomento gli piaceva meno di quanto avessi sperato. È infatti possibile che al segretario di Stato ora rincresca di aver fatto così coincidere le due cose. Ma come dissi, mi potrei sbagliare. Vedremo ciò ch'egli dirà quando, da lei autorizzato, andrò a dichiarargli la nostra accettazione della sua proposta. Giacché questa è venuta da lui, mi pare difficile che possa ora tirarsi indietro; ma per meglio tenervelo, credo anche per questo riguardo consigliabile, di dare, come dissi più sopra, un'adesione pura e semplice ed incondizionata. La ripercussione sull'affare di Tripoli dovrebbe a parer mio risultarne per così dire automaticamente, mentre il far noi espressamente dipendere una cosa dall'altra potrebbe nuocere, soprattutto se il mio sospetto sovraccennato fosse fondato. Se l'affare camminerà rapidamente come Kiderlen ne aveva dapprima manifestato il desiderio, sarà tanto meglio per noi. Naturalmente, i negoziati dovranno essere tenuti strettamente segreti, ma una volta firmato il Trattato, non so se dal nostro punto di vista non sarebbe meglio scontame immediatamente l' effetto. Ella è miglior giudice di quanto concerne la Francia e l'Inghilterra; ma non mi pare che l'inconveniente da lei temuto di un'impressione a noi sfavorevole in quei due Paesi, già del resto preparati in genere a questo rinnovamento, possa essere tale da controbilanciare i vantaggi della sua pronta pubblicazione, specie verso la Turchia. Ma di ciò è per adesso prematuro il parlare, giacché, nel miglior caso, si richiederà sempre un qualche tempo prima che il nuovo Trattato riesca preparato e sottoscritto, e bisognerà vedere a qual punto saremo allora con Tripoli e, fast not least, che cosa ne penseranno i nostri alleati.

In attesa dei suoi ordini, ....

PS. Riapro questa lettera per segnarle ricevuta dei suoi telegrammi n. 3606, 36194 , ed altri tre pure di oggi s.n., ai quali mi riservo rispondere dove occorra5 . Stante la frequenza di questi telegrammi che si incrociano con i miei, sarebbe

opportuno che anche quelli in partenza da Roma portassero tutti un numero d'ordine, per evitare confusioni e per la citazione che si deve fame nelle risposte.

204 1 Non rinvenuto nel registro dei telegrammi in arrivo.

205 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

205 3 Cfr. n. 199.

206

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4693/942. Therapia, [25] settembre ore 2,30 (per. ore 18,20).

Faccio seguito al mio telegramma di ieri n. 931 1• Gran visir mi ha inviato suo capo di Gabinetto per dirmi che si prepara la risposta alla mia comunicazione. In essa il Governo ottomano farà presente che secondo le sue notizie gli italiani di Tripolitania non corrono alcun pericolo. Il capo di Gabinetto di sua iniziativa parlò dell'affare Franzoni e disse che se la ragazza si allontanasse dalla casa del marito non incontrerebbe opposizione. Ho risposto mantenendo il nostro punto di vista sulla questione di principio.

205 4 Cfr. nn. 198 e 203. 5 Cfr. n. 195, nota 3, e n. 201. Il terzo è il T. 3618 (cfr. n. 202) che giunse privo di numero. 206 1 T. riservatissimo 4666/931, non pubblicato, col quale De Martino riferiva di aver preferito la forma scritta per la comunicazione di cui al n. 194.

207

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 4 716/20 l. Berlino, 25 settembre 1911, ore 5,10 (per. ore 17,35).

Dietro le ultime istruzioni di V. E. ho scritto a Kiderlen-Waechter per significargli essere il R. Governo disposto a rinnovare il trattato della Triplice Alleanza alle condizioni attuali 1• Le ho spedito oggi una mia lettera particolare su quell'argomento e sulla sua connessione all'affare di Tripoli2• Dietro ordini ricevuti Jagow partirà domani per restituirsi al suo posto a Roma.

208

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 3632. Roma, 25 settembre 1911, ore 11.

Tuo telegramma numero 481 1 . Se ti occorre denaro per influenzare cotesta stampa telegrafa somma approssimativa. Temo sarebbe pericoloso per la nostra tesi citare fatti particolari di soprusi e atti ostili turchi contro di noi perché tu sai che i turchi sono abilissimi nel rivestirli di forme apparentemente legali ma è indiscutibile loro sistematica persistente opposizione ad ogni nostra legittima attività economica in Tripolitania nonché pericolo imminente incolumità connazionali causa sobillazioni fatte continuamente anche da ufficiali turchi. Tuttavia ti manderò elenco soprusi ma ripeto che caso per caso Turchia potrebbe spesso confutare nostre Iagnanze con apparenza di ragione formale. Bisogna pure ben spiegare che noi economicamente vogliamo porta aperta non monopolio ma che Turchia ci mette in condizione non solo d'inferiorità ma d'impossibilità e naturalmente se non si risolverà subito a nostro favore questione Tripolitania ciò crescerà dopo crisi acuta attuale rendendo sempre impossibili buoni rapporti italo-turchi e permanente il pericolo per la pace europea poiché conflitto potrebbe riacutizzarsi in stagione ed epoca in cm ripercussione balcanica sarebbe più probabile che in questo momento.

Matin.

207 1 Cfr. GP, vol. XXX/2, n. 11223. 2 Cfr. n. 205. 208 1 T. riservatissimo 4677/481, pari data, col quale Tittoni chiedeva un elenco completo di «tutti i soprusi e gli atti ostili compiuti contro di noi dalla Turchia in Tripolitania» per farlo pubblicare sul

209

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO URGENTE 4692/428. Vienna, 25 settembre 1911, ore 13,40 (per. ore 15,50).

Telegramma segreto dell'E.V. Gabinetto senza numero 23 notte corrente1• Rispondo quesiti di V.E.

l) Evidentemente Gabinetto di Vienna e Berlino, colla iniziativa presa d'interpellarci circa rinnovamento Triplice Alleanza hanno voluto farci intendere che sarebbe loro intenzione di non ammettere alcuna nostra proposta intesa modificarla, ma di rinnovarla alle stesse condizioni. L'avere poi preso tale iniziativa molto tempo prima della scadenza farebbe supporre che nostri alleati abbiano creduto opportuno prevenire le discussioni che avrebbero potuto prodursi nella nostra stampa all'approssimarsi di quella data ed evitare quindi che R. Governo si ritenesse impegnato a tener conto, in occasione rinnovamento trattato, delle domande che fossero da essa accampate. Non è certo da credere che Aehrenthal abbia potuto prestar fede alla pretesa comunicazione confidenziale pervenuta da Roma a Berlino su cui si è basato per rivolgerei sua domanda. Tale pretesa comunicazione non sarebbe stata che una entrata in materia per farci conoscere suo pensiero circa rinnovamento.

2) Risposi già a tale quesito con lettera confidenziale 12 agosto scorso in cui trattai rinnovamento trattato2 . Alle considerazioni ivi esposte aggiungo che ove questione Tripoli fosse regolata a seconda nostro interesse, articolo nove trattato non avrebbe più ragione d'essere, ma dovrebbe essere sostituito da altro articolo in cui si determini che stipulazione trattato stesso riflettente casus foederis debba estendersi pure alla Tripolitania e Cirenaica come a qualsiasi azione di una terza potenza intesa a turbare equilibrio del Mediterraneo e a danneggiare nostra situazione in quel mare. Inoltre quantunque il nostro accordo segreto con la [AustriaP debba implicitameue rinnovarsi col trattato della Triplice Alleanza converrà tuttavia non tralasciare di procedere ad un scambio di dichiarazione in tal senso.

3) Date le nostre relazioni di amicizia ed alleanza non mi sembra che noi potremmo, siccome riferii con mio telegramma 3664 , esimerci anche per sentimento di lealtà dal tener i nostri alleati al corrente di tutto ciò che può preparare o determinare la nostra azione in Tripolitania. Non converrebbe, però, mettere tali comunicazioni in rapporto diretto col rinnovamento trattato, ma anzi presentarle come uno svolgimento naturale di quelle clausole del trattato e di quelle altre dichiarazioni con cui le Potenze alleate hanno riconosciuto i nostri interessi politici

2 Cfr. n. 124.

3 Gruppo indecifrato.

4 Cfr. n. 123.

speciali riguardo alla Tripolitania. Appunto per ciò sarebbe opportuno che della nostra probabile azione in Tripolitania noi parlassimo qui ed a Berlino anche prima di annunciare definitivamente il nostro consenso al rinnovamento senza modificazioni del Trattato di Alleanza. Il celare ai nostri alleati le nostre decisioni potrebbe avere inconvenienti maggiori. Oltre al considerare il nostro silenzio come una mancanza di riguardo, essi potrebbero rimproverarci di non avere loro partecipato quella decisione in vista specialmente dell'eventuale ripercussione che fosse per avere nei Balcani e nella situazione generale internazionale ed essere forse indotti, nell'interesse dei buoni rapporti colla Turchia, a far qualche manifestazione pubblica per svincolare ogni loro responsabilità. Non devesi, poi, dimenticare che Aehrenthal non tralasciò prevenirci qualche tempo prima di attuarla, della decisione del Governo imperiale e reale annettere Bosnia ed Erzegovina.

4) Non sarebbe opportuno, a mio avviso, subordinare formalmente rinnovamento Triplice Alleanza alla condizione che nostri alleati non ci creino difficoltà in Tripolitania, perché ciò potrebbe far supporre che noi desideriamo da loro un consenso che ci manca, mentre dobbiamo ritenere di averlo già, in forza delle stipulazioni in vigore, ma noi potremmo raggiungere forse l'intento stesso nel fare loro conoscere che R. Governo, pur essendo disposto rinnovare Trattato alle stesse condizioni, non può però nascondere che se una nostra azione a Tripoli incontrasse difficoltà da parte dei nostri alleati questa potrebbe provocare nell'opinione pubblica italiana un movimento contrario al rinnovamento e mettere R. Governo nella impossibilità effettuarlo5 .

209 1 Cfr. n. 193, nota 4.

210

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4694/482. Parigi, 25 settembre 1911, ore 14,30 (per. ore 18,20).

Varie personalità del mondo politico e giornalistico mi hanno parlato della questione tripolina con simpatia per l'Italia. Tutti concordano nel dire che la Francia deve appoggiare l'Italia non solo per essere fedele all'accordo, ma perché ha un interesse politico a fare un [ ... ]1.

210 1 Gruppo indecifrato.

Però egualmente tutti mi hanno espresso il loro rincrescimento per avere l'Italia omesso certe apparenze necessarie trascurando di creare, prima di agire, l'incidente che avrebbe meglio giustificato la sua azione di fronte alla Europa e impedito ad alcuni giornali francesi, inglesi e tedeschi di qualificare l 'azione dell'Italia come una aggressione in piena pace, come una violazione della moralità internazionale. So benissimo che VE. avrebbe voluto preordinare le cose in modo che l'azione fosse proceduta dall'incidente dal quale avrebbe poi tratto giustificazione e che il chiasso, le indiscrezioni, le impazienze e le gaffes della indisciplinata e selvaggia stampa italiana hanno reso ciò impossibile. Però, sarebbe opportuno fare tutto quello che ancora si può per coonestare la nostra azione di fronte all'opinione pubblica europea. In attesa che, maturati gli eventi, una nota del Governo italiano alle Potenze dia la giustificazione documentata ed efficace della nostra azione, sarebbe opportuna su di un giornale italiano amico del Governo la pubblicazione di un articolo molto nutrito di fatti e ragioni serie e del quale dovrebbe curarsi la riproduzione nei giornali esteri. Un giornalista valente mi diceva iersera che ritiene indispensabile che noi facciamo qualche cosa in questo senso, specialmente per prevenire la possibile esplosione di sentimentalità dell'opinione pubblica inglese.

209 5 Per il seguito cfr. n. 228.

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. SEGRETO 3636. Roma, 25 settembre 1911, ore 17,05.

Decifri ella stesso. Nella ormai inevitabile imminenza della nostra azione in Tripolitania qualora VE. abbia modo, come sarebbe desiderabile, di influire sulla stampa in favore nostro e le occorrano a questo scopo denari prego telegrafarmi la somma approssimativa. Alla eventuale accusa ali 'Italia di mettere in pericolo la pace europea è facile rispondere. Oltre le considerazioni già ben note a VE. la prego far eventualmente notare a codesto Governo che questo è anche per la stagione il momento in cui è più probabile evitare che la nostra nazione abbia ripercussioni pericolose per la pace nei Balcani ed altrove. Se la questione di Tripoli non venisse risolta subito a nostro favore la tracotanza turca verso di noi crescerebbe talmente da costituire un pericolo permanente per la pace ed il conflitto potrebbe ridiventare insanabilmente acuto in un momento molto più pericoloso dell'attuale per gli interessi generali dell'Europa e della pace. La bene intesa considerazione di questi interessi che ci stanno sommamente a cuore richiede che la questione di Tripoli venga subito radicalmente tolta di mezzo n eli 'unico modo possibile cioè l'occupazione italiana. Qualora VE. non abbia motivo di constatare la urgenza di parlare in proposito con codesto Governo a noi converrebbe aspettare, prima di parlame, un fatto compiuto ed irrevocabile che probabilmente non può tardare ma di cui è bene che non si abbia sentore finché non si sia avverato.

212

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 4698/484. Parigi, 25 settembre 1911, ore 17,55 (per. ore 22,20).

È venuto a vedermi Iswolsky; egli ha sempre timore di ripercussioni nei Balcani. Confida che Serbia e Montenegro non si muoveranno, ma teme qualche colpo di mano del re di Bulgaria. Ritiene che l'Italia non potrà più a lungo rimanere in silenzio circa le sue intenzioni e dovrà fare qualche comunicazione alle Potenze.

213

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL RE VITTORIO EMANUELE III, A RACCONIGI 1

T. [Roma], 25 settembre 1911.

In riunione con m1mstri guerra e marina si stabilì che ultimato per seguente dichiarazione di guerra si manderà quando sia prossima spedizione, salvo anticipare se per partenza navi turche per Tripoli sorgesse necessità azione contro tali navi, dovendosi impedire assolutamente che giungano rinforzi di truppe o altre armi a Tripoli.

Movimento socialisti credo non abbia importanza. Parecchi socialisti sono favorevoli all'impresa, e stamane Barzilai venne dirmi che repubblicani non approvano contegno socialisti e non creeranno imbarazzi.

213 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle carte ..., n. 54, p. 61.

214

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 4717/310. Londra, 25 settembre 1911 (per. ore 19, 15) l.

Da sicura sorgente ho saputo, in via del tutto eccezionale, che sabato scorso ambasciatore Turchia intrattenne Nicolson degli affari di Tripolitania2 . Gli fu risposto in modo perentorio Turchia non deve contare su appoggio Inghilterra nella presente controversia.

215

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 4729/943. Therapia, 26 settembre 1911, ore 2,10 (per. ore 9,25).

Ieri ho veduto Marschall appena arrivato; non abbiamo avuto conversazione a fondo; io mi sono ispirato alle istruzioni del telegramma di V.E. n. 3578 1 . Marschall mi ha detto che gran visir gli aveva fatto sapere che voleva vederlo; soggiunse che egli si trovava nel più grande imbarazzo, in attesa del colloquio. Or ora Marschall mi ha inviato persona di fiducia a riferirmi in via strettamente confidenziale quanto segue: gran visir chiese a Marschall buoni uffici della Germania. Marschall rispose che avrebbe trasmesso la domanda a Berlino. Gran visir disse che la questione tripolina è sorta in seguito all'azione germanica circa il Marocco. Marschall negò energicamente e disse che al contrario è tutta colpa dei turchi che non vollero mai seguire i ripetuti suoi consigli di non scontentare gli italiani in Tripolitania. Gran visir disse che ora Governo è disposto a tutte le concessioni all'Italia allo scopo di evitare caduta dei giovani turchi. Marschall replicò che non credeva R. Governo si contentasse di simili promesse di principio che l'esempio ha spesso provato fallaci. Gran visir rispose che è disposto a concessioni non solo di principio ma praticamente di dettaglio. Marschall rispose che avrebbe riferito a Berlino. Ho appuntamento per domani con Marschall e telegraferò 2 .

2 T. riservato 4773/954 del 27 settembre, col quale De Martino riferiva che Marschall aveva confermato la sua conversazione col gran visir; riguardo però ai buoni uffici richiestigli avrebbe risposto che la Sublime Porta si sarebbe dovuta rivolgere a Berlino tramite la propria ambasciata. Per il seguito cfr.

214 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. 2 Sullo scambio di comunicazioni tra gran visir e ambasciatore britannico in merito cfr. BD, vol. IX/l, n. 237. 215 1 Cfr. n. 185.

216

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 4728/945. Therapia, [26] settembre 1911, ore 2,10 (per. ore l0, 15 ).

Ambasciatore di Russia tornato ieri dal congedo è venuto a vedermi e parlarmi della questione tripolina. Mi sono ispirato alle istruzioni del telegramma di V.E. 35781 . Ambasciatore di Russia mi ha detto che tuttavia è da prevedersi una spedizione italiana in Tripolitania. Disse che riconosce che l'Italia ha interessi speciali in Tripolitania. La Russia ha interesse che l'equilibrio del Mediterraneo ora turbato dopo la questione del Marocco abbia stabile assetto; a questo tende la azione dell'Italia che ha tutte le simpatie della Russia.

Dopo ciò Tcharicoff mi ha detto che la questione del Mediterraneo e quella d'Oriente debbono restare ben distinte; vi sarebbe pericolo che la questione d'Oriente si riaprisse se per esempio l'Italia, a scopo di rappresaglia per una possibile reazione turca, facesse una mossa in Albania ciò che avrebbe grandi conseguenze. Mi chiese se sapevo quale fosse il punto di vista di V.E. Rammentando i colloqui che ebbi l'onore di avere con V.E., risposi che, a quanto mi risulta, il R. Governo ha appunto tutto l'interesse che le due questioni restino ben distinte e che nulla accada nei Balcani e che, per ottenere questo risultato, molto possono le Potenze e specialmente la Russia colla sua influenza presso gli Stati balcanici e di ciò convenne pienamente l'ambasciatore. Essendo ambasciatore di Russia ora tornato dal congedo, non so se il suo discorso rispecchi qualche preoccupazione del suo Governo circa nostre intenzioni nei Balcani. V.E. giudicherà se è il caso di dare assicurazioni a Pietroburgo.

227

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3658. Roma, 26 settembre 1911, ore 12,05.

Faccio seguito al mio telegramma Gabinetto del 25 corrente 1• Data la possibilità che gli eventi precipitino, credo opportuno che V.E. faccia passi presso codesto Governo affinché gli ufficiali inglesi al servizio turco non prendano parte ad eventuali combattimenti contro di noi.

nn. 223 e 231. Il contenuto del telegramma che qui si pubblica venne riferito da GIOLITTI, Memorie, p.

217

216 Cfr. n. 185.

217 1 Si tratta presumibilmente del T. Gab. segreto 3649 col quale di San Giuliano rimetteva ad Imperiali la scelta del momento in cui sarebbe stato conveniente «parlare a Grey della necessità assoluta ed improrogabile» per il Governo italiano «di risolvere senza indugio la questione tripolina».

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. GAB. 3661. Roma, 26 settembre 1911, ore 17,45.

Decifri ella stessa. L'incaricato d'affari di Turchia è venuto a dirmi da parte del suo Governo che la situazione attuale era penosa e sterile e che i due Governi troverebbero vantaggio in una intesa amichevole e razionale. Tenendo a mantenere le buone relazioni il Governo imperiale ottomano è disposto ad evitare ogni causa d'attrito e domande di concessioni economiche, compatibili coi trattati in vigore, sarebbero accolte con spirito largamente amichevole in quanto non affettino la dignità e gl'interessi superiori del Governo imperiale. Il Governo ottomano è d'opinione che le conversazioni abbiano luogo in una atmosfera di calma e di ponderazione, al coperto dalle agitazioni e dalle polemiche della stampa.

Ho risposto che mi riservo di rispondere alla domanda del Governo ottomano e che non ho il mezzo di impedire le polemiche della stampa che sono la conseguenza degli ostacoli sistematici opposti dal Governo ottomano ai nostri interessi economici in Tripolitania e del pericolo che corrono in questo momento i nostri connazionali.

219

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. PERSONALE 4778/314. Londra, 26 settembre 1911, ore 17,54 (per. ore 21).

Linguaggio tenutomi ieri da Nicolson faceva capire benissimo che qui si aspettano ad una nostra azione e non hanno intenzione sollevarci difficoltà sia per desiderio coltivare nostra amicizia, sia perché si riconosce interesse inglese avere per vicina in Tripolitania Italia anziché Turchia. Spontaneamente Nicolson mi disse che alle rappresentazioni dell'ambasciatore di Turchia egli ha risposto: «Inghilterra non intende intervenire in questione che non la concerne in alcun modo. Italia ha gravi ragioni dolersi; Turchia trovi modo darle dovute soddisfazioni». Questa risposta, equivalente in sostanza a quella riferita mio telegramma 312 1 , corrisponde affida

menti previamente datemi, dimostra chiaramente disposizioni veramente amichevoli Inghilterra per noi. Ho avuto in questi ultimi giorni colloquio con giornalisti autorevoli fra i quali Braham del Times. Impressione tratta dai colloqui è che tutti più o meno sono nel fondo a noi benevoli. Pur riconoscendo fondamento nostri gravami contro la Turchia, li trovo riluttanti giustificare eventuale misure coercitive da parte nostra e pertanto esitanti ad incoraggiarle causa preoccupazioni che tutti i miei argomenti non riescono dissipare della ripercussione che realizzazione sia pacifica sia violenta nostri progetti in Tripolitania eserciterà fatalmente sulla già precaria situazione interna Turchia e conseguenti possibili serii pericoli pace europea. In generale, poi, si prevede aspra resistenza da parte dei turchi e gravi rappresaglie con danno rilevante nostri interessi economici in tutto Impero e per tutti questi motivi augurasi pacifica soluzione per via diplomatica. Ad eccezione Daily Graphic e fogli ultra radicali, Daily News e Manchester Guardian, i quali come io prevedevo, ci sono risolutamente ostili, contegno stampa autorevole può pertanto riassumersi così. l) Disinteressamento con tendenza benevola verso Italia. 2) Preoccupazione per il futuro e raccomandazione a noi ben ponderare conseguenze nostra azione e per noi e per Europa tutta. 3) Non dissimulato compiacimento generale per imbarazzo in cui nostra azione pone Germania, alla quale per Agadir, come all'Austria-Ungheria per Bosnia, si vuole fare risalire responsabilità avvenimenti. Attuale linguaggio stampa potrebbe però sempre modificarsi in un senso o nell'altro a seconda svolgersi avvenimenti. A conservare simpatia opinione pubblica inglese gioverà non dubito inoppugnabile esposizione che faremo a suo tempo dei motivi che rendono assolutamente necessaria nostra azione e la tangibile dimostrazione che ad essa fummo costretti ricorrere soltanto dopo aver inutilmente esperito tutti i mezzi diplomatici. Comunque, il successo finale che con tutto animo auguro azione nostra varrà dissipare col tempo impressione più o meno benevola dell'estero. Difficoltà furono sempre e sono prevedibili, ma il superarle bene renderà nostro trionfo anche maggiore e più importante e se ne accrescerà di tanto prestigio autorità Italia in Turchia non meno che presso altre Potenze.

219 1 T Gab. Riservatissimo 4761/312 del 25 settembre, del quale si pubblica il seguente brano: «Villa-Urrutia mi ha detto in via strettamente confidenziale che in risposta ad una sua domanda per conoscere disposizioni Governo britannico a riguardo conflitto italo-turco, Nicolson gli ha risposto trattarsi di questione esclusivamente italo-turca nella quale Governo britannico non intende intervenire nemmeno se, giungendosi estreme conseguenze, Italia occupasse Tripolitania».

220

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TUNISI, GAUTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4791/56. Tunisi, 26 settembre 1911, ore 19,25 (per. ore 0,50 del 27).

Risultami fonte riservatissima e sicura Governo francese pronto concentrare importante nucleo truppe frontiera tripolo-tunisina eventuale azione militare Italia su Tripoli giustificando in realtà precauzioni timori eccessi fanatismo musulmano; so inoltre che tripolini impiegati miniere Gafsa ritornano in gran numero Tripoli di Barberia decisi proteggere proprie famiglie e difendere paese nativo.

221

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. 3662. Roma, 26 settembre 1911, ore 19,30.

(per Parigi) Suoi telegrammi nn. 4811, 4822 , e 4893 e mio telegramma 3661 4 .

(per tutti) Stiamo raccogliendo i fatti, ma la Turchia è stata spesso abile nel porre ostacoli alla nostra legittima attività economica in Tripolitania senza patenti offese e formali violazioni di diritti. Perciò una discussione analitica sui singoli fatti panni da evitare e preferibile insistere su considerazioni più generali.

È infatti notoria sistematica opposizione turca a nostra attività economica in Tripolitania che dopo crisi attuale se non fosse risoluta con nostra occupazione si aggraverebbe mantenendo guerra latente fra Italia e Turchia con grave pericolo pace europea. Non vogliamo monopolio economico ma porta aperta. Se imprese economiche straniere potevano preoccuparci in passato tale preoccupazione cesserà quando sia assicurato nostro dominio politico. Pericolo imminente nostri connazionali evidente. Persino ufficiali turchi sobillano masse contro di loro. Molti nostri connazionali fuggiti da Tripolitania. Arrivo eventuali piroscafi turchi con armi e soldati sarà occasione massacro italiani. Momento attuale anche attesa stagione rende meno probabile ripercussione balcanica. Faremo il possibile per impedirlo. Risoluta questione Tripolitania siamo prontissimi a dare alla Turchia convenienti compensi anche morali.

222

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO 4762/317. Londra, 26 settembre 1911, ore 19,31 (per. ore 22,50).

Nicolson mi ha detto testè che oggi ambasciatore di Turchia è venuto d'ordine suo Governo pregarlo dare al Governo del re amichevoli consigli di moderazione.

2 Cfr. n. 210.

3 T. riservatissimo personale 4721/489 del 25 settembre del quale si pubblica il seguente brano: «Fino a questo momento l'intonazione dei giornali è buonissima e nessuno chiede o fa in qualsiasi modo comprendere di voler denaro .... Oggi sono venuti da me molti giornalisti e tutti hanno detto la stessa cosa. Hanno espresso cioè il desiderio che l 'Italia si affretti a creare incidente che giustificherebbe la sua azione ...».

4 Cfr. n. 218.

Autorizzato da Grey avevo dichiarato che trattandosi di questione esclusivamente itala-turca Governo britannico non intendeva intervenire in alcun modo.

221 1 Cfr. n. 208, nota l.

223

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 4765/202. Berlino, 26 settembre 1911, ore 21,05 (per. ore 23,20).

Tripoli. Telegramma di V.E. n. 3636 1 cinquanta2 cinquantadue3 cinquantaquattro4 e uno senza numero5 . Kiderlen-Wachter mi ha comunicato confidenzialmente telegramma Marschall che riferisce le sue conversazioni con Mahmud Chefket e col gran visir venuti da lui a lamentarsi amaramente della nostra minacciata azione a Tripoli al che Marschall rispose lamentando la inabilità della Sublime Porta a parare in tempo utile il pericolo con opportune concessioni6 . Gran visir si dichiarò disposto a dare tutte le facilitazioni che il Governo italiano richiedesse in materia commerciale e industriale (porti, strade, ferrovie, eccetera) accettando anticipatamente la lista che gliene fosse proposta pur di evitare la perdita di quella provincia che trascinerebbe l'Impero alla rovina e alla anarchia. Non avendo mezzi per una efficace difesa militare, il Governo ottomano sarebbe costretto a rivalersi a danno del commercio e delle colonie italiane con misure delle quali soffrirebbero indirettamente tutti gli stranieri. Kiderlen mi disse che mi manderà un sunto di quel telegramma, pur dichiarando che ciò farà non a scopo di una intromissione qualsiasi non domandata né da una parte né dall'altra, ma a titolo puramente di informazione e per il caso che in dati momenti si giudicasse da noi opportuno di tenerne conto. Kiderlen aggiunse aver parlato a Cambon nel senso che l'azione dell'Italia era in gran parte dettata dal timore di future ambizioni francesi sulla Tripolitania, malgrado gli accordi esistenti che potrebbero essere un giorno dimenticati e mentre la Francia fin d'ora si va estendendo nell'hinterland. Cambon

2 Si intende presumibilmente il T. 3650 del 25 settembre, non pubblicato, col quale si trasmetteva il T. 3643, pari data, non pubblicato, e indirizzato a Costantinopoli (l'incaricato d'affari di Turchia riteneva ingiustificata l'apprensione del Governo italiano per la sicurezza dei suoi connazionali nell'Impero ottomano ).

3 T. Gab. segreto 3652 del [26] settembre, col quale si trasmetteva il n. 209.

4 Il T. 3654 è indirizzato a Costantinopoli. Ci si riferisce con tutta probabilità al T. Gab. segreto 3653 del [26] settembre, col quale si trasmettevano i seguenti telegrammi da Vienna: T. Gab. personale segreto 4696/429 e T. 4695/430 entrambi del 25 settembre, non pubblicati (T. 4696 relativo alla necessità di avvisare gli alleati «qualche tempo prima di attuare le nostre definitive decisioni circa una azione a Tripoli» e T. 4695 per chiedere se render noto il consenso del Governo italiano al rinnovamento della Triplice alle stesse condizioni).

5 Presumibilrnente si ritrasmetteva il n. 228.

6 Cfr. GP, vol. XXX/l, nn. 10833 e 10834.

263 avrebbe risposto che si proponeva di scriverne a Parigi per vedere se fosse possibile fornire all'Italia più positive guarentigie sull'uno e sull'altro punto7 . Tutto ciò che precede rappresenta desiderio di Kiderlen di far un ultimo tentativo per allontanare pericolo catastrofe della Turchia. Gli ho risposto che comunicherei a Roma quelle buone intenzioni ma che, pur ignorando a qual punto stessero le cose in questo momento, temevo che esse giungerebbero troppo tardi. Tornai dal canto mio ad esporgli tutte le giustificazioni del nostro atto ed attenuazioni delle sue temute conseguenze e io credo che egli sia ormai abbastanza preparato agli eventi estremi che fossero per prodursi. Ho profittato delle sue favorevoli disposizioni avvertendo che quando avvenisse rottura diplomatica con Turchia, mi riservavo di chiedere che gli agenti tedeschi vi assumessero la protezione nostri interessi. Egli non mi nascose che ciò avrebbe messo Governo imperiale in qualche imbarazzo, al che osservai che essendo quella una consuetudine già da noi generalmente praticata in molti luoghi avremmo ritenuto che il rivolgersi questa volta ad una altra Potenza (per esempio dissi all'Inghilterra) poteva venir considerato come una mancanza di fiducia nel nostro alleato. E si rimase intesi che, al momento debito, presenterei la mia domanda alla quale egli si riservava di rispondere dopo di aver consultato il cancelliere dell'Impero.

223 1 Cfr. n. 211.

224

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATO 3675. Roma, 26 settembre 1911, ore 22.

Data la possibilità che gli eventi precipitino credo opportuno che V.E. faccia passi presso codesto Governo affinché ufficiali tedeschi al servizio turco non prendano parte ad eventuali combattimenti contro di noi.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. s.n. Roma, 26 settembre 1911, ore 23.

Chieda subito alla Germania assumere protezione sudditi italiani in Turchia in caso di rottura delle relazioni diplomatiche. Urge risposta'.

225 1 Richiesta rinnovata il 28 settembre: cfr. n. 242.

223 7 Cfr. DDF, serie Il, t. XIV, nn. 353 e 354.

226

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL RE VITTORIO EMANUELE III, A RACCONIGI

T. S.N. Roma, 26 settembre 1911, ore 23,55.

In seguito all'autorizzazione data da Vostra Maestà e ad una conferenza tenuta oggi tra il presidente del Consiglio, i ministri della guerra e della marina e me, telegraferò stanotte a De Martino di presentare al Governo ottomano il nostro ultimatum 1•

Voglia Vostra Maestà accogliere i miei devoti omaggi.

227

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 3682. Roma, 26 settembre 1911, ore 24.

Probabile imminente guerra con Turchia. Autorizzo tutti i provvedimenti necessari per difesa.

228

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. RISERVATISSIMO S.N. Roma, 26 settembre 1911 1.

Suoi telegrammi nn. 428 2 , 429, 430 3 . Convengo con V.E. che ormai sia tempo che ella parli con Aehrenthal tanto della rinnovazione della Triplice quanto della questione di Tripoli. Posso assicurarla che unico motivo per cui ho voluto ritardare di mettere gli alleati al corrente della questione tripolina è stato il desiderio di non metterli in difficile situazione tra l'alleanza e l'amicizia con noi e i loro interessi ed amicizia con la Turchia. Insisto nella opportunità che V.E. spieghi ciò chiaramente a codesto Governo in modo che esso ne resti sinceramente convinto.

2 Cfr. n. 209.

3 Cfr. n. 223, nota 4.

Per tutti i motivi già ripetuti a V.E. noi non possiamo più fare un passo indietro nella questione di Tripoli, che occorre sia risoluta subito in modo favorevole e definitivo.

La connessione della questione tripolina con la rinnovazione dell'alleanza appare evidente e deriva non dalla nostra libera volontà ma dalla natura delle cose e dal corso degli eventi e ciò tanto per la modifica dell'art. 9 quanto perché il sentimento unanime della nazione, marina ed esercito non consentirebbe rinnovare l'alleanza nella stesso momento in cui i nostri alleati ci creassero difficoltà nella soluzione di questo per noi vitale problema. La sostanza ed il sunto della nostra corrispondenza è che noi vogliamo tanto la favorevole soluzione della questione di Tripoli quanto la rinnovazione dell'alleanza che consentiamo con piacere ad anticipare. Essendo io convinto che codesto Governo desidera francamente il prolungarsi della Triplice che ha reso a tutti inestimabili servizi e non essendo leso dalla aspirazioni in Tripoli alcun suo interesse non è da dubitare che sorgano difficoltà.

I nostri alleati hanno poi creduto dover attirare la nostra attenzione sul pericolo di ripercussioni balcaniche. L'Italia da parte sua prende naturalmente tutte le misure per localizzare nel Mediterraneo la questione e impedire sia direttamente che indirettamente qualunque altro turbamento nell'Impero ottomano che ha interesse a mantenere e consolidare. Noi siamo certi che anche l'Austria farà altrettanto e non è dubbio che identico sarà il contegno delle altre grandi Potenze.

Stando così le cose, l'Italia ormai nella necessità di tutelare l'incolumità dei regi sudditi, i suoi interessi politici ed economici e la sua dignità ed il prestigio si vede obbligata ad usare occorrendo anche la forza.

Ho già fatto notare a VE., che la previa soluzione della questione di Tripoli è condizione essenziale perché l'Italia possa sia verso la Turchia sia nella politica generale seguire un indirizzo costantemente concorde con i suoi alleati. Tenuto presente tutto ciò lascio libera VE. di decidere sul modo di esprimersi col Governo austro-ungarico, aggiungendo che siamo obbligati a tenerci nelle nostre comunicazioni sulle generali perché se è vero che in massima il Governo del Re è deciso oramai a risolvere subito la questione di Tripoli, dipendendo dal corso degli avvenimenti la nostra linea di condotta non abbiamo un disegno sistematico e dipendente unicamente dalla nostra volontà e gli avvenimenti potrebbero precipitare in modo da rendere impossibile un ulteriore preavviso. Sono sicuro che l 'E. V. ispirandosi a tutte le considerazioni fatte, con la sua esperienza del luogo delle persone dei fatti vorrà tener presente i due fini principali che ci proponiamo cioè: soluzione pronta radicale e favorevole della questione di Tripoli e rinnovazione della Triplice Alleanza ed io lascio a lei piena libertà e latitudine sul modo migliore di condurre le conversazioni e le trattative per il conseguimento dei fini anzidetti4 .

226 1 Cfr. n. 230.

228 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

228 4 Per il seguito cfr. n. 229. Sulla conversazione tra Avarna e Aehrenthal, riguardo il rinnovo della Triplice, vedi OeUA, vol. III, nn. 2653 e 2656 e GP, vol. XXX/2, n. 11224.

229

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO 4771/433. Vienna, 27 settembre 1911, ore 0,30 (per. ore 6,15).

Telegramma segretissimo di V.E. n. 3655 1 . Ho parlato oggi confidenzialmente Aehrenthal della questione tripolina nel senso sue istruzioni e valendomi pure degli argomenti contenuti dispaccio Gabinetto, n. 292 .

Gli ho esposto innanzi tutto situazione che era andata creandosi nei nostri rapporti con la Sublime Porta in seguito persistente aperta sua ostilità ad ogni nostra legittima attività economica in Tripolitania nonostante amichevole contegno da noi tenuto a suo riguardo e vivissima irritazione che quella ostilità aveva provocato nell'opinione pubblica italiana che reclamava che nostri diritti non fossero lesi e si ponesse fine offese dignità del Paese.

Quantunque R. Governo avesse rappresentato Sublime Porta pericoli derivanti da tale suo contegno questa non aveva tenuto alcun conto nostre amichevoli osservazioni perseverando in quel contegno stesso.

Per cui fino a che nostri interessi nella Tripolitania sarebbero stati in balìa della Turchia non era più possibile all'Italia di avere buoni rapporti con essa e di seguire stessa politica di amicizia che alleate seguivano a suo riguardo.

In tale stato di cose Italia si trovava nella necessità tutelare suoi sudditi e suoi interessi politici ed economici come sua dignità e suo prestigio provvedere soluzione definitiva questione tripolina e usando all'evenienza anche la forza.

Nell'accennare poi all'imminenza accordo franco-germanico pel Marocco ho rilevato come questi avrebbero aggravato situazione per le condizioni in cui ci saremmo potuti trovare di fronte Francia se avessimo ritardato dare alla questione tripolina una soluzione favorevole.

Ed ho osservato che questa soluzione soltanto [nell'assicurare equilibrio mediterraneoP avrebbe potuto rendere nostra posizione nella Triplice Alleanza più libera e franca mettendoci in grado seguire una maggiore costante intimità e concordia d'intenti e di opere con i nostri alleati.

Siccome nessuno interesse della Monarchia era leso dalle nostre aspirazioni nella Tripolitania R. Governo non dubitava che alcuna difficoltà non sarebbe sorta da parte sua.

Del resto Italia avrebbe preso tutte le misure per localizzare questione nel Mediterraneo ed impedire direttamente ed indirettamente qualunque turbamento nell'Impero ottomano che aveva interesse al pari dei suoi alleati a mantenere e consolidare e che esso [era]3 certo che Austria-Ungheria avrebbe fatto altrettanto come pure altra Grande Potenza.

2 Cfr. n. 189. Su tale conversazione vedi anche OeUA, voi III, nn. 2654.

3 Integrazione sulla base del registro dei telegrammi del!' ambasciata.

Ho spiegato quindi bene chiaramente a Aehrenthal che unico motivo per cui VE. aveva ritardato [mettere ]3 alleati al corrente questione Tripolitania era stata amichevole suo desiderio non porli in difficile situazione tra alleanza ed amicizia con noi ed i loro interessi con la Turchia (ciò di cui Aehrenthal si è mostrato convinto) ed ho soggiunto poi le ragioni per le quali R. Governo non possa tenere nelle sue comunicazioni che sulla generale nostra linea di condotta dipendendo dal corso avvenimenti i quali precipitando avrebbero potuto forse rendere impossibile ulteriore preavviso4 .

Aehrenthal mi ha pregato ringraziare V.E. per importante comunicazione fattagli alla quale non poteva rispondere subito perché doveva riflettere sulle considerazioni da me svolte e fare quindi rapporto a S.M. Imperatore che doveva pronunziarsi e mi avrebbe fatto poi conoscere decisione che Governo imperiale e reale avrebbe preso al riguardo.

Ha aggiunto però che V.E. conosceva le amichevoli disposizioni da cui era animato verso R. Governo.

Nel riandare le cose da me dette ha rilevato che trovava giusto proposito R. Governo voler localizzare questione al Mediterraneo. Ma ciò che destava in lui preoccupazione siccome mi aveva già accennato nel tempo, si era la ripercussione eventuale che questione avrebbe potuto avere nella penisola balcanica [a causa]3 situazione interna Turchia e disposizione giovani turchi. Quantunque Aehrenthal abbia evitato manifestare suo parere in merito alla mia comunicazione mi è sembrato dal modo come si è espresso meco che egli fosse piuttosto disposto comportarsi verso noi in modo amichevole.

229 1 Si tratta presumibilmente del n. 228.

230

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO 1

T. 36802 . Roma, 27 settembre 1911, ore 2.

Prego V.S. di presentare alla Sublime Porta la nota seguente:

2 Ritrasmesso con T. 3681, pari data, alle ambasciate a Berlino, Londra, Madrid, Parigi, Pietroburga e Vienna con l'aggiunta del testo seguente: «V. E. già conosce le ragioni che hanno indotto l'Italia a presentare questo ultimatum. L'Italia è irrevocabilmente decisa a porre rapidamente fine ad uno stato di cose divenuto intollerabile e pericoloso; ed a porvi fine nell'unico modo possibile, cioè occupando militarrnente la Tripolitania e la Cirenaica. Quanto minori saranno i sacrifici che la resistenza della

«Pendant une longue série d'annés, le Gouvemement Italien n'a jamais cessé de faire constater à la Sublime Porte la nécessité absolue que l'état de désordre et d'abandon dans lequel la Tripolitaine et la Cyrénai'que sont laissées par la Turquie, prenne fin; et que ces régions soient admises a bénéficier des mèmes progrès réalisés par d'autres parties de l' Afrique septentrionale.

Certe transformation qui s'impose de par les exigences générales de la civilisation, constitue, pour ce qui concerne l'Italie, un intérèt vital de tout premier ordre, en raison de la faible distance qui sépare ces contrées des còtes italiennes.

Malgré l'attitude tenue par le Gouvemement italien, qui a toujours accordé loyalement son appui au Gouvemement imperial dans différentes questions politiques de ces demies temps; malgré la modération et la patience dont le Gouvemement italien a fait preuve jusqu'ici, non seulement ses veus au sujet de la Tripolitaine ont été méconnues par le Gouvemement impérial, mais, ce qui plus est, toute entreprise de la part des italiens, dans l es régions susmentionnées, s'est constamment heurtée à l'opposition systématique la plus opiniàtre et la plus injustifiée.

Le Gouvemement impérial, qui avait ainsi témoigné jusqu'à present son hostilité constante envers toute activité légitime italienne en Tripolitaine et Cyrénai'que, a tout récemment, par une démarche de la demière heure, proposé au Gouvemement Royal de venir à une entente, se déclarant disposé à accorder toute concession économique compatible avee les traités en vigueur, ainsi qu'avec la dignité et les intérèts supérieurs de la Turquie. Mais le Gouvemement royal ne se croit plus en mesure d'entamer, à l'heure qu'il est, de semblables négociations, dont l'expérience du passé a démontré l'inutilité, et qui, loin de constituer une garantie pour l'avenir ne sauraient que déterminer une cause permanente de froissements et de conflits.

D'autre part, les informations que le Gouvemement royal reçoit de ses agents consulaires en Tripolitaine et en Cyrénai'que, y représentent la situation come extrèmement dangèreuse, à cause de l'agitation qui y régne contre les sujets italiens, et qui est provoquée de la façon la plus évidente par des officiers et d'autres organes de l'autorité. Certe agitation constitue un danger imminent, non seulement pour les sujets italiens, mais aussi pour les étrangers de toute nationalité, qui, justement

Turchia le imporrà, tanto più disposta sarà l'Italia a regolare in modo equo e conveniente per la Turchia le conseguenze di un evento oramai inevitabile ed improrogabile. Risoluta nell'unico modo possibile la questione della Tripolitania e Cirenaica, ed eliminata questa causa permanente di frequenti ed insanabili attriti, l'Italia confida di stabilire su salde basi i propri rapporti coll'Impero ottomano, il cui mantenimento e la cui consolidazione sono un interesse di primo ordine, così per l'Italia, come per la pace generale. Ripeto perciò che, occupate la Tripolitania e la Cirenaica, ed assumendone l'amministrazione diretta, noi siamo disposti a dare alla Turchia convenienti compensi materiali e morali. Prendiamo intanto tutte le precauzioni in nostro potere per evitare ripercussioni nella Turchia europea degli eventi che stanno per isvolgersi e, sebbene in questa stagione non siano da temere moti di qualche importanza in Albania od altrove, tuttavia, eserciteremo, come in altre anche recenti occasioni, una intensa vigilanza per impedire che vengano agevolati da comitati o persone residenti in Italia. È superfluo aggiungere che, sotto l'occupazione italiana, prevarrà in Tripolitania e Cirenaica, nel campo economico, il principio della porta aperta, e che ogni forma legittima di attività economica ed ogni opera di civiltà da parte di cittadini di qualsivoglia nazionalità troveranno nelle autorità italiane il più imparziale e cordiale appoggio. Qualora ufficiali di codesto esercito o marina trovinsi al servizio della Turchia, voglia V.E. ottenere che ricevano subito ordini di non partecipare ad operazioni militari contro l'Italia». Cfr. nn. 248 e 260.

émus et inquiets pour leur sécurité, ont commencé à s'embarquer en quittant sans délai la Tripolitaine.

L'arrivée à Tripoli de transports militaires ottomans, de l'envoi desquels le Gouvemement royal n'avait pas manqué de faire remarquer préalablement au Gouvemement ottoman les sérieuses conséquences, ne pourra qu'aggraver la situation, et impose au Gouvemement royal l'obligation stricte et absolue de parer aux périls qui en resultent.

Le Gouvemement italien, se voyant clone désormais forcé de songer à la tutelle de sa dignité et de ses intérèts, a décidé de procéder à l'occupation militaire de la Tripolitaine et de la Cyrénalque.

Cette solution est la seule à laquelle l'ltalie puisse s'arrèter: et le Gouvemement royal s'attend à ce que le Gouvemement imperia! veuille donner des ordres en conséquence, afin qu'elle ne rencontre de la part des représentants actuels ottomans aucune opposition et que !es mesures qui en seront la conséquence nécessaire, puissent s'effectuer sans difficulté. Des accords ultérieurs seraient pris entre les deux Gouvemements pour régler la situation définitive qui en résulterait.

L'ambassade royale à Constantinople a I'ordre de demander une reponse péremptoire à ce sujet de la part du Gouvemement ottoman dans un délai de vingtquatre heures de la présentation à la Sublime Porte du present document. A defaut de quoi, le Gouvemement italien se verrà dans la necessité de procéder à la réalisation immédiate des mesures destinées à assurer l'occupatiom>.

VS. vorrà soggiungere che la risposta della Sublime Porta, entro il predetto termine di ventiquattr'ore, ci deve essere comunicata anche per il tramite della ambasciata di Turchia a Roma3.

229 4 Questo paragrafo ed i successivi vennero riferiti, anche con citazioni testuali, da GIOLITTI, Memorie. pp. 226-227.

230 1 Ed. in MALGERI, La guerra libica, n. 2, pp. 389-391, con la data del 26 ed in versione italiana; stessa data in GIOLITTI, Memorie, pp. 234-235. Spiega l'errore DE MARTINO, La mia missione, p. 277: «Nelle Memorie di Giolitti si legge che l'ultimatum fu spedito il 26 settembre e questa data è ripetuta in varie successive pubblicazioni. La verità è che fra la deliberazione del Consiglio dei ministri avvenuta il 26 e la spedizione del telegramma passarono diverse ore dovute evidentemente alla cifrazione del lungo telegramma medesimo, che partì da Roma il 27 a ore 2 antimeridiane». De Martino ricorda inoltre che una copia dell'ultimatum era stata notificata all'incaricato d'affari di Turchia a Roma il 28 alle 8 (ivi, p. 278); un'annotazione sulla copia della notifica reca le ore 7,55.

231

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. RISERVATISSIMO 4772/953. Therapia, [27] settembre 1911, ore 2 (per. ore 11,10).

Ho eseguito puntualmente ordini di VE. nel lungo colloquio con Marschall. Evidentemente egli ha promesso al gran visir di fare un tentativo per procurare una intesa sul terreno delle concessioni economiche e si sforzò di persuadermi. Premetto

che conosco barone Marschall da diciotto anni e sono in ottime relazio-ni personali con lui. Mi sono attenuto alle istruzioni datemi col telegramma n. 35782 per norma di linguaggio. In sostanza, barone Marschall sosteneva che una nostra occupazione della Tripolitania avrebbe prodotto una rivoluzione in Turchia con la caduta del regime giovane turco, disordini contro le colonie italiane ed estere che avrebbero provocato invio di navi, sbarchi da parte dell'Italia e di altre potenze e per conseguenza si sarebbe aperta la questione di Oriente. Quindi, un'azione militare sarebbe da evitarsi, meglio profittare dell'occasione per ottenere concessioni economiche importanti; la Tripolitania è destinata a noi e non può sfuggirei. Premesso che nulla fa ritenere che il R. Governo intenda ora occupare la Tripolitania, ho oppugnato le affermazioni di Marschall con argomenti ben noti a V.E. Gli ho fatto osservare che, delle tante persone competentissime da me interrogate o fatte interrogare, egli è il solo che prevede il contraccolpo di una rivoluzione interna. Gli ho chiesto se prevede una mossa da parte degli Stati balcanici. Mi rispose decisamente che né Bulgaria, né Serbia, né Montenegro si muoveranno. V.E. noterà l'importanza di questa affermazione. Quanto alle concessioni economiche, ho sostenuto che ormai per la nostra opinione pubblica la questione è spostata trattandosi dell'equilibrio del Mediterraneo. Barone Marschall insistè nel suo punto di vista e mi disse che assumevo una grande responsabilità. In sostanza si tratta di un rinnovato tentativo tedesco di fermare l'Italia nella via dell'azione. E possiamo ritenere probabile che il gran visir abbia offerto un corrispettivo. Indubbiamente una nostra azione in Tripolitania è sgradita alla Germania che si trova in delicata situazione, ma non è questo un motivo perché essa possa esigere il sacrificio di nostri vitali interessi.

230 3 Per la risposta cfr. n. 244.

231 1 Il contenuto di questo telegranuna venne riferito, anche con citazioni testuali, da GlOLITTl, Memorie, p. 228.

232

IL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE URGENTISSIMO 4851/12975. Asmara, 27 settembre 1911, ore 7,45 (per. ore 10,25 del 28).

Indispensabile difesa Massaua o Assab siano inviate navi numero sufficente perché anche caso spedizione alto mare una nave resti Massaua una Assab. Sino tutt'oggi 27 abbiamo solo «Aretusa» e «Volturno». Colonia è ottima disposizione animo guerra Turchia. Concordia fra autorità civile e militare e popolazione italiana completa. Procedo gradatamente mobilitazione corpo coloniale.

Prego sollecitare guerra inviare uomini materiale chiedo stasera.

231 2 Cfr. n. 185.

233

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO URGENTE 4835/962. Therapia, 27 settembre 191I, ore 11,30 (per. ore 20, 15).

Attiro l'attenzione dell'E.V. sulla utilità di fare una pubblica affermazione di deferenza e di amicizia per la religione musulmana in caso di occupazione della Tripolitania. Appena avvenuta la spedizione, si dovrebbe distribuire abbondantemente un proclama in quel senso redatto nei termini opportuni, non solo in Tripolitania, ma in tutto l'Impero. Occorrerebbe inviare ai rr. consoli una provvista di stampati in turco o in arabo, a seconda delle regioni, e procurare che ne sia data anche la massima pubblicità dai giornali turchi, italiani ed esteri. Se in tempo, sarebbe meglio far stampare quel proclama in Italia, essendo difficile trovare qui un tipografo da fidarsi. Avverto che questo mio suggerimento non è affatto ispirato dal timore di una agitazione seria in senso religioso islamico in quanto l'attuale regime giovane turco è mal visto dagli elementi conservatori religiosi. Ma di questa circostanza appunto dobbiamo profittare.

234

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4813/57. Sofia. 27 settembre 1911, ore 13.30 (per. ore 14.30).

Suo telegramma n 3668 1• Dai discorsi da me qui uditi sebbene non provocati, mi risulta abbastanza chiaro che, qualunque cosa accada in Tripolitania la Bulgaria non appare volenterosa nè sopratutto possibilitata a profittarne pei propri intenti politici.

Data infatti l'impossibilità per la Turchia, ove la flotta italiana vi si opponga, di far pervenire truppe in Tripolitania, non è da ritenere che nell'accennata eventualità la Turchia diminuisca di un sol uomo le sue potenti guarnigioni nella Macedonia. Che se gli avvenimenti della Tripolitania dovessero segnare la fine del regime giovani turchi, si crede qui che la crisi non potrebbe avvenire che in senso reazionario o militarista. Ad ogni modo, adunque la Bulgaria continuerebbe a trovarsi di

fronte a quella proponderanza militare della Turchia che fin qui le ha imposto l'inazione. Richiamo l'attenzione anche sul mio rapporto in data di ieri n. 2272 .

234 1 T. riservatissimo del 26 settembre, non pubblicato, col quale si comunicava l'intenzione del Governo di mantenere lo statu quo nei Balcani e di scoraggiare qualsiasi movimento contro la Turchia.

235

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO URGENTE 4844/121. Pietroburgo, 2 7 settembre 1911, ore 16 (per. ore 18).

Salvo poche non importanti eccezioni la stampa russa, più di quanto mi aspettavo, fa buon viso alla nostra azione in Tripolitania e pare riconoscere fondamento tanto dal punto di vista dei nostri interessi economici quanto da quello dell'equilibrio del Mediterraneo. Notevoli gli articoli del Novoye Vremya che assicura che con la rinunzia a Tripoli la Turchia più guadagnerà che non perderà e quello dello Birjevia Vìedomosti il quale domanda che la Russia profitti dell'occasione per far risolvere in suo favore la questione degli Stretti.

Se quest'attitudine favorevole della stampa russa che attentamente invigilo, tendesse a modificarsi in seguito, spero aver modo agire indirettamente colle dovute cautele su qualche organo importante. Ritengo, però che qualsiasi sacrificio di danaro indicato altrove sarebbe in Russia poco utile ed opportuno.

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, CUSANI CONFALONIERI

T. 3691. Roma, 27 settembre 1911, ore 18.

Come risulta dal mio telegramma n. 36841 l'Italia è decisa ad occupare la Tripolitania e Cirenaica con o senza conflitto armato con la Turchia. In previsione di conflitto italo-turco prego far telegrafare da codesto Governo al comandante della nave da guerra «Chestem ricordandogli i doveri della neutralità. L'ammiraglio comandante la squadra italiana ha ordine di tenere cordiali rapporti colla nave «Chester» e darle ove occorra aiuto per la protezione della missione archeologica americana. Ella può assicurare codesto Governo che il Governo italiano occupando la Tripolitania e Cirenaica vedrà con simpatia la missione archeologica americana e

236 1 T. pari data, non pubblicato, col quale si trasmetteva il telegramma di cui al n. 230, nota 2.

la proteggerà e favorirà cordialmente. Del resto fin dal 2 dicembre 191 O nel mio discorso alla Camera io dissi: «nelle gare della scienza noi intendiamo procedere d'accordo colla missione americana». Dai documenti che le ho mandato per posta risulta che la calunniosa voce che qualche italiano abbia una parte di responsabilità morale per l'assassino di Decon è una trama delle autorità turche, ma se per caso improbabile un italiano indegno di questo nome avesse qualche colpa anche indiretta il R. Governo intende non già coprirlo ma punirlo. Il console Bernabei è stato richiamato da Bengasi perché la sua opera ci è necessaria altrove ed il suo successore Bolognesi ha ordine di tenere sempre i più amichevoli rapporti colla missione archeologica americana. Aggiungo che io conosco personalmente Armour Motts ed altri e so che non hanno fini incompatibili cogli interessi italiani come non ne ha ne può averne il Governo americano il quale non ha mire politiche nel Mediterraneo.

234 2 R. riservato n. 1059/227, non pubblicato. Per il seguito cfr. n. 240.

237

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1650/629. Il Cairo, 2 7 settembre 1911 (per. il 7 ottobre).

I dispacci delle varie agenzie telegrafiche giunti negli ultimi giorni circa la probabilità di un'azione energica dell'Italia contro la Turchia e più precisamente di un occupazione italiana dalla Tripolitania, han destato nella popolazione dell'Egitto un interesse vivissimo ed i più svariati commenti. La cosa è più che naturale, perché il paese è compreso nei confini dell'Impero otto mano e perché vi riesede una numerosa ed antica colonia italiana. Da un lato dunque la popolazione indigena cui importa, almeno apparentemente, di sostenere l'integrità dell'Impero per dar nuova prova della propria avversione ad un eventuale distacco della regione dalla madre patria, dall'altro i nostri connazionali, i quali sono in grado di valutare l'importanza eccezionale di avvenimenti che muterebbero grandemente l'influenza italiana in tutto l'Oriente.

Coi telegrammi nn. 67 e 68 del 25 e 26 corrente 1 , nonché col rapporto n. 1628/ 622, del 242 , ho accennato alle più importanti manifestazioni date appunto dall'opinione pubblica in Egitto sull'argomento. Stamane i giornali indigeni che sono usciti per la prima volta dopo le feste del Bairam, pubblicano tutti articoli improntati alle stesse idee, di quello pubblicato sull'Akhram, per quanto con intonazione assai meno violenta; lo stesso Al-Akhram, del resto, in un numero successivo, ha data prova di

237 1 TT. 4711167 e 4740/68, non pubblicati. 2 Non pubblicato.

ben maggiore moderazione. A ciò ha forse contribuito anche l'azione da me spiegata presso le autorità competenti intesa ad ottenere che il Governo locale prevenisse nella stampa indigena quegli stessi eccessi di linguaggio che ho raccomandato di evitare alla stampa nostra per impedire incidenti spiacevoli. Ad ogni modo tutti i commenti dei giornali indigeni si riducono a tre ordini diversi di considerazioni. Ammonimenti all'Italia di non dimenticare le proprie sventure africane, esonero di responsabilità qualsiasi da parte del Governo ottomano circa l'origine di una questione itala-turca, accuse all'Inghilterra di agire sottomano per determinare un'azione armata dell'Italia in Tripolitania allo scopo di render più giustificabile la distruzione dell'indipendenza egiziana.

Le idee esposte dai giornali indigeni devono tuttavia interpretarsi come manifestazione di sentimenti che sono sovratutto determinati da considerazioni d'indole locale, affatto estranee alla natura del conflitto -è ben noto, infatti, quanto sian scarsi i legami dell'Egitto col rimanente dell'Impero ottomano, alla cui alta sovranità gli egiziani mostran di tenere solo in quanto essa possa impedire alla dominazione inglese di estendersi ed intensificarsi maggiormente. Mi consta invece che una gran parte della popolazione indigena dell'Egitto, quella parte che non è animata né da fanatismo religioso, veramente assai raro nel paese, né da soverchia ammirazione per i sistemi amministrativi del Governo turco, ma che tien conto ben più degli interessi materiali del paese, considera quasi con compiacimento l'eventualità che la Tripolitania possa diventar terra italiana e venga in tal modo chiamata ad una nuova vita, ad un risorgimento economico dal quale le regioni adiacenti possono trarre benefici di grande importanza.

Gli egiziani non dimenticano infatti come dal Delta alla Tripolitania si estenda una regione che richiederà pochi sacrifici per esser chiamata ad un risorgimento economico sicuro. L'amministrazione della Casa kediviale, cui appartengono lungo la costa vaste estensioni di terreni, ha già iniziata da lungo tempo la costruzione di una ferrovia che giunge attualmente a metà strada circa dal confine. Informazioni da fonte indubbia mi permettono di assicurare la E.V. che il rendimento di tal linea copre già fin d'ora le spese di esercizio, grazie specialmente al trasporto di animali da macello provenienti dalla Cirenaica. D'altro canto la poca sicurezza che esiste dall'altro lato del confine, il fatto stesso che questo non è ancor bene determinato impediscono all'Egitto di dare uno sviluppo razionale ai propri territori più occidentali.

La stampa francese di Cairo, che in questo momento gode la facoltà di usare un linguaggio più libero, ha detto espressamente quello che molti in Egitto, indigeni e stranieri, vanno pensando in questi giorni: che cioè nell'interesse di questo paese bisogna sperare che l'Italia si tragga dagli inceppamenti della solita incertezza e che occupi la Tripolitania per condurla a quel rinnovamento economico, indubbiamente possibile, che il Governo di Costantinopoli non sarà mai capace di darle. In questo senso si esprimono i due giornali francesi, più importanti, Le Journal du Caire e La Bourse Égyptienne, il primo augurandosi una pronta occupazione anche se questa debba dar luogo ad un conflitto armato, il secondo esprimendo la speranza che la pace non venga turbata e che la Turchia si decida a cedere i suoi diritti sulla Tripolitania mediante compenso.

Che di sifatto avviso sia una gran parte degli egiziani lo prova anche il fatto di una conversazione che ho sorpresa domenica scorsa tra due indigeni, i quali, non supponendo naturalmente quali orecchi fossero ad ascoltarli, esprimevano liberamente la speranza di veder presto l'Italia a Tripoli per il vantaggio della civiltà e principalmente per quello dell'Egitto.

V. E. immagina quale sia il modo di vedere di questa Colonia, che vive numerosa alle porte della Tripolitania. Se questa dovesse diventar terra italiana la situazione sua muterebbe assai, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista morale. È inutile farsi delle illusioni: le nostre sventure coloniali, la acquiescenze con cui l 'Italia ha assistito allo smembramento dell'Africa tra le Potenze europee pesano dolorosamente sulle nostre agglomerazioni coloniali, tanto più numerose delle altre. E qui, in queste terre d'Oriente, dove tutto ricorda la secolare benefica influenza dell'elemento italiano, dove gente del nostro sangue ha portata due volte la civiltà latina lasciando traccie incancellabili, dove la nostra lingua è stata fino a pochi anni or sono la lingua comune a tutti, è qui che per gli italiani è più dolorosa la profonda decadenza cui siamo giunti per opera nostra. Questo sentono gli italiani dell'Egitto ed aspirano anche ad un tardivo e non grande successo che ristabilirebbe alquanto l'influenza perduta e permetterebbe di riconquistare a poco a poco in quanto è ancora possibile quell'egemonia se non altro morale che solo può permettere ad un popolo di intensificare seriamente la propria penetrazione economica.

Con questi sentimenti non sto a dire alla E.V. quale accoglienza abbian trovata nella nostra colonia l'articolo dell'Akhram e gli scritti degli altri giornali indigeni che tutti più o meno velatamente ci han rinfacciata la sconfitta di Adis Abeba, han consigliata all'Italia molta prudenza per non scontentare il Governo turco, han detto che per paura della resistenza turca avremmo receduto da ogni azione energica verso l'Impero. Non pochi han manifestato chiaramente il proposito di dare una severa lezione a chi credeva di poterei offendere impunemente sia pure con forme blande. Ogni incidente è stato però evitato e debbo segnalare alla E.V. il contegno veramente serio e patriottico mantenuto in questi giorni dalla stampa italiana e dalla nostra colonia d 'Egitto, a qualunque classe e fede politica appartenga. Di manifestazione alquanto pubblica non s'ebbe che un ordine del giorno votato dalla loggia

G. Garibaldi per protestare contro il primo articolo dell'Akhram. E va notato che in detta loggia vi sono anche elementi di idee avanzatissime.

Dirò, per concludere, che il Governo egiziano mi ha assicurato che avrebbe usata della propria influenza sulla stampa indigena per impedire ogni eccesso di parole. Perché, ripeto, si tratterebbe di parole soltanto, mentre tutti sarebbero nel fondo ben contenti di aver come vicina una Potenza capace di civilizzare la Tripolitania.

Il Lewa che è foglio nazionalista di tendenza più estrema commentando le notizie telegrafiche concernenti i preparativi militari dell'Italia, la scusa dicendo che è spinta dall'Inghilterra; e questa sua dichiarazione che precede tutte toglie gran valore alle successive minaccie di guerra ad oltranza da parte di tutto il mondo islamico per impedire un ulteriore smembramento dell'Impero.

238

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 3710. Roma, 28 settembre 1911, ore l.

Suo 12862 1 . D'accordo con il ministro della guerra e capo di Stato Maggiore, confermandole mio 36822 non crediamo sia per ora il caso di inviare costà truppe dall'Italia.

Già disposto perché r. nave «Staffetta» da Oceano Indiano e r. nave «Puglia» da Italia giungano acque eritree. Prego mettersi comunicazione telegrafica con consolato Hodeida per conoscere dislocazione e movimenti navi ottomane costa Yemen e telegrafarmi3.

239

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIAN01

T. URGENTE 4874/275. Tripoli di Barberia, 2 8 settembre 1911, ore l, 15 (per. ore 18,30).

*Altra fonte degna di fede afferma non essere giunta*, sul «Dema» non esistere torpedini in grado di funzionare. Sarebbe stato ieri invitato visitare opere piazza un colonnello Stato maggiore qui esiliato *e molto stimato*; egli avrebbe giudicato armamenti piazza in condizioni da non consentire resistenza.

Intanto con cammelli che ormai giungono, requisiti già da punti lontani, si affretta invio carico «Dema» verso l'interno; ogni ora che passa è sfruttata dai turchi opportunamente a favore loro progetti di appoggiare resistenza alle popolazioni e terreni del Gebel. Si conferma che altri trasporti militari abbiano sbarcato materiale truppe in altri punti Tripolitania Cirenaica poiché si assicura che un trasporto militare è ora in rotta da Misurata per Tripoli.

Piroscafo nazionale «Banco di Roma» già partito dirigente *su rr. navi e istruzioni proseguire* Siracusa. Ha oltre cinquecento passeggeri; *prego di avvertire quelle autorità per gli opportuni provvedimenti*. Trattengo piroscafo postale *qui giunto stamane e mi regolo secondo il caso*. Per maltesi *oggetto del telegramma

3706*2 difficile provvedere, sono troppe centinaja persone che vorrebbero partire, si trova del resto in porto piroscafo inglese. *Ingegnere Cortini oggetto telegramma 37032 sempre qua; ho fino ad ora emesso due tratte per complessive 13000 lire italiane*.

238 1 T. 4749/12862 del 25 settembre, non pubblicato. 2 T. del 26 settembre, non pubblicato, col quale si autorizzavano tutti i provvedimenti necessari per la difesa della colonia. 3 Le notizie richieste vennero riferite con T. Uff. coloniale del 28 settembre, non pubblicato. 239 1 Il telegramma è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi, da GALLI, Diarii, pp. 85-86.

240

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 4900/58. Sofia, 28 settembre 1911, ore 3,20 (per. ore 17,50).

Faccio seguito al mio telegramma n. 57 1• In assenza di Gueschoff e di Dobrovitch mi sono procurato colloquio con Danef, unico uomo politico qui presente che considero in caso di parlarmi autorevolmente nel presente frangente. Egli mi ha dato la più ampia assicurazione che la Bulgaria si rende conto che la propria tranquillità in questo momento può costituire il migliore appoggio per l'azione italiana e che per la grande simpatia colla quale essa segue quella azione si può stare sicuri che non creerà imbarazzi di sorta. Danef desidera che ciò si sappia dall'Europa perché è di prima necessità lo sventare le trame di chi allo scopo di intralciare l'azione dell'Italia [ mente?F diffondendo il sospetto che quella azione sarà motivo di complicazioni balcaniche. Ma l'opinione pubblica bulgara domanda che l'Italia agisca presto e senza ulteriori esitazioni, perché, se non si costituisce subito un fatto compiuto, essa teme che la Germania si troverà imbarazzata tra le sue simpatie turcofile ed i doveri d'alleata e l'Austria-Ungheria avrà tempo di svolgere la sua campagna d'intimidazione. Se l'Italia ora esita o si ritira, certamente perderà ogni prestigio agli occhi dei bulgari e cesserà di essere nella loro opinione quell'elemento importante nella questione d'Oriente che essa viene pur sempre qui considerata. Ho detto al Danef che avrei trasmesso al R.Govemo le sue parole come l'espressione più autorevole che mi era ora dato di raccogliere di quanto qui si dice, pensa, e si vuole e che mi auguravo che, una volta risoluta felicemente la questione di Tripoli, grazie anche all'attitudine pacifica della Bulgaria che egli mi diceva poter garentire, noi avremmo presto potuto riprendere le nostre conversazioni sulla questione macedone e sulla parte che l'Italia, liberata dalla maggiore preoccupazione della sua politica estera, vi avrebbe potuto d'accordo con la Bulgaria rappresentare. Ho voluto con ciò fare al Danef una preliminare apertura nel senso del dispaccio di V.E. n. 14 del 29 agosto3 , apertura cui potrò a suo tempo dar seguito a seconda della piega che avranno avuto gli avvenimenti.

2 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

3 Non pubblicato.

239 2 T. del 27 settembre, non pubblicato.

240 1 Cfr. n. 234.

241

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, E AL REGGENTE IL VICECONSOLATO A DERNA, PETRUCCI

T. SEGRETO PERSONALE S.N. Roma, 28 settembre 1911, ore 11.

Notificato ultimatum Turchia. Panni opportuno far partire subito connazionali imbarcati, potendo ostilità cominciare da un momento all'altro. Tenga però segreta notizia.

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO PERSONALE URGENTE 3 713. Roma, 28 settembre 1911, ore 13.

Eventi precipitano. Urge immediata risposta Germania per protezione nostri connazionali. Giudichi V.E. se eventuali esitazioni Germania potrebbero forse superarsi dichiarando che l'Italia non dispiacerebbesi Germania assumesse anche protezione sudditi ottomani in Italia.

Mi rimetto a V.E. sulla opportunità o meno di esprimersi in questo senso con codesto Govemo 1•

243

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4873/497. Parigi, 28 settembre 1911, ore 14,20 (per. ore 16,50).

lzwolski è sempre preoccupato delle possibili ripercussioni nei Balcani della questione Tripoli. Egli ha detto avere scritto a Pietroburgo che in questo momento più che mai è necessaria una permanente conversazione a tre tra Austria-Ungheria, Italia e Russia, che nulla dovrebbero [fare] 1 senza essersi prima poste d'accordo.

242 1 Con T. 4856/204, pari data, non pubblicato, Pansa comunicò la risposta positiva. Per il seguito cfr. n. 247.

243 1 Integrazione del decifratore.

244

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE 4907/980. Pera, [28] settembre 1911, ore 17 (per. ore 19,30).

Recatomi testé dal gran visir insieme a primo dragomanno, gli ho rimesso nota letteralmente trascritta dal telegramma n. 36801•

Nota fu consegnata precisamente a ore 14 e 1/2. Aggiunsi che nello stesso termine di ventiquattro ore la risposta deve egualmente essere comunicata per mezzo dell'ambasciata ottomana a Roma. Attirai la sua attenzione sulla parte relativa agli accordi ulteriori. Gran visir domandò se tali accordi sarebbero da negoziarsi dopo l'occupazione. Gran visir osservò che il termine di ventiquattro ore per rispondere a Roma è troppo breve. Colloquio ebbe intonazione del tutto corretta2 .

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. 3721 bis. Roma, 28 settembre 1911, ore 18.

Invierò a V.S. entro oggi dichiarazione guerra1• Quasi certamente protezione connazionali sarà assunta dalla Germania. Conferisca in proposito con Marschall. Provveda secondo le circostanze nel modo migliore per quanto riguarda i nostri

uffici consolari ed i nostri consoli.

246

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 48921140. Cettigne, 28 settembre 1911, ore 18 (per. ore 20,20).

Avendo avuto occasione vedere stamane il re Nicola ed essendo conversazione caduta su Tripoli, egli mi ha detto che se la Turchia avesse da impegnarsi in una

2 Per la risposta cfr. n. 251 . 245 1 Cfr. n. 250.

280 guerra con l'Italia il momento sarebbe propizio per gli Stati balcanici di accordarsi ad agire contro il comune nemico. Non ho mancato esprimermi ben chiaramente con Sua Maestà nel senso indicato nel telegramma di V.E. n. 36601•

244 1 Cfr. n. 230.

247

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO PERSONALE 4890/205. Berlino, 28 settembre 1911, ore 19,15 (per. ore 20,55).

Tripoli. Kiderlen mi ha riferito una conversazione avvenuta ieri fra il barone Marschall e gran visir, col quale egli si è intrattenuto, dei mezzi eventualmente da adottare per la protezione degli italiani residenti in Turchia, in vista delle prossime complicazioni tripoline. Gran visir disse avere ricevuto da parecchi valì domande di istruzioni in proposito. Egli proponeva di ordinare che per sottrarre i sudditi italiani a possibili pericoli essi venissero fatti all'occorrenza imbarcare nei diversi porti, mentre le autorità prenderebbero le misure necessarie per la conservazione dei loro beni. Gran visir osservava però che, se ciò poteva farsi nelle città di mare, riuscirebbe difficile adottarsi simile misura per italiani residenti in località nell'interno. Kiderlen al quale parlai del linguaggio di alcuni di questi giornali, mi rispose che solo importante era quello considerato come ufficioso e avere egli anche stamane fatto raccomandazione di evitare critiche sgradevoli sull'azione dell'Italia. Avendo egli fatto allusione nel corso della conversazione alla speranza che ancora vi fosse di un componimento con la Turchia prima di una nostra azione militare, gli lasciai intendere, pure mantenendo la debita riserva, che al punto in cui sono giunte le cose, mi pareva ormai difficile di evitarla, almeno di una completa desistenza dei turchi a Tripoli.

248

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4891/125. Pietroburgo, 28 settembre 1911, ore 19,47 (per. ore 22,50).

Neratoff al quale ho comunicato oggi le considerazioni contenute nel telegramma di V.E. 3681 1 , a giustificazione della nostra azione in Tripolitania, era già

248 Cfr. n. 230, nota 2.

281 informato del nostro ultimatum e della risposta datavi dal Governo ottomano. Egli appariva fiducioso che la Turchia non avrebbe lasciato le cose giungere fino ad un conflitto armato coll'Italia e che si troverebbe modo di giungere ad una intesa anche sulla base di una nostra occupazione della Tripolitania. Neratoff mi manifestò ancora qualche apprensione che la nostra azione potesse provocare qualche complicazione nei Balcani ed i suoi timori parevano rivolgersi specialmente verso la Bulgaria, ma ammetteva con V.E. che la stagione si presenta a questo poco propizia. Ne trassi occasione per parlargli delle chiare e ferme dichiarazioni che V.E. (?)2 aveva fatto rivolgere agli Stati balcanici di cui al telegramma di V.E. 36693 ed espressi per conto mio la speranza che anche per parte delle altre potenze non sarebbe mancata nello stesso senso un'attiva vigilanza. Neratoff sembrava perfettamente ammettere fondamento della nostra azione per cui riteneva momento attuale particolarmente favorevole e la necessità per noi di ristabilire con essa il turbato equilibrio nel Mediterraneo. Nell'accomiatarsi da me mi espresse ancora in termini calorosi suoi auguri per una felice riuscita della nostra intrapresa.

246 1 Errore di trascrizione o di decifrazione; ci si riferisce con tutta probabilità al T. 3668 (cfr. n. 234, nota lÌ indirizzato anche a Cettigne.

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. 3722. Roma, 28 settembre 1911, ore 20,30.

Il r. ambasciatore a Berlino mi telegrafa che la Germania assume la protezione nostri interessi Turchia.

V.S. vorrà quindi dame comunicazione a tutti i nostri consolati e prendere gli opportuni accordi con codesto ambasciatore di Germania.

250

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. 3727. Roma, 28 settembre 1911, ore 23,15.

Le comunico il testo della dichiarazione di guerra che ella presenterà appena spirate le ventiquattro ore dal momento della presentazione dell'ultimatum se la Porta non avrà dato risposta interamente favorevole.

3 T. col quale si comunicava il T. 3668 (cfr. n. 234, nota l).

«En exécution des ordres du Gouvemement de S.M. le Roi, son Auguste Souverain, le soussigné, chargé d'affaires d'Italie, a l'honneur de signifier à Votre Altesse ce qui suit.

Le délai que le Gouvemement royal avait accordé demièrement au Govemement impérial, en vue de la réalisation des mesures dévenues nécessaires, vient de s'écouler sans qu'une réponse satisfaisante lui soit parvenue. Le défaut de cette réponse ne fait que confirmer la mauvaise volonté ou l'impuissance dont le Gouvemement et les autorités impériales ont donné déjà des preuves si nombreuses, en ce qui concerne particulièrement la protection des droits et des intérèts italiens dans la Tripolitaine et la Cirénai:que. Le Gouvemement royal se voit, par conséquent, obligé de pourvoir directemente à la sauvegarde de ces droits et intérèts, ainsi que de la dignité et de l 'honneur de l 'Etat, par tous les moyens don t il dispose.

Les événements qui vont suivre ne sauraient ètre envisagés autrement que comme la conséquence nécessaire, quoique pénible, de la conduite suivie depuis longtemps par les autorités de l'Empire, vis-à-vis de l'Italie.

Les relations d'amitié et de paix étant de la sorte interrompues entre les deux pays, l'ltalie se considère dès ce moment en état de guerre avec la Turquie. Le soussigné, d'ordre de son Gouvemement, a par conséquent l'honneur de fair connaìtre à Vostre Altesse que les passeports seront mis aujourd'hui mème à la disposition du chargé d'affaires de l'Empire ottoman à Rome et il prie Votre Altesse de vouloir bien lui faire expédier sans délai ses propres passeports.

Le Gouvemement royal a chargé le soussigné de déclarer, en mème temps, à Votre Altesse, que les sujets ottomans pourront continuer à résider dans le territoire du Royaume, sans qu'aucune atteinte soit à craindre, concemant leur sécurité personnelle, leurs propriétés et leurs affaires».

Prego telegrafarmi subito: l) appena ricevuto questo telegramma'; 2) appena consegnata la dichiarazione2 . Per maggior sicurezza pregola possibilmente farmi anche telegrafare per mezzo di qualche altra ambasciata.

248 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

251

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. 3725. Roma, 28 settembre 1911, ore 23,30.

Suo telegramma n. 980 1 . Le telegraferò a momenti la dichiarazione di guerra che potrà far presentare dal dragomanno se non riceverà risposta pienamente adesiva al nostro ultimatum alle 14 \,ç.

2 Cfr. n. 259.

2 Cfr. n. 250.

Tenore suo telegramma fa sorgere impressione che non sia del tutto impossibile che Turchia ceda. Pregola telegrafarmi subito con precedenza assoluta se crede fondata tale impressione3 .

Se la risposta non sarà interamente adesiva noi non possiamo ritardare neanche di un'ora le ostilità.

Siccome tale risposta potrebbe essere così abilmente redatta da metterei pel nostro rifiuto in mala luce presso la opinione pubblica europea così a lei non mancherà modo di spiegare a viva voce sia ai suoi colleghi sia anche direttamente

o indirettamente a codesto Governo e alla stampa che l'immediato principio delle ostilità imposto da indeclinabili ed improrogabili necessità, non esclude affatto il nostro proposito di affrettare una soluzione pacifica ed equa, naturalmente sulla base indiscutibile della previa nostra occupazione militare e della sostituzione dell'amministrazione italiana a quella ottomana.

250 1 T. 4992, privo della data e dell'orario di partenza (ma pervenuto il 30 settembre, ore 11), non pubblicato.

251 1 Cfr. n. 244.

252

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 903/343. Madrid, 28 settembre 1911 (per. il 2 ottobre).

Faccio seguito al mio rapporto del 22 corrente n. 897/341 1 .

Secondo informazioni che ho avuto ulteriormente e che credo attendibili, ai vari punti nei quali si aggireranno i prossimi negoziati franco-spagnuoli e che ho riassunto nella mia comunicazione sopra indicata, un altro deve aggiungersi che presenta non poca importanza e che sarà probabilmente occasione di lunga resistenza da parte della Spagna. Si tratta della condizione che si vorrebbe farle accettare di non fortificare i porti del litorale marocchino che passerebbero sotto il suo dominio politico. Tale condizione era convenuta nell'accordo segreto del 1904: ma, particolare curioso, essa viene ora posta alla Spagna non dalla Francia che nella prima conversazione tenuta non ne ha fatto parola, ma dall'Inghilterra, la quale ha interesse ad evitare che si creino sulla costa del Marocco nuclei di futuri porti militari.

Il ministro di Stato è ritornato da alcuni giorni già alla capitale, e per domani sono attesi i miei colleghi di Francia e d'Inghilterra. I giornali di qui annunziano che immediatamente saranno ripresi i negoziati per il nuovo accordo con la Francia. Fino a ieri però il Governo francese non aveva ancora risposto alle osservazioni formulate dal Governo spagnuolo intorno alle sue prime proposte, e alle quali si riferiva il mio

telegramma n. 1362 . Il Governo francese dopo essersi dimostrato ai primi di settembre disposto ad aprire le trattative con la Spagna, tanto che il signor Geoffray era stato autorizzato ad iniziare le conversazioni preliminari al vero e proprio negoziato, sembra ora assai meno premuroso, il che non è di buon augurio. Dagli articoli dei giornali francesi anche da quelli che pretendono d'essere più benevoli verso la Spagna, si può argomentare che il partito coloniale è già all'opera perché non si tratti sulle basi del 1904 ma si disinteressi il Governo spagnuolo con concessioni assai minori. Alcuni influenti coloniali pretenderebbero che la Spagna abbandonasse e Larache e Alcazar e si contentasse di Tetuan e del Riff. È da sperarsi che il Governo francese resisterà a quei consiglieri pericolosi: la firma della Francia sta sotto l'accordo del 1904 che per quanto si voglia cavillare è stato stretto appunto in previsione di ciò che ora si sta verificando. La Spagna poi ha due carte eccellenti nel suo giuoco che possono imbarazzare seriamente quello della Francia, cioè la posizione di fatto che essa ha preso sul limite meridionale della sua zona, e la sua qualità di potenza firmataria dell'Atto Generale d'Algesiras. Il nuovo accordo franco-germanico dovrà esser sottoposto alla ratifica di tutti gli Stati firmatari dell'Atto Generale e la Spagna potrà ricusare la propria fino a che non abbia soddisfazione dal canto suo, aggiornando così di non poco la completa soluzione della quistione e lasciandola esposta ai pericoli d'una situazione non interamente pacifica.

Malgrado tutto però, malgrado anche queste buone armi di difesa, persiste a ritenere che il Governo spagnuolo sarebbe stato ben consigliato affrettandosi a impegnare il Governo francese sulle sue prime proposte concernenti il nord del Marocco, e a renderle il più presto possibile irrevocabili anche a costo d 'una rinunzia ai suoi diritti su Ifni che, non o stante l 'interesse storico che può presentare, non ha per la Spagna alcun valore effettivo.

251 3 Con T. 4993 del 29 settembre, non pubblicato, De Martino rispose che aveva già ricevuto e telegrafato la risposta del Governo turco (cfr. n. 256).

252 1 R. riservato, non pubblicato.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. 3728. Roma, 29 settembre 1911, ore 1,35.

Spedisco come dai miei precedenti telegrammi relazione su alcuni incidenti tra l'Italia e la Turchia:

Il conflitto che sembra scoppiato improvvisamente tra l'Italia e la Turchia non è che l'epilogo di una lunga serie di vessazioni e di soprusi ancora più reali che apparenti, fatti all'Italia e agli italiani dalle autorità dell'Impero ottomano.

Da vario tempo innumerevoli erano i lamenti dei nostri connazionali in ogni parte dell'Impero al Governo del re reclamando sollecita opera di giustizia per lunghe angherie per denegata giustizia, per vere e proprie sopraffazioni che essi subivano e la cui soluzione veniva eternamente dilazionata.

In questa categoria di reclami eternamente insoluti che dimostrano il niun conto che alle legittime premure del R. Governo faceva la Sublime Porta basti ricordare i reclami Giustiniani per intervento arbitrario dell'autorità ottomana nel corso della giustizia locale, quello di Capoleone Guamani, di Kuhn e di Crissoni, di Marcopoli, degli eredi Sola, rispettivamente creditori verso lo Stato o verso personaggi della famiglia imperiale. La ditta italiana Stagni dalle ostilità delle autorità ottomane fu costretta ad abbandonare la concessione del taglio del legname nella provincia di Brussa.

E così rimasero sempre insoluti tutti i danni d'ordine politico subiti dai sudditi italiani nelle varie regioni dell'Impero, come quelli dipendenti dai massacri di Adana nel 1909 o dal saccheggio dell'agenzia della Società di Navigazione generale italiana in Santi Quaranta.

E numerosi altri reclami ed infine altre controversie di maggiore o minore gravità esistono, come, ad esempio, quelli di sfregi ed aggressioni compiute contro il personale appartenente ai consolati italiani; e tali da dimostrare come da tempo i nazionali italiani fossero circondati da una atmosfera ostile non rispondente alle buone relazioni ufficiali esistenti fra i due Stati.

E col nuovo regime, che tante speranze destò in Italia, gli incidenti dolorosi si moltiplicarono e si aggravarono.

Un fatto gravissimo avvenne recentemente, il ratto della giovanetta minorenne Giulia Franzoni di anni 16 rapita fraudolentemente alla propria famiglia di onesti operai adibiti ai lavori nelle ferrovie ottomane ad Adana, sequestrata e convertita di viva forza ali 'islamismo e maritata con la violenza ad un cittadino musulmano nonostante le proteste dei genitori e degli stranieri d'altra nazionalità, nonostante l'intervento del r. consolato e della r. ambasciata.

Questo incidente, che ha per ogni nazione importanza grave, ne ha ancora più per l'Italia che deve provvedere alla tutela di una numerosa emigrazione operaia, la quale trova lavoro nelle opere ferroviarie dell'Asia Minore. Ora il fatto di non avere trovato una rapida soluzione punitiva per questo barbaro sistema di forzata conversione e di ratto di ingenua fanciulla può essere incentivo ad altri fatti consimili che vengono direttamente a colpire tutta la popolazione operaia, che è in gran parte italiana, costretta a vivere con la propria famiglia in tali regioni.

Ma gli atti più perseveranti di avversione e di ostilità dalle autorità ottomane furono compiuti in quelle parti dell'Impero dove maggiori erano gli interessi italiani, cioè nel Mar Rosso ed in Tripolitania.

Dai rapporti dei nostri consoli, dalle relazioni di coloro che tornavano da quelle regioni, dai continui incidenti sollevati per colpa dei funzionari turchi è dimostrato chiaramente come si voleva creare un ambiente di ostilità agli interessi italiani, quasi diffidandone lo sviluppo sempre crescente.

Il contegno delle autorità ottomane nel Mar Rosso e sulla costa araba prospiciente alla Colonia Eritrea è stato sempre violento e continuamente provocatore. Troppo lunga sarebbe la serie degli incidenti coi quali si recò offesa alla bandiera italiana. Citiamone soltanto alcuni avvenuti sotto il nuovo regime. Il 5 giugno 1909 la cannoniera «Nurahad» a 40 chilometri dalla costa turca si impossessò con atti di violenza della somma di 2,340 talleri a bordo del sambuco italiano «Selima»; vero atto di pirateria, senza nessuna attenuante.

Recentemente ha avuto una certa notorietà l'incidente del «Genova», sequestrato da una cannoniera turca, rimorchiato a Hodeida e sottoposto ad iniquo procedimento e tentativi di appropriazione a mano armata. Animato da spirito di conciliazione, il Governo italiano accettò di fare una inchiesta in proposito per comporre l'incidente, inchiesta i cui risultati farebbero onta a qualsiasi governo civile per quanto riguarda la condotta dei funzionari locali. Ma non basta! Mentre erano in corso le trattative per l 'incidente del «Genova», il comandante di una cannoniera turca penetrava a mano armata a bordo del sambuco «Selima» il 5 dicembre 191 O e costringeva il nacuda a consegnare la corrispondenza dei negozianti di Massaua. Prepotenze d'altra natura e di non minore gravità furono commesse a danno dei sambuchi eritrei appartenenti ad Alì Kozen e a Kalid Hamed. Mentre le autorità turche perpetravano altre molestie di minor gravità verso altri sambuchi, esse, sempre felici di cogliere qualsiasi circostanza per danneggiare il commercio eritreo, si sfogavano il ventun agosto 1911, sperando impunità, sulla merce eritrea caricata a bordo del sambuco ottomano «Fath-es-Salam»: ne bastonavano il nacuda, lo buttavano a mare e lasciavano il veliero avariato, dopo aver preso a bordo tutte le merci, compresi i viveri dell'equipaggio. I sambuchi e i negozianti eritrei, terrorizzati dalle continue minacce loro sovrastanti per parte delle autorità turche sulla costa araba, hanno perciò, in gran parte, rinunziato a trafficarvi, con gravissimo danno del commercio della nostra colonia.

In Tripolitania l'ostilità sistematica delle autorità ottomane, or aperta e violenta, ora subdola e maligna, assume proporzioni ancora maggiori. Uno solo è il proposito loro: muovere guerra agli interessi economici e commerciali dell'Italia, impedire in tutti i modi lo sviluppo della influenza italiana.

Citiamo pochi esempi, presciegliendoli dalla lunga serie che potremmo riferire a persuasione anche del più indulgente lettore. Il Banco di Roma inizia in Tripolitania, col capitale italiano, una vera e benefica opera di progresso economico e di incivilimento del paese. Le autorità vietano agli indigeni di avere relazioni con quell'Istituto, e li puniscono per reati immaginari se vi ricorrono; si impedisce al Banco di ottenere il riconoscimento giuridico innanzi i tribunali locali: e quando, dopo due anni di laboriose trattative, il riconoscimento non si può negare, le angherie ricominciano sotto altra forma. I valì si susseguono rapidamente nel Governo del vilayet, ma la politica è sempre la medesima, finché nel 191 O il nuovo valì Ibrahim pascià dichiara apertamente nel Consiglio di amministrazione che egli farà opposizione sistematica e irremissibile ad ogni iniziativa italiana, lasciando comprendere chiaramente che tali erano le istruzioni del proprio Governo. E così tutte le proposte, tutte le domande di concessioni o imprese fatte da italiani, quali condutture d'acqua, impianti radiotelegrafici, lavori stradali, eccetera, sono senz'altro respinte. Contro i trattati si impediscono ai rr. sudditi gli acquisti di terreni e le volture catastali ad Homs, a Bengasi, a Derna; gli indigeni che vogliono vendere sono minacciati e la vendetta si esplica con pretesti estranei alla vera causa.

Contro gli impegni assunti si oppone l'ostruzionismo alle missioni archeologica e mineralogica italiane. Tutti gli ostacoli e difficoltà si accumulano contro gli impianti italiani: mulino, oleificio al carburo, e contro la nostra navigazione. Gli indigeni terrorizzati non osano valersi di tali benefiche istituzioni ed impianti per timore delle proditorie vendette.

In mezzo a questi impedimenti e difficoltà avvengono gravissimi fatti delittuosi, quali l'assassinio di padre Giustino a Derna e l'altro di Gastone Terreni avvenuto a breve distanza fra Tripoli ed Homs, assassinio che si volle coprire con l'apparenza di un suicidio, smentito dai testimoni, e dalla posteriori rivelazioni; barbaro delitto per il quale non si potè ottenere mai una soddisfazione qualsiasi, neppure una seria istruttoria né criminale, né civile, invocata dai parenti dell'ucciso e insistentemente richiesta dalle rr. autorità diplomatiche e consolari. Una dichiarazione «di non farsi luogo a procedere» e di «estinzione dell'azione penale per intervenuta amnistia» fu tutto quanto si degnarono di concederci le autorità del luogo. Tali due luttuosi fatti, notoriamente cagionati dali' odio dei turchi contro gli italiani, gettarono la costernazione e lo scoraggiamento nella colonia italiana, che divenne forzatamente timida davanti a qualsiasi utile iniziativa.

Ogni intervento delle rr. autorità consolari nel vilayet è contrastato, apertamente e di nascosto dalla autorità ottomana, come lo dimostra l'incidente del giornalista Arbib, bastonato dalla polizia, contro la quale l'intervento del r. dragomanno Saman non ebbe effetto se non quello di provocare una nuova e più flagrante violazione delle capitolazioni.

Tutta questa ininterrotta serie di soprusi, violenze, intimidazioni e sopraffazioni sono apertamente incoraggiate e sostenute dal giornale Marsad, organo ufficiale del vilayet, stampato nella sua tipografia, e ispirato dal valì, giornale largamente diffuso tra gli arabi, che non risparmia in nessuna occasione oltraggi ed insulti verso l'Italia.

Da tutto quanto precede chiaramente emerge che il Governo italiano si è trovato di fronte ad un sistema o programma di avversione preconcetta contro i sudditi e contro gli interessi italiani nell'Impero ottomano in genere, in Tripolitania in modo speciale.

La calda e quasi universale simpatia con la quale l'Italia aveva salutato l'avvento al potere della giovane Turchia, il proposito di dare tempo al nuovo regime di consolidarsi, il desiderio di non creare difficoltà od imbarazzi all'Impero ottomano e all'Europa, consigliò al Governo d'Italia una pazienza e condiscendenza che non avranno molti esempi nella storia dei popoli. Si sperava sempre nel consolidamento del nuovo Governo, nell'accoglimento dei buoni consigli, nella resipiscenza, nel ricambio di una amicizia che, per parte nostra, si era spinta sino al sacrificio dei propri interessi. Ma tutto fu vano. Ogni giorno la situazione peggiorava. Di fronte al nostro, così paziente, si ergeva a Costantinopoli alternatamente o un Governo che dava melliflue parole e promesse, alle quali mancava poi ogni corrispondenza nei fatti, ovvero un governo senza autorità che non era capace di imporre l'obbedienza alle dipendenti autorità locali, un Governo cui mancò la forza di fare rispettare ed osservare i trattati, le capitolazioni, gli impegni contratti, un Governo, insomma, che ha mancato, nei riguardi dell'Italia, ai propri doveri internazionali.

La misura era ormai colma. Gli attacchi violenti e oltre ogni limite ingiuriosi della stampa ottomana, l'ostruzionismo sistematico e la mala fede dell'autorità in sottordine, la straordinaria serie di incidenti e reclami di ogni genere, ogni giorno in aumento, hanno finito per scuotere e stancare l'opinione pubblica, la stampa, il Parlamento ed il Governo d'Italia.

Ormai l 'Italia non ha più alcuna fiducia di risolvere amichevolmente le proprie questioni con la Turchia, e, disillusa da tante vane parole e promesse mendaci, datele in questi ultimi anni, perduta la pazienza, e decisa ad uscire da una tolleranza che potrebbe esserle rimproverata quale debolezza e riconoscimento di inferiorità, ha stabilito di ottenere con la più grande energia il rispetto dei propri diritti e la tutela dei propri interessi. La colpa ricada su coloro che da tre anni sono venuti ogni giorno provocandoci e creando con dei piccoli e grandi incidenti un ambiente di ostilità nelle varie province dell'Impero, e specialmente in Tripolitania, da rendere malsicura l'incolumità dei sudditi italiani e pericoloso il pacifico svolgimento del commercio eritreo nel Mar Rosso.

252 2 T. 4493/136 del 18 settembre, non pubblicato.

254

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 4975/327. Londra, 29 settembre 1911, ore 8,09 (per. ore 0,45 del 30).

Ho avuto testé lungo colloquio con Grey al quale ho consegnato copia del telegramma di V.E. in chiaro 1 spiegandogli in modo esauriente molto esplicito motivi che hanno reso ineluttabile nostra azione a tutela degli interessi nazionali, dignità. Riassumo qui appresso dichiarazioni di Grey: l) Inghilterra non intende intervenire nel conflitto; 2) Inghilterra, per accordi conclusi con Italia, riconosce importanza primaria interessi italiani in Tripolitania e necessità per Italia proteggerli; 3) più ancora per detti accordi, per amicizia cordiale che la lega all'Italia, Inghilterra desidera che Italia riesca ottenere dovutale soddisfazione; 4) Italia però avendo con occupazione di Tripoli preso una misura estrema, la quale, nessuno è in grado oggi preve

derlo, può avere gravissime conseguenze par pace europea e creare seri imbarazzi a tutte le Potenze, a cominciare dall'Inghilterra che ha tanti sudditi mussulmani, egli confida che Governo del re troverà modo tutelare interessi suoi, evitando il più possibile imbarazzi e difficoltà alle altre Potenze. Esposto in conformità delle istruzione di VE. che non vi è luogo a prevedere ora temute complicazioni, ho osservato che miglior mezzo per evitarle era a mio avviso quello esercitare amichevole pressione Costantinopoli per ottenere acquiescenza Turchia, alla quale Italia, una volta raggiunta suoi intendimenti, è disposta dare equo compenso materiale morale. Senza pronunziarsi in proposito Grey, si è limitato dirmi attendeva in giornata ambasciatore di Turchia. Avendo io poi menzionato telegramma Agenzia Reuter annunziante decisione Turchia non opporsi nostro sbarco, Grey mi ha detto nulla di ufficiale risultargli al riguardo e ha soggiunto: state pur sicuri che, se riuscirete conseguire vostro intento pacificamente e senza provocare complicazioni internazionali, nessuno ne sarà più di noi lieti. Grey preparava telegramma a Rodd che dovrà fare comunicazione a VE. per meglio precisare contegno questo Governo. Ritengo avere fedelmente riprodotto sostanza dichiarazione fatte; ad ogni buon fine sarò grato VE. darmi notizia comunicazione codesto ambasciatore d'Inghilterra. Impressione complessiva !asciatami dal linguaggio Grey è che egli abbia mirato al triplice scopo dimostrarci amicizia, consigliarci moderazione e spirito di conciliazione e di porre a riparo sua responsabilità davanti al Parlamento, qualora temute complicazioni avessero sfortunatamente a verificarsi.

254 1 Si tratta (come si evince dai registri dei telegrammi dell'ambasciata a Londra) del T. 3726, pari data, non pubblicato. Su questo colloquio si vedano anche BD, vol. IX/l, nn. 250 e 251.

255

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4972/128. Pietroburgo, 29 settembre 1911, ore 10 (per. ore 20).

Si è verificato dopo l'ultimatum italiano un certo cambiamento nell'attitudine della stampa russa. Novoie Vremja comincia (?) 1 negando all'azione italiana ogni fondamento giuridico. Aggiunge però che la Russia non ha motivo di dolersi dell'azione italiana né per i suoi interessi politici né per riguardo ai giovani turchi che furono della Russia costanti avversari. L'organo liberale Riech ha un violento articolo contro la nostra azione che qualifica di brigantaggio e sembra deplorare che nessuna delle potenze sia disposta ad appoggiare le ragioni della Turchia. Tanto questo come altri giornali russi manifestano delle apprensioni circa complicazioni balcaniche.

255 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

256

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. 4933/987. Therapia, [29] settembre 1911, ore 12,30 (per. ore 15,20).

Seguito al telegramma 9862 .

Testo risposta Sublime Porta: «L'ambassade royale connaìt les multiples difficultés des circostances qui n'ont point permis à la Tripolitaine età la Cyrénai:que de bénéficier dans la mesure souhaitée des bienfaits du progrès. Un exposé des choses suffit en effet à établir que le Gouvemement costitutionnel ottoman ne saurait ètre pris à parti du fait d'une situation qui est l'oeuvre de l'ancien régime.

Cela posé la [Sublime Porte Pen récapitulant le cours des trois demières années, cherche vainement les circonstances dans lesquelles elle se serait montrée hostile aux entreprises italiennes intéressant la Tripolitaine et la Cyrénai:que.

Bien au contraire, il lui a toujours paru intelligible et rationnel que l'Italie coopéràt, par ses capitaux et son activité industrielle, au relèvement économique de cette partie de l'Empire. Le Gouvemement imperia! a conscience d'avoir témoigné des dispositions accueillantes chaque fois qu'il s'est trouvé en présence de propositions conçues dans cet ordre d'idées, il a de mème examiné et généralement résolu dans l'esprit le plus amicai toute réclamation affaire poursuivie par l'ambassade royale.

Est-il nécessaire d'ajouter qu'il obeissait en cela à sa volonté, si souvent manifestée, de cultiver et de maintenir des rapports de confiance et d'amitié avec le Gouvemement italien? Enfin ce sentiment seul l'inspirait encore lorsqu'il proposait en tout demier lieu à l'ambassade royale un arrangement basé sur des concessions économiques en vue de foumir à l'activité italienne un vaste champ dans les provinces susdites. En assignant pour seules limites de ses concessions la dignité et les intérèts supérieurs de l'Empire ainsi que les traités en viguer, le Gouvemement ottoman donnait la mesure de ses sentiments de conciliation sans cependant perdre de vue l es traités et conventions qui l'engagent vis-à-vis des autres puissances et dont la valeur intemationale ne saurait déchoir par la volonté d'une partie. En ce qui concerne l'ordre et la sécurité tant dans la Tripolitaine que dans la Cyrénalque, le Gouvemement ottoman, bien placé pour apprécier la situation, ne peut que constater ainsi qu'il a déjà eu l'honneur de le faire faire, l'absence totale de toutes raisons pouvant justifier des appréhensions relativement au sort des sujets italiens et des autres étrangers y établis. Non seulement il n'y a pas en ce moment d'agitation dans

ces contrées, encore moins de propagande excitatrice, mais les officiers et autres organes de l'autorité ottomane ont pour mission d'assurer la sauvegarde de l'ordre, mission qu'ils accomplissent en toute conscience.

Quant à l'arrivée à Tripoli de transports militaires ottomans, dont l'ambassade royale prend texte pour en inférer des conséquences graves, la Sublime Porte croit devoir faire remarquer qu'il ne s'agit en fait (?)4 que d'un petit (?)5 transport, dont l' expédition est antérieure de plusieurs jours à la note du 23 septembre, indépendamment du fait que cette expédition qui ne comportait du reste pas de troupes, n'a pu avoir sur les exprits qu'une influence rassurante. Réduit à ses termes essentiels le désaccord actuel réside dans l'absence de garanties propres à rassurer le Gouvemement italien quant à l'expansion économique de ses intérèts en Tripolitaine et Cyrénalque. En ne procédant pas à un acte aussi grave qu'une occupation militaire, le Gouvemement royal rencontrera la ferme volonté qu'a la Sublime Porte d'applanir ce désaccord. Aussi le Gouvemement impérial demande-t-il à ce que le Gouvemement royal veuille lui faire connaìtre la nature de ces garanties auxquelles il souscrira volentieres tout autant qu 'eli es n'affecteront pas so n intégrité territoriale. Il prend à cet effet l'engagement de ne point modifier en quoi que ce soit durant les pourparlers, la situation présente de la Tripolitaine et de la Cyrénalque nommément sous le rapport militaire et il aime à espérer que le Gouvemement royal se rendant aux dispositions sincères de la Sublime Porte aquiescera à cette proposition»6 .

256 1 Ed. in italiano, in MALGERJ, La guerra libica, n. 3, pp. 391-393. 2 T. 4937/986, pari data, non pubblicato, col quale De Martino comunicava che la risposta gli era stata consegnata alle ore 6. 3 Integrazione dalla copia della risposta annessa al R. 4121/1116 del 29 settembre, non pubblicato.

257

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL CONSOLE A BENGASI, BERNABEI, E AL REGGENTE IL VICECONSOLATO A DERNA, PETRUCCI

T. 3731. Roma, 29 settembre 1911, ore 14,30.

Guerra dichiarata. Provveda con tutti i mezzi a sua disposizione compresa, ove occorra, immediata partenza, alla sicurezza sua dei connazionali e per quanto più può anche degli altri stranieri.

seui.

6 Cfr. n. 263.

256 4 Il punto interrogativo è del decifratore. Nella copia di cui alla nota 3: réalité.

258

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE 1 , ALLE LEGAZIONI E AL CONSOLATO A MONACO

T. 3738. Roma, 29 settembre 1911, ore 18.

Le Gouvemement .... connaìt déjà les motifs concemant la situation de la Tripolitaine et de la Cyrénai'que, qui depuis longtemps ont formé l'objet de discussion entre l'ltalie et la Turquie. Les négotiations auxquelles les nombreux incidents survenus ont donné lieu peuvent témoigner de la patience et des égards qui ont guidé juqu' ici le Gouvemement royal dans ses efforts pour obtenir par des voies amicales le redressement de ses griefs.

La situation n' a fait, cependant, qu' empirer, de telle sorte que des négotiations ultérieures seraient désormais aussi dangereuses qu' inutiles. Le Gouvemement royal aurait failli à un devoir élémentaire en différant encore la réalisation des mesures nécessaires pour la sauvegarde directe de la dignité du Royame, ainsi que de la sécurité des droits et intérèts de ses nationaux. Des propositions furent adressées demièrement au Gouvemement ottoman en vue de réaliser ces mesures par une entente comune: il s'aggissait d'effectuer en Tripolitaine et en Cyrénai'que l'occupation italienne sauf à regler par des accords ultérieurs la situation definitive de ces pays.

Cette demière tentative ayant également échoué, le Govemement royal a été dans la nécessité fàcheuse de recourir à la force des armes pour atteindre son but: l 'Italie se trouve, dès lors, en état de guerre avec la Turquie, et une déclaration formelle vient d'ètre adressée à cet effet à la Sublime Porte.

Le Gouvemement du roi a l'honneur d'en donner comunication au Gouvemement de ... conformément aux dispositions de la mne Convention intemationale de la Haye du 17 octobre 1907.

Le but que le Gouvemement italien poursuit coincide avec les intérèts de tous les étrangers residant en Tripolitaine et Cyrénai'que et avec les intérèts de la civilisation dont il espère pouvoir assurer les bienfaits à des régiones depuis si longtemps délaissées et dans lequelles l'activité économique des nationaux de tout pays pourra se developper sans entrave sous le régime de liberté et de progrès que le Gouvemement royal a l'intention d'y introduire.

Le Gouvemement royale exprime, par conséquent, la ferme confiance que la sympathie des Nations ne manquera pas de suivre l'accomplissement de son oeuvre.

258 1 Con l'eccezione di Costantinopoli.

259

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4980. Pera, [29] settembre 1911, ore 20 (per. ore 1,50 del 30).

Dichiarazione di guerra fu presentata dal primo dragomanno al gran visir a ore 19.

260

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO 5005/442. Vienna, 29 settembre 1911, ore 20,50 (per. ore 23,30).

Telegrammi di V.E. 36691 e 368!2. Non avevo mancato di comunicare ieri Aehrenthal insieme alle considerazioni svolte da VE. in proposito testo ultimatum che ella aveva incaricato De Martino rimettere Sublime Porta, nonché istruzioni da lei impartite alle rr. legazioni Atene, Belgrado, Sofia, Bucarest e Cettigne. Aehrenthal mi aveva risposto che si riservava manifestarmi suo parere dopo udienza che avrebbe avuto oggi da S.M. Imperatore e mi aveva pregato di passare oggi stesso da lui. Egli mi ha informato oggi che, avendo rappresentato a Sua Maestà cose da me espostegli in ordine questione tripolina di cui mio telegramma segretissimo n. 4333 e circa ultimatum, era in grado di farmi conoscere pensiero Governo imperiale e reale al riguardo. Aehrenthal mi ha detto quindi che Governo imperiale e reale doveva innanzi tutto esprimere suo rammarico che R. Governo avesse abbandonato presto terreno diplomatico. Dal punto di vista però del Governo imperiale e reale Italia sua alleata ed amica aveva diritto al pari qualsiasi altra Potenza di provvedere come meglio credesse alla tutela propri interessi. Onde Governo imperiale e reale non avrebbe fatto difficoltà all'azione dell'Italia in Tripolitania. Ma Governo imperiale e reale doveva chiamare attenzione R. Governo sulla eventuale ripercussione che quella sua azione avrebbe potuto avere nei Balcani e ricorda a tale proposito che trattato Triplice Alleanza si basava appunto sul mantenimento dello status quo nella Turchia europea.

Governo imperiale e reale farà ogni suo sforzo per impedire che tale ripercussione avvenga ed ha fiducia che R. Governo, giusta sue dichiarazioni, prenderà ogni provvedimento per localizzare sua azione nel Mediterraneo ed evitare turbamento

2 Cfr. n. 230, nota 2.

Cfr. n. 229.

qualsiasi nei Balcani4• Governo imperiale e reale fa voti e si augura che R. Governo possa riuscire con successo in tale intento per evitare così assumere grave responsabilità che su di esso ricadrebbe di avere provocato una crisi nei Balcani.

Nel ringraziare Aehrenthal per sua comunicazione, ho creduto opportuno fargli rilevare che non era più possibile al R. Governo mantenersi sul terreno diplomatico, l'esperienza fatta per l'innanzi avendo dimostrato inutilità di negoziati con la Sublime Porta. Questi, invece di costituire una garanzia per avvenire, avrebbero potuto divenire causa permanente di attriti e conflitti ed al punto in cui erano giunte cose, unico modo di porre termine situazione intollerabile nella quale R. Governo si trovava era di procedere occupazione Tripolitania e Cirenaica.

Aehrenthal mi ha informato poi che istruzioni nel senso delle cose dettemi sarebbero state impartite ambasciata imperiale e reale presso R. Governo ed ha aggiunto che alcun ufficiale esercito e marina austro-ungarico non si trovava ora al servizio della Turchia.

260 1 Cfr. n. 248, nota 3.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI TURCHIA, SEIFFEDIN BEY

NOTA. Roma, 29 settembre 1911.

Il Governo del re, non avendo ricevuto, nel termine fissato, una risposta favorevole alle comunicazioni che ha ritenuto necessario di fare ultimamente al Governo imperiale, è stato costretto a dichiarare oggi stesso che ogni relazione diplomatica e pacifica tra i due Paesi deve considerarsi interrotta e che l 'Italia si trova da questo momento in istato di guerra con l 'Impero ottomano.

Nel rimettere, quindi, a disposizione della S.V. i passaporti qui uniti, mi pregio rinnovarle gli atti della mia distintissima considerazione.

262

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 909/346. Madrid, 29 settembre 1911 (per. il 4 ottobre).

Inspirandomi alle istruzioni contenute nella ultima parte del telegramma dell'E.V. senza numero del 24 corrente 1 e visto la presentazione da parte nostra di un

ultimatum al Governo ottomano, ho creduto opportuno di recarmi ieri da questo ministro di Stato per informarlo dei precedenti della questione tripolina e del punto di vista del Governo del re. Gli feci una breve esposizione degli interessi di ogni ordine che abbiamo in quella regione, degli incidenti ai quali essi diedero occasione e della longanimità e dello spirito conciliativo sempre dimostrati dal Governo italiano nel trattare di quegli incidenti in ispecie ed in generale di tutte le varie quistioni d'indole internazionale nelle quali si trovò impegnato in questi ultimi tempi il Governo ottomano. La situazione, malgrado tutte queste prove di buon volere e di disposizioni concilianti da parte dell'Italia, essendosi fatta sempre più grave e pregiudicevole ai nostri interessi e alla nostra dignità, il Governo del re era ormai convinto che solo una nostra occupazione potesse porvi termine ed aveva a quest'uopo diretto una nota al Governo turco chiedendo che le autorità locali ricevessero ordine di non opporvisi e riservando ad un ulteriore negoziazione di stabilire il nuovo assetto politico della regione. La nota italiana chiedeva risposta nelle ventiquattro ore con carattere d'ultimatum. Il Governo italiano in ogni ipotesi si proponeva di applicare alla Tripolitania il regime della porta aperta e di evitare complicazioni nei Balcani la conservazione dell'Impero ottomano essendo un interesse di primo ordine.

Il ministro di Stato prese atto delle mie dichiarazioni aggiungendo che da parte del Governo spagnuolo nessun ostacolo sarebbe venuto alla nostra azione. Nel corso della conversazione egli accennò a notizie che egli avrebbe avute e secondo le quali il Governo germanico sarebbe stato poco propizio alla nostra iniziativa. Non mi disse però da qual fonte gli venissero quelle notizie ma parvemi di capire fosse quella dell'ambasciata di Spagna a Berlino. Risposi che dalle infomazioni che mi erano giunte nulla risultava che confermasse quella opinione.

Avendogli chiesto da ultimo che in caso di conflitto il Governo spagnuolo volesse dare ai suoi ufficiali che si trovassero come che sia al servizio della Sublime Porta l'istruzione di astenersi dal prendere parte alle operazioni militari, il marchese d' Alhucemas mi disse che certo non vi erano in quelle condizioni ufficiali dell'esercito. Avrebbe chiesto al suo collega della marina se ve ne fossero dell'armata navale, e mi autorizzò a rispondere all'E.V. che sarebbero stati dati, occorrendo, ordini nel senso desiderato dal R. Governo.

La stampa spagnuola si occupa fin qui scarsamente del conflitto italo-turco essendo sua abitudine di non seguire molto assiduamente le questioni internazionali che non interessino direttamente la Spagna. Siccome poi essa toglie quasi tutte le sue informazioni dai giornali parigini il tono generale è fin qui come quello della stampa francese a noi benevola. La Epoca organo conservatore che in generale non ci è molto amico riconosce nel numero di ieri che la Turchia rappresenta nel conflitto un grado inferiore di civilizzazione e pertanto soccombe.

La legazione di Turchia ha fatto ieri recisamente smentire in vari giornali che l'Italia avesse diretto un ultimatum alla Porta. Non mi sono occupato di quella smentita che sapevo sarebbe stata a sua volta prontamente smentita da ogni parte.

260 4 Quanto fin qui riferito sulla posizione di Aehrenthal venne riportato, anche con citazioni testuali, da GIOLITTI, Memorie, p. 227.

262 1 Cfr. n. 201.

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. 3755. Roma, 30 settembre 1911, ore 3,10.

La risposta della Turchia al nostro ultimatum mi è pervenuta per telegramma dopo l'ora prescritta1•

Essa è un ingenuo artificio con cui il Governo ottomano sperava guadagnar tempo per eccitare, organizzare ed armare gli arabi dell'interno e lasciar passare la stagione propizia allo sbarco delle truppe italiane, dopo di che sarebbe tornata all'ostruzionismo e alle offerte contri i diritti, gli interessi e la dignità dell'Italia, prolungando un periodo di tensione e rinviando l 'inevitabile soluzione del conflitto ad un'epoca ben più pericolosa per la pace europea.

Noi non siamo caduti in questo tranello, e, in conformità al preavviso dato alla Sublime Porta, abbiamo subito, come lo imponevano anche ragioni supreme d'umanità, provveduto alla sicurezza minacciata degli italiani e degli europei d'ogni nazionalità in Tripolitania.

L'offerta della Sublime Porta di aprire negoziati prima che la nostra occupazione militare della Tripolitania e Cirenaica sia compiuta, assumendo essa l'obbligo di non mutarne intanto la situazione militare, è pure un tranello pericoloso. È evidente infatti che la Turchia, anche astenendosi dall'inviare per mare rinforzi di truppe regolari, avrebbe in tal guisa il tempo e il modo, senza possibilità di controllo nostro di armare, istruire, organizzare, volenti o nolenti, gli arabi di quelle provincie, per uso dei quali ha fatto venire, non ostante la nostra diffida, fucili e cartucce.

Il fatto stesso che il Governo ottomano fa rilevare che l'invio di fucili e munizioni fu ordinato prima della nostra diffida, dimostra che esso comprende tutta la gravità delle probabili conseguenze di tale invio.

Se le lasciassimo il tempo di farlo e di eccitare il fanatismo delle popolazioni dell'interno accresceremmo di molto le nostre difficoltà militari e di riflesso la tracotanza turca verso di noi, e lasceremmo formarsi un grave pericolo per l'Egitto, pel Sudan, per l'Algeria, per la Tunisia e per tutte le potenze che hanno sudditi ottomani.

La nota ottomana nega la sistematica opposizione ad ogni nostra attività economica in Tripolitania, e non occorre ripetere a VE. quanto questo disegno sia in contrasto coi fatti.

Essa ricorda i trattati e gli impegni colle altre nazioni per fare erroneamente credere che noi vogliamo avere monopolj, o in qualsiasi modo offendere i diritti o danneggiare gli interessi delle altre potenze i quali troveranno nel nostro regime liberale ed illuminato ben altre garenzie che sotto il regime turco.

263 Cfr. n. 256.

Ponendo fine senza altri indugj ad uno stato di cose, che racchiude i germi delle più gravi complicazioni, e profittando per questo scopo del momento in cui tali complicazioni sono meno probabili, il Governo italiano rende alla causa della pace generale un grande servizio.

Per tutte queste considerazioni era nostro dovere attenerci alle conclusioni del nostro ultimatum, e incominciare al momento indicato le ostilità.

Ne avremmo avuto il diritto anche senza la formale dichiarazione di guerra, che tuttavia abbiamo voluto fare per esagerare nella correttezza.

Se ciò le sembrerà necessario o opportuno per rispondere ad eventuali obbiezioni, V.E. potrà nelle sue conversazioni far valere tutte le ragioni che le ho esposte in questo telegramma e nelle precedenti mie comunicazioni.

264

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4999/52. Bucarest, 30 settembre 1911, ore 11,30 (per. ore 12,20).

Mi sono espresso nel senso del telegramma di V.E. numero 36681 così col ministro degli esteri come col presidente del Consiglio i quali hanno preso atto con viva soddisfazione delle mie dichiarazioni. Questo Governo e la stampa e l'opinione pubblica rumena naturalmente si preoccupano del contraccolpo che la nostra azione contro la Turchia potrebbe avere nei Balcani e quindi le assicurazioni del R. Governo sono giunte oltremodo opportune. Aggiungo, a titolo confidenziale, che presidente del Consiglio e ministro affari esteri hanno riconosciuto confidenzialmente che la situazione internazionale e la tutela dei propri vitali interessi non permette all'Italia di ritardare più a lungo una azione risoluta in Tripolitania.

265

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5003/59. Sofia, 30 settembre 1911, ore 13,30 (per. ore 14,35).

Ho fatto comunicazione di che al telegramma di V.E. n. 3738 1 . Il reggente del Ministero degli affari esteri l'ha accolta con espressione di viva simpatia e di auguri

265 1 Cfr. n. 258.

298 per ogni prospero successo. Ha aggiunto che considera la questione di Tripoli come assolutamente separata e indipendente da ogni altra questione concernente l'Impero ottomano e sopra tutto da quelle che più da vicino concernono la Bulgaria.

264 1 Cfr. n. 234, nota l.

266

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5029/145. Madrid, 30 settembre 1911, ore 14,20 (per. ore 20,40).

Ho fatto questo ministro di Stato, che ne prese atto, comunicazione di cui telegramma di V.E. di ieri riservato 1 . Ministro di Stato accennò a informazione, che gli sarebbe giunta senza dirmi da qual fonte, che ritardo intesa a Berlino fosse conseguenza nostro conflitto con la Turchia. Risposi che non vedevo qual rapporto potesse esservi fra due questioni così distinte e fra avvenimenti geograficamente così lontani. Ministro di Stato fece, del resto, l'accoglienza più benevola alla mia comunicazione e mi disse confidenzialmente che, comunque nostra azione venga giudicata, essa è seguita dalle simpatie del popolo spagnuolo.

267

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5015/507. Parigi, 30 settembre 1911, ore 14,35 (per. ore 16,20).

Agenzia Havas pubblica telegramma da Costantinopoli il quale dice che un incrociatore italiano si è incagliato presso la spiaggia e che i turchi hanno affondato due barconi in cui erano soldati italiani che tentavano di sbarcare. Pubblica poi altro telegramma da Atene il quale dice che Venizelos ha comunicato ai giornalisti che due incrociatori italiani hanno cannoneggiato dei trasporti di truppe turche presso Prevesa. Questa notizia produce impressione e anche questo Governo ne è impressionato perché si credeva che l'Italia avrebbe evitato qualunque operazione presso la costa albanese. Prego telegrafarmi che vi è di vero in queste notizie 1•

267 1 Per la risposta cfr. n. 268.

266 1 Cfr. n. 258.

268

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 3769. Roma, 30 settembre 1911, ore 19.

Suo telegramma n. 5071• Nessuna notizia ancora sulle operazioni militari a Tripoli. Senza dubbio è nostra intenzione localizzare conflitto ma non possiamo lasciare bombardare nostre città aperte né silurare nostre navi da torpediniere turche rifugiate a Prevesa. Da ciò operazione necessaria per distruggerle. Nessuna notizia finora di cattura o canoneggiamento di trasporti.

Status quo balcanico è sempre base nostra politica.

269

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, CORINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5030/74. Atene, [30] settembre 1911, ore 20 (per. ore 20,40).

Telegramma di V.E. n. 37491• Ho consegnato stamane al ministro degli affari esteri comunicazione del R. Governo2 . Il signor Gryparis mi ha detto che il Governo ed il popolo ellenico seguono con la massima simpatia per l 'Italia le attuali vicende e confidano sempre nella benevolenza del Governo del re verso la Grecia. Governo ellenico è deciso perseverare comunque nel suo atteggiamento corretto e conforme agli intenti manifestati da V.E. circa mantenimento statu quo balcanico. Tali intenti furono qui divulgati da un telegramma Agenzia Stefani.-Opinione pubblica è calma.

270

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 3776. Roma, 30 settembre 1911, ore 22,40.

Prego ringraziare caldamente il Governo germanico per aver assunto protezione italiani in Turchia 1• Può aggiungere che non dimenticheremo questa prova d'amicizia di cui apprezziamo tutto il valore.

268 Cfr. n. 267.

Cfr. n. 258. 270 1 Cfr. n. 242, nota l.

269 1 T. del 30 settembre, non pubblicato, relativo alla risposta del re di Grecia alla nota delle Potenze protettrici a proposito di Creta.

271

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 3779. Roma, 30 settembre 1911, ore 23,15.

Suo telegramma 208 1 . V.E. può smentire sbarco truppe italiane Prevesa.

Dobbiamo distruggere torpediniere turche che minacciano nostre città aperte nostre navi mercantili e convoglio ma è nostra intenzione non sbarcare truppe in Turchia europea.

272

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A PORTO SAID, TRITONI

T. GAB. SEGRETO URGENTE Roma, 30 settembre 1911, ore 23,55. PRECEDENZA ASSOLUTA PERSONALE 3781.

Governo del re, pur avendo diritto di considerare le acque egiziane come ottomane, ha dichiarato considerarle come neutrali per riguardo all'Inghilterra, confidando che questa impedirà che siena prese a base di operazioni contro di noi. È naturale che per ogni eventuale presenza di navi ottomano in codesto porto sia fatta l'intimazione della immediata partenza, ovvero del disarmo, in conformità dei trattati. In conseguenza avviso-torpediniere ottomano che travasi tuttora in codesto porto, riceverà certo intimazione di partire immediatamente. Sarebbe del più grande interesse avere d 'urgenza notizie della eventuale intimazione di partenza a quelle navi per le possibili azioni di cattura che potranno derivarne da parte della nostra flotta.

273

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA, ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, CETTIGNE E SOFIA, E AL CONSOLATO A CANEA

T. 3789. Roma, l° ottobre 1911, ore 2.

Ci sono giunte notizie certissime di audaci operazioni militari, con torpediniere e truppe di terra imbarcate su celeri trasporti, che Turchia vuoi compiere contro

301 nostre coste, città aperte navi mercantili e convoglio truppe spedizione. Queste notizie ci pongono nella assoluta necessità di compiere, contro il nostro desiderio, alcune operazioni militari esclusivamente navali nelle acque europee. Tutto porta a confidare che non avranno ripercussione politica nella penisola balcanica e che in pochissimi giorni saranno terminate e non se ne ripresenterà la necessità.

R. Governo resta fermissimo nel proposito di mantenere lo statu quo territoriale nella penisola balcanica. Esso in questo momento ha più che mai interesse che non vi avvengano complicazioni e (per le ambasciate) seconderà colla massima energia gli sforzi di codesto Governo per impedirle.

(Per le legazioni e Canea) agirà con la massima energia per impedirle. (Per tutti, meno Canea) Prego esprimersi a viva voce possibilmente oggi stesso in tal senso con codesto Governo. (Per Canea). Tanto comunico per sua informazione e norma 1•

271 1 T. 5002/208, pari data, non pubblicato.

274

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5081. Londra, 1° ottobre 1911, ore 6,45 (per. ore 23,20).

Decifri ella stessa. Per via indiretta ma che credo sicura mi risulterebbe che al Foreign Office non sia stata approvata iniziativa da noi presa di dichiarare guerra, temendosi che estensione forzata teatro della guerra renda più difficile localizzare conflitto e ritardi soluzione pacifica. Ciò a prescindere dalle solite preoccupazioni che divengono malgrado tutti i miei sforzi sempre più insistenti per paventare complicazioni in presenza sopratutto notizie di propositi giovani turchi di invadere Tessaglia il che si dice procurerebbe conflagrazione generale Balcani. Se le mie informazioni sono esatte qui si supponeva che noi avremmo dato nostra occupazione carattere di accentuata dimostrazione navale e militare senza con ciò rompere relazioni allo scopo lasciare intera responsabilità dichiarazione di guerra su Turchia che forse non avrebbe osato assumersela. A me di tutto ciò nulla è stato detto da Grey. Nicolson soltanto nell'udire dell'avvenuta dichiarazione di guerra disse solo: «Affare diviene sempre più grave» e con insistenza mi chiese se era esatta notizia scontro n eli' Adriatico. Dal telegramma di V. E. 3 765 1 rilevo che il linguaggio di Rodd corrisponde in sostanza con quello tenutomi da Grey, il quale mi mostrò ieri telegramma da lui spedito all'ambasciatore. Più rifletto sull'atteg

274 1 T. del 30 settembre, non pubblicato.

302 giamento Governo inglese pm mi viene in mente storica frase di Napoleone a Cialdini al momento nostra occupazione province meridionali: «Fate e fate presto». In tale condizione appare a me prudente consiglio che la nostra stampa parli il meno possibile del contegno Inghilterra studiandosi accentuarne carattere prettamente neutrale ed evitando qualsiasi cenno benevolenza incoraggiamento eccetera. Ciò prima perché non ci conviene mettere Grey in imbarazzo quando alla fine ottobre riapertosi Parlamento egli dovrà certamente rispondere ad interrogazioni di deputati, molti dei quali, me lo aspetto, si pronunzieranno in senso contrario a noi; secondo perché in vista della situazione internazionale e per le decisioni future R. Governo allo scadere alleanza non so se e fino a qual punto sia nostro interesse accentuare un debito di riconoscenza verso Inghilterra per appoggio al postutto relativo datoci in questa circostanza, debito che qui ci si potrebbe pur ad un momento dato ricordare. E, sotto questo punto di vista, confesso che atteggiamento di questa stampa mi riesce fino ad un certo punto meno sgradito. Su tale atteggiamento, Marconi2 partito oggi per Roma, intratterrà VE. Sue impressioni collimano con le mie. Non mi sono, malgrado tutto, mai sentito così sereno come ora; tanto salda è mia fede e santità causa nostra. Quando questi inglesi constateranno che sappiamo voler far valere nostri diritti muteranno tono e come! VE. deve pure tenere presente che in fondo campagna antitaliana è principalmente condotta da giudeismo e frammassoneria legati a doppio filo con il Comitato Salonicco. Per obbedire suoi ordini, ho cercato pel tramite di nostri connazionali in intimo contatto con quella gente di entrare in rapporti con il direttore Daily News. Connazionali, però me lo hanno fortemente sconsigliato, ritenendo inutile adoperarsi per combattere un partito preso.

273 1 Per il seguito cfr. nn. 275 e 285.

275

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5100/445. Vienna, 1° ottobre 1911, ore 8,40 1 (per. ore 23,05).

Aehrenthal mi fece pregare iersera di passare oggi da lui a Schonbrunn. Ne ho approfittato per esprimermi nel senso telegramma di VE. 37802 . Aehrenthal mi ha detto che aveva desiderato vedermi per parlarmi appunto delle nostre operazioni navali nell'Adriatico le quali lo avevano penosamente impressionato e sorpreso ad

27 5 1 Il documento reca l'ora indicata; si dovrebbe, tuttavia, trattare delle ore 20,40. 2 Errore di trascrizione o di decifrazione; si tratta del T. 3789 (cfr. n. 273).

un tempo perché erano in flagrante opposizione colle dichiarazioni del R. Governo di voler localizzare la sua azione nel Mediterraneo. Quelle operazioni che avevano dato luogo a vivaci commenti da parte dell'opinione pubblica nella Monarchia non potevano che eccitare gli animi delle popolazioni albanesi ed avere una ripercussione nei Balcani mettendo in pericolo il mantenimento dello statu quo nella penisola balcanica. Col distrugger le navi che servivano alla Turchia per guardare le coste albanesi noi le avremmo tolto uno dei mezzi che era in suo potere per difendere Albania e preservarla da movimenti insurrezionali.

Non si poteva ammettere che tali operazioni navali continuassero: era urgente che vi fosse posto termine e che ordini fossero dati per impedire che esse avvenissero di nuovo nelle acque sia dell'Adriatico che del Mar Jonio. Ho fatto di nuovo rilevare Aehrenthal che quella nostra operazione esclusivamente navale era stata una conseguenza naturale delle operazioni militari che, secondo sicure informazioni pervenute R. Governo, era intenzione della Turchia di fare colle sue torpediniere ed altri celeri trasporti contro le nostre coste aperte e che era nostro diritto e dovere di impedirlo con ogni mezzo in nostro potere mettendo il Governo ottomano nell'impossibilità di eseguirlo. Ho aggiunto che non poteva dubitare delle dichiarazioni da me fattegli a nome R. Governo di localizzare cioè la nostra azione nel Mediterraneo essendo precipuo nostro interesse di mantenere lo statu quo nella penisola balcanica e di fare ogni sforzo per ovviare a qualsiasi complicazione. Al che Aehrenthal ha replicato che le notizie pervenute al R. Governo di eventuale operazione militare della Turchia contro le nostre coste non gli sembravano fondate, giacché Governo ottomano non aveva alcuna intenzione di far quella operazione, non desiderando farci la guerra, siccome eragli stato ieri dichiarato da questo ambasciatore di Turchia giunto recentemente da Costantinopoli. Del resto, ove il R. Governo avesse avuto timore che Governo ottomano avesse una simile velleità esso avrebbbe potuto opporsi alla medesima col tener n eli' Adriatico qualche sua nave in osservazione. Aehrenthal mi ha quindi espresso desiderio di avere da V. E. l'assicurazione in modo positivo che il R. Governo non si dipartirebbe dalla sua dichiarazione di localizzare sua azione nel Mediterraneo. Qualora altra fosse la sua intenzione ciò avrebbe potuto avere serie conseguenze ed egli sarebbe costretto di tenerci un linguaggio differente da quello tenutoci finora. Nell'informarmi poi di avere telegrafato nello stesso senso all'incaricato d'affari austro-ungarico in Roma mi ha chiesto di chiamare seria attenzione dell'E.V. sulle cose dettemi pregandola di fargli pervenire al più presto una risposta al riguardo. Ho creduto ripetere Aehrenthal che egli non poteva dubitare delle dichiarazioni del R. Governo le quali non mi sembravano potere essere infirmate dalle nostre operazioni navali sia nell'Adriatico che nell'Jonio queste essendo state motivate unicamente per parare al pericolo a cui le nostre coste potevano essere esposte da un attacco per parte Turchia. Aggiungo che Aehrenthal mi ha detto che da quanto eragli stato riferito da Berlino Kiderlen era stato molto preoccupato per le nostre operazioni navali suddette3 .

274 2 S'intende, presumibilmente, Manzoni.

275 3 Per la risposta cfr. n. 282.

276

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 3798. Roma, l° ottobre 1911, ore 17.

Ministero marina ricevuto stamane i due seguenti telegrammi: l) (si copi il 320 da Brindisi) 1; 2) (si copi il telegramma da Bari) 2• Constatata l'esattezza di tali notizie, sono stati sospesi i viaggi delle nostre società di navigazione mercantili nell'Adriatico ed in parte dell'Ionio.

Prego V. E. dare a queste notizie la massima pubblicità ed informame codesto Governo facendo ben rilevare come esse dimostrino la necessità ed urgenza delle operazioni militari della r. marina in acque europee3 .

277

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5080/446. Vienna, 1° ottobre 1911, ore 20,40 (per. ore 23,15).

Aehrenthal mi ha informato che Rechid pascià era venuto ieri a fargli conoscere che la Sublime Porta era stata penosamente impressionata nel ricevere nostro ultimatum al quale non si attendeva. Essa era disposta a fare all'Italia le concessioni economiche che desiderava in Tripolitania, ma non sapeva quali queste fossero. Era però disposta trattare in proposito con noi. Non scorgeva quindi qual motivo vi fosse a una guerra tra i due Stati e non era certo intenzione della Sublime Porta di muoverla contro noi. Per cui Sublime Porta invocava l'intervento del Governo imperiale reale presso il R. Governo. Aehrenthal aveva risposto a Rechid Pascià che non credeva poter rispondere alla domanda della Sublime Porta intervenendo

2 In calce al documento: «Assicuranci varie torpediniere ottomane scorazzano Adriatico rendendo pericolosissimo piroscafi attraversarlo nonché costeggiare opposta sponda dalmata, montenegrina, epirota. Preghiamo V. E. urgenzarci assicurazioni oppure ordini sospendere anche toccate Dalmazia, Montenegro, Grecia fin quando flotta italiana avrà provveduto sicurezza navigazione mercantile «Adriatico» dovendo caso contrario declinare responsabilità conseguenze eventuali avvenimenti. Puglia».

3 Per il seguito cfr. n. 28 I.

nella questione presso R. Governo, ma che, dati sentimenti amichevoli da cui era animato a nostro riguardo, avrebbe potuto comunicare a R. Governo la domanda del Governo ottomano a semplice titolo di informazione. Ho fatto conoscere al barone di Aehrenthal che, al punto in cui erano giunte le cose, io non mi credeva autorizzato a accettare una simile comunicazione di intervento che avrei potuto trasmettere soltanto a V. E., come egli stesso mi aveva detto, a semplice titolo di informazione; ho osservato quindi che era ormai trascorso il tempo di intavolare trattative con Governo ottomano per ottenere concessioni economiche. Tali trattative del resto, come la esperienza fatta nel passato I' attestava, sarebbero state del tutto inutili. Non comprendeva come il Governo ottomano potesse infingersi di ignorare le concessioni che noi desideravamo perché R. Governo aveva avuto occasione a più riprese di esporgli le nostre domande che si era sempre urtata a una persistente ed aperta ostilità da parte sua. Se noi avessimo anche accettato di entrare all'ultima ora in trattative con Sublime Porta e se questa ci avesse fatto le concessioni richieste essa avrebbe ricominciato in seguito il suo sistema di ostruzionismo ed il conflitto sarebbe inevitabile ed avrebbe potuto scoppiare in un momento più pericoloso per la pace generale. Ho concluso coll'esporre al conte Aehrenthal le altre considerazioni contenute nel telegramma V. E. n. 33551 .

276 1 In calce al documento: «320. Agenzia Puglia informa che postale «Peuceta» impossibilitato uscire Corfù giacché torpediniere turche incrociano al largo. Trusso».

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, G. DE MARTINO

T. UFF. COLONIALE PER POSTA 7270 bis. Roma, l° ottobre 1911, ore 22.

Hodeida. Suo telegramma n. 884 1 . Per quanto trattisi colloquio a titolo personale prendo atto confessione Salih bey il quale ammette autorità locali capaci aver commesso contrabbando. Prendo pure atto intenzioni manifestate di eventuale severa punizione autorità locali colpevoli. Quanto all'affermazione di Salih bey circa produzione di nuovi documenti o prove, dopo scioglimento commissione mista, nessun nuovo documento può essere preso da noi in considerazione. Le confermo quindi nel modo più categorico le mie istruzioni del telegramma n. 3062 del 9 agosto2 circa modo con cui intendiamo risolvere questione. Tutto ciò V. S. tenga presente in eventuale ripresa discussione.

2 Non pubblicato, col quale si confermavano le istruzioni precedentemente inviate (cfr.

n. 22).

277 1 Errore di trascrizione o di decifrazione. Si tratta con tutta probabilità del 3755 (cfr. n. 263).

278 1 Cfr. n. 172.

279

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A PARIGI, BERLINO, LONDRA, PIETROBURGO E VIENNA

T. 3821. Roma, 2 ottobre 1911, ore 3.

Suo telegramma n. 513 1 . Comunicazione Stefani proposta da V. E. già fatta ieri notte raccomandando ufficio stampa inviarlo subito agenzie estere. La Turchia ha un certo numero di ottime e celerissime torpediniere in massima parte ben comandate. Essa ha costituito Prevesa come loro base di operazione contro l'Italia e, oltre i pericoli accennati nei miei precedenti telegrammi, non è possibile inviare dall'Italia in Tripolitania un grosso corpo di spedizione finché sussiste tale base di operazioni resa oltremodo pericolosa dalla sua posizione geografica e dalla sua configurazione. La distribuzione2 di tale base d'operazioni è una delle operazioni preparatorie della spedizione a Tripoli anzi può dirsi una condizione essenziale ed una parte stessa della spedizione.

Ho già dimostrato a V. E. che Prevesa è un pericolo per le nostre coste e città indifese mentre per la nostra marina mercantile costituisce più ancora che un pericolo una impossibilità tanto che si sono da oggi sospesi i servizi di navigazione nell'Adriatico e nello Jonio. È bene che V. E. conosca tutto ciò, per illuminare codesto Governo e l'opinione pubblica qualora giunga notizia più tardi di una nostra azione contro Prevesa che però non consisterebbe mai in sbarco di truppe. Se la notizia di sbarco truppe nostre altrove che in Tripolitania e Cirenaica si riproducesse, V. E. potrà sempre con sicurezza smentirla senza aspettare conferma di essa3 .

280

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5134/144. Cettigne, 2 ottobre 1911, ore 10.55 (per. ore 17,40).

Il re Nicola trovandosi in Antivari, ho veduto il ministro degli affari esteri al quale ho ripetuto che il R. Governo, costretto a muovere guerra alla Turchia per la questione di Tripoli, non intende affatto allargare i termini del conflitto ed è perciò fermamente risoluto mantenere statu quo territoriale nei Balcani ed integrità Turchia

2 Errore di trascrizione. Sta evidentemente per distruzione.

3 Per il seguito cfr. nn. 281 e 285.

307 europea. Il ministro mi ha risposto che, per il momento, Montenegro non farà alcun passo contro la Turchia, ma che, se altri Stati balcani si muovessero, esso non potrebbe rimanere semplice spettatore degli avvenimenti.

279 1 Non rinvenuto nel registro dei telegrammi in arrivo.

281

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5177/454. Vienna, 2 ottobre 1911, ore 11,50 (per. ore 1,50 del 3).

Ho parlato Aehrenthal nel senso telegrammi di V. E. 37981 e 3821 2 .

Aehrenthal mi ha detto che non poteva che ripetermi che le nostre operazioni navali nell'Adriatico e Jonio erano in contraddizione con la dichiarazione del R. Governo voler localizzare nostra azione Mediterraneo. Tali operazioni non potevano essere da lui ammesse e doveva ricordare quanto già mi aveva affermato circa serie conseguenze che da esse avrebbero potuto derivare se fossero state continuative.

Notizia di quelle operazioni aveva prodotto profonda impressione sulla opinione pubblica Monarchia ed eccitato animi popolazione Albania ove, secondo notizie pervenutegli, si cominciava a notare un certo fermento.

In seguito a ciò Governo ottomano aveva mobilizzato truppe vilayet Janina e Governo austro-ungarico proprie truppe presso confine turco.

Questo stato di cose non poteva non preoccuparlo seriamente come preoccupava opinione pubblica generale. Non comprendeva perché R. Governo che aveva dichiarato che la sua azione era diretta unicamente contro Tripolitania, avesse cominciato sue operazioni presso un porto dell'Albania, la quale formava oggetto d'una intesa austro-italiana e che doveva essere considerata da entrambi i Governi intangibile. Ed a questo proposito si è riferito a quanto aveva fatto conoscere all'E. V. in occasione invio navi Durazzo durante insurrezione malissori. Alle osservazioni da lui fatte in proposito, V. E. aveva risposto che non credeva che Austria-Ungheria desse all'intesa una interpretazione così lata. Ed ha aggiunto «come volete voi che io rimanga impassibile di fronte vostre operazioni navali presso Prevesa».

Ho insistito di nuovo vivamente nelle considerazioni contenute telegrammi suddetti e in quelli precedenti di V. E. per dimostrargli che le nostre operazioni navali Jonio non erano affatto in contraddizione colle dichiarazioni da me fattegli e che esse non miravano a minacciare statu quo nella penisola balcanica il cui mantenimento era per noi d 'una importanza capitale e che avremmo interesse più di ogni altra potenza ad evitare in questo momento qualsiasi cosa atta a turbarlo. Gli ho fatto poi rilevare che operazioni navali Prevesa erano state motivate unicamente

281 Cfr. n. 276.

Cfr. n. 279.

308 dal fatto che quel posto costituiva la base di operazione delle torpediniere turche contro l'Italia e che l'ovviare pericolo che presentava per noi era condizione indispensabile preparatoria alla nostra spedizione Tripoli. Nessuno poteva negarci il diritto e dovere di difenderci né si poteva pretendere che aspettassimo di essere attaccati per attaccare. Noi dovevamo sventare le manovre Turchia intese ad attirarci a trasportare guerra su altro campo, unico mezzo per opporsi a ciò era [ben?P quella base. Aehrenthal ha osservato che non ci negava diritto provvedere alla propria difesa come meglio credessimo. Ma noi avremmo dovuto avvertirlo nell'annunziargli la nostra azione in Tripolitania che saremmo stati costretti fare operazioni navali nell'Adriatico e nel Jonio nell'interesse quell'azione, ciò che noi non avevamo fatto. A suo avviso poi se veramente Prevesa fosse la base di operazioni delle torpediniere turche contro Italia noi avremmo potuto bloccare quel porto. E se avessimo incontrato torpediniere turche alto mare avremmo potuto colarle a fondo. Ma ciò che era importante per lui si era che noi evitassimo in modo assoluto di attaccare un porto qualunque dell'Albania per ragioni già addotte. Riconosceva che, essendo noi in guerra con la Turchia, dovevamo agire secondo nostri interessi. Ma ciò non poteva impedirlo di dirci francamente, e di dircelo da amico, facendo rilevare serie conseguenze che avrebbero potuto risultare da una nostra operazione nella direzione suddetta. Aehrenthal ha concluso coll'informarmi che ieri, dopo avermi visto, nuovo visir aveva fatto pregare di nuovo intervenire presso il R. Governo informandolo che la Turchia non voleva fare guerra Italia e ripetendo quanto Rescid avevagli fatto conoscere al riguardo. Egli aveva risposto nel senso stesso che mi aveva riferito. Ma questo nuovo passo Turchia dimostrava chiaramente che essa non aveva alcuna intenzione attaccarci.

282

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3833. Roma, 2 ottobre 1911, ore 13.

Suo telegramma n. 145 1• V. E. nelle sue conversazioni con Aehrenthal potrà valersi se come e quando lo crederà opportuno, delle considerazioni svolte in questo telegramma e nei precedenti.

Premetto che tenuto conto della posizione dell'Austria, qui ben nota, la sua attitudine finora amichevole ha prodotto in Italia ottima impressione e finora la questione di Tripoli per questa ed altre ragioni, anche come antidoto dell'irredentismo, ha fatto fare un altro passo di più nella via della sempre più cordiale amicizia

309 tra Italia ed Austria, scopo comune dei due Governi e particolarmente di Aehrenthal e mio. Sarebbe certo deplorevole se questo risultato venisse compromesso senza motivo sufficiente.

Non posso credere che Aehrenthal dubiti del nostro fermo proposito di evitare che la guerra italo-turca abbia ripercussioni balcaniche. È del resto evidente che tale è il nostro interesse. Se vi ha momento in cui lo statu quo balcanico deve starei maggiormente a cuore è quello in cui siamo impegnati altrove. Ciò è di evidenza indiscutibile.

Non abbiamo noi preso impegno di limitare il teatro delle operazioni militari, ma è evidente il nostro interesse politico identico a quello dell'Austria ad evitare che tali operazioni si svolgano in Europa e specialmente n eli' Adriatico.

Vi sono però esigenze militari imprescindibili alle quali è impossibile sottrarsi, e tale è il caso per le operazioni navali dirette a liberare i nostri mari dalle torpediniere turche e difenderli dal pericolo costituito per noi dalla base d'operazioni turca in Prevesa.

Parmi impossibile che gli addetti navali e militari dei nostri alleati, se interrogati dai loro governi, diano diverso parere.

Non credo che si avranno ripercussioni balcaniche serie, ma sarebbe certo preferibile che non fossimo costretti ad operazioni militari navali in Europa. È da prevedere che non si presenterà il caso di operazioni di truppa di terra in Europa. Riconosco tuttavia che la necessità di operazioni navali in Europa può produrre alcuni degli inconvenienti che, con qualche esagerazione, teme Aehrenthal, ma, a mio parere, più che dalla estensione geografica della guerra navale il pericolo di complicazioni, se esiste, potrebbe derivare dalla durata della guerra. Perciò il vero interesse nostro, dei nostri alleati e della Turchia stessa consisterebbe nel far sì che questa si rassegni il più presto possibile alla perdita della Tripolitania e Cirenaica. Quanto più presto essa cederà e quanto minori saranno i nostri sacrifici specialmente di vite umane, tanto più larghi saremo nei compesi materiali e morali.

Le navi turche che distruggiamo non erano destinate contro un'insurrezione albanese che non esiste né è oggi probabile, ma contro di noi. Ormai ciò è provato. È anche provato dal fatto che la Turchia non manda truppe in Albania e specialmente nel vilayet di Scutari, ma le imbarca a Medua per toglierle dali' Albania e adoperarle contro di noi o in Tripolitania o sulle coste adriatiche o nella base di operazione offensiva di Prevesa. Perciò se noi le impediamo di trasportare truppe n eli' Adriatico, la mettiamo nella impossibilità di toglierle dali' Albania e non già nella impossibilità di mandarvele, e perciò rendiamo più facile il suo compito di prevenire o reprimere una possibile insurrezione.

Anche su questo punto credo che i consoli austriaci in Albania e i suoi addetti militari e navali qui non possono dare ad Aehrenthal diverso parere.

A tutto questo aggiunga che, oltre le minacce alle nostre coste ed al nostro commercio, la base di operazioni delle torpediniere turche in Prevesa serve per attaccare il nostro convoglio di spedizione in Tripolitania.

Per evitare nostre ulteriori operazioni navali nello Adriatico e nel Mar Jonio e in genere in acque europee io non vedo che due mezzi. Il primo e il migliore sarebbe persuadere la Turchia a cedere e a far la pace. Un altro mezzo potrebbe essere un accordo militare tra le due Potenze belligeranti col quale si obblighino a limitare le operazioni militari alla sola Tripolitania e Cirenaica, ma in tal caso la Turchia dovrebbe obbligarsi a non fare alcun attacco in mare alla nostra spedizione e a non molestare le nostre coste ed il nostro commercio marittimo. Questa è una proposta impegnativa non avendo io ancora sentito in proposito il presidente del Consiglio né i ministri della guerra e della marina, e d'altronde non si potrebbe fare un accordo simile se non si avessero serie garanzie che verrà alla Turchia lealmente adempito.

Aehrenthal le ha detto che contro i pericoli provenienti dalle torpediniere turche si sarebbe potuto premunirsi tenendo navi in osservazione. Questo mezzo non sarebbe stato efficace visto il numero e soprattutto la velocità delle torpediniere turche per cui porti, commercio, spedizione sarebbero stati sempre sotto incubo di permanente minaccia.

Non parmi neanche fondata l'osservazione di Aehrenthal che il pericolo non esiste perché la Turchia non voleva la guerra, essendo evidente che, anche se non vuole una guerra, quando deve farla adopera tutti i mezzi per vincere o per attenuare e ritardare la sconfitta e tra questi mezzi il più efficace, anzi forse il solo efficace per la Turchia in una guerra navale contro di noi, è appunto la minaccia delle sue torpediniere annidate in Prevesa.

Quanto alla minaccia di Aehrenthal di tenere un diverso linguaggio, V. E. comprenderà che, se un tale linguaggio resta segreto, i momentanei dissensi non possono turbare il nostro intento comune di stringere sempre più l'amicizia e l'alleanza, ma se tale linguaggio venisse pubblicato, le conseguenze sarebbero certo deplorevoli non soltanto nei rapporti tra Italia ed Austria, ma principalmente perché incoraggerebbe la Turchia a prolungare la resistenza e perciò, facendo durare più a lungo la guerra, creerebbe pericoli che Aehrenthal giustamente desidera, al pari di noi, di evitare.

Intanto apprendo adesso, e V.E. può, se crede, dirlo ad Aehrenthal, che prima di ricevere il predetto telegramma di V.E. erano già stati rinnovati ordini al comandante delle nostre forze navali di evitare il più possibile di fare operazioni militari in acque europee e specialmente nell'Adriatico, quando non siano assolutamente necessarie, pei fini imprescindibili che ho già esposto a V.E.

Spero inoltre ricevere oggi notizia della distruzione del forte di Tripoli, dopo di che è sperabile che un eventuale amichevole consiglio di cedere dato alla Turchia possa essere da essa accolto.

Nel dubbio che radiotelegrafia non funzioni bene, una nave veloce è stata spedita stamane al duca degli Abruzzi con ordine di non fare in Europa operazioni contro la terra, e per ciò non bombardamenti di porti né sbarchi.

Speriamo che non si presenti più tardi la necessità di modificare questo ordine che è bene sia ignorato dalla Turchia perché il saperlo potrebbe indurla a prolungare la guerra.

Prego di informare anche di ciò verbalmente codesto Governo.

281 3 Errore di decifrazione. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna reca eliminazione. 282 1 Si tratta in realtà del 445 (cfr. n. 275).

283

IL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE 5151/13313. Asmara, 2 ottobre 1911, ore 13,55 (per. ore 0,25 del 3).

Rispondo 3817 1• Ringrazio. Attualmente mi preoccupo solo di Assab, debolmente presidiata, prossima Hodeida, non unita con Colonia né con Perim mezzo telegrafo, a cui caso attacco, che del resto ignorerei, non posso inviare aiuto né per mare né per terra, lasciata scoperta dopo partenza «Aretusa», «Volturno» destinazione ignota. Riservo mi tornare su argomento (?)2 .

284

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 5124/527. Parigi, 2 ottobre 1911, ore 14,20 (per. ore 17,25).

Tu hai notato che anche a distanza e senza conferire noi ci troviamo sempre a pensare allo stesso modo circa le grandi questioni di politica estera. Così è stato per Tripoli la cui occupazione ci è apparsa per l'Italia come una necessità così assoluta da farci ritenere grave colpa qualsiasi esitazione o ritardo. Però al giudizio obbiettivo e calmo degli uomini di Stato (?) 1• Epperò io che mi trovo in questo grande centro di osservazione dove giungono le manifestazioni della opinione pubblica europea le quali non corrispondono in tutto alle manifestazioni patriottiche degli italiani sento il dovere di richiamare in modo speciale il tuo giudizio freddo e sereno sulla situazione attuale. Nessuno oramai contesta che Tripoli debba appartenere all'Italia e quindi da questo lato lo scopo che ci eravamo proposto con la nostra azione rapida ed improvvisa è più [che ?F raggiunto. La politica prudente e seria che abbiamo fatta da otto anni resistendo alla impulsività della nostra opinione pubblica ed alle bizzarrie dei nostri partiti politici ha prodotto i suoi frutti. Tutte le Potenze, i rapporti con le quali eran stati da noi accuratamente e abilmente coltivati, si sono dichiarate neutrali e la Turchia si è

312 trovata di fronte a noi isolata e impotente. Però un complesso di circostanze a noi non imputabili e più specialmente la precipitazione della stampa italiana che ha impedito al Governo prima di agire di creare un incidente che desse pretesto di attualità all'azione, la necessità in cui ci siamo trovati di dichiarare la guerra invece di limitarci ad occupare Tripoli senza tale dichiarazione, la conseguente necessità di operare sulle acque turche europee e più specialmente sulle coste di Albania per impedire aggressione alle nostre navi mercantili, la nostra schiacciante superiorità di fronte alla Turchia, il contegno di [ ... ]3 assunto ipocritamente dalla Turchia, tutte queste cose insieme hanno impressionato contro noi gran parte della stampa e dell'opinione pubblica europea, la quale si è pronunziata nettamente ed in parte anche violentemente contro noi. Quindi io vedo un pericolo evidente nel prolungarsi dello stato di guerra tra la Turchia e noi. Lo vedo in Germania e Inghilterra dove stampa e l'opinione pubblica potrebbero rendere difficili ai due Governi di mantenere l'attuale amichevolissimo contegno verso noi specialmente se, al riaprirsi del Reichstag e della Camera dei Comuni, uomini politici autorevoli ed influenti attaccassero l'Italia. Lo vedo in Francia dove, pur essendo sicuri che gli impegni verso noi saranno fino all'ultimo mantenuti, la pressione dell'interesse finanziario allarmato fa considerare il prolungamento dell'azione bellica italiana come pregiudizievole e molesto per la Francia. Lo vedo in Russia e Austria dove è grande il timore di complicazioni balcaniche le quali, ove avvenissero, provocherebbero certamente il loro intervento. Per ciò, [se] da Costantinopoli venissero proposte le quali, accettando l'occupazione ed il dominio italiano in Tripolitania, chiedessero quei compensi materiali e morali che noi abbiamo spontaneamente offerto alla Turchia, io sarei d'avviso che venissero favorevolmente accolte. Tuttavia la opinione pubblica europea ha dato una sola interpretazione alla nostra offerta. Ha ritenuto che compenso materiale sia il pagamento di una somma come fece l'Austria-Ungheria per la Bosnia ed Erzegovina: ha designato compenso morale il riconoscimento di una sovranità del sultano affatto platonica e consistente in nulla. Né a me pare che possasi [darvi ?]4 interpretazione diversa. Per l'indennità non mi pare che sia il caso di lesinare. Per la sovranità del sultano noi non potremmo rifiutarla dopo che l'Inghilterra l'ha accettata in Egitto, ed in Tunisia ed al Marocco la Francia si è contentata di un protettorato. Come conclusione a me pare che noi dobbiamo occupare subito Tripoli, Bengasi, Derna e poiché mi pare impossibile che la Turchia, dopo l'occupazione, voglia contestarci il possesso della Tripolitania che tutta l'Europa ormai ci ha riconosciuto, mi pare che dobbiamo fare rapidissimamente la pace perché dal prolungarsi dell'attuale situazione possono sorgere gravi pericoli di cui i principali, reputo, sono una commozione nei Balcani o il cambiamento di attitudine verso di noi di qualcuna delle grandi Potenze. Se tu lo credi potrai comunicare questo mio telegramma al re ed a Giolitti.

4 Vedi nota 2.

283 1 T. pari data, non pubblicato, col quale di San Giuliano comunicava che il ministro della guerra ed il capo di Stato Maggiore non ritenevano necessario l'invio di rinforzi in Eritrea. 2 Il punto interrogativo è del decifratore. 284 1 Il punto interrogativo è del decifratore. 2 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

284 3 Gruppo indecifrato.

285

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5154/342. Londra, 2 ottobre 1911, ore 20 (per. ore 4 del 3).

Dei telegrammi 37891, 3821 2 ho dato testé lettura a Grey, il quale dopo di averne preso nota, ha detto due volte: «Resta dunque inteso che operazioni nelle acque europee saranno soltanto navali e che all'infuori Tripolitania Cirenaica truppe italiane non sbarcheranno in altri punti Impero ottomano». Ho letto poi a Grey comunicato telegrafato a V. E. col mio 3393; egli ne ha trovato molto opportuna pubblicazione.

286

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5153/453. Vienna, 2 ottobre 1911, ore 23,50 (per. ore 2,30 del 3).

Ho creduto chiamare in via amichevole attenzione Aehrenthal sul linguaggio ostile che una gran parte stampa viennese teneva a nostro riguardo, basandosi in genere sopra notizie false e tendenziose che erano state già da me smentite e gli ho segnalato specialmente odierno articolo Reichspost in cui questo giornale si esprime in modo poco riguardoso verso S.A.R. Duca degli Abruzzi a proposito operazioni navali presso Prevesa. Gli ho fatto osservare che tale linguaggio non poteva non produrre sulla opinione pubblica italiana che una penosissima impressione e provocare da parte nostra stampa polemica spiacevole che avrebbe potuto ridondare a danno dei nostri rapporti ed alleanza. Ho aggiunto che non ignoravo che per la libertà di cui la stampa godeva egli non era in grado d'impedire tale linguaggio, ma io sapevo che egli non aveva mancato in più occasioni, siccome mi aveva affermato, di usare della sua influenza per moderare linguaggio stampa e imporle anche talvolta il silenzio. Aehrenthal mi ha risposto che era bensì vero che aveva potuto agire talvolta nel senso da me indicato, ma il linguaggio tenuto ora dalla stampa viennese corrispondeva in parte alla penosa impressione che Governo impe

2 Cfr. n. 279.

3 T. 5130/339, pari data, non pubblicato (precisazioni sulle eventuali operazioni navali).

314 riale e reale stesso aveva risentito dalle nostre operazioni navali presso un porto albanese. Gli sarebbe stato oltremodo difficile d'agire contro sentimento generale opinione pubblica ed ha rilevato che linguaggio tenuto dalla stampa inglese e russa era più accentuato di quello della stampa viennese. Ma non avrebbe mancato usare della sua influenza ove noi gli fornissimo destro di farlo col porre termine alle operazioni suddette che sollevarono qui viva preoccupazione trattandosi dell'Albania. Quello che intanto potesse farsi era di far smentire notizie che fossero pubblicate circa sbarco truppe italiane altrove che Tripolitania e Cirenaica.

285 1 Cfr. n. 273.

287

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN, LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 916/347. Madrid, 2 ottobre 1911 (per. il 6).

Il nostro ultimatum alla Turchia e la conseguente dichiarazione di guerra colsero qui come altrove la opinione pubblica non preparata a una così rapida azione da parte nostra. Perciò la stampa spagnuola che non dispone di un largo servizio di corrispondenti dall'estero si è trovata da principio alquanto disorientata, e mentre pubblica notizie dal teatro della guerra confuse e spesso fantastiche, è finora scarsa di commenti propri, indicatori d'una direttiva ben determinata. Accennano però già a delinearsi le seguenti tendenze. La stampa socialista e la radicale si inspirano all'ordine del giorno Turati ed agli articoli della nostra stampa socialista e rimproverano all'Italia di non dedicare a curare i mali interni le somme ingenti che sta per consacrare a un'avventura di guerra. Gli organi delle opinioni più temperate ci sono in generale benevoli. Il Mundo che rappresenta le tendenze più moderate del partito liberale ha pubblicato l'altro ieri un articolo pieno di elogi per la nostra energica azione che esso qualifica degna di un popolo veramente forte. La Epoca conservatrice è più avara di elogi alla nostra iniziativa, non la disapprova però riconoscendo la trascendentale importanza politica che per la sua situazione geografica ha per noi Tripolitania. Nessun giornale del resto esprime simpatia ai nostri avversari. Tutti si mostrano più o meno preoccupati del pericolo che l'incendio si estenda alla penisola balcanica e divenga europeo.

Nel suo insieme lo spirito pubblico spagnuolo non può vedere con occhio sfavorevole la nostra azione. Vi è una grande analogia tra la nostra situazione riguardo a Tripoli e quella della Spagna riguardo al Marocco settentrionale. La grande importanza che noi mostriamo di annettere a quella regione, per il possesso della quale non indietreggiammo dinanzi ad una guerra, è un grande argomento in favore della aspirazioni spagnole nel Marocco settentrionale. Lo stesso presidente del Consiglio ne approfittò ieri sera in un banchetto dato in occasione della riapertura dei

corsi universitari per ricordare ai suoi uditori la politica forte della Germania e dell'Italia e additare alla Spagna l'esempio di «quei popoli virili». Uno dei risultati della nostra azione in Tripolitania sarà certamente di rafforzare la resistenza che la Spagna si prepara ad opporre ad eventuali eccessive pretese della Francia nelle trattative da riprendersi prossimamente fra i due Stati per il nuovo assetto del Marocco.

288

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 985/322. Teheran, 2 ottobre 1911 (per. il 19).

Mi onoro informare l'E. V. che essendomi giunto solo l'altro ieri tardissimo il suo telegramma n. 3738 del 29 settembre 1 non ho potuto che jeri mattina per tempo dirigere a questo Governo la nota contenente il testo letteralmente dettatomi della notificazione della nostra dichiarazione di guerra alla Turchia. La nota medesima ho fatto rimettere nelle mani del ministro degli affari esteri dal segretario della r. legazione.

Malgrado il ritardo di 24 ore nel recapito del telegramma, questo messaggio ha pel primo recato a Teheran la notizia della dichiarazione di guerra. I primi dispacci della Reuter sull'argomento sono qui giunti solo jeri in mattinata. Essendo -a causa dello stato d'assedio -la stampa locale quasi totalmente soppressa non sono, per ora, in grado di dare un'idea generale dell'impressione che ha prodotto su questa opinione pubblica l'importante notizia. Tuttavia a motivo del suo grave carattere questa si è rapidamente diffusa nei circoli governativi e politici. Da quanto ho potuto comprendere per ciò che mi è stato riferito da più parti essa avrebbe prodotto un profondo senso di stupore commisto in un campo a compiacimento e nell'altro a contrarietà. Tutti paiono d'accordo nel ritenere quello che sembra evidente, e cioè che la Turchia sarà seriamente sconfitta dall'Italia, ma mentre gli uni, e sono piuttosto i liberali moderati e parte degli uomini del Governo, si mostrano contenti in ispecie perché sperano che la Turchia, la quale in fondo non è amica della Persia, abbia a subire tali rovesci da vedersi costretta a moderare le sue ambizioni dal lato della frontiera del Kurdistan, gli altri fra cui in prima linea i radicali-nazionalisti, giovani persiani che fanno il pajo per le loro idee intemperanti ed aggressive nelle relazioni internazionali con i

288 Cfr. n. 258.

316 giovani turchi, ne sono amareggiati e ringhiosi. Essi riguardano l'avvenimento come l'aggressione di una Potenza forte contro uno Stato mussu\mano più debole e solo colpevole di aver voluto sostenere i proprii diritti ! ! ! Non solo, ed in questo hanno forse più ragione, ma lo considerano come un minaccioso esempio per la giovane Persia, la quale in molti rispetti si trova proprio per colpa loro in una posizione, riguardo alle Potenze europee ed in ispecie alla Russia, quasi identica a quella della Turchia. In generale si può essere sicuri che l'energico e deciso atteggiamento assunto dall'Italia verso il vicino Impero mussulmano avrà anche in Persia per l'Italia l'effetto di incutere rispetto e di farle guadagnare prestigio presso il Governo e la popolazione di questo Paese.

La sensazione profonda di stupore che si nota presso i persiani mi è parsa ancora più sensibile e cosciente presso i varii membri delle varie rappresentanze diplomatiche estere qui accreditate. Predominante in alcuni sembra rivelarsi la tema che che il conflitto italo-turco possa degenerare in complicazioni internazionali. Sono questi coloro -come i ministri di Russia e di Inghilterra -che vogliono eliminare ad ogni costo il pericolo che qualche imprudenza degli Stati balcani porti ad una guerra europea. Essi ritengono i loro Paesi non ancora preparati per un conflitto armato. A tale riguardo mi è anzi d'uopo ricordare ciò che scrissi l'anno addietro circa l'atteggiamento della Russia risultante da certe manifestazioni di questo rappresentante di quella Potenza, il quale temeva allora che gli affari di Persia potessero provocare delle difficoltà con la Germania. Scongiurata la minaccia a tale proposito dal recente accordo russo-tedesco ed a riguardo del Marocco dall'odierno accordo franco-tedesco, è naturale che l'incidente italo-turco sia di nuovo per il signor Poklewski, che credo rispecchi in certo modo le idee del suo Governo, motivo di apprensione. Sir George Barclay, se bene più riservato, non pare risentire meno dello stato d'animo del suo collega russo.

I rappresentanti di Germania e d'Austria-Ungheria appaiono al contrario più tranquilli, in un certo senso compiaciuti dell'azione dell'Italia come opera che avrà per risultante il rafforzamento della Triplice.

L'ambasciata turca pare allibita e scoraggiata per le conseguenze inevitabili che avrà il conflitto. Ed essa sola -posso aggiungere -fa eccezione a quel senso di gelosia mal celato che ha invaso tutti gli altri diplomatici per l'abilità e l'energia spiegata dall'Italia, la quale in una situazione politica internazionale delicata e difficile riesce a conseguire una sua grande aspirazione. Il contegno assunto dal r. Governo ali 'unisono colle dimostrazioni unanimi del popolo italiano -checché ne dica certa stampa straniera basandosi su alcuni telegrammi tendenziosi su pretesi movimenti antimilitaristi nella penisola -impone sensibilmente alla generalità.

Ordunque anche qui l'importante avvenimento politico europeo ha avuto una eco profonda, la questione persiana medesima è passata in seconda linea. Tutti sembrano rivolgere la mente a quello seguendo -in quanto possibile sulle tracce dei pochi telegrammi trasmessi dalla Reuter -le fasi della guerra, ma più ancora dello svolgersi della questione internazionale che a questa si connette.

289

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1676/638. Il Cairo, 2 ottobre 1911 (per. l' 11).

Ringrazio la E. V. dei telegrammi n. 3771 e 3785, in data di ieri 1 , coi quali si compiacque comunicarmi quanto aveva telegrafato al r. ambasciatore in Londra circa il punto di vista dal quale il r. Governo considerava la situazione dell'Egitto durante il conflitto italo-turco. Ho interpretati i telegrammi suddetti come una semplice informazione da servire per mia conoscenza personale, tale cioè da non dover determinare alcun passo da parte di questa r. rappresentanza presso il Governo locale

o presso l'agenzia britannica al Cairo.

Fui pertanto oltremodo sorpreso nel ricever iersera un telegramma col quale il r. console in Porto Sai d mi informava di aver chiesto l 'intervento di quel suo collega inglese allo scopo di provocare l'allontanamento immediato del trasporto militare turco, ancora in detto porto. Non parendomi possibile che quel r. funzionario avesse fatto un tal passo senza la esplicita autorizzazione dell'E. V., le ho diretto il telegramma n. 722 per chiederle se dovevo eventualmente appoggiare in qualche modo al Cairo l'azione svolta dal r. console in Porto Said.

La questione della presenza di navi da guerra ottomane nelle acque egiziane è connessa a quella di carattere più generale qui molto dibattuta in questi giorni ed alla quale ho accennato in precedenti rapporti dell'atteggiamento che l'Egitto può esser indotto a prendere di fronte al conflitto di una potenza europea con la Turchia. Malgrado l'occupazione inglese il vice-reame in linea di diritto deve considerarsi come parte integrante dell'Impero ottomano. Di ciò hanno naturalmente profittato i giornali indigeni per chiedere al Governo locale di rompere i propri rapporti diplomatici con l'Italia e per sostenere che l'esercito egiziano doveva contribuire alle operazioni Irilitari con un determinato contingente, mentre in ogni caso si sarebbe dovuto concedere libertà di passaggio alle truppe turche destinate alla Tripolitania e Cirenaica.

Io mi son ben guardato di accennare anche lontanamente con le autorità locali e coi colleghi inglesi agli articoli che su tali argomenti si venivan pubblicando nei giornali d'Egitto, !imitandomi ad accennarne a V. E. nei miei rapporti e nei miei telegrammi, appunto perché non poteva giovarci di sollevare simile questione, ed il telegramma odierno dell'E. V., n. 38183 , mi ha provato che il mio riserbo è stato opportuno.

T. 3770 e il T. 3759 del 30 settembre, non pubblicati, sull'intenzione del Governo italiano di considerare

neutrali le acque egiziane. 2 T. riservatissimo 5103/72 del l o ottobre, non pubblicato. 3 Non rinvenuto nel registro dei telegrammi in partenza.

Oggi però della situazione dell'Egitto nel momento presente e dei suoi rapporti con l'Italia mi ha parlato spontaneamente il signor Cheetham, consigliere dell'agenzia britannica. Le parole del signor Cheetham erano intese solo, da quanto espressamente mi disse, per conoscenza mia personale, ma n'ebbi l'impressione che fossero preventivamente concordate e che non si aspettasse che un'occasione per farmi noto il pensiero del rappresentante britannico. Credo perciò mio dovere riferirle alla E. V.

Dirò anzitutto che stamane venne a vedermi l'incaricato d'affari di Germania per dirmi che il ministro degli affari esteri gli aveva telefonato poco prima per sapere se aveva avuto istruzioni di assumere, ove ne fosse richiesto, la protezione degli interessi italiani in Egitto, che aveva risposto negativamente e che veniva a chiedermi se io ne sapevo qualche cosa. Risposi naturalmente che non avendo ricevuto alcun ordine da V. E. ed essendo in continuo rapporto, per i soliti affari in corso, col Ministero kediviale degli affari esteri, continuavo ad esercitare le mie funzioni senza preoccuparmi d'altro.

Questa sera poi il signor Cheetham mi chiese se io avrei continuato a rimanere in Egitto e se pensavo che la protezione degli interessi italiani nel Paese avrebbe potuto esser affidata a qualche altro rappresentante straniero. Risposi a lui pure che non avevo alcun ordine e che pertanto ritenevo nulla vi fosse di mutato nei riguardi di questa agenzia diplomatica. Il consigliere britannico mi disse allora: «Noi consideriamo che non vi sia alcun bisogno che voi ve ne andiate, malgrado il precedente contrario avvenuto durante la guerra greco-turca. Intendiamo che l'Egitto si mantenga assolutamente neutrale e che tutti lo considerino anche effettivamente come tale». Aggiunse poi una frase da cui ho rilevato come nel caso V. E. intendesse richiamare temporaneamente dall'Egitto i rr. rappresentanti, sarebbe stato necessario trovar modo di farli proteggere in guisa da non render difficili i rapporti tra le varie colonie. Non so se con questo il signor Cheetham abbia voluto farmi comprendere che l'Inghilterra non vedrebbe con piacere che altra Potenza, fuori di essa, venisse incaricata di proteggere nel vice-reame degli stranieri, né io volli approfondire la cosa per non allontanarmi da quel riserbo che stimo assolutamente necessario in mancanza di speciali istruzioni.

Si è poi parlato col signor Cheetham dell'impressione destata tra gli indigeni dalle notizie concernenti l'occupazione italiana della Tripolitania. Egli mi disse cioè che riteneva non sarebbero sorti incidenti di alcun genere, ripetendo che «poiché l'Inghilterra considerava l'Egitto come Paese assolutamente neutrale non avrebbe permesso che ne sorgesse alcuno, poiché scopo dell'occupazione era appunto quello di mantenere l'ordine». Accennò anche al linguaggio della stampa indigena, convenendo con me che finora esso non aveva oltrepassati i limiti di disapprovazione pel nostro operato che erano prevedibili e soggiungendo che all'occorrenza il Governo egiziano avrebbe applicata la legge sulla stampa, che limita appunto, come è ben noto alla E. V., la libertà dei giornali locali.

Il signor Cheetham mi disse anche che sperava la colonia italiana avrebbe mantenuta la calma più completa, ed io su questo lo ho assicurato che per quanto era stato possibile questa agenzia ed i rr. consolati si erano adoperati per impedire ogni provocazione da parte dei nostri ricordando loro la prudenza cui eran tenuti pel fatto di dimorare in un Paese musulmano.

La conversazione che ho più sopra riferita nel modo più fedele che mi è stato possibile, ha avuto un carattere più che altro famigliare, ma come ho già detto più sopra mi parve fosse intesa a due scopi principalmente: quello di far rilevare la neutralità dell'Egitto per quanto riguarda le operazioni militari e quello di farmi sapere che il Governo inglese non riteneva necessario il ritiro dei rappresentanti italiani dall'Egitto. Prima di prender commiato ho chiesto al signor Cheetham se sui recenti avvenimenti avesse avuto più notizie di quelle recate al Cairo dalle agenzie telegrafiche ed egli mi rispose: «No, di più sappiamo ciò che già vi ho detto, cioé che l'Egitto conserverà la più assoluta neutralità». Queste ultime parole han confermato le mie supposizioni ed ho perciò deciso di riferire quanto precede alla E.V.

289 1 T. 3771 del 30 settembre e T. 3785 del ! 0 ottobre con i quali si trasmettevano rispettivamente il

290

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAA. PERSONALE 5159/346. Londra, 3 ottobre 1911, ore 0,50 (per. ore 3,45).

Terminata parte ufficiale nostro odierno colloquio ho profittato cordialità mie relazioni con Grey per accennare di mia iniziativa ed a titolo strettamente personale alla penosa sorpresa cagionatagli dal contegno in verità non troppo amichevole assunto verso noi stampa inglese. Malgrado che (sic) tutti i miei sforzi per illuminarla mi pare di scorgere alquanto cattiva volontà a capire e apprezzare giustezza nostra causa. Per quanto, ho detto, non abbia che a lodarmi del contegno correttissimo del Governo, non credo meno doveroso mettervi al corrente di queste impressioni che cominciano a farsi strada nella nostra stampa. Voi avete nel popolo italiano un vecchio e fido amico che vi ha sostenuto quando il mondo intero vi dava addosso. Non sciupate ora inutilmente questi sentimenti del popolo italiano che naturalmente ora più che mai sull'occhio osserva e nulla dimenticherà. Vi dico ciò unicamente perché desidero che anche fra i due popoli continuino a regnare in avvenire cordialissime relazioni esistenti fra i due Governi. Grey mi rispose quasi testualmente: «Eccettuato Times io non leggo giornali perché non ho tempo. Mi dicono però che ad eccezione giornali ultra-radicali privi di qualsiasi influenza in fatto politica estera resto stampa non vi è in fondo veramente ostile. Tenete presente che qui nessuno sapeva dei vostri antichi gravami contro la Turchia e nessuno pensava che intendevate farli valere proprio ora. Se vi foste comunque limitati ad una grossa dimostrazione navale per esigere soddisfazione per tutti reclami e regolare definitivamente vostra situazione economica in Tripolitania, strappando magari un diritto di perenzione, qui tutta la opinione pubblica, che conosce procedimenti turchi, vi avrebbe approvato ed incoraggiato. Ma notizia vostro ultimatum è scoppiata come fulmine in mezzo ad una opinione pubblica che, snervata dopo le preoccupanti fasi questione Marocco, è addirittura terrorizzata dalla prospettiva di una guerra inattesa con non escludibili gravi complicazioni europee, non ha potuto tacere rincrescimento, risentimento, ispirati principalmente da preoccupazioni; se queste manifestazioni sono state relativamente moderate e non completamente unanimi e di eguale intensità, lo si deve appunto alla convizione, malgrado tutto qui prevalente, del! 'importanza dell'amicizia anglo-italiana. Credete pure se una qualunque altra nazione, nessuna esclusa, avesse spiegato azione analoga alla vostra, qui si sarebbe scatenato un uragano e non so davvero quello che sarebbe avvenuto a quest'ora». Ho risposto che tutto ciò stava benissimo ma intanto rimaneva il fatto che, in queste dimostrazioni poco favorevoli Italia, mentalità turca ignorante e incapace di distinguere, avrebbe soltanto ravvisato incoraggiamento resistere prolungandosi così situazione pericolosa da tutti deprecata.

291

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5193/455. Vienna, 3 ottobre 1911, ore 13,10 (per. ore 14,10).

Telegramma di V. E. n. 38791 . Spero che grazie intervento Governo germanico pericolo nostra colonia Durazzo sarà scongiurato. In ogni modo, mi permetto prevenire V. E. che qua, come risulta anche dal mio colloquio di iersera con Aehrenthal, si è di una suscettibilità estrema per tutto ciò che riguarda Albania. A mio avviso, dobbiamo di questa suscettibilità tenere il più grande conto, se non vogliamo compromettere ogni cosa. Il pericolo della nostra colonia in Durazzo dovrebbe passare in seconda linea di fronte a quello che correrebbe tutta l'azione in Tripolitania e le nostre stesse relazioni con Austria-Ungheria. Secondo me, è assolutamente indispensabile che, se noi dobbiamo far ancora qualche azione al di fuori della Tripolitania, essa non solo sia, ma appaia anche inevitabile per gravissime ragioni. Quando poi si tratta dell'Albania, le nostre precauzioni debbono essere ancora maggiori e crederei che un nostro passo sarebbe appena tollerato dali' Austria-Ungheria se avvenisse dopo grave violenza commessa contro nostri sudditi e si limitassero2 a provvedere alla sicurezza di questi imbarcandoli.

291 1 Errore di trascrizione o di decifrazione; si tratta del T. 3 839 del 2 ottobre, non pubblicato. 2 Errore di decifrazione. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna reca limitasse.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 3867. Roma, 3 ottobre 1911, ore 23,30.

Questo incaricato d'affari di Austria-Ungheria mi ha fatto a nome del conte Aehrenthal, una comunicazione verbale che riproduce in sostanza quella riferita nel telegramma di V. E. n. 4461 . Alla domanda di Rechid Pascià, che diceva il suo Governo essere disposto ad entrare in negoziati coll'Italia anche dopo la dichiarazione di guerra, e pregava il Governo imperiale e reale di intervenire presso di noi, Aehrenthal rispose che un2 vero intervento nel conflitto2 gli sembrava impossibile al momento attuale e non rispondeva agli interessi della Monarchia; che tuttavia, tenendo conto del desiderio della Turchia di evitare spargimenti di sangue, era pronto a far conoscere in modo amichevole al Governo italiano che la Turchia è sempre disposta a continuare i negoziati. Ambr6zy dichiarava quindi che la sua comunicazione aveva il carattere di una semplice trasmissione.

Ho risposto che ringraziavo Aehrenthal per la sua comunicazione. «A mio parere», soggiunsi, «è necessario dare alla questione di Tripoli una soluzione definitiva, scartando ogni causa di conflitto futuro. Penso dunque che, se si facesse la pace prima di avere perso molto sangue, potrei ottenere il consenso della nazione ad una situazione non inferiore a quella che aveva l'Austria-Ungheria in Bosnia-Erzegovina prima dell'annessione nel 1908. Noi siamo pure disposti a dare alla Turchia equi compensi, naturalmente, un accordo su basi così favorevoli per la Turchia non sarebbe più possibile, se la guerra dovesse durare a lungo ed imporci sacrifici più gravm.

Ho detto poi ad Ambr6zy di non considerare ciò che gli dicevo come impegnativo, ma come un'amichevole manifestazione di apprezzamenti miei personali suscettibili di modificazioni.

293

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. 3872. Roma, 3 ottobre 1911, ore 24.

Questo ministro di Serbia, a nome del suo Governo, mi ha assicurato che la Serbia nulla farà per provocare conflitti. Si terrà tranquilla e riservata, salvo il caso

292 1 Cfr. n. 277. 2 Un e nel conflitto aggiunti nell'interlinea.

che la pace sia turbata da altri nella penisola balcanica, e specialmente dal Montenegro. Il Governo serbo ci prega dunque di influire sul Governo montenegrino per impedire che questo si muova (il che già abbiamo fatto). La Serbia, inoltre, dovrebbe pure agire, se l'Austria-Ungheria entrasse nel Sangiaccato di Novi Bazar. Ma, salvo queste due ipotesi, essa non si muoverà.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. RISERVATO 210. Roma, 3 ottobre 1911.

Mi è regolarmente pervenuta la lettera particolare dell'8 corrente 1 nella quale l 'E. V. espone succintamente i provvedimenti òi varia natura da codesto Governo adottati, che sembrano avere per iscopo di impedire la residenza dei nostri nazionali nelle regioni austriache prossime alla frontiera abitate da popolazioni di lingua italiana; e di ostacolare i rapporti tra gli italiani dell'Impero e quelli del Regno; ed attira la mia attenzione sulle conseguenze che da tale tendenza, inspirata evidentemente da codeste autorità militari, potrebbero derivare a danno dei rapporti di buon vicinato fra le locali popolazioni e delle amichevoli relazioni esistenti tra i due Governi. Se tale condizione di cose non accennase a mutare il Governo del re potrebbe, infatti, secondo che l'E. V. rileva, trovarsi, ad un dato momento, nella necessità di prendere misure di ritorsione, o di rappresaglia, a tutela degli interessi dei rr. sudditi, ed, anche, del decoro suo proprio.

Ciò premesso, l'E. V. chiede di conoscere se, per ovviare ai danni ed ai pericoli di siffatta situazione non possa, a mio avviso, tornare utile che ella ne intrattenga, in via amichevole, il conte di Aehrenthal; il quale, animato dalle più cordiali intenzioni a nostro riguardo, non può certamente approvare lo spirito d'intransigenza di cui codesti circoli militari danno prova.

Mi affretto, anzi tutto, a ringraziare l 'E. V. delle considerazioni espostemi in ordine a questo importante argomento, e a dichiararle che mi associo ai giudizi da lei manifestatimi.

Riconosco, del pari, in massima, la opportunità degli uffici amichevoli e confidenziali ai quali accenna la E.V. Attese, però, le circostanze sopravvenute, dalla data della sua lettera, nei nostri rapporti politici coll'Impero ottomano, credo di dover lasciare alla prudenza ed al tatto dell'E.V. il decidere ulteriormente se e quando convenga addivenire, in effetto, al suo colloquio col conte d'Aehrenthal sul delicato argomento che forma oggetto della lettera stessa.

Nell'attuale momento, mentre da noi si procede alla soluzione della questione tripolina, è, infatti, siccome l'E.V. già se ne rende conto, più che mai necessario evitare incidenti incresciosi con la nostra alleata e coltivare i buoni rapporti con essa esistenti.

294 1 Non rinvenuta.

295

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. PRECEDENZA ASSOLUTA SEGRETO 3870. Roma, 4 ottobre 1911, ore 0, l0.

Giunge un telegramma del duca degli Abruzzi che fa ritenere non essergli pervenuti gli ordini perentori impartitigli per varie vie di non fare atti di ostilità contro la terra giusta miei telegrammi n. 38331 -3857 -38592 . Infatti egli dice che avendo intimato resa ad una torpediniera rifugiatasi nel porto di Prevesa bombarderà forte probabilmente domattina se non si arrende. Appena ricevuto il telegramma gli si è subito radiotelegrafato per mezzo di due stazioni e si è telegrafato al porto più vicino di far partire a tutto vapore una torpediniera per proibirgli di bombardare. Non possiamo garantire che ordine arrivi in tempo ma ne abbiamo speranza. Prego informare verbalmente subito codesto Governo di questo contrattempo, ormai però possiamo essere sicuri per l'avvenire.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. 3877. Roma, 4 ottobre 1911, ore 10.

L'ordine dato a S.A.R. il Duca degli Abruzzi di non bombardare Prevesa è stato ricevuto e rispettato. Faccio notare che per mantenere il blocc0 di Prevesa allo scopo di non fare uscire la torpediniera e le due cannoniere che vi sono rifuggiate è necessario di immobilizzare forze di gran lunga superiori; in conseguenza se lo stesso sistema si dovesse estendere in altri porti e località nemiche la maggior

295 Cfr. n. 282. 2 TT. del 3 ottobre, non pubblicati.

324 parte delle nostre navi dovrebbe rimanere paralizzata senza avere la certezza assoluta di riuscire nell'intento, anzi col rischio di essere attaccate e danneggiate.

Ritengo che sarebbe giusto che la Turchia fosse obbligata dalle Potenze a non valersi della torpediniera e cannoniere bloccate a Prevesa, e che da questa nostra condotta più cavalleresca che bellica il Governo ricavasse tutto il profitto possibile per not.

Qualora la Turchia non aderisse, diverrebbe inevitabile il bombardamento di Prevesa da parte nostra. Preghi subito codesto Governo fare passi in questo senso a Costantinopoli. Urge pronta risposta 1•

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 3905. Roma, 4 ottobre 1911, ore 20,30.

Bombardamento principali batterie Tripoli iniziato ieri ore quindici e mezzo e continuato fino tramonto da nostra squadra bloccante. Batterie hanno risposto nostro fuoco senza efficacia. Sarà oggi ripreso bombardamento per demolire.

298

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 3898. Roma, 4 ottobre 1911, ore 22,20.

Questo ambasciatore d'Inghilterra ha ricevuto oggi un telegramma di sir Edward Grey informantelo che quell'ambasciatore di Turchia lo ha per la seconda e per la terza volta pregato di intervenire presso il Governo italiano. Sir Edward Grey ha dato la stessa risposta che la prima volta: le cose non erano mutate, e nell'attuale situazione una intromissione sulle basi chieste dalla Turchia, sarebbe un atto poco amichevole verso l'Italia e non potrebbe avere alcun effetto.

296 1 Per la risposta da Vienna cfr. n. 303. Con T. 5254/214, pari data, P ansa rispose che erano state inviate istruzioni a Marschall «per ottenere possibilmente immobilizzazione navi turche a Prevesa». Aggiungeva poi: «Qui si continua del resto ad essere convinti che i turchi nulla faranno».

299

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 3900. Roma, 4 ottobre 1911, ore 23.

Questo ambasciatore di Russia mi informa che alle nuove pratiche fatte per la terza volta dall'ambasciatore di Turchia a Pietroburgo per ottenere l'intervento della Russia presso l'Italia, Neratoff ha risposto ancora che, nell'attuale situazione, qualunque intromissione era inammissibile, e che nessun'altra soluzione era oramm possibile all'infuori di quella indicata nell'ultimatum italiano.

300

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5259/464. Vienna, 4 ottobre 1911, ore 23,45 (per. ore 3,10 del 5).

Ho chiesto oggi ad Aehrenthal se l'Austria-Ungheria non fosse per pubblicare la sua dichiarazione di neutralità nel conflitto tra Italia e Turchia, come hanno fatto altre Potenze. Aehrenthal mi ha risposto che Governo imperiale e reale come pure Governo germanico non ritiene che sia il caso di fare per ora tale dichiarazione, tanto più che si sa da tutti che Monarchia e Germania sono nostre alleate. Se, però, in seguito, si vedesse opportunità di pubblicare dichiarazione di neutralità, Governo imperiale e reale, non mancherebbe di farla.

301

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5262/468. Vienna, 4 ottobre 1911, ore 23,45 (per. ore 2,25 del 5).

Aehrenthal, parlandomi in via confidenziale e con molto interesse della nostra azione in Tripolitania, mi ha detto che sarebbe opportuno che essa si svolgesse colla maggiore celerità possibile ed evitando tutto ciò che non è necessario per eseguirla e per proteggerla da ogni minaccia. A suo avviso, meno noi cerchiamo di urtare l'amor patrio della Turchia, più troveremo questa inclinata a trattare quando sarà venuto il momento. Egli considererebbe anche conveniente che noi risparmiassimo ogni spargimento di sangue non indispensabile e tutto ciò che può aizzare il fanatismo musulmano. Ha aggiunto che aveva incaricato Mérey di parlare alla E.V. nello stesso senso. Ho risposto al barone Aehrenthal che le sue considerazioni corrispondevano appunto alle idee del R. Governo, ma che io non avrei in ogni modo mancato di riferirle a V.E.

302

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SCALEA, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 3927. Roma, 5 ottobre 1911, ore 22.

Ieri continuato bombardamento Tripoli. Batterie Sultania e Hamidié smantellate. Fino mattina cinque corrente nessuna offerta di resa.

303

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5427/466. Vienna, 5 ottobre 1911, ore 23,45 (per. ore ... del 6).

Telegramma di V.E. 38771 . Aehrenthal mi ha detto che Italia e Turchia essendo in istato di guerra non scorgeva come avrebbe potuto fare passi a Costantinopoli per ottenere che Sublime Porta si obbligasse a non valersi delle sue torpediniere e cannoniere bloccate Prevesa. Egli aveva fatto intendere due giorni fa alla Sublime Porta opportunità impartire ordini a quelle navi di rimanere nei porti albanesi e di non uscire per non provocare operazioni navali da parte nostra squadra. Ma altro non credeva poter fare in questo momento. Aehrenthal ha espresso quindi parere che noi avremmo dovuto restringerei a mantenere blocco Prevesa come di altri porti albanesi ove credessimo vi fossero torpediniere turche e di distruggere queste ove ne uscissero. Ma non poteva ammettere che noi bombardassimo porto qualsiasi Albania poiché ciò sarebbe stato in opposizione alle nostre dichiarazioni localizzare nostra azione nel Mediterraneo provvedere mantenimento statu quo nei Balcani. Tale bombardamento avrebbe avuto inevitabilmente grave ripercussione sulla penisola balca

303 Cfr. n. 296.

327 nica e dato luogo a vive proteste da parte della opinione pubblica Monarchia che l'avrebbe costretto rivolgerei serie rimostranze. Egli sarebbe stato inoltre costretto di fronte all'eccitazione che qui si produrrebbe di far pubblicare le dichiarazioni da noi fattegli di limitare nostra azione Mediterraneo di non procedere bombardamento porti né sbarchi in Europa nonché gli avvertimenti rivoltici in proposito come le serie rimostranze che avrebbe dovuto farci. Ho osservato Aehrenthal che consigli da lui dati di restringerei a bloccare porti albanesi ove eranvi navi turche avrebbe avuto grave inconveniente immobilizzare una parte nostre forze navali con danno delle nostre operazioni militari in generale esponendoci al rischio di essere attaccati e danneggiati. D'altra parte circostanze impreviste e necessità di guerra avrebbero potuto obbligarci di modificare le dichiarazioni fatte nonostante nostri propositi mantenerle e che non era poi giusto limitare nostra libertà d'azione senza limitare pure quella dell'altro belligerante. Ma Aehrenthal insistendo sulle considerazioni esposte mi ha detto pregare V.E. voler provvedere perché si eviti in modo assoluto di bombardare Prevesa e qualsiasi altro porto Albania per gravi conseguenze che avrebbero potuto risultame. A questo proposito ha aggiunto che in seguito alla sua azione stampa Monarchia erasi mostrata favorevolmente disposta a nostro riguardo prima delle nostre operazioni navali presso Prevesa che aveva cambiato del tutto suo atteggiamento che era ora divenuto piuttosto ostile. Egli avrebbe procurato adoperarsi per predisporla in nostro favore ma era necessario che noi gli facilitassimo compito col non procedere ad atti che avrebbero reso sterile ogni suo sforzo. Con precedente telegramma ho segnalato a V.E. l'estrema suscettibilità che qui si ha per tutto ciò che riguarda l'Albania e sfavorevole impressione prodotta sull'opinione pubblica Monarchia da nostre operazioni navali suddette. Di tale suscettibilità mi pare che noi non possiamo non tener debito conto. Per cui di fronte alle cose dettemi da Aehrenthal spetta al R. Governo di decidere se convenga correre rischio compromettere nostre relazioni con Austria-Ungheria e l'alleanza stessa e conseguentemente nostra azione in Tripolitania col dare piena libertà d'azione alla nostra squadra nelle sue operazioni contro Prevesa o restringere per contro tale libertà d'azione attenendoci alle indicazioni di Aehrenthal per non andare incontro al rischio suddetto.

304

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 3940. Roma, 6 ottobre 1911, ore 10,20.

I forti di Hodeida e una barca cannoniera turca hanno sparato varie cannonate senza efficacia contro la r. nave «Aretusa», che perlustrava il Mar Rosso per la protezione del commercio italiano. La r. nave «Aretusa» ha risposto al fuoco colando a picco la barca cannoniera nemica.

305

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 3941. Roma, 6 ottobre 1911, ore 10,20.

Suo telegramma n. 3661• Bombardate fortificazioni Tripoli, occupata ieri batteria Sultanié, inalberata nostra bandiera. Si è rinnovato ordine di non fare operazioni militari navali presso coste ottomane dei mari Adriatico e Jonio. Ogni altra notizia combattimenti ed operazioni militari si deve ritenere finora fantastica.

306

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5379/367. Londra, 6 ottobre 1911, ore 16,41 (per. ore 21,25).

Nota generale stampa autorevole odierna può riassumersi: rimproveri comitato per aver provocato crisi e soprattutto per avere coltivato amicizia Germania negligendo quella Inghilterra; secondo: consigli di rassegnarsi alla perdita Tripolitania e concludere presto pace per tema complicazioni maggiori; terzo: speranza che Italia, ottenuto suo scopo, non rifiuterà di facilitare soluzione mostrandosi intransigente e rifiutando qualsiasi compenso; quarto: pericoli cui prolungarsi guerra esplosione fanatismo musulmano occupazione magari necessaria di qualche altro punto territorio ottomano possono esporre Italia; quinto: inopportuno parlare di mediazione prima che occupazione reale Tripolitania Cirenaica sia fatto compiuto ed implicito desiderio che ciò avvenga al più presto per agevolare inizio iniziative. Redattore navale Daily Telegraph critica non benevolmente nostre operazioni studiandosi togliere loro qualsiasi importanza pratica. Daily Chronicle nel commentare intervista Kiamil pascià e sue dichiarazioni di resistenza ad oltranza, fa grande elogio di lui, ne accentua disposizioni anglofile, ne caldeggia avvento al potere ma conclude: «Malgrado parole coraggiose di Kiamil pascià onoranti suo patriottismo, speriamo che Turchia seguirà consigli Potenze e cercherà pace. Ciò può essere penoso, ma Turchia ha tutto da perdere prolungando guerra che essa non può continuare con efficacia. Una pace conclusa ora permetterebbe Turchia ottenere condizioni migliori di quelle che potrà sperare più tardi».

A mio avviso remissivo, sarebbe opportuno nostra stampa non si occupasse più troppo del contegno stampa inglese e rinunziasse a ulteriori discussioni polemiche per lo meno inutili.

305 1 T. 5297/366 del 5 ottobre, non pubblicato, con il quale Imperiali chiedeva notizie sulle operazioni militari per Grey e Nicolson che se ne erano mostrati interessati.

307

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5367/478. Vienna, 6 ottobre 1911, ore 18,55 (per. ore 22).

Nel colloquio avuto oggi con Aehrenthal, egli mi ha dato spontaneamente lettura d'un telegramma pervenutogli stamane dal console imperiale e reale Scutari d'Albania, in cui si fa conoscere che un incrociatore italiano, presentatosi nelle acque di Medua, aveva inviato a terra una imbarcazione con marinai armati contro la quale truppe turche avevano fatto fuoco. In seguito a ciò, incrociatore italiano aveva bombardato Konak e caserma Medua ed erasi quindi allontanato. Aehrenthal mi ha detto che questo nuovo incidente lo metteva in grave imbarazzo, giacché, dopo nostre ripetute dichiarazioni, oltre al produrre una impressione sfavorevolissima nella opinione pubblica Monarchia, avrebbe potuto eccitare popolazione albanese spingendola ad un movimento insurrezionale ed indurre Montenegro ad entrare in campo. Ho detto Aehrenthal che, dalle informazioni pervenutemi stamane dalla E.V. circa incidente, risultava che nave italiana erasi limitata a rispondere al fuoco diretto da terra contro nostra imbarcazione con bandiera bianca e che tale incidente era dipeso soltanto da un mero equivoco. E gli ho comunicato a tale proposito quanto V.E. mi fa conoscere con telegramma 3939 1• lo aspettavo dall 'E.V. ulteriori informazioni al riguardo che mi sarei affrettato riferirgli. Aehrenthal ha osservato che non comprendeva come tale equivoco avesse potuto avvenire ed ha aggiunto che, dopo nostre formali dichiarazioni restringere operazioni navali nell'Adriatico e nel Ionio allo stretto necessario ed a non procedere a bombardamenti né sbarchi, egli aveva fatto quanto era in suo potere per moderare stampa Monarchia, cercando imprimerle un indirizzo atto a non urtare nostri sentimenti. Ma che conveniva che noi gli facilitassimo il compito adoperandoci ad impedire qualsiasi nuovo incidente simile che avrebbe potuto metterlo in una situazione difficile di fronte a noi. Egli intanto avrebbe aspettato di vedere se qualche notizia in proposito fosse comparsa oggi nei giornali viennesi. In tal caso si proponeva fare pubblicare dal Telegraphische Correspondenz-Bureau un telegramma da Roma concepito su per giù nel senso seguente. «Governo italiano ha dato a più riprese assicurazione formale restringere

330 sue operazioni navali nell'Adriatico e nel Ionio allo stretto necessario e a non procedere a bombardamenti né a sbarchi. Incidente quindi di Medua non può essere attribuito che a un semplice equivoco su cui si attendono ulteriori informazioni». Aehrenthal mi ha pregato, quindi, di comunicargli oggi stesso fino alle sette al Ballplatz e, dopo tale ora, a Schoenbrunn ulteriori informazioni che mi fossero trasmesse da V.E. sull'incidente. Qualora poi tali informazioni tardassero a venire, avrebbe fatto pubblicare domani telegramma suddetto. Prego V.E. volermi telegrafare maggiore urgenza le informazioni che sollecitai con telegramma odierno n. 4772•

307 1 T. pari data, non pubblicato.

308

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5375/69. Belgrado, 6 ottobre 1911, ore 21,40 (per. ore 24).

Milovanovitch mi ha reiterato stamane assicurazioni date all'incaricato d'affari circa condotta pacifica della Serbia di fronte conflitto italo-turco. Egli mi afferma che Governo serbo aveva dovere di essere vigilante, ma che nessuna misura militare era stata presa la quale potesse lontanamente far sospettare idea mobilitazione. Da questa linea di condotta Governo non si sarebbe dipartito a meno che neutralità non fosse rotta da qualche altro Stato balcanico. Ministro degli affari esteri, però, non mi nascose sua preoccupazione per le conseguenze che potrebbero temersi nella penisola qualora operazioni militari fossero condotte sulla costa albanese: gli ho rinnovato a questo proposito spiegazioni già fomite dall'incaricato d'affari. Il mio collega russo, al quale, in ogni circostanza, il Governo serbo si dirige per consigli, mi disse non nutrire alcuna preoccupazione circa attitudine della Serbia che potrebbe essere soltanto trascinata all'azione nelle ipotesi seguenti: l) rottura della neutralità da parte della Bulgaria; 2) massacri di cristiani in Macedonia da parte della plebaglia musulmana fanatica; 3) occupazione Sangiaccato da parte dell'Austria-Ungheria; in sostanza mia convinzione è che Serbia sarebbe in ogni caso l'ultima degli Stati balcanici a rompere neutralità e per la sua assoluta impreparazione per timore di offrire pretesti ad un intervento austriaco, e per timore che si è sempre più venuto raddoppiando in seguito linguaggio stampa austro-ungarica dopo false notizie bombardamento Prevesa.

307 2 T. 5352/477, non pubblicato. Per la risposta cfr. n. 3\5.

309

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 5377/84. Il Cairo, 6 ottobre I911, ore 2I,45 (per. ore 1 del 7).

Stamane due segretari di questa agenzia britannica espressamente invitati da lord Kitchener vennero a vedermi e mi hanno detto che, in seguito pratiche fatte della Sublime Porta e di fronte crescente agitazione popolazione egiziana fomentata da stampa araba, Governo locale ha chiesto ufficiosamente al rappresentante inglese se non converrebbe interrompere rapporti diplomatici dell'Italia con l'Egitto. Agenzia britannica, che a questo era contraria giorni or sono (mio telegramma numero 74)1 non sarebbe più sfavorevole alla cosa, credendo possa contribuire a calmare popolazione, ma vorrebbe che interruzione rapporti non trascinasse seco partenza dall'Egitto dei rr. rappresentanti e soprattutto non compromettesse neutralità dell'Egitto. Fui richiesto mio avviso. Non nascondendo mia sorpresa, ho risposto che non potevo aver alcun avviso personale su questione di cui solo era giudice il R. Governo. Osservai tuttavia che non ritenevo possibile permanenza rr. rappresentanti in Egitto dopo di aver perduto propria immunità per collocarsi sotto la protezione colleghi germanici. Ho detto pure che tale permanenza in siffatte condizioni poteva dar luogo ad incidenti con gravi conseguenze. Comunicai ad ogni buon fine tenore telegramma di V.E. numeri 3864 e 390!2, poiché detti sembravano ignorare forma dichiarazione dell'Inghilterra. Mia impressione è che agenzia britannica si trovi in imbarazzo ed abbia fatto passo malvolentieri. Stasera per iscritto uno dei segretari suddetti mi ha pregato ritardare fino a domani per comunicare quanto precede a VE.

o per lo meno di non dire che suggerimento affidare protezione italiani ad agenzia diplomatica di Germania fosse partito da questa rappresentanza inglese. Stimai necessario informare senza indugio d'ogni cosa VE. cui chiedo favorirmi istruzioni3 .

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 3956. Roma, 6 ottobre I911, ore 22,I0.

Arabi appartenenti tribù intorno Tripoli recatisi bordo nave ammiraglia hanno fatto atto sottomissione domandando cessazione bombardamento.

2 TT. del 4 ottobre, non pubblicati, sulla neutralità dell'Egitto.

3 Per il seguito cfr. n. 318. Per la risposta cfr. n. 319.

Tripoli abbandonata da truppe turche è stata occupata senza incidenti da nostre compagnie sbarco rimanendo presidiato forte Sultania. Truppe sbarcate sono all'ordine del capitano vascello Cagni; contrammiraglio Borea d'Olmo nominato governatore Tripoli.

R. nave «Aretusa» in perlustrazione Mar Rosso ha colato a picco cannoniera turca.

309 1 T. riservato 5205/74 del 3 ottobre, non pubblicato.

311

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. 45 T. Roma, 6 ottobre 1911.

Leggo ora il telegramma 5294 1 del tuo Ministero, spedito ieri da Londra dal marchese Imperiali.

Come tu ben sai noi abbiamo già, per ragioni di politica estera, limitata l'azione delle nostre navi da guerra in Mar Rosso ai soli casi nei quali le cannoniere turche saranno trovate a scortare piroscafi carichi di materiale da guerra, ovvero a compiere, lontano dalla coste arabe, atti di guerra contro le nostre navi del commercio.

Ora io penso che se ad una nostra concessione facesse riscontro un'altra simile da parte del Governo turco, si potrebbero riattivare le linee di navigazione e rimettere in funzione i fari in Mar Rosso.

Bisognerebbe che il Governo ottomano assicurasse, per esempio, a quello inglese, che è il più interessato in materia, che non farebbe molestare i nostri piroscafi.

Ti ho voluto manifestare un'idea; non so se potrà avere pratica attuazione, fanne però il conto, che credi2 .

312

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. URGENTISSIMO Londra, 7 ottobre 1911, ore 1,20 RISERVATISSIMO PERSONALE 5376/372. (per. ore 4).

Se azione militare nel Mar Rosso non è assolutamente indispensabile, sarebbe opportuno rinunziarvi cercando ogni mezzo per prevenire nostre navi colà; da

2 Per il seguito cfr. nn. 312 e 314.

333 fonte più che sicura ho saputo che al Foreign Office sono molto preoccupati di una nostra possibile azione militare nel Mar Rosso, perché si teme essa possa, eccitando fanatismo musulmano, aver grave ripercussione in Egitto e soprattutto in India dove re d'Inghilterra sta per recarsi. Gli arabi, si osserva, per quanto detestino i turchi finirebbero sempre per sostenerli quando credessero seriamente compromessa causa Islam. Mi si è fatto inoltre osservare che le forze occulte e potenti che alacremente lavorano contro di noi profitterebbero con somma alacrità di qualunque occasione che potesse indisporre contro di noi opinione pubblica che il Governo si è segretamente e finora con successo adoperato di calmare.

Ricevuto or ora telegramma di VE. n. 39491 . Per i motivi più sopra esposti aspetterò nuovi ordini da VE. prima di parlare a Grey.

Truppe turche Yemen per recarsi in Tripolitania debbono traversare il Canale di Suez, ottemperando disposizioni Convenzione; abbiamo quindi sempre mezzo arrestarle prima che arrivino a destinazione2 .

311 1 T. personale 5294/365 del 5 ottobre del quale si pubblica il seguente brano: «Non v'è dubbio alcuno del vivo desiderio di questo Governo ed in generale opinione pubblica di vedere quanto più possibile ristretta e limitata sfera operazioni militari».

313

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 5380/373. Londra, 7 ottobre 1911, ore 1,23 (per. ore 4,15).

Mi viene riferito da buona fonte che Stead noto apostolo della pace, recatosi giorni scorsi Parigi, ha quivi conferito con Rifaat [pacha]l e con eminenti pacifisti francesi. In seguito a tale conferenza, Stead si proporrebbe recarsi presto Costantinopoli per consigliare Governo ottomano proporre Potenze deferire questione Tripolitania tribunale Aja. In previsione sicuro nostro rifiuto, Stead ed i suoi amici vorrebbero provocare grave agitazione contro l'Italia nei centri radicali-socialisti Europa America per spingere ad un boicottaggio generale contro noi denunziandoci come nemici della pace e violatori convenzioni Aja. Da persona nostra amica si è tentato calmare Stead facendogli osservare che egli rischia sollevare fanatismo musulmano e provocare in Turchia massacro italiani ed anche di altri cristiani, ma Stead fanatico più di qualunque turco non per ostilità diretta contro noi ma per la causa della pace sembra disposto attuare suo piano.

312 1 T. del 6 ottobre, col quale di San Giuliano dichiarava di voler «evitare di distruggere la flottiglia turca del Mar Rosso per non facilitare insurrezione Yemen». 2 Per la risposta cfr. n. 314. 313 1 Integrazione sulla base dei registri dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 3963. Roma, 7 ottobre 1911, ore 11,15.

Suo telegramma n. 3 72 1 . Ella può dire a Grey che appunto per far cosa gradita all'Inghilterra abbiamo da vari giorni dato ordini alle nostre autorità militari nel Mar Rosso di non fare operazioni contro la costa ottomana. Ciò nuoce molto ai nostri interessi politici e militari e prolunga con nostro danno la resistenza della Turchia diminuendo i doveri e l'intimidazioni che le derivano dalla guerra ma tuttavia lo abbiamo fatto e lo facciamo spontaneamente per amicizia verso l'Inghilterra. Si intende bene che tale ordine può essere mantenuto qualora e finché non ci rechi eccessivi nocumenti. V.E. può anche spiegare a Grey che appena informate della dichiarazione di guerra nostre autorità militari nel Mar Rosso, non essendo competenti a giudicare di questioni politiche e regolandosi con criteri strettamente militari, avevano ordinato operazioni offensive. Il R. Governo per amicizia verso l'Inghilterra diede subito contrordini ma le rr. navi nel Mar Rosso hanno piccola portata radiotelegrafica così che non è certo che il contrordine sia già pervenuto a tutte. V.E. può aggiungere che sto anche studiando insieme al ministro della marina se possiamo senza pericolo riaccendere i nostri fari nel Mar Rosso appunto per far cosa gradita all'Inghilterra.

Queste limitazioni alla nostra azione bellica nel Mar Rosso nell'Adriatico e nel Ionio ci mettono in condizione svantaggiosa per la durata e l'esito della guerra e per le condizioni della pace e confidiamo che le potenze amiche ne terranno conto a suo tempo.

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3969. Roma, 7 ottobre 1911, ore 13,40.

Suo telegramma n. 4 78 1• La versione del console austriaco a Scutari che non era presente e riproduce la versione turca non concorda con quella del comandante delle nostre caccia-torpediniere.

Prego V.E. ripetere ad Aehrenthal che ordini categorici, oltre quelli da me mostrati ad Ambr6zy, affinché tali fatti non si ripetano sono stati rinnovati ieri ed

315 1 Cfr. n. 307.

oggi anzi spero avere conversazione telefonica col Duca degli Abruzzi. Inoltre per esigenze militari, prestissimo, teatro operazioni della squadra di Sua Altezza Reale, si allontanerà probabilmente sempre più dall'Adriatico.

Certo la protezione della spedizione contro siluranti nemiche probabilmente naviganti presso la terra è un supremo interesse di cui Aehrenthal deve tener conto. Fortunatamente si tratta di periodo breve e che non ha probabilità di svolgersi n eli' Adriatico.

Il comunicato fatto pubblicare da Aehrenthal sull'incidente di Medua è buonissimo nell'interesse dei rapporti tra Italia ed Austria e tenuto conto della situazione forse può essere opportuno che V.E. sotto questo aspetto lo ringrazi da parte mia.

Il predetto comunicato però come ogni altra manifestazione che faccia sperare alla Turchia una limitazione delle nostre operazioni offensive, può incoraggiarla a prolungare la resistenza e perciò contribuire ad aggravare quei pericoli di ripercussioni balcaniche ed altre, che Aehrenthal al pari di noi vuole giustamente evitare.

314 1 Cfr. n. 312.

316

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO E CETTIGNE

T. 3982. Roma, 7 ottobre 1911, ore 20.

Ambasciatore Russia mi comunica che alle pratiche fatte dal ministro di Russia a Cettigne, quel ministro degli affari esteri rispose che il Montenegro seguirà interamente i consigli venutigli da Pietroburgo, che si desisterà da ogni attitudine ostile, e che non prenderà parte in alcun modo alla guerra italo-turca.

317

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5403/486. Vienna, 7 ottobre 1911, ore 20,45 (per. ore 23,45).

Aehrenthal mi disse che, nonostante severi ammonimenti che aveva fatto rivolgere al Governo montenegrino e linguaggio reciso tenutogli dalla Russia, gli risultava esistere alcuni indizi che facevano dubitare delle disposizioni quel Governo. Egli temeva che, se guerra turco-italiana fosse per protrarsi e se noi dovessimo incontrare qualche difficoltà, Montenegro avrebbe preso occasione di ciò per entrare in campo e sarebbe stato seguito dalla Grecia.

Era in previsione di tale eventualità che egli aveva insistito presso il R. Governo perché evitasse ogni operazione presso la costa Albania cioè di una regione appena tranquillizzata che poteva cogliere l'occasione e il pretesto per insorgere di nuovo.

Non aveva quindi mancato invitare Giesl rivolgere nuovo ammonimento al Governo montenegrino per impedire che trascendesse in questo momento a qualunque atto inconsulto. Aehrenthal mi ha pregato di informare V.E., facendole rilevare ancora una volta, opportunità che nostra azione in Tripolitania sia effettuata sollecitamente e che sua occupazione diventi al più presto possibile un fatto compiuto collo sbarco del nostro corpo d'operazione, perché più prontamente ciò avverrà più facilmente potranno iniziarsi trattative con Sublime Porta ed ovviare complicazioni che in caso diverso potrebbero sorgere nei Balcani con danno della nostra azione stessa1 .

318

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5425/86. Il Cairo, 7 ottobre 1911, ore 20,45 (per. ore 22,20).

Faccio seguito al mio telegramma numero 841, per informare V.E. ad ogni buon fine che, conversando oggi col consigliere dell'agenzia britannica, questi mi disse che sospensione nostre relazioni con l'Egitto era questione da risolversi mediante trattative tra Roma e Londra. Espressi dubbio rapporti possano legalmente mantenersi dato che rr. rappresentanti in Egitto vengono accreditati con berat della Sublime Porta. Per parte mia gli ho fatto osservare che, tralasciando questione neutralità in cui, per me, solo giudice è il R. Governo, bisogna anche considerare impressione che potrebbe cagionare nelle nostre colonie. Infatti italiani mantengonsi calmi specialmente perché presenza rr. rappresentanti dimostra amichevole disposizioni del Governo locale e conseguente garanzia che esso non è disposto favorire eccessi di fanatismo a loro danno. Segnalo quanto precede anche all'attenzione di

V.E.2.

2 Cfr. n. 319.

317 1 Per la risposta cfr. n. 324.

318 1 Cfr. n. 309.

319

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. RISERVATISSIMO 3984. Roma, 7 ottobre 1911, ore 21,45.

Suo telegramma n. 841• Interruzione rapporti diplomatici produrrebbe in Italia la più dolorosa impressione. Se Egitto si considera come parte integrante dell'Impero ottomano, i nostri rappresentanti dovrebbero partire e la protezione dei nostri connazionali dovrebbe affidarsi alla Germania, colla quale abbiamo concordato che li proteggerà in tutti i luoghi o ve ha suoi connazionali. Intanto io telegrafo a Londra2 .

In relazione al mio3 telegramma n. 774, veda la S.V. di fare gli opportuni passi riservati presso il kedive affinché adoperi la sua influenza per far cessare l'agitazione nel paese a noi contraria.

Ella può disporre mediante tratta su questo Ministero della somma di franchi cinquemila per esercitare una conveniente azione presso alcuni noti giornali arabi locali per farli cessare dall'attuale loro atteggiamento. Faccia conoscere nel modo oppportuno che l'elemento arabo della Tripolitania e Cirenaica è favorevole all'occupazione italiana.

Gradirò di conoscere telegraficamente quali passi ella avrà eseguito, beninteso colla dovuta riservatezza, per agire sulla stampa locale5 .

320

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, NEGROTTO CAMBIASO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1860/577. Washington, 7 ottobre 1911 (per. il 23).

Giunto a Washington il 30 settembre mattina, trovai il telegramma di V.E.

n. 3738 1 , col quale mi si ordinava di dare a questo Governo comunicazione della dichiarazione di guerra fatta dal Governo del re alla Sublime Porta.

2 T. 3965, pari data, non pubblicato.

3 Si intende evidentemente suo.

4 T. riservatissimo 5272/77 del 4 ottobre, non pubblicato, col quale Grimani riferiva che il kedivè gli aveva mostrato tutta la sua simpatia per l'azione italiana in Tripolitania. 5 Per il seguito della questione cfr. n. 341. 320 1 Cfr. n. 258.

Immediatamente mi sono recato al Dipartimento di Stato ed ho rimesso la dichiarazione in parola, nei termini precisi in cui era formulata nel telegramma di V.E., al signore Adee, secondo assistente segretario di Stato, che dirige interinalmente la politica estera degli Stati Uniti. Egli ha preso nota della mia comunicazione, assicurandomi, nello stesso tempo, che il Governo federale si sarebbe conformato alle norme generali del diritto internazionale ed alle disposizioni della Conferenza Internazionale dell' Aja e che avrebbe provveduto affinché la pubblicazione ufficiale di neutralità, da parte degli Stati Uniti, avvesse luogo possibilmente nel sucessivo lunedì.

Senonché, per ciò che riguarda questo secondo punto, il Dipartimento ha cambiato idea e, anziché procedere senz'altro a tale proclamazione, ha deciso di chieder telegraficamente, a mezzo delle varie ambasciate, quali fossero le intenzioni dei Gabinetti europei al riguardo, allo scopo di adottare un'analoga linea di condotta. Oggi poi il signor Adee -al quale domandai cosa fosse stato deciso -mi ha informato che la questione formava ancora oggetto di esame da parte delle autorità competenti ma che, dato il precedente di alcune grandi potenze, egli riteneva poco probabile che il Governo federale avrebbe giudicato necessario di procedere a tale proclamazione la quale, nel fondo, poteva considerarsi come una pura formalità, essendo i cittadini degli Stati Uniti obbligati, per legge, ai doveri della neutralità e chiamati responsabili della eventuale contravvenienza a siffatto obbligo 2 .

Nel successivo telegramma n. 37553 , giuntomi nel pomeriggio dello stesso giorno, V.E. esponeva le ragioni per le quali l'Italia si era indotta ad inviare l'ultimatum alla Sublime Porta ed a non tener conto della risposta pervenuta da Costantinopoli dopo l'espirazione del temine fissato, affinché, ove lo ritenessi necessario od opportuno, mi servissi di esse e degli altri argomenti esposti in precedenti telegrammi, nelle mie conversazioni.

Siccome avevo potuto notare che l'azione dell'Italia era stata, fin dal principio, interpretata sfavorevolmente dalla maggioranza di questi fogli e che l'ambasciatore di Turchia, in numerose interviste, aveva esposto i fatti da un punto di vista del tutto soggettivo, e tenendo pure conto della circostanza che qui, in generale, non si è disposti a giudicare benevolmente le cose del nostro paese, ho ritenuto conveniente di valermi della autorizzazione datami da V.E. e di intrattenere espressamente il Dipartimento di Stato dei numerosi motivi di reclamo contro la Turchia e delle ragioni che avevano indotto il R. Governo ad un passo decisivo.

Osservo, qui, che le relazioni col Dipartimento di Stato in questo momento sono piuttosto complicate per il fatto che il signor Adee -che, come dissi più sopra, regge il Dipartimento in assenza del signor Knox -sia per l'età avanzata, sia per la quasi completa sordità e sia specialmente per la provvisorietà del suo ufficio che lo

309. 3 Cfr. n. 263.

rende timoroso della responsabilità, chiede espressamente che gli venga confermata per iscritto qualunque comunicazione orale e, in ogni caso, si mostra nelle sue risposte di una estrema prudenza.

Allorché io gli feci la comunicazione di cui sopra, egli mi pregò -come di consueto -di fargli tenere un breve memorandum, dicendomi che in tal modo non avrebbe dimenticato le cose dettegli ed avrebbe potuto riferire esattamente e senza tema di errore al segretario di Stato. Non ho creduto potermi esimere da ciò affinché le mie dichiarazioni avessero l'effetto che mi proponevo, facendogli però esplicitamente notare -e di ciò mi assicurò per iscritto -che detta comunicazione aveva carattere e doveva essere considerata assolutamente come verbale.

Ho accennato ai commenti poco benevoli e talvolta ostili che la stampa degli Stati Uniti -salvo rare eccezioni -ha pubblicato fino dall'inizio del presente conflitto. È inutile ricercarne i motivi, che si fondano specialmente sulla ignoranza delle reali condizioni del nostro paese e della politica europea e sui pregiudizi che la nostra emigrazione negli Stati Uniti contribuirebbe a mantenere vivi ed a rinforzare. La pubblicazione, però, fatta dalla Associate Press delle lagnanze italiane verso il Governo ottomano, le conversazioni che ho avuto con diversi rappresentanti della stampa, alle quali non ho creduto dovermi rifiutare e le notizie dell'attitudine ferma dell'Italia, hanno sortito già un certo effetto sulla pubblica opinione, come si può rilevare dai giudizi meno severi portati sul nostro conto da una parte della stampa.

I numerosi giornali italiani, che vedono la luce in questo paese, sono invece concordi nell'approvare l'azione energica e dignitosa dell'Italia e tengono desto l'entusiasmo nelle nostre colonie, dalle quali ho ricevuto manifestazioni dei loro sentimenti patriottici in questo momento importantissimo della vita nazionale.

319 1 Cfr. n. 309.

320 2 La dichiarazione di neutralità fu decretata il 24 ottobre: cfr. FRUS, 1911, vol. LXXVI, pp. 308

321

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 119. Addis Abeba, 7 ottobre 1911 (per. il 7 novembre).

Ho l'onore di informare V.E. della avvenuta comunicazione da me fatta al Governo etiopico, in conformità degli ordini contenuti nel telegramma del l o ottobre di codesto R. Ministero 1 , della dichiarazione formale di stato di guerra presentata alla Sublime Porta dal Governo del re.

Il Governo etiopico ha preso atto di tale comunicazione.

La notizia della dichiarazione di guerra e della apertura delle ostilità fra l'Italia e la Turchia ha prodotto in questo Governo e nella stessa popolazione della capitale una grande impressione tanto più che l'attenzione ed una certa qual preoccupazione, specialmente da parte del Governo, era già desta e rivolta al conflitto franco germanico per il Marocco, le cui origini e le cui conseguenze, di predominio coloniale, appaiono per l'Abissinia analoghe a quelle che hanno provocato il nostro conflitto colla Turchia.

Ligg Jasu ed i principali membri del Governo e diversi capi etiopici mi hanno personalmente espresso l'augurio che l'Italia «cristiana» riesca vittoriosa nel cimento iniziato contro i «mussulmani» di Turchia; ma all'infuori di questa solidarietà basata su di un sentimento religioso e sulla avversione, più apparente od ostentata che reale, degli abissini per i mussulmani, ed eccezione fatta del sentimento personale di qualcheduno fra di essi, io non oso affermare che nell'attuale conflitto le simpatie generali ed istintive degli abissini siano veramente rivolte a noi e che gli auguri che mi furono espressi per una nostra vittoria siano proprio tutti sinceri; e questo non per uno speciale e superstite sentimento di inimicizia verso l'Italia e per una preferenza sentimentale verso la Turchia, ma per l'oscura minaccia che sempre presenta per l'Abissinia ogni nuova invadenza colonizzatrice europea in un continente ove essa sola rimane ormai, tra le nazioni indigene, libera ed indipendente.

In occasione di tutte le ultime guerre e spedizioni coloniali fatte dalle Potenze europee nelle diverse parti dell'Africa lo spirito abissino si è sempre dimostrato, ciò che non ha ancora fatto ora a nostro riguardo, più o meno apertamente ostile alle potenze suddette: tanto durante la conquista del Sudan che durante la campagna anglo-boera gli abissini non si sono certamente curati di nascondere i loro sentimenti favorevoli ai dervisc ed ai boeri, ed hanno seguito con attenzione, non priva di simpatia e di interesse per i marocchini, le recenti operazioni francesi nel Marocco, come non hanno nemmeno mancato di manifestare la loro simpatia per il Giappone, che nella loro ignoranza supponevano facesse parte del continente affricano, durante il conflitto russo-giapponese.

Ma qualunque siano i sentimenti intimi ed istintivi degli abissini a nostro riguardo per l'attuale conflitto colla Turchia, io posso assicurare V.E. che nessuna intenzione e nessuna velleità essi possono avere di profittarne e creare difficoltà o minacciare le nostre colonie confinanti; che anzi, l'impressione prodotta nel Governo e nel paese dalla dichiarazione di guerra presentata alla Sublime Porta e dalle notizie già pervenute della imminente occupazione della Tripolitania è tutta a nostro vantaggio, ed ha cominciato a sfatare la credenza e l'illusione che le nostre dolorose sconfitte e rinunce passate avevano fatto sorgere sulla nostra debolezza e remissività, ed il successo finale, che non potrà mancare alla nostra impresa, ristabilirà anche in questo paese il nostro prestigio e sarà garanzia di pace o di conquiste future.

Il Governo etiopico ha già dato intanto una prova delle sue intenzioni ragionevoli e leali ordinando immediatamente ai capi di confine nel Tigré, che in seguito alla mobilitazione delle truppe avvenuta nella Colonia Eritrea avevano anch'essi chiamato il chitet, di rimanersene tranquilli e di sciogliere il chitet essendo i preparativi militari della Colonia Eritrea rivolti contro la Turchia.

321 1 Si tratta in realtà del T. 3738 del 29 settembre (cfr. n. 258).

322

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1717/648. Il Cairo, 7 ottobre 1911 (per. il 19 ).

Nessun incidente degno di speciale rilievo si è dovuto lamentare, almeno finora, tra le nostre colonie e la popolazione indigena come conseguenza dello stato di guerra esistente fra l 'Italia e la Turchia. Ciò è dovuto al contegno prudente tenuto dagli italiani, ai quali tutte le rr. autorità e la stampa nostra in Egitto non tralasciano di dare consigli di calma e di moderazione. Contribuisce di certo al mantenimento della calma anche il fatto che la grande maggioranza della popolazione indigena non si lascia trainare dal linguaggio dei giornali arabi e non partecipa almeno effettivamente all'agitazione ch'esso ha creata in Egitto tra le classi indigene, apparentemente più colte.

L'atteggiamento decisamente ostile alla nostra azione contro l'Impero ottomano assunto dai periodici quotidiani scritti in lingua araba, compresi quelli che appartengono a cristiani della Siria, qui piuttosto numerosi, fu determinato dai telegrammi dell'Agenzia Reuter che riferirono come la nostra azione fosse stata giudicata severamente dalla stampa europa, specialmente da quella inglese, che l'avrebbe chiamata un atto di pirateria. Da allora non manca giorno in cui tutti i fogli indigeni non si scaglino con grande violenza contro l 'Italia. Temi favoriti sono l'eccitamento ad un risveglio di tutto l'Islam per impedire un nuovo parziale smembramento del Kalifato, cosa che suscita naturalmente il fanatismo dei musulmani, e la necessità di aiutare la Turchia, sia in modo effettivo, sia boicottando gli italiani, dato che l'Egitto fa parte integrante dell'Impero ottomano. Quest'ultimo argomento è tanto più notevole, in quanto sostenuto ora quotidianamente anche dalla stampa nazionalista che pure, fino adesso, ha sempre proclamato il principio che l'Egitto debba esser del tutto indipendente. Forse il nuovo ordine di idee è stato abilmente suggerito dai turchi che risiedono in Egitto, a cominciare dal commissario ottomano, ai quali non mancano probabilmente i mezzi per rendersi amici i giornali.

Gli inviti al boicottaggio, ripetuti di continuo, non hanno avuto finora grande effetto, ove se ne eccettui il Banco di Roma, dalle cui casse furono ritirate somme per importi assai rilevanti, ma che è in grado di sopportare la situazione presente. Per il rimanente non vi furono che chiacchere o manifestazioni isolate e prive di importanza.

Gli incitamenti a fornir aiuti materiali si ridussero ancor essi a poca cosa. Le raccolte di fondi per la flotta turca, i feriti, eccetera non avrebbero dati grandi risultati. Qualche sottoscrizione iniziata per favorire un'azione diretta in Cirenaica e Tripolitania non è destinata, da quanto mi consta, a render possibili dei progetti alla cui esecuzione il Governo locale ha dimostrato in più modi di volersi opporre. Esso infatti ha agito senza indugio sulle tribù del confine occidentale che si diceva fossero propense al far causa comune coi correligionari d'oltre confine, ma ne avrebbe avuto ampie assicurazioni che nulla verrebbe fatto per favorire il mantenimento della dominazione turca nell'ultima provincia africana dell'Impero. Lord Kitchener avrebbe anzi severamente ammonito uno dei loro capi dicendogli che se i beduini avevano voglia di guerreggiare il Governo egiziano avrebbe stabilito senz'altro tra di loro il reclutamento obbligatorio. D'altra parte le autorità competenti avrebbero avuto l'ordine di disarmare quelli che si trovassero in possesso di armi.

Se, oltre a questo, il Governo egiziano ha anche cercato di dar a sua volta ordini e consigli per il mantenimento dell'ordine nel modo più assoluto, non può dirsi veramente che esso abbia agito molto energicamente per tranquillizzare la stampa. Ciò dipende probabilmente dal fatto che il Ministero di Said pascià non si sente molto solido e non vuol perdere quel po' di popolarità che può rimanergli e fors'anca che il nuovo rappresentante britannico non ha sulla libertà della stampa le idee restrittive del suo predecessore. Fatto è che niente fu fatto per moderare il linguaggio violentissimo dei giornali, salva la soppressione del giornale Misr-elFattat, dovuta per attacchi al Ministero egiziano circa la sua condotta giudicata troppo favorevole all'Italia. Come ho avvertito col telegramma n. 83 in data d'ieri1 , ciò non può considerarsi come una aperta soddisfazione a noi, ma mi consta che la decisione fu presa anche nell'intento di produrre qualche effetto a noi favorevole.

E nel momento presente bisogna accontentarsi. Negli attacchi dei giornali non vi è stato nulla che avesse potuto determinare da parte di questa r. agenzia un reclamo speciale; mi sono perciò limitato a segnalare in via generale le intemperanze di linguaggio dei giornali ed il pericolo cui si esponeva questo Governo nel non porre alcun freno ad eccitamenti che potevano avere gravi conseguenze in un paese dove vivono migliaia di italiani e che vuol mantenersi, nel conflitto, interamente neutrale. Ho conferito in proposito con l'agenzia britannica e col ministro degli affari esteri e panni di più non possa farsi. Preme infatti, ora, di non far sorgere conflitti tra il Governo locale ed il rappresentante inglese, mentre ritengo potrebbero sorgere assai facilmente in una questione in cui, per i personali legami di alcuni ministri con la stampa e coi partiti a tendenza panislamica o nazionalista, non sarebbe probabile di ottenere per parte del Gabinetto un'azione abbastanza energica. Dob

343 biamo accontentarci ch'esso sia disposto a mantener l'ordine ad ogni costo ed a non favorire gli invii di aiuto oltre confine.

322 1 T. 5369/83, non pubblicato.

323

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. 1106. Sofia, 7 ottobre 1911.

Mi permetta innanzi tutto di mandarle dal profondo del cuore le mie congratulazioni per la grande opera che ella sta compiendo. Ne attendiamo tutti con ansia tranquilla il compimento, e siamo ormai tutti certi che ella iscriverà il suo nome in una pagina gloriosa della storia della nostra amata Italia.

Alla prima notizia, vagamente qui presentita ma in sostanza inattesa, del passo dell'Italia, l'idea elementare della guerra al turco ha invaso d'entusiasmo tutti gli animi bulgari. Ho avuto in quei primi giorni manifestazioni molteplici di simpatia, offerte di arruolamenti volontari eccetera, e quando ricevetti dal ministero l'ordine di inviare in Turchia degli informatori (il che feci del mio meglio), i due prescelti per tale missione mi dichiararono che servendo l'Italia essi credevano di servire il loro proprio Paese. Più tardi la doccia fredda delle due circolari del R. Governo, da me non comunicate al Governo bulgaro perché (come le telegrafai)' non ne riscontrai il bisogno, ma pubblicate dall' Agence télégraphique bulgare, calmò gli entusiasmi! Ed ora con quella lentezza tutta propria della elaborazione mentale bulgara, va prendendo insistenza l'idea che l'Italia abbia messo in opera una perfida politica e che, soddisfatte le sue brame, più non si curerà della Bulgaria e dei bulgari della Macedonia; anzi si legherà maggiormente al turco e diverrà stromento di repressione e di servaggio.

Conviene naturalmente ora lasciare al tempo ed agli avvenimenti la cura di calmare simili risentimenti. Più tardi, secondo la politica che il R. Governo vorrà seguire, si potrà riprendere a parlare qui di qualche cosa. E se il R. Governo intende giocare una parte qui, conviene, a mio credere, non perder tempo: perché per quanto possa esser dato di prevedere il futuro, l'anno venturo sarà apportatore di avvenimenti nei Balcani. In ogni caso mi sembra di poter dire di sicuro che non passeranno molti mesi prima che nuovi torbidi si producano in Albania, e più specialmente nell'Albania del sud. Se il R. Governo si decide a parlar sul serio alla Bulgaria circa gli avvenimenti di un futuro che ormai non può più essere molto lontano, i discorsi che mi fece tempo fa il Daneff e la mia discretissima apertura a lui all'inizio della nostra azione tripolina, potranno a suo tempo servire di addentellato. Ma

344 converrebbe concretar bene le nostre idee; perché la scarsezza e la pigrizia delle idee politiche bulgare rendono necessario, quando si parla con loro, di esser preparati a suggerir loro le proprie.

Avrei scrupolo di trattenerla più a lungo in questi gravi momenti. Se tutto qui (come ne sono quasi sicuro) resta calmo verrò volentieri a Roma nel novembre e sarò a sua piena disposizione ove ella sia disposto a parlare con me.

Sono con lei col pensiero ed augurandole un compimento degno dell'inizio, ...

323 1 T. 5309/68 del 5 ottobre, non pubblicato.

324

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3997. Roma, 8 ottobre 1911, ore 17.

Telegramma di V.E. n. 4861 . V.E. può, se lo crede opportuno, esprimersi con Aehrenthal press'a poco nei sensi seguenti: non solamente noi abbiamo direttamente dato e ripetuto consigli di pace al Montenegro, ma, conoscendo i mezzi efficaci di cui vi dispone la Russia, Melegari per mia istruzione suggerì come sua idea personale a Neratoff di valersi di tali mezzi per influire in senso pacifico su re Nicola. Melegari mi ha assicurato che questo avvenne: e, a quanto mi ha comunicato questa ambasciata di Russia, (mio telegramma n....)2 , le dichiarazioni più rassicuranti furono date dal Governo montenegrino anche al rappresentante russo a Cettigne.

Ho sempre riconosciuto al pari di Aehrenthal che le operazioni militari nell'Adriatico e Ionio possono produrre ripercussioni, e che è perciò desiderabile evitarle il più possibile; ma sono pure convinto che la lunga durata della guerra sarebbe un pericolo ancor maggiore, e che una soluzione non radicale e definitiva della questione di Tripoli, oltre che non sarebbe tollerata dall'unanime volere della Nazione italiana, procurerebbe alla pace europea gravi pericoli a breve scadenza, per la forza stessa delle cose superiore alla volontà degli uomini.

La conseguenza di questo ragionamento irrefutabile è che nuoce agli interessi della pace europea tutto ciò che limita l'azione bellica italiana, e che produce nella Turchia l'impressione che noi possiamo farle poco male. A questo principio si può probabilmente derogare per l'Adriatico ed il Ionio, e forse anche per il Mar Rosso, e stiamo appunto esaminando se si può trovare il modo di conciliare il nostro duplice scopo, di evitare ripercussioni e complicazioni salvaguardando la pace generale e gli interessi delle Potenze alleate ed amiche, e di metterei in grado al tempo stesso di costringere la Turchia a ceder presto.

Cfr. n. 316.

Convengo pienamente con Aehrenthal nella necessità che lo sbarco delle nostre truppe in Tripolitania avvenga al più presto possibile, e credo che ciò avverrà appena lo permetterà lo stato del mare. Inoltre è chiaro che non si può far partire un grosso corpo di spedizione su circa cinquanta piroscafi, se non si è sicuri che non sarà attaccato dalle torpediniere nemiche, le quali sono buonissime, velocissime e comandate da uomini valorosi, anzi temerari.

324 1 Cfr. n. 317.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. SEGRETO 4003. Roma, 8 ottobre 1911, ore 21.

Il R. Governo ha per iscopo di risolvere presto e radicalmente la questione di Tripoli in conformità degli interessi dell'Italia, in modo che la detta questione non costituisca per l'avvenire un pericolo di ulteriori conflitti italo-turchi e di complicazioni internazionali: ha anche per iscopo di evitare qualsiasi ripercussione nella penisola balcanica ed altrove, e di tener conto degli interessi delle Potenze alleate ed amiche, che del resto coincidono con quelli dell'Italia. Il R. Governo ha perciò bisogno di riservarsi tutta quella libertà d'azione militare che esso potrà stimare necessario per porre fine alla resistenza della Turchia e per abbreviare la guerra. Tutte queste considerazioni si potrebbero conciliare colle seguenti proposte: verrebbe neutralizzata per la durata della guerra la parte dell'Adriatico e del Mar Ionio che trovasi a levante del meridiano di Antivari dal parallelo 38° al 42°, cioè dal predetto meridiano fino alla costa occidentale di Albania, Epiro e Grecia; in tutta questa zona non si farebbe da entrambi i belligeranti alcuna operazione militare; si riprenderebbe la navigazione mercantile, e si riaccenderebbero i fari; siccome l'Italia rinunzierebbe in tal guisa al grande vantaggio militare di distruggere i trasporti, le cannoniere e le torpediniere turche dove il mare è più stretto e più facile perciò di cogliere quelle navi, così in corrispettivo la Turchia si deve obbligare a non far uscire dalla predetta zona, né navi da guerra, né, per via di mare, truppe, armi e munizioni di alcun genere.

Ci riserviamo di esaminare se un accordo analogo sia possibile per il Mar Rosso; ma in tutto il resto del mare o del territorio nemico ci riserviamo piena ed intera libertà di azione.

Non abbiamo certo alcun desiderio di servirei largamente di tale libertà; ma ripeto che dobbiamo riservarcela senza limitazione, perché può presentarsi la necessità non desiderata di usarne, della quale l'Italia deve essere la sola giudice; e perché la probabilità che tale necessità si presenti sarà diminuita e non certo accresciuta dal far sapere alla Turchia che la nostra libertà d'azione bellica rimane, all'infuori della zona predetta, piena ed intera.

Pel Mar Rosso mi riservo di procedere ad uno scambio di idee con l'Inghilterra che vi è maggiormente interessata. Per la proposta relativa alla neutralizzazione parziale dell'Adriatico e del Ionio, confido che i nostri alleati, se approvano tale idea, troveranno per farla prevalere il modo più confacente agli interessi ed all'amor proprio dell'Italia che, formulandola, sacrifica in parte i suoi interessi militari al desiderio di stringere sempre più i legami d'amicizia e d'intimità colle due Potenze alleate1•

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. SEGRETO 4005. Roma, 8 ottobre 1911, ore 22,45.

Sarebbe per gravi ragioni nostro interesse militare e politico distruggere subito la flottiglia turca del Mar Rosso e tutte le navi turche da trasporto in quel mare, non soltanto per demoralizzare la Turchia ed indurla a cedere più presto; ma anche perché è effettivo e reale il pericolo che essa, pacificato ormai lo Yemen, ne tragga truppe, armi e munizioni che per il canale di Suez o per la ferrovia dell 'Heggiaz potrebbero venire nel Mediterraneo, e sbarcare poi in vari punti della costa di Tripolitania e Cirenaica, che, malgrado la nostra superiorità navale, è difficile sorvegliare sempre e per intero, e senza immobilizzare buona parte della nostra forza navale che ci preme avere disponibile per intimidire o danneggiare la Turchia, e così porre più presto fine alla guerra.

Non ostante la gravità di queste considerazioni, siamo disposti, per dare prova della nostra amicizia verso l'Inghilterra, a sacrificare in parte i nostri interessi militari; ma tale sacrificio non può essere fatto che in quanto non nuoccia al fine, che l'Inghilterra ha comune con noi, di abbreviare la guerra. E tutto quello che intimidisce la Turchia giova a questo fine.

Noi dunque potremmo, se ciò riesce gradito all'Inghilterra, consentire alla neutralizzazione del Mar Rosso alle seguenti condizioni: non si farebbe in quel mare alcuna operazione di guerra né da parte nostra, né da parte turca, e si riaccenderebbero i fari. La Turchia però dovrebbe obbligarsi, e questa è condizione sine qua non, a non eseguire alcun trasporto di truppe, armi e munizioni in quel mare, in alcuna direzione, affinché non possano venire nel Mediterraneo, né per il Canale di Suez, né per la ferrovia dell'Hegiaz, né per altra via, e a non fare uscire da quel mare verso nord alcuna nave da guerra e alcun trasporto militare anche vuoto.

Se l'Inghilterra crede utile ai suoi interessi tale proposta, confido che codesto Governo troverà, per farla prevalere presso la Turchia, un modo conforme agli interessi ed all'amor proprio d eli 'Italia.

Mi riservo di esaminare insieme coi nostri alleati se una soluzione analoga sia possibile per una parte dell'Adriatico e del Mar Jonio. Per tutto il resto del mare e del territorio ottomano, ci riserviamo piena ed intera libertà di azione, non già perché manchi a noi il desiderio di evitare tale necessità, di cui l'Italia resta sola giudice, ma perché essa può esserci imposta dai nostri interessi e dall'interesse generale dell'Europa ad affrettare la fine della guerra, e perché il mezzo più efficace per evitare che essa si presenti è il far ben capire alla Turchia che, se si presenterà, nulla limita la nostra libertà d'azione all'infuori della zona predetta.

Per sempre meglio mostrare all'Inghilterra il valore di questa prova d'amicizia che intendiamo darle con questa proposta, V.E. potrà valersi anche del fatto che i turchi hanno affisso a Scutari un manifesto, nel quale dicono che l'Italia, «se sta dominando il Mediterraneo, viene invece sconfitta ignominiosamente nel Mar Rosso». Il manifesto è stato firmato dalle notabilità ed autorità turche, ed affisse in tutta l'Albania e I'Epiro. Ben inteso, se la Turchia respinge la neutralizzazione del Mar Rosso, ci riserviamo piena libertà d'azione offensiva. La nostra proposta suppone che l'Inghilterra abbia consentito a non rompere i nostri rapporti col Governo egiziano e a togliere subito alla Turchia ogni illusione sul contingente egiziano e sul passaggio delle sue truppe per l 'Egitto, le quali cose, del resto, non sono che una conseguenza logica ed inevitabile della dichiarazione fattale da Grey di considerare l'Egitto e Cipro come neutrali suo telegramma n .... 1

V.E. potrà fare i passi cui si riferisce il presente telegramma se li crede opportuni: se poi non li crede opportuni, pregola telegrafarmi le sue ragioni2 .

325 1 Per la risposta da Vienna cfr. n. 336. Pansa rispose con T. Gab. 5566/226 del IO ottobre, non pubblicato, riferendo un colloquio con Zimmermann su eventuali trattative di pace con la Turchia.

327

L'AMBASCIATORE A TOKIO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 448/190. Tokio, 8 ottobre 1911, (per. il 27).

Faccio seguito al mio rapporto del 2 corrente n. 444/188 1 per quella parte che concerne le opinioni qui prevalenti rispetto alla questione tripolina.

2 Per la risposta cfr. n. 344.

L'opinione pubblica in questo paese è rappresentata da una cerchia molto ristretta di persone. Pochi professori, qualche dozzina di giornalisti e gli uomini d'affari.

Per spiegarsi la corrente poco favorevole all'Italia che prevale nell'attuale conflitto italo-turco, le grandi scioccherie che si dicono e stampano al proposito, bisogna tener conto di tre condizioni di fatto.

Anzitutto in questo momento il Giappone desidera la pace per trovare sui mercati europei il denaro di cui ha urgente bisogno e per far prosperare i suoi commerci e le sue industrie. Quindi chi è cagione di guerra nuoce implicitamente al Giappone. Gli nuoce tanto più se nella guerra è implicata una Nazione acquirente di seta come l'Italia che importa per più di trenta milioni di lire di detta seta. Infatti la notizia della dichiarazione di guerra ebbe per effetto immediato un considerevole ribasso nei prezzi delle sete. Questo spiega il malcontento degli uomini d'affari, rappresentati nella stampa dal Jiji Shimpo il quale, dicesi, fosse fin qui l'organo, giova osservarlo, anche del conte Hayashi, attuale ministro dei lavori pubblici e reggente temporaneamente il Ministero degli affari esteri.

In secondo luogo è da tener conto che in fatto di politica mondiale il Giappone subisce l'influenza inglese. Ora, gli inglesi qui dimoranti ed i giornali che ne rappresentano il pensiero si mostrano in questa occasione apertamente contrari a noi. Essi trovano che l'Inghilterra non può tollerare nulla di ciò che non le tomi a diretto profitto, che gli italiani a Tripoli sono vicini meno maneggevoli dei turchi e che l'impresa italiana è una manifestazione pericolosa di coesione di forza della Triplice Alleanza. I più vecchi poi fra i residenti inglesi non possono dimenticare i tempi in cui non signoreggiava ancora sul Bosforo l'influenza tedesca e l'Inghilterra si atteggiava a solo e potente palladio del dominio ottomano.

Una terza causa poi forvia inconsciamente l'opinione pubblica, ed è la profonda ignoranza in fatto di storia e di geografia per tutto ciò che oltrepassa la parte estremo-orientale dell'Asia e le coste del Pacifico. Se dovessi di questa ignoranza citare esempi dovrei dir cose che parrebbero incredibili. Ogni giorno infatti accorrono giornalisti dal nostro interprete per sapere dove è l'Africa, Tripoli, la Turchia, l'Albania e l'Abissinia. Si crede che l 'Italia confini con la Turchia e con la Grecia, si parla di una probabile rivincita della Turchia, che dall'Arabia muoverebbe alla conquista dell'Eritrea. Si dice che la guerra sarà breve perché, stante la gran distanza fra Costantinopoli e Roma, sarà difficile all'uno od all'altro dei contendenti di impadronirsi della capitale nemica. Un professore chiese ad un nostro insegnante come l'Italia fosse così decaduta da non essere più padrona del mondo come lo era altre volte, eccetera.

Pertanto le notizie spropositate che la stampa bottegaia americana trasmette da

S. Francisco trovano nel Giappone un eccellente terreno di coltura. In complesso però, meno l'aura a noi sfavorevole che spira in una limitata

cerchia di persone delle classi dirigenti, della guerra si parla pacatamente e la gran massa del paese rimane completamente o apatica od ignara.

Il giapponese, a differenza dell'italiano, non si entusiasma mai per le cose che non lo interessano direttamente.

326 1 T. 5150/341 del 2 ottobre non pubblicato.

327 1 Non pubblicato.

328

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5463/491. Vienna, 9 ottobre 1911, ore 0,15 (per. ore 3,10).

Mio telegramma 490 1 .

Aehrenthal ha risposto testé mia lettera di stamane informandomi che, in seguito alle notizie pervenutegli dall'Albania, aveva d'urgenza impartite istruzioni ai consoli imperiali e reali in quella regione invitandoli ad occuparsi degli interessi sudditi italiani.

Aehrenthal rileva quindi che si è realizzato quanto aveva previsto, cioè che gli incidenti di Prevesa e Medua hanno cagionato una grande eccitazione tra gli indigeni e resa critica situazione degli italiani.

In presenza di questa situazione, egli non crede quindi dover tardare a dare una risposta affermativa alle domande del R. Governo ed ha impartito in conseguenza gli ordini necessari ai consoli austro-ungarici in Albania.

Aehrenthal aggiunge che non può nascondere impressione poco soddisfacente prodotta su di lui dall'indugio frapposto dal R. Governo a rispondere alla domanda rivoltaci. Al momento in cui il Governo imperiale e reale rende un servizio notevole all'Italia ed assume una grave responsabilità, esso credeva potersi aspettare una risposta netta alla propria domanda di essere assicurato sulle intenzioni del Governo del re in orcl'ne ad operazioni militari, le quali, se fossero state riprese, comprometterebbero la sicurezza degli italiani in Albania e potrebbero dar luogo anche ad altre conseguenze sene.

Quest'ultima affermazione di Aehrenthal non può non sorprendermi, tanto più che, come V.E. avrà constatato dal mio telegramma n. 4832 , io ebbi cura di fargli ieri bene rilevare di nuovo avere il R. Governo ripetuti gli ordini in modo da escludere qualsiasi pericolo d'ulteriori operazioni sulle coste ottomane dell'Adriatico e Jonio. E mi riservo domani ripetere ad Aehrenthal tali assicurazioni comunicandogli in pari tempo il contenuto del telegramma di V.E. n. 3969 pervenutomi stamane3 .

2 T. 5400/483 del 7 ottobre, non pubblicato.

3 Cfr. n. 315.

328 1 T. 5450/490 dell'8 ottobre, non pubblicato.

329

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5508/145. Pietroburgo, 9 ottobre 1911, ore 12 (per. ore 21,30).

Neratoff mi disse risultargli in modo positivo dalle informazioni giuntegli da Tcharykoff della decisione del Governo ottomano di aprire trattative di pace con Italia sulla base, a quanto mi lasciò comprendere, della cessione della Tripolitania, ma mantenendo alta sovranità sultano. Ne trassi occasione per esporre a Neratoff, come opinione personale ed in base alle considerazioni svolte da V.E. nel suo telegramma ad Imperiali 1 , la necessità di una radicale e definitiva sistemazione della questione di Tripoli senza vano ed effimero simulacro dall'alta sovranità ottomana. Aggiunsi che opinione pubblica italiana si dimostrerebbe assolutamente ostile ad una tale soluzione. Neratoff, pur ammettendo fondamento mie ragioni, mi disse temere che Governo ottomano rinunzierebbe difficilmente a questa condizione. Come già telegrafai a V.E.2 stampa russa si è mostrata non solo contraria mantenimento sovranità ottomana, ma anche contraria al pagamento di una indennità alla Turchia.

330

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5510/550. Parigi, [9] ottobre 1911, ore 16,55 (per. ore 22,25).

Marocco. De Selves e Schon mi hanno detto che l'accordo pel Marocco, salvo il compenso territoriale, può dirsi concluso ed è probabile che la conclusione possa essere annunziata dopo il Consiglio dei ministri. Rimarrà poi la questione del compenso territoriale che si presenta tutt'altro che facile perché l'opinione pubblica francese comincia a manifestarsi apertamente contraria anche alla cessione di quella parte del Congo, pel quale il Governo francese colla proposta già fatta alla Germania si è impegnato in modo irrevocabile 1 .

2 T. 5362/143 del 6 ottobre, non pubblicato.

329 1 T. 4001 dell'8 ottobre, trasmesso a Pietroburgo con T. 4002, pari data, non pubblicati.

330 1 Per il seguito cfr. n. 414.

331

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 5504/551. Parigi, 9 ottobre 1911, ore 16,55 (per. ore 22,25).

Già Inghilterra, Germania e Francia hanno in vari modi mostrato di voler al momento opportuno proporre la propria mediazione nel conflitto italo-turco. Ora è la volta della Russia. lzvolsky, dopo di avermi riferito la conversazione tra Said e Tcharykoff di cui tratta il mio telegramma n. 548', mi ha aggiunto che Said avrebbe detto di gradire molto che l'iniziativa di una mediazione fosse presa dalla Russia. Ho risposto che mi pareva prematuro parlare di mediazione mentre ancora non si sapeva se la Turchia avrebbe riconosciuto l'occupazione italiana. Izvolsky mi ha risposto che tale certamente avrebbe dovuto essere base della mediazione e che l'idea di Said del mantenimento di guarnigione turca in Tripolitania avrebbe potuto essere eliminata durante il negoziato. Izvolsky ha insistito perché io informassi di ciò V.E. Prego dirmi se e come dovrò rispondere2 .

332

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. SEGRETO 4035. Roma, 9 ottobre 1911, ore 18, 15.

Questo ambasciatore di Germania mi ha oggi comunicato un nuovo passo della Sublime Porta la quale «obbedendo al sincero desiderio del mantenimento della pace c considerando la benevola raccomandazione delle Grandi Potenze, è disposta ad offrire una nuova base che permetterebbe l'apertura di negoziati, credendo giunto il momento di una mediazione efficace. La base consiste nel discutere d'accordo gli interessi d eli 'Italia, e di impegnarsi a riconoscerli con una convenzione, in quanto che le domande italiane siano giudicate rispondenti alla situazione, e sotto riserva espressa del mantenimento di diritti di sovranità della Turchia. I particolari di questa base dovranno naturalmente essere discussi e fissati nel corso delle trattative».

Ho risposto a Jagow che questa proposta non era evidentemente che un sotterfugio della Turchia, e che non poteva essere presa sul serio.

331 1 T. 5483/548, pari data, non pubblicato (mantenimento di guarnigioni turche in Tripolitania).2 Per la risposta cfr. n. 339.

Jagow mi ha pure parlato di un possibile armistizio dopo l'occupazione della Tripolitania. Ho risposto che è questione da esaminarsi a suo tempo; ma che credo che l'armistizio sarebbe a tutto vantaggio della Turchia 1 .

Quanto precede, per informazione personale di VE. (per Berlino soltanto) e per norma eventuale di linguaggio con codesto ministro degli affari esteri.

333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 4032. Roma, 9 ottobre 1911, ore 19.

Navi prima squadra entrati rada Tobruk. Intimata resa che fu rifiutata. Dopo breve bombardamento sbarcate alcune compagnie marinai che dopo breve resistenza s'impadronirono del forte e issarono la bandiera nazionale, facendo prigionieri alcuni soldati turchi.

Le forze turche a Tripoli si sono ritirate verso l'interno.

334

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1947/312. Bucarest, 9 ottobre 1911 (per. il 19 ).

La stampa rumena, che da principio aveva accolto con indifferenza la dichiarazione di guerra italo-turca e l'azione militare italiana in Tripolitania, è andata assumendo un contegno sempre più ostile verso di noi, via via che si è accentuata la resistenza da parte delle sfere dirigenti turche e che son giunte qui -esagerate dalle agenzie austriache ed ottomane-le notizie di operazioni navali nell'Adriatico. Alla Rumania poco importa quel che avviene in Tripolitania, mentre interessa moltissimo di non veder turbato lo statu-quo nei Balcani. Ora i telegrammi da Vienna e da Costantinopoli, che parlano di bombardamenti e sbarchi in Albania, di mobilitazione di centinaia di migliaia di soldati turchi, di armamenti in Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia non possono non suscitare le apprensioni rumene.

D'altro lato la stampa subisce qui -più che altrove -specialmente per snobismo -l'influenza dei maggiori giornali francesi, inglesi e tedeschi e ne ha,

353 quindi, seguito l'indirizzo nel giudicare il nostro contegno verso la Turchia, tanto più che la remissività e la prudenza da noi per tanto tempo dimostrate non avevano lasciato supporre in questo paese la gravità degli incidenti e la sistematica ostilità che noi avevamo dovuto subire in Tripolitania e Cirenaica. A tutto ciò occorre aggiungere che forse la stampa rumena ha inteso trarre partito dalle presenti contingenze per farsi un merito presso la Turchia, in vista delle proprie aspirazioni nazionali, del contegno che essa tiene attualmente.

Un linguaggio più di quello degli altri giornali prudente e verso di noi riguardoso è, però, quello dell'ufficiosa Epoca. In quanto alle sfere governative, nessuna manifestazione si è verificata che sia meritevole d'esser segnalata. Mi limito solamente ad accennare che finora non è stata pubblicata nessuna dichiarazione di neutralità. Non ho avuto modo di parlare finora di questa omissione col ministro rumeno degli affari esteri perché egli è assente da Bucarest per le feste di lassi, ma mi riserbo di farlo alla prima favorevole occasione.

332 1 Su questo colloquio si vedano anche GP, vol. XXX/l, nn. l 0875, l 0876 e l 0882.

335

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1766/170. Budapest, 9 ottobre 1911 (per. il 13).

Non ho mancato di portare tutta la mia attenzione nelle manifestazioni di questa opinione pubblica. Debbo però constatare -stando anche a quanto mi assicura l'interprete da me incaricato di leggere i giornali in lingua ungherese -che dopo quello scoppio di malumore e di diffidenza prodotto nella Monarchia dalle notizie delle operazioni nelle acque di Prevesa e dopo i comunicati pubblicati dai giornali officiosi sull'assicurazione ripetuta dal Governo del re circa la sua azione nell'Adriatico, i giornali hanno qui cessato dal seguire con interesse il nostro operato sulle coste tripolitane. Pubblicano larga messe di notizie alla rinfusa, senza darsi la pena di sortire le vere dalle false, ma senza commenti.

Ieri soltanto il Pester Lloyd cogliendo occasione dall'anniversario dell'annessione della Bosnia-Erzegovina, ha tenuto a mettere in evidenza, con un articolo che qui entro invio!, la differenza tra quella annessione e l'odierna azione italiana in Tripoli -manifestando una certa meraviglia per il fatto che pur trattandosi nel primo caso di una conseguenza logica e naturale di premesse fondate in un solenne atto internazionale la diplomazia europea si agitò ben più gravemente allora che non oggi dinanzi all'agire dell'Italia. Dopo questo preambolo l'articolo considera la

difficoltà per la r. armata della effettiva occupazione di Tripoli, e il duplice compito spettante alle altre Nazioni di dare cioè alla Turchia consigli di remissività e di cercare d'isolare l'incendio ormai scoppiato. Ciò sembra che siasi oramai conseguito non avendosi nessun motivo di dubitare delle ripetute assicurazioni del R. Governo. Nonostante però che non manchino a Costantinopoli persone le quali vedono la necessità per la Turchia di sottomettersi all'inevitabile pure non recherà meraviglia che quei consigli siano rimasti finora inascoltati. Non bisogna infatti dimenticare, scrive il giornale, che oggi si ha dinanzi un'altra Turchia. Ma non è più quella di tre anni or sono. Anche là per merito o per colpa del nuovo regime si è trapiantato una specie di chauvinisme senza che venisse meno il vecchio fanatismo religioso. In questi giorni tristi per l'Impero ottomano nulla sarebbe più pericoloso che il cadere il Governo della cosa pubblica nelle mani di un uomo troppo unilaterale -di un Ministero come dicono che sia l'attuale esclusivamente anglofilo. Occorre che le Potenze da parte loro siano concordi nei loro consigli allo scopo di rispettare le suscettibilità turche e nello stesso tempo di evitare che si venga a serii scontri armati.

335 1 Non si pubblica.

336

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5512/499. Vienna, l0 ottobre 1911, ore 0,15 (per. ore 4,40).

Telegramma di V.E. segreto n. 4003 1•

Ho comunicato a Aehrenthal quanto V.E, mi fa conoscere circa la proposta relativa alla neutralizzazione parziale dell'Adriatico e del mar Ionio nonché circa la piena libertà d'azione che R. Governo si riservava per tutto il resto del mare e del territorio nemico. Aehrenthal mi ha detto che non aveva obbiezioni contre tale proposta e riserva, che avrebbe esaminato e attentamente prima di darvi seguito nell'interesse dell'Italia e della pace generale e mi ha pregato, per fare tale esame, di chiedere a V.E. autorizzazione di rimettergli una notizia scritta in proposito. Però, ha aggiunto che se Turchia non avesse creduto di entrare in tale ordine idee, egli doveva ricordare le dichiarazioni già fatte da V.E. ad Ambr6zy e da me ripetutegli di limitare le nostre operazioni militari nell'Adriatico e nell' Jo n io allo stretto necessario e di non procedere né a bombardamenti né a sbarchi. Ho osservato ad Aehrenthal che, nonostante tale dichiarazione, un impegno formale nel senso suddetto non avrebbe potuto essere da noi preso ove questo non fosse stato assunto ad un

tempo dalla Turchia, giacché esso non poteva che essere bilaterale ciò che sarebbe stato contrario al nostro amor proprio ed ai nostri interessi. E gli ho ripetuto quanto gli avevo detto in precedenti colloqui che non sarebbe stato giusto di limitare la nostra libertà d'azione nei mari suddetti senza limitare contemporaneamente quella dell'altro belligerante. Tale limitazione se fosse stata da noi accettata, ci avrebbe messo in stato di inferiorità di fronte Turchia ed impedito di prendere i provvedimenti richiesti dalla nostra difesa. Nel replicare che non gli sembrava fosse il caso di parlare della nostra inferiorità verso Turchia essendo noto che nostra flotta Adriatico era di una superiorità schiacciante di fronte a poche navi turche che vi si trovano, mi ha detto che non poteva attenersi a tale proposito che alle dichiarazioni e che gli aveva fatte. Nonostante la mia insistenza per dimostrargli l'impossibilità per noi di assumere un impegno unilaterale al riguardo, Aehrenthal ha aggiunto che, qualora incidenti simili a quello trascorso fossero avvenuti nelle acque dei mari suddetti in contraddizione alle nostre dichiarazioni, egli avrebbe dovuto mettete in atto quanto mi aveva detto e che riferii a V.E. col mio telegramma n. 4662 e ciò avrebbe potuto avere la seria conseguenza a cui mi aveva già accennato. Prego V.E. volermi telegrafare se io sia autorizzato a rimettere ad Aehrenthal una notizia riassumente le proposte contenute nel telegramma suddetto3 .

336 1 Cfr. n. 325.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. SEGRETO 4069. Roma, 10 ottobre 1911, ore 17.

Dopo aver ricevuto suo secondo telegramma portante pure il n. 499 1 , faccio seguito e completo il mio telegramma n. 40662 . L'assicurazione da darsi ad Aehrenthal concerne tanto la non effettuazione di bombardamenti e sbarchi sulle coste ottomane bagnate dall'Adriatico e dal Jonio, quanto la limitazione delle nostre operazioni militari in quei mari allo stretto necessario. Ad altre limitazioni non possiamo consentire, pur non avendo il desiderio di servirei della libertà di azione che ci riserviamo3 .

Con T. 4066, pari data, di San Giuliano rispose: <<Y.E. può comunicare ad Aehrenthal la notizia scritta conforme al mio telegramma numero 4003 e in ogni modo rassicurarla pienamente circa bombardamenti e sbarchi contro coste ottomane Adriatico e Jonio». Precisò meglio la risposta col T. 4069 (cfr. n. 337).

2 Cfr. n. 336, nota 3.

3 Al riguardo si veda anche OeUA, vol. III, n. 2740.

336 2 Cfr. n. 303.

337 1 Cfr. n. 336.

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. SEGRETO 4074. Roma, 10 ottobre 1911, ore 20.

Qualora V.E. abbia occasione di conversare delle probabilità e delle condizioni della pace, io la prego di voler dire che finora il Governo non le ha fatto conoscere i suoi intendimenti. Ed effettivamente le decisioni del Governo dipendono ancora da tanti coefficienti che sarebbe prematuro il prenderle ora in modo definitivo. Sarebbe però utile che V.E. cominciasse, direttamente ed indirettamente, a far bene comprendere a codesto Governo, alla stampa ed all'opinione pubblica, con propaganda assidua e non appariscente, i pericoli ed i danni di una soluzione diversa dall'estensione pura e semplice della completa sovranità italiana sulla Tripolitania e Cirenaica. È interesse evidente dell'Italia, dell'Europa e della Turchia stessa che la questione di Tripoli venga definitivamente risoluta e non sia più in avvenire causa di conflitti italo-turchi, e perciò di complicazioni internazionali. Chiunque conosce la mentalità dei turchi e la loro abilità nel tergiversare può quindi facilmente comprendere che anche una sovranità puramente nominale può essere cagione di continui attriti, e può, il giorno in cui ce ne vorremmo sbarazzare, riprodurre il conflitto odierno, come ve ne furono i pericoli ed i danni, quando fu compiuta nel 1908 l'annessione della Bosnia ed Erzegovina. Quali complicazioni internazionali possono derivare da una sovranità nominale turca, e, in generale, dalle situazioni non bene definite, è dimostrato appunto, oltre che dalla predetta crisi del 1908, dalla interminabile questione di Creta, e dalle difficoltà che furono sempre create alla Inghilterra, e che ancora le crea nella guerra attuale, il fatto che l 'Egitto faccia parte teoricamente dell'Impero ottomano.

Nessun paragone è possibile coll'esempio della Tunisia e del Marocco, dove il capo nominale vi risiede ed è circondato da truppe francesi e diretto da governanti francesi. Del resto, tutti rammentano, anche per Tunisi, con quali sforzi e dopo quali difficoltà la Francia è finalmente riuscita, da non molto tempo, ad un accordo definitivo colle altre Potenze, e tutti vedono, appunto, in questo momento, quali ostacoli si oppongano al regolamento della situazione al Marocco.

Tralascio poi la questione delle capitolazioni e quella della partecipazione dei deputati al Parlamento ottomano, che fu appunto uno dei motivi addotti dali' Austria per spiegare l'annessione della Bosnia.

Tutti questi argomenti, ed altri che V.E. potrà facilmente escogitare, compendiano poi in uno solo, che li comprende tutti, cioè la necessità di non lasciare un addentellato per futuri conflitti, e di liberare completamente la diplomazia europea dalla preoccupazione e dal timore di una futura riacutizzazione della questione tripolina.

A tutte queste considerazioni d'ordine internazionale, ne aggiungo una gravissima d'ordine interno; cioè che la gran maggioranza della Nazione italiana non è ora disposta a consentire al mantenimento della sovranità nominale del sultano, e sembra oggi probabile che lo sarà ancora meno col prolungarsi del conflitto. Credo però che in quanto ai compensi d'altra natura, morali o materiali, l'opinione pubblica italiana non opporrà ostacoli invincibili, se la guerra non sarà lunga, se i sacrifici di sangue e di danaro non saranno eccessivi, se non si infliggeranno troppi danni e vessazioni ai nostri connazionali residenti nell'Impero ottomano.

339

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. SEGRETO 4078. Roma, 10 ottobre 1911, ore 20,35.

Telegramma di V.E. n. 551 1 . Non vedo che cosa altro si possa aggiungere per ora alla risposta opportuna data da V.E. ad Izwolsky. V.E. sa che con lui non si può mai essere sicuri della segretezza.

Per informazione personale di V.E., e norma eventuale di linguaggio, informo confidenzialmente V.E. l) che p armi forse impossibile persuadere N azione italiana accettare sovranità anche nominale del sultano; 2) che un passo già fatto presso di noi dalla Germania2 costituisce un impegno per noi di dare la precedenza alla sua iniziativa, su quella di altre Potenze, quando il momento opportuno sarà venuto.

Ciò nulla toglie alla importanza, utilità e nobiltà del compito delle altre Potenze, quando eserciteranno in senso pacifico la loro influenza sulla Turchia.

340

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO, E VIENNA l

T. 4089. Roma, 10 ottobre 1911, ore 22.

Per sua informazione personale le comunico che oggi l'ambasciatore d'Austria mi ha parlato della nota turca e delle possibili condizioni di pace. Egli ha insistito piuttosto moderatamente sulla conservazione della sovranità nominale del sultano.

358 Ho risposto che la nota turca è uno dei soliti artifizi della Porta da non prendere sul serio e che il nostro scopo è di risolvere la questione tripolina in modo che non sia più una fonte perenne di conflitto fra noi e la Turchia e di complicazioni internazionali. Questo è lo scopo che ci prefiggiamo e che è conforme agli interessi non soltanto nostri ma di tutte le Potenze, compresa la Turchia stessa. Gli esposi le ragioni per le quali è da ritenere che la sovranità nominale del sultano impedirebbe di raggiungere lo scopo, e conchiusi che avevamo fatto una conversazione amichevole e non impegnativa e che tanto queste quanto le altre condizioni della pace si debbono esaminare a suo tempo in modo sereno ed obiettivo. Aggiunsi però che lo stato attuale dell'opinione pubblica italiana non mi pareva tale da rendere molto probabile una soluzione diversa dell'estensione pura e semplice a quelle regioni della sovranità italiana. D'altra parte l'opinione pubblica italiana mi pareva ancora ben disposta a dare convenienti compensi materiali e morali alla Turchia, ma è da temersi che la lunga durata della guerra possa mutare queste disposizioni.

(Per Vienna e Berlino solamente) Ho finalmente fatto notare a Mérey che data la mentalità turca, se rimanesse un addentellato qualsiasi a futuri attriti fra l 'Italia e la Turchia resi più aspri dai ricordi della guerra, fallirebbe uno dei fini della nostra azione, che è quello di metterei in grado, mercé la soluzione radicale della questione di Tripoli, di seguire verso la Turchia una politica interamente conforme a quella dei nostri alleati, avendo noi, al pari di essi, grande interesse a consolidarla pel mantenimento dello statu quo territoriale della penisola balcanica.

339 1 Cfr. n. 331. 2 Cfr. n. 332. 340 1 Il contenuto di questo telegramma, con l'eccezione dell'ultimo paragrafo, venne riferito, anche con citazioni testuali, da GlOLlTTl, Memorie, pp. 240-241.

341

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 4094. Roma, 10 ottobre 1911, ore 22,45.

Telegramma di V.E. n. 3791• Bollati ha parlato a Rodd, il quale ha promesso di interessarsi subito nel senso da noi desiderato. Rodd ha detto che la situazione del Governo britannico è evidentemente alquanto difficile, per avere esso ripetutamente ed esplicitamente riconosciuto la suzeraineté del sultano sull'Egitto. Egli credeva però che si potrebbe trovare una solida argomentazione per giustificare una risposta negativa ad una eventuale domanda della Turchia al Governo egiziano intesa ad ottenere la rottura delle relazioni diplomatiche coll'Italia. Si potrebbe, per esempio, sostenere che i nostri rappresentanti, come del resto tutti gli altri in Egitto, non sono rivestiti che di funzioni consolari, e che, secondo il diritto internazionale, è perfettamente ammesso che i consoli rimangano ai loro posti anche durante lo stato di

guerra. La presenza dei consoli potrebbe essere utilissima e anche necessaria in molte questioni che è prevedibile abbiano a sorgere in questo periodo. Con questi argomenti, e con quelli già sviluppati da V.E., Rodd si proponeva di telegrafare al suo Governo, facendo valere l'interesse grandissimo che noi attribuiamo ad una soddisfacente soluzione di questa questione2 .

341 1 T. 5502/379 del 9 ottobre, non pubblicato, col quale Imperiali riferiva il colloquio con Nicolson sul!' eventuale rottura delle relazioni diplomatiche tra Italia e Egitto.

342

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 5595/74. Belgrado, 11 ottobre 1911, ore 3 (per. ore 19,40).

In occasione del mio ritorno in Belgrado sono stato ricevuto dal re, il quale, parlandomi del conflitto con la Turchia, mostrò la sua simpatia per l'Italia. Egli mi disse tuttavia aver avuto, per un momento, serie preoccupazioni per il mantenimento della pace nei Balcani, dopo la notizia operazioni navali, a Prevesa. Quantunque le cose avessero preso in seguito buona piega non conveniva ottimismo Milovanovitch, temendo sorprese da parte dell'Austria quale, secondo il suo parere, come l'ha mostrato nella recente rivolta albanese, non è estranea a qualsiasi complicazione sorga nella Penisola. Crede che la Bulgaria si manterrà tranquilla per timore Rumania, ma se qualche nuova operazione militare dovesse operarsi sulla costa Adriatico, nutriva poca fiducia nella attitudine della Grecia. In quanto Montenegro esso non agirà, secondo il re, se non conformemente ingiunzioni della Potenza che esso ha maggior interesse di ascoltare e questa Potenza re di Serbia ritiene sia, per ora, Austria-Ungheria. Egli si disse convinto che Austria medita colpo di mano sopra Albania e quantunque Serbia intenda non prendere inizativa, nessuno potrebbe trattenerla dal prender le armi qualora Austria penetrasse nel Sangiaccato. Sua Maestà concluse con l'affermare di non essere pacifista e di credere meglio che la questione sia, una buona volta, affrontata, in guisa si sappia come si dovrà finire.

Ho risposto che nostro dissidio era stato causato dalla attitudine Turchia in Tripolitania e che non potevano esser messe in dubbio leali ed energiche dichiarazioni fatte dal Governo del re di voler cioè limitare a quella questione nostra contesa. Parimenti non vedevo perché dovesse dubitarsi delle assicurazioni austriache nel senso mantenimento statu quo balcanico, ma, anche ammettendo fondate supposizioni Sua Maestà circa intenzioni Gabinetto austriaco, mi sembrava esser interesse degli Stati balcanici non offrire pretesto ad un intervento che avrebbe potuto portare per essi conseguenze disastrose.

341 2 Per il seguito cfr. n. 343.

343

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTE 5600/390. Londra, li ottobre 1911, ore 18,55 (per. ore 22,35).

Lieto partecipare a V.E. questione permanenza rr. rappresentanti in Egitto è stata risoluta in modo conforme nostro desiderio. Grey mi ha detto testé aver telegrafato a lord Kitchener che, neutralità Egitto essendo stata dichiarata, non vi è motivo perché rappresentanti italiani lascino loro posto. Qualora da parte turca si protestasse e si invocasse precedente guerra greco-turca, durante la quale consoli ellenici partirono e protezione sudditi fu assunta da altra Potenza, lord Kitchener dovrà dichiarare che il caso è oggi diverso, visto che, a differenza di quanto è avvenuto ora, neutralità Egitto non fu proclamata in quella occasione. Sir E. Grey ha letto in presenza mia telegramma di codesta ambasciata di Inghilterra, rilevando però che una decisione era stata già presa. Grey mi ha detto poi ritenere preferibile astenersi dal fare le dichiarazioni desiderate da V.E. circa rifiuto eventuale passaggio truppe ottomane su territorio egiziano. Ha osservato al riguardo che dichiarata neutralità e misure già prese e eventualmente da prendere per farla scrupolosamente rispettare, sono fatti ormai noti e più eloquenti di qualsiasi dichiarazione che servirebbe solo ad accrescere irritazione ed a creare difficoltà a questo Governo.

Avendo ottenuto prima soddisfazione nel punto interessante non ho creduto insistere più oltre, sembrandomi che, dopo tutto, nulla ci impedisca di far sapere, per mezzo nostra stampa, che dichiarata neutralità Egitto esclude ogni possibilità di fatti che ne implicherebbero violazione.

344

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5602/392. Londra, 11 ottobre 1911, ore 19,40 (per. ore 23,50).

Telegramma di V. E. n. 4005 1•

Grey, apprezzando molto intenzioni veramente amichevoli cm tspirasi nostro consenso eventuale neutralizzazione Mar Rosso, mi ha incaricato ringraziare vivamente V.E. Egli farà subito opportuni passi a Costantinopoli. Effettuata neutralizzazione relativa accensione fari produrrà secondo lui favorevole impressione su questa

opinione pubblica ed agevolerà suo compito nel rispondere alle varie interrogazioni che certamente gli verranno rivolte alla prossima apertura del Parlamento. Ad evitare equivoci ho consegnato Grey pro-memoria in cui ho tassativanente enunciato nostre condizioni. Non ho mancato accentuare con ovvi argomenti importanza prova di amicizia da noi data in questa circostanza.

344 1 Cfr. n. 326. Per il seguito cfr. n. 353.

345

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 4121. Roma, 11 ottobre 1911, ore 23.

Telegramma di V. E. n. 5101• Dopo le ultime dichiarazioni fattele da Aehrenthal e riprodotte nel telegramma di V.E. n. 5082 , potrebbe non essere più necessaria la proposta di neutralizzazione contenuta nel mio telegramna n. 40033 . Ad ogni modo mi rimetto in proposito a ciò che V.E. ed Aehrenthal riterranno preferibile4 . Nella frase da lei rilevata, del resto, deve essere semplicemente incorso un errore in cifra: non doveva dirsi «per via di terra» ma bensì «per via mare».

346

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE DI BERLINO, PANSA

T. 4114. Roma, II ottobre 1911, ore 23,50.

L'oggetto del suo telegramma n. 225 1 e quello del telegramma 2262 sono tra di loro intimamente connessi, e sono di tale importanza e destinati ad esercitare tale influenza anche sui rapporti tra di noi e la Germania, che io, pur rimettendomi alla

T. 4003 (cfr. n. 325). 2 T. 5547/508 del IO ottobre: Aehrenthal, riferendosi alle assicurazioni di cui al T. 4066 (cfr.

n. 336 nota 3), dichiarava di considerarle «Come un impegno formale da parte del R. Governo» e che non «aveva bisogno di qualsiasi altro impegno da parte sua avendo piena fiducia» su quanto di San Giuliano gli aveva fatto comunicare. Cfr. anche OeUA, vol. III, n. 2744.

3 Cfr. n. 325.

4 T. 5641/521 del 12 ottobre: Avama riferiva che Aehrenthal aveva giudicato opportuna la proposta ed aveva espresso l'intenzione di «scandagliare terreno Costantinopoli» dopo averla esaminata. 346 1 T. 5564/225, pari data, non pubblicato (proposta di Zimmermann di un armistizio italo-turco).

2 Cfr. n. 325, nota l. Zimmermann commentava negativamente la posizione di parte della pubblica opinione in Italia, favorevole ad un'annessione incondizionata, con esclusione di qualsiasi sovranità nominale del sultano.

maggiore conoscenza che V.E. ha di codesto ambiente, credo che sarebbe necessario interessarne personalmente il cancelliere e l'imperatore, oltre che Kiderlen-Waechter. Spero che Jagow abbia esattamente informato codesto Governo dello stato degli animi in Italia, e che, se interrogato, lo farà.

Il mantenimento della sovranità, anche soltanto nominale, del sultano produrrebbe in Italia un effetto veramente disastroso e per molti aspetti pericoloso. Non manca modo a V.E. di far considerare in alto luogo il senso e l'importanza di questa considerazione. In principio credevo anch'io che questo sentimento generale in Italia desse esagerata importanza ad un nome apparentemente vano, ma dopo migliore studio mi sono convinto che, oltre alle considerazioni d'amor proprio, è un intuito verace delle immense difficoltà che creerebbe a noi, e per riflesso ai nostri alleati et all'Europa intera, nel presente e nell'avvenire, il permanere di tale vincolo con la Turchia.

Osservo anzitutto che la nota del Governo ottomano riserva espressamente il mantenimento dei suoi diritti di sovranità, e, come già sappiamo, dai precedenti di Egitto e di Creta, essa dà a questa espressione il significato di sovranità effettiva, non nominale. Ora, nel suo colloquio con V.E., Zimmermann ha già, come era naturale, riconosciuto che di sovranità effettiva non si possa in alcun modo parlare. La nota turca adunque è in contraddizione con quanto lo stesso Zimmermann riconosce indispensabile, e perciò egli stesso deve logicamente indurre che non può esser presa in considerazione. Le difficoltà che deriverebbero dalla sovranità nominale sono state da me esposte nel mio telegramma n. 407 43 ed in altri.

L'esempio di Cipro, citato da Zimmermann, non calza, perché ne fu consentita l'occupazione dalla Turchia all'Inghilterra come mezzo di facilitarle il suo appoggio, anche militare, in un momento in cui grandi erano le simpatie turche per quella Potenza, che aveva salvato l'Impero ottomano dalle più gravi conseguenze della guerra, e perché ben più facile era regolare rapporti continui e di natura non ben definita ai tempi di Abdul Hamid, che con i giovani turchi.

Nel caso dell'Italia, i pericoli di una situazione ibrida sarebbero aggravati dal risentimento che naturalmente sussisterà nell'animo dei turchi per la nostra azione; onde è facile prevedere che coglieranno tutti i pretesti e i cavilli possibili per trarre dalla sovranità nominale i modi più pratici per crearci imbarazzi, e per dare alla predetta sovranità nel suo funzionamento quotidiano un carattere quanto meno nominale e quanto più reale sarà possibile.

Per mezzo di ulema ed altri propagandisti, diffonderebbero tra gli arabi la persuasione che solo e vero sovrano è il sultano e noi occupatori temporanei per tolleranza di lui. Non facile agli arabi tracciare la linea sottile che distingue la sovranità nominale dalla reale e il potere temporale del sultano dal potere spirituale del califfo. Questo potere spirituale che ha anche applicazioni pratiche nella vita quotidiana unito alla sovranità nominale diventerebbe per essi sovranità effettiva. Ne sarebbe scosso il nostro prestigio già indebolito da lunghi anni di pazienza verso i soprusi turchi contro ogni nostra leggittima attività e solo oggi risollevato dalla

nostra azione militare che gli arabi considerano come definitiva e completa sostituzione della sovranità italiana alla turca. Ogni concessione nostra in tal senso apparirebbe loro ritirata ed umiliazione e renderebbe molto più difficile, lungo e pericoloso il nostro compito di pacificazione e di civiltà. Non si formerebbe tra gli arabi lo stato d'animo necessario all'opera nostra. Non è possibile il paragone colla Bosnia ed Erzegovina dove i musulmani erano e sono minoranza e l'Austria poté sin dal principio contare sui croati e sui kmeti di cui migliorò subito le condizioni dei loro rapporti coll'aristocrazia musulmana.

Da tutto ciò seguirebbero conflitti continui tra noi e la Turchia, con ripercussione inevitabile sulla nostra politica generale verso di essa, mentre è tanto necessario poter eliminar subito tutti gli ostacoli alla perfetta armonia della politica delle tre Potenza alleate verso l'Impero ottomano.

Saremmo perciò costretti dopo breve tempo a seguire l'esempio dell'Austria nel 1908, dando così nuova occasione a complicazioni internazionali, che oggi è interesse di tutti risolvere in modo così radicale da escludere il pericolo che si riproducano in un momento, che probabilmente potrebbe esser più pericoloso dell'attuale per la pace europea.

A salvaguardare l'amor proprio della Turchia si potrebbe provvedere in altri modi. Si potrebbero darle altri compensi morali e materiali, nei quali tanto più potremo largheggiare quanto più breve sarà la guerra. Per esempio, si potrebbe forse non chiedere indennizzo per i gravi danni che sta infliggendo la Turchia ai nostri connazionali e ad importanti nostri interessi ed istituzioni. Tali danni differiscono solo apparentemente dalla minacciata espulsione dei nostri connazionali.

Si potrebbe forse nel trattato di pace, come si fece nel 1908 per la Bosnia ed Erzegovina, non dire esplicitamente che la Turchia ci cede la Tripolitania e Cirenaica, bensì annetterla noi prima del trattato, come atto unilaterale nostro, il quale, unito alla occupazione di fatto, creerebbe un fatto compiuto che la Turchia non avrà potuto distruggere, a cui la sua volontà non avrà concorso, e di cui il trattato di pace si limiterebbe a regolare le conseguenze nel modo più conveniente moralmente e materialmente per la Turchia.

V.E. non ignora che, data la mentalità musulmana, l'adattarsi ad un fatto compiuto senza il concorso della propria volontà, quando si sa che non si può distruggerlo o si è fatto invano il tentativo di ditruggerlo, non è considerato come cosa lesiva dell'amor proprio.

Tutto ciò che io espongo a V.E. in questo telegramma non è impegnativo, e confido nell'abilità di V.E. per indurre codesto Governo a facilitarci quella soluzione radicale dal problema tripolino, che è tanto necessaria ad accrescere compattezza e vitalità alla Triplice Alleanza. D'altronde poi le notizie che da varie fonti ci giungono, confermano: l) che non vi è pericolo di complicazioni balcaniche e tanto più si allontanerà tale pericolo in seguito alla nostra astensione da operazioni militari sulle coste d'Epiro ed Albania e in seguito, se verrà attuata la nostra proposta di neutralizzazione parziale; 2) che il nuovo ministro degli affari esteri turco Assim è intransigente; 3) che tendono a prevalere in Turchia propositi di resistenza.

L'armistizio oggi nuocerebbe molto al nostro prestigio in tutto l'Oriente, specialmente in vista delle imminenti discussioni alla Camera ottomana e dei propositi di resistenza manifestati da quel Governo stesso che invia la nota apparentemente pacifica. L'armistizio inoltre nuocerebbe ai nostri interessi militari e darebbe tempo agli ufficiali turchi ritiratisi verso l'interno di inquadrare ed organizzare le tribù arabe dell'interno e spingerle, volenti o nolenti, contro di noi, mentre ora ne manca ancora ad essi il tempo e il modo, essendo gli indigeni sotto l'impressione della nostra pronta ed efficace azione militare, impressione che l'armistizio muterebbe in rialzo del prestigio ottomano e rovina del nostro. L'armistizio inoltre immobilizzerebbe il nostro esercito e la nostra squadra, !asciandoci tutte le spese ed i disagi dello stato di guerra a tutto vantaggio della Turchia; di più potrebbe intendersi nel senso che sia sospesa la nostra marcia per la occupazione dell'interno della Tripolitania. A noi conviene fino a pace firmata continuare le operazioni.

Mi pare pure che, finché non sia aperta la Camera dei deputati ottomani e non se ne siano delineate le tendenze, sia vana ogni trattativa, non potendosi sapere quale sarà tra qualche giorno il Governo turco e non essendo ancora perfettamente costituito neanche l'attuale4 .

345 1 T. segreto 5538/510, pari data, non pubblicato, col quale Avama chiedeva dei chiarimenti sul

346 3 Cfr. n. 338.

347

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PERSONALE 1745/659. Il Cairo, 12 ottobre 1911 (per. il 18).

Le sedi egiziane del Banco di Roma, grazie ai mezzi che furon posti a loro disposizione dalla direzione centrale, stanno superando felicemente le difficoltà create in questo momento dalla situazione politica e dalla debolezza di questo mercato finanziario, dovuta a cause da me illustrate in un rapporto speciale. Ritengo fermamente che, passata la crisi, il Banco di Roma vedrà allargarsi la cerchia dei propri affari e vieppiù aumentato quel favore di cui ha già goduto largamente tra la popolazione indigena.

Varie, banche, e delle più importanti, si son trovate seriamente a disagio in queste ultime settimane, e per quanto è dato conoscere per alcune di esse vi fu imminente pericolo di dover chiudere i propri sportelli, se non altro nelle succursali d'Egitto. Le difficoltà finanziarie tra cui si dibatte questo paese provengono dalla consueta debolezza che si verifica nel mercato mondiale al principio dell'autunno, dall'incertezza che tuttora esiste circa la qualità e la quantità della produzione cotoniera, dalla ripercussione naturale delle questioni politiche tra cui l'Europa si è dibattuta da vari mesi in qua, rendendo l'oro più scarso e più costoso, dal crack infine della Bank of Egypt. Per il Banco di Roma c'è stata in più quella particolare

forma di boicottaggio addottata dagli egiziani, che consiste nel ritirare i propri depositi e nel continuare, almeno in una certa misura, ad usufruire di quel credito che l'Istituto ha sempre accordato loro liberalmente e che con molta saviezza non è stato limitato, come facile rappresaglia alla presente ostilità della popolazione indigena. Questa del resto agisce in molti casi a malincuore e nel ritirare i propri depositi dichiara spesso con tutta sincerità di farlo perché spinta dalla pubblicità fatta intorno ai loro nomi ed agli inviti diretti che la stampa fa loro, segnalandoli come creditori. Si vuole anzi, ed è questa in ogni caso la ferma opinione del direttore della sede cairina, che tutto il movimento dei giornali per danneggiare il Banco sia stato abilmente fomentato da istituti di credito rivali, e particolarmente dalla Orient Bank. Questa infatti, almeno nelle sue sezioni d'Egitto, è stata gravemente colpita dal crack della Bank of Egypt e si trovò in serie difficoltà: per aumentare le proprie riserve essa avrebbe spinti gli indigeni a boicottare il Banco di Roma, avrebbe fomiti alla stampa i nomi dei correntisti più forti o più in vista. Certo è che i giornali arabi han di continuo invitati i correntisti a ritirare i loro depositi dal Banco nostro per rimetterli alla banca tedesca.

Dei pericoli che la situazione creava al buon andamento delle sedi egiziane del Banco io mi sono preoccupato assai nelle ultime settimane e ne ho riferito a codesto Ministero con telegrammi e rapporti, considerando che sia per noi d'importanza politica grandissima dar prova della solidità, a tutta prova di quel nostro istituto che a torto od a ragione, vien collegato, come principale determinante, alla nostra occupazione della Tripolitania.

Da questo mio interessamento fu determinato avant'ieri un passo che ho creduto di dover fare presso il signor Montecorboli e sul quale mi permetto di richiamare in modo speciale l'attenzione di VE.

Ho saputo da fonte assolutamente sicura che S.A. il Kedive per render possibili alcune sue intrapprese di carattere edilizio ha contratto un prestito, credo con la Banca Ottomana, d 'un milione di lire. Alla scadenza, che avrà luogo nel dicembre prossimo, Sua Altezza avrebbe l'intenzione di rinnovare l'operazione valendosi del Banco di Roma, ed il commendator De Martino, capo del Contenzioso della Daira Khassa Kediviale, nonché rappresentante del kedive in tutte le sue intrapprese economiche, dovrebbe presentire in questi giorni il signor Montecorboli, per sapere se il Banco di Roma sarebbe disposto a fornire, con determinate garanzie, i fondi necessan.

Mi son pertanto rivolto al suddetto direttore e gli ho preannunciata la visita del De Martino ed il motivo che la determinava; gli ho pure raccomandato di adoperarsi in quanto gli fosse possibile per addivenire alla conclusione di affare che potrà, a mio avviso, rappresentare nell'avvenire un interesse notevole. Il Montecorboli si mostrò lieto di quanto gli riferivo e personalmente disposto a seguire il mio consiglio, disse solo che per un affare di tal genere gli era necessario il consenso della sede centrale.

Oso sperare che l'E.V. cui di certo non sfugge il significato di una simile operazione, proprio nel momento in cui, se non altro in apparenza, i musulmani d'Egitto han cercato in tutti i modi di nuocere al Banco di Roma, vorrà interporre i suoi uffici presso la direzione centrale di quell'Istituto perché, in quanto non vi si oppongano difficoltà insormontabili, quest'occasione non venga perduta.

Gli effetti non saranno immediati, perché la cosa non verrebbe risaputa subito nel pubblico, ma il Banco ne potrà scontare i vantaggi in avvenire, specialmente per quelle imprese che S.A. il Kedive, come è noto alla E.V., ha dato la speranza di poter piantare in Tripolitania, quando la regione si starà avviando ad un nuovo sviluppo economico'.

346 4 Per il seguito cfr. n. 348.

348

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 4163. Roma, 13 ottobre 1911, ore l.

Suo telegramma n. 2301 . Conferirò col presidente del Consiglio. Fin da ora posso dirle che unico regime futuro possibile per Tripo1itania e Cirenaica è estensione pura e semplice della sovranità italiana senza alcun vestigio di sovranità nominale del sultano e con piena libertà di rapporti religiosi tra il califfo e quelli che riconoscono la sua autorità spirituale. Salvo migliore esame si potrebbero fare presso a poco le stesse concessioni che nell'accordo austro-turco del 26 febbraio 1909 ed altri compensi materiali e morali da concordare nei quali saremo concilianti e larghi se pace non tarda troppo. Niente armistizio per ora. Mi rimetto a V.E. sul modo e tempo di far intendere a codesto Governo queste necessità. V.E. potrebbe cominciare per accennare a tale modus procedendi come una idea sua nello scopo di facilitare ai turchi la rassegnazione dell'inevitabile e poi secondo il grado di opposizione che incontrerà presso codesto Governo e la maggiore o minore difficoltà di vincerla, potrà regolare il suo linguaggio senza prendere impegni.

Prego anche V.E. di farmi conoscere che attitudine crede che possiamo aspettarci da codesto Governo nella questione che per noi è diventata vitale, della eliminazione della sovranità anche nominale del sultano.

Questo è un punto in cui anche volendo il R. Governo non potrebbe transigere, visto l'unanime volere della Nazione; ma è il solo punto in cui siamo intransigenti e non riguarda affatto la parte religiosa, per la quale mi pare accettabile, salvo migliore esame, il disposto della citata convenzione austro-turca del 1909. Inoltre spero ancora poter largheggiare in altre concessioni morali e materiali.

Ripeto pure che gli interessi e i diritti dei creditori stranieri della Turchia saranno garantiti2 .

n. 346), osservava che Zimmermann sarebbe stato contrariato dall'opposizione italiana al mantenimento

della sovranità del sultano. 2 Per il seguito cfr. n. 356.

347 1 Il documento reca la seguente annotazione: «Già parlato con Sacchi che è contrario per ora». 348 1 T. 5632/230 del 12 ottobre, non pubblicato, col quale Pansa, commentando il T. 4114 (cfr.

349

IL MINISTRO A PECHINO, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 633/187. Pechino, 13 ottobre 1911 (per. il 3 novembre).

I giornali cinesi hanno consacrato e consacrano molto spazio alle notizie della guerra italo-turca.

Il loro atteggiamento e le varie fasi di esso, non son privi d'interesse.

Alle prime notizie non vi fu che un coro di ostili commenti, di commiserazione all'audace follia dell'Italia. Ogni dettaglio di fatto contenuto nei brevi telegrammi delle agenzie veniva travisato. Così un'allusione alla acquiescenza della Francia e della Germania alla nostra azione divenne «segreto ajuto militare della Francia, autorizzazione chiesta e accordata dalla Germania»; la primo notizia di due pontoni

o barconi capovoltisi nel porto di Tripoli divenne subito il telegramma seguente: «Gli italiani hanno invano tentato il loro primo sbarco; i turchi li hanno respinti colando a fondo due navi nemiche». Mersina ove un nostro piroscafo dicevasi fosse stato catturato diveniva sui fogli cinesi Messina: e a questo che poteva essere un errore fatto in buona fede si aggiungeva una fiorita descrizione di un audace sbarco ottomano in Sicilia.

Questo atteggiamento era assai naturale, dati i cinesi: è il risultato del segreto terrore che l'Oriente ha dell'Europa. La Cina si sentiva solidale della Turchia. E più ancora che non si pensi, giacchè proprio di questi giorni la Russia preme e minaccia pei suoi interessi conculcati in Mongolia; e il collega russo mi diceva testé che la nostra azione in Tripolitania dovrebbe costituire un utile apologo pei cinesi.

Ma sembra piuttosto che i fogli cinesi vogliano dalla presente guerra trarre una conclusione meno prudente: e tutti i loro articoli si chiudono colla affermazione della necessità di affrettare e completare i più vasti armamenti.

Però colle notizie del nostro sbarco in Tripolitania, colla prova della libertà d'azione che la diplomazia italiana si è assicurata in Europa, il loro tono verso di noi si è cambiato; l' «imprudente aggressione» è scomparsa per lasciare il campo ai più rispettosi apprezzamenti: tanto il successo e le manifestazioni della forza sono per gli orientali l'esclusivo argomento.

Frattanto con dei telegrammi giornalistici russi che mi faccio venire per posta da Harbin, io mi son trovato a possedere varie notizie dalla Reuter e dall'Ostasiatischer Lloyd non comunicate; e le ho trasmesse e trasmetto a alcuni giornali di qui, che li pubblicano a implicita smentita dei loro primi articoli, e ai consolati dipendenti perché le facciano pubblicare sui giornaletti locali che so letti dalle varie missioni italiane. E pensando a questi speciali lettori che han tanto bisogno d'intraveder un 'Italia diversa da quella, debole e settaria a un tempo quale alla loro buona fede imposero i giornali clericali della loro giovinezza, non mi son fatto soverchio scrupolo di amplificare notizie di cui era qui giunto appena un cenno, come la simpatia del Vaticano verso la nostra azione, alcune patriottiche parole di monsignor Bonomelli eccetera eccetera.

Non è infine forse del tutto privo d'interesse ch'io riferisca a V.E. come i primi telegrammi dell'Ostasiatischer Lloyd, agenzia tedesca essenzialmente ufficiosa, avevano un carattere poco simpatico verso di noi; le frasi infelici trasmesse più che di mal volere erano per me l'effetto dell'incurabile mancanza di tatto di chi scriveva o ispirava, ma, comunque, l'impressione qui era deplorevole.

Ne parlai al mio collega di Germania: gli dissi comprendere i riguardi che, almeno a parole, la Germania doveva avere per la Turchia in Europa e nel vicino Oriente; ma qui, ove Turchia e turchi non esistono, non era meglio che la consegna fosse invece di fare apparire la Triplice Alleanza, quale felicemente è, unita o concorde?

Il signor von Haxthausen trovò giustissime le mie confidenziali osservazioni, e promise di provvedere. Da quel giorno infatti, i telegrammi del Lloyd hanno rappresentato soltanto quello che dovrebb'essere sempre l'atteggiamento di un popolo alleato.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFF. COLONIALE 4218. Roma, 14 ottobre 1911, ore 22,20.

Ieri generale Caneva ha assunto in Tripoli supreme funzioni civili e militari, ha ricevuto corpo consolare, colonia italiana, capi e notabili arabi e ha pubblicato un manifesto alla popolazione 1• Ha pure disposto che venga distribuito gratuitamente alle tribù più importanti duemila quintali di orzo da semina.

351

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 4226. Roma, 15 ottobre 1911, ore 11,15.

Governatore generale della Colonia Eritrea riferisce che a Moka riunisconsi numerose truppe e sambuchi temere colpo di mano Assab, comandante «Aretusa» reputare necessario sorvegliare costa Moka Hodeida da vicino. Stante telegrammi

divieto, chiede istruzioni e se riscontrasi Moka effettivamente riunione sambuchi distruggerli. Tali notizie provengono data odierna da Assab via Perim 1•

350 1 Ed. in MALGERI, La guerra libica, n. 6, pp. 396-397.

352

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 5800/406. Londra, 16 ottobre 1911, ore 8,40 (per. ore 2,30 del 17).

Quest'oggi Nicolson mi ha rimesso un pro-memoria relativo alla frontiera tra Egitto e Cirenaica. Ricordati negoziati del 1907 e rilevata inesattezza dichiarazione fatta da nostro sottosegretario di Stato alla Camera dei deputati 24 giugno scorso, che, cioè, Giarabub appartiene Cirenaica, pro-memoria osserva che, malgrado dichiarazione da noi fatta neutralità Egitto, è stato notificato blocco costa nord Africa fino a 27 gradi e 54 longitudine est Greenwich. In altri termini è detto Governo italiano ha esteso blocco lungo costa egiziana fino a un punto all'est di Rais el Kanais, cioè quasi un intero grado ali' est di Ras el Bulan, punto di partenza della linea confine ritenuta inaccettabile dal Governo britannico nel 1907 e più di un grado ali' est della linea che, nella nota alla Sublime Porta del 19 novembre 1904 (dispaccio r. ambasciata n. 538 del 26 agosto 1907), s'indicava come cominciante a Ras Gebel Solum. Governo di Sua Maestà è stato inoltre informato che il l Oottobre u.s., una nave da guerra italiana eseguì sondaggi nel Golfo di Solum. Ciò stante, Grey crede opportuno, ad evitare futuri malintesi, ricordare all'ambasciatore d'Italia perché ne informi suo Governo, che le vedute del Governo britannico, riguardo frontiera occidentale egiziana, non hanno subito modificazione dopo le comunicazioni avvenute nel 1907 tra Grey e ambasciatore d'Italia. Pro-memoria contiene poi seguente poscritto: presente pro-memoria era già scritto quando Governo di Sua Maestà ha saputo che Governo italiano ha lasciato intendere che considera territorio di Tripoli di Barberia si estenda fino al 27 uno grado meridiano est di Greenwich, ossia a Marsa Matruh. Governo di Sua Maestà non potrebbe in nessuna circostanza prendere in considerazione tale pretesa. Esaminato incartamento, sarei indotto ritenere che debba essere avvenuto equivoco che nessuno meglio di V.E., che ha trattato questione con Grey, è in grado di chiarire. Non sfuggirà a V.E. importanza grandissima, che per nostro interesse presente, evitare in questo momento con Inghilterra grave controversia che, all'ora presente, si risolverebbe a vantaggio totale Turchia. Spedisco per posta copia pro-memoria1•

351 1 Per il seguito cfr. 357.

352 1 Con T. 4274 del 17 ottobre, non pubblicato, di San Giuliano confermava che si trattava di un equivoco e che avrebbe pregato il Ministero della marina di modificare le disposizioni date ove fossero state contrarie a quell'accordo. Per il seguito cfr. n. 362.

353

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 5801/407. Londra, 16 ottobre 1911, ore 8,40 (per. ore 2,30 del 17).

Telegramma di V.E. n. 40061 . Oggi Nicolson mi ha detto che all'apertura fatta ambasciata Inghilterra alla Sublime Porta in modo cauto e tale da salvaguardare nostro amor proprio circa neutralizzazione Mar Rosso, Assim Pascià ha risposto dichiarando Turchia pronta a rinunziare operazioni militari. Turchia, però, non può accettare limitazione circa trasporti militari sulla ferrovia dello Hediaz traversante interamente territorio ottomano. Turchia inoltre vorrebbe riservarsi facoltà trasportare per mare truppe rimpatrianti dallo Yemen con sicurezza non essere molestate da nostre navi.

Riservate decisioni di V.E. ho fatto osservare a Nicolson che nostro proposito mirava più fare cosa grata Inghilterra che non alla Turchia. La quale, colle restrizioni avanzate, sarebbe sola, a mio avviso, a trame vantaggio dall'eventuale neutralizzazione mentre tutti gli ovvii inconvenienti toccherebbero a noi. Nicolson non si è pronunziato esplicitamente; ho avuto però impressione che egli trova piuttosto fondata osservazione turca circa trasporto sulla ferrovia Hediaz, avendomi due volte chiesto se al divieto di quei trasporti annettevamo speciale importanza. Inaccettabilità delle pretese turche specie per i trasporti per mare essendo evidente, credo ci convenga assolutamente insistere almeno su quella condizione che va considerata come sine qua non.

Se Turchia rifiutasse definitivamente sarebbe opportuno studiare se vi è modo conciliare mantenimento stato di guerra nel Mar Rosso con riaccensione nostri fari mancanza (?)2 dei quali cagiona gravi malcontenti questa marina mercantile che ha presentato formale reclamo al Foreign Office.

Certamente qui neutralizzazione riuscirebbe assai gradita desiderandosi localizzare quanto più possibile teatro delle operazioni, ma se neutralizzazione, causa pretese Turchia diviene impossibile, ritengo che con riaccendere i fari avremo sempre fatto atto amichevole verso questo Governo tacitando almeno reclami commercio. Inutile aggiungere che, se Turchia, pendente negoziati, dà corso progetto di cui telegrammi 4216, 4224, 4254, 3 siamo perfettamente in diritto agire con la massima energia, facendo ai sambuchi e soldati turchi massimo danno possibile. Di quei telegrammi ho dato ad ogni buon fine conoscenza a Nicolson4 .

353 1 Errore di trascrizione. Si intende evidentemente il T. 4005 (cfr. n. 326). 2 Il punto interrogativo è del decifratore. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra reca

estinzione

3 TT. del 15 ottobre, non pubblicati, relativi a preparativi militari turchi nel Mar Rosso.

4 Per il seguito cfr. n. 395.

354

IL CAPO DEI SERVIZI CIVILI A TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5779/... Tripoli, 16 ottobre 1911, ore 18,30 (per. ore 20,30).

Telegramma di V.E. n. 432 Il. Arabi che hanno parlato con me e che esprimono sentimento generale desiderano che sia esclusa nella sistemazione avvenire ogni ingerenza turca anche apparente ed accetteranno qualsiasi forma di Governo che sarà loro dato purché sia puramente italiana e salvo loro amor proprio concedendo quella autonomia compatibile col nostro diritto di sovranità.

355

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE 1180. Atene, 16 ottobre 1911 (per. il 22).

Le notlz1e che qui pervengono da Costantinopoli a persone di solito bene informate non rappresentano come imminenti colà perturbamenti gravi in seguito a conflitti intestini; sembra anzi che, auspice il Comitato, predomini fra gli elementi musulmani la tendenza alla tregua, all'accordo dinanzi ai pericoli esterni.

Secondo le stesse notizie, il Governo ottomano si considera sufficientemente al riparo da sorprese balcaniche grazie alle proprie misure militari, grazie alla garanzia che la Russia avrebbe data dell'inoffensività bulgara e grazie alle assicurazioni d'altre Grandi Potenze, non escluse le nostre, circa il mantenimento dello status quo nella penisola. Ad una intesa austro-bulgara nessuno crede a Costantinopoli e sullo status quo in Creta si sa bene che veglia l'Inghilterra.

Le preoccupazioni dei turchi sono dunque relativamente limitate e l 'urgenza di addivenire alla pace con noi non si impone ai loro animi irritati. La Tripolitania è irremissibilmente perduta, essi dicono, ma si deve dimostrare che la nuova Turchia non perde province con la rassegnazione dell'antico regime; v'ha modo di esercitare rappresaglie anche senza dichiararle ufficialmente e di provare che la popolazione stessa non lascia impune chi attenta all'integrità dell'Impero.

Ma, a parte le velleità vendicative di danneggiarci, sia pure senza loro profitto, può darsi che i turchi ravvisino interesse nel trascinare le cose per le lunghe.

Può darsi che il Comitato, la cui potenza è diminuita ma non tramontata, si sforzi a tutt'uomo di rialzare il proprio prestigio col protrarre lo stato di guerra nella lusinga di far passare per resistenza gl'indugi e di salvare, come suoi dirsi, la faccia e dinanzi alle sfere militari e dinanzi al mondo musulmano.

Ma, soprattutto, ai turchi non può sfuggire la delicata posizione del Governo germanico che nella tema di perdere, di fronte alla concorrente Inghilterra, la propria posizione in Turchia e nel mondo islamico di cui fu il costante assertore, desidera di veder terminato al più presto il conflitto italo-turco. Quella delicata posizione essi potrebbero sfruttarla e, affettando che nulla o poco hanno da perdere dall'attesa, indurre la Germania a portare sopra di noi il peso dei suoi consigli conciliativi, ponendoci forse in condizione d'apparire intransigenti.

A noi conviene indiscutibilmente di chiudere la partita e di tornare allo stato normale entro il più breve termine possibile, non però di esservi costretti. Il far presto sarebbe in tal caso a nostre spese. Ma che cosa ci assicura contro simile pericolo?

Dobbiamo certamente fare il più alto assegnamento sull'opera della Germania come sull'autorità ed abilità del suo grande rappresentante in Costantinopoli, ma non possiamo non tener conto delle potenti influenze contrarie che probabilmente vengono esercitate sulla Porta.

L'azione del barone Marschall non sarebbe immensamente agevolata se l'Italia avesse in sua mano un «pegno negoziabile»?

Una volta entrata nei Dardanelli la squadra ottomana, la scelta più conveniente di un pegno cade sulle isole. L'esempio è stato dato dalla Francia all'epoca della vertenza Tubini e Lorando. E fra le isole è sempre Mitilene che offre la maggiore opportunità per un'occupazione transitoria. Sarebbe l'occupazione che meno desterebbe sospetti, che meno toccherebbe le suscettibilità internazionali, facile, come l'esperienza lo ha dimostrato e di molto valore strategico in quanto da Mitilene si comanda a Smirne, a Salonicco, ai Dardanelli.

Evidentemente, converrebbe aver motivo di procedere a simile misura, ma, secondo probabilità, basterebbe vigilare, esser pronti e non perdere la prima occasione di rappresaglia che si presenti.

È assiomatico che presso i turchi abilissimi maestri nel trascinare i negozianti, le sole misure di tal fatta producono effetto decisivo. A mio subordinato parere l'occupazione di quell'isola ci condurrebbe a una pace sollecita e a buone condizioni.

Sottopongo a V.E. le considerazioni che precedono perché esse mi sono inspirate da fondate impressioni circa l'attitudine dei turchi e perché queste ultime possono contribuire al controllo delle notizie di Turchia così difficile negli attuali momenti.

354 1 T. del 15 ottobre, non pubblicato.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 4270. Roma, 17 ottobre 1911, ore 3.

Rimanendo fermo il nostro proposito di non transigere sulla questione della sovranità nominale del sultano, credo utile riassumere a V.E. alcune delle concessioni che il R. Governo sarebbe disposto fare nella grave questione dei reclami privati e dei danni di guerra.

Si può calcolare ad una cifra tonda di più di dieci milioni l'ammontare dei reclami privati di varia natura anteriori allo stato di guerra e questa somma sale a circa trenta milioni aggiungendovi gl'interessi essendo alcuni dei relativi crediti dovuti da molti anni.

A questa prima classe di reclami se ne aggiunge una seconda per i danni arrecatici direttamente durante le ostilità alla proprietà come alle persone, ed i danni indiretti al commercio italiano. Ricordo che per questo titolo la Russia fece pagare alla Turchia nel 1878 una somma rilevante e potremmo esigere pure una indennità fortissima oltre la restituzione delle navi sequestrate.

Ora per mostrarsi conciliante il R. Governo sarebbe disposto a rinunziare alla indennità per questa seconda classe di danni arrecati alle persone e alle proprietà pubbliche e private. Ove poi questa concessione non fosse sufficiente il R. Governo invece di esigere il pagamento senz'altro della somma dovuta per la prima classe dei reclami, consentirebbe a sottoporre la loro liquidazione al Tribunale dell' Aja, innanzi al quale il R. Governo nel presentare i reclami si mostrerebbe oltremodo moderato e non esigerebbe il pagamento degli interessi arretrati oltre un limite ragionevolissimo. Ciò procurerebbe alla Turchia una soddisfazione morale di grandissimo valore. Sappiamo infatti che per ragioni d'amor proprio e di prestigio e per essere considerata come una Potenza civile essa tiene molto ad andare innanzi al Tribunale dell' Aja.

Infine ove fosse richiesto da imprescindibile necessità di trovare elementi per una sollecita conclusione della pace, V.E. poterbbe lasciare intendere che il R. Governo sarebbe eventualmente disposto a quelle ulteriori concessioni che si potranno poi concordare.

V.E. a seconda delle opportunità del momento giudicherà quali fra queste concessioni converrà fare gradatamente una dopo l'altra ed anche se converrebbe farle tutte pesare in un momento decisivo per indurre il Governo ottomano ad accettare le altre condizioni che non possiamo discutere.

Mi riservo spedirle per posta altri elementi in proposito.

Si potrebbe, inoltre: l) sottoporre pure ad arbitrato la vertenza relativa alla ragazza Franzoni; 2) abbandonare la nostra tesi che dopo l'inchiesta Aliotti non sia più da sottoporre all'arbitrato inglese la vertenza pel sambuco «Genova»; 3) far altrettanto per altre vertenze relative a cattura di sambuchi nel Mar Rosso; 4) pel regime futuro per la visita dei detti sambuchi obbligarci ad accettare senz'altro le

374 proposte turche che accetterà l'Inghilterra e questo, dato il regime di favore di cui ora godiamo, sarebbe per noi grave sacrificio; 5) oltre agli impegni già da noi assunti di disinteressare i creditori europei trovare altre forme decorose per entrambe le parti per dare una somma di denaro alla Turchia; 6) regolare la parte religiosa in modo però che non nuoccia al nostro prestigio, alla nostra popolarità presso gli arabi, non sia una forma larvata di sovranità politica anche nominale e non dia appiglio a futuri attriti e conflitti tra l 'Italia e Turchia e ad influenza o intrighi turchi nelle nostre nuove province definitivamente staccate dall'Impero ottomano; 7) far precedere il trattato di pace da un decreto unilaterale italiano d'annessione in modo che la Turchia non debba nel trattare fare una concessione ma regolare le conseguenze di fatti compiuti; 8) riprodurre, per le capitolazioni, poste, aumento di dazi doganali e temettù, presso a poco le condizioni dell'accordo austro-turco del 1909; 9) considerare come chiuse le vertenze per gli assassini di padre Giustino e di Gastone Terreni e quelle pel Rossi a Costantinopoli, per Montanari ad Ayali presso Smime ed altri simili.

Non mancherà modo a V E. di far notare che, mentre la guerra del 1896 era un atto politico del Ministero del tempo disapprovata da gran parte della Nazione italiana, questa è dopo il 1870 la più grande impresa nazionale in cui il popolo italiano vede tutto il suo avvenire nel Mediterraneo e tutta la sua posizione di Grande Potenza collegati al conseguimento dell'unico risultato proporzionato allo sforzo cioè il suo dominio assoluto sulla Tripolitania e Cirenaica senza inceppamenti di sovranità nominali e di altri vincoli consimili da cui non possono scaturire che complicazioni e conflitti. Il contegno delle varie Potenze verso l'Italia in questa occasione lascierà nell'animo della Nazione traccie indelebili non comparabili con qualche formalità in più o in meno nel sacrificio d'amor proprio più ancora che d'interessi che la Turchia dovrà fare 1 .

357

IL COMANDANTE DELL'«ARETUSA», ROMBO, AL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA

T. 244. Massaua, 18 ottobre [1911], ore 20,40 (per. ore 10,50 del 19).

Voce possibile attacco di Assab risultato falso allarme. Giunto contatto radiotelegrafico «Volturno» informatomi Assab al sicuro. Concentramento truppa turca lungo costa dovuto esclusivamente timore nostro sbarco Yemen e chiedono sospen

sione invio truppe rinforzo Assab. Ordinato «Volturno» stazionare poiché unica vera difesa sta nella presenza nave da guerra; trasmessole 27706 di V.E. disponendo sorveglianza Moka costa adiacente e di agire se necessario senso ordinato. Manterrò Assab sempre una nave da guerra. Dato questo stato di cose trovato opportuno sospendere azione contro costa ]imitandomi attiva sorveglianza attuando azione se circostanze lo richiedono.

356 1 Per il seguito cfr n. 370.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 4316. Roma, 18 ottobre 1911, ore 22.

Mérey oggi è venuto dirmi l) che vi sono sintomi precursori di insurrezione in Albania e che Aehrenthal crede che siano un effetto della guerra italo-turca; 2) che il r. console a Valona ha conferito a Spartina con agitatori albanesi incoraggiandoli in questo senso e che questo a lui pare un indizio caratteristico.

Ho risposto l) che noi abbiamo desiderio ed interesse che non avvenga insurrezione in Albania; 2) che se avviene essa ha cause ben altrimenti gravi e profonde che la guerra italo-turca; 3) che le nostre istruzioni ai consoli sono sempre state date nel senso di fare il possibile onde insurrezione non avvenga; 4) che conviene ripetere alla Turchia il consiglio di rinforzar le sue guarnigioni in Albania, di evitare tutto ciò che può urtare gli albanesi e di mantenere le promesse che ha fatto ad essi. Gli ho offerto di dargli un telegramma rinnovando queste istruzioni pel r. console a Valona, ma per suo consiglio glielo ho mandato pel tramite del Governo tedesco.

Questo linguaggio di Mérey dettatogli da Aehrenthal sembra ispirato dal desiderio di far ricadere su di noi la responsabilità di eventuali torbidi in Albania e delle loro conseguenze per evitare di darci i pattuiti compensi in caso di mutamento dello statu quo territoriale balcanico. Prego V.E. di telegrafarmi il suo parere in proposito.

V.E. potrà in ogni modo assicurare il conte di Aehrenthal che i nostri consoli si sono sempre attenuti alle categoriche isruzioni di evitare quanto possa essere o sembrare incoraggiamento a disordini in Albania e che in nessun modo ci risulta quanto è stato accennato a proposito del console di Valona 1•

3 58 1 Per la risposta cfr. n. 3 61.

359

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5871/546. Vienna, 18 ottobre 1911, ore 23,45 (per. ore 1,05 del 19).

Telegramma di V.E. n. 41861 . Nel riferirmi a quanto V.E. aveva detto al signor Mérey, che Austria-Ungheria si sarebbe associata alla mediazione germanica, ciò che pur io avevagli accennato, Aehrenthal ha rilevato che tale affermazione non era esatta.

A questo proposito ha osservato che, fin da quando era scoppiata guerra turcoitaliana, egli erasi concertato con Germania per esercitare, d'accordo con essa, la mediazione nel momento opportuno. Non potevasi quindi affermare che AustriaUngheria si sarebbe associata alla mediazione che ci aveva offerto la Germania. Ed ha aggiunto che non aveva creduto essere venuto il momento ancora di parlare della cosa, perché la mediazione non avrebbe potuto aver luogo che quando solo i due belligeranti si fossero dimostrati disposti ad accettarla. Ciò non è certo il caso per ora.

360

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 730/210. Cettigne, 18 ottobre 1911 (per. il 25).

A conferma delle mie recenti comunicazioni telegrafiche, ho l'onore d'informare l'E.V. che cominciando da me e finendo al ministro inglese, tutti i rappresentanti delle Grandi Potenze a Cettigne hanno raccomandato al Governo montenegrino sotto forme diverse, ma con identico significato, di astenersi da qualsiasi atto diretto od indiretto che potesse essere interpretato come tendente a profittare dell'attuale conflitto italo-turco per attaccare la Turchia.

Le risposte del ministro degli affari esteri, signor Gregovié, sono state fin dal primo momento esplicite e categoriche in senso rassicurante. Egli ha formalmente dichiarato che non è mai passato per la mente del suo Governo di muovere un passo contro la Turchia, in occasione della guerra che è stata dichiarata all'Impero vicino dali 'Italia, e che non intende dipartirsi da tale sua linea di condotta, salvo il caso che qualche altro Stato balcanico avesse da turbare con un'azione bellicosa contro i turchi la pace della penisola. Il Montenegro allora non potrebbe, senza tradire i

suoi più vitali interessi, rimanere inoperoso, spettatore indifferente di una lotta che deciderebbe dell'avvenire dei Balcani.

Le nostre raccomandazioni ed esortazioni non potettero in questa circostanza essere fatte direttamente al re Nicola, ma al suo ministro degli affari esteri, perché Sua Maestà si è recata a villeggiare ad Antivari nella palazzina del principe Danilo, e vi è rimasta lungamente, forse anche per evitare di ricevere personalmente i consigli delle Potenze, dai quali mostra di sentirsi offeso, dicendo che quando essi vengono senza un fondamento di ragione sono una mancanza di riguardo immeritata verso la sua persona.

Il re, appena tornato da Antivari, è partito per Grahovo, ed è tuttora assente da Cettigne.

359 1 T. del 13 ottobre, non pubblicato.

361

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 5925/557. Vienna, 19 ottobre 1911, ore 11,45 (per. ore 21,15).

Telegramma di V.E. n. 4316 1•

A più riprese, ho riferito a V.E. che conte Aeherenthal mi ha detto che non la guerra italo-turca in generale, ma le operazioni sulle coste albanesi avevano prodotto una certa agitazione in quelle popolazioni.

Però, jeri, pur dicendomi, come Mérey ha detto a V.E., che alcuni nostri consoli avrebbero avuto rapporti con nazionalisti albanesi, Aehrenthal non mi fece affatto conoscere che si constatassero in Albania segni precursori insurrezione. Anzi egli m'informò di non aver ricevuto dai consoli imperiali e reali alcuna notizia che mirditi preparassero insurrezione per la prossima primavera e che gli risultava che tregua era stata stipulata tra quelle tribù e le popolazioni musulmane.

Ed aggiunse che Turchia, del resto, aveva ora in Albania truppe sufficienti per fare fronte ad ogni eventualità.

Non credo che al momento attuale Aehrenthal possa avere intenzione di addossarci in tale condizione responsabilità di una nuova rivolta albanese e di rifiutarci perciò compensi pattuiti in caso di mutamento dello statu quo nei Balcani. Tuttavia debbo ricordare a VE. che, colla mia lettera particolare del 28 luglio scorso2 , la misi già in guardia contro la possibilità che, ove lo statu quo nei Balcani fosse turbato in seguito alla nostra azione in Tripolitania, Austria-Ungheria rifiutasse altri compensi malgrado stipulazione esistente. Aggiungo che tale possibilità è resa ora più verosimile dal fatto che qui si è molto contrariati di vedere che noi acquistiamo la Tripolitania con sacrifici minori di quelli che la Monarchia dovette fare per l'annes

361 1 Cfr. n. 358. 2 Non rinvenuta.

378 sione della Bosnia-Erzegovina che modificava di poco lo stato di fatto. In tale condizione credo che la posizione di Aehrenthal diverrebbe insostenibile di fronte ai circoli militari e clericali, se, al momento in cui noi acquistiamo la Tripolitania, consentisse a darci altri compensi pel mutamento dello statu quo nei Balcani.

Non mancherò di dare al conte Aehrenthal nella prima visita che gli farò le assicurazioni indicate da V.E.

362

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5895/417. Londra, 19 ottobre 1911, ore 13,03 (per. ore 17).

Telegramma di V.E. 43121 . Nicolson avendomi chiaramente lasciato intendere desiderio avere risposta per iscritto, mi pare difficile limitarsi ad una semplice dichiarazione verbale. Sottopongo ciò stante alla approvazione di V.E. seguente schema memorandum: «Ambasciatore ha reso suo Governo edotto desiderio manifestatogli da Governo britannico in seguito estensione avvenuta per equivoco del blocco stabilito dalle rr. navi sulle coste Tripolitania e Cirenaica. Per aderire a tale desiderio, marchese di San Giuliano, tenendo presente suo memorandum del 21 dicembre 1907 e quello di Grey del 24, ha pregato ministro della marina dar ordini eccetera; tali ordini sono stati dati e verranno e vennero già notificati alle ambasciate e legazioni eccetera Roma». V.E. potrebbe poi, se lo crede a proposito, in un suo colloquio con Rodd ricordare, nei termini che le parrà meglio, indicate riserve nostre.

363

IL CAPO DEI SERVIZI CIVILI DI TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5922. Tripoli di Barberia, 19 ottobre 1911, ore 18,35 (per. ore 21).

In risposta al telegramma numero 42081 di VE. comunico quanto segue. l) In Tripolitania e Cirenaica si pronunzia nella pubblica preghiera del Corano il venerdì il nome del sultano come califfo. 2) I rapporti fra musulmani e sultano e fra i

cadì muftì e lo sceik-ul-Islam sono di assoluta dipendenza. 3) Non vi è reis (?f. 4) Tutti i musulmani di Tripolitania e Cirenaica riconoscono il sultano come califfo. 5) Si potrebbe lasciare al sultano il diritto di nomina dei cadì e muftì limitando la scelta fra gli arabi di questa regione e subordinando la nomina alla nostra approvazione. Sarà ad ogni modo difficile evitare conflitti e complicazioni. -ul-Ulema. 4) Tutti i musulmani di Tripolitania e Cirenaica riconoscono il sultano come califfo. 5) Si potrebbe lasciare al sultano il diritto di nomina dei cadì e muftì limitando la scelta fra gli arabi di questa regione e subordinando la nomina alla nostra approvazione. Sarà ad ogni modo difficile evitare conflitti e complicazioni.

I cadì religiosi coi quali ho parlato in questi giorni mi hanno detto che converrebbe che la Turchia non avesse alcuna ingerenza nella nomina delle autorità religiose che perciò la loro nomina potrebbe essere fatta da un'assemblea di notabili e sceicchi e popolazione e sanzionata poi dal Governo; tale procedimento è previsto e permesso dalla religione musulmana.

Quanto alle preghiere essi mi dicono che si potrebbe ottenere che la preghiera invocasse la benedizione su «Colui che protegge» la religione formula che sarà accettata dalla popolazione senza molte difficoltà. Mi dicono anche che quando si saranno veduti i reali vantaggi della occupazione italiana non sarà difficile introdurre nelle preghiere il nome di Sua Maestà come fanno i musulmani dell'Egitto e delle Indie per il re d'Inghilterra. A tale fine ed anche per la ripercussione e gli effetti più generali che potrebbe avere un simile atto, oso suggerire all'E.V. se non sarebbe possibile che dalla munificenza del Nostro Augusto Sovrano fosse destinata una cospicua somma per l'erezione di una moschea a commemorare gli odierni avvenimenti.

362 1 T. del 18 ottobre, non pubblicato, col quale di San Giuliano comunicava che il ministro della marina aveva rettificato i limiti del blocco imposto alla costa cirenaica.

363 1 T. del 14 ottobre, non pubblicato.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 4336. Roma, 19 ottobre 1911, ore 20,10.

Cantalupi mi riferisce che nel mondo ebraico regna una certa inquietudine per la sorte dei correligionarii in Tripolitania.

Prego V.E. trovar modo di far conoscere che dati i principii liberali dello Stato italiano non può essere menomamente dubbio che gli ebrei di Tripolitania e Cirenaica godranno della maggior libertà religiosa e che la loro posizione migliorerà di molto in confronto a quella che era sotto il regime turco.

363 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

365

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1035/237. Belgrado, 19 ottobre 1911 (per. il 25).

Dalla corrispondenza telegrafica di questa r. legazione l'E.V. avrà potuto rendersi conto dell'intenzione della Serbia di volersi mantenere strettamente neutrale nel conflitto che esiste attualmente fra l'Italia e la Turchia. Ora, non solo tale intenzione deve ritenersi senza alcun dubbio sincera, ma dirò anzi che per me in questo momento la sola e grave preoccupazione del Governo serbo consiste nel timore che circostanze da esso indipendenti abbiano, contro ogni sua volontà, a trascinarlo in complicazioni che esso, almeno per qualche anno ancora, vorrebbe ad ogni modo evitare. E ciò si può facilmente dedurre dallo sgomento prodotto dall'inatteso annunzio dell'apertura delle ostilità, dalla trepidazione provocata dalle esagerate e tendenziose notizie concernenti le nostre operazioni navali sulle coste albanesi, dali' ansia infine con la quale si seguono le fasi della guerra e dalla speranza, espressa da tutti, che il conflitto possa essere sollecitamente composto.

Tuttociò ha fatto nascere, in principio, contro di noi un certo malumore, che è anche trapelato nei giornali ufficiosi. Aggiungerò, però, che il linguaggio della stampa serba si è venuto subito modificando al nostro riguardo, e di tale cambiamento -oltre che alla vera simpatia che si ha qui per noi -devesi, a mio avviso, ricercare in primo luogo la causa nell'attitudine poco benevola dei giornali austroungarici verso l'Italia. Questa attitudine, in sostanza, non molto diversa da quella adottata da parecchi giornali italiani ali' epoca d eli' annessione della Bosnia-Erzegovina, ha rafforzato qui in molti il convincimento che la questione della Tripolitania avrebbe staccato l 'Italia dali' alleanza colle Potenze centrali, e ciò ha bastato a riaccendere più vive le simpatie e le speranze. Ho creduto, ad ogni buon fine, di accennare a quanto precede, tanto più sapendo di sicuro che tale convinzione, un po' anche per istigazione del mio collega di Russia, è condivisa da queste sfere ufficiali.

Del resto, facendo astrazione da ciò e ripetendo cose già riferite all'E.V., la Serbia sarà certamente l 'ultimo degli Stati balcanici a prendere qualsiasi iniziativa che, nelle circostanze presenti, possa turbare l'ordine nella penisola. Ma devo tuttavia osservare che il Governo serbo non si mostra troppo rassicurato circa l'avvenire per la minacciosa situazione interna della Turchia, per il solito incubo di un possibile intervento austriaco nei Balcani e per l'armamento della popolazione musulmana in Macedonia, il quale ha già prodotto, da quanto mi si disse, una recrudescenza di delitti e di rapine, come da parecchi anni non se ne aveva avuto esempio, cosa che fa presagire, se non in questo, nel prossimo anno, un più pericoloso risorgere della questione albanese.

D'altronde l'azione energica del Governo italiano, l'abilità, la prontezza e la fortuna colle quali furono condotte le operazioni militari, hanno grandemente contribuito ad accrescere in generale il prestigio dell'Italia e la gente del popolo, che non è tenuta a riserve di sorta, mostra apertamente e chiaramente le sue simpatie per noi; per essa chi combatte il turco, chi dà, come dicono qui, una buona lezione al turco non può essere che un amico: è il vendicatore di angherie e di soprusi sopportati da secoli. Come affermazione dei loro sentimenti alcuni popolani si presentarono, infatti, nei giorni scorsi a questa legazione chiedendo di essere arruolati come volontari. Naturalmente la loro offerta venne cortesemente declinata.

366

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. URGENTE RISERVATA PERSONALE l 0464. Roma, 19 ottobre 1911 (per. il 21).

Ti trasmetto copia del telegramma inviatomi oggi dal generale Caneva, che viene a completare le notizie che già si avevano circa il transito per la Tunisia di ufficiali turchi diretti in Tripolitania.

ALLEGATO

IL GOVERNATORE GENERALE DELLA TRIPOLITANIA E CIRENAICA, CANEVA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

T. 161. Tripoli. 19 ottobre 1911, ore 11,50.

Bleu. Notizie comunicate da cotesto Ministero e comando corpo Stato maggiore circa transito attraverso territori Tunisi ufficiali turchi diretti interno Tripolitania risultano in massima esatte. Qualche giorno fa sono sbarcati tre ufficiali turchi anche a Zarzis cioè assai vicino frontiera. Pare che gruppo sbarcati a Sfax tra cui Ritza pascià abbia potuto raggiungere frontiera mediante automobile. Inoltre trovasi Sfax piroscafo bandiera Samos carico millecinquecento tonnellate orzo spedito dal Valì di Smime. E verosimile che fatti analoghi avvengano frontiera egiziana come annuncia anche lettera presidente consiglio 14 corrente trasmessami da VE. Tanto riferisco per quei passi che si stimasse fare presso Governo francese egiziano.

367

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL GOVERNATORE GENERALE DELLA TRIPOLITANIA E CIRENAICA, CANEVN

T. 27713. [Roma], 20 ottobre 1911, ore 12,45.

È cosa di molta importanza per l'effetto morale in Italia che le notizie ufficiali siano più che possibile complete e giungano molto prima di quelle di fonte privata. La

prego perciò di fare che l'Agenzia Stefani la quale agisce in tutto sotto la mia direzione abbia le notizie prima di tutti e anche prima di quelle dei corrispondenti esteri poiché le notizie telegrafate all'estero vengono immediatamente ritelegrafate in Italia rendendo così impossibile qualunque controllo del Governo, mentre è essenziale impedire cattive o false impressioni nella pubblica opinione italiana ed estera.

367 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle Carte ... , n. 72, p. 69.

368

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 4243/1175. Therapia, 20 ottobre 1911 (per. il 25).

S.E. il barone Marschall mi ha fatto chiamare ieri e mi ha tenuto il linguaggio che ho l'onore di riferire qui appresso a V.E.

Nella redazione del presente rapporto e nel riprodurre fedelmente il pensiero del barone Marschall mi servirò delle sue stesse espressioni. Mi limito a premettere che fin dall'inizio della guerra, il barone Marschall si è sempre mostrato ottimista e che tale era l'intonazione di tutta l'ambasciata tedesca ove più volte mi si disse che l'attuale conflitto non sarebbe durato che qualche settimana. Nei bollettini telegrafici che ho avuto l'onore di inviare a V.E., pel tramite del ministro di Sua Maestà in Sofia, ho più volte riferito che Said pascià, Mahmoud Chewket pascià, Assim bey e lo stesso Kiamil pascià fossero decisi a conchiudere una pace onorevole coll'Italia e a non prolungare le ostilità e come in questo senso si fossero espressi a più riprese coll'ambasciatore di Germania.

Il barone di Marschall mi ha tenuto ieri il seguente linguaggio: non sono più i giornali italiani che parlano di una annessione pura e semplice, ma è il vostro Governo. «Tandis que le marquis de San Giuliano avait à deux reprises déclaré aux ambassadeurs qu'il aurait accepté la suzeraineté du sultan, il déclare aujourd'hui que l'Italie ne peut plus s'en contenter».

L'Italia -ha continuato il barone di Marschall -non può pretendere ad una annessione pura e semplice perché è stata costretta a mobilizzare 50.000 uomini. Questa forza le sarà sempre necessaria per mantenere la sua occupazione e la sua autorità in un paese così vasto come la Tripolitania, a questo sforzo, essa doveva essere preparata fin da prima, perché non poteva pretendere che il Governo ottomano le avrebbe ceduto senz'altro i suoi possedimenti africani. Ad uno sforzo ben maggiore fu costretta l'Austria quando, per l'occupazione della Bosnia e della Erzegovina, dovette mobilizzare i tre quarti del suo esercito, eppure essa si è contentata per più di trent'anni della sovranità del sultano su quei vilayets.

Le potenze della Triplice -secondo il barone di Marschall -non si sono opposte al movimento «un peu vif de l'Italie et vous savez que nous n'avons rien fait pour vous empècher d'aUer en Tripolitaine, mais vous devez vous rappeler que vous faites partie de la Triple Alliance et vous ne pouvez pas nous empècher de faire nos affaires ici».

Il barone Marschall ha continuato dicendomi che nessun Governo ottomano ammetterà mai l'annessione pura e semplice e che ne deriverà un prolungamento sine die delle ostilità. Mi ha esposto come la formola della suzeraneité del sultano non cambiava la situazione a nostro svantaggio, dal momento che l'Italia avrà l'amministrazione e l'occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica; e che anzi, presentandoci sotto la bandiera ottomana, l'opera nostra di pacificazione all'interno sarà resa più facile. Si tratta non di protettorato italiano sempre secondo il barone di Marshall -ma di sovranità turca nominale ed il vincolo della Turchia colla Tripolitania sarà più debole di quello coll'Egitto. In quanto poi alla formula della «sovranità religiosa» escogitata dalla stampa italiana, Sua Eccellenza la dichiara absurde perché non si può concedere una cosa che non si ha ed il sultano è e sarà sempre il califfo.

«Vous aurez tout» -ha ripetuto più volte Sua Eccellenza -«le vin dans la bouteille sera le mème, seulement l'etiquette sera différente. En tout cas je pense que l'on interviendra énergiquement à Berlin et à Vienne auprès de vos ambassadeurs».

Continuando la conversazione mi ha detto che la situazione interna è criticissima e che se l'Italia insiste per l'annessione pura e semplice, nessun Governo ottomano potendo ammetterla, si avranno qui delle conseguenze gravissime; ha aggiunto che se la guerra continuasse fino alla primavera i Balcani sarebbero in fiamme e che l'Austria se ne mostra già molto inquieta.

Parlando di se stesso il barone Marschall mi disse: «Personnellement je suis dans une position impossible; je me suis attiré la haine des tures pour m'ètre opposé à l'expulsion en masse des italiens; je pense avoir été prudent, car il aurait été bien dangereux de faire partir 80.000 italiens dans des moments pareils» ed a questo proposito ha lodato l'attitudine veramente esemplare della popolazione ottomana di fronte ai nostri connazionali, aggiungendo, con un sorriso «et je ne sais pas si l'on aurait fait la mème chose chez vous».

Durante la conversazione, a più riprese, l'ambasciatore di Germania mi ha chiesto se il r. esercito e la r. marina avevano subito delle perdite nella attuale campagna.

L'E. V. mi vorrà scusare se nel presente rapporto ho forse abusato delle citazioni in francese, ma il linguaggio del barone Marschall essendo caratteristico, mi è parso che, traducendolo, non ne avrei reso esattamente il senso.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, E AL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI

T. 4392. Roma, 21 ottobre 1911, ore 20,15.

Mi giunge notizia che numerosi arabi dell'interno della Tripolitania e Cirenaica sobillati e organizzati dai turchi si preparano a muovere contro le nostre truppe. Oltre i necessari provvedimenti militari noi ci prepariamo ad agire presso i detti arabi e i loro capi per mezzo di danaro nonché facendo loro conoscere le nostre intenzioni di rispettare la loro religione i loro costumi, migliorare possibilmente le loro condizioni mercé l'abolizione della coscrizione, la riforma dei tributi, le strade, il commercio, tutto l'indirizzo nostro di governo. Bisognerebbe quindi trovar modo di agire presso di essi per mezzo di abili emissari. Il danaro necessario a questo scopo sarà messo dal Governo a disposizione di lei. Prego telegrafarmi subito se e come crede di poter organizzare questo delicato servizio e pregola pure prendere gli opportuni accordi coi rr. consoli specialmente nelle residenze vicine alla Tripolitania e Cirenaica. Evidentemente questo invio di emissari si dovrà fare in buona parte per le vie dell'interno.

Pregola farmi conoscere se crede che potremo far assegnamento sulle autorità inglesi/francesi visto che è interesse del Governo inglese/francese che si ponga fine al più presto possibile ad una agitazione araba e musulmana che potrebbe avere ripercussioni in Egitto Sudan Tunisia ed Algeria.

Pregola telegrafarmi pure il suo parere sull'opportunità o meno che io faccia pratiche presso il Governo di Londra/Parigi 1 .

370

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1739/5931. Berlino, 21 ottobre 1911.

Con riferimento al mio odierno telegramma n. 2492 ho l'onore di inviare qui unito a V.E. il testo del pro-memoria che in conformità delle istruzioni di lei ho rimesso oggi al signor von Kiderlen-Wachter circa le condizioni alle quali il R. Governo sarebbe attualmente disposto a negoziare la pace colla Turchia.

Recandomi io domani a Roma per conferire con V.E. avrò così occasione di darle in persona gli schiarimenti opportuni relativi a questa comunicazione.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI TEDESCO, KIDERLEN-WÀCTHER

PROMEMORIA. Berlino, 21 ottobre 1911.

Le Gouvemement italien est disposé, actuellement, à négocier la paix avec la Turquie sur les bases suivantes. A) Cession à l'Italie de la Tripolitaine et de la Cyrénalque en pleine souveraineté.

370 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica una copia conservata tra le carte di Gabinetto. 2 T. 6002/249, non pubblicato.

Afin de ménager !es susceptibilités de la Sublime Porte, cette cession pourrait résulter sous forme d'un artide à l'instar de l'art. II du protocole austro-turc concement l'annexion de la Bosnie-Erzégovine (26 fevrier 1909): à savoir par une simple renonciation du Gouvemement ottoman à ces protestations contre le nouvel état de choses établi en Tripolitaine. Cet état de choses pourrait former l'objet d'une «decision» préalable du Gouvemement italien, analogue à celle qui été visées dans l'artide susdit.

B) Reconnaissance de l'autorité religieuse du sultan dans un sens analogue aux disposition de l'art. IV du protocole austro-turc, pour autant qu'elles seraient applicables à la Tripolitaine, eu égard aux usages et aux conditions locales. Le Gouvemement italien est disposé à prendre en considération !es arrangements de détail qui lui seraient proposés dans cet ordre d'idées, à la condition bien entendu, qu'ils se maintiennent sur le terrain strictement religieux, de manière à excluer tout ce qui pourrait ètre interpreté comme une immixtion politique quelconque ou y donner prétexte.

C) Renonciation de l'ltalie à toute demande d'indemnité pour !es dommages causés aux propriétés des sujets italiens et à leur personnes du fait de l'état de guerre.

D) Pour le reglèment des reclamations privées des sujets italiens antérieures à la guerre, le Gouvemement royal proposerait de !es soumettre à l'examen d'une commission mixte et de déférer éventuellement au Tribuna! de La Haye celles d'entre elles que !adite commission n'aurait pu résoudre, tout en s'engageant pour sa part, à traiter ces affaires avec la plus grande modération.

E) Confirmation de l'engagement déjà annoncé par le Gouvemment italien de garantir !es intérèts représentés par le Conseil de la Dette Pubblique Ottomane en ce qu'ils se rapportent aux revenus de la Tripolitaine.

F) Fixation d'une indemnité pécuniaire à verserà la Turquie à titre de compensation et ce dans une forme à rechercher, de nature à sauvegarder la dignité de la Sublime Porte ainsi que du Gouvemement italien.

G) L'ltalie accepterait pour son compte des clauses analogues à celles du protocole austro-turc du 1909 en ce qui concerne !es capitutations, !es bureaux de poste, la surtaxe douanière, le temettù, et. cetera.

H) A l'égard du régime concemant la visite des boutres battant pavillon italien dans la Mer Rouge, l'Italie serait disposée à adhérer dès à présent aux propositions ottomanes qui seraient acceptées par l' Angleterre (e n renonçant par là au traitement de faveur don t elle jouit actuellement).

l) Le Gouvemment italien seràit prèt d'une manière générale à resoudre dans un esprit de conciliation toutes !es questions (autres que celles d'ordre pecuniaire indiquées à la lettre D) qui ont surgi dans ces demiers temps (affaire Franzoni, père Giustino, Terreni, Rossi, Montanari, Ayvaly, capture de boutres dans la Mer Rouge et cetera) en considérant comme reglées la plupart d'entre elles et en déférant éventuellement !es autres à l'arbitrage de la Haye.

Ce qui précède est destiné à l'usage personnel de S.E. le Baron de Marschall, à titre d'indication générale et préliminaire des intentions avec lesquelles le Gouvemement italien est prèt à entamer !es négociations. Le premier point concemant la pleine et entière souveraineté sur !es territoires dont il s'agit est le seui sur !eque! il lui est impossible de transiger, toute souveraineté soit effective soit nominale de la Turquie devant en ètre excluse. Pour le reste il est disposé non seulement aux concessions enumerés ci-dessus dont il laisse à M. le Baron Marschall de faire usage selon son appréciation mais il est prèt encore à considérer avec faveur toute autre condition qui lui serait recommandée dans le but de donner satisfation aus intérèts et aux sentiments de S. M. I. le Sultan et de hàter autant que possibile, le rétablissement de la paix.

Il est entendu toutefois que !es concessions susenoncées se réfèrent à la situation actuelle et que le Gouvemement italien ne saurait s'engager à !es maintenir au delà d'une certaine limite, si !es négociations, une fois entamées, ne permettaient pas de compter sur une solution satisfaisante dans un délai raisonnable.

369 1 Per le risposte cfr. nn. 374 e 380.

371

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. PERSONALE 4414. Roma, 22 ottobre 1911, ore 16.

In via confidenzialissima informo V.E. che Germania sta lavorando per la pace. Noi le abbiamo detto e ripetuto più volte che siamo prontissimi a concluderla con larghe concessioni morali e materiali purché però sia piena ed esclusiva la nostra sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica, senza sovranità neanche nominale del sultano e senza alcun addentellato a futuri conflitti. Ignoro se Germania sia già convinta che su questo punto saremo incrollabilmente fermi.

Sarei lieto se, coll'abilità e la finezza di cui V.E. è largamente dotata, potesse, senza parlare con De Selves od altri a nome del R. Governo, farmi conoscere se il Governo francese sia ormai convinto dell'impossibilità di una soluzione diversa 1 .

372

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 6023/421. Londra, 22 ottobre 1911, ore 16,20 (per. ore 21,50).

Metternich mi fece ieri lunga visita. Parlammo guerra. Disse che se noi avessimo consentito lasciare sultano una parvenza di sovranità, trattative pace sarebbero a quest'ora già in buona via. Obbiettai molteplici argomenti che ineluttabilmente ci impongono insistere su sovranità assoluta Italia, primo precipuo fra i quali, fermo nostro intendimento creare situazione netta tale da eliminare una volta per sempre ogni causa conflitti con Turchia, verso la quale siamo malgrado tutto animati sempre migliori disposizioni essendo mantenimento Impero oggi non meno di prima base fondamentale nostra politica. Di tale disposizione mi sembra abbiamo dato prova sufficiente con compensi non indifferenti che siamo pronti dare Turchia e con azione energica presso Stati balcanici. Senza contestare fondamento miei argomenti, Metternich osserva che comunque oggi prospettive pace si sono molto allontanate. Disse opinione pubblica ottomana, non potendosi rassegnare perdita due provincie, non permetterà ad alcun governo concludere pace alle condizioni da noi imposte e sulle molteplici pericolose conseguenze che per tutti può avere prolungarsi stato di guerra diffusamente e coll'abituale suo pessimismo s'intrattenne. Replicai che mia esperienza mentalità turca mi conduceva a conclusioni essenzialmente contrarie alle sue. I

turchi, benché convinti che Tripolitania è perduta, minacciano, gridano perché sperano, sempre incoraggiati anche da certe inopportune manifestazioni stampa internazionale, di spaventare potenze ed indurle premere su noi; turchi inoltre cercano secondo antico sistema speculare su note rivalità fra Grandi Potenze mettendo all'incanto loro amicizia. Resistenza turca, se si poteva capire fino a certo punto avanti inizio ostilità, non è più ragionevole oggi. Occupata Tripolitania e Cirenaica, dopo combattimenti in cui nostre armi furono vittoriose, essi si trovano nell'impossibilità materiale resistere, non essendo in grado di mandare soldati a Tripoli né molestarci con loro squadra la quale se escisse dai Dardanelli, noi, pur avendola cavallerescamente risparmiata la prima volta, ci vedremo ora assolutamente costretti distruggere profittando schiacciante superiorità nostre navi. Prolungare resistenza in tali condizioni sarebbe semplicemente follia. Se teoria da lui sostenuta per spiegare assoluto non possumus Turchia fosse esatta, nessuna guerra sarebbe mai terminata. Sono d'altra parte puerili o semplicemente malevoli insinuazioni certa stampa sui danni materiali che resistenza passiva turca e pretese guerriglie arabe arrecherebbero all'Italia di cui sembra disconoscersi potenzialità economica e militare. Verità è, invece, che tale contegno non a noi ma alla Turchia sarà esiziale dal triplice aspetto situazione interna economica ed internazionale. Stando così le cose sembrava a me che la

o che le Potenze che tanto giustamente desiderano pronta cessazione guerra non a Roma debbono rivolgersi ma a Costantinopoli, dove, deposte momentaneamente, n eli 'interesse supremo della pace, tradizionali rivalità, sarebbe facile dimostrare matematicamente che prolungamento guerra, mentre non involve per l'Italia alcun pericolo può avere conseguenze disastrose per l'Impero, e che pertanto precipui suoi interessi consigliano cedere e profittare generosa offerta che oggi facciamo ma che caparbietà turca potrebbe costringerci più tardi ritirare. Replicò Metternich che, circa mediazione in generale, egli aveva tempo fa tastato qui terreno, ma aveva trovato molte riserve. Avendo chiesto se io conoscevo al riguardo intenzioni inglesi, risposi ignorarle, non senza osservare, a titolo impressione personale, che mutata situazione, in seguito avvenuta nostra occupazione, potrebbe molto facilitare comune azione pacifica da svolgersi, però, sempre a Costantinopoli.

371 1 Per la risposta cfr. n. 3 81.

373

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1066/335. Teheran, 22 ottobre 1911 (per. il 7 novembre).

Come già mi son fatto dovere di riferire in altro mio rapporto di questa stessa data1 , jeri ho rimesso in udienza solenne, presenti i principi del sangue ed i grandi dignitari dello Stato, allo scià le lettere con cui S.M. il re si è degnato accreditarmi

388 presso il sovrano di Persia in qualità di inviato straordinario e di ministro plenipotenziario. Al momento della consegna dell'augusto scritto, ho pronunziato un breve discorso del quale trasmetto qui unita a V.E. copia del testo2 . A parte le frasi d'uso e le espressioni cortesi che devono impiegarsi in simili circostanze, ho creduto opportuno porre in speciale rilievo sia manifestazioni che atti del Nostro Augusto Sovrano e del R. Governo onde ad un tempo richiamare l'attenzione di questa Corte e dei suoi consiglieri sui buoni sentimenti e le ottime disposizioni che l 'Italia nutre verso la Persia ed incoraggiare quest'ultima a secondare gli sforzi evidenti che da parte nostra si fanno per dare incremento alle mutue relazioni commerciali, sì benefiche agli interessi reciproci dei due paesi. Il reggente mi ha risposto esprimendo la lusinghiera soddisfazione propria e del Governo per tali attestati di stima e di amicizia dell'Italia; mi ha assicurato che egli ed il Governo imperiale sono ben lieti e decisi a secondare in tutti i modi lo svolgimento della mia missione ed a collaborare al suo successo e mi ha aggiunto in termini ultra-lusinghieri che esso ed il Consiglio della corona sono assai compiaciuti che S.M. il Re abbia voluto affidare a me l'esecuzione di un tale compito.

L'intonazione dei due discorsi, ha fatto uscire la cerimonia di jeri dalle formule stereotipate che accompagnano la consegna di lettere credenziali, e ritengo che la parola del reggente come quelle dettemi poco dopo in senso analogo dal presidente del Consiglio e dal ministro degli affari esteri (che mi recai nel Palazzo medesimo a vedere) erano improntate a quella stessa sincerità che caratterizzava le mie; se non ché nelle presenti condizioni politiche interne della Persia è da vedersi in quale misura e con quanta efficacia esse potranno -per ciò che concerne lo sviluppo delle relazioni economiche -avere pratica applicazione. Quanto però al lato politico -che non ebbe manifestazioni di sorta -ed al lato morale credo di poter assicurare l'E.V. che l'amor proprio persiano è rimasto assai lusingato dei provvedimenti adottati dal R. Governo in merito alla sua rappresentanza in Teheran. Ora di fronte al fatto compiuto -eliminato ogni motivo o considerazione di carattere personale mi è meglio concesso di far presente a V. E. essermi noto che il Governo persiano era in qualche guisa dispiacente che l'Italia mantenesse lungamente in Teheran come suo rappresentante un semplice incaricato d'affari. Si temeva da esso -ciò è spiegabile solo con la mentalità di queste genti amanti dei titoli e delle cariche pompose, dell'esuberanza teatrale nell'ambito della vita pubblica e dei poteri che il R. Governo non avesse in adeguata considerazione la Persia come paese libero ed indipendente. La nomina di un ministro e l'aumento del personale della r. legazione soddisfano l'amor proprio persiano e certo predispone questo Governo ancora meglio verso di noi. Sarà mia cura di saper profittare del nuovo stato di cose risvegliando, laddove ed in quanto mi sarà concesso, l'apatia di questo Governo, e traendo profitto di ogni occasione per giovare, sia rispetto agli indigeni che riguardo agli stranieri in questo paese, agli interessi d'Italia in tutte le loro manifestazioni ed alla stregua delle gradite direttive dettatemi e che vorrà dettarmi l'E.V. Con il compimento di questa assicurazione è mio fermo proposito di corrispondere agli

attestati di stima, di fiducia e di benevolenza di cm ella si è compiaciuta farmi l'oggetto.

373 1 Non rinvenuto.

373 2 Non si pubblica.

374

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 6045/110. Il Cairo, 23 ottobre 1911, ore 14,05 (per. ore 16,30).

Telegramma di V.E. 43921• Prego V.E. attendere miei rapporti riservatissimi nn. 670 e 6792 , che devono giungerle questa sera, in cui vi sono notizie interessanti azione desiderata dal R. Governo. Causa difficoltà comunicazioni con Cirenaica, credo pressoché impossibile poter mandare direttamente da qui emissario in località dell'interno, specie se fornito di denaro. Sola persona che potrebbe darci aiuto effettivo è S.A. il kédive, nel senso di procurarci qualche individuo fidato da mandare a Bengasi dove autorità italiane potrebbero valersene con quelle garanzie che sono possibili. A Sua Altezza però non potrei rivolgermi senza espressa autorizzazione di V.E. e, qualora R. Governo prenda una deliberazione in tal senso, oso esprimere avviso che detta cooperazione venga richiesta sia pure indirettamente verbalmente a nome S.M. il Re; circa appoggio autorità inglesi ritengo che quelle stabilite in Egitto abbiano ordini di salvaguardare neutralità Vice-reame, impedendo ogni atto che possa turbarla e nulla più. Ma condizioni particolari del paese non parmi possano consentire da parte loro iniziativa più o meno diretta in nostro favore, tanto più dovendosi escudere probabilità che agitazione possa avere ripercussioni in Egitto o Sudan. Per quanto riguarda passi a Londra, loro opportunità e possibilità di successo dipendono da conoscenze che soltanto V.E. può avere delle disposizioni attuali del Governo britannico.

375

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6046/389. Parigi, 23 ottobre 1911, ore 14,10 (per. ore 17, 15).

Ieri e ieri l'altro giornali francesi pubblicavano notizie ufficiali di ammiraglio Aubry e generale Briccola, riferentisi presa Bengasi e numero esatto dei morti e

Non rinvenuti.

feriti italiani, tanto dei marinai quanto dei soldati. Queste nottzte fecero buona impressione e poiché il numero dei morti e feriti non appariva affatto sproporzionato per un combattimento accanito durato un'intera giornata, destavano alquanta meraviglia i telegrammi che parlavano di emozione in Italia, riferivano frasi di giornali italiani, facevano appello alla calma. Oggi, invece, giornali di Parigi pubblicano notizie incerte e contraddittorie, le quali nel pubblico ingenerano il sospetto cose siano andate per gli italiani meno bene di quello che si credeva. Queste notizie sono: l) un comunicato ufficiale di Costantinopoli, il quale smentisce che gli italiani abbiano occupato Bengasi; 2) un telegramma da Malta, che dice che a Bengasi la missione francescana è stata massacrata e le case degli europei sono state saccheggiate; 3) la notizia riprodotta dal Messaggero che ammiraglio Aubry ha chiesto rinforzi a Tripoli ed a Roma, e che il generale Pollio è partito per Napoli per organizzare un terzo corpo di spedizione; 4) la notizia riprodotta dalla Tribuna che le perdite sono state considerevoli dalle due parti e che i turchi sono ancora padroni di Bengasi, benché gli italiani occupino delle forti posizioni; 5) gli attacchi del Messaggero e del Giornale d 'Italia ai comandanti la spedizione, che fanno qui pessima impressione, non comprendendosi che si attacchino i capi militari solo perché, in una battaglia, ci sono stati morti e feriti. Ciò posto mi parrebbe indispensabile un comunicato ufficiale del Governo italiano, chiaro, dettagliato e preciso, per mettere a posto le cose e impedire supposizioni fantastiche e commenti fuori di luogo.

374 1 Cfr. n. 369.

376

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6049/67. Bucarest, 23 ottobre 1911, ore 16,10 (per. ore 18, 15).

Teleamma di V.E. n. 4361 1• Ho preso accordi col nostro console a Galatz qui venuto per esercitare sorveglianza sul contrabbando di guerra e segnalare alla E.V. e a questa legazione. Essendo possibile che le armi e munizioni prendano, anziché la via di terra, il Danubio, prego di far esaminare se non sia possibile notificare alla Commissione europea del Danubio stato di guerra fra l 'Italia e Turchia richiedendo le impedire transito contrabbando di guerra sulla parte del fiume soggetto alla sua giurisdizione che è neutra.

376 1 T. del 20 ottobre, non pubblicato.

377

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, SAILER

T. UFFICIO COLONIALE S.N. Roma, 23 ottobre 1911, ore 20, 15.

Ieri ottavo reggimento bersaglieri ha iniziato sbarco Homs dove è stata innalzata bandiera italiana. Sono giunte Bengasi altre truppe italiane che hanno sbarcato in tranquillità. Il capitano Piazza ha fatto evoluzioni in aeroplano destando stupore e terrore negli arabi. Archimandrita a Tripoli ha fatto omaggio fedeltà generale Caneva.

378

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE CONFIDENZIALE S.N. Vienna, 2 3 ottobre 1911 1.

Ringrazio l'E.V. della sua lettera particolare del 26 settembre u.s. con cui si è compiaciuta di trasmettermi copia di una lettera del r. ambasciatore in Berlino, relativa al rinnovamento della Triplice Alleanza2 .

Siccome il cavalier Pansa accenna in tale lettera alla idea di inserire nel trattato stesso il contenuto dell'accordo segreto del 1909, mi permetto di osservare che trattandosi di una materia assai delicata in cui, se si comincia una discussione, non si sa mai dove si può andare a finire (e i negoziati che precedettero quell'accordo lo provarono) io stimerei più prudente di lasciare intatto l'accordo e di convenire solo, mediante lo scambio d'un'apposita dichiarazione, ch'esso continuerà ad essere in vigore finché duri il trattato d'alleanza.

Per contro sarà necessario, una volta finita la nostra azione in Tripolitania, modificare l'articolo 9 del trattato, specificando però bene che ogni mutamento al nuovo stato di cose in Tripolitania, cioè ogni attentato alla nostra sovranità, rimane un casus foederis.

L'intesa per l'Albania non ha scadenza3 . Quindi non c'è bisogno di rinnovarla insieme al trattato. Però si potrebbe forse -come già accennai all'E.V. -cogliere quest'occasione per inserirvi l'accordo, constatato fra l'onorevole Tittoni ed il conte Goluchowski, per dare all'Albania i suoi confini etnici che non corrispondono con le attuali circoscrizioni amministrative ottomane.

Io riterrei anche che sarebbe utile iniziare fra breve le pratiche per il rinnovamento della Triplice Alleanza in modo che esso possa essere stipulato quasi contem

2 Cfr. n. 171.

3 Cfr. serie III, vol. IV, nn. 594, 667, 675, 695, 739, 758.

poraneamente alla conclusione della nostra pace colla Turchia. A tale proposito V.E. giudicherà opportuno che io sia incaricato di fare, circa il rinnovamento dell'alleanza, al conte Aehrenthal tutte le comunicazioni di cui il cavalier Pansa sarà incaricato a Berlino, per evitare che qui si urti qualche suscettibilità e che si creda che noi diamo più importanza alla Germania che alla Monarchia4 .

378 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

379

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6113/582. Vienna, 24 ottobre 1911, ore 10,45 (per. ore 24).

Aehrenthal mi ha detto in via riservata che, in seguito alla comunicazione da me fattagli, che, secondo R. Governo, non poteva essere data alla questione della Tripolitania-Cirenaica una soluzione diversa dall'estensione pura e semplice della completa sovranità italiana su quelle regioni, egli aveva creduto di mettersi in rapporti diretti con Gabinetti di Berlino, Londra, Parigi e Pietroburgo per chiedere se fossero disposti procedere ad uno scambio d'idee per trovare il modo di scandagliare terreno a Constantinopoli ed addivenire soluzione questione. Fino ad ora i soli Gabinetti di Berlino e Parigi avevano risposto affermativamente.

Aehrenthal ha aggiunto che era ben inteso che tale scambio di idee non aveva per ora altro scopo che conoscere il pensiero dei vari Gabinetti.

380

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6085/71. Tunisi, 24 ottobre 1911, ore 14 (per. ore 17,50).

Crederei assai difficile forse impossibile organizzare seriamente efficacemente servizio di cui ragiona telegramma di V.E. n. 4392 1• Elemento arabo qui ci è ostilissimo, poco favorevole quello francese, neutralità stesso Governo locale punto benevola. Basterebbe a provarlo, oltre il libero passaggio alla frontiera tripolo-tunisina già consentito a numerosi ufficiali superiori turchi e che continua sempre, la piena libertà lasciata ai giornali arabi locali di vilipenderei in ogni modo, la larga diffusione dei giornali turchi della capitale, le tollerate adunanze nelle moschee e nei clubs giovani turchi dove si eccitano contro di noi le passioni popolari e dove tenta

380 1 Cfr. n. 369.

393 organizzarsi il boicottaggio che in qualche luogo fu già iniziato. Si permettono persino assembramenti dinanzi redazioni giornali ufficiosi francesi con pericoli di collisioni, nostri connazionali eccitati minacciando reagire. Feci rimostranze vivissime ma con scarso successo, Alapetite trovandosi ora a Parigi. Non panni quindi sia vi per ora da sperare concorso alcuno dal [ ... F francese allo scopo suddetto e sugli arabi credo veramente non si possa molto contare. Ad ogni modo ho telegrafato all'agente consolare in Gabes per sapere se di là si può fare qualche serio tentativo. Quanto alle pratiche da farsi in questo senso a Parigi, benché non convenga dimenticare che di là partì ordine di lasciar passare indisturbati ufficiali turchi, si potrebbe tuttavia tentarle perché al Governo tunisino non mancherebbe certamente mezzo efficace per raggiungere nostro intento.

378 4 Per la risposta cfr. n. 442.

381

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 6110/597. Parigi, 24 ottobre 1911, ore 21,25 (per. ore 1,05 del 25).

Risposta al telegramma di V.E. n. 44141• Informazioni assunte in via indiretta mi hanno confermato che De Selves fu con me sincero quando mi disse che comprendeva come noi non potessimo accettare sovranità nominale sultano, poiché ciò lascierebbe aperto l'adito ad incidenti e conflitti per l'avvenire. Questo Governo desidera che si faccia la pace, perché lo stato attuale nuoce ai grandi interessi finanziari che la Francia ha in Turchia, ma in nessun caso farà cosa che non sia conforme ai desideri ed alle vedute dell'Italia.

382

IL RE VITTORIO EMANUELE III AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI 1

T. San Rossore, 2 5 ottobre 1911, ore 7,15 (per. ore 9,15 ).

Iersera ho veduto il generale Robilant e sono rimasto impressionato dall'opinione di lui che la Turchia tirerà le cose in lungo specialmente perché persuasa che l'atteggiamento delle Potenze impedirà all'Italia di portare quel colpo decisivo il

381 1 Cfr. n. 371. 382 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle carte ... , n. 74, pp. 69-70.

394 quale solo potrebbe segnare la fine della guerra. Se, in vista del prolungarsi della situazione attuale, il Governo si risolvesse per una azione nell'Egeo, occorre naturalmente che il da fare militare ed i mezzi adeguati siano preparati in tempo.

Sono sempre pronto a fare una corsa a Roma qualora ella desiderasse parlarmi2 .

380 2 Lacuna del documento.

383

IL CAPO DEI SERVIZI CIVILI DI TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6138/299. Tripoli di Barberia, 25 ottobre 1911, ore 16,05 (per. ore 20,40).

Telegramma di V.E. 4463 1 . Nella mattina del 23 la linea di difesa esterna di Tripoli fu attaccata contemporaneamente in più punti da piccoli nuclei di arabi armati e soldati turchi. L'ala sinistra fu però più fortemente attaccata e due compagnie di bersaglieri dovettero sostenere l'urto di un nucleo superante il migliaio di uomini. Dovettero ritirarsi perché contemporaneamente assaliti alle spalle dagli arabi dell'oasi. Le perdite subite furono rilevanti. Il comando ignora tuttora le cifre esatte; iersera esso ha trasmesso al Ministero della guerra lunghi telegrammi al riguardo. Il combattimento non durò più di un paio d'ore e gli assalitori si ritirarono. Le loro perdite non sono precisate ma dovrebbero essere rilevanti.

Alle ore tredici circa si manifestarono in città gli incidenti già noti e comunicati con mio telegramma n. 2972 .

Circa quanto comunicato a proposito del cavas germanico aggiungo che accertati sommariamente i fatti mi recai a chiamare il console di Germania il quale coadiuvò con ogni premura la nostra richiesta mostrandosi addoloratissimo di quanto è avvenuto. Il cavas è stato ieri fucilato sotto il castello, previo regolare giudizio tenutosi sulla pubblica via. Verso le sedici nuclei di fanteria si presentarono dinnanzi alla nostra ala destra e se ne allontanarono dopo i primi colpi di cannone.

Ai trecento circa arrestati della città se ne aggiungono quasi duemila arrestati nell'oasi che nella mattinata di ieri fu perlustrata in ogni senso dalle nostre truppe. Furono trovate molte armi e munizioni. Non ancora decisi i provvedimenti per gli arrestati, per molti di essi il generale Caneva ha chiesto di inviarli in una delle nostre isole destinate ai coatti. Diversi furono fucilati nell'oasi stessa e cinque altri furono fucilati ieri mattina dinanzi agli arrestati.

Nella giornata di ieri 24, vi fu in città molto nervosismo ma nessun incidente notevole. Nelle prime ore del pomeriggio alla nostra ala sinistra si presentò un

2 T. 6069/297 del 23 ottobre, non pubblicato.

395 ufficiale turco chiedendo la resa, avendo egli tremila uomini a sua disposizione. Dalle nostre informazioni, risulterebbe invece non averne egli più di duemila.

Altri duemila circa trovavansi ieri mattina ad Aziwhydae (sessanta chilometri da Tripoli) e furono scorti da un aereoplano in ricognizione. La risposta data all'ufficiale turco non poteva essere che negativa. L'attacco pare però cominciato solamente alle ore 8 antimeridiane.

Gli incidenti di città del 23 sono di minima entità e non hanno valore; non così il proditorio assalto degli arabi dell'oasi dove per il raccolto dei datteri si trovano molti arabi del Gebel e beduini. Fu certo errore non aver proceduto rapidamente al disarmo cominciato severamente solo ora (?)3. Incidenti simili non dovrebbero ora più ripetersi purché si adoperi una giusta severità verso i colpevoli.

Fu emanato decreto relativo proibizione vendita terreni e giardini. Provvedimento opportunissimo ad evitare speculazione iniziata in questi giorni.

382 2 Per la risposta cfr. n. 386.

383 1 T. segreto del 24 ottobre, non pubblicato.

384

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 6135/252. Berlino, 2 5 ottobre 1911, ore 17 (per. ore 18,10).

Zimmermann mi disse oggi che a Costantinopoli si continua a mostrarsi memovibili circa una rinunzia completa all'alta sovranità del sultano su Tripoli, mentre all'infuori di questo si giungerebbe rapidamente ad un accordo. Mentre Marschall consigliava arrendevolezza non poteva fare però una nuova pressione sul Governo ottomano, perché rinunziasse anche a questa parvenza della sovranità, giacché ne avrebbe profittato subito Governo britannico per dimostrare ai turchi essere i tedeschi cattivi amici e consiglieri.

Zimmermann concludeva confidenzialmente: «Ben altro sarebbe il caso se tutte le Potenze parlassero nello stesso senso a Costantinopoli. Se tutte fossero d'accordo per fare seria pressione sul Governo ottomano onde indurlo alla rinunzia completa, dimostrandogli inutilità della resistenza, allora Turchia si adatterebbe all'inevitabile, quando potesse farlo salvando la faccia. Ma il difficile è giungere ad un accordo delle Potenze per una azione comune in questo senso. Alla fine dei conti finiamo sempre per trovarci davanti alle difficoltà che sorgono, direttamente o indirettamente, dalla rivalità anglo-germanica». Queste le testuali parole di Zimmermann. Avverto che anche Norddeutsche Allgemeine Zeitung ha pubblicato una nota ufficiosa per dichiarare inesatto che Marschall facesse pressioni sulla Turchia per indurla a cedere (vedi rapporto stampa n. 1759)1 .

384 1 R. del 19-22 ottobre, non pubblicato.

383 3 Il punto interrogativo è del decifratore.

385

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6139/60 l. Parigi, 25 ottobre 1911, ore 18 (per. ore 2 I).

Tripoli. In via riservata e strettamente confidenziale principe Fuad mi ha detto che le informazioni che egli ha direttamente da Costantinopoli sono che il Governo ottomano si è persuaso che non gli convenga affrettare le trattative di pace, perché spera che il sacrificio finanziario e le perdite d'uomini che l'Italia dovrà sopportare per penetrare nell'interno della Tripolitania, porteranno un radicale cambiamento nell'opinione pubblica italiana, che spingerà il Governo a fare la pace a condizioni più favorevoli per la Turchia. Ho dimostrato al principe che avverrà proprio il contrario e che la Turchia non potrà più ottenere le condizioni che oggi l'Italia sarebbe disposta offrire.

386

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL RE VITTORIO EMANUELE III, A SAN ROSSORE 1

[Roma, 25 ottobre 1911].

Visti ultimi avvenimenti Tripoli3 credo che convenga seguire seguente programma. Fare ora ogni sforzo per distruggere al più presto nuclei di forze turche esistenti in Tripolitania a fine di provare al mondo che la conquista è definitiva. Dopo ciò proclamare la sovranità assoluta del Regno d'Italia sopra Tripolitania e Cirenaica.

Dopo tenendo pronta la marina e la truppa che potrebbe occorrere per occupare qualche isola si giudicherà quale azione di occupazioni o di blocchi possa occorrere per costringere la Turchia alla pace. In questa eventuale ulteriore azione converrà tener conto delle difficoltà internazionali che l'uno o l'altro mezzo di azione potrebbe suscitare.

Visto testé ambasciatore Pansa al quale ministro esteri ed io abbiamo date istruzioni soprattutto sul punto di volere che Italia abbia sovranità piena e intera.

2 Risponde al n. 382.

3 Cfr. n. 387.

386 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle Carte ... , n. 75, p. 70.

387

IL CAPO DEI SERVIZI CIVILI DI TRIPOLI DI BARBERIA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO 1

T. GAB. S.N./300. Tripoli di Barberia, 26 ottobre 1911, ore 15 (per. ore 18,35).

*Telegramma di V.E. ieri2*. A mio avviso avvenimenti confermano che il non avere potuto attaccare subito le truppe che si erano ritirate in modo disordinatissimo nella notte dal 4 al 5, dando evidente segno di demoralizzazione, ha permesso che esse si riorganizzassero, specialmente per l'aiuto degli ufficiali di Stato Maggiore giunti attraverso frontiera tripolo-tunisina. Truppe turche riorganizzate sono servite di incitamento alle tribù arabe e si sono riunite intorno ad esse. Entità complessiva di tali forze dovrebbe superare il numero di 6000 negli ultimissimi giorni riuniti intorno a Tripoli per tentare attacco generale.

Primo tentativo di attacco generale fu il 23 combinato con la sommossa in città e nell'oasi. La [prima priva Pdi importanza la seconda, [sintomatica )3 , per quanto si debba tener conto che vi si trovavano beduini ed arabi Gebel.

Ne deriva truppe nostre essere oggi immobilizzate perché insufficienti difendere città ed eseguire contemporaneamente contr'attacco lontano. Attacco generale avvenuto stamane brillantemente respinto *dopo combattimento durato cinque ore. Ove si ripetesse ancora, nostre truppe si troverebbero in difficili condizioni, non avendo mai avuto riposo dal giorno dello sbarco e potendosi ora dubitare che altre tribù si uniscano ai turchi*.

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. GAB. SEGRETO 4531. Roma, 26 ottobre 1911, ore 18,35.

Suo telegramma 117 1 . Mohamed Alì non ha alcuna relazione diretta con Ministero interno né alcuna corrispondenza con commendator Mercatelli. È semplice agente adoperato da dottor Insabato sotto sua responsabilità per riprendere antiche

2 T. riservatissimo 4493, non pubblicato.

3 Integrato sulla base del documento ed. in GALLI, cit.

398 relazioni con Senussi. Le istruzioni al dottor Insabato sono date dal Mercatelli per tramite Direzione Pubblica Sicurezza.

Insabato ha precise istruzioni di condurre sua missione all'infuori qualunque contatto con r. agenzia diplomatica la quale dovrà quindi rimanervi assolutamente estranea2 .

387 1 Il telegramma è stato utilizzato, con qualche ritocco di stile e con l'omissione dei brani fra asterischi, da GALLI, Diarii, pp. 119-120.

388 1 T. 6122/177 del 25 ottobre, non pubblicato.

389

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, NOBILI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 510/224. Monaco di Baviera, 26 ottobre 1911 (per. il 2 novembre).

L'auditore di questa nunziatura apostolica è venuto, oggi, a trovarmi per chiedermi una raccomandazione doganale per S.E. Monsignor Bisleti maggiordomo di Sua Santità, che rientra in Italia, dopo aver assistito, in rappresentanza del Santo Padre, al matrimonio del futuro erede al trono degli Asburgo con la principessa Zita di Parma. Ho annuito, senza difficoltà, alla di lui richiesta, in considerazione dell'alta carica occupata da monsignor Bisleti (futuro prossimo cardinale).

Monsignor Marchetti Selvaggiani è entrato subito sul soggetto dell'occupazione di T ripoli, entusiasta (così ha detto) per lo slancio, e per il gesto, e per il modo come l'azione fu condotta politicamente e militarmente. Ha fatto professione di fede patriottica e d'italiano, che vede come il prestigio dell'Italia si rialzi, deplorando poi che i giornali tedeschi ci abbiano a quest'occasione lanciate parole ed epiteti ingiuriosi, che son partiti dall'invidia dei nostri successi. Entrando poi addentro nella questione, ha voluto biasimare la condotta politica dell'Inghilterra, ch'egli non considera leale a quest'occasione, avendo (dice lui) permesso che dall'Egitto si lasci partire milizie per il confine per combattere le nostre truppe. Ha poi aggiunto che la condotta del Santo Padre a quest'occasione fu neutrale, quale doveva essere, ma ha permesso che il clero (arcivescovi e vescovi) manifestassero pubblicamente l'approvazione della alta missione civile e religiosa, benedicendo alle armi che pognano anche per la fede, che sarà propagata là, dove oggi domina l'Islam. Ha poi accennato con soddisfazione all'azione del Banco di Roma, chiamandolo cooperatore importante, e affermando che, nel detto banco, vi si trovavano impiegati che non eran altro che ufficiali del nostro Stato Maggiore (cosa che mi son permesso di dubitare). Insomma monsignore si è espresso come un soddisfatto della nostra impresa, per sé e per la fede ch'egli deve difendere come sacerdote. L'ho ringraziato per questo spirito di aperto e sincero patriottismo, e devo crederlo di buona fede. Abbiamo

quindi fatti voti insieme perché, fermi gli acquisti, tutto proceda per la meglio, nella speranza che una pronta ed onorevole pace sarà insomma non troppo lontana.

Dopo questo suo dire, monsignor Marchetti, e non davvero a mio invito, ha voluto attaccare col soggetto della conciliazione fra la Chiesa e l'Italia! Riferii già, in altro mio rapporto dell'anno scorso, le idee liberali espressemi da monsignor Marchetti quando lo conobbi. Ora dopo un'anno ritorna alla carica, di sua spontanea volontà, per parlarmi della necessità (dice lui) nel comune interesse dell'Italia e della Santa Chiesa di concludere una buona volta un atto che avrebbe tanto peso sui destini dell'Italia e della Chiesa. Questa volta però mi ha parlato senza tante reticenze, e, così, credo mio dovere di riferire in sunto a VE. quanto ebbe a dirmi. Egli si espresse presso a poco in questi termini: sono passati quarantun anni da che l'unità d'Italia fu un fatto compiuto a danno della Chiesa Cattolica, del poter temporale, del Sommo Pontefice, che non volle riconoscere gli avvenimenti e dovette adattarsi alla posizione impostagli, senza dare ascolto a proposte né a transazioni, non riconoscendo forza di diritto alle legge sulle guarantigie, impegno unilaterale. Ora a mio parere (è sempre lui che parla) i tempi son di molto mutati, e mentre la Chiesa ha sopportato la situazione impostale dagli avvenimenti e dal Governo d'Italia può, forse, oggi riconoscere le necessità dei tempi e transigere con decoro e con tutto il rispetto dovuto al suo prestigio, e venire ad un accomodamento con l'Italia. Non dico con questo che la Chiesa senta l'urgenza e la necessità d'una pacificazione col Governo italiano, perché come ha vissuto quarantun anni potrebbe tirare avanti dei secoli ancora, ma infine, per un alto ideale e per un quieto vivere, e per supremi interessi comuni con l'Italia, si potrebbe oggi riconoscere come benefica una conciliazione. A questo punto ho pregato monsignore di spiegarmi in modo un po' concreto in che cosa consisterebbe secondo lui la pacificazione fra la Chiesa e l 'Italia, in che termini a suo modo di vedere si dovrebbe procedere. Ecco egli dice, oggi sarebbe vano il rivendicar per la parte della Chiesa antichi diritti di dominii e di territori. Il fatto dell'Italia unita con Roma capitale è irrevocabile, né si discute, è volontà assoluta d'una Nazione, ma se ad una transazione si potesse venire, bisogna parlare di accordi, d'intese, di sistemazioni, con Roma capitale d'Italia ripeto (testuale). Dato questo tono e questo suo modo di vedere ho detto «mi spieghi meglio monsignore così all'amichevole quanto può mostrarmi di pratico su questo suo tema, affinché io possa capire con p[iù] esattezza e precisione il suo progetto». Ho seguitato allora io: «Il Santo Padre è libero può esercitare liberamente l'alto potere spirituale supremo a tutto suo bene placito, ha modesti ma sufficienti dominii, è in casa sua, può uscire e mai più d'oggi ha goduto di tanta libertà». Pur convenendo meco monsignor Marchetti ha ripetuto, devo insistere per mostrare la necessità di studiare un sistema di conciliazione pratica che faccia apparire ai cattolici dell'orbe il Sommo Pontefice in vera ed assoluta libertà e non sentir più così fuori d'Italia parlare di prigionia, che convengo non è sostenibile. Padre Tosti, veda, era un poeta, le concessioni in una transazione bisogna che siano possibili e pratiche per ambo le parti, e mi spiego: ripeto niente rivendicazioni di provincie né dello Stato pontificio (benissimo ho risposto) però si dovrebbe studiare se da parte dell'Italia non fosse possibile allargare il giardino del Vaticano (testuale) non molto,

veh! ed anzi escludo di fare allusione a tutta la città leonina, e quindi si dovrebbe studiare il progetto d'una strada libera fino al mare, come già fu altra volta studiata e portata avanti. Questa dovrebbe esser sotto la sorveglianza di guardie pontificie, e ad un tempo anche vigilata dalle truppe italiane. Soltanto in tal modo il Sommo Pontefice potrebbe considerarsi in effettiva libertà di fronte ai cattolici non italiani. Non ho fatto segni di approvazione, ma il Marchetti insistendo ha ripetuto ancora, questione creda da studiare e meditare seriamente. Inoltre, ha proseguito monsignore, il Vaticano dovrebbe avere ufficii postale e telegrafico suoi propri, e francobolli pontifici. Della legge sulle guarantigie che stabilisce un assegno annuo al Santo Padre, finora mai accettato, si dovrebbe invece rivedere e tener fermo sopra un compenso, ma sotto altra forma, capitalizzando in ragione dell'interesse quella somma e consegnando una volta per tutte un capitale proporzionato, che avrebbe il vantaggio di non fare apparire il Sommo Pontefice un salariato del Governo italiano, che poi può correre il rischio di esser sospeso dalla paga come un impiegato; mentre poi c'è anche da considerare che un'altra legge può sempre togliere quello che già quella delle guarantigie avea concesso. Sistemata così la transazione dell'indennità, dice lui, dovuta al pontefice per i redditi, palazzi, dogane da lui perdute con l'occupazione di Roma, credo che il Vaticano farebbe buon viso a questo modo di accomodamento. Tomo a ripetere (ha detto Monsignore ancora) è questo uno schema di proposta che reclama studio, ma che potrebbe riescire a portare a sommi interessi per la Chiesa e l'Italia riconciliate, e di ciò non è possibile dubitare.

Lasciando tutta la responsabilità del suo dire al mio interlocutore, gli ho chiesto, accademicamente, se tutto quello ch'egli mi aveva detto fosse realmente un'eco di alte voci, oppure idee tutte sue particolari. Monsignore mi ha risposto: il Santo Padre è tutt'altro che intransigente, ve lo posso assicurare, ed il suo entourage non ha vecchie idee, ed anche il cardinale Merry del Val, se la p/anche fosse pòrta con dignità di gesto, non disdegnerebbe oggi il discutere ed anche approvare; e, del resto, in questo caso, bisogna tener conto che la volontà suprema ed ultima sarebbe quella del Sommo Pontefice che, ripeto, è pro bono pacis.

Quanto poi a muovere i primi passi, aggiungeva monsignor Marchetti, a mio parere, spetta all'Italia? Volere o no il Sommo Pontefice lo avete spodestato e quindi, diciamo, la parte offesa e lesa è la nostra, e così ali' offensore, come vuole il vangelo, spetta porger la mano, ed in questo caso, per precisare, starebbe al Governo italiano fare le avances? Qui mi sono permesso d'interrompere, per dire che dato pure che lei monsignore rifletta idee che realmente predominino in Vaticano, senta se lo statu quo non disturba la Santa Sede, come ella mi ha affermato, per l'Italia non porta danno davvero e, così, non si sta poi punto male? Egli di risposta: no, no la conciliazione è di comune interesse, e dovrebbe farsi, e, fatta che fosse, l'Italia e la Chiesa compiranno un grand'atto per i loro destini. Monsignore ha continuato: creda pure, ministro, se le avances, con garbo e ben condotte, partissero dall'Italia, questa è la volta che approderebbero ad un resultato. Dopo l'occupazione di Tripoli, un altro bel gesto e l'Italia con la conciliazione con la Chiesa è la prima Nazione europea? A questo punto ho fatto capire a monsignore che non avevo davvero voce per intrattenermi su questo tema, se non in tono accademico ed amichevole, giacché tutto quello che pure potessi dire non sarebbero che idee personali d'un valore molto relativo. In ogni modo, insisto e concludo, ha detto monsignore, che lo schema per una conciliazione è quello che vi ho esposto, e può avere molta probabilità di riuscita. Ora però quello che occorrerebbe sarebbe un sacerdote che facesse i passi primi di sonda silenziosamente (lui?), e poi una persona di rango che andasse a trattare e metter le basi e vedrebbe che le avances non cadrebbero nel vuoto. Se questo mio dire potesse magari essere ascoltato, ripeto (sempre monsignore che parla) persona di grandissima fiducia dovrebbe andare al Vaticano a nome del Governo italiano. Si dovrebbe usare circospezione e segretezza senza di che si rischierebbe la critica e le apprezzazioni della stampa e del pubblico e si farebbe fallire l 'impresa. Segretezza la più assoluta, la persona adatta, scambi d'intese, e venuti alla firma ed alla conciliazione, far conoscere la grande notizia che farebbe non v'ha dubbio una impressione sensazionale in tutto il mondo. Guardarsi soprattutto dal far trapelare la cosa al Governo francese, e soprattutto all'ambasciatore di Francia a Roma, che potrebbe a mettere inciampi per far mancare la composizione progettata.

Mi sono da parte mia limitato sempre ad ascoltare e a lasciare libertà di parola a monsignore, ma non ho voluto neanche un momento ch'egli potesse supporre che ne avrei riferito a V.E.

So quanto sia delicata la questione e quanto si possa facilmente sbagliarsi prendendo posizione, e quindi quando monsignor Marchetti dopo un'ora di suo parlare ha accennato ad alzarsi, ho fatto altrettanto, ringraziandolo per l'espostemi sue idee, di cui gli ero grato, considerandomi così da lui instruito sopra a progetti di cui io non potevo neanche fare in fondo né apprezzazioni, né esprimere un personale parere.

Ora, pur non dando una superiore importanza a quanto monsignor Marchetti ha voluto dirmi di sua spontanea volontà su materia tanto delicata, quale la Conciliazione fra la Chiesa e l'Italia, credo di aver ben fatto tenendomi sul vago e, dirò, sulla difesa. Quello che è da notare che questa volta non è stato un discorso casuale in occasione di ritrovi, ed il Marchetti è venuto da me mettendo avanti idee chiare, e concrete proposte, ed è perciò da ritenere che sia venuto per tastar terreno (con poco successo nel caso) e per sentire se, come si suo l dire, se la mattonella rendesse, oppure egli ha creduto, nella sua idea, che la sua mossa potesse portare eventualmente a trattative, dove egli potrebbe assicurarsi l'iniziativa nella speranza anche d'un successo.

Il Marchetti è del resto persona conosciuta, e la stampa ultimamente quando lo seppe a Roma gli attribuì missioni segrete, che la stampa clericale ebbe a smentire. È certo una persona di grande intelligenza ed astuzia, e non da considerarsi uno «scagnozzo» che parli a caso.

Per parte mia starò alle istruzioni che piacesse a V.E. di darmi, pronto s'intende a qualunque decisione. In attesa ho usata la massima prudenza e circospezione, necessarie nel caso, e così spero di essere almeno fin qui approvato sulla condotta tenuta.

388 2 Per il seguito cfr. n. 391.

390

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE S.N./153. Sofia, 2 7 ottobre 1911, ore 11 (per. ore 12,05).

Persona di cui al mio telegramma n. 133 1 è tornata iersera da Costantinopoli. Ha avuto due lunghe conversazioni con Assirn bey e mi ha riassunte le sue impressioni nei seguenti punti: l) Assim bey è in pieno accordo con Sai d pascià, ne gode la fiducia e l'appoggio e non fa né dice nulla senza consultarlo; 2) si mostra desideroso della pace; 3) appare riluttante dal formulare egli stesso le condizioni di pace e desidererebbe conoscere le nostre idee sulle concessioni che potremmo fargli; 4) rispetto alla questione della sovranità non si mostra intransigente, ma vorrebbe che l 'Italia trovasse una formula tale da soddisfare il Parlamento otto mano; 5) in generale si mostra timoroso del Parlamento e quindi in preda alla più grande incertezza; 6) come interesse personale aspira al posto di Roma e non ha nascosto la propria impazienza che il conflitto finisca per poterlo ottenere; 7) ha ripetuto più volte il suo desiderio di attaccarsi con me. A tale intento egli aveva dapprima pensato a venire a Sofia col pretesto di presentare le sue lettere di richiamo, ma il gran visir non ha creduto possibile !asciarlo partire, nemmeno per tre giorni in questo momento.

Egli quindi mi ha fatto proporre di recarmi io a Costantinopoli sotto falso nome con passaporto che mi farebbe a mia richiesta rilasciare da questa legazione di Turchia. Ove VE. lo ritenga opportuno io sono pronto tentare questo passo che dall'insieme delle cose riferitemi potrebbe forse condurre all'apertura dei veri negoziati di pace. Ma affinché io possa far opera di qualche utilità converrebbe che VE. mi desse qualche più precisa indicazione sulle concessioni che il R. Governo sarebbe intenzionato di fare vista la ripugnanza di Assim a formulare i desideri del Governo ottomano a tale riguardo. A tale intento forse sarebbe più pratico un mio colloquio con VE. e con altre persone competenti che non scambio di comunicazione telegrafiche. Se VE. lo desidera io sono [pronto F a recarmi a Roma perché la situazione è qui pienamente tranquilla e l'arrivo di Galanti assicura a Nani-Mocenigo la possibilità di provvedere oltre che al servizio della r. legazione anche alla rapida trasmissione delle notizie provenienti dai nostri diversi informatori e da Garbasso. Su quanto precede attenderò le istruzioni che piaccia all'E.V. di darmP.

2 Integrazione del decifratore.

3 Per la risposta cfr. n. 394.

390 1 T. 6035/133 del 22 ottobre, non pubblicato.

391

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PERSONALE 1848/704. Il Cairo, 2 7 ottobre 1911 1.

Ringrazio la E.V. per il suo telegramma n. 4531 2 , che ho ricevuto stamane. Mi ero deciso a domandar notizia circa le relazioni che il Mohamed Ali mi ha affermato da vario tempo di avere col commendator Mercatelli, per quanto la cosa mi sembrasse poco probabile, pel fatto che stimavo necessario porre V.E. a conoscenza di una eventuale corrispondenza che poteva aver luogo a sua insaputa e pertanto senza che il commendatore Mercatelli avesse modo di giudicare con quanta riserva sia necessario di accogliere quanto riferisce il suddetto interprete onorario. Per quanto riguarda la missione lnsabato son più che lieto di apprendere che la stessa deve svolgersi, per volere del R. Governo, all'infuori di qualunque contatto con questa r. agenzia, perché così mi è tolta ogni responsabilità circa i risultati d'un'azione che, dal modo come venne iniziata, mi ha fatto dubitare della possibilità di un qualsiasi successo. Non vorrei che V.E. potesse interpretare il mio contegno attuale come determinato da una specie di risentimento o di rivalità verso il dottor Insabato. Fui mosso nelle comunicazioni precedenti e particolarmente nel mio rapporto n. 1786/676 del 18 corrente3 da ben diverse considerazioni: quelle appunto di rinnovare il ricordo di passati avvertimenti dati dal titolare di quest'ufficio per evitare

o prevenire possibili difficoltà con le autorità locali e non perdere quegli aiuti che possono venirci anche da altre parti.

Ripeto che, personalmente io non conosco il signor Insabato, so anzi, da precedenti trovati in archivio, che si tratta d'una persona intelligente ed in grado di rendere dei servizi. Mentre pertanto non potrei che rallegrarmi nel veder adoperate pel bene del paese persone che possiedono la dovuta competenza, avrei ritenuto di mancare al mio dovere ed agli obblichi che mi derivano dal posto che occupo in questo momento se non avessi segnalati alla E. V. quei motivi pei quali a mio giudizio il dottor Insabato può trovare degli ostacoli non indifferenti alla propria missione. Primo fra tutti è quello di accordare una fiducia soverchia a persone che sono note alle rr. autorità per la loro mancanza di sincerità: se nell'opera di questa missione vien ricorso a sifatte persone, dovere di questo ufficio era d'avvisare il signor Insabato, o meglio il R. Governo. E questo ho fatto.

Coperta così la mia responsabilità personale e quella di questo r. ufficio, non posso che augurarmi di veder raggiungere al dottor Insabato il massimo successo, perché ciò costituirebbe un vero servigio agli interessi del nostro paese.

Cfr. n. 388. 3 Non pubblicato.

Rimango frattanto in attesa di conoscere il parere di V.E. circa alcune proposte che le ho trasmesse circa azioni analoghe a quelle che furono affidate al signor Insabato, su cui riferisco con speciale rapporto4•

391 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

392

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1849/705. Il Cairo, 27 ottobre 1911 l.

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 4392, in data 21 corrente2 , al quale ho data parziale risposta con quello spedito le il successivo giorno, sotto il n. 1103 .

La questione dell'invio dall'Egitto di emissari abili ed onesti in Tripolitania e Cirenaica rappresenta un problema di grande difficoltà, la cui soluzione richiederebbe se non altro una lunga ed accurata preparazione. Ho accennato anzitutto in detto telegramma agli ostacoli che le condizioni del paese oppongono ad un simile invio. È inutile ch'io ripeta descrizioni delle vie che conducono dall'Egitto all'estremo lembo dell'hinterland tripolitano od alla Cirenaica, perché dette vie sono ben note alla E.V. Le carovaniere che conducono da Kharga, dal Fayum e da Siwa a quelle regioni sono delle più malagevoli e delle meno frequentate. Si sa che non vi possono viaggiare altro che persone avvezze ad ogni privazione e rotte a qualsiasi fatica. Pertanto da Kufra in su, tutti i centri abitati fino alla costa comunicano generalmente solo coi porti della Cirenaica e della Tripolitania. Anche tra Giarabub e Kufra la via più comunemente battuta si indirizza anzitutto ad occidente, prima di rivolgersi al sud.

Sifatte difficoltà naturali, che furono rilevate anche da S.A. il kedive nelle comunicazioni che mi ha incaricato di fare a V.E., fanno sì che i rapporti tra l'Egitto e le regioni con cui confina ad occidente abbiano esclusivamente luogo, con una certa frequenza, lungo la costa mediterranea soltanto, per la strada che conduce ai porti della Cirenaica, o tutt'al più per quelle che si diramano da Giarabub.

Dato perciò che riuscisse in breve tempo di trovare le persone adatte bisognerebbe certamente avviarle da qui a Bengazi, da dove, con opportune istruzioni potrebbero mandarsi nell'interno. Far loro compiere il viaggio per le vie carovaniere che conducono all'hinterland sarebbe troppo pericoloso, specialmente per persone che dovessero viaggiare con somme di denaro, esposte cioè alle depredazioni dei beduini nomadi la cui indipendenza è di fatto assoluta.

2 Cfr. n. 369.

Cfr. n. 374.

Ho pertanto accennato alle offerte di Sua Altezza, da me comunicate la settimana scorsa ed alle proposte fatte al cavalier Nacouz da un capo dei Medania. Quest'ultimo è però persona poco conosciuta a quest'agenzia ed i suoi servigi non potrebbero accogliersi senza le dovute garanzie. Più pratico, per l'azione da esercitarsi su quella setta, apparirebbe valersi della persona che il kedive si è offerto far partire da Costantinopoli. L'autorità di questa è indiscussa e d'altra parte prima di porla in contatto coi suoi aderenti si avrebbe la possibilità di conoscerne più sicuramente le intenzioni. Le somme necessarie verrebbero corrisposte, salvo quelle per permetterne la partenza dalla Turchia, solo dopo l'arrivo a Tripoli dove le autorità doverebbero regolarne e sorvegliarne le mosse.

Il kedive potrebbe d'altra parte trovarci qui degli emissari di fiducia, per quanto non ritenga che la cosa possa essergli molto facile. Si tratta infatti di trovare persone che diano un doppio affidamento, quello dell'onestà personale e quello della fedeltà ai nostri propositi ed interessi.

Io non tralascio intanto di studiare la possibilità di dar esecuzione alle istruzioni dell'E.V. anche senza ricorrere alla cooperazione di altri, per quanto vantaggiosa e promettente, ma il cavalier Nacouz che per il lungo soggiorno in questi paesi, la conoscenza dell'ambiente locale e la sua qualità personale, ha maggior competenza di quella ch'io non possa essermi procurata dopo un breve soggiorno in Egitto, mi ha detto che le sue idee concordano in questo perfettamente con le mie, e cioè che non sia assolutamente possibile fare di questo paese un centro di relazioni con la Cirenaica e Tripolitania e che solo sia il caso di vedere se non sia dato trovare qualche persona adatta da inviare presso i rr. rappresentanti in quelle regioni affinché se ne valgano in un'opera di pacificazione, contemporaneamente ai provvedimenti di carattere militare.

È indubbio che l'agitazione delle tribù tripoline, abituate da secoli ad assoluta indipendenza e sulle quali la stessa Turchia, malgrado la comunanza di religione, non è riuscita in molti anni ad estendere una dominazione effettiva, perdurerà fin tanto che tra esse rimangano rappresentanti ed armati del precedente governo. Il timore e le sobillazioni molto possono su popolazioni così lontane ancora dalla civiltà moderna, sicché non è a prevedersi che la sottomissione sincera di dette tribù possa avvenire finché tra esse si trovino tuttora truppe ottomane. La vera azione per rendercele amiche e per conquistarne la fiducia potrà svolgersi quando il paese sia liberato da coloro che rappresentavano il Governo turco; allora probabilmente le prove di interessamento e la giustizia del nostro Governo potranno avere effetti rapidi e certi.

Nella ricerca di persone adatte ad una simile azione io non mancherò di valermi anche dell'opera di rr. consolati d'Egitto: devo far tuttavia notare che tutti si trovano ad enorme distanza dalle frontiere dei nostri nuovi possedimenti e che temo pertanto manchino essi pure di sufficiente preparazione per render possibile quanto desidera il Governo di Sua Maestà. Purtroppo tutti i rr. uffici in Egitto han dovuto lamentare da anni troppa scarsezza di personale perché al R. Ministero non sia noto come quei funzionari che avrebbero per missione precipua di mantenere le necessarie relazioni col mondo indigeno, abbiano dovuto occuparsi invece quasi esclusivamente di lavori estranei e sian stati obbligati di trascurare quelli ai quali dovevan esser particolarmente destinati.

Mentre attenderò di conoscere il parere dell'E.V. su più recenti proposte, ricordo anche quella che ho trasmessa col rapporto del 3 corrente, n. 1684/6434 , per parte di certo Saleh bey Khalidi, il quale mi ha affermato di esser ben noto al commendator De Martino e di aver avuto in passato qualche vaga promessa d'impiego per parte del R.Governo. Mi riservo ad ogni modo di comunicare i risultati eventuali delle indagini che sto facendo 5 .

391 4 Cfr. n. 392.

392 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

393

IL SIGNOR INSABATO,

A···'

L. Il Cairo, 2 7 ottobre 1911.

Ieri si recarono a casa di Mohammed Ali Elui bey, il vice sirdar Mister Steeg e il capo dell'ufficio d'informazioni del Sudan Naum bey Scioeri, e francamente gli dissero che desideravano sapere da lui se era vero che i senussi avevano ricevuto ordine dal gran capo di far la guerra santa agli italiani, poiché il Governo inglese era assai impensierito di tale eventualità che potrebbe scatenare una rivolta anche nel Sudan inglese, contro la quale il Governo voleva premunirsi o accordarsi per un'azione comune con l'Italia oppure con accordi diretti coi senussi.

Il Mohammed Ali rispose che tutte [le] voci che ad arte sono sparse dai turchi non hanno alcun valore, poiché il Gran Senussi non può ancora, causa la distanza, essere informato della guerra, egli aggiunse che non sapeva che cosa l'Italia pensasse dei senussi, né quale contegno ella terrà con loro, ma egli però come senussita poteva assicurare che i senussi non piglieranno posizione contro l'Italia se essa dimostrerà di non voler fare una guerra religiosa. Mister Steeg chiese poi al bey se poteva procurargli i trattati fatti un anno fa dalla Turchia collo sceik Idrissi nel Yemen, il bey rispose di averli pubblicati allora, per incarico dello sceik Idrissi, nel giornale il Mokattam, e siccome Naum bey Scioeri disse di aver cercato invano quei giornali, così il bey gliene diede una copia.

Mister Steeg disse poi al Mohammed Ali Elui che in questi giorni l'Italia ha definitivamente ceduto al Governo anglo-egiziano la baia di Solum, che sarà al più presto occupata dai soldati egiziani. Infatti il 26 sono partiti segretamente da Cairo al comando di ufficiali inglesi 900 soldati di fanteria, 6 cannoni e un distaccamento

Port Bardia e Ras el Melh e quindi oltre il Gebel Hagar Solum, che è una catena rocciosa, che dovrebbe costituire il confine.

Il promontorio di Ras-el-Melh (capo del sale) è caratteristico, poiché a quel punto le parti più alte dell'altipiano sorpassano 300 metri, e la strada del litorale deve dar la scalata all'altipiano mediante un sentiero tagliato a gradini. Questa particolarità è quella che fece dare dai greci della Cirenaica, il nome di Catabartos Megas (grande discesa) a tutto il promontorio, fino a Ras-el-Melh, mentre gli arabi che venivano dall'Egitto gli diedero il nome che conserva tuttora di Acabet el Kebir (la grande salita). Queste alture scoscese e la profonda fenditura del litorale formata dal golfo possono essere un ottimo confine, ma è necessario che l'Italia domini la parte più alta, per potere in qualsiasi eventualità futura impedire un'invasione. Mi sono procurato alcune carte che possono aiutare a studiare meglio la questione dei confini, le due carte riguardanti il Darfur sono state tirate solo a cinque o sei esemplari. Accludo anche una riproduzione di una rarissima carta del 1707 e che è stata riprodotta per conto del Governo anglo-egiziano2 .

(200) di cavalleria. Pare che abbian ricevuto l'ordine di non limitarsi ad occupare Bir Gareb e Bir Saida, ultimi forti turchi, e il villaggio di Solum, ma di occupare anche

392 4 Non rinvenuto. 5 Per il seguito cfr. n. 417. 393 1 La lettera era indirizzata presumibilmente al direttore di P.S. che, a sua volta, l'avrebbe inoltrata al Mercatelli: al riguardo cfr. n. 388.

394

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI

T. 4573. Roma, 28 ottobre 1911, ore l.

Suo telegramma n. 153 1• Quanto alle condizioni di pace noi siamo oggi disposti a largheggiare in concessioni morali e materiali, ma più a lungo durerà la guerra, tanto meno potremo fame. -Noi non possiamo consentire alla sovranità neanche nominale del sultano. Se per salvaguardare l'amor proprio turco si trova una formula soddisfacente, siamo disposti ad esaminarla. La migliore sarebbe quella dell'accordo austro-turco del 26 febbraio 1909, cioè che la Turchia non fa atto di cessione di territorio, ma regola le conseguenze d'un fatto compiuto.

Se Assim bey contribuisse alla pace sulle basi da noi ritenute indispensabili, che del resto corrispondono ai veri interessi della Turchia, saremo ben lieti di averlo come ambasciatore a Roma, tanto più che eliminata la questione di Tripolitania, sarà nostro grande interesse cooperare alla consolidazione e al bene della Turchia.

Unico modo naturale di un colloquio tra lei ed Assim bey è che questi si rechi a Sofia per presentare le lettere di richiamo. Non è possibile l'andata di lei a Costantinopoli, almeno finché continuano le conversazioni di cui han preso l'iniziativa i nostri alleati.

Al Ministero ottomano degli affari esteri debbono già essere note le nostre condizioni di pace, che a mezzo del Gabinetto di Berlino furono comunicate a Marschall.

La sua venuta a Roma potrebbe essere utile forse più tardi, ma ora il meglio mi pare che ella trovi intanto modo di far sapere ad Assim bey quanto sopra.

393 2 Attualmente il fascicolo conserva soltanto una carta in due fogli, Ras Bulan to Alexandria, Il 250.000, s.d.

394 1 Cfr n. 390.

395

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 4576. Roma, 28 ottobre 1911, ore 11.

Suo telegramma n. 445 1• Conferirò coi ministri guerra e marina e col presidente del Consiglio. Come prima informazione le proposte turche mi pajono pericolose ed inaccettabili. In qualunque modo poi sarebbe indispensabile stipulare facoltà di far cessare neutralizzazione e riprendere libertà d'azione con equo preavviso in qualunque periodo della guerra. Per ora intanto in attesa che sia fatto, se si farà, l'accordo per la neutralizzazione, ci riserviamo piena libertà d'azione, pur volendo servircene tenendo il debito conto degli interessi dell'Inghilterra. Non fa così l'Inghilterra che dà in Egitto ad Aden ed altrove interpretazioni diverse e contradittorie ai doveri della neutralità adottando in ogni luogo quella che più conviene alla Turchia e che più danneggia noi.

396

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO, A COSTANTINOPOLI 1

T. 4583. Roma, 28 ottobre 1911, ore 20,30.

Per norma del suo linguaggio e delle pratiche da fare tengo a chiarire quanto segue: l) non s'illuda la Turchia sull'eventuale limitazione delle nostre operazioni militari. Noi abbiamo consentito solamente ad escludere le coste dell'Albania e

dell'E piro e niente altro. Pare difficile mettersi d'accordo sulla neutralizzazione sempre però denunziabile del Mar Rosso, ma anche se si facesse resteremo liberi per tutto il resto dell'Impero; 2) non s'illuda la Turchia di migliorare le condizioni di pace prolungando la guerra che anzi le peggiorerà radicalmente, essendo già cominciata in Italia una viva agitazione contro qualsiasi compenso.

395 1 T. 6237/445 del 27 ottobre del quale si pubblica il seguente brano: «È giunta risposta da Costantinopoli circa neutralizzazione Mar Rosso. Governo ottomano chiede libertà trasportare truppe dall'uno all'altro dei suoi porti litorale Mar Rosso. Chiede inoltre poter trasportare sicuramente soldati congedati in qualche suo porto Mediterraneo».

396 1 Il telegramma fu trasmesso via Sofia.

397

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6298/597. Vienna, 29 ottobre 1911, ore 2, 15 (per. ore 15,10).

Telegramma di V.E. n. 4568 1•

Che il R. Governo non possa accettare altra soluzione che l'annessione pura e semplice della Tripolitania, mi sembra che ormai tutte le Potenze lo abbiano compreso. Soltanto credo ritengano che per poter agire utilmente a Costantinopoli bisogni aspettare che la nostra occupazione in Tripolitania sia progredita e che Governo ottomano debba riconoscere che una ulteriore resistenza militare in Tripolitania è impossibile e inutile.

Quindi mi pare che pel momento le Potenze desiderino che noi non estendiamo il teatro della guerra e che la Turchia non si abbandoni a rappresaglie contro i rr. sudditi nel resto dell'Impero ottomano. Per quel che riguarda specialmente l'AustriaUngheria credo che tale appunto sia il pensiero del conte Aehrenthal. Se noi agiamo in tal senso non dubito che potremo contare sull'appoggio leale della Monarchia per ottenere possibilmente la pace sulla base da noi desiderata. Altrimenti la nostra strada diverrebbe irta di pericoli.

Io non sono competente a giudicare se dal punto di vista tecnico militare una nostra azione contro le isole dell'Egeo ed i porti del!' Asia Minore potrebbe rappresentare una coazione capace di ridurre all'impotenza la Turchia e di obbligarla a fare la pace come noi vogliamo. Però a me pare che finché Costantinopoli e tutta la Turchia europea sono al coperto dai nostri attacchi, la nostra azione non produrrà che effetti militari secondari.

Ma dal punto di vista politico credo che una nostra azione nell'Egeo o altrove e occupazione momentanea di isole invece di affrettare la pace non potrebbe che prolungare la guerra. Turchia sarebbe condotta in seguito a ciò a persistere vieppiù nel suo contegno intransigente a nostro riguardo ed a prendere verso i sudditi italiani

410 provvedimenti estremi che inasprirebbero maggiormente situazione. D'altra parte quelle nostre operazioni militari potrebbero avere per conseguenza coll'estendersi teatro della guerra di aumentare e non già di diminuire i pericoli di gravi complicazioni nei Balcani che è nostro precipuo interesse, e interesse di tutta Europa, di evitare in modo assoluto.

È bensì vero che il recente accordo stabilito fra l'Austria-Ungheria e noi concerne solo l'esclusione delle coste albanesi dal teatro della guerra. Ma sarebbe arrischiato il volere dedurre da ciò che Austria-Ungheria ci lasci libertà d'azione completa per tutto il resto, anzi io ho ragione di credere che conte d'Aehrenthal vedrebbe di molto mal occhio ogni nostra azione nell'Egeo e che questo potrebbe modificare le benevoli sue disposizioni a nostro riguardo. Per cui a noi conviene di evitare ad ogni modo una tale azione, che non potrebbe certo che turbare nostri buoni rapporti con Austria-Ungheria e ciò si può anche arguire dagli articoli di giornali ufficiosi da me segnalati a V.E. con telegrammi nn. 559 e 56!2.

Per quel che riguarda l'interpretazione dell'articolo 7 del trattato d'alleanza io riconosco che si può discutere se la nostra occupazione temporanea durante la guerra di una isola nell'Egeo vi sia compresa e potrebbe forse anche darsi che AustriaUngheria consentisse a risolvere la questione negativamente. Ma credo che ciò costituirebbe un precedente pericolosissimo per noi che abbiamo interesse a stabilire in via assoluta che la Monarchia non può fare passare la frontiera della BosniaErzegovina ad un suo uomo per nessuna ragione, senza essersi preventivamente messa d'accordo con noi ed averci accordato il debito compenso. Stabilire anche una sola eccezione, potrebbe significare aprire la porta da cui la Monarchia passerebbe per eludere l'impegno assunto con articolo 7.

In conclusione secondo il mio subordinato parere noi dovremmo restringere il nostro compito alla sola Tripolitania e Cirenaica e consolidare la guerra come ultimata per ciò che ci riguarda non appena che avremo ridotto all'impotenza le truppe regolari turche.

Assicurato che avremo così il possesso di quella regione, spetterà allora alle Potenze, nelle cui mani dovremmo rimetterei, di indurre Turchia a fare la pace alle condizioni da noi richieste.

Siccome tutte le Potenze hanno un interesse quasi maggiore del nostro di por termine al più presto alla guerra, noi non possiamo dubitare che si adoprerebbero alacremente in tal senso per evitare che noi fossimo costretti a ricorrere ad azione decisiva nell'Egeo come arma estrema, che da loro non è desiderata, qualora Sublime Porta rifiutasse di rassegnarsi all'annessione all'Italia della Tripolitania e Cirenaica. E che tale sia l'intenzione delle Potenze stesse, lo dimostra chiaramente la simpatia con cui accolsero l'iniziativa presa di recente dal conte d'Aehrenthal.

397 1 T. del 27 ottobre, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva un parere sulle reazioni dell'Austria-Ungheria ad eventuali operazioni nell'Egeo.

397 2 TT. 5926/559 e 5955/561 rispettivamente del 19 e del 20 ottobre, non pubblicati.

398

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1862/712. Il Cairo, 29 ottobre 1911 1.

Faccio seguito al mio telegramma di questa notte, n. 1222 , col quale ho brevemente riferito a VE. le cose dettemi ieri da S.A. il Kedive, che appositamente mi ha chiamato ieri alla sua residenza di Montazah, presso Alessandria.

Sua Altezza mi disse che, come aveva preveduto fin dall'inizio, l'apparente sottomissione delle tribù arabe della Tripolitania e Cirenaica nascondeva il proposito di tradimento, trattandosi di persone avvezze da secoli ad una indipendenza quasi assoluta ed use a non piegarsi che davanti alla forza. Ora la presenza delle truppe ottomane e l'abile preparazione degli ufficiali turchi, i quali non ometteranno alcun mezzo persuasivo ed alcuna menzogna per far credere alle tribù che l'Italia mira esclusivamente alla loro distruzione ed a quella della loro religione e delle loro famiglie, contribuisce a far loro mantenere un atteggiamento bellicoso. Sifatto atteggiamento cesserà quando il paese sarà liberato dall'esercito ottomano, senza però che possano modificarsi i sentimenti degli arabi a nostro riguardo, perché questi, e specialmente i beduini, tengono troppo alla loro indipendenza e sono troppo refrattari a qualsiasi dominazione, sia essa ottomana od italiana, per credere che possano esser vinti con altri mezzi che non siano il timore e lo spiegamento d'una forza contro cui la lotta si manifesti impossibile. In seguito, quando l'Italia sarà completamente padrona della regione, potrà iniziare quei lavori di interesse pubblico che dimostreranno alla popolazione le vere sue intenzioni e contribuiranno più d'ogni altra cosa a renderle più civilizzabili. Sua Altezza mi ha accennato alla propria esperienza fatta sulle proprietà che possiede verso il confine della Cirenaica, dove la popolazione beduina rimase lungo tempo in attitudine pressoché ostile e fu trattenuta per vario tempo solo per timore di punizioni severe, mentre soltanto ora, dopo ben una diecina di anni, comincia a rendersi conto dei benefici che ricava dai lavori eseguiti sulle proprietà stesse e può ritenersi interamente pacificata quanto affezionata al nuovo padrone.

A tal proposito Sua Altezza mi ha espresso il dubbio che le nostre operazioni militari possano esser condotte con soverchia lentezza, giacché per quanto risulti chiaramente che i nostri generali non vogliono esporsi senza ragione apparente a perdite di uomini, le truppe turche ne profittano per organizzare più seriamente la loro resistenza e per accaparrarsi l'appoggio delle tribù indigene mediante la propagazione nell'interno di fantastiche notizie sui danni che loro deriverebbero dall'occupazione italiana.

398 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 T. riservatissimo personale 62771122 del 28 ottobre, non pubblicato.

Parlando dei passaggi di ufficiali turchi attraverso l'Egitto per recarsi in Cirenaica, il kedive mi disse che il Governo locale, seguito in questo dalle autorità inglesi, le quali avrebbero precipuamente in mira di non dimostrarsi troppo contrarie al volere della pubblica opinione, ma piuttosto di assecondarlo, non può opporvisi con efficacia e che pertanto sarebbe necessario organizzare un'opportuna sorveglianza lungo il confine per fermare coloro che l'attraversarono. Le difficoltà dell'organizzazione appaiono di certo. Anzitutto Sua Altezza, pel fatto che nessuno sbarco di italiani è avvenuto a Sollum, dove pure esiste in un ottimo forte una guarnigione turca di appena trenta uomini che aiutano al loro arrivo gli ufficiali ottomani, ritiene che, se non esiste anche un espresso accordo italo-inglese al riguardo, l'Italia si preoccupi di non far sorgere in questo momento alcun incidente per una questione che non è risoluta. Tuttora, malgrado l'Egitto abbia sostenuto il contrario, i turchi occupano Sollum con un forte sull'alto della montagna, un deposito in basso presso il mare e perfino un fortilizio a due miglia di distanza in direzione di Alessandria. Perciò la base di operazione per tale servizio di sorveglianza, che data la natura del terreno potrebbe eseguirsi solo mediante truppe, possibilmente indigene, montate su cammelli corridori, dovrebbe trovarsi a Tobruk. Tobruk dista dal confine due giorni ed una notte per cui lungo la strada dovrebbe esservi almeno un fortilizio collegato col telegrafo da ambe le parti. La sorveglianza verso l'interno, lungo il confine, dovrebbe estendersi per quaranta o cinquanta chilometri almeno anche pel fatto che la stagione invernale è più propizia che non l'estiva ai viaggi nell'interno. Resterebbe poi sempre l'oasi di Giarabub cui si accede in soli due giorni da Siwa per una strada carovaniera piuttosto agevole. Il servizio di sorveglianza dunque dovrebbe completarsi con uno speciale servizio di informazioni stabilito in Egitto e precisamente a Marsah Matruh dove ha termine la ferrovia del Mariut, in un'altra località situata più avanti verso Sollum, ed infine a Siwa. Gli informatori dovrebbero avvertire mediante le linee telegrafiche di Siwa e Marsah Matruh dei passaggi di ufficiali e vettovaglie che verrebbero abbastanza in tempo a notizia del R. Governo, data la lunghezza del viaggio. Il kedive mi disse che per quanto ha saputo, la maggior parte degli ufficiali in viaggio per la Cirenaica non conoscono affatto il paese dove sono diretti e ne ignorano la lingua. Troveranno nondimeno il modo di rafforzare la resistenza profittando della credulità degli arabi. È certo ch'essi sono del tutto privi di armi. Tra questi certo Arif bey, (accompagnato da Adham pascià, generale in ritiro, e da Nachab bey, ambedue siriani di Aleppo), sarebbe partito ieri alla volta di una località della Cirenaica, chiamata Zauia El Bada, che sarebbe una posizione molto elevata e di facile difesa anche con poche forze. Un maggiore turco si troverebbe già qui per recarsi in Cirenaica come capo di Stato Maggiore.

Da informazioni che Sua Altezza avrebbe avute le forze turche sarebbero maggiori in Cirenaica, dove possono contare sulla popolazione che è più fanatica e di sentimenti più indipendenti di quella tripolina, e si concentrerebbero secondo ogni probabilità in una località, detta Zauia Missous, situata sulla via tra Bengazi e Kufra a tre giorni di marcia al sud di Bengazi ed a due giornate da Dema.

Il kedive avrebbe poi saputo che certo Faher Bey sarebbe passato in Tripolitania dal lato della Tunisia. Faher Bey, ostile al regime giovane turco, si sarebbe posto al servizio del sultano del Marocco da dove la Francia ne avrebbe ottenuto il licenziamento; anche di recente egli stava occupandosi ad aiutare con l'invio di armi gli insorti albanesi, ma appena dichiarata la guerra si sarebbe riconciliato a Parigi con Fethy bey (addetto militare a Parigi e designato al comando delle truppe in Tripolitania) col quale aveva vecchi rancori, e sarebbe con lui partito per la Tunisia. Del resto alcuni degli ufficiali che si propongono di andarci a combattere in Tripolitania

o Cirenaica sarebbero persone poco ben viste al Comitato Unione Progresso, che sperano in tal modo di cattivarsene l'amicizia e di farsi in seguito ripagare le proprie dimostrazioni di lealismo con qualche posto ben retribuito.

Per quanto riguarda l'opposizione degli arabi alla nostra occupazione Sua Altezza mi disse anche di ritenere che, se proprio non apertamente nemici, i senussi dovranno esserci senza dubbio poco favorevoli; essi infatti troppo pretendono ad un potere politico per ammettere sopra di loro la costituzione di un forte governo che renderebbe nullo sifatto potere. Egli perciò, malgrado avesse espresso in addietro un'opinione diversa, non crederebbe cosa consigliabile di cercare ora l'amicizia ed in ispecial modo di procurarsela mediante pagamenti di qualche somma od invii di doni. Tutto verrebbe accettato e ricambiato con buone parole, mentre potrebbe sollevare l'impressione che il nostro pacifico atteggiamento derivi dalle difficoltà in cui ci si troverebbe e dal nostro timore esagerato della loro potenza. Perciò ora Sua Altezza non avrebbe neanche più fiducia in una azione verso i medania, che pure aveva suggerita. Io ho profittato dell'occasione per chiedere al kedive se non avrebbe creduto cosa possibile far andar nell'interno della Cirenaica e Tripolitania, qualche fedele emissario con l'incarico di spiegare agli arabi ed ai vari capi religiosi i propositi del Governo italiano. N'ebbi in risposta che la cosa nel momento attuale non sarebbe, a suo avviso, possibile, perché, dato pur di trovare le persone indicate a simili missioni di fiducia, i nostri inviati si renderebbero subito sospetti alle popolazioni che son use ad altri discorsi da parte delle autorità ottomane, dalle quali, o dagli arabi stessi, verrebbero probabilmente uccise. Ancor meno opportuni sarebbero, secondo il kedive, gli invii di denaro che servirebbero ad aumentare i fondi destinati alla resistenza. Il kedive stesso poi disse spontaneamente che in ogni caso simili missioni dovrebbero mandarsi in seguito dai porti della costa, il loro viaggio dai paesi confinanti riuscendo, per le difficoltà stesse del terreno e le grandi distanze, pieno di ostacoli ed assai pericoloso. Da tutto ciò egli ha concluso che l'Italia, pel momento, non dovrebbe contare che sulle forze militari per raggiungere al più presto un'occupazione definitiva ed incontrastata che darebbe agli arabi un salutare timore della nostra forza.

Ho poi saputo che il Comitato pro-Turchia, presieduto dal principe Ornar Tussun, ha deciso di destinare i fondi raccolti in Egitto alla spedizione di vettovaglie in Cirenaica. Nulla del denaro raccolto verrebbe spedito a Costantinopoli, dove il passato diede prova della rapacità dei funzionari della metropoli. Il Comitato, ciò che del resto fu già pubblicato sui fogli locali, ha nominata a tale scopo una commissione che ha piena libertà d'azione. Per la materialità degli invii venne adottato un sistema che toglie dall'imbarazzo il Governo locale; furono cioè fatti dei contratti con commercianti egiziani, che sono già in relazione d'affari con quelli di Cirenaica, per l'invio di determinate quantità di vettovaglie che devono esser consegnate ai rappresentanti o destinatari nella Cirenaica stessa. Già trecento cammelli carichi sarebbero partiti in questi giorni ed una seconda carovana è pressoché pronta. In tal modo il Comitato non ha bisogno di organizzare la spedizione e cesserebbe anche l'interesse di farle accompagnare da qualche ufficiale egiziano, come si era offerto di fare il kedive per averne informazioni esatte sulla posizione delle truppe, informazioni che avrebbe poi trasmesse al R. Governo. Ho saputo così che principalmente si sarebbero assunti l'incarico di far pervenire le vettovaglie in Cirenaica due commercianti indigeni di Alessandria, certi Abdel Aziz Karam e Mohamed Abdel Rahman. A tale proposito, oggi stesso, lord Kitchener, al quale avevo parlato delle notizie fornitemi dal kedive, senza naturalmente fargliene conoscer la fonte, mi disse che il principe Ornar era stato da lui interpellato circa gli invii suddetti e che il principe lo aveva assicurato di destinarli alla popolazione affamata di Cirenaica, le cui condizioni, per causa della guerra, son vieppiù peggiorate ed aveva garantito che non verrebbero spediti che viveri e medicinali escludendo come destinatari i soldati turchi. L'agente britannico mi disse che riteneva di poter prestar fede interamente al principe Ornar Tussun e che pertanto non vedeva in qual modo avrebbe potuto opporsi ad una simile opera di carattere umanitario che non contrasterebbe affatto con doveri imposti dalla neutralità. Anche su altre delle notizie su riferite lord Kitchener si mostrò meco piuttosto scettico e disposto a ritenerle in ogni caso esagerate. Così mentre il kedive mi aveva detto che sette ufficiali turchi avevano già passato il confine, che oltre una diecina si trovava in Cairo ed Alessandria, prossima alla partenza, che venti infine ne sarebbero giunti appunto ier l'altro col postale russo, egli mi disse d'aver saputo che ne erano passati solo sei, che in Egitto ve ne sarebbero assai pochi e che col piroscafo russo ne sarebbero giunti altri quattro

o cinque solamente. Il kedive mi riferì che il Comitato avrebbe raccolte per sottoscrizione quarantamila lire egiziane ed il rappresentante inglese crede invece che siano assai meno e che le somme sian state piuttosto sottoscritte che non effettivamente versate, mentre gli consterebbe, ciò che fu narrato anche dalla stampa, che un certo numero di oblatori avrebbe pagato con delle tratte su Banche presso le quali non hanno alcun credito aperto.

Questa diversità d'informazione per parte di persone che dovrebbero essere bene informate mi fa dubitare alquanto della sincerità d'ambo le parti. Ne dirò più oltre la ragione per quanto riguarda Sua Altezza il kedive: per lord Kitchener il fatto si spiegherebbe col desiderio di queste autorità inglesi di nascondere, in quanto è possibile, quegli atti di carattere poco amichevole, se non altro, verso l'Italia, che, per considerazioni di opportunità locale o per motivi di politica generale, l'Inghilterra non sembra troppo disposta ad impedire alle autorità egiziane ed all'elemento turcofilo di questo paese.

Sua Altezza il kedive mi ha rinnovate le più ampie dichiarazioni di simpatia per la nostra azione in Tripolitania, dicendo che la sua profonda devozione per il Nostro Sovrano e la Sua Famiglia non poteva che fargli desiderare pieno e rapido successo alle armi ed alla politica dell'Italia. Ma da un altro lato mi consta che Sua Altezza mantiene un certo contatto con l'elemento nazionalista egiziano che in questo momento è di sentimenti decisamente anti-italiani. Forse ciò dipende dal fatto, certo spiegabile, che il sovrano dell'Egitto non può mettersi in aperta opposizione a quanto il suo popolo dimostra di voler fare ed a quanto lo stesso Governo inglese non dimostra di volersi opporre. Egli a mio avviso fa, per modo di dire, un doppio gioco: da un lato non può e non vuole disgustarsi troppo l'elemento nazionalista che già gli era avverso ed alle cui pressioni ha in ogni caso resistito per quanto riguarda la partecipazione propria e della famiglia kediviale alle sottoscrizioni, cui prese parte invece, in occasione della guerra greco-turca; dall'altro i suoi sentimenti, che credo sinceri, e l'interesse lo inducono a mostrarsi nostro amico e ad assecondare, in quanto gli sia possibile e senza troppo compromettersi, la nostra azione. La sua posizione oggi è tale da rimaner salvaguardata anche in caso di un nostro insuccesso, mentre nel caso diverso egli ritiene di essersi accaparrato un certo diritto alla riconoscenza dal R. Governo. Il senatore Lustig che ha occasione di avvicinar Sua Altezza quasi ogni giorno e che ne ha avute perciò ancor più frequenti dichiarazioni d'amicizia per il nostro paese, mi ha confessato ieri di aver avuta un'impressione eguale alla mia.

Credo pertanto che fino ad un certo punto possiamo contare, volendolo, anche a qualche cosa più che non semplici parole da parte del kedive, il quale, in cose che non possano apertamente comprometterlo non mancherebbe di darci ogni aiuto: ad esempio egli si è offerto di indicarmi qualche persona che potrebbe, unitamente ad altre di nostra fiducia, renderei dei segnalati servigi per l'organizzazione, dal lato dell'Egitto, di quel servizio di sorveglianza che ha consigliato d'istituire lungo il confine per la cattura degli ufficiali e delle carovane cariche di vettovaglie che lo attraversassero. Ma molte altre delle sue proposte, come quella da me trasmessa giorni or sono, concernente l'invio di alcuni suoi ufficiali per accompagnare dette carovane, mi appaiono poco chiare ed anche poco opportune. Io devo nondimeno riferirle per debito d'ufficio alla E.V. che meglio d'ogni altro è in grado di giudicare della loro convenienza. Ad ogni modo nulla obbligava Sua Altezza a darci in questa circostanza notizie e consigli che hanno di certo del valore: l'averlo fatto dimostra indubbiamente un interessamento che, dettato da semplice interesse materiale o derivante da una sincera amicizia, ci può esser sempre di qualche aiuto. Giova anche osservare che il kedive poteva limitarsi a semplici dichiarazioni di simpatia fatte a mc quando mi son recato a presentargli il senatore Lustig o a questi nelle frequenti occasioni che ha di vederlo, egli invece ha insistito per parlare anche con me e tra le mie due visite ha chiamato ben tre volte in Alessandria il commendatore

F. De Martino per incaricarlo di comunicarmi quelle notizie che pensava potessero interessare il R. Governo e che mi venivano poi confermate anche da altre parti. A mio avviso delle buone disposizioni di Sua Altezza può farsi conto ed esse ci saranno ancor più assicurate qualora la nostra posizione in Cirenaica e Tripolitania sia più chiaramente delineata e rafforzata.

Per quanto mi fu possibile ho data a VE. una precisa esposizione del mio colloquio di ieri a completamento del precitato telegramma, affinché possa, ove lo creda opportuno, favorirmi quelle istruzioni che credesse necessarie per assecondare eventuali operazioni o decisioni relative ai fatti esposti più sopra. Però come ho già telegrafato, qualora si trattasse di organizzare in Egitto un servizio che completasse la sorveglianza delle nostre truppe lungo il confine sarebbe opportuno inviare sul posto qualche persona munita della necessaria competenza, anche pel fatto che l'enorme lavoro d'ufficio cui devo accudire da solo non mi consentirebbe, malgrado la maggiore buona volontà, d'occuparmi di cose che richiedono preparazione, tempo ed attitudini particolari.

399

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, NOBILI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 513/226. Monaco di Baviera, 30 ottobre 1911 (per. il 4 novembre).

Questa mattina ho avuto occasione di fare una visita al mio collega d'AustriaUngheria e così la conversazione è caduta sulla occupazione di Tripoli. Il signor Velics ha cominciato per domandarmi se avessi buone e recenti notizie sui nostri fatti d'arme, ed, anzi mi, ha chiesto se fossi spesso informato dal mio Governo? 1 Ho risposto che le notizie più fresche eran da considerarsi quelle dei giornali tedeschi, generalmente abbastanza bene informati per quanto è possibile, non ricevendo io comunicazioni quotidiane da Roma(?) 1 . Il signor Velics è entrato senz'altro nel cuore della questione di Tripoli, e mi ha cortesemente comunicate le sue impressioni, che credo opportuno di riassumere qui a VE.

Non è stato parco di elogi per come fu condotta la spedizione ed ha riconosciuti come ottimi i primi nostri resultati. Ha aggiunto che era sua opinione che se l 'Italia non avesse fatto parte della Triplice Alleanza non avrebbe avute tutte quelle facilità nell'impresa, che ha avuto con l'appoggio delle alleate. Se si deve dire che abbiate reso un servizio a queste, non si potrebbe veramente dire, e la Germania è stata da questi ultimi avvenimenti posta in una imbarazzante situazione di fronte alla Turchia, che ella ha sempre coperto di protezione. Quanto all'Austria-Ungheria, con l'occupazione di Tripoli, non ha certo da guadagnare, tenuto conto delle complicazioni che possono sorgere nei Balcani, dove siamo tanto vicini, però avete veduto come da parte nostra ci sian state lealtà d'intenzioni e le dichiarazioni del presidente del Consiglio al Parlamento ne sono una non dubbia prova? Ho risposto, subito, che quelle parole hanno avuto un'eco in Italia di simpatia e anche dirò di riconoscenza. La condotta della Germania che senza esitare un momento ha preso la protezione degl'italiani in Oriente è stata in Italia molto apprezzata da ogni ceto, e stimata in tutto il suo valore. Ho convenuto col Velics che in questi momenti la Triplice in Italia è stata rimessa sugli altari, per modo di dire.

Il Velics che fu per tre anni in Egitto, come agente diplomatico, conosce le coste africane del Mediterraneo e così il suo dire e le di lui apprezzazioni su quelle razze da noi oggi combattute egli ha (sic) cognizioni apprezzabili. Non temo per voi (egli ha detto) delle truppe turche. Non sono in numero da impressionare, né armate da temere, ed i rinforzi non sono possibili. Degli arabi c'è da stare in guardia, perché per quanto abbiano in odio il turco, pure son fedeli all'Islam, ed è una razza che ha qualità bellicose, ha difetti ... semitici, ho aggiunto io, essendo in origine di quella razza. Ecco, nell'arabo c'è il mercante prima di tutto, c'è la rabbia del guadagno, e così non li avrete più nemici se, !asciandogli libertà di religione, procurerete loro poi

buoni affari, infine con gli arabi finirete per intendervi. Per ora li dovete combattere, se, come pare, appoggino le truppe turche, ma li vedrete ben disposti al suono del denaro che circolerà più abbondantemente, e saran soddisfatti del cambiamento di Governo che porterà loro profitti.

I nemici da temere, caro collega, mi ha detto il Velics, sono i senussi e non è un mistero. Se come pare son disposti alla ribellione, e se, come si dice, posson mettere in armi in quelle regioni, dall'Italia occupate, un cinquanta oppure sessantamila uomini, tutti fanatici, avrete delle difficoltà per vincerli. Quella setta, ha detto il Velics, conta in tutta l'Africa settentrionale nove milioni di adepti, ma è difficile sapere quanti ve ne possano essere in Tripolitania e in Cirenaica; e se il loro capo ordina la guerra santa, avrete da lottare. Si parla già dei senussi già pronti in armi decisi ad avanzarsi, pare, a scaglioni, e a me sembra questo il vero pericolo.

Ritornando alle operazioni di guerra anche Velics si domanda dove si trovi la flotta turca? e del resto se si nasconde è l'unico mezzo di salvezza che essa ha misurarsi con la vostra marina e più che un azzardo? la vostra flotta è forte, e misurarsi con lei sarebbe per i turchi follia, e un disastro la conseguenza. A questo punto stante l'ora tarda ho dovuto accomiatarmi.

PS. Del servizio d'aeroplani il Velics, entusiasta, mi fece speciali elogi.

399 1 Così nel documento.

400

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. URGENTISSIMO PERSONALE 6401/463. Londra, 31 ottobre 1911, ore 3,10 (per. ore 19,35).

Esce ora da me noto deputato radicale Chiozza Money. Per l'affetto che lo lega ali' Italia, per desiderio vivissimo che ha di non veder compromessa tradizionale amicizia italo-inglese, mi ha prevenuto che telegrammi qui giunti sulla repressione arabi oasi hanno prodotto qui impressione disastrosa e forniscono alla stampa, specie liberale e radicale, che già ci erano ostili, arma potente per sempre più aizzare sentimento popolare eccitato. Egli ritiene assolutamente indispensabile che venga esattamente ristabilita verità fatti e resti smentita notizia di macelli repressioni senza discernimento di uccisioni in massa a sangue freddo di arabi inermi fanciulli. Miglior mezzo per dare efficacia smentita sarebbe quella di far comunicato giornali a nome Governo o dallo stesso Caneva da pubblicarsi contemporaneamente Roma e qui ed all'occorrenza anche in capitale. Chiozza ritiene pure opportuno lasciare maggiore libertà corrispondenti per permettere loro di riferire prontamente rispettivi giornali la cui ostilità è ora in parte dovuta anche irritazione per misure nostre verso stampa. Oltre alla formale smentita ufficiale Money riterrebbe desiderabilissimo smentire pure tutte le altre false malevoli notizie propagate dalla Centrai News specie: primo quella esecuzione cavas consolato germanico che rimasto illeso prima scarica e soltanto ferito alla seconda finalmente ucciso da due soldati che gli scaricarono revolver in testa; secondo, quello di tre arabi di cui due vecchi, i

quali fatti prigionieri sarebbero stati con crudele scherzo mess1 m libertà e poi fucilati spalle. Queste infamie che fanno enorme impressione sul popolo dovrebbero essere smentite con telegramma che Malagodi della Tribuna qui tanto favorevolmente considerato potrebbe inviare principali giornali. Chiesi della Tribuna mi disse essere iersera riuscito trattenere per ora violentissimo articolo Daily News. Chiesi non esclude probabile organizzata riunione Hyde Park. Per parte mia nel ringraziare Money sua visita non ho omesso fargli parola che stampa inglese con attuale sua ostinata cecità spiegata sta rendendo pessimo servizio Inghilterra dalla quale andando di questo passo alienerà tradizionale sentimenti amicizia popolo italiano.

401

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 4713. Roma, l o novembre 1911, ore 18, 15.

Il r. agente consolare in Santa Maura informa che una torpedinerea turca è uscita da Prevesa sabato allo scopo di catturare o affondare piroscafo nazionale «Peuceta» società di navigazione Puglia e dopo vista in alto mare questa nave italiana è ritornata a Prevesa, perché ha creduto sebbene erroneamente di avvistare una nave da guerra italiana. L'agente consolare aggiunge che tentativo si ripeterà sabato prossimo. Nello stesso senso mi telegrafa il r. console generale a Corfù.

Prego V.E. informarne Aehrenthal aggiungendo che dovremo probabilmente fare ogni sabato accompagnare il piroscafo della Puglia da almeno una nave da guerra. Naturalmente questa cercherà di tenersi fuori vista e fuori tiro della costa ottomana ma tale uso che fa la Turchia della ottenuta impunità locale crea certo una situazione delicata della quale Aerenthal riconoscerà che la responsabilità è della Turchia e non dell'Italia. Diventa infatti molto difficile far cessare il fuoco da parte di uno dei combattenti ad una certa distanza dalla costa quando l'altro combattente da quello stesso sito lo continua.

402

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO PERSONALE 6462/175. Pietroburgo, lo novembre 1911, ore 19,24 (per. ore 21,45).

Telegramma di V.E. 46661• Riconosco opportunità passo fatto fare dalla E.V. per mezzo Tittoni presso Izwolsky in vista eventuale intervento Russia in nostro

419 favore2 . Izwolsky è sincero amico Italia e gode d'altra parte grande ascendente presso Neratoff, che sarà disposto accogliere, è possibile, suoi suggerimenti. Vorrei che, dal seguito ulteriore che sarà dato eventualmente a quel passo, io sia minutamente tenuto al corrente e che, appena assumesse forma più concreta, io sia autorizzato a intrattenerne Neratoff.

Devo però soggiungere che sistema trattare con Izwolsky, considerandolo come un «ministro degli affari esteri, in partibus», se utile con Neratoff, lo sarà molto meno Sazonoff. Dubito pure che questo sistema, quando fosse conosciuto Berlino e Vienna, sarebbe accolto colà con molto piacere, essendo nota diffidenza e antipatia di quei due Governi per la personalità di Izwolsky.

Quanto poi ad un intervento della Russia nel senso da noi desiderato, ho l'impressione che, se questo Governo sarà disposto ad associarsi ad una azione di tutte le Grandi Potenze per la conclusione di una pace sulla base voluta dall'Italia, non sarà però molto propenso al prendere, da quel lato, iniziativa che lo potrebbe seriamente compromettere verso la Turchia. La rivalità delle Potenze a Costantinopoli forma attualmente la nota dominante che influisce a nostro sfavore sulla azione mediatrice dei Gabinetti e produce quelle reticenze ed ambiguità di linguaggio di cui è cenno nel telegramma 46643 . Con abile mossa Said pascià ha fatto luccicare agli occhi della Russia l'orpello di una possibile intesa sulla questione degli stretti, il che, temo, contribuirà a rendere meno decisa l'azione del Gabinetto di Pietroburgo in nostro favore.

402 1 T. del 31 ottobre, non pubblicato.

403

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 4716. Roma, l° novembre 1911, ore 23.

Suo telegramma n. 469 1• Prego ringraziare caldamente Grey se lo crede opportuno.

Evidentemente al momento telegrafare VE. non aveva ancora ricevuto la nostra categorica smentita alle bugiarde accuse di crudeltà rivolte contro le nostre autorità in Tripolitania. Se le occorrono altre notizie prego telegrafarmelo. Si serva di tutti i mezzi per smentire tali indegne calunnie.

402 2 Si trattava di sondare la disponibilità della Russia a intervenire presso la Gran Bretagna a sostegno delle condizioni poste dall'Italia per la pace.3 T. del 31 ottobre, col quale si trasmetteva il T. 6349/626 pari data, non pubblicato.

403 1 Con T. Gab. segreto 6435/469, pari data, Imperiali riferiva quanto gli aveva comunicato Grey: «... egli, alle aperture fattegli dall'ambasciatore di Turchia, aveva sistematicamente risposto che qualunque tentativo mediazione riuscirebbe vano qualora non avesse per base sovranità assoluta».

404

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF COLONIALE 6482/89. Addis Abeba, l° novembre 1911 (per. ore 18 del 2) l.

Governo etiopico segue con vivo interesse e con marcata simpatia verso noi attuale guerra ed avendo comunicato successo battaglia 26 ottobre Tripoli, ho ricevuto tanto da ligg Jasu, che da altri membri Governo, le più vive felicitazioni.

405

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA PERSONALE 11082. Roma, l° novembre 1911.

Il presidente del Consiglio mi ha fatto avere, l'altro giorno, due lettere, scritte dal rappresentante del Gran Senussi in Cairo e dirette ai capi dei senussi di Bengasi e di Derna, per indurii o a prendere partito per noi o almeno a rimaner tranquilli fino a che non ricevano ordini diretti dal Gran Senussi, ordini che sono stati già da noi provocati e che potranno arrivare entro una quarantina di giorni.

Ho già spedito le due missive, rispettivamente, al generale Briccola a Bengasi, ed al colonnello Zupelli a Derna, perché siano consegnate ai destinatari e siano con questi intavolate pratiche, naturalmente con somma circospezione e prudenza. Ho anche avvertito i due comandanti delle truppe di Bengasi e di Derna che, solamente quando avremo una risposta da Kufra, si potrà sapere se bisogna fidarsi o non fidarsi completamente dei senussi.

Ora tu, nell'inviarmi, con lettera del 30 ottobre, una copia del rapporto della r. agenzia diplomatica in Cairo, mi dici di telegrafare al generale Caneva perché decida, sentiti i competenti, se convenga far venire in Cirenaica o in Tripolitania i due capi medani, che risiedono, l'uno a Costantinopoli e l'altro in Egitto 1 .

Poiché, stando al rapporto del console Bernabei in data 6 aprile u.s. (che pure mi hai trasmesso con la tua lettera), esisterebbero rivalità e contrasti tra i capi delle due sette dei senussi e dei medani, e secondo lui l'antica influenza dei medani in Cirenaica sarebbe eclissata, ti pregherei di farmi conoscere quale precisa linea di

condotta sia ora da seguire, per averne nonna nelle comunicazioni da farsi al generale Caneva, al quale naturalmente ho comunicato i tentativi che già si è ordinato di iniziare presso i capi senussi di Bengasi e Derna2 .

404 1 Trasmesso da Asmara il 2 novembre, ore 12,15.

405 1 L. riservata 125 con la quale si trasmettevano il R. 679 del 20 ottobre dal Cairo, non rinvenuto e il R. riservato 324/100 del 6 aprile 1910 da Bengasi, non pubblicato.

406

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 6517/274. Berlino, 3 novembre 1911, ore 12,40 (per. ore 14).

Berliner Tageblatt, oltre a tenere linguaggio sistematicamente ostile ed a pubblicare false notizie di fonte turca, ha continue insinuazioni contro le truppe italiane. Annunzia anche l'intenzione sporgere querela Tribuna per suo contro attacco. Crederei che sarebbe giunto il momento di prendere provvedimenti rigorosi, quali potrebbero essere l'espulsione corrispondente da Tripoli Barberia e da Roma e eventualmente il divieto di circolazione del giornale nel Regno. Anche Lokal Anzeiger come osserva giustamente V.E. e Tittoni ha avuto linguaggio deplorevole, ma in seguito a qualche pratica indiretta ha oggi intonazione più moderata. Sono in corso pratiche per migliorare linguaggio anche altri giornali.

407

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6538/178. Pietroburgo, 3 novembre 1911, ore 16,50 (per. ore 18,35).

In relazione telegramma di VE. 4665 1 sono anch'io d'opinione che ci troviamo di fronte ad una fitta rete di intrighi diplomatici intrapresi a nostro danno a Costantinopoli e di cui è anima Said pascià. Turchia per questo compito si trova in buona posizione. Libera da ogni impegno può offrire sua amicizia ed eventualmente sua

n. 417.

422 alleanza al maggiore offerente. Governo e opinione pubblica russi sono ora evidentemente sotto la impressione delle aperture fatte alla Russia da Said pascià e dai giornali turchi. Alcuni importanti organi russi incitano Governo profittare dell'occasione per prendere rivincita dell'insuccesso del 1908 ed oltre risolvere questione stretti, promuovere efficacemente quella confederazione balcanica che fu sempre un sogno di Tcharykoff. Temo quindi che se Governo russo, legato dalle dichiarazioni già fatte, si associerà a momento opportuno ad una azione di tutte le Potenze a Costantinopoli per una pace sulle basi da noi voluta, più difficilmente si lascerà indurre far da solo o coll'Inghilterra, un tale passo, temendo far così giuoco della Germania e dell'Austria-Ungheria.

405 2 Con L. 126 del 3 novembre di San Giuliano rispose: «... nella delicata ed importante materia, ritengo soprattutto conveniente di imprimere alla nostra azione una direzione unica, e pertanto ti sarò grato di volerti rivolgere al presidente del Consiglio per gli schiarimenti richiesti». Per il seguito cfr.

407 1 T. del 31 ottobre col quale San Giuliano, nel trasmettere il T. 6350/598 del 30 ottobre, non pubblicato, aggiungeva di condividere le conclusioni di Avama sul tentativo della Turchia di avvantaggiarsi della rivalità anglo-tedesca.

408

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6598/656. Parigi, 4 novembre 1911, ore 17,45 (per. ore 21,15).

Risposta al telegramma 4706 1 e 46542 . Nel parlare ad Iswolsky nel senso desiderato da V.E. prevenni le considerazioni del r. ambasciatore a Pietroburgo; infatti gli dissi che esprimevo unicamente impressione ed idee mie personali. Come tali Iswolsky le trasmise a Pietroburgo donde fino a jeri sera non gli era pervenuta alcuna risposta. Nel colloquio che ebbi jeri sera con Iswolsky gli dissi che, poiché tra noi non ci è segreto ed avevamo l'abitudine di comunicarci tutte le nostre impressioni io gli comunicai una mia impressione personale e cioè che la Russia a Costantinopoli tenesse molto a conservare le simpatie del Governo ottomano. Che, conoscendo l'importanza che la Russia annetteva alla questione degli Stretti, io comprendevo che potesse dipendere dal desiderio di ottenere l'adesione della Turchia alle sue vedute, però ove ciò fosse, lo pregavo di dirmelo francamente perché in tal caso io avrei compreso che l'attitudine della Russia, dovuta ad un suo grande interesse, sarebbe stata di mera apparenza. In nulla avrebbe variato sostanzialmente i nostri rapporti, Iswolsky mi rispose escludendo nel modo il più assoluto che la Russia avesse iniziato conversazioni a Costantinopoli per gli Stretti.

Certo si proponeva farlo in avvenire, ma non l'avrebbe mai fatto mostrando ai turchi di simpatizzare con loro nel conflitto con l'Italia a riguardo del quale la Russia pur confermando tutte le sue simpatie essere per l 'Italia non poteva fare a Costanti

nopoli nelle condizioni attuali cosa diversa dalle altre Potenze e quindi non poteva intervenire nel conflitto che insieme ad esse. Iswolsky mi soggiunse che il momento per parlare alla Turchia degli Stretti sarebbe stato quando questa avesse avuto bisogno della Russia negli affari balcanici. Iswolsky mi disse anche in stretta confidenza che il Governo britannico si era mostrato favorevole ai desideri della Russia per gli Stretti e solo aveva fatto obbiezioni di dettaglio tra le quali la principale era che non vi era difficoltà in tempo di pace ma che in tempo di guerra difficilmente si sarebbe potuto ammettere che le navi da guerra russe uscissero dagli Stretti per guerreggiare e quindi vi ritornassero senza essere colà inseguite. Avendogli fatto cenno a Tcharycoff, Iswolsky mi disse che non sempre il suo linguaggio era stato conforme in tutto e per tutto a quello del Governo russo.

408 1 T. del l o novembre, col quale si trasmetteva il T. 6409/606 del 31 ottobre, non pubblicato: notizie di incoraggiamenti dati da Tcharykov alla Turchia. 2 T. del 30 ottobre, col quale si trasmetteva il T. 6340/173, pari data, non pubblicato, su avances della Turchia verso la Russia.

409

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6605/626. Vienna, 4 novembre 1911, ore 23,20 (per. ore 2 del 5).

Ho chiesto oggi ad Aeherenthal se egli non temesse che l'iniziativa da lui presa di uno scambio di idee fra le Potenze per un'azione collettiva allo scopo di por termine al momento opportuno alla guerra fra noi e la Turchia potesse andare a vuoto a cagione della rivalità fra le varie Potenze.

Aeherenthal mi ha risposto che, nel prendere la sua iniziativa, egli era stato inspirato soltanto dal desiderio di ristabilire al più presto possibile la pace ciò che è anche la meta di tutti gli altri Gabinetti. Ma non aveva fatto nessuna distinzione fra Potenza e Potenza o tra i diversi aggruppamenti di Potenze che aveva cercato anzi di riavvicinare con quella sua iniziativa. Tutte le Potenze avevano risposto simpaticamente a tale iniziativa ed i loro ambasciatori a Costantinopoli stavano ora scambiando le loro idee in proposito. Egli confida quindi che non sorgeranno difficoltà, ma naturalmente non poteva prendere nessun impegno per il buon successo della sua proposta che considera però tuttora esistente e non scartata.

Aeherenthal ha tuttavia accennato alla notizia secondo cui la Turchia starebbe tentando di seminare zizzania tra le Potenze e di concludere accordi speciali con taluna di esse. Prima si era parlato dell'Inghilterra; ora si parlerebbe della Russia che garantirebbe i possessi europei della Turchia e ne otterrebbe in compenso l'apertura dei Dardanelli per le sue navi da guerra.

Si parlava pure di nuovo della costituzione di una confederazione balcanica. Egli non aveva esatte informazioni in proposito e non credeva che la cosa fosse seria. Ma ha aggiunto che, a quanto sembrava, Turchia avrebbe scandagliato il terreno a Pietroburgo.

410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, TOKIO, VIENNA E WASHINGTON 1

T. 4811. Roma, 4 novembre 1911, ore 24.

L'occupazione delle principali città della Tripolitania e Cirenaica, i costanti successi delle nostre armi, le forze preponderanti che abbiamo colà riunite e le altre che ci apprestiamo ad inviarvi, hanno reso inefficace e vana ogni ulteriore resistenza della Turchia.

D'altra parte, per porre fine ad un inutile spargimento di sangue, urge di togliere dall'animo di quelle popolazioni ogni pericolosa incertezza.

Perciò con odierno decreto reale2 la Tripolitania e la Cirenaica sono state sottoposte definitivamente ed irrevocabilmente alla sovranità piena ed intera del Regno d'Italia.

Qualunque altra soluzione meno radicale, che avesse lasciato anche un'ombra di sovranità nominale del sultano su quelle provincie, sarebbe stata una causa permanente di futuri conflitti tra l'Italia e la Turchia che avrebbero più tardi potuto scoppiare fatalmente, anche contro la volontà dei governanti, in un momento ben altrimenti pericoloso per la pace europea.

La soluzione da noi adottata è l'unica che tuteli definitivamente gli interessi dell'Italia, dell'Europa e della Turchia stessa. La pace firmata su questa base eliminerà ogni causa di dissenso profondo tra l'Italia e la Turchia e noi potremo più facilmente ispirare tutta la nostra politica al grande interesse che abbiamo al mantenimento dello statu quo territoriale nella penisola balcanica, di cui è condizione essenziale il consolidamento dell'Impero ottomano.

Desideriamo perciò vivamente, qualora la condotta della Turchia non ce lo renda impossibile, che le condizioni di pace riescano quanto più si può confacenti ai suoi legittimi interessi ed al suo prestigio.

La Tripolitania e la Cirenaica hanno cessato di far parte dell'Impero otto mano, ma noi siamo oggi disposti ad esaminare con largo spirito di conciliazione i mezzi di regolare nel modo più conveniente ed onorevole per la Turchia che le conseguenze dei fatti irrevocabilmente compiuti. Certo, noi non potremmo mantenere tali propositi concilianti se essa si ostinasse a prolungare inutilmente la guerra; confidiamo, però, che l'opera concorde delle Grandi Potenze indurrà la Turchia a prendere senza indugio le savie e risolutive decisioni che rispondano ai suoi veri interessi ed a quelli di tutto il mondo civile.

410 1 Ed. in MALGERI, La guerra libica, n. 8, pp. 398 -399. 2 R.D. 5 novembre 1911, n. 1247.

L'Italia in ogni modo coopererà a questo risultato col mostrarsi altrettanto disposta ad eque condizioni di pace quanto decisa ai mezzi più efficaci per imporla nel più breve termine possibile.

V.E. può rilasciare copia di questo telegramma a codesto ministro degli affari esteri3•

411

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. 4812. Roma, 4 novembre 1911, ore 24.

Faccio seguito al mio telegramma n. 4811 1•

Credo superfluo di aggiungere che resta ferma la esclusione delle coste ottomane dell'Adriatico e del Mar Jonio e che per le altre eventuali operazioni cr uniformeremo allo articolo settimo del trattato della Triplice Alleanza.

412

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 6634/631. Vienna, 5 novembre 1911, ore 19,40 (per. ore 23,20).

Aehrenthal mi ha detto essere stato informato che alcune navi da guerra erano state segnalate, non è guari, nelle vicinanze Salonicco ove avrebbero proceduto a delle proiezioni [di] luce elettrica.

Ho risposto al conte Aehrenthal che io era stato autorizzato da V.E. di smentire tale notizia nessuna nave da guerra italiana trovandosi attualmente in quelle acque.

Proseguendo, Aehrenthal ha rilevato che V.E. conosceva già le amichevoli disposizioni colle quali si era comportato e si comportava verso noi fin dallo inizio della nostra impresa in Tripolitania, quantunque essa non potesse essere considerata come del tutto conforme allo spirito del Trattato d'Alleanza che era basato sul mantenimento dello statu quo territoriale dell'Impero ottomano.

Ma a questo proposito teneva a dire che una nostra azione sulle coste ottomane della Turchia europea come sulle isole del Mar Egeo non avrebbe potuto essere

411 1 Cfr. n. 410.

426 ammessa né dall'Austria-Ungheria, né dalla Germania perché contraria al Trattato d'Alleanza e che, ove ciò avvenisse, egli non si sarebbe ristretto a farcelo conoscere ma avrebbe dovuto protestare. Quando Aehrenthal stava per accennare a tale argomento io aveva creduto interromperlo dichiarandogli che per le eventuali nostre operazioni, oltre al restar ferma l 'esclusione delle coste ottomane dell'Adriatico e del Mar Jonio, noi ci saremmo uniformati all'articolo settimo del Trattato della Triplice Alleanza 1•

410 3 Per il seguito cfr. nn. 411, 413, 419, 423 e 424.

413

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6635/632. Vienna, 5 novembre 1911, ore 19,40 (per. ore 23,20).

Ho comunicato oggi ad Aehrenthal, rilasciandogliene copia, testo del telegramma di V. E. n. 4811 1 . Aehrenthal mi ha detto essere già stato informato della decisione presa dal R. Governo di procedere annessione Tripolitania e Cirenaica da un telegramma pervenutogli stasera dal signor de Mérey. Mi ha quindi informato di avere incaricato alcuni giorni fa il signor Mérey di dar lettura a VE. di un telegramma di Pallavicini in cui questi faceva conoscere che Assim bey, nel dirgli di essere stato prevenuto dell'intenzione del Governo italiano di proclamare annessione della Tripolitania e Cirenaica, avevagli dichiarato che, ove ciò avvenisse, Sublime Porta avrebbe dal suo lato proclamato di matenere i suoi pieni diritti di sovranità per quelle provincie dell'Impero. Assim aveva osservato a questo proposito che annessione non avrebbe potuto che aggravare stato attuale di guerra. Aehrenthal mi ha fatto conoscere inoltre che aveva invitato il signor de Mérey far rilevare a VE. che, a parer suo, annessione avrebbe avuto per conseguenza di complicare cose e non poteva avere d'altra parte alcun risultato pratico per ciò che riguardava le Potenze, nostra occupazione in Tripolitania e Cirenaica non potendo essere considerata per il momento come un fatto compiuto. Al che ho osservato che, a giudizio del R. Governo, occupazione delle principali città di quelle regioni ed i costanti successi delle nostre armi come le forze preponderanti colà riunite rendevano oramai vana ogni resistenza della Turchia, ciò che giustificava pienamente decisione del R. Governo. Ma Aehrenthal, nel replicare che annessione non avrebbe potuto essere, a suo avviso, effettuata a meno che dopo avessimo messo truppe turche nella impossibilità di reagire, ha aggiunto che non poteva che ripetermi quanto aveva fatto conoscere a VE. per mezzo del signor de Mérey. Si augurava, però, che

413 1 Cfr. n. 410. Su questa conversazione cfr. OeUA, vol. III, n. 2875.

427 proclamazione dell'annessione non avesse aggravato situazione con [spingere]2 la Turchia a prendere provvedimenti estremi.

412 1 Su questo colloquio cfr. OeUA, vol. III, n. 2878.

414

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1841 bis/615. Berlino, 5 novembre 1911 (per. il 10).

In conferma del mio telegramma di ieri 1'altro1 mi pregio informare VE. che in quel giorno venne conchiuso e parafato da questo segretario di Stato per gli affari esteri e dali' ambasciatore signor Cambon, l'accordo concernente i compensi territoriali da scambiarsi fra la Germania e la Francia al Congo ed al Cameroun. E ieri fu firmata la relativa convenzione unitamente a quella gia in precedenza stipulata circa il futuro regime politico-economico del Marocco: per modo che dal loro insieme risultano stabilite fra i due Stati le condizioni dei loro reciproci diritti in quelle regioni.

L'accordo di cui si tratta deve essere stato tosto notificato alle Potenze firmatarie dell'Atto di Algesiras per ottenervi la loro adesione nella parte che le concerne, adesione che il Governo francese desidera potere annunciare nella prossima riunione del Parlamento in Parigi in un colla comunicazione dell'accordo stesso. Il suo testo letterale non è ancora pubblicato, ma già il Governo imperiale ha dato comunicazione per la stampa, del suo contenuto essenziale che permette fin d'ora di rendersene conto.

Quanto al regime proprio del Marocco, la prima delle due convenzioni è in sostanza, come si sapeva, un'interpretazione molto estensiva di quella del febbraio 1909 che riconosceva in materia politica gli interessi speciali della Francia !imitandone gli effetti economici in base al principio dell'uguaglianza di trattamento per tutte le nazioni. Sono assicurati alla Francia: il diritto di occupazione militare, la rappresentanza del Marocco verso l'estero, il controllo delle finanze, nonché quello in genere dell'amministrazione, la rinuncia alle capitolazioni, l'alta direzione dei servizi e lavori pubblici ed in ispecie delle ferrovie. Tutto ciò equivale ad un vero protettorato, e sebbene questo titolo non sia espressamente menzionato, sarebbe inteso che al Governo della Repubblica spetti la facoltà di adottarlo a suo tempo. Per contro, il principio della libertà ed eguaglianza economica è nuovamente confermato in modo esplicito dalla Convenzione: le concessioni minerarie dovranno essere aperte a tutti; nessuna tassa potrà venire imposta alla esportazione dei minerali

414 1 T. 6556/278, non pubblicato.

di ferro, clausole quest'ultime che sebbene convenute per tutte le nazioni si intendono destinate a profittare in prima linea agli interessi tedeschi.

La seconda Convenzione riguarda i compensi territoriali. Suoi tratti essenziali sono: cessione da parte della Francia di una vasta striscia lungo i confini est e sud della Colonia del Camerun nonché di due altre più piccole strisce che si allungano l'una sul fiume Ubanghi e l'altra sul fiume Congo per modo da mettere la detta colonia tedesca in diretto contatto con quei due corsi d'acqua e col Congo belga; e controcessione da parte della Germania di una punta del proprio territorio al nord, nota sotto il nome di «becco d'anitra». Le cessioni consentite dalla Francia rappresenterebbero un'area di circa 230 mila chilometri quadrati, mentre quelle della Germania sarebbero ad un di presso di 14 mila chilometri quadrati. Come appare dalla mappa qui appresso unificata2 questi nuovi confini non si possono finora designare che con qualche approssimazione; ma una commissione mista di delegati dei due Governi dovrà riunirsi entro sei mesi per delimitarli più esattamente, tenendo conto delle condizioni geografiche locali.

È infine da menzionarsi che, secondo l'una e l'altra convenzione, le eventuali divergenze alle quali potrà dar luogo la loro applicazione saranno da deferirsi all'arbitraggio del Tribunale dell' Aja.

Questi atti pongono fine alle laboriose trattative protrattesi ormai per quattro mesi e mezzo attraverso tante difficoltà e che, più d'una volta sospese, sembrarono persino ad un certo momento voler degenerare in un serio conflitto. Dopo i commenti e le appassionate polemiche delle quali questi negoziati furono oggetto, poco rimane ora da aggiungere circa il modo con cui essi furono condotti e circa i loro risultati.

Molti e diversi pareri furono emessi sull'opportunità, dal punto di vista germanico, dello invio della «Panther» ad Agadir che inopinatamente sopravvenne ad imprimere alla questione un carattere di singolare gravità. Da parte francese si asserisce che quel gesto fu inutile e dannoso, in quanto che senza di esso le discussioni fra i due Governi avrebbero potuto procedere tranquillamente e col medesimo successo finale. Tale non è però, e forse non senza ragione, la convinzione di queste sfere ufficiali. Si può criticare infatti la scelta adottata di quel mezzo piuttosto che di un altro, e certamente vi fu qualche cosa di insolito ed anche di meno corretto nell'avervi proceduto così di sorpresa, l'indomani del giorno in cui l'ambasciatore di Francia in viaggio per Parigi aveva amichevolmente conferito a Kissingen col segretario di Stato, del che il signor Cambon vivamente e giustamente si adontò. Non è men vero però che senza una qualche dimostrazione materiale di tal genere, -quella od un'altra,-la Francia pur continuando a dar buone parole ed a trattare con abili dilazioni, di eventuali compensi, avrebbe intanto seguitato la sua occupazione al Marocco; l'evacuazione di Fez, sempre promessa, come già quella di Casablanca, non si sarebbe mai effettuata; i bureaux arabes sarebbero l'uno dopo l'altro entrati in funzione nelle principali località: e quando un bel giorno l'intero Marocco si fosse trovato occupato e dominato dalla Francia, sarebbe stato allora un po' tardi

per la Germania il protestare contro il fatto compiuto ed essa si sarebbe veduta costretta ad appagarsi di qualsiasi magra concessione che alla Francia fosse piaciuto di accordarle. Certo è d'altra parte che di quella entrata in scena piuttosto violenta ebbero a risentirsi le susseguenti conversazioni. La storia delle varie loro fasi non sarà probabilmente mai conosciuta in tutti i suoi particolari, né è da attendersi che i futuri libri bianchi o gialli sieno per portare luce completa sulle proposte successivamente presentate ed in diversi momenti modificate dai due negoziatori, sia riguardo alle condizioni del regime interno del Marocco, sia in ordine ai territori da cedersi al Congo, al Camerun od al Togo. Per indiscrezioni di Parigi, ed anche talora di Berlino, ne trapelarono bensì notizie più o meno esatte, ma quelle monche pubblicazioni ebbero più che altro per effetto di turbare il corso delle trattative. Tanto il signor von Kiderlen quanto il signor Cambon ebbero più di una volta a dolersene ed entrambi mi dissero che quell'indiscreto intervento della stampa e dei gruppi di finanziari o politicanti interessati nei due Paesi aveva assai contribuito a ritardare l'opera loro, la quale avrebbe altrimenti potuto compiersi in un tempo assai più breve. Si è detto a Parigi che il signor von Kiderlen era più di una volta ritornato sulle sue proposizioni anteriormente fatte avanzando ora l'una ora l'altra nuova pretesa non prima menzionata. Di ciò si è infatti spesso !agnato meco il signor Cambon. Ma uguali lagnanze mi vennero pur fatte più volte dal signor von Kiderlen che anzi, alla seconda ripresa dei negoziati relativi al Congo, pare veramente che il Gabinetto di Parigi tentasse di revocare talune delle sue principali offerte di due mesi prima, con pericolo di far tutto naufragare. Come dissi, di tutti questi particolari non possono essere note le successive vicende, abbastanza spiegabili del resto, nel corso di una discussione di oltre quattro mesi e mentre ciascuno dei due negoziatori si sentiva paralizzato non solo dalle proteste dei propri connazionali ma anche dalle esigenze dei rispettivi uffici coloniali i quali scoprivano ogni giorno qualche nuovo punto secondo loro di vitale importanza che bisognava far prevalere ad ogni costo.

Ad ogni modo, l'accordo è ora conchiuso e si puo chiedere quali delle due parti ne riesca più avvantaggiata. Da un punto di vista generale, l'importanza superiore per la Francia di poter sin d'ora costituire il suo vasto impero nord-africano, è tale certamente da meritare il prezzo di una mezza colonia in altro punto. Sul valore effettivo dei territori ceduti al Congo, sono tali le divergenze fra gli specialisti, che sarebbe vano per chiunque altri il pronunciarsi. Dato però che quei territori abbiano veramente la grande importanza che taluno loro attribuisce, sarebbe da osservare dal punto di vista francese, che se ne poteva evitare il sacrificio -oltre a quello dell'amor proprio nazionale-coll'attendere dal tempo l'assorbimento del Marocco; giacché la posizione geografica della Francia, il suo accordo del 1909 ed i mezzi di penetrazione di cui essa dispone glielo avrebbero assicurato entro qualche anno,-e ciò senza legarsi le mani in materia economica come essa ha dovuto fare in modo così preciso e coll'attuale convenzione. È questo l'argomento che mi allegava giorni sono il signor von Kiderlen, mostrandosi infine assai soddisfatto di ciò che egli ritiene essere un pratico successo: in quanto che la Germania ha infine ceduto soltanto la propria parte di adesione ad uno stato di cose già virtualmente riconosciuto dalle altre potenze e che più tardi le sarebbe riuscito sempre più difficile di impedire senza una guerra ed ha ottenuto in corrispettivo, oltre a nuove positive guarentigie pel suo sviluppo economico al Marocco, il pieno ed immediato possesso di territori che conferiscono un doppio valore alla sua colonia del Camerun, ponendola anche in contatto col Congo belga. E tutto ciò egli considera come un «cavai donato».

In base alla Costituzione dell'Impero, questo Governo non ritiene necessario di sottoporre i nuovi accordi alla sanzione del Parlamento, e malgrado i reclami dei partiti liberali, il cancelliere sosterrà questo punto nella seduta di mercoledì prossimo al Reichstag, nella quale dimostrerà i vantaggi di quelle stipulazioni. Esse naturalmente provocheranno molte critiche delle quali gli articoli dei giornali avversi hanno del resto già abbastanza manifestato la natura.

A questa opposizione dettata per lo più da interessi di partito in vista delle prossime elezioni politiche, si aggiungono le proteste del segretario di Stato per le colonie signor von Lindequist. Dopo di avere espresso già nella scorsa estate l'intenzione di ritirarsi ed aver fatto durante le ultime trattative una vera ostruzione contro i proposti accordi, egli si risolse nel giorno dalla loro conclusione a rassegnare le proprie dimissioni che vennero ora accettate. Lo segue nel ritiro il primo consigliere dal suo Dicastero dottor Danckelmann, principale autore di quella opposizione, la quale faceva esclamare al sottosegretario per gli esteri: «essere impossibile di fare entrare un'idea politica nel cervello di un burocratico coloniale». Il dott. Danckelmann è persona attiva ed influente che di certo potrà procurare qualche fastidio al Governo. Ma non vi è dubbio circa l'esito della prossima discussione.

Fra gli effetti immediati dal nuovo accordo, sarà ora interessante il vedere quale influenza esso sarà per esercitare sulle relazioni politiche della Francia colla Germania. In qualche momento più scabroso della sua discussione, il signor Cambon mi esprimeva con rincrescimento il timore che anziché migliorare come avrebbe dovuto quelle relazioni, esso fosse per lasciare uno strascico di rancore, tale da distruggere i risultati della politica di riconciliazione da lui coltivata con tanta cura durante i quattro anni della sua missione in Berlino. Un prossimo avvenire dirà se questo pessimismo sia fondato. Ma forse più importante ancora sarà il constatare la durata del risveglio di antipatia che i recenti casi hanno provocato in questo paese contro l'Inghilterra. Questa è accusata di avere incoraggiato la Francia alla resistenza, sia sottomano sia coi discorsi dei suoi ministri fra i quali quello ben noto del LloydGeorge [che] ha determinato in Germania uno scoppio di indignazione in vero sproporzionato al suo contenuto. Tutto ciò fu in prima linea cagionato dal sospetto formatosi in Inghilterra che la Germania volesse insediarsi al Marocco ed acquistarvi un porto sull'Oceano. Che questa idea sia stata un momento nutrita dal signor von Kinderlen all'inizio dei negoziati non oserei escluderlo. Forse egli progettava, come lo riferii in quel tempo a V.E., di procurare alla Germania non un vero possesso ma una situazione privilegiata nella regione del Sus. Se quella idea ha esistito, essa fu però tosto abbandonata e ciò anche prima delle proteste dei ministri inglesi, -le quali avrebbero potuto prevenirsi se da qui si fosse pensato, nel momento opportuno, a far conoscere francamente a Londra le intenzioni del Governo imperiale. Ma, come ebbi già altra volta a segnalarlo, manca fra i due Governi quel tanto di reciproca fiducia che sarebbe necessaria per simili comunicazioni di spontanea ed amichevole natura: e mancano attualmente, a Londra come a Berlino, ministri e rappresentanti atti per proprio temperamento a prenderne l'iniziativa.

Noterò infine che a quanto mi confermò anche questo ambasciatore signor Polo di Bernabé, la Germania ha dichiarato disinteressarsi delle discussioni in corso fra la Spagna e la Francia sulla questione dei compensi da questa pretesi in seguito ai preesistenti accordi segreti tra i due Stati. Quella discussione si proseguirà quindi separatamente tra Parigi e Madrid: e questo mio collega spagnuolo se ne ritiene soddisfatto, nel senso che, se non altro, il suo Governo avrà soltanto da soddisfare in qualche modo la vicina Repubblica, senza temere, come taluno Io aveva dubitato, che anche la Germania avanzasse domande per proprio conto.

413 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

414 2 Non si pubblica.

415

L'AMBASCIATORE A MADRID, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1030/394. Madrid, 5 novembre 1911 (per. il 9).

Il tono della stampa madrilena che come ho segnalato all'E.V. si era mantenuto in generale a noi favorevolissimo nel primo periodo della campagna di Tripoli, ha improvvisamente mutato in questi ultimi giorni ed ora si moltiplicano a nostro danno le informazioni tendenziose e i commenti ostili. Il cambiamento fu motivato dall'annunzio delle pretese vittorie turche che propagato ovunque con abbondanza di fantastici particolari dai principali organi della stampa di Berlino e di Vienna venne qui accolto come verità indubitabile. Cosicché questi giornali i quali pubblicarono prontamente il comunicato del ministro di Turchia che annunciava i trionfi ottomani e la imminente riconquista di Tripoli, fecero qualche difficoltà ad accogliere la mia smentita che evidentemente credevano meno attendibile! Vennero poi le notizie della esecuzione in massa degli arabi e delle pretese atrocità commesse dalle nostre truppe a determinare contro di noi una serie di commenti ostili. Iersera l'Heraldo organo del blocco radico-liberale ha un articolo nel quale si afferma che la presente guerra lascerà con giustizia l'Italia rovinata economicamente e moralmente e la Correspondencia de Espaiia, organo indipendente, ha due lunghi articoli sulle fucilazioni di arabi in cui riassume una quantità di particolari raccapriccianti, desunti in parte a quanto si afferma da corrispondenze di giornali italiani i quali non avrebbero dato con quella pubblicazione prova di grande patriottismo. Non dubito che questa pioggia di attacchi durerà per vari giorni.

Questo cambiamento si spiega in vari modi. Anzitutto lo spagnuolo in generale ci considera tuttavia quali eravamo mezzo secolo fa, cioè come una nazione che si trova tutt'al più allo stesso livello della Spagna, e alla quale essi ricusano di riconoscere una superiorità sia economica sia militare. In secondo luogo la stampa spagnuola ha ancora una organizzazione primitiva e dispone di mezzi d'informazione antediluviani. Essa è sotto questo rapporto interamente tributaria della stampa estera, e siccome in causa del conflitto marocchino tutte le sue simpatie si volgono alla Germania così essa attinge le sue informazioni assai più volentieri alle fonti tedesche a noi costantemente ostili piuttosto che alle francesi in generale a noi amiche. Inoltre essa sa di interpretare meglio il gusto dei suoi lettori ammannendo loro le sensazionali notizie che vengano da Costantinopoli piuttosto che le sobrie notizie ufficiali di fonte italiana.

Ho fatto quanto poteva dipendere da me per rimediare a questo stato di cose, ma meno che presso la Epoca che è certo il meglio redatto dei giornali di Madrid, le mie pratiche fatte del resto con tutta la necessaria discrezione non sortirono l'effetto desiderato. Siccome sono sopratutto i giornali liberali (non mi occupo degli organi socialisti e repubblicani) che ci sono ostili, ho parlato di quanto precede con il ministro di Stato al suo ultimo ricevimento settimanale come con il signor Canalejas che ebbi occasione di vedere ieri, osservando loro come l'ostilità della stampa spagnuola a nostro riguardo era tanto meno giustificata che esiste una certa analogia tra la situazione della Spagna e la nostra nell'Africa settentrionale, e che la stampa italiana si è mostrata sempre serena e imparziale verso la Spagna così in occasione della guerra del Riff come dei recenti fatti di Cullera. Entrambi quei ministri mi promisero di adoperarsi presso i giornali sui quali possiedono una qualche influenza. Vedremo se riusciranno a migliorarne le tendenze; in tutti i casi può esserci di conforto il pensiero che non esiste si può dire in questo paese un'opinione pubblica attiva per quanto riguarda avvenimenti che non interessano direttamente la Spagna, e che la stampa spagnuola conta così poco in Europa che le sue tendenze non meritano d'essere avvertite se non come riflesso di quelle che dominano nella stampa d'altri paesi.

416

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1932/722. Il Cairo, 5 novembre 1911 (per. il 15).

Mi onoro segnar ricevuta alla E.V. del pregiato dispaccio n. 117, in data 14 ottobre p.p. segretariato generale 1•

Mediante l'attivissima propaganda esercitata dalla maggior parte dei giornali indigeni, tutta la popolazione araba dell'Egitto è ora animata da sentimenti interamente sfavorevoli all'Italia. Il convincimento è tanto più radicato in quanto nessun mezzo, nessuna menzogna è stata risparmiata per far credere alle masse che l'Italia abbia mossa una guerra di carattere esclusivamente religioso e la conduca con sistemi barbari e violenti anche contro le popolazioni inermi. Esercitare presso le

tribù beduine un'azione conforme ai nostri interessi non sarebbe, ora, assolutamente possibile: troppo ha dilagato, specialmente negli ultimi giorni, l'avversione verso di noi perché ci si possa lusingare d'ottener altra cosa che non sia l'incolumità degli italiani che vivono a contatto dell'elemento indigeno. L'eccitamento si è accresciuto immensamente negli ultimi giorni, dopo le notizie da cui risulterebbe che abbiamo subite in Tripolitania grandi disfatti: come è naturale nelle popolazioni orientali, use a non rispettare che la forza ed il successo, la conoscenza dei pretesi nostri insuccessi ha imbaldanziti gli avversari ed ha trascinati seco i più timidi e circospetti, pei quali il vinto non desta più preoccupazioni. Nessuno dunque oserebbe ora iniziare una campagna a nostro favore, ma pochi anzi osano manifestare idee che non siano condivise dalla maggioranza.

Per quanto riguarda Hamad bey, ritengo che le vecchie buone relazioni che ha sempre avute con l'agenzia diplomatica, avranno per effetto di mantenercelo amico, ma non credo sarebbe disposto di agire neanche in modo indiretto: ad altri non sarebbe il caso di rivolgersi. Cercherò ad ogni modo di vederlo e tenterò, in quanto sia possibile, di esercitare l'azione prescrittami dall'E.V.

Avverto poi sin d'ora che Hamad bey non sarebbe uomo da accettar regali: l'E.V. sa già ch'egli ha rifiutato di riceverne da S. M. il Re. Di una onorificenza cavalleresca non è il caso di parlare perché non possediamo nessun ordine che possa conferirsi ad indigeni del genere di Hamad bey che, per quanto uomo ricco e considerato tra le tribù beduine, è pur sempre un arabo del deserto di cui mantiene il costume, il vestito e l'apparenza. Forse potrà essergli offerto qualche compenso in seguito, quanto le proprietà che la sua famiglia possiede in Tripolitania fossero passate sotto la protezione delle nostre leggi, ma questa è per ora una semplice mia supposizione, sulla quale mi riservo al caso di ritornare dopo che avrò esperite le pratiche necessarie.

416 1 Non pubblicato.

417

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 5 novembre 1911.

Ho ricevuto la tua riservata personale del 3 novembre 1 , con la quale mi accompagni altra riservata del ministro della guerra, in data l o corrente, intorno ali' azione da spiegare verso le Congregazioni dei senussiti e dei madaniti, ed approvo pienamente la risposta da te fattagli e che trovo pure allegata2 .

Mi sono occupato personalmente e da tempo di queste due congregazioni religiose importanti in Cirenaica ed in Tripolitania mandando anche, come il ministro

4 I 7 1 L. I 05, non pubblicata.

Cfr. n. 405 e nota 2.

della guerra ti ha scritto e per suo mezzo, istruzioni a Dema e a Bengasi circa la Senussia, così consento volentieri a mantenere la direzione di queste pratiche le quali considero particolarmente interessanti.

Alle istruzioni già trasmesse a Dema e Bengasi, per lettera, ho aggiunto stamane, istruzioni telegrafiche al generale Caneva sia per la Senussia che per la Madania.

Per la quale ultima devo informarti che, quando il nostro agente diplomatico al Cairo mandò il suo interprete a tastare lo sceik Mohamed ben Ahmed al Madani Safra, questi aveva già contratto con noi un impegno scritto, per il quale si obbliga a trasferirsi, sotto certe condizioni, a Tripoli, e ad impegnarvi tutta la sua influenza a nostro favore. So che, in seguito alla visita dell'interprete dell'agenzia, si è ritirato dal Cairo dove era venuto chiamato da un mio agente e suo seguace sceik Meccani, ma aspetto ancora di conoscere l'impressione in lui prodotta dalla visita ricevuta, e se questi l'abbia confermato nella sua promessa o distolto da noi. Onde son chiari, come tu ben dici, gli inconvenienti di una azione multipla in consimili delicati negozi.

Ti sarò grato di tutte le comunicazioni in materia, provenienti dai nostri agenti all'estero, e particolarmente di quelle riguardanti le indicazioni da te ricevute circa alcuni intermediari capaci d'influire sulle tribù della Tripolitania e Cirenaica, dal r. ambasciatore a Parigi e dal r. console generale a Tunisi, le quali prenderò subito in esame, persuaso che nulla debba, in questo momento, venir trascurato per raggiungere la pacificazione pronta del paese da noi annesso.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. SEGRETISSIMO 48481 . Roma, 6 novembre 1911, ore 17,35.

La estensione delle nostre operazioni navali è ormai divenuta necessaria per affrettare la fine della guerra. Cercheremo nel primo periodo di compiere soltanto quelle che ledono meno interessi di paesi neutrali e che hanno minore probabilità di cagionare ripercussioni politiche. Il pericolo di tali complicazioni e quello di un permanente indebolimento della Turchia derivano molto più dalla durata della guerra

che dalla estensione del teatro delle operazioni e perciò tutto quello che può contribuire a costringere la Turchia a fare la pace risponde agli interessi generali dell'Europa intera. Poiché il timore è il più forte motivo per la Turchia, è necessario che le Potenze amiche di entrambi i belligeranti evitino in breve tempo tutto ciò che può rassicurare la Turchia sui limiti delle nostre future operazioni militari. La necessità di estenderle è resa più evidente anche dalle false notizie di vittorie turche diffuse dal Governo ottomano, che rendono quell'opinione pubblica più intransigente. Qualunque nostra ulteriore vittoria in un paese lontano come la Tripolitania sarà dal Governo ottomano o tenuta celata al popolo o gabellata come sconfitta nostra. Bisogna dunque che il popolo veda cogli occhi propri la verità.

Prego V.E. esprimersi nel senso sopra indicato a viva voce con codesto ministro degli affari esteri2 .

418 1 Il telegramma non è presente nel registro dei telegrammi in partenza; si pubblica perciò la copia del! 'ambasciata a Londra. Il gruppo dei destinatari è stato ricostruito sulla base delle risposte ricevute dal Ministero.

419

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6673/179. Pietroburgo, 6 novembre 1911, ore 20,10 (per. ore 22).

Ho comunicato oggi a Neratoff rilasciandogliene copia telegramma di V.E.

n. 4811 1 . Egli mi disse che certamente atto annessione dell'Italia darebbe luogo ad una protesta della Turchia alle Potenze e mi lasciò comprendere che nella sua risposta a questo ambasciatore di Turchia non avrebbe potuto omettere osservare che tale atto unilaterale non pregiudicava questione di diritto che resterebbe aperta fin dopo conclusione pace. Neratoff aggiunse che a suo modo di vedere difficilmente Turchia si lascerebbe indurre alla pace sulla base della nostra annessione prima di qualche azione militare decisiva per parte nostra che togliesse alla Turchia ogni speranza ricuperare perduta provincia. Ogni pressione delle Potenze in quel senso apparivagli quindi in questo momento di assai dubbia riuscita. Riguardo ad una eventuale nostra azione navale nell'Egeo con occupazione di qualche isola e di cui mi ha chiesto notizie che io dissi naturalmente non essere in grado di fornirgli mancando di ogni sicura indicazione in proposito egli manifestò qualche apprensione per il fatto anzitutto che esso avrebbe potuto provocare grave movimento fra le popolazioni elleniche che abitano isole arcipelago e essere fonte nuove complica

ZIOni.

419 1 Cfr. n. 410.

418 2 Per il seguito cfr. n. 425.

420

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 6677/634. Vienna, 6 novembre 1911, ore 21,05 (per. ore 23,25).

Mio telegramma n. 63 31 . Questo addetto militare mi partecipa che da più parti pervengono notizie preparativi militari e che il concetto che sino a ora si è formato è che realmente si siano prese misure per rendere più spedita una eventuale mobilitazione. Tale convinzione è condivisa anche, per quanto mi risulta, dalla ambasciata russa. Oggi l'addetto militare ha saputo da fonte che ritiene molto attendibile che il 7° Corpo di esercito (Temesvar) è in via di mobilitazione e che si sta in parte trasportando per ferrovia per Szabadka e Zagabria verso Fiume. Mentre telegrafo al r. console in Fiume per appurare sul posto questa notizia, partecipo che qui sarà fatto il possibile per vedere quale fondamento essa possa avere. Giunge ora notizia dal r. console in Zara che la flotta austro-ungarica, concentrata in quel porto, ha ricevuto l'ordine di mobilitazione la notte scorsa. Anche questa notizia si cercherà di controllare.

Il r. addetto militare si è recato stamane al Ministero ed ha chiesto a che cosa dovevano attribuirsi i trasporti militari che avevano originato la sospensione del traffico merci sulle ferrovie della Bosnia-Erzegovina. Gli fu risposto che non si faceva né si aveva intenzione di fare alcun movimento di truppe.

Questa risposta evidentemente è tale da non escludere che la ragione del sospeso traffico, ormai accertata, possa consistere nell'invio di uomini di rinforzo

o di materiale.

Ministro di Bulgaria che è venuto or ora a vedermi mi ha detto di avere avuto anche egli notizia delle voci di preparativi militari in Austria-Ungheria che lo sorprendono perché sono in contraddizione colle ripetute dichiarazioni di Aehrenthal di volere il mantenimento assoluto dello statu quo nei Balcani, tanto più che all'ora attuale nulla nella penisola balcanica giustifica la minima apprensione.

421

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA RISERVATA 11329. Roma, 6 novembre 1911 1.

Mi pregio trasmettere a cotesto Ministero, per sua conoscenza, copia della lettera n. 11329 del 5 corrente, che ho diretto al generale Caneva, al generale

421 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

437 Briccola ed al colonnello Zupelli, in conformità alla comunicazione avuta da S.E. il presidente del Consiglio.

ALLEGATO

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL GOVERNATORE GENERALE DELLA TRIPOLITANIA E CIRENAICA, CANEVA, E AI COMANDANTI DI BENGASI, BRICCOLA, E DI DERNA, ZUPELLI

fOGLIO RISERVATO 11329. Roma, 5 novembre 1911.

Il presidente del Consiglio dei ministri comunica quanto segue:

«È giunta da Kufra la notizia della morte di Sidi Hamed el Rifi, suocero di Sidi Mohamed el Mahdi el Senussi, il quale ultimo è stato il capo delle Confraternita dei senussi prima dell'attuale Sidi Hamed Scerif el Senussi suo nipote.

Sidi Hamed el Rifi era vecchio e viveva appartato dalle cose mondane, ma nulla si decideva a Kufra senza sentire il suo parere, essendo tanto il rispetto che per lui aveva il Gran Senussi attuale che quasi in ogni sua lettera vien ricordato.

Ora, siccome la notizia della morte di Sidi Hamed el Rifi non può essere ancora arrivata in Tripolitania ed in Cirenaica, i comandanti nostri farebbero certo cosa molto grata ai senussi se chiamassero i capi delle zavie maggiori di ogni località da noi occupata e loro partecipassero alla notizia, come giunta direttamente da Kufra al Governo italiano, aggiungendo quelle parole e quei segni di condoglianza che stimassero opportuni a meglio conciliarci gli animi dei fratelli della Senussia, invitando, per dire una cosa, gli ulema a fare in pubblico le letture del Corano per i defunti.

Tutto questo potrà venir fatto con maggiore o minore solennità a seconda dei luoghi, essendo Tripoli meno importante di Bengasi, ad esempio, per ciò che riflette i senussi, ed anche sentendo prima, per avviso, gli sceicchi stessi, se si crederà del caso».

420 1 T. 6638/633 del 5 novembre non pubblicato.

422

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 193 8/726. Il Cairo, 6 novembre 1911 (per il 17).

Come ho riferito con rapporti speciali i disordini scoppiati la settimana scorsa in Alessandria furono determinati principalmente dal linguaggio dei giornali arabi, i quali, salvo poche eccezioni, hanno intensificata in questi ultimi giorni la loro campagna violenta contro l'Italia. Sifatto atteggiamento più decisamente ostile si spiega sovratutto per due motivi. Il primo è di carattere economico: infatti i giornalisti arabi, di cui tutti qui conoscono le ristrettezze finanziarie tra cui si dibattono, accarezzando il fanatismo delle folle raggiungono una vendita insperata delle loro pubblicazioni; tanto che alcuni giornali, che si erano distinti per un tono più moderato, han dovuto modificarlo di fronte allo sfavore palese dei lettori. Il secondo è di carattere psicologico: in questi giorni cioè giunsero da Costantinopoli fantastiche notizie di nostre sconfitte, che trovarono, almeno in parte, una tal quale conferma nei dispacci contraddittori e spesso a noi sfavorevoli, delle varie agenzie telegrafiche,

e, giusta il carattere orientale, tutti han preso coraggio ad insultarci e ad accusarci d'ogni eccesso.

Nella popolazione indigena, così facilmente eccitabile il linguaggio della stampa ha avuto una profonda ripercussione; il Governo non si è reso conto del pericolo altro che quando le situazione si è dimostrata improvvisamente assai grave, ma non ha saputo o voluto prima esercitare una qualsiasi azione veramente decisa. Ora sembra che alcunché si faccia e ne [ho] avuta promessa formale dal ministro degli affari esteri anche stamane. Io non credo che si intenda agire con molto rigore sia perché il Ministero egiziano, che comprende non pochi individui d'origine turca, non ha certo soverchie simpatie per l 'Italia, sia perché esso ha bisogno di accaparrarsi una certa popolarità, temendo altrimenti di non apparire di fronte al nuovo rappresentante britannico sufficientemente adatto alla direzione della pubblica cosa. Ma forse si otterrà che i giornali indigeni ai astengano in avvenire dal dirigere i consueti insulti a tutto ciò che ha carattere italiano, ciò che sarebbe di gran vantaggio pel mantenimento della calma tra gli italiani.

Proprio nel giorno in cui scoppiarono i noti disordini in Alessandria il Moayad pubblicò una frase che poteva interpretarsi come un insulto diretto alla persona del nostro sovrano. Per questo ho ritenuto di non potermi esimere, malgrado il mio desiderio di non creare troppi imbarazzi al Governo egiziano in un momento in cui la sua posizione non è certamente delle più facili, di indirizzare un reclamo al locale Ministero degli affari esteri, cui ho diretta la nota che unisco in copia 1 . S.E. Rouchdi pascià mi ha risposto ora che la frase da me segnalata o meglio una parola usata dal Moayad era stata male interpretata dagli europei e che bisognava attribuirle un significato privo di carattere ingiurioso. Naturalmente il Governo locale è più competente d'ogni altro ad interpretare la lingua del paese: ad ogni modo con la sua dichiarazione scritta ha assunto intera la reponsabilità della cosa. Siccome la stampa europea ha rilevato tutta la frase del Moayad e tutti sanno che l'agenzia ha rivolta in proposito una protesta al Governo, darò nei debiti modi la necessaria pubblicità alla nota direttami in proposito da questo Ministero degli affari esteri. È del resto un fatto che si tratta di parola che ha vari significati, alcuni dei quali, come quello attribuitole ufficialmente dal Governo, non hanno carattere ingiurioso. Della nota suddetta dobbiamo dichiararci soddisfatti, tanto più che con essa Rouchdi pascià mi assicura d'aver date istruzioni speciali alla stampa perché eviti assolutamente di trascinare la persona del nostro sovrano nelle polemiche giornalistiche. Giova infine tener presente le caratteristiche speciali dei giornali indigeni, i quali ignorano ogni sistema di giornalismo che non sia basato sulla menzogna e sull'ingiuria più o meno diretta: ben di sovente il kedive stesso od i suoi ministri sono oggetti di attacchi diretti. È vero che in tal caso si ricorre con qualche frequenza a misure di rigore, ma nel nostro caso non bisogna dimenticare che al presente il Ministero egiziano e le autorità locali si trovano in una posizione tutt'altro che facile.

Per quanto riguarda l'azione di questa r. agenzia sulla stampa, informo l'E.V., che ho dovuto sospendere anche il lieve sussidio versato al Al-Ahmar. Non che

questo giornale abbia modificato il proprio atteggiamento, che anzi ha sempre scritto cose molto sensate ed in nostro favore, ma il proprietario è partito per Parigi, ove dovrebbe incontrarsi con alcuni anarchici italiani che sarebbero in relazioni con dei rivoluzionari della Persia. Ciò ha destato in me qualche sospetto ed ho detto al suddetto giornalista che intanto avrei sospesi gli aiuti fino al suo ritorno in Egitto. Nel frattempo cercherò di assodare il vero movente del di lui viaggio in Francia, anche per l'eventualità che il medesimo ottenga l'autorizzazione di pubblicare un giornale a Tripoli per il che sarebbe, altrimenti, persona per capacità e coltura veramente adatta.

422 1 Non allegata al rapporto.

423

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 6684/489. Londra, 7 novembre 1911, ore 1,10 (per. ore 5,50).

Dopo di avere conferito con Grey di cui risposta è stata alquanto secca1 , ho voluto vedere Nicolson. Parlandomi in via affatto privata e personale, non mi ha dissimulato che, a suo avviso, annessione è stata prematura avendogli io detto ritenere nostra decisione inspirata sopratutto desiderio affrettare pace e facilitare azione conciliante Potenze e risparmiare amor proprio Turchia. Ha risposto aver egli impressione affatto contraria sembrandogli che avvenuta annessione aggrava sensibilmente difficoltà per ogni tentativo mediazione. Turchia ha già protestato e lascierà andare avanti cose per un pezzo ancora senza voler sentire parlare di pace. Avendo io detto che in tale caso noi avremmo spinto guerra con maggiore energia, ha risposto che su questo punto è bene da parte nostra agire con grande ponderazione. Nicolson ha aggiunto che comunque Inghilterra, conforme precedenti, non può aderire ad una modificazione dei trattati senza il consenso di tutte le Potenze firmatarie. Ho osservato in tesi generale che annessione avveniva per diritto di conquista in seguito guerra. Ha replicato che se abbiamo occupato principali punti costa, non abbiamo ancora conquistato interno paese ed ha ricordato che, solo che dopo conquista quasi totale, Inghilterra procedette annessione Transwaal. In conclusione Nicolson mi ha confidato che annessione giunge in un momento specialmente inopportuno visto irritazione generata nel Parlamento e nell'opinione pubblica da questa perfida campagna giornalistica da lui sinceramente e profondamente deplorata perchè capisce benissimo il giuoco della Germania. Debbo confessare, in complesso, che sono rimasto poco soddisfatto odierno colloquio avendo per la prima volta trovato indiscutibile freddezza che attribuisco in parte anche all'imbarazzo in cui è messo Governo dalla vera italofobia prevalente nella maggioranza, dopo le calun

440 niose accuse per i pretesi massacri. Oggi vi furono nuove interrogazioni; per una semplice omissione di forma non si venne alla discussione di una mozione che non so se Governo riuscirà evitare nei giorni seguenti. Come già l'ho scritto traversiamo un cattivo momento ma nulla deve scoraggiarci. Teniamo duro come fece Austria nel 1908 e cerchiamo, senza ben inteso pericolosa precipitazione, di distruggere presto esercito turco in Tripolitania, prima di che mi pare fuori di proposito parlare di pace. Sarebbe bene prendere a priori posizione possibilmente d'accordo con qualche altra Potenza in senso contrario a qualsiasi riunione di conferenza che turchi come di consueto potrebbero proporre e questo Governo, in omaggio dottrinarismo suoi fautori, essere costretto appoggiare non fosse altro proforma.

423 1 Cfr. BD, vol. IX/l, n. 301.

424

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. 4875. Roma, 7 novembre 1911, ore 19.

Il mio telegramma n. 4811 1 non richiede necessariamente che le Potenze diano ora formale risposta. Esso non rivestiva quei caratteri di notificazione ufficiale che obbligano a prendere o a non prendere atto. Esso è bensì la comunicazione ai Governi amici di un fatto compiuto ed a qualunque costo irrevocabile. Ciò che sopratutto importa nell'interesse della pace è, ripeto, che le risposte dei Governi ai passi della Turchia non siano concepite in modo da incoraggiarla a fare una inutile resistenza. Come V.E. vedrà dai telegrammi odierni la situazione militare in Tripolitania e Cirenaica risulta oggi tale da dimostrare vieppiù che una seria resistenza turca colà non è più possibile.

425

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO 6736/641. Vienna, 7 novembre 1911, ore 20,55 (per. ore 22,30).

Mi sono espresso con Aehrenthal nel senso istruzioni telegramma di V.E. segretissimo n. 48481• Aehrenthal mi ha detto che non poteva non ricordare a questo proposito gli impegni assunti dal R.Governo relativi alla esclusione d'operazioni

425 Cfr. n. 418.

contro coste ottomane de li' Adriatico e del Jonio come quelli contratti con il trattato della Triplice Alleanza.

424 1 Cfr. n. 410.

426

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1416/256. Sofia, 7 novembre 1911 (per. il 22).

È stato in questi giorni adottato in prima lettura dal Sobranie un progetto di legge portante un credito straordinario di fr. 3.800.000 per l'esercito. Il signor Ghescioff mi ha detto confidenzialmente che questo è stato il prezzo che egli ha dovuto pagare per acquetare quelli, fra i suoi colleghi, e sopratutto il Teodoroff, ministro delle finanze, ed il Nikiforoff, ministro della guerra, i quali tre settimane fa erano partigiani di un'immediata mobilitazione dell'esercito bulgaro. La somma sarà erogata pare totalmente in acquisti da varie fabbriche estere di munizioni, di cui, come è ben noto, assai si scarseggia qui. Con ciò, e se si confermano le voci da me raccolte, d'importanti acquisti di cavalli, verrano eliminate le due grandi difficoltà che sempre si opposero finora alla mobilitazione di questo esercito.

Il Ghescioff mi dette l 'informazioni di che qui sopra domenica allorquando mi recai da lui per fargli la comunicazione corcernente l'annessione al Regno d'Italia della Tripolitania e della Cirenaica, quel giorno stesso decretata da Sua Maestà. Il Ghescioff accolse la comunicazione senza commenti riserbandosi naturalmente di leggere con agio e studiare le note del R.Governo sopratutto per ciò che concerne lo statu quo degli Stati balcanici. Né fino ad ora ho visto nei giornali bulgari governativi o di opposizione, commenti rilevanti a questo gran passo del R. Governo.

Opportunissima mi sembra la direzione presa da V.E. di comunicare direttamente a quest'ufficio le notizie telegrafiche inviate dali' Agenzia Stefani dal teatro della guerra. Questa stampa era stata infatti assolutamente fuorviata dalla valanga di false notizie qui giunte da Costantinopoli e soprattutto, pel tramite della Politische Correspondenz all'Agence Télégraphique Bulgare, da Vienna. Non ho risparmiato a detta Agenzia ed anche ai membri di questo Ministero degli affari esteri che ne dirigono il servizio, osservazioni alquanto risentite sulla facilità colla quale detta agenzia non ha esitato di accogliere le più strampalate notizie di origine turca ed austriaca. Ma il mezzo più efficace per controbilanciare il cattivo effetto da ciò prodotto, consiste e consisterà nelle quotidiane comunicazioni che V.E. mi pone ora in grado di fare all'Agenzia, la quale, occorre dirlo, pubblica subito e volentieri quanto le giunge da questa r. legazione.

Coi colleghi esteri poco ho parlato in questi giorni, né mi curo eccessivamente di farlo, della nostra situazione in Tripolitania e dei più o meno favorevoli prospetti di pace colla Turchia. Panni però fra di essi diffusa l'opinione che né in Turchia stessa, né nei rapporti fra le Grandi Potenze europee, la nostra guerra possa oramai portare serie complicazioni. Il punto che eccita la curiosità e denota l'incertezza di questi diplomatici ed uomini politici con cui mi è avvenuto di parlare, si è l'espediente cui l 'Italia ricorrerà per giungere alla conclusione della pace che qui si desidera sinceramente, ma che dati i metodi dilatorii della Turchia, qui troppo noti, si teme debba essere ritardata all'infinito.

Delle dichiarazioni fatte dai rappresentanti germanico, austro-ungarico, francese e russo al Ghescioff (mio telegramma n. 155 1) non si parla naturalmente più. Al momento in cui esso si discusse non mancò chi volle attribuirgli una portata trascendente di assai il suo proprio oggetto che, ad opinione di tutti, l'attitudine del Ghescioff e del re Ferdinando aveva singolarmente fatto scemare d'importanza2 . Credevasi cioè di ravvisare in questo scambio di idee avutosi fra tutte le Grandi Potenze europee circa i rapporti turco-bulgari, una specie di rinascita del concerto europeo per gli affari dell'Oriente. Senonché l'astensione dell'Inghilterra dal prender parte a quel passo, astensione dovuta, a quanto sembra, a pura e semplice opposizione personale di sir Henry Bax-Ironside, ha servito a ridur la cosa alle sue giuste proporzioni; ad una pratica cioè per così dire d'ufficio nella quale sarebbe vano il voler ricercare reconditi moventi o scopi peregrini.

427

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1950/732. Il Cairo, 7 novembre 1911 1

Giorni or sono è venuto a vedermi il dottor Insabato per intrattenni di un affare privato che interessava un suo conoscente. Come è uso di questo ufficio, ho accolto quel nostro connazionale dichiarandomi pronto ad assecondarlo in quanto gli potesse personalmente servire. Come è naturale e come fanno tutti gli italiani che vengono all'agenzia mi chiese se avevo qualche notizia intorno alla nostra guerra e la nostra conversazione si aggirò sopra l'argomento che è oggi di interesse comune. Poiché altre persone attendevano per vedermi il signor Insabato rimase con me pochi minuti; mi disse però che sarebbe ritornato desiderando dirmi varie cose che potevano interessare il regio servizio. Gli risposi che l'avrei rivisto a tale scopo con piacere ed infatti ritornò l'indomani. Mi parlò in modo vago delle sue relazioni col mondo indigeno, dei suoi studi sugli arabi senussiti e medania, mi accennò ad un suo recente viaggio in Tripolitania e Cirenaica, durante il quale aveva avuto occasione

2 Unita al presente rapporto si conserva la pagina 4 di altro rapporto del 27 dicembre con il quale De Bosdari riformulava l'intera frase, a seguito delle richieste di chiarimento del ministero: «Delle dichiarazioni fatte dai rappresentanti germanico, austro-ungarico, francese e russo al Gheschioff (mio telegramma n. !55) non si parla naturalmente più. Al momento in cui si discussero, non mancò chi volle attribuire al devisato passo una portata trascendente di assai il suo proprio oggetto che, ad opinione di tutti, l'attitudine del Gheschioff e del re Ferdinando aveva singolarmente fatto scemare d'importanza».

di avvicinarne qualcuno. Il nostro colloquio ha avuto un carattere dei più generali perché, fedele alle istruzioni contenute nel telegramma di VE. n. 4531, del 26 ottobre2, ogniqualvolta il dottor Insabato mi ha detto qualche cosa intorno alla propria missione ho lasciato cadere il discorso senza far alcun rilievo e passando anzi opportunamente ad altro soggetto.

Egli però mi ha detto che aveva cercato di adoperarsi da qui per esercitare una certa influenza sugli arabi della Tripolitania appartenenti alle sette senussite e medania e che a tale scopo aveva cercato di mandare anche degli emissari per far note a quelle popolazioni le vere intenzioni dell'Italia nell'occupare i territori dove abitano; che però di fronte all'eccitamento anti-italiano degli indigeni gli emissari che avrebbe trovati si sarebbero poi rifiutati di partire, temendo di trovare oltre i confini uno stato d'animo ancor più ostile e di esporsi pertanto ad un pericolo cercando di modificarne la convinzione. Perciò, mi disse, che, almeno temporaneamente, avrebbe dovuto rinunciare al suo divisamento.

Per la ragione sovra indicata non ho chiesto spiegazioni, ho solo detto che effettivamente propositi di tal genere nelle circostanze attuali apparivano assai poco realizzabili. Passai poi all'argomento della raccomandazione da lui fattami il giorno precedente e di Tripolitania non si è più parlato. Ma di quanto ho saputo indirettamente e senza domandarlo credo mio dovere render edotta la E.V.

426 1 T. 6268/155 del 28 ottobre, non pubblicato.

427 1 Manca l'indicazione del giorno d'arrivo.

428

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TRIESTE, PATERNÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 6744/38. Trieste, 8 novembre 1911, ore 12,45 (per. ore 13,35).

Informo che 5 corrente partite da Pola ignota destinazione tre corazzate austroungariche.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO, A COSTANTINOPOLI 1

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 4904. Roma, 8 novembre 1911, ore 13.

Prego farmi sapere subito le sue impressioni e quelle delle persone che ben conoscono l'ambiente turco sui seguenti punti: l) quali effetti di ogni ordine abbiano

429 1 Il telegramma fu trasmesso via Sofia.

444 prodotto le smentite alle pretese vittorie turche ed il decreto di annessione e se abbia quest'ultimo affrettato o ritardato la rassegnazione della Turchia all'inevitabile; 2) quale effetto per affrettare o ritardare la pace potrebbero produrre nostre eventuali operazioni militari navali all'infuori della Tripolitania e Cirenaica e quali sarebbero le più efficaci per costringere la Turchia a cedere e quale il momento più opportuno a questo scopo per intraprenderle2 .

427 2 Cfr. n. 388.

430

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6770/79. Tunisi, 8 novembre 1911, ore 17 (per. ore 22,10).

Miei timori non erano purtroppo fondati'. Ieri infatti scoppiò la sommossa degli arabi mettendo tutta la città in grande scompiglio. Si contano una ventina di morti fra cui quattro italiani e molti feriti. Oggi poi siciliani agitatissimi corrono la città reclamando protezione vendetta e rappresaglie; pare che vi siano nuovi morti e feriti. Mi adopero energicamente a tranquillizzarli ma con poco successo. Truppe poco successo. Truppe scarse mobilizzate fanno quello che possono. Situazione piuttosto grave.

431

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6775/670. Parigi, 9 novembre 1911, ore 0,40 (per. ore 7).

Risposta al telegramma 4881 1• Questo ambasciatore di Turchia ha presentato a De Selves due proteste una contro i massacri arabi e una contro il decreto di annessione della Tripolitania. Non ha chiesto alcuna risposta e De Selves si propone di non dargliene alcuna.

429 2 Per la risposta cfr. n. 436.

430 1 Così nel documento. Si intende, in tutta evidenza, infondati.

431 1 T. del 7 novembre, non pubblicato, col quale di San Giuliano chiedeva se la Turchia avesse effettivamente presentato delle proteste al Governo francese.

432

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. SEGRETO 4955. Roma, 10 novembre 1911, ore 2,30.

Telegrammi di V.E. 647 1 e 65 P. Si riproduce nei rapporti itala-austriaci un caso che si è avverato più di una volta almeno dacché io sono alla Consulta. Il caso è questo: che Aehrenthal ed io siamo perfettamente d'accordo nel fine e talora discordi nei mezzi. Ma ciò deriva da informazioni divergenti su dati di fatto. Infatti siamo d'accordo nel voler affrettare la pace ed evitare ripercussioni balcaniche. Dalle informazioni nostre però diverse dalle sue risulta che una certa estenzione delle nostre operazioni navali gioverebbero al conseguimento del duplice comune intento. Stiamo cercando di controllare e completare tali informazioni e saremo grati se anche egli vorrà darci elementi di giudizio. Esaminando i singoli punti trattati nel mio telegramma n. 48603 osservo intorno al quarto punto che è difficile giudicare con esattezza quali tra le previsioni divergenti fatte da me e da Aehrenthal siano più fondate. È appunto questo il lato della questione che stiamo studiando prima di iniziare la eventuale azione. Aspettiamo in proposito notizie sulla vera situazione in Turchia. In ogni modo prima di iniziare le operazioni faremo ulteriori comunicazioni ai nostri alleati. Vengo ora al precedente punto del mio predetto telegramma

n. 4860. Prendo atto che l'obiezione di Aehrenthal relativa al bombardamento si riferisce ali 'Europa e perciò è evidente che non può mai applicarsi a quelle isole che fanno parte dell'Asia come per esempio Rodi né alle coste ottomane asiatiche. Inoltre comunque l'articolo 7 si voglia interpretare pro bono pacis noi siamo disposti a patto di reciprocità ad interpretarlo nel senso che più lega i firmatari, esso parla di occupazione anche temporanea e non può quindi applicarsi a bombardamenti neanche per il motivo addotto nel suo telegramma n. 647. Ciò è tanto vero che quando Aehrenthal ci chiese di non far sbarchi né bombardamenti contro le coste di Albania e di Epiro non si fondò sull'articolo 7 ma sugli accordi speciali itala-austriaci e consentì alla piena libertà d'azione altrove che ci riservammo allora espressamente e più tardi consentì anche a modificare le dichiarazioni dei Governi austriaco e ungherese nei parlamenti.

Se egli intendeva escludere ogni operazione contro le coste ed isole della Turchia europea doveva dircelo allora mentre noi in seguito ali 'unica limitazione da lui chiesta quella cioè relativa all'Albania e all'Epiro abbiamo regolato tutta la nostra condotta politica e militare e concepiti e attuati tutti i nostri disegni in vista della sicurezza di non aver più a temere difficoltà di tal genere da parte dell'Austria nel corso ulteriore della guerra. Tuttavia per dare all'Austria nuova prova di amicizia diamo ordine alla squadra di non bombardare le coste né le isole europee fino a che

2 T. segreto 6789/651 dell'8 novembre, non pubblicato.

3 T. segreto del 6 novembre, non pubblicato.

446 e a meno che non se ne presenti la necessità e fino a che non sia avvenuto un ulteriore scambio d 'idee coli' Austria.

Dobbiamo però per debito di lealtà dichiarare che tale restrizione non può estendersi al punto di non continuare, in vista delle predette isole, qualche combattimento cominciato in mare, da non metterei al ridosso di qualche isola in caso di mar cattivo ed in genere da astenerci da quegli atti di ostilità che possono diventare inevitabili per assicurare il successo di operazioni militari. Questo in ogni modo fino a nuovo scambio di idee non avrà per scopo una azione offensiva contro le coste ed isole europee e sarà diretto in guisa da evitare nei limiti del possibile di spingerei contro il raggio di tiro di esse. Come già ebbi a dirle è assolutamente necessario che questa limitazione e trattative rimangano segrete non solo per incoraggiare (sic) la Turchia alla resistenza ma anche perché tali opposizioni dell'Austria, che il R. Governo sa essere cagionata unicamente dal lodevole desiderio di evitare complicazioni balcaniche, si presterebbero nel pubblico ad interpretazioni diverse e desterebbero nel sentimento unanime della Nazione italiana una impressione enorme. Non solamente andrebbero perduti i notevoli risultati ottenuti finora col miglioramento progressivo dei rapporti fra Italia ed Austria ma si farebbero molti passi indietro e nell'interesse stesso della solidità e della popolarità della Triplice Alleanza si sarebbe costretti a ritardarne di molto la rinnovazione. Ciò sarebbe tanto più persuasivo in quanto che l'eliminazione della questione di Tripoli dal terreno internazionale, il soddisfacimento, ormai assicurato, di questa antica aspirazione nazionale ed un complesso di altre cause debbono necessariamente concorrere a rafforzare la Triplice Alleanza e specialmente l'amicizia fra l'Italia e l'Austria.

Tutte queste limitazioni ad operazioni militari che pur spaventando la Turchia non la colpirebbero in modo vitale hanno poi tra gli altri pericoli quello di costringerci ad escogitare altri mezzi di imporle la pace che nei loro effetti potrebbero riuscire per essa più dannosi. E se ciò non facessimo il pericolo di complicazioni potrebbe diventare ancora maggiore perché la Turchia potrebbe sentirsi incoraggiata a proseguire la guerra indefinitivamente. Ora pensi Aehrenthal quanto pericolosa diventerebbe la situazione per l 'Europa intera se in primavera quando realmente le minacce balcaniche che ora non esistono possono diventare probabili, l'Italia invece di poter cooperare coi suoi alleati e le altre Grandi Potenze ad eliminarle ed a appoggiare Turchia si trovasse ancora in guerra con questa.

Ed è anche bene che i nostri alleati sappiano che noi consideriamo come un grande nostro interesse il pieno accordo con loro ed il mantenimento dello statu quo ma che ciò non potrà mai indurre l'Italia a cedere nella questione della sovranità piena ed intera della Tripolitania e Cirenaica, qualunque possano essere le conseguenze di tale irrevocabile decisione che ci è dettata da considerazioni altissime di prestigio ed interessi nazionali le quali trascendono di gran lunga per la loro importanza l'importanza stessa della questione speciale di Tripoli né mai la nazione permetterebbe ad alcuni meetings anarchici italiani di annullare la firma del re apposta al decreto di annessione. Fermo essendo questo punto è chiaro che il ritardar la pace la rende più difficile perché rende più difficili i compensi morali e materiali che oggi ancora siamo disposti a concedere alla Turchia. Da ciò la necessità di costringerla presto sia per mezzo delle nostre operazioni militari sia per mezzo dell'influenza che i nostri alleati possono esercitare a Costantinopoli sia per mezzo dell'azione concorde delle Grandi Potenze.

Se noi dunque insistiamo per conservare libertà di operazioni militari non è già perché le consideriamo come scopo a se stesse e neanche per desiderio di compierle ma anzi col desiderio di !imitarle spontaneamente senza però impegnarci e senza che la limitazione derivi dalla volontà altrui. Poiché è sufficiente garanzia che non eccederemo i limiti della prudenza, il nostro fermo proposito ed il nostro evidente interesse di evitare complicazioni balcaniche e di non offendere legittimi interessi e suscettibilità di alleati ed amici, conservare e rafforzare i buoni rapporti con loro.

Se V.E. non è di diverso avviso la prego esprimersi a viva voce nel senso suddetto con Aehrenthal aggiungendo o sopprimendo tutte quelle considerazioni che crederà. Prima però di parlargli prego telegrafarmi suo avviso e di aspettare la mia risposta tanto più che in pari data io telegrafai a Pansa nei medesimi termini affinché egli cerchi di persuadere il Governo di Berlino delle nostre ragioni e lo induca possibilmente a fare qualche passo presso il Governo austriaco. Se ciò si otterrà parmi che tale passo dovrebbe precedere le sue conversazioni con Aehrenthal. La prego pure di telegrafarmi il suo parere, naturalmente senza parlarne con Aehrenthal, sulla natura ed importanza delle difficoltà o che potremmo aspettarci da parte dell'Austria se noi interpretando l'articolo 7 nel senso suddetto, bombardassimo forti di qualche isola o città indubbiamente asiatica come per esempio Rodi o Smirne o fossimo costretti a far, entro il tiro di piazze europee, le operazioni cui ho accennato senza bombardamenti che abbiano per obbiettivo principale coste o isole europee.

Il consiglio di Aehrenthal di far progredire il più rapidamente possibile le operazwm in Tripolitania è saggio ed è appunto quello che si sta facendo con successo4 .

432 1 T. 6734/647 del 7 novembre, non pubblicato.

433

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO, E AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

T. UFF. COLONIALE RISERVATISSIMO 4973 1 . Roma, 10 novembre 1911, ore 10.

A Tunisi Alessandria verificatisi movimenti di musulmani contro italiani con violenze ed uccisioni. Autorità locali hanno energicamente represso. È necessario esercitare oculata sorveglianza su agenti musulmani che cerchino agire su codeste popolazioni musulmane per subornarle. Prego informarmi2 .

2 Con T. 6936 del 13 novembre, non pubblicato, De Martino rispose che, fino a quel momento, non si era svolta nessuna azione di propaganda contro l'Italia; con T. 7958/1548 del 15, non pubblicato, Rubiolo diede una risposta analoga.

432 4 Per la risposta cfr. n. 434.

433 1 Il telegramma a De Martino fu trasmesso via Aden.

434

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6894/662. Vienna, 11 novembre 1911, ore 18,5 5 (per. ore 21,25).

Telegramma di V.E. n. 4955 1• Le obiezioni fatte da Aehrenthal ad un'estensione del teatro della guerra all'infuori della Tripolitania e Cirenaica sono giuridiche e politiche. Quelle giuridiche si basano sull'articolo sette del Trattato di Alleanza non solo in quanto riguarda l'occupazione di territori della Turchia europea, ma anche in quanto sancisce il principio del mantenimento dello statu quo che potrebbe essere minacciato da bombardamenti nostri. Riconosco però che le osservazioni di V.E. al riguardo sono giustissime ed io stesso le ho in gran parte già rappresentate ad Aehrenthal nei miei recenti colloqui facendogli rilevare come egli non avesse mai sollevato obiezioni contro le dichiarazioni da me fattegli che noi ci riservavamo piena libertà d'azione, escluse le coste albanesi ed epirote, per il resto del mare e del territorio ottomano. Alle osservazioni suddette si potrebbe forse aggiungere quella che noi ci troviamo ora in una situazione particolarissima e molto delicata che il trattato non prevede e non poteva prevedere, cioè di essere in guerra con la Turchia, ma di voler malgrado ciò il mantenimento dello statu quo nei suoi territori e nelle sue isole d'Europa. E ci converrebbe pure osservare che un eventuale bombardamento di città o isole della Turchia europea, non avendo per scopo diretto un mutamento dello statu quo nella penisola balcanica, non potrebbe ritenersi come contrario all'articolo sette.

Le obiezioni di carattere politico fattemi da Aehrenthal si basano sulla supposizione che un'estensione delle nostre operazioni militari inasprirebbe la Turchia, la spingerebbe a prendere provvedimenti estremi contro i sudditi italiani ed a prolungare la guerra; potrebbe poi aumentare le probabilità di complicazioni coll'indurre forse gli Stati balcanici ad un'azione e non ci darebbe in fine in alcun caso la possibilità di colpire la Turchia in un modo così decisivo da costringerla materialmente alla pace. Non posso nascondere a V.E. che queste obiezioni politiche mi sembrano aver il loro peso. È fuori di dubbio che l'annessione della Tripolitania, opportunissima dal lato morale per tagliar corto alla campagna d 'intimidazione fatta dall'estero contro di noi e per documentare solennemente la nostra decisione irrevocabile di non accettare altre soluzioni, sembra fino ad ora meno giustificata dallo stato di fatto della nostra occupazione in Tripolitania e Cirenaica. Che tale sia l'opinione unanime delle Potenze è provato dal fatto che nessuna di esse ritiene al giorno d'oggi possibile di proporre alla Turchia di fare la pace sulla base da noi desiderata. In tali circostanze una nostra azione fuori della Tripolitania potrebbe essere forse interpretata come una scappatoia o un diversivo alle difficoltà che si

pretende che noi incontriamo intorno a Tripoli, come un desiderio, per non dire un bisogno, di far la pace a breve scadenza e forzare così in certo modo la mano alle Potenze per coadiuvare in tal caso l 'Italia. Da quanto precede mi pare si possa dedurre che noi non ci troviamo in presenza di alcun indizio che faccia dubitare che Aehrenthal non sia sincero nel consigliarci di non estendere il teatro della guerra per non aggravare la situazione e non rendere più difficile la conclusione della pace quando la nostra situazione militare in Tripolitania e Cirenaica sarà migliorata. In ogni modo io ritengo fin d'ora opportuno di dar comunicazione a Aehrenthal del telegramma di V.E. n. 4955 e stimerei anzi preferibile dargli lettura di esso con qualche piccolo ritocco. Ciò non potrebbe servire che a chiarire la situazione. Quanto al contegno che l'Austria-Ungheria assumerebbe di fronte nostre operazioni nell'Egeo o sulle coste europee della Turchia, io credo che, in tutti i casi secondo l'interpretazione estensiva di Aehrenthal si cadrebbe sotto l'articolo sette del Trattato di Alleanza, essa comincerebbe col protestare contro la nostra azione, siccome lo stesso Aehrenthal mi dichiarò (mio telegramma n. 631 )2 ciò che avrebbe per effetto o di arrestarci, con grande diminuzione del nostro prestigio, o di esporci a serie conseguenze per i nostri rapporti con la Monarchia, se non tenessimo conto del suo avvertimento. Su questo punto debbo, a scarico della mia responsabilità, mettere in guardia il R. Governo nel modo più assoluto perché i pericoli a cui ci esporremmo sarebbero gravi. Per quello che riguarda il caso di nostre operazioni sulle coste e le isole dell'Asia, pur riferendo mi a quanto feci già conoscere a V. E. con telegramma

n. 6573 , io credo che Aehrenthal non prenderebbe probabilmente posizione aperta contro noi, tanto più che egli forse si attende che qualche altra Potenza colà maggiormente interessata come la Francia o l 'Inghilterra, possano sollevare obiezioni. Ma anche in questo caso credo che egli sarebbe molto contrariato dalla nostra azione, che sarebbe in contrasto con tutte le sue raccomandazioni e ciò potrebbe esporci a non più contare forse sulle sue amichevoli disposizioni.

434 1 Cfr. n. 432.

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATISSIMO SEGRETO 5043. Roma, 12 novembre 1911, ore 0,15.

Decifri ella stesso. Dai telegrammi che abbiamo recentemente scambiato, V.E. ha potuto rilevare quante difficoltà internazionali si oppongono ad una nostra eventuale azione nell'Egeo e quanto sia dubbia la sua efficacia per costringere la Turchia a cedere.

3 T. 6818/657 del 9 novembre, non pubblicato.

È probabile che qualsiasi azione militare in quelle regioni possa dar luogo a complicazioni balcaniche, e perciò comprendo benissimo che, se si devono affrontare tali rischi, possa parer preferibile farlo per ottenere un risultato risolutivo.

Se questo si ottenesse cesserebbe subito la guerra, e, con essa, il maggiore pericolo di complicazioni, cosicché un'operazione militare, che facesse raggiungere siffatto risultato, avrebbe in ultima analisi effetti pacifici, e gioverebbe, per quanto ciò possa parere paradossale, alla Turchia stessa.

I nostri tecnici militari dicono che non riescirebbe molto difficile alla nostra flotta forzare i Dardanelli e apparire innanzi a Costantinopoli, ma è probabile che basterebbe l'inizio di un attacco alla imboccatura dello stretto per indurre la Turchia a cedere. lo credo, anzi, che se da qualche Potenza o meglio ancora da tutte, sia pure in forma di rivelazione, d'indiscrezione, di interessamento amichevole, [si] portasse l'avviso alla Porta che l'Italia disponesi a tale operazione e che le Potenze, pure essendone dolenti, non possono opporvisi, questo amichevole avviso potrebbe essere forse bastevole ad indurre alla pace.

Giudichi V.E., e voglia rispondermi per telegrafo, se crede che, come idea sua personale, potrebbe sondare il terreno presso codesto Governo. Solo quando si abbia certezza di non trovare da parte della Germania difficoltà invincibili, si potrebbe sondare il terreno altrove.

È superfluo dire che occorre la massima segretezza1•

434 2 Cfr. n. 412.

436

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6921/213. Costantinopoli, 12 novembre 1911 (per. ore 3,30 del 13) 1.

Risposta al telegramma n. 49042 . Riassumo qui mie impressioni e quelle delle persone da me viste negli ultimi giorni.

Governo ottomano ha sperato sempre che Italia avrebbe all'ultimo concesso una forma di sovranità nominale sulla Tripolitania e Cirenaica. Governo ottomano si è pure illuso che Potenze intervenissero [ ...p presso Italia. Decreto di annessione che ha mostrato decisione irrevocabile Italia annettere puramente e semplicemente Tripolitania e Cirenaica è naturalmente criticato dalla stampa locale anche per riflesso di

2 Cfr. n. 429.

3 Gruppo indecifrato.

quanto fanno stampa austriaca e tedesca. Mi è stato riferito che Comitato cerca di mostrare alla popolazione avere fatto tutto ciò che è possibile per salvare la dignità dell'Impero, non è stato scontento del decreto perché decisione irrevocabile dell'Italia e tacito consenso delle Potenze serviranno a provare alle popolazioni che perdita assoluta Tripolitania e Cirenaica è inevitabile quindi decreto annessione, se non ha affrettato la pace ed ha irritato opinione pubblica, ha però tolto ultima speranza del Governo e del Comitato ed eliminato un equivoco. Marschall è però d'avviso che ora la guerra continuerà indefinitamente. Notizie pretese vittorie turche non vennero qui smentite. Riguardo riconquista Tripoli da parte dei turchi annunziata prima ufficialmente, si è poi detto che notizia non era definitiva ma che presa avrebbe luogo fra qualche giorno. Presa di Derna è stata invece confermata. Notizie Agenzia Stefani vengono qui pubblicate con ogni riserva e ad esse si contrappongono quelle d eli' Agenzia ottomana; ricordo che ministro della guerra era impressionato di tali false notizie e che gran vizir dichiarò al barone Marschall di non prestarvi fede. Comitato le volle pubblicare ad ogni modo per distogliere opinione pubblica da fatti e rivelazioni recenti che lo avevano scosso.

È opinione comune che Turchia continuerà a resistere all'Italia qundi nuove eventuali operazioni navali non potranno che affrettare la pace. Mi è stato riferito che Comitato non ne sarebbe scontento perché ciò servirebbe maggiormente a mostrare alla popolazione che Turchia ha dovuto cedere perché abbandonata dalle Potenze. Nuova azione militare e navale affretterebbe pace anche perché malgrado esplicite dichiarazioni del R. Governo di avere deliberatamente rinunziato a fare guerra solo n eli' Adriatico e nel Ionio, opinione pubblica si mostra convinta che Potenze impediranno ali 'Italia di estendere le sue operazioni militari e navali. Eventualmente nuove operazioni dovrebbero aver luogo subito perché nel frattempo Governo ottomano provvede alla difesa delle isole e delle coste. Mi è stato riferito che se squadra italiana operasse nell'Egeo si avrà espulsione in massa degli italiani. Non si esclude anche massacri. Opinione pubblica è qui assai montata. Per espulsione si accorderebbe forse un termine di quindici giorni. Massacri non sarebbero ordinati come sotto antico regime, ma determinati da un fatto isolato che potrebbe essere imitato. Mi è stato riferito che Comitato interessa che non avvengano massacri per non mettersi in posizione difficile di fronte Europa. Se massacri colpissero cristiani in genere e non solo gli italiani anche altre Potenze potrebbero essere determinate agire. Mi è stato riferito che Comitato desidera espulsione per prevenire torbidi. Indica località ove eventualmente nuove operazioni di guerra potrebbero aver luogo in ordine progressivo di efficacia: isole, Beiruth, Smirne, Salonicco, Dardanelli, distruzione flotta.

È opinione prevalente che un'azione navale e militare italiana nell'Arcipelago, occupazione di Rodi, Mitilene Chio, non avrebbe grande efficacia. Alcuni come Marschall la negano completamente perché si tratta di isole essenzialmente cristiane perché non costituisce una parte dell'Impero perché Turchia ne ha già fatto esperienza. Mi è stato osservato che tale occupazione potrebbe forse avere effetto se accompagnata dalla dichiarazione di annessione.

Con mio telegramma ulteriore e senza assumere alcuna responsabilità trattandosi di materia militare riferirò a V.E. alcuni dati tecnici sulla resistenza che la Turchia potrebbe opporre nelle località predette; tali dati mi sono forniti da fonte militare russa nota a De Martino.

435 1 Per la risposta cfr. n. 441.

436 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 13 novembre, ore 0,30. Il secondo numero di registrazione è quello del protocollo di Sofia.

437

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 5056. Roma, 13 novembre 1911, ore 16,40.

Telegramma di V.E. n. 503 1 . Dal linguaggio di Nicolson parrebbe che egli abbia la vana illusione che l'Italia possa aderire ad una soluzione diversa dall'annessione. Se V.E. lo crede opportuno può dirgli che egli ha ragione nel ritenere che la lunga durata della guerra può avere gravi conseguenze, ma che vi è un mezzo solo di porvi fine, cioè la rassegnazione della Turchia all'annessione. L'Italia desidera evitare le complicazioni internazionali, ma le affronterà risolutamente, piuttosto che rinunziare all'annessione, che oramai è diventata questione vitale per la Nazione, e trascende per essa di gran lunga l'importanza della questione di Tripoli considerata in se stessa. Di questo punto, sul quale tutti sono concordi in Italia, compresi i repubblicani e la maggioranza dei socialisti, occorre che ognuno si renda conto anche all'estero. E qualunque tentativo di Potenza estera in senso contrario all'Italia in questa questione significa mezzo secolo di palese o larvata inimicizia con tutta la Nazione italiana. La politica del presente Ministero nella questione di Tripoli non è politica di un Gabinetto, ma politica nazionale, e qualunque altro Ministero dovrebbe continuarla. In tutto il resto siamo, oggi ancora, pronti a largheggiare, e se i compensi da noi offerti non sembrano sufficienti e ne vengono proposti altri siamo disposti ad esaminarli. Ma se tali sono le nostre disposizioni oggi, la durata della guerra potrà naturalmente mutarle.

Noi non abbiamo alcun desiderio di estendere il teatro delle operazioni: lo faremo se sarà inevitabile per affrettare la pace. In tal caso mi pare che sarebbe interesse dell'Inghilterra e dell'Europa intera che la nostra azione fosse decisiva: ciò, in fondo, gioverebbe alla Turchia stessa, poiché la durata della guerra può essere per essa causa di maggiori pericoli che per noi. Sembra infatti che le operazioni contro isole non basterebbe a costringere la Turchia alla pace e perciò diventare interesse generale della Europa qualche nostra operazione più decisiva.

Intanto, per affrettare la pace, l'Inghilterra può far molto, facendo osservare più efficacemente la neutralità dell'Egitto, e ricordando che l'amicizia dell'Italia vale più che qualche effimero successo nella lotta d'influenza fra essa e la Germania a Costantinopoli. Sopratutto è necessario che codesto Governo eviti con cura tutto ciò che può fare credere alla Turchia che le nostre operazioni militari saranno

limitate. Questo punto mi pare essenziale e dovrebbero ben riflettervi quanti decideranno la pace e conoscono la mentalità turca.

437 1 T. riservatissimo 6919/503 del 12 novembre, non pubblicato.

438

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 13 novembre 1911.

Ho letto con attenzione il rapporto del nostro agente diplomatico al Cairo, conte Grimani, nel quale sono esposte alcune considerazioni ed alcune offerte di S.A. il Kedive in ordine ai nostri rapporti con alcune confraternite religiose musulmane diffuse in Egitto, e specialmente con quella dei senussi, e suggeriti mezzi per piegarle ai nostri interessi.

Sono discordi le notizie intorno ai sentimenti veri di S.A. il Kedive e della sua famiglia a nostro riguardo, e mentre alcuni si mostrano proclivi a credere alla sincerità delle profferte che reiteratamente ci ha fatto nel nostro interesse, altri inclinano a credere che queste siano dirette a mascherare intenzioni e propositi perfettamente contrari.

Tradizioni di famiglia e di religione, interessi dinastici e nazionali, sentimenti di razza dovrebbero di fatto allontanare S.A. il Kedive dal favorire la penetrazione europea e c1istiana in Africa, e proprio in quella parte d'Africa che confina con l'Egitto, dalla quale, dato il caso di una levata di scudi contro gl'inglesi, egli potrebbe sperare aiuti non dispregevoli.

Questo considerato, appare evidente che ben altro deve essere il suo scopo quando ci offre i servizi suoi e quelli di persone da lui conosciute, e certamente a lui devote: le quali, se impiegate, o non, porterebbero avanti la nostra causa con lo zelo desiderato, o cercherebbero tutte le vie di ostacolarla, o, in ogni caso, non mancherebbero di tener informato S.A. il Kedive sulle nostre intenzioni e sulle nostre mire.

Per converso, siccome non conviene mostrare diffidenza né destare sospetti, e le une e gli altri si solleverebbero nell'animo di Sua Altezza se, senza addurre adeguati motivi, se ne declinassero i buoni uffici, così io penso che saggia cosa sarebbe se il nostro agente accettasse di vedere e sentire le persone di Sua Altezza senza assumere impegni e con riserva di riferire a codesto Ministero o a questa Presidenza, e così prender tempo e aver modo di lasciar cadere la cosa, evitando ogni strascico di malumori.

Tanto più che non è da escludersi che dalla conversazione con le dette persone non sia da ricavarne qualche buon consiglio o suggerimento. Ti sarei grato pertanto se in questo senso volessi dare al conte Grimani le tue istruzioni.

439

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. CONFIDENZIALE 6971/507. Londra, 14 novembre 1911, ore 13,15 (per. ore 19).

Non senza alquanta sorpresa ebbi avantieri lunga visita di Cassel. Mi disse essere stato da un suo amico italiano pregato fare pubblicare un noto articolo di Jean Carrère. Tutto ben considerato però, a parte grandissime difficoltà trovare giornale autorevole che consenta riprodurre articolo, a lui sembra che adoperandosi a tale scopo non renderebbe servizio ali 'Italia. Articolo malgrado forma cortese è in fondo offensivo Inghilterra. A suo avviso esso, mentre non produrrebbe alcuna impressione circoli radicali donde è originata campagna contro noi, irriterebbe circoli più autorevoli e più rispettabili che tutti (me lo affermava nel modo più assoluto) si sono resi pieno conto necessità nostra repressione deplorando menzogne esagerazioni giornali parte dei quali ne ha fatto oggetto mera speculazione. Prima di rispondere al suo amico, aveva desiderato conoscere mio avviso. Risposi avevo io pure un momento pensato alla pubblicazione detto articolo ma dopo matura ponderazione e in seguito articolo di Garvin nell'Observer in cui era ad un dipresso svolta medesima tesi di Carrère, avevo creduto più opportuno lasciare cadere la cosa. Del resto aggiunsi che conscio doveri impostimi dalla mia posizione avevo fatto tacere miei sentimenti personali e nel riferire al mio Governo e nelle conferenze con giornalisti italiani qui residenti mi ero adoperato spiegare ed attenuare per quanto possibile per evitare naturali risentimenti che ingiusta campagna poteva avere in Italia raffreddando tradizionale amicizia per Inghilterra. Casse l dichiarò poi assolutamente [falso ]l nostra guerra abbia sollevato in Inghilterra sentimenti di ostilità contro l'Italia vantante su Tripoli diritti noti e da tutti riconosciuti. Da molti, ed egli confessava onestamente essere del numero, si era provato sorpresa per modo piuttosto brusco del procedimento e rincrescimento per inaspettata dichiarazione di guerra e nelle condizioni attuali della Turchia potrebbe avere conseguenze gravissime e per pace europea e per interessi singole Potenze nell'Impero ottomano. Comunque, esaminando questione dall'aspetto pratico, è ormai evidente che Tripolitania Cirenaica sono irremissibilmente perdute per la Turchia e di tale verità, ad eccezione di pochi illusi dottrinari, tipo Stead, non vi è più persona seria che non sia convinta. Ad una mia osservazione sulla opportunità della azione Potenze in senso pacifico a Costantinopoli allo scopo appunto di evitare temute complicazioni, Cassel rispose che tale azione oggi riuscirebbe inutile né si può ragionevolmente aspettarsi una pressione che offenderebbe Turchia e costituirebbe flagrante violazione neutralità. Bisogna secondo lui attendere momento psicologico in cui tarda mentalità turca

finirà col constatare difficoltà di ogni genere, specie finanziarie, in cui prolungamento inutile resistenza pone Impero, e si rivolgerà di nuovo alle Potenze, che solo allora potranno utilmente intervenire. Per quanto riguarda questo Governo rilevò essere esso costretto tener contegno riservato per necessità di non troppo urtare sentimenti dei suoi sostenitori radicali sia per coerenza politica con atteggiamento di fronte all'Austria-Ungheria che in definitiva non fece che consacrare stato di fatto preesistente da trenta anni. In attesa predetto momento a noi secondo Casse! conviene armarci pazienza indispensabile nel trattare con turchi procedendo con vigore nelle nostre operazioni militari Tripolitania e Cirenaica in modo distruggere totalmente i pochi soldati regolari che Turchia non potrà materialmente rimpiazzare. Qualunque dimostrazione di impazienza o di nervosità da parte nostra avrebbe per conseguenza sollevare nei turchi nuove illusioni, nuove speranze incoraggiandoli resistere. Situazione finanziaria già è cattiva e andrà gradatamente peggiorando. Egli nell'interesse Turchia ha dato istruzioni suo rappresentante Costantinopoli non perdere occasione per insinuare con la dovuta prudenza nei turchi che unico mezzo salvare Impero è quello rassegnarsi all'inevitabile. «A questo saggio consiglio» risposi, «potete pur aggiungere che, eliminata definitivamente questione tripolina, Turchia non avrà miglior amico che Italia, più che per sentimento, per alte considerazioni politiche in vista conservazione e sviluppo Impero ottomano».

Casse! concluse rinnovandomi esortazioni alla pazienza osservando che dopo tutto anche se guerra doveva durare ancora qualche mese, Italia avrebbe con definitiva annessione Tripolitania raggiunto in tempo relativamente breve scopo per il quale Austria-Ungheria ha impiegato trenta anni e che Inghilterra non ha ancora conseguito in Egitto. Casse! sebbene in freddo con Grey è intimissimo del primo ministro. Non potrei quindi escludere che sua visita abbia avuto un secondo scopo oltre quello da lui indicatomi.

439 1 Integrazione sulla base del registro dei telegrammi in partenza dell'ambasciata a Londra.

440

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 5083. Roma, 14 novembre 1911, ore 22.

Telegramma di V.E. n. 693 1• Sono anch'io d'avviso che uno dei mezzi più efficaci per persuadere la Turchia alla pace sia la mancanza di danaro. Non dubito che la Francia durando la guerra non presterà alcun aiuto finanziario alla Turchia e ad ogni modo faccio sicuro affidamento sull'iniziativa di V.E. sia presso codesto Governo che nell'ambiente finanziario.

Risultandoci inoltre che Governo ottomano si trova in precaria situazione finanziaria e che presto avrà bisogno di contrarre un prestito all'estero, si presenta al Governo francese l'occasione di fare opera utile a noi, alla causa della pace e alla Turchia stessa. Esso potrebbe già far intendere a Costantinopoli che durante la guerra non consentirà mai a che la finanza francese venga in aiuto al Governo ottomano ma che lo potrebbe fare non appena la pace italo-turca sarà conchiusa.

Sarebbe questo un efficace modo di pressione a Costantinopoli che non riuscirebbe certamente sgradito al Governo ottomano il quale, è ormai noto, ha bisogno di dimostrare che cede avanti a necessità ineluttabili.

440 1 T. riservatissimo personale 6951/693 del 13 novembre, non pubblicato.

441

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. PERSONALE 6977/291. Berlino, 14 novembre 1911, ore 22 1.

Non ho dato corso alle istruzioni condizionate di cui nel telegramma di VE.

n. 49562 , sia per la impossibilità di avere conversazione con Kiderlen-Waechter in questi giorni, sia perché i susseguenti telegrammi di lei concernenti le comunicazioni con Vienna lasciavano presentire una possibile modificazione delle vedute del R. Governo in ordine ad una eventuale azione nell'Egeo. E in questo dubbio preferivo attendere che i progetti in questione risultassero meglio delineati. Dal telegramma 50433 rilevo ora che l'idea di bombardamenti di difese o di occupazioni di qualche isola sarebbe pel momento rinviata. Ritengo per conto mio e anche dietro conversazioni (ben inteso puramente accademiche sulla base delle notizie dei giornali) avute qui con persone bene informate delle cose di Turchia, che una simile azione avrebbe ora per effetto di prolungare anziché no, la resistenza della Sublime Porta. Dato che ciò fosse anche solo probabile, non vi sarebbe quindi compenso nell'affrontare per un risultato incerto gli inconvenienti di quell'azione (riguardo alle nostre colonie, ai reclami degli europei danneggiati, alle proteste austriache ed al pericolo di sollevare i Balcani). L'effetto di un attacco su Costantinopoli sarebbe invece risolutivo e forse anche troppo. Prima di fame allusione a Kiderlen credo però sarebbe indispensabile chiarire se sia intenzione del R. Governo di tentarlo effettivamente o soltanto di !asciarne pendere la minaccia e ciò per norma del mio linguaggio eventuale, che non potrebbe essere lo stesso nell'uno o nell'altro caso. Dovrei infatti esprimermi in

2 T. segreto del 10 novembre col quale si trasmetteva il n. 432.

3 Cfr. n. 435.

457 proposito ben chiaramente giacché non converrebbe ed anzi sarebbe pericoloso il far credere a una azione vera quando fosse finta o viceversa.

Quanto alla convenienza di un tentativo su Costantinopoli non posso naturalmente pronunziarmi sulla sua eseguibilità materiale. Un diagramma dei fuochi incrociati dei forti dei Dardanellli (comunicato circa 12 anni fa da Costantinopoli) faceva allora ritenere l'operazione come molto arrischiata per una flotta nemica che, riuscendo con qualche perdita a varcare gli stretti, venisse a trovarsi già maltrattata di fronte ad una squadra turca intatta nel mare di Marmara. Comunque sia risolto codesto dubbio dal punto di vista militare, VE. avrà poi certamente considerato dal punto di vista politico l'inevitabile alternativa, cioè: che se l'operazione non riuscisse, sarebbe un vero disastro e che, se riuscisse, bisognerebbe essere preparati a che la comparsa della nostra flotta vincitrice nel Bosforo determini fatalmente lo sfacelo dello Impero ottomano con tutte le sue conseguenze dirette ed indirette.

Se è vero quanto precede, sarebbe lecito concluderne che allo stato delle cose e salvo circostanze impreviste, il minor male si otterrebbe col continuare il consolidamento e la possibile estensione della nostra occupazione in Tripolitania, considerando: l) che tali operazioni dovranno proseguire in ogni caso; 2) che il consolidamento della occupazione combinato cogli effetti del decreto di annessione costituirà uno stato di fatto semi-legale tale da permetterei di attendere gli eventi senza altro rischio e sacrificio; 3) che nel frattempo si continuerebbe probabilmente alle nostre colonie in Turchia un trattamento tollerabile destinato piuttosto a migliorare adattandosi gradatamente alla situazione; 4) che se la pace non riuscirà con ciò affrettata, non ne sarà nemmeno ritardata, mentre noi saremo in posizione di possesso.

Qui prevale invero l'opinione che una pace definitiva non si potrà concludere a breve scadenza anche perchè l'appello all'Islam sembra aver ottenuto effetto superiore a quanto si aspettava e la Sublime Porta non ha interesse a smorzarlo con una cessione di sovranità umiliante per il prestigio del califfo.

È cionondimeno da sperare che Turchia potrà vedersi costretta a cedere o dietro una pressione unanime delle Potenze quando a primavera apparisse imminente una conflagrazione nei Balcani, o forse quando alla sua eventuale richiesta di un prestito si ponesse come condizione la conclusione della pace coll'Italia. Ma per l'una come per l'altra eventualità accorreranno ancora alcuni mesi, e si tratta ora di calcolare se le disposizioni pacifiche non saranno in quel momento piuttosto favorite da un periodo di relativa calma colla persuasione della perdita definitiva della Tripolitania anziché da nuove imprese di non sicuro risultato, ma tali da vieppiù esacerbare gli animi in Turchia ed aggravare la situazione generale4 .

441 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

441 4 Per la risposta cfr. n. 447.

442

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. S.N. Roma, 14 novembre 1911.

Ho ricevuto la lettera particolare di V.E., in data del 23 ottobre u.s. 1 , e qui mi onoro di rispondere ai diversi quesiti che in essa sono trattati.

A me pare, in conformità all'avviso di Pansa, che sarebbe desiderabile inserire nel trattato della Triplice Alleanza il contenuto dell'accordo segreto del novembre 1909 fra l'Italia e l'Austria-Ungheria.

Sono poi d'avviso che occorrerà modificare l'articolo 9 del vigente trattato, mettendolo in armonia colla nuova situazione di fatto e di diritto creata dalla estensione della sovranità italiana sulla Tripolitania e sulla Cirenaica; e stipulando, quindi, che ogni attentato da parte di terzi a quella nostra sovranità costituirà per i nostri alleati il «casus foederis». A questo riguardo, come già ebbi ad informarne l'E.V. col mio telegramma n. 45042 , questo ambasciatore d'Austria-Ungheria mi fece recentemente conoscere essere in corso fra i Gabinetti di Vienna e di Berlino uno scambio d'idee relativo alla modificazione dell'articolo precitato; mentre i due Gabinetti stessi si proponevano di non apportare alcun mutamento al rimanente del trattato: proposito cui il R. Governo ha, per parte sua, dichiarato di consentire non potendo considerare come modificazione al trattato l'inserirvi accordi già intervenuti tra le Potenze firmatarie. D'altro lato, il r. ambasciatore a Berlino mi ha riferito, più tardi, che i due Gabinetti già stavano concordando fra di loro la redazione di tale nuovo articolo. Noi dovremo dunque attendere che da parte loro ci venga comunicato il progetto della concordata redazione: con che verrebbe dato un inizio concreto alle pratiche per il rinnovamento della Triplice Alleanza e la stipulazione definitiva del trattato. Resta inteso, in ogni caso, che per qualsiasi comunicazione che noi avremo a fare in proposito ai nostri alleati, le istruzioni saranno sempre date all'E.V. nello stesso tempo e nella stessa forma che al cavaliere Pansa.

Per quanto concerne, finalmente, l'intesa circa l'Albania, per la quale, infatti, non v'è bisogno di rinnovamento pure occorrendo in qualche modo dichiarare che resta in vigore, pregherei l'E.V. di volermi fornire qualche più particolareggiato ragguaglio circa l'accordo, cui ella accenna, già constatato fra l'onorevole Tittoni ed il conte Goluchowski; e indicarmi anzitutto la data dell'accordo stesso e i documenti nei quali ne è fatta menzione3 .

2 T. segreto del 25 ottobre, non pubblicato.

3 Per la risposta cfr. n. 499.

442 1 Cfr. n. 378.

443

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7000/292. Berlino, 15 novembre 1911, ore 14 (per ore 15,15).

Telegramma di V.E. n. 5072 1 . Aveva già parlato ieri ad uno dei maggiori finanzieri tedeschi che dispongono della opzione per la eventuale seconda emissione dell'ultimo prestito ottomano. Egli mi assicurò che non vi sarà dato luogo finché dura l'attuale stato di guerra.

444

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7010/508. Londra, 15 novembre 1911, ore 15,20 1.

A proposito della notizia pubblicata nei giornali di una nuova petizione dei pacifisti promossa da lord Avebury aderenti molti deputati radicali per indurci sottomettere nostro conflitto al Tribunale Aja, dissi ieri a Nicolson riuscirrni incomprensibile ostinazione di quei signori che pur desiderando con tanto ardore pace fanno di tutto per far prolungare guerra e provocano complicazioni internazionali. Per l'Italia, dichiarai, questione tripolina non esiste più, essa è stata definitivamente regolata con annessione, esiste solo stato di guerra con Turchia. Desideriamo per ovvie ragioni esso cessi e siamo dispostissimi prendere in benevola considerazione proposte che ci verranno all'uopo presentate quando le Potenze, nell'interesse stesso avvenire Impero ottomano, crederanno giunto momento persuadere Sublime Porta rassegnarsi all'inevitabile. Tornare indietro è per noi eventualità che non è permesso nemmeno pensare lontanamente. Rispose Nicolson tutto ciò essere evidente: la difficoltà grossa sta nel convincerne Turchia, la quale, da quell'orecchio, non accenna ascoltare. Risposi che prolungandosi così attuale situazione incresciosa per tutti, potremmo, ad uscirne, vederci costretti fare agire nostra flotta, della quale opinione pubblica in Italia già comincia deplorare inoperosità. Appena ebbi toccato questo tasto Nicolson si rinchiuse nella solita riserva e cambiò discorso. Mi disse pure che dell'agitazione dei pacifisti non conviene occuparsi, ad essa già ha risposto primo ministro, che nel suo discorso recente ha precisato posizione strettamente neutrale assunta dall'Inghilterra, ma io in modo non ambiguo ho dichiarato che eventuale mediazione escluderebbe qualsiasi idea di pressione e di coercizione.

444 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

Strettamente in via confidenziale Nicolson mi disse pure che questo ambasciatore di Turchia si rende conto esattamente situazione. Mi chiese se eravamo contenti contegno del Gabinetto austriaco. Risposi che per quanto era a mia notizia quel Gabinetto serbava verso noi contegno non solo corretto ma anche amichevole come era dimostrato dalle dichiarazioni fatte in Parlamento Vienna, Budapest. E di Berlino, domandò poi Nicolson, siete pure egualmente contenti? Risposi in modo affermativo, aggiungendo che di Parigi e Pietroburgo non gli parlavo neppure, disposizioni di quei Governi dovendo essere a lui ben note. Da quanto precede

V.E. potrà rilevare che né Nicolson, né, per quel che mi risulta, alcun'altra persona seria autorevole qui contempla un momento solo possibilità intervento per persuaderei tornare indietro. Il solo pensarlo sarebbe del resto offensivo in sommo grado per noi e comunque io non accetterei mai discussione di sorta in proposito. Quanto ad una iniziativa inglese per raccomandazioni collettive Costantinopoli nel senso da noi desiderato, non vedo per ora alcun indizio che mi permetta sperarvi e mi consigli insistervi. Oltre che con noti motivi parlamentari, riserve di questo Governo si potrebbero anche spiegare col timore plausibile di una fredda accoglienza da parte di qualche altra Potenza. Il che lo esporrebbe accentuare insuccesso con pregiudizio suoi interessi a Costantinopoli. D'altra parte mi par fondata osservazione di Cassel sulla coerenza politica che costringe Grey a non agire in aperta contraddizione con contegno seguito nel 1908.

Per tutti questi motivi e per profonda convinzione mia che il mezzo migliore fiaccare resistenza turca è quello di non mostrare fretta concludere pace, conto astenermi salvo ordine contrario di V.E. dall'entrare più in tal argomento con questo Governo. lo annetto importanza specialissima a non lasciar accreditare sulla pretesa nostra insistenza presso le Potenze false impressioni di cui già cominciansi servire nostri nemici (vedi odierna lettera Stead) per far credere che siamo spinti da imperiose necessità interne. A tal ordine d'idee riterrei sommamente consigliabile si ispirasse linguaggio nostra stampa.

443 1 Si intende in realtà il T. 5092 del 14 novembre, non pubblicato.

445

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7013/679. Vienna, 15 novembre 1911, ore 20,40 (per ore 22,10).

Telegramma di V.E. n. 5035 1• Con telegramma n. 671 ho fatto conoscere all'E. V. i preparativi militari che l'Austria-Ungheria sta facendo alla frontiera della Bosnia ed Erzegovina 2 .

445 1 T. del 12 novembre, non pubblicato. 2 T. 6942/671 del 13 novembre, non pubblicato.

Quantunque tali preparativi abbiano portato, se sono esatte le informazioni fornitemi, ad una notevole forza le truppe imperiali e reali presso quella frontiera, io non credo, ed in ciò sono pure consenzienti miei colleghi di Russia e Germania, che i preparativi stessi dimostrino che Austria-Ungheria mediti in questo momento un'azione qualsiasi nei Balcani. Essi non avrebbero altro scopo che di mettere la Monarchia in grado di far fronte a quelle eventualità che fossero per prodursi colà.

Non havvi per ora quindi alcuna ragione di sospettare che Austria-Ungheria stia preparandosi per provocare in momento a lei propizio complicazioni nella penisola balcanica. A tale proposito giova ricordare che nel prendere l'iniziativa di uno scambio d'idee tra le varie Potenze per porre termine nel momento opportuno allo stato attuale di guerra, conte di Aehrenthal fece sapere alle Potenze stesse che era di assoluta necessità che esse si tenessero in contatto costante ed evitassero di fare qualsiasi azione separata che non avrebbe potuto che complicare cose e turbare maggiormente pace. Questa raccomandazione è una nuova prova che Austria-Ungheria non desidera nella presente situazione internazionale agire da sola ma di conserva con tutte le Potenze e tiene che nessuna discrepanza si verifichi che possa compromettere loro completo accordo. Non si può negare però che questi circoli militari che non vedono di buon occhio per ragioni già esposte all'E.V. la nostra azione in Tripolitania desidererebbero che Monarchia si decidesse a intraprendere una azione nei Balcani.

Io sono però convinto che un tale desiderio non approderà a nulla perché è interesse supremo della Monarchia di non fare in questo momento una politica avventata ma pacifica e conservatrice; d'altra parte sarebbe disconoscere assolutamente condizioni interne della Monarchia il credere che un simile desiderio possa prevalere sulla volontà dell'imperatore che non consentirebbe certo a lasciarsi trascinare ad una tale avventura che potrebbe dar luogo a gravi complicazioni internazionali. Ma non vi ha dubbio che se la guerra dovesse prolungarsi e se il teatro delle operazioni si estendesse all'infuori della Tripolitania vi potrebbe essere maggior probabilità di complicazioni nei Balcani.

Qualora queste avvenissero, Austria-Ungheria, come a più riprese rappresentai all'E.V., non interverrebbe ma seguirebbe stessa linea di condotta adottata durante la guerra greco-turca e si concerterebbe colle altre Potenze. Tuttavia Austria-Ungheria potrebbe essere indotta ad agire separatamente dalle altre Potenze, se si producesse nell'Impero ottomano uno sfacelo tale da rendere possibile la occupazione da parte della Serbia o del Montenegro del Sangiaccato di Novibazar e delle altre regioni serbe della Macedonia. In un simile caso Monarchia potrebbe pensare ad un'azione isolata nei Balcani, di cui non è il caso di parlare per il momento e allora noi potremmo incontrare i pericoli segnalati a VE. nella mia lettera del 28 luglio u.s. 3 perciò che riguarda i compensi pattuiti con il trattato Triplice Alleanza.

445 3 Cfr. n. 361, nota 2.

446

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 7018/704. Parigi, 15 novembre 1911, ore 21 (per ore 2 del 16).

Col mio telegramma n. 703 1 ho già risposto al telegramma 5061 e 5075 2 per ciò che riguarda la Francia. Espongo ora la mia opinione circa le operazioni navali nel caso che esse dovessero farsi. Se noi vogliamo proseguire colla Francia la conversazione di cui al mio telegramma n. 703, è evidente che per il momento noi dobbiamo escludere operazioni a Beiruth e a Smime. Mi pare poi che incorreremmo in un grande responsabilità se operassimo a Salonicco che è alle porte della Macedonia. Dovremmo essere ben certi che nessuna ripercussione avrebbe luogo in Macedonia e nessuna opposizione vi farebbe l'Austria. V.E. ha meglio di me elementi per giudicare se può avere tale certezza. Ad ogni modo pare a me che a Smime Beirut e Salonicco noi potremmo fare le (sic): un semplice bombardamento delle opere di difesa evitando di arrecare agli stranieri danni che dovremmo pagare. Invece ben altrimenti efficace sarebbe una azione nei Dardanelli con distruzione o siluramento parziale della flotta turca. Questo sì che sarebbe un colpo grave assestato alla Turchia e quindi per me sarebbe il solo, in cui volessimo agire dovremmo ricomere. Però se ad esso ho ragione di ritenere che rimarrebbe abbastanza indifferente Francia Austria e Russia non so come lo considererebbe Germania e Inghilterra. Anche su ciò V.E. soltanto può avere gli elementi di un giudizio sicuro. In generale osservo che il disprezzo che alcuni giornali italiani dimostrano per l'opinione e l'eventuale azione delle Grandi Potenze non corrisponde alla realtà. Come noi abbiamo iniziato l'impresa di Tripoli sicuri di non avere da esse ostacoli, bisogna che continuiamo ad avere uguale sicurezza nell'ulteriore azione verso la Turchia.

447

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 5123. Roma, 16 novembre 1911, ore 0,30.

Telegramma di V.E. n. 291 1 . I telegrammi di Avama che le ho comunicato confermano la necessità e l'urgenza che ella, senza ulteriori indugi, sondi costì il terreno sulle nostre eventuali operazioni navali militari all'infuori della Tripolitania e

2 TT. del 13 e 14 novembre, non pubblicati. 447 1 Cfr. n. 441.

Cirenaica, e cerchi di ottenere che codesto Governo induca l'Austria a modificare il suo atteggiamento in proposito.

Noi intensificheremo sempre più le operazioni in Tripolitania e Cirenaica. Speriamo presto dimostrare coi fatti in modo ancora più chiaro la verità già adesso evidente che la Turchia non può più difendere quelle provincie, alla cui sovranità piena ed intera l'Italia non rinuncerà mai a qualunque costo.

Speriamo che ciò basti ad indurre la Turchia alla pace, ma si deve prevedere sin da ora la probabilità che essa continui a resistere, anche perché incoraggiata da quel tanto che è riuscita a conoscere dell'attitudine dell'Austria, in cui vede una garanzia di invulnerabilità. È dunque possibile che saremo costretti a procedere ad operazioni militari in altro campo, e contiamo assolutamente sull'appoggio della Germania per rimuovere le obiezioni dell'Austria o di altre Potenze a quelle operazioni, necessarie per affrettare la pace ed eliminare così il pericolo delle complicazioni che niuna Potenza desidera, e cui la lunga durata della guerra può dare occasione.

Per dare anche in questo ai nostri alleati la prova del nostro buon volere di crear loro i minori imbarazzi possibili, è necessario per noi sapere sin d'ora quali siano le operazioni che essi credono doversi soprattutto evitare, essendo noi disposti a discutere amichevolmente con loro modalità eque e pratiche, quali non sono purtroppo alcune di quelle chieste da Aehrenthal. Non vi è dubbio che chi desidera la pace, non deve opporsi a quelle operazioni risolutive che sole possono determinarne la conclusione immediata.

Non manca modo a VE. di far notare quanto l'attitudine dei nostri alleati possa in questa occasione contribuire al favore di cui è comune interesse che l'alleanza goda in Italia.

Reputo poi superfluo ripetere quanto sia necessario che la Turchia non creda a limitazioni dell'azione bellica italiana. Il solo fatto che il Governo ottomano sia convinto che noi possiamo compiere un'operazione risolutiva può forse bastare a renderla superflua, inducendolo a cedere prima che essa sia iniziata. V.E. deve fare ogni sforzo per impedire che costì si ammetta che la guerra duri sino a primavera. Per l'Italia l'onere non sarebbe grande; ma sono chiari i motivi per cui non potremmo a nessun costo, anche per la nostra dignità ed il nostro prestigio e nell'interesse dei cordiali rapporti cogli alleati, tener tanto tempo la flotta inoperosa senza estendere il teatro delle operazioni; ed è anche chiaro che tale durata aggraverebbe il pericolo di complicazioni balcaniche. Sarebbe grave che queste avvenissero mentre siamo in guerra colla Turchia, il che ci porrebbe nella dolorosa necessità di seguire una politica opposta a quella dei nostri alleati. VE. comprende inoltre che si farebbe in tal caso ricadere su di noi la responsabilità di tali complicazioni, così che mi riesce difficile intendere come ella giudichi accettabile per noi tale soluzione. È anche superfluo ripetere che noi non abbiamo interesse né desiderio eli compiere operazioni militari che non giovino ad affrettare la pace, e che saremo ben lieti se, anche senza eli queste, si potrà raggiungere lo scopo entro un termine ragionevole.

446 1 T. riservatissimo personale 7017/703, pari data, non pubblicato.

448

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7038/513. Londra, 16 novembre 1911, ore 2,44 (per ore 18,50).

Nel consegnare avant'ieri a Nicolson promemoria riassumente informazioni inviatemi da VE. circa insufficienti misure prese per rispetto neutralità egiziana attirai attenzione di lui sulla necessità più efficaci provvedimenti contro tali frequenti infrazioni che nel fatto costituiscono miglior incoraggiamento Turchia far guerra. Non senza alquanta impazienza rispose Nicolson aver allora appunto ricevuto rapporto di Kitchener confermante severe istruzioni date e assicurante che si fa quanto è possibile umanamente per impedire violazioni neutralità. Nel ripetermi in modo categorico che Governo britannico intende lealmente mantenere impegni presi circa neutralità, Nicolson osservò nuovamente che sarebbe assai preferibile che tutta questa faccenda sia trattata direttamente fra Grimani e Kitchener lasciando all'infuori Foreign Office cui si potrà ricorrere solo quando fra i due sorgessero discrepanze. Foreign Office avendo dato esaurienti istruzioni a Kitchener ed avendo in lui piena fiducia preferisce rimettersene a lui e non telegrafargli continuamente informazioni che egli deve avere sicuramente ricevuto da Grimani. Per quanto concerne risposta data a Tittoni dal ministro degli affari esteri francese' VE. avrà potuto rilevare dalle esplicite dichiarazioni contenute nel promemoria inviato a VE. col rapporto 5502 che questo Governo non intende permettere passaggio ufficiali e che ha fatto sapere ciò Sublime Porta.

Di convogli granaglie, è, poi la prima volta, aggiunse Nicolson, che sente parlare.

449

IL MINISTRO A BERNA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 7055/216. Berna, 16 novembre 1911, ore 7,20 (per. ore 22).

Seguito mio telegramma 14 corrente'. Persona di fiducia proveniente Costantinopoli, la quale ha viaggiato coi tre ufficiali turchi ha saputo da questi che ogni

2 Non rinvenuto.

465 giorno partono da Costantinopoli per Tunisia via Parigi gruppi ufficiali turchi che riescono penetrare Tripolitania recando danaro e che concorso arabi assicurerà Turchia efficace duratura resistenza. Stessa persona aggiunge che ostilità e disprezzo verso Italia è generale anche nell'ambiente europeo di Costantinopoli il quale in tal modo favorisce illusione dei turchi persuadendo che l'Europa avversa nostra azione e che posizione Turchia è invulnerabile di fronte Italia.

448 1 T. 6952/694 del 13 novembre, trasmesso a Londra con T. 5096 del 15 novembre, entrambi non pubblicati (secondo le informazioni francesi lord Kitchener aveva proibito l'attraversamento della frontiera tra Egitto e Cirenaica agli ufficiali turchi in drappello ma non a quelli isolati).

449 1 T. 6993, non pubblicato.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. RISERVATO 5128. Roma, 16 novembre 1911, ore 13.

Prego anzitutto VE. di telegrafarmi il suo parere e le sue impressioni sul modo di vedere e la probabile attitudine di codesto Governo in caso di operazioni navali nostre all'infuori della Tripolitania e Cirenaica. Prego pure VE. di giudicare se crede opportuno di esprimersi a viva voce con Neratoff presso a poco nei sensi seguenti, ma per ora non a nome del R. Governo bensì accademicamente ed in via amichevole come sue idee personali.

La Russia ha certamente interesse al pari di noi ad evitare complicazioni balcaniche che potrebbero derivare dal prolungamento della guerra e dal conseguente indebolimento eccessivo della Turchia. Essa dunque dovrebbe vedere con piacere una nostra azione navale compiuta in luogo modo e tempo efficaci per costringere la Turchia a pronta pace, tanto più che dalle nostre informazioni risulta che lo stesso Governo turco e il Comitato Unione e Progresso non sarebbero scontenti di avere di fronte al paese questo pretesto per rassegnarsi all'inevitabile.

Sarebbe anche utile per noi sapere quali tra le varie possibili operazioni navali nostre venga giudicata costì come più idonea a raggiungere questo scopo e perciò stesso a produrre minori pericoli di ripercussioni balcaniche. In ogni caso è molto necessario non far credere ai turchi che sono invulnerabili ma anzi tenerli sotto il timore continuo di una nostra azione risolutiva. II far loro credere che le Potenze I' ostacolerebbero Ii incoraggia alla resistenza ed è perciò contrario agli interessi della Russia e della Turchia stessa.

Non meno pericoloso è il sistema del Governo turco di far credere a vittorie immaginarie, e si mostrerebbe vero amico della Turchia quel Governo che la consigliasse ad astenersi da tale sistematico inganno, che rende più difficile, più lontana e perciò più onerosa per la Turchia la conclusione della pace. In ogni modo non dubitiamo che la Russia, fedele all'accordo di Racconigi per la Tripolitania, continuerà fino al conseguimento del nostro fine nell'attitudine leale ed amichevole tenutasi sin'ora1•

450 1 Per la 1isposta cfr. n. 454.

451

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 5140. Roma, 16 novembre 191l, ore 19,45.

Da fonte molto seria e perfettamente informata risulta sempre più dimostrato che uno dei principali centri di rifornimento di armi, munizioni, viveri, e di penetrazione di ufficiali ed uomini contro di noi in Cirenaica è Solum, dove si trova ancora il piccolo presidio turco. Si prepara in Cirenaica, con tali aiuti che sempre si rinnovano, una offensiva vigorosa contro di noi. È assolutamente necessario che codesto Governo provveda, secondo i doveri di neutralità, e che, o allontani subito quella guarnigione, o ci autorizzi ad allontanarlo noi con la forza, senza che ciò significhi alterazione del confine. Il Governo inglese non desidera che noi estendiamo altrove operazioni navali, ma fa il possibile per rendercelo necessario, interpretando ed applicando in questo modo le regole della neutralità.

452

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 2012/751. Il Cairo, 16 novembre 1911 1.

Più dura la nostra guerra con la Turchia e più si accentuano quelle anormalità che già col rapporto in data 27 ottobre pp., n. 185117072 , ho rilevate nella neutralità dell'Egitto. L'ostilità degli egiziani non si manifesta soltanto a parole, ma anche con aiuti effettivi, sia per gli invii di vettovaglie in Cirenaica, sia per le facilitazioni offerte agli ufficiali turchi qui di passaggio. Una parte più diretta e più attiva gli egiziani non prendono nella guerra; vi si oppone il loro carattere poco coraggioso. Ed anche gli aiuti che danno ora, almeno dal punto di vista pecuniario, non ammontano a gran cosa di fronte alle fortune colossali di certe famiglie indigene. Tutto quel che l 'Egitto può fare, anche se non trovasse alcun impedimento per parte della Potenza occupante, non potrebbe credo modificare soverchiamente la nostra posizione in Tripolitania. Certo la resistenza può esser aumentata ed il periodo di guerra alquanto prolungato, ma nulla più.

Per quanto riguarda le autorità inglesi d'Egitto o non vedono quel che si fa o non vogliono vedere: credo più presumibile la seconda ipotesi. Giorni or sono il signor Greg mi ha detto: seguiamo in Egitto una linea di condotta politica speciale

452 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 Non rinvenuto.

467 che può esser discussa e disapprovata, ma che per il momento riteniamo la più opportuna. L'azione politica inglese si riduce in fondo ad assecondare, in quanto non lede i suoi interessi particolari, le aspirazioni degli indigeni: non so se lord Kitchener seguirà le orme del suo predecessore o se saprà usar mezzi diversi, che raggiungano il medesimo scopo, senza rovinar l'amministrazione del paese per parte degli egiziani stessi; certo col non opporsi in alcun modo ai sentimenti turcofili della popolazione egli ha raggiunto ora uno scopo, quello che in Egitto nessun uomo e nessun giornale parla oggi male del Governo egiziano e tanto meno dell'Inghilterra. La calma d'oggi nelle questioni di politica interna serve forse a mascherare qualche progetto da parte del nuovo rappresentante inglese, perché altrimenti non sarebbe spiegabile la grande condiscendenza dell'Inghilterra di fronte ad una eccitazione popolare, sempre più estesa ed intensa, da cui possono venir disordini e danni irreparabili ali 'Egitto.

Lord Kitchener ha fatte cose in questi giorni che hanno sorprese non poche persone: non ultima un pranzo ufficiale offerto all'alto commissario ottomano, funzionario finora e tuttora in una posizione delle più strane poiché le sue funzioni non sono riconosciute dal Governo inglese e tutti ricordano quel che ne dissero lord Milner e Cromer, pei quali non era che un intrigante o, a seconda del momento «a distinguished foreign officem. Quest'atto di cortesia che il nuovo rappresentante inglese non ha ancora usato ad alcuno dei suoi colleghi fu naturalmente oggetto di commenti ed è riuscito assai grato agli indigeni. A noi non può esserlo altrettanto, perché mentre il nostro atteggiamento è stato sempre dei più corretti altrettanto non può dirsi del commissario ottomano che, notoriamente, si adopera qui ad organizzare e facilitare la resistenza contro di noi.

Per quanto riguarda la stampa i suoi eccessi di linguaggio sono giustificati dal Governo locale col dire che in tutto il mondo i giornali parlano allo stesso modo, e se ha esercitata qualche lieve pressione moderatrice lo ha fatto solo per timori di eventuali disordini; d'altra parte è pronto a domandarmi di far star tranquilli i giornali nostri ad ogni parola un po' vivace. Giorni or sono, parlandomi di essi, Rouchdi pascià mi disse appunto che non dovevano dimenticare di essere in un paese ottomano, e lo disse in modo da tradirmi tutto il suo intimo pensiero, cioè che se l'Egitto resta tranquillo è perché vi si trovano alcune truppe inglesi, ma che pel rimanente deve considerarsi come nostro nemico. Ciò conferma quanto ho scritto nel passato rapporto circa il carattere particolare della neutralità egiziana. Questa secondo il concetto dominante nella popolazione ed anche nell'elemento ufficiale deve aver per effetto di impedirci qualunque azione ostile o men che riguardosa verso un paese che per esser sotto la salvaguardia dell'Inghilterra dobbiamo ritener escluso da ogni nostra operazione anche di semplice rappresaglia, mentre può consentire ad esso, come composto di sudditi ottomani, tutto quanto è possibile per sovvenire i nostri nemici moralmente e materialmente, purché ciò avvenga in modo non soverchiamente contrario ai doveri della neutralità, come dovrebbe intendersi.

Far in proposito delle osservazioni alle autorità locali è cosa pressoché inutile. Quelle inglesi prendono gli ordini da Londra e d'altra parte negano ogni fondamento

o quasi alle notizie dei nostri informatori -lo fanno forse intenzionalmente, ma non è da escludersi che Io facciano anche per ignoranza di quel che avviene. Io, invero, non posso credere che le ripetute e recise dichiarazioni fattemi da lord Kitchener non rispondano al suo convincimento personale: non è uomo da mentire intenzional

468 mente. Ma è possibile che le autorità inglesi vengano ingannate e che il rappresentante inglese non lo sospetti neppure, imbarazzato com'è d'essersi trovato al suo arrivo in Egitto in una situazione delle più difficili, mentre non so se l 'uomo abbia qualità diplomatiche e politiche altrettanto indiscusse come le qualità militari.

Le autorità egiziane che ingannino quelle della Potenza occupante, o che agiscano col suo tacito consenso, non daranno di certo a noi il benché minimo aiuto. E così lo stato delle cose rimarrà in Egitto tal quale finché le vicende della guerra od un diverso atteggiamento delle Potenze non modifichino anche quella loro linea di condotta che si mantiene più o meno ostile a nostro riguardo nel presente conflitto.

453

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 5159. Roma, 17 novembre 1911, ore 2,15.

Suo telegramma n. 703 1• Pregola ringraziare Caillaux delle sue promesse relative al contrabbando di Tunisia alle quali però non corrispondono i fatti. Ciò produce in Italia impressione maggiore di quella giustamente espostagli da V.E.

Il Governo francese contribuirebbe efficacemente alla pace se fin da ora dichiarasse alla Turchia che non consentirà alcun prestito finché dura la guerra. Tale dichiarazione, ampiamente giustificata da ragioni finanziarie ed economiche, avrebbe carattere di amichevole e leale avvertimento e forse riuscirebbe non sgradita al Governo turco che pare cerchi un pretesto decoroso per cedere. La mancanza di danaro sarebbe più soddisfacente pel suo amor proprio che la confessione di non poter difendere la Tripolitania e Cirenaica. Probabilmente ciò basterebbe ad eliminare la necessità di operazioni militari nostre sulle coste dell'Asia Minore, che intanto potremmo per ora sospendere, e faciliterebbe l'avviamento della mediazione nel senso desiderato da Caillaux.

Ma Caillaux va più in là e per impegnarsi al diniego del prestito domanda che queste fondate previsioni diventino esplicite condizioni.

Questa domanda può benissimo essere presa in considerazione. Sulla prima condizione confermo quanto VE. disse a Caillaux. Sebbene la mediazione della Germania sia rimasta sospesa e non abbandonata, non panni difficile, se anche essa vi insisterà, indurla a completarla nel modo desiderato da Caillaux.

In ogni modo, su questa come sulla seconda condizione, per decidere la nostra linea di condotta converrebbe conoscere in modo più positivo: l) il tempo ed il modo in cui si esplicherebbe il diniego francese del prestito; 2) la probabilità che la Turchia chieda questo prestito durante la guerra; 3) la probabilità che il Governo francese la avverta fin da ora che lo negherà; 4) la probabilità che il diniego riesca

efficace, e che il capitale francese non venga ugualmente in aiuto alla Turchia nella forma larvata di prestito inglese e tedesco.

Il Governo francese, anche pel proprio prestigio e per la propria influenza, ha interesse che il suo diniego divenga efficace e perciò dovrebbe influire presso il Governo inglese nello stesso senso e fare influire dai capitalisti francesi su quelli tedeschi.

Qualora il diniego del prestito sia realmente efficace, siamo disposti ad accettare la seconda condizione relativa alle operazioni sulle coste dell'Asia Minore.

È chiaro infatti che noi desideriamo conservare la nostra libertà d'operazioni militari, non pel piacere di combattere, ma per costringere la Turchia a cedere, e che, se il diniego del prestito risulta in realtà e praticamente più efficace al nostro scopo che le operazioni sulle coste del!' Asia Minore, non possiamo avere difficoltà a preferir! o.

Beninteso però che intanto ci asterremo da azione nel!' Asia Minore in quanto si raggiunga lo scopo con l'impedire ogni prestito. Se lo scopo non si ottenesse, in tal caso, in tempo relativamente breve una azione nel Mar Egeo e sulle coste del!' Asia Minore potrebbe imporsi come una vera necessità. È bene quindi che l'impegno sia preso in modo da non chiuderci un mezzo di azione che potrebbe a un dato momento divenire indispensabile anche per dare modo al Governo turco di giustificare una pace alle condizioni che unicamente possiamo accettare2 .

453 1 T. riservatissimo personale 7017/703 del 15 novembre, non pubblicato.

454

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7119/193. Pietroburgo, 18 novembre 1911, ore 14,25 (per. ore 17,45).

Avendo oggi dovuto vedere Neratoff per alcuni affari, ed essendo poscia discorso venuto naturalmente cadere sulla guerra, ne trassi occasione per esporgli le considerazioni contenute nel telegramma di V.E. 5128 1 , avendo però cura presentarle come una mia opinione assolutamente personale, in nessun modo inspirate dal R. Governo. Da me richiesto sul suo modo di vedere in proposito, Neratoff mi disse che si rendeva conto del nostro desiderio di colpire Turchia in parti più vulnerabili per spingerla prontamente alla pace; ma non sapeva fino a qual punto questo scopo potrebbe esser raggiunto, giacché gli risultava che disposizioni a Costantinopoli erano più che mai intransigenti. In ogni caso però Italia farebbe

454 Cfr. n. 450.

470 bene per le sue operazioni navali di scegliere un punto che colpisse Turchia soltanto, senza affettare (sic) gli interessi delle potenze neutrali. Da quel lato era unanime accordo fra Gabinetti di cercare prevenire tutto ciò che potesse colpire loro interessi. Sulla mia domanda di quale natura fossero precisamente quegli interessi, Neratoff mi rispose trattarsi non solo interessi commerciali, ma anche politici e prima di tutto quello di evitare complicazioni balcaniche. Non potei fare a meno di osservare essere questa forse prima volta che potenze neutrali sulla stregua dei loro particolari interessi tendono esigere dai belligeranti, o per meglio dire, dall'Italia, così sensibile limitazione alla loro libertà d'azione; al che Neratoff mi rispose soltanto che non credeva che domanda Potenze avrebbe assunto carattere di un'imposizione. Passando poi in rivista varie operazioni navali che potrebbe però eventualmente compiere l'Italia, Neratoff crede che si dovrebbe limitare alle isole dell'Egeo ed al litorale dell'Asia Minore, ma aggiungeva che, mentre l'occupazione di qualche isola non avrebbe avuto risultato molto tangibile, il bombardamento di città indifese come Smirne o Beirut, avrebbe prodotto viva irritazione in Turchia e forse in Europa.

Linguaggio di Neratoff fu come di consueto alquanto vago ed oscuro. Credo però averne riprodotto abbastanza esattamente pensiero.

453 2 L'ultimo paragrafo fu redatto da Giolitti. Così egli scriveva in una lettera del 16 novembre: «Credo che la forma proposta sarebbe troppo assoluta e potrebbe crearci poi gravi imbarazzi. Farei quindi una esplicita riserva nel senso del periodo che avrei aggiunto in fine». Di San Giuliano si limita ad am~iungere in tal caso al secondo periodo. Per la risposta cfr. n. 461.

455

L'AMBASCIATORE A TOKYO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 515/210. Tokyo, 18 novembre 1911 (per. il 10 dicembre).

Faccio seguito al mio rapporto del 9 corrente n. 505/2071 circa al linguaggio ostile verso l'Italia di parecchi giornali locali.

Vedendo che le mie osservazioni non avevano ottenuto ancora l'effetto desiderato, mi parve utile ribadirle in forma anche più precisa e diretta. Mi recai quindi ieri al Ministero degli affari esteri dove, in assenza del ministro, parlai col viceministro barone Ishii e gli manifestai il mio pensiero presso a poco nei seguenti termini: «Mi veggo costretto di muovere formali lagnanze contro il linguaggio scorretto che vari dei vostri giornali, fra i quali alcuni tenuti per officiosi, si permettono verso il mio Paese. Voi mi direte che in Giappone la stampa è libera, ma potrei rispondervi che conosco bene la vostra legge sulla stampa e so come essa permetta al Governo di vietare qualsiasi pubblicazione gli spiaccia sia per ragioni politiche che per ragioni morali, e vi sia poi un articolo il quale contempla precisamente le notizie e gli apprezzamenti che possono nuocere ai buoni rapporti internazionali. Ora io non dico che il linguaggio dei vostri giornali alteri le relazioni fra i due Governi, ma certo può nuocere all'amicizia fra i due popoli. Voi direte

471 pure che non avete organi officiosi. Poiché voi lo dite, lo credo. Ma tutti pensano il contrario a cominciare dai miei colleghi e quindi l'impressione prodotta è grave lo stesso. Vi siete dichiarati neutrali e sta bene. Noi non chiediamo altro, ma desideriamo che alle dichiarazioni ufficiali corrisponda il linguaggio corrente.

A voi la questione di Tripoli e dell'equilibrio del Mediterraneo interessa così poco che allo scoppiare della guerra i vostri giornalisti accorrevano ali' ambasciata per sapere cosa fosse Tripoli e dove si trovasse. È strano che fra un paese come l'Italia il quale anche durante l'ultima guerra vi ha dato prove così unanimi, così esuberanti, di simpatia ed un altro come la Turchia colla quale non ha avuto mai né trattati né rapporti diplomatici di sorta, si parteggi per quest'ultima».

Il barone Ishii mi rispose essere dolente delle mie impressioni ed ammettere la simpatia sempre dimostrata dall'Italia per il Giappone. Disse che il linguaggio di cui mi lagnavo non proveniva dai giornali giapponesi ma da quelli scritti in inglese e quindi destinati ad un pubblico molto ristretto. Che ad essi il Ministero non annetteva importanza perché non rappresentavano l'opinione del Giappone e mi esortava a non curarmene. Aggiunse però, e questo è l'essenziale, che avrebbe dato istruzione perché ai giornalisti che venivano al Ministero per notizie si fosse fatta qualche osservazione nel senso da me desiderato.

Questa conversazione conferma la mia prima impressione e cioè che il Governo giapponese non si considera interessato in verun modo alla questione di Tripoli ma che, per deferenza verso gli inglesi suoi alleati, li lascia condurre campagna contro di noi nei giornali coi quali essi hanno abituali rapporti per ragioni di lingua o di legami personali.

Avendo poi io osservato durante il discorso che molte notizie erano necessariamente inventate di sana pianta perché il Governo italiano non aveva permesso ai corrispondenti di giornali di portarsi in prima linea e voleva sottoponessero le loro corrispondenze alla visione dell'autorità militare, «Avete fatto benissimo», mi rispose, «noi pure durante l'ultima guerra abbiamo severamente vietato non solo ai giornalisti ma anche agli addetti militari di seguire da vicino le operazioni. L'interesse pubblico deve essere anteposto a qualsiasi altra considerazione».

455 1 Non pubblicato.

456

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Bucarest, 18 novembre 1911.

Approfitto del ritardo nella partenza del corriere per far seguito alla mia lettera particolare del 12 corrente1 . Martedì scorso, in occasione del solito ricevimento diplomatico, ho trovato il signor Maioresco, ministro degli affari esteri, un po' giù di morale pel linguaggio

che sarebbe stato tenuto alla Consulta all'incaricato d'affari di Rumania. «Mi accorgo» -egli mi ha detto -«che non spira a Roma, in questo momento, un vento a noi favorevole e che sono mutate le disposizioni del Governo italiano a nostro riguardo». Ho risposto che la sua impressione non era esatta, giacché, come lo stesso re Carlo lo aveva riconosciuto nel discorso che si era degnato di rivolgermi in occasione della presentazione delle mie credenziali, l'Italia aveva dimostrato sempre -a fatti e non solo a parole -la sua amicizia verso la Rumania fin dalla formazione di questo Stato. Dacché, tuttavia, era scoppiata la guerra, il R. Governo non aveva potuto far a meno di tener conto del linguaggio, unanimemente ostile verso l'Italia, della stampa rumena, ed io avrei mancato al mio dovere se non ne avessi informato l'E.V. Ciò non diminuiva, tuttavia, la simpatia dell'Italia pel popolo rumeno. Il signor Maioresco entrò allora in una elucubrazione -non molto chiara, invero -sulla condotta della stampa rumena verso di noi, nelle presenti condizioni.

La stampa rumena -egli mi disse -non conta nulla, il che, se non è molto lusinghiero per questo paese, non è però molto lungi dal vero.

Il contegno dei giornali governativi -aggiunse -è stato corretto, il che osservo io per V.E. -non è completamente esatto, giacché se sono mancate, in questi giornali, le parole grosse, che infioravano gli altri, tuttavia la stessa maniera come erano esposte le notizie a noi sfavorevoli non dimostrava certo della simpatia verso di noi.

Infine -osservò il signor Maioresco -i rumeni hanno molta simpatia per l'Italia, tanto è vero che il posto più ambito dai diplomatici rumeni, dopo Parigi e più di Vienna, Berlino eccetera eccetera, è Roma.

Lascio a V.E. giudicare il valore di questo ragionamento, a cui tenne dietro, da parte del mio interlocutore, la spiegazione dello stato d'animo dei suoi connazionali circa la guerra. Questa spiegazione si riassume nell'impressione prodotta dal modo come la guerra fu da noi dichiarata, da un lato, e, dall'altro, nel timore di veder la guerra estendersi, malgrado le dichiarazioni italiane, nei Balcani.

«Finché la guerra rimane in Tripolitania» -concluse quasi testualmente il signor Maioresco -«e, finché dura l'inverno, non v'è da temere lo scoppio di ostilità nei Balcani -noi non vi abbiamo nulla a vedere; quando, però, la guerra si verificasse nei Balcani, noi intendiamo di avere le mani libere e di agire in conformità dei nostri interessi: patti chiari, amici cari». Anche il proverbio non è mio, ma del signor Maioresco, il quale me lo versò nel seno in un latino leggermente maccheronico pacta clara, amicitia cara.

Lasciai il ministro degli affari esteri, assicurandolo che avrei fedelmente riferito all'E.V. le sue parole -il che appunto faccio colla presente.

La verità -tirate tutte le somme -è che il contegno un po' risentito di codesto R. Ministero, oltre ad essere pienamente giustificato -ha fatto e farà ottimo effetto.

Ma-in fondo, in fondo-non posso se non confermare a V.E. quanto le ho precedentemente riferito: in fatto di politica estera, qui, lo stesso ministro degli esteri conta poco o nulla: è il re che fa tutto, e sul contegno del re V.E. è già stata informata dalle precedenti mie comunicazioni.

Nelle condizioni attuali, quello che qui maggiormente si desidera è di veder terminare la guerra il più presto possibile. Ed, a proposito della guerra, mi permetta

V.E. di dirle due parole nella mia qualità di vecchio nordafricano.

Ho visto citare nei giornali italiani, in appoggio alla proposta di riconoscimento dell'inviolabilità delle moschee, la Tunisia. La citazione è inesatta: in tutta la Tunisia, compresa la città santa di Kairouan e ad eccezione della sola città di Tunisi, le moschee sono accessibili agli europei e, quindi, a più forte ragione, alle autorità francesi. Tunisi ottenne il privilegio dell'inviolabilità delle moschee pel fatto d'essersi arresa ai francesi senza combattere. Ed io non dubito che le recenti sommosse anti-italiane (o, meglio, anti-cristiane, perché per gli arabi non esistono francesi od italiani, ma solo rumi, e cioè cristiani) siano state organizzate nelle moschee naturalmente non nella gran moschea (Gema Zeituna = Chiesa di S. Oliva) ch'è troppo in vista e sotto l'occhio dell'autorità francese, ma nelle moschee delle confraternite ch'io ben conosco.

Ora, avendo noi conquistato colle armi alla mano Tripoli e Bengasi, commetteremmo, a mio modo di vedere, un grave errore ammettendo l'assoluta inviolabilità delle moschee, le quali dovrebbero essere rispettate, ma rimaner aperte alle rr. autorità, per impedire che divengano centri d'agitazione contro il nostro dominio.

Ed, a proposito dei tumulti di Tunisi, mi permetta di farle presente che chi ha preso le parti dell'autorità francese è stato lo stesso «Sceich Medina» o capo religioso supremo della Tunisia, ed ha rischiato d'esser lapidato dai suoi correligionarii, per giunta, il che dimostra che l'agitazione era fomentata dalle confraternite e non dai capi del clero secolare.

Quindi due cose son da fare: assoldare i capi religiosi, da un lato, e prendere in ostaggio, sotto parvenza di affidar loro degli uffici onorevoli e retribuiti, i figli dei capi-tribù, sottoponendo in pari tempo gli uni e gli altri ad una stretta sorveglianza.

Ho letto di condanne di arabi alla reclusione, e mi sono chiesto se si crede che simili condanne abbiano il minimo effetto. Gli arabi non conoscono che la corda e la verga e, quando non si è in grado di applicare questi sistemi per motivi dirò così sentimentali, vi è un modo di girare la difficoltà. Si costituiscono dei tribunali indigeni, i quali, se ben diretti, provvedono egregiamente alla bisogna: Tunisia ed Egitto servano anche qui d'esempio.

Infine ho visto l'onorevole De Felice, nel Messaggero impensierirsi per l'effetto che dovrebbe produrre sugli arabi la presenza tra le nostre truppe, di cappellani cattolici e la celebrazione di cerimonie religiose nella cattedrale di Tripoli per l' 11 novembre.

Ora ciò prova un'assoluta ignoranza della mentalità mussulmana. I musulmani non vogliono esser convertiti, e perciò, tra di loro, la propaganda religiosa è pericolosissima: quindi uno dei primi provvedimenti da adottarsi a Bengasi dovrebbe essere la sostituzione dei giuseppini, i quali hanno dimostrato di voler fare del proselitismo sotto veste di antischiavismo.

Ma i musulmani non rispettano se non coloro che professano la propria religione, talché, in arabo, la peggiore ingiuria che si possa rivolgere a qualcuno non è «Rumi chelb» (cane di cristiano) e neppure <<Yudi chelb» (cane d'ebreo), ma bensì che «mai ghannisc» e cioè «che non canta», o «che non prega». Quindi le funzioni religiose cattoliche, riservate ai soli cattolici, sono utili e non dannose al prestigio italiano di fronte agli indigeni, i quali nelle stesse galere degli antichi Stati barbareschi sempre le permisero.

Scusi la lunga disgressione.

La legazione -grazie a lei -è riuscita molto bene e la colonia -riunita in essa l' 11 corrente, ne è stata soddisfatta ed ha inneggiato entusiasticamente a S.M. il Re ed all'Italia. Vi sarà, però, un piccolo inevitabile supplemento di spesa -oltre le somme già autorizzate -pel quale dovrò ricorrere ancora alla benevolenza dell'E.V.

456 1 Non pubblicata.

457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. SEGRETO 51991 . Roma, 19 novembre 1911 ore 3,30 (per. ore 5,35).

Reggente agenzia diplomatica Cairo mi telegrafava in data 11 novembre2 a proposito del ritiro del presidio turco di Solum di avere da buona fonte che Governo britannico intendesse chiedere all'Italia di fissare confine egiziano a Ras el Mehr località a più di 40 chilometri a nord-ovest di Ras Gebel Solum e cioè ad estremo punto occidentale del golfo stesso Solum. Più tardi con telegramma del 16 corrente3 Grimani rettificava sua informazione nel senso che la pretesa notizia del confine oltre Solum riguardava un punto a solo due miglia e mezzo ad ovest di Ras Solum ove già egiziani hanno stabilito posto comandato da Hunter pascià forse per metterei di fronte fatto compiuto. È fuori di dubbio che in seguito alla formale espressa assicurazione data da Grey al Governo italiano con confidenziale del 20 agosto 1907 il limite massimo sul mare del territorio da considerarsi come egiziano è positivamente fissato a Ras Gebel Solum. La pretesa del fatto compiuto contenuta nella seconda informazione di Grimani non può quindi aver alcun fondamento in linea di diritto. Certo il desiderio dell'Inghilterra spostare a Ras el Milhr confine sul mare trova piena giustificazione per assicurarsi il comando dell'intero golfo di Solum allo scopo di fame un'importantissima base navale oltre possibilità di meglio assicurarsi questa base navale dal lato terra. Confine desiderato offrirebbe pure grandi vantaggi: l) possibilità usufruire del porto di Bardiah che appare convenientissimo per riparo di naviglio leggero siluranti. 2) Possibilità di usufruire a scopo di difesa delle alture lato occidentale golfo. 3) Allontanamento confine politico immediata vicinanza di un porto militare. In conclusione mentre col confine a Ras el Melhr è facile convertire

2 T. riservatissimo 6892/153, non pubblicato.

3 T. 7035/162, non pubblicato.

475 Solum in una base navale importante, non è possibile con il confine di Ras Gebel Solum. Per contro grave inconveniente che lo spostamento del confine presenta per l'Italia oltre la diminuzione del territorio sarebbe la diminuzione di importanza della base navale di Tobruk [ ... ]4 in sua prossimità di altra base navale in mano a nazione oggi amica ma che potrebbe un giorno non esserlo. Essendo fuori di discussione il diritto di mantenere il confine a Ras Gebel Solum non può esserci contestato trattandosi di confine proposto dall'Inghilterra e da noi solo accettato come limite massimo. In considerazione della grandissima importanza che questo territorio addizionale rappresenta per gli interessi inglesi si potrebbe far valere molto una concessione dell'Italia in proposito allo scopo di ottenere a seconda misure della concessione stessa: A) assoluta garanzia del Governo inglese al cessare ogni ulteriore contrabbando per terra per mare al confine Cirenaica; B) l'esplicito appoggio del Governo britannico per venire più rapidamente alla pace sulle basi da noi desiderate ove si giudichi necessario per mezzo operazioni militari navali qualsiasi parte dello Impero ottomano; C) un vantaggio più duraturo coll'affidamento assoluto nella delimitazione dei confini tra Egitto e Cirenaica rimarrà a noi oasi Giarabub che per essere importante nodo di comunicazione ci compenserebbe largamente della perdita della parte golfo Solum ovvero, se come credo non sarà possibile ottenere Giarabub, qualche compenso.

Prima di prendere una qualsiasi determinazione e prima che ella ne parli con codesto Governo desiderei conoscere pensiero di V.E. 5 .

457 1 Il telegramma non è presente nel registro dei telegrammi in partenza; si pubblica perciò la copia dell'ambasciata a Londra.

458

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 71691714 . Parigi, 19 novembre 1911, ore 19,45 (per. ore 23,25).

Oggi riparte re di Serbia. Egli è stato qui accolto molto bene, ma sua viaggio non ha importanza politica né conseguenze politiche di sorta. Milovanovich è venuto a vedermi, mi ha detto che Serbia ha tutto interesse a restar tranquilla e perchè in questo momento tutti i musulmani sono uniti ed una guerra contro i piccoli Stati balcanici sarebbe popolarissima in Turchia e perché egli crede che la situazione europea oggi non differisca gran che dal tempo della annessione della Bosnia-Erzegovina e quindi ritiene che di qualunque rivolgimento l'Austria-Ungheria sarebbe la sola a profittare. Ciò gli fa temere qualunque azione nostra nella Turchia europea poiché o ve questa avesse delle ripercussioni egli è convinto che l'Austria-Ungheria non mancherebbe di profittarne per i suoi fini.

5 Per la risposta cfr. n. 460.

457 4 Gruppo indecifrato.

459

IL SIGNOR INSABATO

A ...I

L. Il Cairo, 19 novembre 1911.

Con mia grande meraviglia ieri mattina ho ricevuto il suo telegramma in cui mi si diceva di aver io parlato della mia missione all'agenzia diplomatica.

L'avverto che io non ho messo i piedi all'agenzia diplomatica altro che una sola volta il mese scorso per una cosa di estrema urgenza cioè per pregare il conte Grimani di voler occuparsi di garantire la sicurezza della moschea Umberto 1° e dello sceik Eleisce minacciato, e di voler impedire alcune violenze che volevansi perpetrare a danno di Mohammed Ali Elui bey. Dopo di allora non sono mai più andato all'agenzia diplomatica; né ho avuto occasione di parlare con nessuno.

Come le ho già scritto in altra mia chi può avere in buona fede e dietro reiterate domande detto qualche cosa è il bey. Tanto più che il conte Grimani ultimamente lo ha fatto chiamare e gli ha comunicato per conto del Ministero degli esteri, di occuparsi dell'oasi di Giarabub, di inviarvi corrieri di avvertirne i capi affinché in qualsiasi evenienza si dichiarassero protetti italiani.

Naturalmente il bey rispose di non poter inviare alcuno ma di aver già fatto del suo meglio per avvertire i senussi eccetera. Ora l'ho rimproverato ed egli mi ha promesso di non andare mai più all'agenzia diplomatica. Del resto bisogna perdonargli questi piccoli scarti, dati gli enormi servigi che egli ci rende come vedrà da quanto più sotto le spiegherò.

Ho dato del denaro a Selim El Haddad redattore capo del giornale El Akbar ed ho ottenuto, come potrà giudicare dai numeri che le invio, di fare una campagna contro gli altri giornali, specialmente a proposito delle atrocità.

Le accludo una ricevuta di ritorno dei pacchi di manifesti inviati all'oasi di Siwa, ed una lettera del capo della zauia dell'ovest di Siwa Sidi Ibrahim el Moarref e le accludo anche una sua lettera che mi pare importante, eccone la traduzione:

«In nome di Dio clemente e misericordioso. A sua signoria il nobile vistoso eccetera eccetera il Sayed Mohammed Ali Elui bey eccetera.

Il giorno di domenica 14 zulcada sono stato onorato dal ricevere molti stampati, la tua lettera e molti consigli utilissimi giunti da V.S. felice. Te ne ringraziamo molto e siamo molto riconoscenti ...» saluta tutti i figli e gli amici del bey che nomina e poi aggiunge: «Abbiamo ricevuta una lettera dai nostri sovrani (dai capi senussi) che annunzia la loro buona salute e vi fanno sapere che sino ad ora mantengono le promesse fattevi. Il Sayed Ahmed Scerif (il Gran Senussi) ci fa sapere che verrà (a Giarabub) per visitare la tomba di suo nonno (che Dio lo benedica) e speriamo che egli si decida ed esaudisca questo nostro desiderio.

14 Zulcada 1329. Lo schiavo della signoria del Senussi, Ibrahim Moarref, capo della zauia senussita dell'ovest di Siwa».

Eccole ora alcune importantissime notizie.

A Zawieh presso Luxor abitano e vi godono enorme autorità la famiglia El Mutaal El Idrissi. Essi vi dirigono la zauia senussita e son cugini di Sidi Mohammed Ali El Idrissi capo dell'attuale rivolta nell' Assir e nel nord del Yemen. Il nonno di costoro fu il grande Sidi Ahmed Ben Idriss (sepolto a Sanaa) e che fu professore dei famosissimi tre sceik: Senussi, Mirghani e Rascidi fondatori delle tre congregazioni portanti questi nomi.

Costui ebbe due figli: l) Sidi Ali ibn Sidi Mohammed ibn Sidi Ahmed ben Idriss dal quale nacque l'attuale capo della rivolta dell' Assir, 2) Sidi Abd el Mutaal el Idriss che ebbe numerosi figli che sono:

l) Sidi Abd el Mutaal el Idriss; costui ora trovasi a Dongo la ma generalmente abita a Kartum. 2) Sidi Mohammed el Senussi El Mutaal El Idriss, che è quello che dirige la

zauia e si occupa di politica.

3) Sidi Moamun Abd El Mutaal El Idrissi

4) Sidi Mustafà " "

5) Mohammed El Arabi " "

6) El Redda " "

7) Idriss " "

Inoltre alcune sorelle di cui una è promessa sposa dello sceik Idrissi capo della rivolta.

Tutta la famiglia gode di grandissima considerazione da parte del Senussi ed ha grande influenza sull'Idrissi del Yemen, ma obbediscono agli ordini di Mohammed Ali Elui bey. Ed in questi giorni ne ho avuto la prova.

Io dunque avevo pensato a loro per inviarne uno a Massaua e nel Yemen. Scrivemmo a Luxor e non avemmo risposta, telegrafammo e il giorno dopo ci arriva uno dei loro cugini per avvertirci che i fratelli maggiori erano partiti per Hammam (nel Mariut) per andare a Giarabub.

Senza pt>rdere tempo inviai Mohammed El Meccaui per raggiungerli, e cercare di farli ritornare. Costui andò ad Hammam, che è nel deserto, ma il capo della zauia locale disse di aver bensì preparati i cammelli per farli partire, ma che essi erano ritornati in Alessandria. Il Meccaui ritornò in Alessandria, e dopo mille peripezie riuscì a trovarli in casa del capo della congregazione Mirghania. Presentò loro la lettera del bey ed essi ritornarono immediatamente in Cairo a casa del bey dove li incontrai.

Essi ci raccontarono che a Luxor erano stati minacciati ed oggetto di pressione persino da parte dei capi della polizia perché si schierassero contro l 'Italia. Pochi giorni fa lo Seid Mohammed el Senussi fu chiamato telegraficamente in Alessandria dal capo della congregazione Mirghania, che gli disse a nome del sultano e del khedive, che costoro attendevano da lui una prova del suo zelo, coll'andare a Giarabub e collo scrivere al Senussi di mettersi contro gli italiani. Gli disse che all'Hamam i cammelli erano pronti e che il khedive desiderava vederlo. Egli infatti andò dal khedive che gli fece gli stessi discorsi. Egli si schermiva e per guadagnar tempo disse di volersi consultare coi suoi fratelli maggiori. Ma non lo lasciarono ritornare a Luxor bensì gli fecero telegrafare ai fratelli di venire.

Gli Idrissi sono ottime persone e poco politici, e forse si sarebbero lasciati convincere a scrivere al Senussi, suggestionati anche dalle voci di sconfitte e di massacri italiani, se tanto il khedive che lo sceik Mirghani non avessero fatta una enorme gaffe. Era arrivato in quei giorni in incognito da Costantinopoli, ospite del khedive, l'emiro Nasser pascià (che è quello che succederà alla carica di gran sceriffo della Mecca all'attuale Hussein pascià), essi non pensando che l'emiro e il gran sceriffo della Mecca sono nemici giurati dallo sceik Idrissi del Yemen, lo presentarono ai tre fratelli. Costoro in presenza del nemico del loro cugino, dissero di essere senza autorità presso il Senussi di non volersi occupare di politica, e diedero come consiglio di agire sul Senussi per mezzo dell'Idrissi del Yemen poiché essi due sono grandi amici. Dopo questa conversazione essi dovevano averne un'altra con Rauff pascià alto commissario della Turchia, ma intanto giunse loro la lettera del bey, piantarono tutti in asso e vennero in Cairo. Il bey parlò loro a lungo della vera situazione, e li convinse a Luxor. Essi acconsentirono e furono così sottratti alle suggestioni del khedive, del Mirghani e degli agenti turchi.

(Noto subito che due giorni dopo Rauff pascià è partito improvvisamente per Medina, non vorrei che fosse andato per ragioni che ci interessano).

Il bey allora propose che uno di loro andasse a Massaua per esser tramite fra gli italiani e l 'Idrissi. Contro ogni mia speranza essi acconsentirono e dissero che avrebbero scelto uno di loro od uno dei loro cugini per questa missione così delicata ed importante.

Ieri mi informai delle partenze per Massaua, causa la mancanza di vapori italiani non v'è che la linea khediviale che parte domani lunedì, io ho telegrafato stamattina affinché uno di loro venga stasera per partire domani. Spero che verranno nonostante che domani essi facciano un muled in memoria del loro padre. Se arriveremo in tempo a farlo partire, io gli darò una semplice lettera di presentazione pel comandante delle truppe, telegraferò a lei, ed ella invierà a Massaua gli ordini necessari, avvertendo però di ricevere l'inviato con grandissimi riguardi dovuti alla nobiltà della sua famiglia ed alla sua influenza.

Sono sicuro che l'Idrissi ubbidirà assolutamente a quanto gli comunicheremo per mezzo di questo inviato. Migliore e più fortunata occasione non potrebbe presentarsi; col nostro aiuto l'Idrissi potrà mettere in pericolo od addirittura abbattere il Califfato, in ogni modo metterà la Turchia in una tristissima condizione e la obbligherà a chieder pace all'Italia per aver mano libera nell'Assire in Arabia. Non solo ma sarebbe prudente pensare all'avvenire e vedere se non convenga di fare fin da ora qualche accordo coll 'Idrissi, in vista di futuri nostri interessi in quell'hinterland dell'Eritrea che è l' Assir, tanto più che se anche non riuscirà a divenire califfo, è molto probabile che l'Idrissi resti padrone assoluto dell'Assir.

Inoltre si potrebbe chiedere all'Idrissi di scrivere una lettera al Senussi, il che avrebbe una importanza enorme. Bisogna però agire rapidissimamente, e se ne otterranno dei risultati immediati ed immensi.

Col corriere di domani continuerò questa mia.

L'avverto che mi occorrono dei fondi; per questi Idrissi fra viaggi messi, alberghi eccetera io ho già speso circa ottanta lire sterline e mi tocca di fare un debito per inviarlo a Massua.

Credo però di non aver male impiegati questi denari e di fare una cosa utile al Paese.

Lo sceik Madani, spaventato, rifiuta di andare Tripoli prima della conclusione della pace, domani le scriverò in proposito.

Spero che ella mi scriverà che il telegramma ieri pervenutomi, era piuttosto un avvertimento che un rimprovero, poiché francamente sento di non meritarmelo.

459 1 Cfr. n. 393, nota l.

460

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 7180/526. Londra, 20 novembre 1911, ore 4,07 (per. ore 21,03).

Telegramma di V.E. 51991• Anzitutto credo dover rilevare che nostri diritti incontestabili considerare Gebel Solum come confine tra nostra provincia Cirenaica ed Egitto oltreché dagli accordi del 1907, risultano in modo assoluto anche dalle recenti dichiarazioni contenute nel promemoria britannico del 16 ottobre scorso mio rapporto 489 2 . Importanza di quelle dichiarazioni è accresciuta dal fatto essere esse venute dopo apertura ostilità, qualunque fatto compiuto non potrebbe quindi legalmente vulnerare nostro diritto. Ciò premesso, in obbedienza ordine di V.E., debbo dopo matura riflessione sottoporle rispettosamente che allo stato attuale delle cose non oserei in modo alcuno consigliare contemplata apertura.

Primo perché dopo di avere solennemente proclamato suo contegno di stretta neutralità mi pare assai difficile che anche mediante così importanti compensi questo Governo si induca a mutare strada prendendo posizione a noi nettamente favorevole col concedere desiderato appoggio. E per quanto riguarda operazioni militari nostre contro punti veramente vulnerabili Turchia anche impegni formali inglesi di non ostacolarle non mi parrebbero più sufficienti ora che non possiamo più farci illusioni su disposizioni non certo favorevoli della Russia e specialmente dell' Austria-Ungheria. Ciò stante, dato e non ancora concesso che questo Governo entrasse nel nostro ordine d'idee, noi verremmo a fare inutile sacrificio diminuendo sensibilmente importanza futura nostra eventuale base navale Tobruk.

Secondo perché ottenuta garanzia per cessazione contrabbando confine Cirenaica, sarebbe in pratica illusoria. Data estensione di quella frontiera, facilità quindi attraversarla, questo Governo, per quanto deciso osservare con massima lealtà impegm presi, non potrà mai riuscire ad arrestare in modo assoluto violazioni di neutralità.

460 1 Cfr. n. 457. 2 Non pubblicato, ma cfr. n. 352.

Terzo perché a proposito Giarabub, Grey ha pochi giorni fa dichiarato alla Camera doversi oasi considerare appartenente territorio egiziano. Se comunque si ritenesse da noi che proprietà oasi, di cui senza quella di Siva importanza mi pare assai diminuita, presenti vantaggi tali da compensare largamente perdita parte così importante golfo Solum, saremo sempre a tempo proporre qui cambio a guerra finita quando si procederà delimitazione definitiva confine.

Quarto linea generale in base argomenti ripetutamente esposti a V.E., io riterrei dannoso nostri interessi generali e più direttamente ad una più spedita conclusione pace, qualunque nostra iniziativa che si prestasse essere interpretata e dai turchi e da altre Potenze come indizio nostra impazienza terminare al più presto a qualunque costo guerra, specie quando, come nel caso presente, non è possibile per plausibili motivi essere a priori sicuri dell'accoglienza che eventualmente incontrerebbe nostra apertura.

461

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7179/716. Parigi, 20 novembre 1911, ore 14,20 (per. ore 17,10).

Risposta al telegramma 5159 1.Risultato mio lungo colloquio stamane con Caillaux è il seguente: Governo francese si varrà di tutta la sua influenza sulla finanza per impedire che vengano dati denari alla Turchia. Però siccome i finanzieri non pensano che al guadagno, non può garantire che in nessun caso capitali francesi vengano in ajuto alla Turchia sotto forma di prestiti stranieri. Preferisce perciò, pur dando ampie assicurazioni, non assumere alcun impegno formale e di non chiedere a noi alcun impegno circa estensione operazioni alla costa del\' Asia Minore. A questo riguardo Caillaux mi ha detto le seguenti testuali parole: «Voi potete a rigore estendere le vostre operazioni all'Egeo senza tener conto della Francia Russia Inghilterra e Germania, perché queste Potenze potranno essere malcontente e manifestare del malumore, ma non interverranno per impedirvelo; invece io credo che commettereste una grave imprudenza se vi avventuraste in tali operazioni senza aver prima fatto patti ben chiari con Austria-Ungheria, poiché, mentre non credo che questa vorrà intervenire per impedirvi agire nell'Egeo, credo però, anzi sono sicuro, che, se, la vostra azione nell'Egeo provocherà rivolgimenti nei Balcani od a Costantinopoli, Austria-Ungheria non esiterà un momento e rioccuperà il Sangiaccato».

Caillaux mi ha soggiunto che non crede che un'azione nell'Egeo possa indurre la Turchia alla pace. Egli crede che a ciò potrà indurla soltanto la mancanza di denari e la pressione concorde delle Potenze. Quanto alla prima egli mi ha dato le assicurazioni che poteva darmi; quanto alla seconda si propone di iniziare confidenzialmente pratiche a Londra per vedere se e come è possibile che Inghilterra e Germania si decidano ad agire con le altre Potenze garantendosi reciprocamente di non mettersi verso la Turchia in posizione diversa l'una dall'altra. Caillaux si riserva di comunicare esito sue pratiche.

461 1 Cfr. n. 453.

462

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 7177/171. Il Cairo, 20 novembre 1911, ore 14,20 (per. ore 17,40).

Telegramma di V.E. n. 5153 1 . Non potendo assentarmi da Cairo colonnello Elia si è recato jeri in Alessandria dove fu ricevuto da S.A. il Khedive che ha concertato quanto segue: khedive farà partire un suo ajutante di campo amicissimo dell'Idris, travestito, per Massaua, ove si abboccherà con sceik Sciareneti e nostra autorità, passerà quindi in Arabia per abboccarsi con Idris, che sarebbe attualmente in località denominata Sabia; combinerà quantitativo armi e munizioni occorrenti, tornerà Massaua donde con sambuchi sorvegliati a distanza da nostra nave da guerra trasporterà carico su costa araba. Detto aiutante è fanatico di Idris e pur non essendo italofilo è lietissimo procurargli nostre armi contro i turchi. Partirà col primo battello possibile munito lettera riconoscimento di De Martino bey per autorità Eritrea che sarà informata da V.E. sua missione e da me avvertita suo arrivo.

Quantità qualità armi munizioni modalità consegna ed eventuale rimessa denaro dovrà trattarsi direttamente a Massaua Sua Altezza non potendo precisarle esattamente.

Sua Altezza è convinto che ripresa offensiva da parte dell'Idris in questo momento possa avere notevole effetto su Mad Mullah e Sceik Senussi appartenente setta analoga. Farò conoscere all'E.V. data partenza emissario. Colonnello Elia telegrafa in questo senso anche al capo di Stato Maggiore che già avevalo interessato a simile progetto.

462 1 Errore di decifrazione. Si tratta presumibilmente del T. segreto 5135 del 16 novembre il cui testo non è trascritto nel registro dei telegrammi in partenza.

463

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7201/176. Il Cairo, 20 novembre 1911, ore 21,35 (per. ore 3,30 del 21)

Principe Hussein parlando stamane con persona degna di fede avrebbe detto essere convinto con vivo rincrescimento che Italia non fa esatto conto delle difficoltà che troverà in Tripo1itania. Ritiene che a torto si faccia assegnamento sull'indebolimento dei turco-arabi perché questi ricevono di continuo specialmente per via Tunisia vettovaglie e grande quantità di armi e munizioni che è facilissimo procurarsi in Europa e specialmente a Saint-Etienne a buon mercato 1 . Giudica che un esercito di centomila uomini sia necessario per assicurare possesso coste e che conquista effettiva del Paese data diversità epoca abbia a presentare maggiori difficoltà che non quella dell'Algeria.

Comunico quanto precede all'E.V. a titolo d'informazione perché principe è appena tornato dall'Europa dove avrebbe conferito con persone in grado conoscere situazione.

464

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7245/248. Costantinopoli, 20 novembre 1911 (per. ore 15,30 del 22) 1.

Seguito risposta telegramma V.E. n. 50772 • Ho potuto raccogliere che se Comitato volesse influire sullo sceriffo della Mecca per far proclamare la guerra santa, la cosa gli sarebbe facile, quel sceriffo essendo in stretto rapporto con esso. Si osserva però che Comitato probabilmente non provocherà tale decisione per evitare complicazioni e specialmente per riguardo all'Inghilterra.

1 Per il seguito cfr. n. 470.

2 T. del 14 novembre, non pubblicato.

464 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 22 novembre, ore 2.

465

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7229/697. Vienna, 21 novembre 1911, ore 8,30 (per. ore 22,50).

Telegramma di VE. 5246 1• Muller presso il quale aveva sollecitato ieri risposta alla domanda rivoltagli fino da 18 corrente circa linea navigazione per la Grecia, mi ha fatto pervenire una notizia confidenziale in cui si fa conoscere che Pallavicini, a cui era stata comunicata domanda suddetta, aveva telegrafato che, essendosi intrattenuto al riguardo con il ministro degli affari esteri ottomano, questi avevalo assicurato che navi da guerra ottomane si asterranno interamente da ogni azione contro navi mercantili italiane, a condizione che non entrino nelle acque territoriali turche. Nella notizia si aggiunge che tale condizione era adempiuta in seguito alla modificazione dell'itinerario adottato dal r. ministro della marina secondo il quale i piroscafi italiani in questione si terranno ad una distanza minima di trenta miglia ad ovest delle coste ottomane.

466

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7221192. Tunisi, 21 novembre 191I, ore 10,50 1.

A telegrammi 51862 , 5206, 5216, 52003 . Fatti segnala timi essendo in gran parte a mia conoscenza ebbi col residente prima della sua partenza per Parigi ed oggi col generale Pistor, comandante esercito Tunisia e quindi incaricato guardia -frontiere, nuovi lunghi colloqui nei quali esposi come per noi la situazione alla frontiera diventasse sempre più grave e premendo vivamente perché fosse meglio rispettata neutralità promessa. Mi confermarono le nuove più severe misure: infatti quando ufficiali giungono in gruppi sarebbero senz'altro respinti e così quando carovane sembrano dirette esercito nemico, tale quella del Simon. Ma mi ripeterono che fin quando Parigi non muterà precedenti istruzioni essi non potranno opporsi passaggio ufficiali che si presentano disarmati e isolati alla frontiera, come al trasporto di derrate o simili quando sarà provato che servono al vettovagliamento del nemico

2 T. del 18 novembre, non pubblicato.

3 TT. del 19 novembre, non pubblicati.

(sic). (Come è possibile fare simile prova? Ma insoliti incettatori e ingenti quantità raccolti non bastano? E perché non si visitano casse sacchi e ogni imballaggio per vedere cosa contengono?).

Quanto alle grosse carovane segnalate al generale Caneva come provenienti al nemico dalla Tunisia affermano non essere possibile abbiano quivi a formarsi perché le impedirebbero. Credono piuttosto si costituiscano di là della frontiera presso tribù tunisine ricche di cammelli ed io subito: caricandosi evidentemente colla provvista giunta dalla frontiera tripolo-tunisina. In sostanza credo che con tutte queste restrizioni distinzioni la Tunisia continuerà ad essere principale base di rifornimento all'esercito nemico se non si riesce ad ottenere dalla Francia che si impedisca qualunque passaggio di ufficiali e di forniture. Altrimenti bisognerà che si pensi noi occupando Zuara e di là molestando e disperdendo ogni convoglio.

Quanto alla commissione della Mezzaluna Rossa, che giunse qui ieri numerosa, generale Pistor mi assicurò avere sottoposto componenti a serio esame di medici militari francesi che contestarono essere quelli veramente sanitari onde furono lasciati proseguire. E finalmente sulle mie vive insistenze mi promise avrebbe telegrafato alla frontiera perché si visiti ogni cassa, valigia, per vedere di fermare la grossa somma segnalata da Costantinopoli (purché non sia troppo tardi).

465 1 T. del 20 novembre, col quale si sollecitava la risposta al T. 5178 del 17 novembre, entrambi non pubblicati (proposta di un diverso itinerario per la navigazione fra Brindisi ed i porti ellenici tale da evitare le acque territoriali turche).

466 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

467

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON, ALLE LEGAZIONI A L' AJA, ATENE, BELGRADO, BERNA, BRUXELLES, BUCAREST E SOFIA, ALL'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO E AI CONSOLATI GENERALI AD ALESSANDRIA E A TUNISI

T. 5275. Roma, 21 novembre 1911, ore 15,20.

Un telegramma da Costantinopoli alla stampa italiana ed estera dice che le navi italiane hanno bombardato Akaba distruggendo l 'ospedale civile e parte della città.

Il R. Governo non ha ancora avuto alcuna conferma delle notizie di operazioni navali nostre ad Akaba; ma è superfluo dire che tutte le rr. navi hanno ordini generali, precisi e severi, di rispettare le Convenzioni dell' Aja, le norme del diritto internazionale ed i principi umanitari.

Bisogna del resto diffidare delle notizie turche, che già tante volte furono dimostrate false. È probabile però che le rr. navi abbiano fatto fuoco sopra le truppe turche riunite ad Akaba collo scopo di passare a piccoli gruppi in Cirenaica, ed abbiano cercato di distruggere i depositi di armi o munizioni colà raccolti per farli pervenire agli arabo-turchi combattenti contro di noi.

Informo di tutto ciò V.E. (V.S.) per norma di linguaggio e di condotta.

468

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7232/529. Londra, 21 novembre 1911, ore 16, 15 (per. ore 2 del 22).

Grey mi disse ieri che aveva voluto conferire con me perché teneva confermarmi personalmente categorica smentita già datami da Nicolson circa pretese dichiarazioni di Lowther al quale è stato subito telegrafato chiarire bene la cosa con Assim bey. Aggiunse Grey aveva apprezzato mia cura dissipare ogni equivoco provocando chiare spiegazioni e mi ringraziò per non avere prestato fede notizia che è una nuova dimostrazione degli intrighi e delle insidie contro le quali si è oggi costretti combattere. Ringraziatolo a mia volta colsi l'occasione per dirgli a titolo mia opinione personale che sulle decisioni del R. Governo circa operazioni navali a me nulla di concreto e positivo risultava ma che mi sembrava che voci circolanti, se forse premature oggi, potrebbero acquistare carattere attualità in un tempo più o meno prossimo essendo perfettamente comprensibile e giustificata una eventuale estensione operazioni militari qualora Turchia volesse prolungare guerra con adottare contegno resistenza passiva. Noi non abbiamo, osservai, alcuna fretta fare pace siamo però ancora disposti mostrarci larghi e generosi nei compensi beninteso alla condizione sine qua non che Turchia accetti definitiva irrevocabile annessione. Se le Potenze crederanno opportuno facilitarci compito con amichevoli consigli renderanno grande servizio alla causa della pace e alla Turchia stessa che delle sempre possibili complicazioni future sarà in qualunque caso fatalmente vittima. Se poi queste non verranno e Turchia continuerà mostrarsi intransigente, non tarderà venire giorno in cui ci vedremo costretti, contrariamente al nostro desiderio, estendere operazioni militari colpendo Impero intero e per giungere pace unico mezzo è infliggere nemico maggiori danni possibili. Rispose Grey che per quanto gli risulta tutte le Potenze sono ugualmente desiderose affrettare pace. Non è buon volere dar saggi consigli Constantinopoli che le arrestano ma difficoltà vederli accolti. Sono evidenti pericoli cui Turchia si espone con prolungare guerra, ma è evidente pure che stante attuali condizioni interne dell'Impero e Governo se esso conclude pace corre rischio provocare rivoluzione interna. In presenza tale penosa situazione dare consigli conviene andare molto cauti anche poi in vista della «intricata delicata e tutto compreso incresciosa situazione generale europea». Avendo io qui osservato aver impressione che a Costantinopoli comincino prevalere disposizioni ragionevoli replicò nessun indizio siffatto gli era stato ancora segnalato. Turchia insistendo come prima nel reclamare nostro riconoscimento sovranità sultano. «Su questo punto è inutile nemmeno discutere perché nulla al mondo ci farà mai cedere». «Lo capisco», rispose, «ma ecco appunto via senza uscita e difficoltà per momento rappresentazioni Costantinopoli. Con annessione avete rotto ponte per mediazione. Non discuto vostri motivi, constato semplicemente».

Quanto estensione operazioni, Grey soggiunse, essere stato tempestato domande vari ambasciatori per conoscere contegno Inghilterra in caso operazioni contro questa

o quella località, ma a tutti diede risposta seguente dettatami a mia domanda: «Governo si è deciso in favore politica non intervento. Non posso dire che in nessun caso non ci dipartiremmo da siffatta politica, qualora sorgessero complicazioni che involgessero interessi britannici. Ma non ce ne dipartiremmo comunque senza gravissimi motivi e matura considerazione». Questa molto leale dichiarazione di Grey conferma pienamente mie impressioni telegramma 498 1 e 5032 . Essa ci permette prendere eventuale decisione piena conoscenza causa, esaminare convenienza venire con questo Governo a qualche spiegazione confidenziale per accertare in qual caso nostre operazioni involgano interessi britannici per poterei regolare senza timore difficoltà da parte di questo Governo. Paragonate a quelle di Pietroburgo e a quello che deve aver generato grave apprensione manifestata nella conclusione telegramma di Avarna (telegramma di VE. n. 5221)3 , risposta di Grey panni confermare impressione da me avuta fino da inizio guerra circa disposizioni nel fondo a noi amichevoli di questo Governo compatibilmente beniteso con rispetto neutralità e legittimità tutela interessi suoi. Ai motivi già esposti che mi rendono molto esitante a caldeggiare estensione operazioni specialmente ai Dardanelli debbo aggiungere ora: l) che in qualunque caso un bombardamento di qualche porto o anche isola ottomana non potrà non cagionare danni rilevanti a sudditi esteri il che dato pure che tutte le Potenze ci lascino mano libera non ci esimerà mai dall'obbligo di pagare a guerra finita indennità più o meno rilevanti, ciò che sarà sicura sorgente lunghe noiose controversie; 2) che per quanto riguarda specialmente Dardanelli ricordavo sempre sentito dire da militari essere quelle fortificazioni così importanti da rendere quasi impossibile ad una flotta forzarli senza gravissime perdite. Ci conviene ciò stante nell'attuale incerta situazione europea e interesse stesso dello scopo cui miriamo, esporci perdere una o più importanti unità nostra flotta? Conoscendo raffinata perfidia ambiente bizantino mi chiedo quindi in conclusione se impressioni che spingono Garbasso preconizzare con tanto ardore azione navale non siano effetto di qualche tranello del Comitato per spingerei ad un passo che potrebbe sollevarci gravi imbarazzi con Potenze totale vantaggio Turchia che a quest'ora deve avere avuto qualche sentore disposizioni poco incoraggianti da noi constatate. Per esperienza che ho dei sistemi della diplomazia di Tcharykoff non arrivo per esempio togliermi dalla mente che risposta Neratoff a Melegari sia a quest'ora già stata direttamente o indirettamente da lui fatta giungere orecchi Comitato.

2 T. riservatissimo 6919/503 del 12 novembre, non pubblicato.

3 T. del 19 novembre, col quale si trasmetteva il T. segreto 7142/688. Avama, così concludeva: «... prevedo che se un accordo diretto con la Turchia non si può raggiungere noi rimarremmo nell'alternativa sempre assai incresciosa o di prolungare indefinitamente la guerra o di esporci ad un conflitto coll'Austria qualora spinti dalla necessità, volessimo valerci di ogni arma estrema per tentare di colpire la Turchia in qualche parte vitale e costringerla così alla pace».

468 1 T. Gab. segretissimo privato per il ministro 6787/498 del1'8 novembre, non pubblicato.

469

IL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF COLONIALE 7268/15790. Asmara, 21 novembre 1991, ore 21 (per. ore 3 del 22).

(Ritardato per difficoltà di decifrazione). Perviene da consolato Aden seguente telegramma: «Notizie varia fonte concordano affermare [...]1 turchi [cercano?F indurre gran parte tribù Yemen principalmente Zai [...] e Zaranich far [causa comune?] con loro. Con ogni mezzo turchi hanno eccitato fanatismo popolazione facendo credere Italia ha dichiarato guerra contro islamismo. Iman Jahia ed altri principali capi tribù hanno offerto loro servizi, mettendo disposizione Governo migliaia arabi oltre parecchie migliaia che autorità locale arruolano e mandano alla costa in rinforzo battaglione turco. Si afferma però tribù Assir capitanate Idrissi si mantengono ancora ostili ad onta promessa autonomia, ma non concessa. Turchi non si fidano dell 'Idrissi, alcune tribù si sono nuovamente ribellate ed attaccati turchi a Muhail [ ...] vuolsi arabi battuti. Da Farsan partiti quattro battaglioni per Cunfuda. Dicesi che trasporto turco Bahrahmar, scortato da cannoniere abbia da Farsan portate truppe e già [sbarcate?] Akaba. A H ode ida furono arrestati tre eritrei accusati di essere mandati per commettere attentati contro quel deposito polveri, vuolsi abbiano [...] autorità Hodeida [ ...] per avvenuto arresto Massaua ispettore doganale. Segnato: Fares». Ho comunicato stesso telegramma a Comando Corpo di Stato Maggiore per interesse che notizie hanno in relazione alla missione Odorizzi. Stessa comunicazione ho fatto ad agenzia Cairo ed a Odorizzi.

470

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO RISERVATISSIMO PERSONALE 7251/728. Parigi, 22 novembre 1911, ore 14,25 (per. ore 17,50).

A proposito di quanto VE. mi comunica nel telegramma 5276 1 circa le armi e munizioni che la Turchia può procurarsi a buon mercato a Saint-Etienne, avverto VE. che da tonte sicura sono stato informato, con raccomandazione di massima segretezza, che tra tre e quattro settimane, sarà pronta una spedizione di fucili,

2 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

488 vari milioni di cartuccie, che dovranno essere sbarcate in un punto della costa tripolina già designata. La persona che mi ha data l'informazione mi ha promesso di indicarmi appena possibile il vapore che partirà da Marsiglia ed il punto della costa tripolina prescelto affinché io possa in tempo porre V.E. in grado fare catturare la spedizione. Quanto al principe Hussein so che qui a Parigi è stato fatto segno a molte gentilezze da parte del Governo, quasi in opposizione al principe Fuad, benché tra essi regnino i migliori rapporti. Il suo apprezzamento circa la necessità di un corpo di spedizione di centomila uomini corrisponde esattamente alla previsione da me fatta nella mia lettera a V.E. del sette settembre scorso2 .

469 1 Gruppo indecifrato.

470 1 T. del 21 novembre, col quale si trasmetteva il n. 463.

471

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7272/202. Pietroburgo, 22 novembre 1911, ore 18,54 (per. ore 20,50)

Neratoff mi disse che sul mercato russo un prestito turco non avrà mai alcuna probabilità di riuscita.

472

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, TITTONI

T. 5315. Roma, 22 novembre 1911, ore 20,15.

Il generale Briccola, comandante le R. Forze a Bengasi, informa: l) che dalla circolare annunciante l'assunzione da parte sua dei poteri civili e militari a Bengasi, i consoli di Francia e d'Inghilterra si sono limitati a segnare ricevuta; 2) che dopo ciò non fecero alcuna visita al comandante; 3) che, interrogati ufficiosamente, dichiararono il 29 ottobre di non poter fare un passo qualsiasi presso il comandante senza aver ricevuto istruzioni dai loro Governi; 4) che, anche dopo quella data, non mutarono il loro contegno, astenendosi perfino da ogni manifestazione per il genetliaco di S.M. il Re. Prego VE. di voler chiedere amichevolmente a codesto Governo i motivi di tale attitudine dei loro rappresentanti a Bengasi, la quale è anche in

contraddizione con quella assunta dei loro colleghi di Tripoli, che, al pari degli altri consoli, si misero subito in relazione col generale Caneva.

Aggiungo però che tanto questa ambasciata di Francia, quanto questa ambasciata d'Inghilterra m'avevano chiesto tempo fa di far prendere i provvedimenti necessari perché i loro Governi potessero corrispondere coi rispettivi consoli a Bengasi, ciò che non aveva potuto farsi finora; e che solo in questi ultimi giorni sono stati in grado di indicare loro i mezzi di corrispondenza 1•

470 2 In realtà Tittoni aveva dato la veste di risposta ufficiale alla lettera privata (cfr. n. 153) e non aveva riportato in quella sede la citata previsione a proposito della quale si veda, invece, il n. 135.

473

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7342/300. Berlino, 24 novembre 1911, ore 18,35 (per. ore 19,30).

Telegramma di V.E. n. 53071•

Ho nuovamente parlato a Kiderlen-Waechter nel senso delle istruzioni di V.E. circa l'eventuale necessità di una nostra azione risolutiva contro la Turchia dopo il consolidamento della occupazione.

Lo trovai preoccupato soprattutto per le polemiche sull'accordo marocchino e per l'attesa delle prossime dichiarazioni di Grey sui rapporti anglo-tedeschi.

Ed in genere debbo constatare che si vedono qui pure gli indizi della tendenza attuale delle Potenze ad un certo quale disinteresse dell'affare di Tripoli, considerandosi come inutile per il momento qualsiasi pratica a Costantinopoli in seguito al pubblicato decreto di annessione. Kiderlen-Waechter mi domandò soltanto in via incidentale se non vi sarebbe possibilità di accontentarsi della Tripolitania in piena sovranità rinunziando alla Cirenaica. Al che risposi naturalmente essere ciò fuori questione. Avendo egli quindi espresso il timore che la guerra si protragga per lungo tempo, ciò mi offrì argomento a ripetergli tutte le ragioni a favore di un'azione risolutiva, destinata a troncarla e del! 'urgenza di persuadere di ciò Aehrenthal anche nell'interesse dell'Allenza eccetera. Kiderlen-Waechter non me ne nascose la difficoltà di fronte al disposto dell'articolo sette da Aehrenthal invocato. Gli feci rilevare che quell'articolo si riferiva nel suo spirito ad una modificazione dello statu quo territoriale nei Balcani o nell'Egeo, statu quo che la nostra azione momentanea non mira affatto ad alterare, ed osservai che l'articolo stesso stipulava infine soltanto l'obbligo di un previo accordo e quindi non si vedeva perché quest'accordo non si

potesse stabilire mediante una preventiva determinazione dei limiti possibili delle condizioni delle nostre operazioni. Kiderlen-Waechter finì con dire che ne scriverebbe a Tschirschky insistendo però sulla necessità preventiva determinazione.

472 1 Tittoni 1ispose con T. 7327/737 del 23 novembre, non pubblicato: il Governo francese aveva dato istruzione ai propri consoli a Tripoli e a Bengasi di riconoscere le autorità italiane come autorità di fatto ma ignorava se gli ordini, inviati per posta, fossero giunti. La risposta di Londra fu più interlocutoria (T. 7377/545 del 25 novembre, non pubblicato): Imperiali sospettava che il Governo britannico volesse consultare quello francese per stabilire una condotta comune.

473 1 T. del 22 novembre, non pubblicato.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. SEGRETO 54101 . Roma, 25 novembre 1911, ore 19,35.

Per avere l'avviso dell 'E.V. e per quelle ulteriori indicazioni che ella potesse procurarsi in proposito comunicole seguente telegramma del r. ambasciatore a Vienna2: «Col mio telegramma 7083 ho già fatto conoscere all'E.V. le ragioni per cui Aehrenthal cercherebbe di dar all'articolo VII del Trattato d'Alleanza una interpretazione estensiva che va al di là di ogni limite dell'equo.

L'unica concessione che noi potremmo fare all'Austria-Ungheria per ottenere ove fosse possibile che essa rinunzi opposizione contro le nostre operazioni di guerra nell'Egeo consisterebbe nel riconoscere una certa libertà d'azione nei Balcani per esempio la facoltà di rioccupare il Sangiaccato di Novi-Bazar senza darci il compenso pattuito ai termini dell'accordo segreto del 1909.

Per quanto una nostra proposta in tal senso sia indubbiamente vantaggiosa all'Austria, io non credo, dato il timore che qui destano quelle operazioni per le gravi complicazioni che protrebbero provocare nei Balcani, che Aehrenthal sarebbe disposto ad entrare a parlare con noi dell'argomento. D'altra parte non devesi dimenticare che una proposta simile fu già fatta nel Convegno di Buchlau da Isvo1sky ad Aehrenthal come prezzo del consenso dell'Austria-Ungheria alla definizione della questione degli Stretti in favore della Russia: ma Aehrenthal rifiutò consentire ad una tale proposta. Aggiungo, del resto, che nell'ultimo colloquio avuto con Aehrenthal circa le operazioni in discorso (mio telegramma n. 672)4 , egli mi fece intendere che era irremovibile nella sua opposizione alle medesime e non avrebbe accettato di procedere con noi ad un ulteriore scambio di vedute in proposito: ma pur ammettendo che Aehrenthal entrasse nel nostro ordine di idee, a noi non converrebbe fare all'Austria-Ungheria la concessione suddetta perché con essa, oltre al riconoscere la giustezza dell'arbitraria interpretazione da lui data all'articolo VII, noi verremmo ad ammettere in certo modo nella Monarchia il diritto ad un compenso per la nostra occupazione della Tripolitania e Cirenaica.

2 T. segreto 7340 del 24 novembre, non rinvenuto.

3 Non rinvenuto.

4 T. 6992/672 del 15 novembre, non pubblicato.

Sarebbe poi oltremodo pericoloso di metterei su tale via perché se la forza delle circostanze dovesse costringere l'Austria-Ungheria ad occupare il Sangiaccato di Novi-Bazar, la nostra opinione pubblica non ammetterebbe mai che questa occupazione si effettuasse senza che adeguato compenso ci fosse concesso e ove tale condizione non si verificasse essa non potrebbe non condannare Governo che avesse consentito manomettere così gravemente gli interessi dell'Italia.

D'altra parte per ciò che riguarda le nostre operazioni nell'Egeo, mi permetto di richiamare la seria attenzione dell'E.V su quanto ebbi l'onore di farle conoscere con telegramma n. 672. Non potrei quindi, a discarico della mia responsabilità, non sconsigliare nel modo più assoluto tali operazioni che ci metterebbero in aperto disaccordo con l'Austria. Le conseguenze che ne deriverebbero sarebbero certo gravissime, e noi dovremmo, forse contare sulla eventualità di un conflitto con l'Austria. VE. sa che la maggiore e migliore parte della squadra austro-ungarica è mobilizzata e pronta all'azione.

Dai telegrammi dei miei colleghi, che VE. mi comunica, rilevo che, mentre alcune Potenze sembrano nutrire serie apprensioni circa le conseguenze di una nostra eventuale azione nell'Egeo, le altre non credono avrebbe l'effetto che da essa ci ripromettiamo. Se quindi di tale azione si potesse fare puramente e semplicemente a meno credo che sarebbe meglio non fare nessun altro passo in proposito né qui né a Berlino. Ma se noi volessimo proprio pensare a dare ad ogni costo alla Turchia un colpo decisivo in qualche sua parte vitale sarebbe mi sembra da esaminare innanzitutto se non converrebbe forse col rivolgerei alla Germania -di farle notare tutto ciò che ci è di eccessivo nell'interpretazione che Aehrenthal dà all'articolo VII del Trattato di Alleanza e chiederle di dirci se essa condivide l'interpretazione nostra

o quella di Aehrenthal e, nel primo caso, se è disposta ad ammettere che l'AustriaUngheria intervenga militarmente o diplomaticamente contro noi per impedirci di forzare, colle operazioni in discorso, la Turchia a far la pace. Se deve però tenersi conto di quanto il conte d'Aehrenthal mi dichiarò cioè consentire nel suo parere circa le nostre eventuali operazioni nell'Egeo (e le mie informazioni indirette e confidenziali confermerebbero tali dichiarazioni) è da temersi che un nostro passo nel senso indicato non avrebbe alcun risultato pratico, potrebbe essere anche nocivo alla Triplice Alleanza se noi cercassimo di indurre la Germania a prendere posizione tra noi e l'Austria-Ungheria».

Ho risposto ad Avama quanto segue: «Ripeto che noi non abbiamo alcun desiderio di fare le operazioni navali nell'Egeo; ma ciò malgrado può avvenire che tali operazioni diventino [assolutamente indispensabili]5 ed è in vista di quanto6 che vorremmo premunirei diplomaticamente. Il che non toglie che noi desideriamo di fare in modo che tale necessità non abbia a presentarsi»7 .

6 questo nel registro di cui alla nota 5.

7 T. segreto 5409 del 25 novembre.

474 1 Si pubblica la copia del telegramma dell'ambasciata a Berlino, non essendo stato rinvenuto il telegramma di cui alla nota 2.

474 5 Integrazione sulla base del registro dei telegrammi in partenza del Ministero.

475

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 7386/724. Vienna, 25 novembre 1911, ore 21,56 (per. ore 0,35 del 26).

In una lunga conversazione del tutto privata avuta ieri con Aehrenthal circa la situazione presente, egli mi disse tra le altre cose che non credeva opportuno che una pressione qualsiasi fosse dalle Potenze esercitata per ora sulla Turchia allo scopo di indurla fare la pace sulla base da noi desiderata. Il compito delle Potenze sarebbe stato bensì facile se noi avessimo accettato da prima di riconoscere la sovranità nominale del sultano. D'altra parte la proclamazione dell'annessione aveva complicato maggiormente le cose ed inasprito contro noi opinione pubblica e Governo ottomano. A suo avviso noi non avremmo dovuto fare tal passo ma aspettare piuttosto che la Sublime Porta si fosse indotta cederci il possesso della Tripolitania e Cirenaica. Risposi a Aehrenthal che non era oramai più il caso di parlare di sovranità nominale del sultano. A più riprese avevogli esposto i pericoli che da una soluzione così ibrida della questione avrebbero potuto derivare in avvenire non solo per noi ma anche per la pace generale. Noi quindi non avremmo potuto mai ammettere di fare la pace che sulla base della piena e completa nostra sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica. Per ciò che riguardava annessione, io non potevo condividere suo parere. Mi sembrava anzi che questa avesse chiarito meglio la situazione. Infatti annessione unita all'occupazione reale della Tripolitania e Cirenaica aveva creato un fatto compiuto che Turchia non poteva oramai più distruggere e tale fatto essendo avvenuto senza il concorso della sua volontà, non poteva certo essere considerato dall'opinione pubblica musulmana, fatta la sua mentalità, come lesivo del suo amor proprio. Ma Aehrenthal rilevò che, se le Potenze avessero fatto presso Sublime Porta una pressione, questa avrebbe potuto avere per il suo avvenire gravissime conseguenze perché con tale pressione si sarebbe imposto al Governo ottomano una umiliazione che col far perdere al regime attuale ogni prestigio e considerazione, avrebbe ravvivato negli Stati balcanici le velleità di espansione ed avrebbe potuto quindi indurre ad entrare in campo ed alcuna Potenza non sarebbe stata allora più in grado di trattenerli per impedire forse una catastrofe. Avendo chiesto al barone Aehrenthal se e quale risultato avesse dato lo scambio di idee iniziato tra gli ambasciatori in Costantinopoli, egli mi rispose che questi continuavano ad essere in contatto tra di loro, ma alcuna decisione non era stata presa per il momento. Dissi allora ad Aehrenthal che in presenza dell'incertezza che dimostravano le Potenze, che non potevano però non essere interessate al pari di noi a che lo stato di guerra attuale non si protraesse all'infinito, specialmente per le complicazioni che avrebbero potuto derivarne ed a cui egli stesso aveva fatto più volte allusione, io mi domandavo se le Potenze stesse non si aspettassero che l'Italia cercasse di mettersi in relazione diretta con la Turchia per scandagliare il terreno e venire a patti con essa. Era questa una idea personale che mi era suggerita all'istante dalle considerazioni da lui espostemi.

Aehrenthal senza pronunciarsi esplicitamente in proposito osservò che egli sapeva, e gli risultava che non era un segreto per alcuno a Costantinopoli, che noi eravamo in contatto seguito con Assim bey, per cui poteva aver agio, ove l'avessi creduto, di tenerci al corrente delle disposizioni della Sublime Porta ed aggiunse che egli avevami parlato in via accademica e personale e non già come ministro imperiale e reale degli affari esteri.

476

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI

T. 5429. Roma, 25 novembre 1911, ore 22,50.

Suo telegramma 152 1• Condivido, per parte mia, la opinione manifestatale dal suo collega di Francia e mi associo, in pari tempo, alla riserva da lei accennatami.

È nostro interesse che la questione di Creta non sia sollevata presentemente, ma ove risultasse la necessità di misure repressive per parte delle Potenze, a noi conviene che le misure stesse sian applicate ora piuttosto che in altro momento, atteso che l'Italia non sarebbe chiamata nelle attuali congiunture, a prendervi parte.

477

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1214/3 79. Teheran, 25 novembre 1911 (per. il 19 dicembre).

Facendo seguito al mio rapporto n. 1164/360 del 13 corrente1 mi onoro informare l 'E. V. che dopo la smentita ufficiale data da questa delegazione alle false notizie qui diffuse sulla guerra italo-turca l'ambasciata ottomana non ha fatto più pubblicare e distribuire gratuitamente i noti foglietti di menzogne. Essa però ha

494 continuato nella sua opera di sobillazione di alcuni elementi fanatici musulmani spingendoli a dimostrazioni ostili all'Italia. Gli è così che ebbe luogo il meeting del 13 corrente in una delle più importanti moschee della città al quale erano stati convenuti i sudditi turchi residenti a Teheran. V'intervennero però anche molti persiani e armeni. Avendo alcuni oratori allargato e degenerato l'argomento della discussione attaccando non solo gli italiani, ma tutti i cristiani quali nemici dell'Islam che secondo essi minacciato nella sua esistenza doveva essere difeso con ogni mezzo, gli armeni protestarono vivamente e la riunione, in vero numerosa, si sciolse nel più grande disordine senza nulla concludere. L'indomani fu indetto un nuovo comizio da tenersi qualche giorno dopo in una grande piazza. Sia per gli avvertimenti che credetti di dover ripetere al Governo persiano -a mezzo del dragomanno della legazione -sia, e più verosimilmente, a causa della critica situazione politica locale in rapporto ai presenti conflitti con la Russia, il nuovo meeting non ha avuto luogo. Gli è certo però che questo ultimo motivo sembra avere una grande influenza nel trattenere questa popolazione a fare dimostrazioni troppo accentuate contro di noi. In fatto il sentimento di solidarietà con i turchi pare aver guadagnato terreno, ma è sperabile che non finisca per degenerare in una ostilità manifesta che potrebbe in certo modo danneggiare i nostri interessi commerciali proprio nel momento in cui questa rappresentanza più si adopera a dare loro incremento e sviluppo. A prescindere da ciò, ripeto, l'effetto del nostro conflitto con la Turchia e le sue conseguenze ci vanno creando anche qui, nel campo politico, una base lusinghiera di prestigio e di autorità rappresentandoci come una delle primissime Potenze d'Europa. Sono gli atti di decisione e di energia che provocano la più profonda impressione nelle menti mussulmane e dopo il primo senso di reazione connesso alla speranza di resistere e di vincere, succede ineluttabilmente quello spirito di adattamento e di sottomissione istintivo in una razza che sa pazientemente accettare il proprio destino.

In quanto al contegno del Governo dello scià ritengo che questo nel fondo del suo cuore non abbia nell'occorrenza simpatie per noi. In esso si nota pertanto un certo contrasto fra la tema di non mostrarsi abbastanza corretto verso questa r.rappresentanza ed il desiderio di non porsi con qualche atto in contraddizione con la maggiore corrente della pubblica opinione. In fatto nella nota che questo ministro degli affari esteri mi ha diretto il 15 corrente in risposta alla mia del 9 esso si scusa di essere affatto estraneo alla pubblicazione di false notizie sulla guerra, profitta dell'occasione per fare esplicita dichiarazione della sua neutralità e mi suggerisce di inviare ai giornali locali -che certamente le pubblicherebbero -delle notizie esatte e precise sulle ostilità. Sembra poi, che il medesimo abbia inviato una circolare a tutti i giornali ponendoli in guardia dal pubblicare informazioni false od errate sulla guerra italo-turca. Alcuni di essi hanno inserito nelle loro colonne la comunicazione del ministro degli affari esteri facendola seguire da commenti poco benevoli nel senso che la stampa è libera di pubblicare quello che crede e che la neutralità nel Governo non impegna la pubblica opinione, la quale in Persia, hanno scritto senza ambagi, nelle ostilità italo-turche è favorevole ai fratelli ottomani.

Non so se l'errore commesso dal ministro degli affari esteri persiano nello scrivere ai giornali sia voluto od incosciente. È forse più probabile la seconda ipotesi, ma gli è certo che esso con il suo atto non ha mostrato di aver compreso il senso della mia nota che insisteva piuttosto sulla sconvenienza delle pubblicazioni fatte fare clandestinamente da questa ambasciata di Turchia. Avrei potuto far rilevare l'errore o l'equivoco che dir si voglia, ma poiché le pubblicazioni hanno cessato e l'opinione pubblica sembrami abbastanza assorbita dagli avvenimenti interni della Persia in guisa da non avere né la voglia né il tempo di occuparsi di noi, vi ho rinunziato. Meglio è non risvegliare, ancora di più sentimenti ostili, cui le circostanze, per se stesse, non danno campo di espandersi.

476 1 T. 7360/152 del 24 novembre, col quale Bartolucci Godolini riferiva l'opinione del collega francese sui mezzi più adatti per reprimere l'agitazione a Creta: «l) essere Governo cretese impotente arrestare movimento insurrezionale; 2) essere materialmente impossibile impedire elezioni che avrebbero luogo domenica ventura in tutta l'isola; 3) che, dato lo stato degli animi, il solo modo per cercare di arrestare il movimento in parola sarebbe la minaccia di una proclamazione di stato d'assedio da parte delle Potenze Protettrici». Su quest'ultimo punto Bartolucci Godolini aveva espresso delle riserve al suo collega.

477 1 Non pubblicato.

478

IL DIRETTORE GENERALE DEI SERVIZI CIVILI IN TRIPOLITANIA, MOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 232/38. Tripoli di Barberia, 25 novembre 1911 (per. il 30).

È assai commentato in paese l'annunziato arrivo e passaggio (benché con specialissime precauzioni) della Mezzaluna Rossa per raggiungere il campo nemico. Si osserva a tale proposito che sotto la veste d'infermiere possono esservi ufficiali nemici e che, se non è difficile riconoscere un medico, è invece impossibile riconoscere se sotto la veste di un semplice infermiere vi sia un militare anche di alto grado, perché le funzioni di infermiere possono essere imparate facilmente da chiunque1. Si ritiene probabile che nella popolazione araba tale passaggio produca un effetto sconfortante, non solo perché dinota sintomaticamente il prolungarsi della guerra, cioè di una condizione di cose che loro riesce dannosissima, anzi li rovina addirittura, ma perché nella loro grande maggioranza gli arabi potrebbero interpretare tale passaggio come un atto di debolezza da parte nostra e di riconoscimento dei diritti del sultano su questi paesi2 . Essi mal sapranno distinguere il personale medico in uniforme da altro personale militare e si limiteranno a constatare il passaggio di personale militare sotto la Mezzaluna Rossa che per loro sarà semplicemente l'emblema del sultano. Ciò riporto a V.E. solo a titolo di cronaca, aggiungendo che l'onorevole Nava, qui di passaggio, ha in proposito telegrafato a S.E. il presidente del Consiglio. Per conto mio io non posso ignorare che la Turchia ha aderito alla Convenzione di Ginevra per gli ammalati e feriti in guerra3 .

2 Annotazione come sopra: «Giuste ragioni da telefonare a Grimani».

3 Annotazione come sopra: «Non ci importa niente!».

478 1 Annotazione a margine (di San Giuliano?): «Giuste ragioni da telegrafare colle altre a Grimani». Cfr. n. 496.

479

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Parigi, 25 novembre 1911.

Ti trascrivo il brano di una lettera inviatami da Tunisi dal signor Mangano del quale ti ho ufficialmente intrattenuto:

«Io credo che ci vorrà ancora del tempo prima di poterei rendere padroni assoluti della Tripolitania. Gli abitanti dell'Africa del nord sono conosciuti ed apprezzati da tutti come degli uomini difficili a vincersi. Senza dubbio noi arriveremo a dominarli, se potessimo condurre una vera guerra, con i relativi assedi e bombardamenti. Ma gli arabi hanno la qualità di essere imprendibili, si mostrano e si dileguano.

Adesso che le nostre navi da guerra hanno compiuto il loro ufficio sulle coste e che le nostre truppe di sbarco hanno preso ed occupate le città del littorale si può appena dire che la guerra è cominciata.

Gli arabi hanno la forza immensa di essere leggeri, coraggiosi, indifferenti innanzi alla morte e di una sobrietà che non può paragonarsi a quella di nessun'altra truppa europea.

Il deserto, le grandi solitudini, il vento e la polvere sono il loro elemento e combattono in favore loro.

Le tempeste, le quali vengono dal nord e malmenano i nostri legni da guerra, li rinfrescano; e lo scirocco del sud che, tenuto conto della loro posizione, non li colpisce che alle spalle, acceca i nostri soldati.

Prendiamo loro due o tre città, gli indigeni si ritirano nell'interno e trovano sempre presso i loro innumerevoli amici dei deserti e delle oasi, del tabuna (specie di pane), dell'olio, dei datteri, ed un po' d'acqua.

I nostri nemici conducono seco i loro cammelli, e i nostri soldati, bene equipaggiati, e la nostra artiglieria non hanno innanzi loro che un orizzonte senza limiti dove le palle si perdono e le granate si spandono nella sabbia. Gli arabi vogano col vento. Queste mie considerazioni furono di già fatte durante la conquista dell' Algeria, la fertile Algeria, ricca di greggi, di pozzi, di verdure. Ma che cosa devo dire per la Tripolitania e la Cirenaica, paese del miraggio, avente un clima spesso inclemente e deserti senza fine, dove a poco a poco, ma senza tregua può sorgere contro di noi l'Islam intero! Poiché se la Francia ha dovuto combattere contro gli algerini, noi invece potremmo avere contro di noi gli arabi, i turchi, i nomadi, i senussi, i tuareg, e i neri musulmani.

Ed ecco perché dobbiamo essere cauti, ma molto cauti nell'avanzarci nell'intemo della Tripolitania. Occorrono, anzitutto, messi segreti conoscendo a fondo la lingua gli usi ed i costumi di quelle popolazioni, per sapere comprare i caid, i cheichs, ed i differenti capi di quelle tribù; e poco a poco far fare della propaganda in nostro favore per permetterei di avanzare, sempre cautamente e conquistare il paese».

480

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7397/207. Pietroburgo, 26 novembre 1911, ore 17,55 (per. ore 19,35).

È stato qui pubblicato stamane seguente comunicato ufficioso: Governo imperiale ha avuto cura informarsi in tempo utile presso i due belligeranti. Governo italiano ha partecipato che non aveva per ora intenzione chiudere accesso ai Dardanelli e Governo ottomano ha risposto che non intende chiudere gli stretti fino a tanto che Italia non porterà sua azione nei Dardanelli. Governo imperiale si appoggia in questa questione sul paragrafo terzo della Convenzione Londra del 1871 che garantisce in modo chiaro le contestazioni (?) 1 alle navi mercantili di tutti gli altri Stati neutrali libero passaggio negli stretti. Prego V.E. farmi sapere se ella abbia fatto a Dolgouruki la dichiarazione di cui è cenno nel detto comunicato che è evidentemente intesa a tranquillizzare opinione pubblica ed il commercio russo interessato2 . Per parte mia attenendomi agli ordini di V.E. mi sono tenuto sempre molto sulla riserva e non ho mai fatto parola a Neratoff anche come espressione di una mia idea personale delle probabili intenzioni del Governo italiano che del resto ignoravo. La sola allusione che io feci fu quando nel corso della conversazione chiesi a Neratoff che cosa avrebbe pensato la Russia di una nostra eventuale rapida azione navale nei Dardanelli senza blocco e ne ebbi la risposta giunta testé.

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 5446. Roma, 26 novembre 1911, ore 22.

Il primo segretario di questa ambasciata di Russia è venuto oggi a vedermi, insistendo molto sul carattere esclusivamente personale del passo che faceva senza istruzioni del suo Governo, né del suo ambasciatore e soltanto per rettificare e spiegare notizie già pubblicate dalla nostra stampa. Egli mi disse che il Governo russo, preoccupato per le interpretazioni date alle conversazioni tenute con V.E. e per il passo fatto dall'ambasciatore di Turchia che fa prevedere che la Sublime Porta chiuderà i Dardanelli se l'Italia ne fa il blocco, ha creduto dover posare la questione giuridica «Se tali atti dei belligeranti non violerebbero l'art. 3 della Convenzione di

480 1 Il punto interrogativo è del decifratore. 2 Con T. 5474 del 28 novembre, non pubblicato, di San Giuliano rimandava al T. 5446 (cfr.

n. 481).

Londra 1871». Nel caso in cui gli altri Gabinetti giudicassero che tale violazione esisterebbe, il Gabinetto di Pietroburgo stima che bisognerebbe chiamare l'attenzione dei belligeranti sugli obblighi che hanno assunto nel firmare quella Convenzione. Questo passo sarebbe fatto soltanto a Costantinopoli; per un riguardo verso l'Italia, sarebbero invece i ministri degli affari esteri delle Grandi Potenze che dovrebbero parlarne agli ambasciatori d'Italia.

Ho risposto al signor Gulkevitch che noi, pur non prendendo impegno in proposito, non abbiamo mai preso sinora in esame l'eventualità di un blocco dei Dardanelli, che dallo studio fatto fin qui della questione non pare una misura efficace per imporre la pace alla Turchia. Non comprendiamo quindi come la Russia voglia fare ora un passo ufficiale che, in qualunque forma, avrebbe per effetto di incoraggiare la Turchia alla resistenza. Spero perciò che il Governo russo vorrà telegrafare ai suoi ambasciatori di sospendere e ritirare quel passo presso gli altri Governi, e per metterlo in grado di dare queste istruzioni, telegrafo in pari tempo ai nostri ambasciatori a Berlino, Londra, Parigi e Vienna di evitare per qualche giorno, possibilmente, di vedere quei ministri degli affari esteri.

Prego V.E. di esprimersi pure in questo senso col signor Neratoffl.

482

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7450/751. Parigi, 27 novembre 1911, ore 16,40 (per. ore 20).

Telegramma di V.E. n. 54581 . Ho avuto stamane conversazione Izwolsky, al quale ho detto come io trovavo strano che la Russia invece trattare direttamente ed amichevolmente con l'Italia circa l'eventuale blocco dei Dardanelli, avesse preferito chiamare in causa tutte le altre Potenze per far assumere alla sua azione un carattere collettivo che sarebbe riuscito molto gradito alla Turchia, la quale ne avrebbe tratto incoraggiamento a fare la guerra e sarebbe riuscito altrettanto sgradito all'Italia tanto più che la pubblicità data alla cosa aveva tutta l'apparenza di una pressione e quindi non poteva che aggravare maggiormente l'impressione sfavorevole della opinione pubblica italiana. Un appello alle Potenze si sarebbe capito da parte di un piccolo Stato minacciato ingiustamente da altro più forte; non si capisce da parte di una Grande Potenza come la Russia, dati i suoi rapporti amichevoli coll'Italia e dato che Italia non vuole danneggiare gli interessi russi. Izwolsky si è trovato imbarazzato a rispondermi. Ha fatto una calorosa difesa delle intenzioni amichevoli della Russia a nostro riguardo, ma circa il procedimento da essa scelto e la critica severa e vivace

482 1 T. del 26 novembre, col quale si trasmetteva il n. 481.

499 che io ho fatto nulla ha detto; lasciava chiaramente comprendere che egli al posto di Neratoff ne avrebbe seguito un altro. Izwolsky ha soltanto aggiunto che doveva considerare che il [ ... ]2 della Russia era sovrattutto diretto contro la Turchia, la quale aveva ufficialmente annunziato di voler prendere nei Dardanelli delle misure dannose al commercio internazionale; che in ciò che era stato comunicato alla stampa francese e telegrafato all'italiana vi era equivoco perché egli, in conformità delle istruzioni ricevute da Pietroburgo, non ha mai chiesto a De Selves di intrattenermi dell'argomento ma soltanto aver posto un quesito teorico circa l'interpretazione della Convenzione di Londra e quindi De Selves deve rispondere a lui ma non deve dire nulla a me; che egli riconosceva che la Russia poteva benissimo, dopo aver avuto dalle Potenze la risposta al quesito teorico da essa posto, riprendere a trattare essa sola e direttamente con l'Italia la questione senza mescolarne le Potenze stesse e che questa tesi egli avrebbe svolto e sostenuto in un telegramma che inviava oggi stesso a Pietroburgo. Avendo Izwolsky chiesto se io avevo difficoltà che egli [ ... ] Neratoff ciò che io gli aveva detto, gli ho risposto che lo facesse pure premettendo però che io non avevo avuto alcun incarico dal mio Governo d'intrattenermi con lui e che solo gli avevo espresso mie opinioni personali. In seguito alle assicurazioni di Izwolsky che egli non ha mai domandato a De Selves da parte del suo Governo di farmi dichiarazioni di sorta, io vedrò oggi De Selves perché avendogli chiesto insistentemente di vederlo fino dalla settimana passata per intrattenerlo di altri argomenti di cui sono oggetto vari telegrammi di V.E. ed avendo egli fino da sabato sera fissato appuntamento per pomeriggio oggi mi troverei imbarazzato a trovare (?)3 una ragione plausibile che non facesse credere a De Selves che io desidero evitarlo. Dopo che lo avrò veduto telegraferò subito. In ogni caso rifiuterò qualsiasi conversazione ufficiale con lui circa porto Dardanelli.

481 1 Per la risposta cfr. n. 483.

483

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7433/212. Pietroburgo, 27 novembre 1911, ore 18,06 (per. ore 19,05).

Ho intrattenuto oggi Neratoff nel senso telegramma di V.E. 5446 1 . Egli mi ha lasciato comprendere che scopo principale passo fatto da Gulkevitch era quello di provocare dall'E.V. qualche apertura sulle intenzioni Governo italiano circa blocco Dardanelli. Ottenute a questo riguardo da V.E. delle dichiarazioni che egli riteneva tranquillizzanti Neratoff credeva non fosse più caso fare presso Governo italiano

3 Il punto interrogativo è del decifratore.

500 alcun altro passo in quella questione. In base invece a quelle dichiarazioni potrebbero ora le Potenze intensificare la loro azione a Costantinopoli, in vista fare la rinunzia per parte sua ad ogni eventualità chiusura degli Stretti. Ma secondo Neratoff per una tale azione conviene ottenere partecipazione di tutte le Potenze firmatarie Atto Londra. Queste non si sono ancora pronunziate sul quesito giuridico loro rivolto dalla Russia se cioè un blocco dei Dardanelli debba ritenersi come una violazione Convenzione Londra del 1871. Germania e Austria-Ungheria hanno dato in massima la loro adesione al punto di vista russo, ma evitano pronunziarsi sulla questione di un'azione collettiva delle Potenze. Altri Gabinetti non hanno ancora risposto. Neratoff ha osservato che V.E. nella sua risposta a Gulkevitch non ha per conto suo esternato nessuna opinione su questione giuridica né pareva egli stesso, malgrado avviso datogli dai suoi consulenti legali, interamente persuaso dell'esattezza della sua tesi se cioè garanzia data dall'articolo terzo alla libera navigazione delle navi mercantili degli Stretti si applichi pure in caso di guerra. Ritengo per parte mia che premerebbe molto al Governo imperiale profittare dell'occasione per fare solennemente consacrare questa interpretazione estensiva e che questo sia stato principale movente della sua azione.

Per conto mio non vedo che passo collettivo che progetta Russia, quando bene inteso limitato soltanto a Costantinopoli, possa essere lesivo dei nostri interessi di belligeranti perché anche la dichiarazione che Italia non contempla per ora blocco Dardanelli non esclude affatto altra per la Turchia assai più rischiosa azione. Del resto siccome questa azione secondo Neratoff pare subordinata alla partecipazione unanime di tutte le Potenze V.E. qualora lo creda necessario avrà sempre modo di agire efficacemente presso uno od altro Gabinetto perché questa unanimità non si produca2 .

482 2 Gruppo indecifrato.

483 1 Cfr. n. 481.

484

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7453/731. Vienna, 27 novembre 1911, ore 23,25 (per. ore 1,31 del 28).

Aehrenthal mi aveva pregato stamane di passare da lui. In presenza delle istruzioni impartitemi da V.E. con telegramma di V.E. n. 54581 , ho colto l'occasione di una storta al piede presa ieri, per scusarmi di non potermi recare al Balplatz, essendo nella impossibilità di muovermi per alcuni giorni e gli ho chiesto permettermi di venirlo a vedere appena avessi potuto.

Aehrenthal mi ha fatto sapere che sarebbe venuto lui stesso all'ambasciata desiderando vedermi. Di fronte tale risposta sarebbe stato molto sconveniente da

parte mia se avessi rifiutato di riceverlo adducendo altro pretesto qualsiasi. Nella sua visita Aehrenthal dopo di avere ricordato la comunicazione fattagli da questo incaricato d'affari di Turchia circa provvedimenti militari che Governo ottomano intendeva prendere per opporsi ad una eventuale azione nell'Egeo, mi ha detto che in seguito allo scambio di idee a cui una tale comunicazione aveva dato luogo tra i varii Gabinetti, Neratoff aveva proposto di richiamare attenzione dell'Italia e della Turchia sulle disposizioni della Convenzione di Londra del 1871 relativa alla libertà di navigazione per le navi mercantili negli Stretti.

Essendo stato convenuto con Neratoff che per un riguardo all'Italia non si sarebbe fatto un passo in tal senso presso il Governo italiano, ma che i ministri degli affari esteri delle Potenze interessate ne avrebbero parlato agli ambasciatori d'Italia, egli era venuto a farmi conoscere che Governo imperiale e reale aderiva alla proposta del Governo russo. Siccome non sapeva se Neratoff avrebbe deciso in seguito di fare pur parlare della cosa direttamente a V.E., aveva incaricato Mérey di non conferire in proposito con lei che nel caso solo gli risultasse che codesto ambasciatore di Russia ne l'aveva già intrattenuto.

Ho ascoltato le cose dettemi da Aehrenthal senza entrare affatto nel merito di esse e senza aggiungere che ne avrei dato comunicazione a V.E.

483 2 Per la risposta cfr. n. 486. Su questo colloquio si veda anche IB, serie III, vol. III!, n. l 08. 484 1 Cfr. n. 482, nota l.

485

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7473/553. Londra, 28 novembre 1911, ore 14,05 (per. ore 17,15 ).

Dei tre deputati che si sono iersera occupati nostra guerra solo radicale Mason ha usato linguaggio decisamente ostile. Uno dei conservatori ha fatto precedere sue osservazioni da dichiarazioni amicizia per l'Italia. Risposta Grey a Mason è stata corretta a mio avviso essa non dà luogo da parte nostra né a lagnanze né ringraziamenti perché si limita ribadire noto proposito osservare scrupolosamente neutralità e non intervento. Grey ha ripetuto quasi nei termini già a me dettato 1 dichiarazioni circa casi gravi soltanto in cui a difesa interessi britannici Governo dopo matura considerazione potrebbe eventualmente dipartirsi dall'adottato contegno di non intervento. In complesso mi pare che dalla seduta di ieri Turchia non può trarre alcun motivo incoraggiamento protrarre resistenza Camera avendo in grandissima maggioranza dimostrato approvare politica del Governo la quale in pratica si risolve nel non crearci difficoltà. Conviene però tener presente sempre imprescindibile necessità evitare nelle future operazioni qualunque atto di natura ledere interessi britannici ed a costringere Governo mutare contegno. Concernentici (sic)2 episodi discussione

485 1 dettati nel registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra. 2 L'annotazione è del decifratore.

502 non sono commentati dalla stampa odierna. Discorso Grey sulla politica estera del Governo è considerato generalmente come un successo. Rimangono scontenti soltanto estremi radicali dei quali pensiero riprodotto dal Daily News che solo fra tutti i giornali da me letti si è astenuto dal pubblicare consolante notizia brillante nostro successo.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 5484. Roma, 28 novembre 1911, ore 21,15.

Telegramma V.E. n. 2121 . Le spiegazioni datele da Neratoff non mi sembrano molto convincenti. Da parte nostra, è evidente che in questo momento non possiamo essere abbastanza imparziali per dare all'art. 3° della Convenzione di Londra un'interpretazione obiettiva avendo noi interesse a dargli quella che accorda maggior libertà d'azione a chi si trova in guerra colla Turchia. Del resto, ormai a Parigi e a Vienna (mio telegramma n. 5483)2 quei ministri degli affari esteri già hanno parlato in proposito con Tittoni e con Avarna il che non può non essere risaputo a Costantinopoli e, anche per il passo che si vuol fare direttamente colà, è evidente che esso non potrebbe avere altro risultato se non quello di far credere alla Turchia che le Potenze frappongono ostacoli ad una nostra azione nei Dardanelli, e a produrre quindi su essa un senso di sicurezza assai pericoloso. V.E. può, se e come ella crederà, far comprendere al signor Neratoff che la nostra attitudine verso Russia nella questione degli Stretti deve necessariamente corrispondere a quella della Russia verso l'Italia nella attuale questione di Tripoli.

487

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Bucarest, 28 novembre 1911.

Da persona che ha visto pochi giorni or sono Kiderlen-Wachter ho saputo che questi è stato molto impressionato dall'entusiasmo e dalla unanimità con cui il popolo italiano si interessa agli avvenimenti di Tripolitania. Quello che maggior

mente avrebbe impressionato Kiderlen-Wiichter sarebbe il fatto che i nostri giornali sono pieni di modeste lettere di semplici soldati, le quali -tuttavia -sono lette con avidità ed emozione dal pubblico nostro.

È questo entusiasmo patriottico, questo inatteso spirito bellicoso, questo anche più inatteso interessamento alla politica estera, infine questo bisogno di prestigio, che ha grandemente colpito la statista tedesco.

Ho visto oggi il nuovo ministro di Rumania costì, Diamandy, il quale è stato mio collega a Vienna nel 1897. Mi ha detto di aver parlato, pochi giorni fa, col nuovo ministro degli affari esteri ottomano Assim bey, e di averlo trovato -con somma sua meraviglia -tranquillo e disposto a cercare una via d'uscita alla guerra attuale. Anche il signor Diamandy -come me -conosceva Assim bey come un giovane turco molto esaltato: da ciò la sua (e mia) meraviglia. Il signor Diamandy ha, però, aggiunto d'ignorare quanto Assim conti nel Gabinetto di Said pascià, e quanto conti lo stesso Gabinetto in quel caos ch'è Costantinopoli, ove non si sa chi governi, se il Comitato, il gran vizir o Mahmud Scefchet o chi sa chi altro.

In una delle mie ultime lettere ho comunicato a VE. che le informazioni di questo ministro degli affari esteri circa le disposizioni di Assim bey non concordano con quelle del signor Diamandy.

Col signor Diamandy abbiamo poi parlato dei rapporti italo-rumeni, in relazione alla presente campagna della stampa rumena contro noi. Egli deplora questa campagna, ma -premesso che la stampa di questo Paese non è seria e non merita punto credito -osserva che non sono diminuite le simpatie del popolo rumeno per noi e che solamente questo popolo è preoccupato dal contraccolpo che la guerra può avere nei Balcani, ove qui si vuole -sopra ogni cosa -il mantenimento dello statu quo. Egli riconosce la nostra ferma e sincera volontà di concorrere con ogni nostro mezzo a questo mantenimento.

Ho risposto al signor Diamandy che io avevo riferito fedelmente a VE. così quanto i giornali d'ogni partito pubblicavano a nostro riguardo, come le dichiarazioni del signor Maioresco. E non avevo neppur mancato di segnalarle il credito (o più esattamente, il discredito) che meritano i giornali rumeni.

Anche il signor Diamandy crede -con me -che il nostro Paese non sia sufficientemente conosciuto in Rumania e che vi sia molto da fare per colmare questa lacuna ed avviare tra i due Paesi una più attiva corrente di scambi commerciali come intellettuali.

Credo il signor Diamandy animato dal sincero desiderio di lavorare in questo senso e lo credo fornito della capacità ed attività necessarie per adoperasi efficacemente a tale scopo. Di più -il che non nuoce -egli è qui molto apprezzato ed avrà anche maggiore autorità se torneranno al potere i liberali.

Se V.E. -pur in mezzo alle tante sue attuali occupazioni -potrà trovare un momento libero, la prego di richiamare dalle scuole un recente mio rapporto su questa scuola italiana di cui lo stesso ministro della pubblica istruzione rumeno ha meco deplorato la decadenza!

Perché ella sia al corrente di quanto qui si pensa e si dice di noi, debbo riferirle che -in seguito alla nostra avanzata a Tripoli -la stampa, in generale, tiene a nostro riguardo un linguaggio più equanime.

Mi consta -poi -che così gli uomini che sono ora al Governo, come i capi dell'opposizione sembrano preoccuparsi della cattiva impressione prodotta da noi dal linguaggio della stampa rumena. I capi dell'opposizione -sottratti all'influenza che ella sa -deplorano francamente simile linguaggio: in questo senso si è espresso meco -come a suo tempo le ho riferito -il signor Take Ionescu, e così pure mi ha parlato il signor Bratianu, capo del partito liberale, che ho visto pochi giorni fa. Quest'ultimo mi ha raccomandato: «Fate presto!» -e così dicono tutti qui, timorosi -come sono -che la buona stagione ritorni prima che la guerra sia finita.

Anche alcuni ministri, che ho visto in questi giorni e lo stesso amministratore della lista civile (una specie del nostro Mattioli, con una trentina d'anni in più) hanno cercato di togliere ogni importanza al linguaggio della stampa ed hanno a tale scopo osservato ch'essa non ha alcuna autorità e non rispecchia i veri sentimenti rumem.

Frattanto qui si aumentano a tutt'uomo gli armamenti: le ho già fatto cenno dell'aumento del bilancio ordinario e straordinario della guerra. Inoltre oggi stesso è stato presentato al Parlamento un progetto di legge pel rifornimento dei depositi militari d'ogni specie (armi, munizioni eccetera eccetera).

Ad un dato momento la Rumania vorrà e si prepara a poter contare: perciò io non mi stancherò di ripetere che bisogna metterei in grado di farci valere in questo Paese.

486 1 Cfr. n. 483. 2 T. pari data, col quale si trasmettevano i nn. 482, 484 e il T. 7443/754 del 27 novembre, non pubblicato.

488

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 7491/192. Il Cairo, 29 novembre 1911, ore 0,40 (per. ore 2).

Mio telegramma n. 1791• Fin da quando mi pervenne il telegramma n. 43922 , mi sono adoperato per trovare emissario da mandare in Cirenaica e Tripolitania per influire su quelle popolazioni arabe. Ho intensificato mia azione dopo aver ricevuto il telegramma di V.E. in data 22 corrente senza numero 3 concretando un progetto dal quale credo possa attenersi effetto desiderato dal R. Governo.

2 Cfr. n. 369.

3 Non rinvenuto.

A mezzo di certo Mustafà bey Abasa, fratello di Ismail pascià Abasa, mi sono messo in rapporto con un proprietario beduino di Cirenaica che risiede abitualmente al Faium certo Abd-el Aziz Musbach della tribù El-ebedat dimorante sul Gebel achdar nelle vicinanze di Derna.

Questo è ora pronto partire con oltre una ventina di suoi seguaci e da Siua penetrerà in Cirenaica recandosi fino a Tripoli. Suo scopo è di persuadere gli arabi ad abbandonare le armi e fidarsi nelle nostre promesse nel che si ripromette notevole successo. Egli chiede soltanto l'importo delle spese necessarie ad una spedizione composta di venticinque cammelli che porteranno i viveri per il lungo viaggio e qualche migliaio di opuscoli redatti veramente bene da distribuirsi agli arabi. Contemporaneamente egli troverà modo di mandare alle nostre autorità notizie in Cirenaica e Tripolitania per le quali lo munirei di speciali lettere di riconoscimento in cifra. Naturalmente ora capo beduino si attende in compenso da R. Governo il rispetto agli usi e costumi locali secondo le promesse da noi fatte in ispecie per quanto riguarda le proprietà ed in particolare quelle di lui e della sua tribù.

Per l'opuscolo che è già in corso di stampa ed altri accessori indispensabili ho speso finora poco più di franchi [ ...]4 e per la spedizione in sé si spenderà cinquecento lire egiziane.

Il cavalier Nacuz ed il colonnello Elia, che sono naturalmente al corrente del progetto, lo approvano e ritengono che data la situazione locale se non è possibile ottenere cosa che offra sicurezza assoluta, pure in questo caso senza esporsi minimamente e ad ogni modo con spesa non ingente si hanno serie probabilità di successo. Il cavalier Nacuz si recherà al Faium per accertarsi della partenza che avverrebbe nei primi giorni di dicembre. Mi è pertanto necessario qualora V.E. approvi, ricevere d'urgenza autorizzazione per quanto riguarda detta partenza e per la tratta su codesto Ministero della somma occorrente. Mi occorre conoscere in pari tempo cifrario usato delle truppe in Tripolitania5 .

488 1 T. riservatissimo 7330/179 del 23 novembre, non pubblicato.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO

T. UFF. COLONIALE S.N. Roma, 29 novembre 1911, ore 2.

La battaglia di Henni del 26 che segna una brillante vittoria nostra ha condotto la nostra difesa alla nuova linea che si voleva occupare. Perdite nostre circa centoventi uomini fuori combattimento dei quali sedici morti. Da Homs nessuna novità.

5 Con T. 5519, pari data, non pubblicato, di San Giuliano diede l'autorizzazione richiesta.

488 4 Gruppo indecifrato.

490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO, TOKIO, VIENNA, E WASHINGTON E ALL'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO

T. 5504. Roma, 29 novembre 1911, ore 14,30.

Ella sa che dopo avere, malgrado il tradimento alle spalle, respinto vittoriosamente i turchi e arabi il 23 e 26 ottobre, le nostre truppe per il loro numero allora insufficiente e per l 'inquinamento delle acque e del suolo, sgombrarono Henni. Il 26 novembre Henni fu come è noto riconquistata con brillante vittoria. Ecco ora quanto le nostre autorità militari hanno constatato nella posizione riconquistata:

«Vicino moschea Hani dove era posto medicazione 27° battaglione bersaglieri e adiacenza si rinvennero ventotto cadaveri nostri soldati orribilmente mutilati crocifissi sgozzati impalati squarciati con membra disarticolate fra essi cadavere tenente medico Demurtas; nel cimitero arabo vicino dove era riparata 4a compagnia bersaglieri trovaronsi sette cadaveri bersaglieri sepolti vivi con testa fuori suolo, cadavere bersagliere Giuseppe Gilberto riconosciuto sua guaina fucile mostrasi massacrato numerosi colpi fucile pugnalate, ha occhi strappati e cuciti tempie palpebre cucite vedonsi contrazioni spasmodiche, un cadavere evirato, altro con fuori braccio cui tagliata mano, bersagliere Rocco squarciato, rinvenuto berretto capitano Bruchi riconosciuto dal caporale Pasquali salvatosi per caso stando più quattro ore dentro fossetto testimonia che fra orde sevizianti erano e soldati turchi e donne molti cadaveri insepolti in posizioni oscene presentano sevizie atti sodomia. Genio militare fece fotografia. Apprendo poi da altra fonte stanotte scopertosi nel cimitero arabo interno città cadavere sepolto soldato artiglieria crivellato pugnalate uccisori in parecchi fra cui assisteva uno zaptiè ora arrestato. Altra fonte dice che uccisore fu zaptiè con assistenza passiva altri zaptiè che tacquero delitto».

Pregola comunicare tutte queste notizie a codesto Governo e trovar modo che abbiano la massima pubblicità ma senza dire ai giornali il nome delle vittime di tali atrocità desiderandosi che le rispettive famiglie possibilmente le ignorino.

491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 5509. Roma, 29 novembre 1911, ore 16.

Ci disponiamo ad intensificare sempre più le nostre operazioni militari in Tripolitania e Cirenaica. Per questo scopo è necessario reprimere più energicamente l'introduzione di armi, munizioni, viveri, effetti militari ed ufficiali turchi che vi si fa continuamente per mezzo di navi turche e neutrali, che, sotto bandiera sovente falsa, partono da Costantipoli, Smime ed altri porti de li 'Egeo e d eli' Asia Minore dirette alcune in Egitto ed altre direttamente in Cirenaica.

Perciò è necessario disporre una crociera a sud della linea congiungente gli estremi meridionali delle isole di Creta, di Karpathos e Rodi e a sud-est di tale linea lungo la costa dell'Asia Minore.

Prego VE. informare Aehrenthal affinché egli non presti fede alle false notizie di operazioni militari nostre, che la Turchia cercherà probabilmente di diffondere. Le istruzioni date alle rr. navi sono categoriche e le sole notizie veridiche saranno quelle che volta per volta io telegraferò senza indugio a VE.

492

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 75251760. Parigi, 29 novembre 1911, ore 18,25 (per. ore 20,50).

Stamane Schoen e Szecsen sono venuti a visitarmi. Parlando accademicamente della Tripolitania si sono felicitati meco per il brillante risultato della nostra azione offensiva del giorno 26. Però hanno soggiunto che solo l'attacco e distruzione del campo turco di Ain Zara potrà esser considerata come azione decisiva che giustifichi da parte dell'Italia un'azione altrove. Avendo io detto che non vedevo, dopo un successo definitivo e decisivo in Tripolitania, che una sola azione seria altrove, e cioè nei Dardanelli, ambedue mi hanno replicato, beninteso come loro opinione strettamente personale, che se le Potenze potevano obbiettare ad un blocco che avrebbe leso gravemente i loro interessi commerciali, non sembrava loro che potessero avere serie obbiezioni ad una nostra azione rapidissima tendente a distruggere la flotta turca.

493

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7533/... Parigi, 29 novembre 1911, ore 21,50 (per. ore 2 del 30).

Agenzia Havas pubblica il seguente telegramma da Costantinopoli in data 28:

«Tout le vilayet de Tripoli étant soumis effectivement à l'administration de la Turquie à l'exception de quelques points de la còte occupés par les italiens, la Porte a résolu de transferer le siège de ce villayet à Sian où dans une autre localité jusqu'à ce que les italiens aient été obligés de quitter la ville de Tripoli et d'inviter en mème temps les Puissances à déplacer provisoirement leurs consulats. Cette décision sera executée très prochainement».

Nel ricevimento diplomatico di oggi De Selves mi ha detto che egli non credeva che l'ambasciatore di Turchia gli avrebbe presentato una simile domanda alla quale egli avrebbe risposto con un rifiuto.

494

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 75531767. Parigi, 30 novembre 1911, ore 14,10 (per. ore 17,30).

Appena giungerà costì Journal des Débats di iersera, richiamo la sua attenzione su nota di protesta della Sublime Porta contro le dubitate atrocità italiane. Le ho telegrafato perché troppo lunga e perché all'infuori del Journal des Débats nessun altro giornale la ha pubblicata né menzionata. Da questo Ministero affari esteri ho appreso che detta nota fu consegnata il 17 corrente a Costantinopoli agli ambasciatori delle Potenze e che l'ambasciatore di Francia non ha dato né darà adesso risposta alcuna. La nota è un documento miserabile d'ipocrisia e falsità. Nel caso VE. la giudicasse meritevole di una risposta, io sarei d'avviso di non darla sotto forma di nota alle Potenze, poiché esse non risponderebbero a noi come non hanno risposto alla Turchia e perché non mi sembra che a noi convenga che appaia che noi abbiamo bisogno di giustificazione presso le Potenze stesse o che accettiamo di sottoporci al loro giudizio.

495

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7540/218. Pietroburgo, 30 novembre 1911, ore 16,40 (per. ore 18).

Ho potuto vedere Neratoff soltanto stamane. Ho cominciato col dirgli che ultimi telegrammi ricevuti confermano la penosa impressione costì prodotta dall'atto della Russia, impressione tanto più sensibile dopo attitudine così amichevole e riguardosa seguita verso noi dal Governo imperiale. Neratoff mi rispose che non sapeva rendersi ragione dell'accoglienza fatta al suo atto che ai suoi occhi nulla aveva di poco riguardoso ed amichevole per l'Italia. Egli prega V.E. di riflettere che Russia si trovava di fronte ad una comunicazione ufficiale del Governo ottomano che minacciava chiudere Stretti. Di fronte alle minacce di un colpo così letale portato ai suoi interessi commerciali e che costituirebbe d'altra parte una infrazione alla Convenzione di Londra del 1871, era obbligato Governo imperiale a premunirsi e per farlo efficacemente dovere neutralità armata richiede concorso di tutte le Potenze firmatarie dell'atto stesso.

Dissi pure a Neratoff che nel passo della Russia ciò che sembrava più preoccupare V.E. era impressione di invulnerabilità che da esso ne avrebbe ritratto Turchia e credetti perciò come mia opinione personale accennargli quanto sarebbe opportuno se le dichiarazioni che facessero le Potenze alla Turchia fossero concepite in modo da lasciar sussistere in essa timore di altra eventuale azione navale portata nei suoi punti più vulnerabili. Accennai pure incidentalmente alla formula già riprodotta nel telegramma 214 1• Neratoffmi rispose subito che accettava volentieri questo mio suggerimento di cercare cioè di far includere nelle dichiarazioni delle Potenze alla Turchia un'allusione ad altra possibile azione navale italiana. Aggiunse che era stato fin da principio punto di vista del Governo russo che era pure efficacemente patrocinato dall'Inghilterra doversi i passi delle Potenze basare unicamente sull'articolo preliminare della Convenzione di Londra del 1871 e chiedere quindi esclusivamente la non effettuazione di un blocco atto a chiudere passaggio degli Stretti alla navigazione mercantile internazionale. Gabinetto Vienna aveva invece insistito a che azione delle Potenze tendesse a prevenire qualsiasi azione navale negli stretti, ma a ciò Russia non aveva acconsentito. In ultimo Neratoff mi ha chiesto se V.E. avrebbe permesso che nelle dichiarazioni da farsi dalle Potenze a Costantinopoli si facesse menzione chiara della risposta da lei fatta a Gulkevitch che cioè Governo italiano per ora non si proponeva blocco Dardanelli. Io gli ho risposto soltanto essere senza istruzioni in proposito.

496

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. 5557. Roma, 30 novembre 1911, ore 23,45.

Suo telegramma n. 1921 . Alle questioni poste le da lord Kitchener si dovrebbe rispondere: l) che non è ammissibile, visto le precauzioni necessarie, che la spedizione della Mezzaluna rossa egiziana si divida fra Tripoli e Bengasi; 2) che le nostre

510 autorità non sono in grado di fornirle i cammelli, né di assicurare le sue comunicazioni coi turchi a tale scopo; 3) che in ogni caso la missione dovrebbe comunicare coi turchi al di fuori delle nostre linee militari.

Ma a tali circostanze che renderebbero materialmente assai difficile adempimento compito missione, si aggiungono altre ragioni d'ordine più elevato, che impongono assolutamente al R. Governo di non autorizzare il passaggio della missione. Ho già accennato (mio telegramma n. 5510)2 alle atrocità commesse dai turchi-arabi sui nostri morti e feriti, e ora scoperti specialmente ad Henni, e all'impressione che avrebbero le nostre truppe giustamente esasperate, alla vista della Mezzaluna rossa. Ora, giunge conferma che, anche nella giornata del 26 novembre, come in precedenti, projettili della truppa regolare turca furono tirati sui nostri portaferiti intenti al trasporto. Questi fatti, come altri già segnalati, come l'impiego constatato di projettili artificialmente deformati, provano che i turchi contravvenendo a tutte le leggi dell'umanità, si sono posti da se stessi fuori dalla Convenzione di Ginevra, né hanno più diritto di farvi appello.

Si aggiunge che il passaggio della Mezzaluna rossa egiziana, che non si potrebbe facilmente distinguere da quella turca, produrrebbe sugli arabi un effetto sconfortante, non solo perché dinoterebbe agli occhi loro il prolungarsi della guerra, cioè di uno stato di cose che li rovina; ma anche perché sarebbe interpretato come un atto di debolezza da parte nostra, come un riconoscimento dei diritti del sultano sulla Tripolitania e come un nostro tentativo di ottenere la clemenza dei vincitori di domani.

Quanto alle garanzie, cui ella accenna nel precitato telegramma, circa la composizione della missione egiziana, osservo che, se non è difficile accertare la reale qualità di un medico, è invece impossibile riconoscere se, sotto le vesti di un semplice infermiere non si celi un ufficiale combattente, anche di alto grado, che potrebbe agevolmente aver imparato le nozioni elementari necessarie a quelle funzioni.

Osservo infine, per quel che concerne la Mezzaluna rossa egiziana, che da molteplici indizi pervenutici, e che non furono finora efficacemente smentiti, risulterebbe che appunto da essa e dai suoi capi è stato in parte organizzato l'invio di contrabbando di guerra, eseguito e tentato dall'Egitto in Cirenaica.

VS. vedrà comunicare tutte queste cose ufficiosamente a lord Kitchener, prima di fame oggetto di comunicazione formale al Governo egiziano, e riferirmi sollecitamente la sua risposta.

In ogni caso, la decisione del R. Governo è irrevocabile, ed è già stata telegrafata al generale Caneva3 .

3 Per la risposta cfr. n. 509.

495 1 T. 7515/214 del 29 novembre, non pubblicato.

496 1 T. 7521/192 del 29 novembre, non pubblicato (192 è evidentemente un errore di decifrazione, perché con lo stesso numero venne registrato anche il T. 7491, pari data).

496 2 T. del 29 novembre, non pubblicato.

497

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. 5569. Roma, l° dicembre 1911, ore 1,20.

Suo telegramma 186 1•

Ministero dell'interno ha telegrafato direttamente ai suoi agenti costi ammonendoli severamente di usare la massima prudenza e riservatezza.

Confermo necessità che codesta agenzia diplomatica rimanga assolutamente estranea missione Insabato.

Qualora khedivè chiedesse schiarimenti circa azione di lui la S.V. potrà mostrare di ignorarne l'esistenza, e se lo crede opportuno anche sconfessarlo.

498

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 5578. Roma, 1° dicembre 1911, ore 18,30.

Per norma eventuale di linguaggio le ripeto che il bombardamento di Akaba Moka Sceik-Said e forse altre località non sarebbe probabilmente necessario se la neutralità dell'Egitto fosse meglio osservata, ma visto che non lo è che molto imperfettamente, siamo obbligati a colpire i centri in territorio ottomano dove è organizzato e donde parte il rifornimento di uomini e materiali per nostri nemici in Cirenaica.

499

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE CONFIDENZIALE. Vienna, l° dicembre 1911 1.

Ho l'onore di segnar ricevimento all'E.V. e di ringraziarla della sua lettera particolare del 14 novembre u. se.2 .

2 Cfr. n. 442.

Quanto ali' inserzione dell'accordo segreto del 1909 nel Trattato del!' Alleanza, io sono sempre d'avviso che sia pericoloso il parlarne in questo momento, perché essa porterebbe ad un rimaneggiamento, sia pure soltanto formale, dell'art. 7, ciò che potrebbe dar adito a discussioni assai delicate. Basterebbe, a mio avviso, convenire, mediante una dichiarazione o un protocollo speciale, che col trattato e per la durata di esso si intende rinnovato l'accordo del 19093 .

Quanto alla circoscrizione del!' Albania, di essa il conte Goluchowski parlò a

S.E. -Tittoni nel convegno di Venezia nel 1905, a proposito dell'applicazione dell'art. 3 del programma di Miirzsteg. A tale argomento, intorno al quale non intervenne un vero e formale accordo fra i due Governi, si riferiscono il mio telegramma n. -56 del l O maggio 1905 e la lettera particolare da me diretta il 12 luglio 1906 all'onorevole Tittoni. Di esso è anche menzione nel verbale del convegno avvenuto a Desio il 15 luglio 1907 fra l'onorevole Tittoni ed il barone di Aehrenthal4 .

497 1 Con T. riservatissimo 7476/186 del 28 novembre Grimani riferiva che l'aiutante di campo del kedivè aveva appreso che i parenti deli'Idris erano «stati assicurati da certo Mohamed Alì che l'Italia avrebbe mandato agli arabi di Idris cinquantamila fucili e parecchi cannoni. Sua Altezza si mostrò pure informato che insieme a Mohamed Alì lavorava in queste trattative anche un dottore di cui disse di non ricordare il nome». Grimani temeva che il kedivè «venendo a conoscere lavorio delle nominate persone parallelo al suo abbia ad essere profondamente urtato».

499 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

500

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. S.N. 1 . Roma, l° dicembre 1911.

Come ebbi ad informarne telegraficamente V.E. da Sofia, domenica scorsa mi recai a Bucarest dove avevo appuntamento col signor Diamandi nuovo ministro di Rumania a Roma, per udire da lui i particolari del colloquio avuto da esso a Costantinopoli con Assim bey ministro ottomano per gli affari esteri.

Il signor Diamandi mi disse adunque che aveva trovato Assim bey perfettamente calmo, alieno da ogni escandescenza ed irritazione contro l'Italia e sinceramente ed apertamente desideroso di pace. Ma per giungere alla pace intravedeva grandi difficoltà. La guerra concerneva il destino di una popolazione araba e non turca. Questa già in altri tempi aveva mostrato desiderio e si era anche argomentato di trasportare fra di essa la sede del Califfato; ed Assim bey esprimeva il timore che se gli arabi della Tripolitania e della Cirenaica si fossero veduto mancare, in una guerra che non hanno alcun desiderio di terminare, l'appoggio del Governo di Costantinopoli, avrebbero rinnovato le anzidette aspirazioni e tentativi.

Assim bey, mi spiegò il Diamandi, vive in un ambiente di lusinghe, di corteggiamenti e di adulazioni da parte dei diplomatici esteri colà residenti. Tutti a cominciare da quelli delle Potenze alleate coll'Italia ed a finire da quelli delle Potenze che più si disinteressano dalle questioni della politica generale come la Svezia e la

4 Per il seguito cfr. n. 525.

Danimarca, fanno a gara nell'inculcare al ministro ottomano degli affari esteri, che l'Italia non potrà mai compiere integralmente il suo programma di stabilire definitivamente ed in modo assoluto la propria sovranità su quelle due provincie ottomane, di cui a grande stento e con enormi sacrificii non è pervenuta ad occupare che una strettissima zona; che l'opinione pubblica italiana è stanca della guerra, il tesoro esaurito, gli affari paralizzati, che la Turchia non deve ceder nulla e che lo svolgimento futuro degli avvenimenti non potrà che far giustizia del tentativo dell'Italia che non si astengono dal qualificare nel modo più ingiuroso. Quegli stessi diplomatici usano di prodigare le lodi più ampie e pompose alla condotta secondo loro perfettamente corretta, ed in tutto degna di una elevata civiltà, tenuta dalla Turchia fin dall'inizio della guerra. Nessuna rappresaglia, dicono essi, al di fuori e contro gli usi della guerra: gli italiani presso che ovunque continuano a vivere indisturbati nell'Impero ottomano.

Secondo il Diamandi, questa unanime attidudine del corpo diplomatico di Costantinopoli dipende dalla persuasione che vi appare diffusa, che l'Italia abbia aspirato prima della guerra ad un monopolio assoluto delle industrie e dei commerci nella Tripolitania e nella Cirenaica, che simile aspirazione sia stato il movente della guerra e che anche se l 'Italia riuscirà a conseguire il proprio intento di una conquista assoluta e definitiva, ispirerà la propria politica a simili principii di porta chiusa.

Il Diamandi ha trovato tali idee e pregiudizii talmente diffusi a Costantinopoli da giungere a suggerire che il Governo italiano faccia qualche dichiarazione per dissiparle, non parendo che a tale intento siano bastate le dichiarazioni contenute nella Nota in cui l'Italia comunicò alle Potenze l'apertura dello stato di guerra. Dicono anche i diplomatici di Costantinopoli che tutti i reclami che l'Italia aveva sporti contro il Governo ottomano, vennero a suo tempo soddisfatti.

Nonostante questa atmosfera artificiale in cui vive, e nonostante le difficoltà di ordine politico accennate al principio del presente rapporto, Assim bey si è mostrato talmente desideroso della pace da giungere a formularne a Diamandi alcune delle condizioni. Esse sarebbero:

a) Cessione all'Italia della Tripolitania fino ad una linea che passerebbe per Modgià (?)2 .

b) Il Fezan resterebbe alla Turchia; ma il Diamandi ha l'impressione personale che, se in eventuali negoziati l'Italia insistesse, essa potrebbe ottenere tutto l 'hinterland tripolino.

c) Nessuna concessione potrebbe esser fatta dalla Turchia all'Italia circa la Cirenaica. d) Nella Tripolitania ceduta all'Italia sarebbe assicurata alla Turchia la libertà di commercio. e) Fra Turchia e Italia si dovrebbe negoziare una convenzione commerciale.

f) Si fisserebbe un termine per l'abolizione delle capitolazioni a favore dei sudditi italiani in Turchia, cui l'Italia s'impegnerebbe rinunziando ad ogni riserva di nazione più favorita.

h) L'Italia rilascierebbe alla Turchia per un termine di tempo e per una somma da fissarsi, una quota parte dei proventi doganali della Tripolitania.

i) Sarebbe riservato al sultano il diritto di nominare un gran mufti.

l) La bandiera del sultano resterebbe esposta in località da determinarsi, nella Tripolitania.

Fin qui Diamandi; e prima di chiudere il presente rapporto, mi permetto di esprimere l'opinione che quantunque le condizioni formulate da Assim bey differiscano per tal guisa dalle idee del R. Governo, da escludere che possano servire di base a negoziati di pace, pure non mancano del tutto di valore e meritano di esser registrate poiché, ad ogni modo, dimostrano in lui il desiderio della pace; e che l'idea della cessione della sovranità, sebbene lentamente ed imperfettamente, pure si va facendo strada nel suo cervello. L'essenza poi delle condizioni di pace, così imperfette ed inadeguate è, secondo me, testimonianza preziosa di uno stato d'animo che riposa sul falso. E non è certo escluso che il R. Governo abbia il potere, per mezzo dei propri agenti diplomatici, di ricondurre il Governo ottomano ed eventualmente anche altri governi al senso della realtà.

499 3 Annotazione a margine: «Mi pare che abbia ragione.»

500 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica copia conservata tra le carte di Gabinetto.

500 2 Il punto interrogativo è del copista.

501

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 4352/1236. Costantinopoli, 2 dicembre 1911 (per. il 6).

Mi riferisco al mw rapporto del 3 novembre scorso n. 1193, dall'oggetto a margine segnato 1 .

Nel mese testé decorso, la situazione ministeriale ed interna, non hanno subìto notevoli cambiamenti, per quanto il Gabinetto di Said pascià sia indebolito e la situazione del paese alquanto peggiorata.

Said pascià vede la sua posizione scossa dalla opposizione, specialmente del Senato.

Il Comitato Unione e progresso è senza dubbio indebolito, per le varie ragioni che riassumerò qui appresso; però si pretende da chi conosce bene il paese che le sue azioni sarebbero ancora più al ribasso, nel momento attuale, senza la guerra italaturca di cui ha saputo trarre vantaggio.

Ho avuto l'onore di riferire a V.E. per quali ragioni il Comitato abbia adottato un attitudine intransigente di fronte all'Italia fin dal principio della guerra e come abbia saputo -dopo avere influenzato le masse -imporre la sua linea di condotta a Said pascià. La guerra ha giovato al Comitato nel senso che egli si fa vanto di avere organizzato la resistenza in Tripolitania e Cirenaica, facendo abbandonare al Governo quella resistenza puramente passiva alla quale si era limitato durante le prime settimane. Nechat bey, Fethi bey, Enver bey appartengono al Comitato ed i successi che si attribuiscono loro in Africa sono in definitiva successi del Comitato, che si vanta di aver raccolto denari nel paese e fuori, di aver saputo far pervenire alle truppe turco-arabe aiuti morali e materiali e di aver reso popolare in Europa la causa turca.

Malgrado ciò, il Comitato è indebolito. Hanno contribuito a scuoterne la posizione le continue e scandalose rivelazioni del processo di Zeki bey e le dimissioni dal partito Unione e progresso di molti ufficiali, specialmente dalle provincie. Queste dimissioni impressionano specialmente il Comitato che ha dovuto e deve tuttora gran parte della sua influenza e della sua forza di organizzazione all'appoggio dell'esercito. Esse sono provocate vuolsi dal malcontento generale, vuolsi da recenti incidenti parlamentari dai quali Mahmoud Chewket pascià è uscito alquanto scosso. Si dice che il ministro della guerra sia tollerato nel Gabinetto per il suo grande ascendente sugli ufficiali, ma gli si rimprovera di mirare alla dittatura, ed il dimettersi degli ufficiali dal partito sarebbe dovuto al fatto che alcuni di essi vogliono riservarsi la loro libertà d'azione, altri invece trovano che l'autorità del capo dell'esercito non è sufficentemente rispettata nel Gabinetto di Said pascià.

Anche la costituzione del nuovo partito dell'intesa liberale potrà, nell'avvenire, diminuire l'influenza del Comitato, quantunque -secondo il mio modo di vedere -siasi esagerata l'importanza di questo nuovo partito dai giornali europei.

Presentemente l'intesa liberale riunisce circa ottanta deputati, tutti della minoranza, sicché per l'equilibrio del Parlamento, poco importa che questi deputati votino contro il Gabinetto perché appartenenti ad un solo partito o perchè divisi nei vari gruppi dell'opposizione. Il nuovo partito si è riunito attorno ad alcuni ambiziosi ed a parecchi malcontenti della distribuzione di favori fatta dal Comitato ad esclusivo vantaggio dei suoi aderenti. Il gruppo dei deputati cristiani (greci ed armeni) non si è ancora pronunciato pel nuovo partito, malgrado questo abbia iscritto nel suo programma l 'unione e l'uguaglianza delle razze.

L'intesa liberale ha per ora uno scopo esclusivamente elettorale in vista delle future elezioni che dovrebbero aver luogo in primavera; la sua organizzazione interna sarà copiata su quella del partito Unione e progresso; avrà i suoi clubs e le sue sezioni, le sue riunioni segrete e si può prevedere c~e avrà gli stessi difetti. Il nuovo partito non riunisce per ora che degli elementi intransigenti; sicché, se dovesse subito entrare in azione, la sua linea di condotta, in relazione alla guerra italo-turca, non sarebbe diversa da quella del Comitato, cioè ugualmente intransigente, se non di più, per poter acquistare un ascendente sulle masse.

Per debito di cronaca riferisco anche l'opinione di alcuni membri più in vista del Comitato e che si attribuisce, per esempio, a Talaat bey. Per essi la quistione di Tripoli, che prima era una questione di politica interna, è ora una questione araba. La Tripolitania non sarà più turca -direbbesi -perché, se

anche non dovesse essere in definitiva italiana, essa sarà araba. Secondo essi, per gli interessi supremi e l'avvenire dell'Impero, avrebbe minori conseguenze la perdita di un'altra regione, per esempio l'Anatolia, di quella di una provincia araba che si teme sarebbe seguita da quella dello Jemen e dalla sollevazione delle altre popolazioni arabe dell'Impero. Quale parte vi sia di vero e quale di esagerato in questa opinione non potrei dire, come pure se essa non risponda che ad una delle solite manovre del Comitato.

Non potrei concludere altrimenti questo mio rapporto che riferendomi a quanto ho avuto l'onore di scrivere a V.E. col mio rapporto precitato che cioè è impossibile in questo paese tirare delle conclusioni, anche solo pel domani, dalle condizioni dell'oggi. Solo posso aggiungere che-secondo il mio modo di vedere-in questo momento, non vanno cercate nella situazione interna ed in quella ministeriale della Turchia le ragioni che possono determinarla ad un'attitudine meno intransigente, per quanto questa risponda nella realtà ai suoi veri interessi e per quanto forse di ciò siano convinti gli uomini che la governano.

501 1 R. 4279/1193, non pubblicato («Guerra italo-turca. Situazione ministeriale ed interna»).

502

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 7663/762. Vienna, 3 dicembre 1911, ore I8, 55 (per. ore 21,35).

A quanto mi è stato riferito in via strettamente personale da persona di mia fiducia, a cui Aehrenthal l'ha comunicato confidenzialmente, questi fu ricevuto tre giorni prima della pubblicazione delle dimissioni del Conrad dall'arciduca ereditario a cui fece una esposizione della situazione politica generale in Europa, dei rapporti fra Austria-Ungheria e Germania e di quelli specialmente fra Austria-Ungheria e l'Italia. Aehrenthal avrebbe fatto risaltare in tale occasione gli scopi eminentemente pacifici della sua politica intesa al mantenimento dello statu quo nella penisola balcanica ed al consolidamento dei legami che uniscono la Monarchia alle Potenze della Triplice Alleanza, dimostrando l'interesse che essa aveva a intrattenere i più intimi rapporti con l'Italia. Aehrenthal però non avrebbe informato l'arciduca ereditario della proposta fatta dal Governo austro-ungarico e germanico relativa al rinnovamento, alle stesse condizioni, della alleanza e la nostra accettazione in massima a quella proposta. L'arciduca ereditario avrebbe accolto con favore esposizione di Aehrenthal dichiarando che per ciò che lo riguardava non poteva non dare la sua approvazione alla politica da lui seguita in generale ed in particolare verso l'Italia. La persona di fiducia suddetta mi ha inoltre riferito che, quantunque Aehrenthal non glielo abbia detto, non dubitava che egli avesse messo l'imperatore nell'alternativa di accettare le sue dimissioni o quelle del generale Conrad.

È da supporre che passo di Aehrenthal presso l'arciduca sia stato fatto dopo previa autorizzazione dell'imperatore e forse anche dietro ordine che, come la presente circostanza l'ha dimostrato di nuovo, tiene molto a mantenerlo alla direzione della politica estera della Monarchia.

Tale passo ha avuto evidentemente per iscopo di predisporre arciduca alle dimissioni del Conrad e di giustificare in certo modo agli occhi di Sua Altezza Imperiale e Reale dimissioni stesse col fargli constatare mediante l'esposizione della politica pacifica e di alleanze seguite da Aehrenthal il manifesto contrasto dannoso agli interessi della Monarchia che esisteva colla politica personale e piuttosto aggressiva adottata dal capo di Stato Maggiore.

E il passo suddetto avrebbe prodotto, a giudizio della persona di fiducia, un riavvicinamento tra Sua Altezza Imperiale e Reale ed il ministro degli affari esteri, ma data la indole volubile ed incerta dell'arciduca, io credo che non sia da fare che un assegnamento molto relativo sopra questo momentaneo e preteso riavvicinamento giacché esso potrebbe essere seguito forse da un giorno all'altro da un nuovo raffreddamento nei suoi rapporti con Aehrenthal se le influenze che non si mancheranno certo di esercitare sull'animo di Sua Altezza Imperiale e Reale dai partiti avversari ad Aehrenthal, inaspriti vie più dalla sua vittoria e che hanno già iniziato un'aspra campagna giornalistica contro di lui, riuscissero a prendere il sopravvento ciò che è da ritenere non del tutto improbabile.

503

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7667/784. Parigi, 3 dicembre 1911, ore 21,45 (per. ore 1,30 del 4).

Dardanelli. Izwolsky mi ha detto oggi che era lieto che nella questione dei Dardanelli l'Italia fosse fuori questione e che la Russia si trovasse di fronte la sola Turchia. Quindi mi ha informato che l 'interpretazione della Convenzione vigente nella quale la Russia si è trovata d'accordo colle altre Potenze è la seguente: i belligeranti hanno diritto di fare nei Dardanelli quelle operazioni di guerra che credono nel loro interesse ma non possono ostacolare la libera navigazione. Rimarrebbe quindi escluso dalle operazioni di guerra consentite il blocco commerciale l'affidamento di mine o di vecchi bastimenti che sbarrino il passaggio. La Russia avrebbe voluto che ciò fosse significato a Costantinopoli mediante un passo collettivo della Potenze, ma queste non si poterono mettere d'accordo sulla [ ... ] 1 e sul provvedimento da seguire. Perciò la Russia ha risoluto di fare essa sola la notifica a Costantinopoli e contemporaneamente di farla a tutte le Potenze.

503 1 Gruppo indecifrato.

504

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7729/186. Atene, 5 dicembre 1911, ore 19,40 (per. ore 20,45).

S.M. il Re Giorgio, che mi ha ricevuto in udienza, mi ha espresso il suo vivo rincrescimento essere stato impedito dalle circostanze dal dar seguito al suo progetto visitare a Roma i nostri sovrani. Intrattenendomi poi della guerra Sua Maestà mi ha detto che presentemente tutte le Potenze sembravano intenzionate raccomandare Sublime Porta concludere pace, ma che cionondimeno è molto dubbio che essa ceda stante resistenza Comitato e difficoltà trovare terreno per negoziati. Sua Maestà crede che in seguito false voci diffuse tra la popolazione musulmana circa successi armi ottomane conclusione pace sulla base completo abbandono Tripolitania provocherebbe oggi esplosione furente contro il Comitato e forse la sua fine. Da ciò resistenza di questo e la probabilità che senza una nostra impressionante azione quale sarebbe per esempio la presa Smirne o il passaggio Dardanelli, Turchia continuerà dimostrarsi irreduttibile. Ho risposto che il R. Governo sapeva infatti poter contare sull'interessamento delle Potenze tutte, parimenti desiderose quanto noi, veder cessare conflitto e che del resto la nostra situazione era tale da poter attendere serenamente dallo svolgersi degli eventi un esito che non potrà essere dubbio. Sua Maestà ha accennato poscia ai sentimenti di simpatia e di ammirazioni di cui l 'Italia è perenne oggetto da parte di ogni classe popolazione in questo paese e passando parlare della situazione interna della Grecia si è espresso in termini di incondizionato elogio per l'opera del signor Venizelos grazie alla quale una calma fiduciosa regna dovunque, finanze sono ristorate, ogni ramo amministrazione è riordino ed il credito materiale e morale della Grecia all'estero è grandemente aumentato. Nessuna menzione mi fece il re delle cose di Creta. Lo stesso riserbo su questo oggetto fu riservato da Sua Maestà col mio collega di Russia che mi aveva preceduto nell'udienza.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNO DELL'ERITREA, ALL'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO E AI CONSOLATI GENERALI AD ADEN E TUNISI

T. 5683. Roma, 5 dicembre 1911, ore 20.

Sarebbe bene trovar modo diffondere il più possibile tra gli arabi la notizia della nostra grande vittoria di ieri ad Ain-Zara. Abbiamo preso il centro principale del nemico impadronendoci di cannoni mitragliatrici e munizioni viveri e tende mettendolo in fuga verso il deserto.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

Roma, 5 dicembre 1911.

In via confidenzialissima e per sua esclusiva informazione personale le trasmetto copia di un importante rapporto del r. ministro a Sofia2 , al quale accrescono importanza le relazioni personali di amicizia esistenti da tempo tra lui, il ministro degli esteri ottomano ed il nuovo ministro di Rumania a Roma.

Il punto più importante del rapporto è quello in cui descrive lo stato d'animo dell'ambiente diplomatico di Costantinopoli. Tale stato d'animo è un coefficiente importante dell'attuale situazione internazionale e però costituisce, se non viene modificato, un vero pericolo per gli interessi generali dell'Europa e della Turchia stessa, poiché, sebbene in buona fede, illude ed inganna quest'ultima sulla realtà delle cose.

Ignoro se e fino a che punto gli erronei apprezzamenti sulle condizioni e i propositi dell'Italia, prevalenti fra i diplomatici europei a Costantinopoli, derivino dalla loro mancanza di contatto con l'Europa, e se in parte derivino da insufficiente conoscenza che i loro Governi hanno del nostro Paese.

Di tale insufficiente conoscenza ho avuto in varie occasioni non poche prove, ma non posso credere che giunga al punto in cui la spingono i loro rappresentanti a Costantinopoli, e credo utile che V.E. cerchi di far sì che questi ultimi vengano meglio illuminati.

Come ho già telegrafato più volte a V.E., l'Italia non ha fretta di concludere la pace e può continuare la guerra fino a quando avrà raggiunto pienamente il suo fine, per il cui conseguimento ha abbondantemente i mezzi militari e finanziari. Pronta ancora oggi ad eque condizioni di pace, e desiderosa che la guerra attuale lasci la Turchia abbastanza forte da evitare alterazioni nello statu quo territoriale balcanico, l'Italia non transigerà mai sulla questione della sua sovranità piena ed intera sulla Tripolitania e Cirenaica, che non fanno più parte dell'Impero ottomano. Questa non è la politica di un Ministero, ma è la volontà ferma ed unanime della Nazione, la quale, calma e risoluta, ha compreso perfettamente che è in gioco per essa ben più che Tripoli, bensì tutto il suo avvenire politico ed economico, pel quale è necessario dimostrare al mondo che sa e può superare vittoriosamente la prima grande prova nazionale affrontata con le sue sole forze.

Falso è pure che l'Italia voglia escludere dalle sue nuove provincie l'attività economica straniera, cui sono aperte le porte del Regno: si oppose in passato, è vero, ad alcune iniziative straniere in Tripolitania e Cirenaica, ma vi si oppose perché

506 1 DD. 23, 54, 43, 16, 39 rispettivamente a Berlino, Londra, Parigi, Pietroburgo e Vienna. 2 Cfr. n. 500.

520 erano artificialmente promosse dalla Turchia a danno d'imprese italiane e con fine politico ostile all'Italia. Ciò evidentemente non ha più ragione d'essere oggi che l'Italia non ha più da temere influenze politiche straniere in Tripolitania e Cirenaica.

È quindi superfluo entrare nell'esame delle singole proposte di Assiro bey; né la cessione della sola Tripolitania, né il mantenimento della bandiera turca in qualsiasi luogo delle due provincie, né la rinuncia per le capitolazioni alla clausola della nazione più favorita sono condizioni discutibili.

Di tutto ciò ho voluto informare V.E. affinché ella giudichi se, in amichevoli conversazioni senza carattere ufficiale, sia opportuno che ella faccia comprendere a codesto Governo la necessità, come ben si esprime il conte Bosdari, di ricondurre il suo rappresentante a Costantinopoli, e per suo mezzo il Governo ottomano, al senso della realtà.

507

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 7739/580. Londra, 6 dicembre 1911, ore 13,23 (per. ore 17,35).

Discorrendo ieri con Nicolson gli chiesi, in via accademica, se gli risultava qualche cosa circa azione che sta svolgendo a Costantinopoli ambasciatore di Russia per riaprire questione Dardanelli. Nicolson credette io alludessi recente azione Russia in seguito false intenzioni attribuiteci. Risposi che ogni equivoco essendo stato completamente chiarito, incidente doveva considerarsi chiuso. Avendogli fatto conoscere che accennavo questione generale degli Stretti, mi rispose al quanto sorpreso cosa giungergli affatto nuova; né a Pietroburgo né qui essendone stata fatta menzione alcuna. Soggiunse: «Non ci mancherebbe altro in questo momento». Osservò poi che apertura Stretti nel senso voluto dalla Russia solleverebbe grave opposizione in Germania e specialmente in Austria-Ungheria e concluse sembrargli, tutto compreso, con tante grosse questioni aperte, prematuro occuparsi di una che non è ancora di attualità. Tanto più poi in quanto malgrado tresche di Tcharikoff con Comitato, è lecito dubitare consenso Turchia. Sulle intenzioni eventuali però di questo Governo, Nicolson mantenne riserbo assoluto che mi [toglie] 1 ogni possibilità di manifestare anche una semplice impressione. Giudicando però questione dall'aspetto delle attuali disposizioni di questa opinione pubblica, già eccitata e scontenta azione Russia in Persia, sarei indotto ritenere che riuscirebbe non facile a questo Governo, malgrado russofilia del Foreign Office, fare accettare dal pubblico una sua nuova acquiescenza ai desideri russi in contraddizione manifesta con tradizionale

politica inglese. Ricordando d'altra parte impressioni di Costantinopoli mi parrebbe difficile, a meno di un radicale mutamento opinione pubblica dei turchi, che Tcharikoff possa arrivare a vincere radicata avversione Turchia contro qualsiasi modificazione statu quo nella questione degli Stretti. Ed a controminare azione ambasciatore di Russia è da supporre si adopereranno alacremente altri ambasciatori, specie barone Marschall, che nel fatto teneva al riguardo linguaggio violentemente contrario alle aspirazioni russe.

507 1 Integrazione sulla base del registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

508

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 2443/633 1 . Londra, 6 dicembre 1911 2.

Le notizie contenute nel sedicente rapporto dell'ambasciatore ottomano a Berlino circa negoziati in corso anglo-turchi, non mi sembrano verosimili.

La politica di questo Governo nella nostra guerra con la Turchia è stata oramai solennemente proclamata dal primo ministro, dal segretario di Stato per gli affari esteri e da lord Morley entro e fuori il Parlamento.

Essa si riassume nella formula molto semplice: neutralità e non intervento. Se a tale politica che, ad eccezione degli estremi radicali rapresentanti il pacifismo, il dottrinarismo, il non conformismo, il quaccherismo di una certa categoria di inglesi, ha incontrato il consenso generale, avesse il Governo britannico pensato a discostarsi, l'occasione ed il pretesto non gli sarebbero mancati quando noi gli abbiamo comunicata la proclamata annessione della Tripolitania e Cirenaica. Invece nessuna osservazione ci venne rivolta ed alla protesta della Sublime Porta non fu dal Gabinetto di Londra data risposta alcun. E ciò malgrado il fatto innegabile del non essere l'annessione piaciuta a questo Governo che, nel desiderio vivissimo di vedere terminato al più presto il conflitto, aveva fino ali 'ultimo, non meno di altri governi, sperato che noi ci saremmo contentati del pratico passaggio della Tripolitania e Cirenaica nelle nostre mani con una parvenza di sovranità del sultano.

Non vedo pertanto come il contegno del Governo inglese, freddamente ma perfettamente corretto, potrebbe accordarsi con le pretese garanzie, date o da darsi alla Turchia, per il mantenimento della sua sovranità sulla Tripolitania.

Sul contegno attuale dell'Inghilterra verso l'Impero ottomano, in generale, la mia impressione è che questo Governo, reso più guardingo dopo l'esperienza fatta degli errori commessi al principio della rivoluzione turca, sta facendo quello che qui chiamano un waiting game. Esso osserva, mantenendo una estrema riserva di fronte alle aperture della Turchia, in attesa che si delinei meglio la situazione interna, e si

508 1 Risponde al D. 44 del 16 novembre, non pubblicato. 2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

veda più chiaro quale dei partiti presenti maggiore solidità ed inspiri la speranza di produrre, quando che sia, un Governo serio e forte, indipendente da occulte influenze, col quale si possano annodare relazioni seguite e procedere ad un esame delle varie importanti questioni pendenti. A mio parere l'intenzione recondita dell'Inghilterra è di aspettare che la Turchia vada definitivamente a Canossa, e vi resti. La Turchia, per servirmi di un paragone, si trova ora di fronte all'Inghilterra nella situazione di un infermo che dopo di aver affidato la cura dei suoi malanni ad un medico, e dopo averlo, dopo pochi mesi di cura, licenziato per seguire i consigli di un altro ritenuto migliore, si accorge ora che la cura del secondo dottore non è stata brillante, vorrebbe richiamare l'antico medico, ma non osa decidersi, ed infrattempo li consulta secondo il caso entrambi.

Appare logico e prudente ad un tempo che l'Inghilterra in tali condizioni pur lasciando intravvedere, sentimenti di benevolenza, non voglia troppo oltre spingere la sua intimità colla Turchia col rischio di prevedersi novellamente posta da parte procurando così un secondo trionfo alla Germania. La quale, dal canto suo, non poco imbarazzata, esita a dare alla Turchia sua protetta il solo consiglio veramente salutare nella presente circostanza, quello cioè di rassegnarsi all'amputazione dell'arto cangrenato, ossia la Tripolitania e preferirebbe che siffatto consiglio le venisse dato dalla Nazione rivale.

Su quella parte del documento trasmessomi concernente la Germania esprimerà il suo autorevole avviso il mio collega di Berlino. A me francamente appare più che dubbia l'autenticità del documento che mi ha l'aria di escire da una di quelle fabbriche di notizie e carte false, stabilite a Parigi o a Bruxelles. Ed a confermare i miei dubbi sull'autenticità contribuisce pure la forma del rapporto, sembrandomi ad esempio affatto inverosimile che un ambasciatore qualsiasi anche se estraneo alla nostra carriera, possa, scrivendo del Gabinetto di Vienna chiamarlo «le Cabinet de St. Etienne» qualifica questa affatto inesatta ed inusitata che per la prima volta in trenta anni di servizio ho veduto adoperare in una corrispondenza diplomatica.

509

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 2142/7891 . Il Cairo, 6 dicembre 1911.

Come seguito al telegramma n. 211, spedito iersera2 , ho l'onore di informare l'E.V. che, in conformità alle istruzioni datemi col telegramma n. 5557, in data

509 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica una copia conservata tra le carte di Gabinetto. 2 T. 7718/211, non pubblicato.

Al Ministero kediviale degli affari esteri ho riferita la decisione del R. Governo a voce, ma lasciando in pari tempo una nota scritta: il sottosegretario di Stato col quale ho parlato dapprima, e quindi Rouchdi pascià che ho avuto occasione di vedere nel pomeriggio si limitarono ad esprimersi in termini molto blandi e vaghi il rincrescimento che il desiderio degli egiziani non avesse potuto accogliersi. Non mancheranno invece sui giornali arabi, specialmente sui fogli nazionalisti commenti amari e, probabilmente, espressioni violente contro di noi; ma queste non debbono preoccupare essendo ormai noto il linguaggio aggressivo di cui si servono.

Più interessante fu quanto mi disse lord Kitchener circa i motivi che determinarono la decisione del R. Governo. Debbo premettere che non fece alcuna osservazione per quanto riguarda l'impressione destata tra le nostre truppe per le atrocità commesse dai turco-arabi contro i nostri feriti e per quanto riguarda il rifiuto da parte nostra di fornire noi stessi alla missione i cammelli di cui avesse potuto aver bisogno, giacché su questo punto nel trasmettermi la domanda del locale Comitato della Mezza Luna Rossa mi aveva detto lui stesso che se fosse stato il comandante delle forze militari a Tripoli li avrebbe rifiutati. Tutte le sue parole furono del resto improntate alla massima cortesia ed anche dove, come riferisco in appresso, fece qualche osservazione la formulò in modo da far apparire evidentemente il desiderio di farci conoscere le proprie esperienze nelle guerre analoghe in cui ha combattuto.

Lord Kitchener mi espresse dunque il dubbio che le nostre autorità considerino da un punto di vista errato l'impressione che gli arabi avrebbero nel vedere che Ii lasciamo raggiungere da un corpo sanitario malgrado la condotta che tennero verso di noi. Crede che essi potessero invece essere impressionati da tanta sicurezza che si sarebbe dimostrata verso di loro e dalla nostra nuova prova di voler trattare con loro umanamente. «Il ne faut pas», mi disse, «couper vos relations avec !es arabes qui sont dans le camp turc; vos généraux doivent faire tout leur possible pour rester en contact continue! avec eux leur faire comprendre que, s 'ils veuillent Iutter, ils trouveront un ennemi qui ne Ics craint pas; peu à peu ils vont comprendre quels sont leur intérèts réels. C'est une action très difficile, qu'il faut continuer pendant Iongtemps, mais qui m'a donné des résultats excellents dans la guerre contre les derviches. Tous ceux qui venaient me voir recevaient un sauf-conduit, je leur donnait du café, ou autre chose, je leur donnait un sauf-conduit par le départ et je Ics congédiais en leur disant que c'était très regrettable de voir tuer tant de monde, mais que s'ils voulaient lutter contre nous ils n'avait qu'à se bien tenir, carde notre còté nous étions décidés à en finir avec eux. Ils rentraient dans leur campement en disant que nous n'étions pas si méchants qu'on nous avait dit; peu à peu des tribus se détacherent du Mahdi, qui commença à craindre tellement Ics personnes qui s'étaient approchées de nous qu'il avait donné l'ordre de couper immédiatement la tète à tout homme qui avait

passé le Nil pour voir les anglais. Il ne faut pas» concluse, «que vos generaux se fachent avec les arabes, ils doivent avoir comme but de les concilier peu à peu pour leur faire quitter les tures».

In fine della nostra conversazione lord Kitchener mi ha poi detto che avrebbe dovuto informare il Foreign Office del rifiuto che gli avevo comunicato e ciò pel fatto che giorni addietro aveva telegrafato a Grey che il passaggio della missione era consentito, onde metterlo in grado di rispondere all'interrogazione presentatagli da un deputato.

523 l o corrente3 , ho comunicato a questo Governo ed in precedenza ufficiosamente a lord Kitchener il rifiuto del R. Governo di lasciar sbarcare a Tripoli e Bengasi una missione della Mezzaluna Rossa Egiziana. La mia comunicazione fu alquanto ritardata perché durante le feste del Bairam tutti i Ministeri erano chiusi.

509 3 Cfr. n. 496.

510

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 2148/794. Il Cairo, 6 dicembre 1911 1 .

Il piccolo presidio turco si trova tuttora a Sollum, accanto alle forze militari egiziane al comando di Hunter Pascià, accampate più ad occidente. Lord Kitchener mi disse anche ier l'altro che tra tutte le difficoltà presenti in cui l 'Egitto era coinvolto questa era appunto quella che davagli maggior preoccupazione. Ho creduto di comprendere che per un momento abbia avuta l'idea di sloggiare i turchi con la forza da quell'ultimo posto che occupano sul mare; poi vi ha rinunciato, sia per consiglio del Governo inglese, sia perché l'atto gli è sembrato troppo pericoloso. L'agente britannico attende tuttora la notizia che il presidio si è acconciato a piegarsi agli ordini che la Sublime Porta afferma di avergli mandati, ma a quest'ora potevano esser giunti ed eseguiti da lungo tempo.

Io mi rendo perfettamente conto dell'imbarazzo di lord Kitchener il quale da un lato si trova di non poter far esercitare i diritti dell'Egitto sovra un territorio che pretende gli appartenga e dall'altro teme da un momento all'altro delle osservazioni da parte del R. Governo. Egli mi ha espressamente pregato di non contribuire a render più acuta la questione assicurandomi che, necessariamente, il presidio avrebbe finito col doversene andare e che in tal senso più volte aveva fatto intervenire presso la Sublime Porta l'ambasciatore inglese a Costantinopoli. Egli si impegnò di avvertirmi non appena il forte di Sollum venisse evacuato e non avendolo fatto a tutt'oggi dimostra che la questione non è ancora risoluta.

Le informazioni pervenute al Foreign Office e che V.E. ebbe la cortesia di comunicarmi col telegramma in data 28 novembre n. 54192 non sono ancora confermate dai fatti.

51 O 1 Manca l 'indicazione del giorno di arrivo. 2 Non pubblicato.

511

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO 5721. Roma, 7 dicembre 1911, ore 10.

Prego informarmi per telegrafo il più sovente e minutamente possibile sulle intenzioni probabili attitudine vedute tendenze di codesto Governo intorno alle questioni che più ci interessano quali anzitutto la guerra italo-turca i rapporti fra Italia ed Austria le opposte tendenze in Austria rappresentate da Conrad ed Aehrenthal nei riguardi dell'Italia, le aspirazioni russe per l'apertura dei Dardanelli alle sue navi, l'azione della Russia in Persia ed altre.

Tra tutti i governi d'Europa il Governo tedesco è quello di cui più ci importa conoscere, e di cui meno conosciamo, il modo di vedere e la probabile attitudine in diverse ed importanti questioni nelle quali l'esserne precedentemente informati può molto influire nelle nostre decisioni. Ignoro anche se il Governo tedesco sia sufficientemente informato delle intenzioni e condizioni nostre e sento una indefinibile, e forse come spero soltanto apparente, mancanza di contatto con codesto Governo la quale è per noi assai imbarazzante e potrebbe anche diventare pericolosa.

Prego V.E. di telegrafarmi le sue impressioni ed i suoi consigli in proposito 1 .

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. RISERVATO 57221 . Roma, 7 dicembre 1911, ore 15,15.

Mi giungono da fonti non ufficiali notizie contradittorie e monche sullo scambio d'idee tra le Potenze al quale ha dato luogo l'iniziativa presa dal Governo russo in seguito alle intenzioni attribuite all'Italia di voler bloccare i Dardanelli.

Premetto che, come V.E. conosce, il Governo italiano non ha mai preso in esame il progetto di tale blocco evidentemente inefficace contro la Turchia e nocivo più ai neutri che ad essa.

Il Governo italiano desidera anche vivamente di evitare la necessità di un'azione rapida e decisiva ai Dardanelli e la ritiene ben poco probabile.

Crediamo però necessario non impegnarci ad astenercene e crediamo necessario che la Turchia non sia liberata da questo timore. Nella guerra attuale ciò è necessario: l) nell'interesse dell'Italia perché il dovere tenere forze militari presso i Dardanelli rende più difficile alla Turchia l'invio di armi, munizioni ed ufficiali in Tripolitania e Cirenaica; 2) nell'interesse dell'Europa e della Turchia stessa perché le spese, cui tale minaccia costringe la Turchia, saranno certo un motivo di più per indurla più presto alla pace alla sola condizione per noi accettabile, e perché in un dato momento, come ci risulta da informazioni molto attendibili, il Governo turco stesso e il Comitato Unione e Progresso possono desiderare una pressione o minaccia anche soltanto iniziata e persino forse neanche iniziata, ma annunziata, per giustificare di fronte al loro Paese l'abbandono dell'inutile resistenza.

Ma la guerra attuale è un episodio transitorio e i governi debbono preoccuparsi dell'avvenire. Data la mentalità turca e specialmente quella dei giovani turchi, sarebbe sommamente pericoloso stabilire un principio od anche solamente ammettere un precedente che faccia credere alla Turchia che essa non può essere attaccata ai Dardanelli e attraverso lo stretto a Costantinopoli.

Un tal principio o precedente nocivo oggi a noi, potrebbe esserlo domani in maggior misura a qualsiasi altra potenza e accrescere talmente l'orgoglio turco da rendere difficili e amareggiati da attriti quotidiani i rapporti tra il Governo ottomano e tutte le Potenze europee.

*Ciò sarebbe ancora più grave per la Russia stessa a cagione della sua posizione geografica e rappresenterebbe un passo indietro e non un passo avanti verso la soluzione cui essa aspira della questione degli Stretti. È infatti evidente che lo stesso principio o precedente si deve applicare agli attacchi provenienti dal Mediterraneo e a quelli provenienti dal Mar Nero* 2 .

Prego perciò VE., senza fare passi ufficiali a nome del Governo, di valersi in amichevoli conversazioni, nel più prossimo momento in cui ciò le sembrerà opportuno, di queste considerazioni e di tutte quelle altre che reputerà opportune, per impedire che lo scambio d'idee tra le Potenze conduca a risultati che siano o sembrino tali da limitare la libertà d'azione dell'Italia e da incoraggiare la Turchia a credersi invulnerabile.

Non mancherà modo a VE. di far comprendere che l'interesse bene inteso di codesto governo coincide col nostro.

Pregola poi di tenersi e tenermi costantemente e rapidamente informato delle fasi di questo scambio d'idee. Certo il nostro maggiore interesse sarebbe che esso non avesse altro seguito.

511 1 La risposta non è stata rinvenuta. Uno scambio di vedute in proposito avvenne durante l'incontro tra di San Giuliano e Kiderlen-Wiichter: al riguardo cfr. n. 626. 512 1 Inviato a Londra con T 5723, pari data, con la variante di cui alla nota 2; inviato anche a Berlino e Vienna con T 5724, pari data, con l'omissione del brano fra asterischi.

512 2 In sostituzione di questo paragrafo si scrisse a Londra quanto segue: «Ciò sarebbe ancora più grave per l'Inghilterra che ha interesse a riservarsi la possibilità di un'eventuale azione ai Dardanelli, la quale in caso di guerra potrebbe essere l'unico modo di stornare la grave minaccia che la superiorità militare terrestre della Turchia su di essa costituisce per il Canale di Suez e per l'Egitto».

513

IL DIRETTORE GENERALE DI PUBBLICA SICUREZZA, VIGLIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 29396. Roma, 7 dicembre 1911 1.

In relazione alla nota di S.E. del 28 novembre u.s. n. 1732 relativa alla vigilanza da esercitarsi sui piroscafi trasportanti ufficiali turchi diretti in Tripolitania, si comunica il seguente telegramma del Ministero della marina diretto al comandante il porto di Napoli. «Con piroscafi francesi provenienti da Costantinopoli ed approdati anche cotesto porto numerosi ufficiali turchi recansi Marsiglia da dove procedono per Tunisia raggiungere Tripolitania. Provveda per rigorosa sorveglianza facendo visitare anche bagagli a mano che potrebbe fornirle indizio circa effettiva qualità viaggiatori. Qualora riconosciuta qualità ufficiali turchi provveda loro cattura senza cattura piroscafi».

Detto comandante ha informato Ministero marina circa intesa che ritiene dover prendere col locale console Francia per quanto riguarda piroscafi delle messaggerie francesi che fanno servizio Costantinopoli Marsiglia.

514

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2088/223. Budapest, 7 dicembre 1911 (per. l' 11).

Le dimissioni del barone von Conrad hanno offerto occasione al conte Alberto Apponyi di rivolgere al presidente del Consiglio conte Khuen-Hédervary le seguenti domande sotto forma d'interpellanza: a) è vero che il ritiro del generale von Conrad da capo dello Stato Maggiore va connesso a tendenze apparse nei circoli militari e aventi per scopo di porre termine nei rapporti con l'Italia a queiia aiieanza che ebbe approvazione da parte dei due Parlamenti deiia Duplice Monarchia ? b) Nel caso affermativo il presidente del Consiglio ritiene esser suo dovere di vigilare attentamente, e se necessario promuovere l'istituzione di una «garanzia» affinché la politica estera sia fatta esclusivamente daiie persone a ciò chiamate dalla costituzione e affinché nessun altra militare influenza sia esercitata nella politica oltre quella che spetta al ministro comune reponsabile della guerra e ai ministri della difesa nazionale ? c) In considerazione dei recenti avvenimenti il presidente del Consiglio è disposto a dare precise indicazioni alla Camera dei deputati sulla sfera d'azione del capo dello Stato Maggiore dell'esercito comune circa i suoi rapporti col ministro comune della guerra e con i due ministri della difesa nazionale ? d) Il nostro Ministero degli esteri

513 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo. 2 Non pubblicata.

e il nostro Governo si manterranno anche in avvenire stretti alla politica della Triplice Alleanza e se sì, il presidente del Consiglio dopo l'accaduto e in considerazione dei commenti fattivi in tutto il modo non ritiene forse opportuno che ogni dubbio in proposito venga distrutto con una precisa dichiarazione officiale?

Nel motivare queste sue domande, dopo aver fatto cenno alle preoccupazioni provocate nell'opinione pubblica generale dalle recenti discussioni sulla politica estera avvenute nel Reichstag germanico e nella Camera inglese dei Comuni e dalle manifestazioni più o meno officiose che hanno accompagnato nella Duplice Monarchia un fatto di carattere esclusivamente militare quale quello delle dimissioni del capo dello Stato Maggiore dell'esercito comune e che hanno fatto temere un cambiamento nel corso fin ora seguito dal Gabinetto austro-ungarico nei suoi rapporti con l'estero in ispecie con l'Italia, il conte Apponyi trova assolutamente strano e incostituzionale il fatto di un conflitto tra il ministro degli esteri e il capo dello Stato Maggiore dell'esercito. È perciò che egli desidera conoscere come tale conflitto fosse possibile e per quali ragioni possano prodursi attriti fra due autorità che hanno il campo di loro attività così precisamente segnato dalla costituzione. Questo dal punto di vista formale. I commenti originati dalle dimissioni del generale von Conrad hanno altresì posto in evidenza certi intrighi contro la politica estera attuale della Monarchia (e ciò costituisce il lato politico dell'incidente) la quale, se la volontà del sovrano non fosse intervenuta, sarebbe stata scossa nelle sue basi essenziali, cioè nei suoi rapporti con l'Italia. Il conte Apponyi aggiungeva: «lo credo di esprimere il convincimento della grande maggioranza di questa assemblea manifestando la mia soddisfazione per il fatto che le direttive finora seguite nella nostra politica estera rimarranno immutate (applausi generali) e di ciò mi compiaccio tanto più perché gli avvenimenti delle ultime settimane hanno consolidato la mia previsione che l'Italia ha il proponimento di astenersi da ogni azione che ci renda impossibile il mantenimento con lei di buoni rapporti. Noi udimmo dalla bocca del presidente del Consiglio (cosa che egli non avrebbe potuto asserire senza previo accordo col Gabinetto italiano) che l'Italia anche nelle complicazioni guerresche si sarebbe astenuta da ogni azione sulle coste dell'Adriatico che a noi interessano, e anche nel mare Ionio, il che prova che il Governo italiano giudica giustamente la situazione rendendosi conto che mai potrebbe avere dalla sua i due Stati della Monarchia se volesse porre il piede sulla costa albanese -nella quale eventualità il mare Adriatico diverrebbe un mare chiuso e i due Stati della Monarchia sarebbero tagliati fuori dal movimento marittimo. Per ciò con grande nostra tranquillità abbiamo udito l'ultima dichiarazione del presidente del Consiglio secondo la quale l'Italia tanto rispetta questo punto di vista che spontaneamente si è proposta di evitare nell'azione guerresca ogni atto capace di suscitare su tal punto sospetti. In tali circostanze io considererei come un gran male per l'Ungheria, e non soltanto a causa delle nostre simpatie per l'Italia ma anche in considerazione del nostro interesse politico, se dovesse cadere la base provata durante tanti anni della nostra politica estera, la Triplice Alleanza, ed io perciò credo che anzitutto deve esser posto in chiaro che questa base non vacilla -il che è opportuno dichiararlo di fronte alle voci sparse circa la dissoluzione dell'alleanza. Noi riteniamo necessario che il Governo officialmente ci assicuri della mancanza di fondamento di queste voci e

della sua intenzione di mantenere immutate le basi della nostra politica internazionale».

Questo discorso è stato salutato con grandi applausi dali' Assemblea, che trovano eco nei commenti favorevoli di questa stampa più seria. Qui entro unisco quello del -Pester Lloyd1 -assai interessante anche per le considerazioni annesse sul rinnovamento dell'alleanza.

515

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA. Roma, 7 dicembre 1911.

Per opportuna notizia comumco a V.E. l'unita nota informativa sulla attuale situazione in Cirenaica.

ALLEGATO

IL SIGNOR INSABATO A ... l

Il Cairo, 26 novembre 1911.

Tre sere fa sono giunte in carovana numerose persone provenienti dalla Cirenaica. Il giorno stesso ricevetti il suo telegramma e così potei subito risponderle segnalandole i concentramenti a Defna.

Le notizie che le ho inviate e le altre qui unite le ho raccolte da un senussita di Defna di cui mi è sfuggito il nome, da un certo Hassan el Moghrabi che è fratello di un informatore del Governo inglese che è stato inviato sino a Bengasi per raccogliere informazioni per conto del Governo anglo-egiziano e da Sidi Ahmed Mohammed el Manghreb.

Ella ricorderà che tempo fa le inviai una lettera di Sidi Mohammed ibn Manghreb in cui pregava di fare ricerche presso Sidi el Hag Salem el Gherbi, capo della zauia senussita del Mekheli (presso Derna) per sapere che ne fosse avvenuto di Sidi Ahmed Mohammed suo figlio che si era recato a Derna. Ora il detto Sidi Ahmed Mohammed Manghreb è giunto tre giorni fa da Derna assieme alla moglie (poichè vi si era recato per sposarsi) e subito è venuto a trovare il bey. Egli ci ha raccontato che quando gli italiani sbarcarono a Derna, vi erano solo quaranta soldati turchi, e che gran parte della popolazione era scappata a rifugiarsi vicino alla zauia senussita del Mekheli. Il capo della zauia senussita di Derna Sidi el Gheriani era però rimasto in città, e dopo tre giorni, andò al Mekheli ad avvertire la popolazione che poteva ritornare perché i soldati italiani erano buoni e nessuno correva pericolo alcuno.

515 1 Cfr. n. 393, nota l. I brani fra asterischi furono omessi nella copia inviata a di San Giuliano.

Poco dopo il Manghreb partì per l'Egitto, passando per Defna, Mariut, Alessandria. Per la strada ogni giorno egli vedeva arrivare nuovi contingenti di forze turche, che si concentravano nei dintorni di Defna. I turchi hanno tentato in ogni modo con blandizie e con minaccie di far insorgere i senussiti, ma essi si sono ostinatamente rifiutati ed alla fine han fatto chiaramente capire che se essi persistevano la congregazione si sarebbe schierata contro di loro. I turchi hanno mostrato ai capi delle zauie delle lettere del Gran Senussi nelle quali dichiarava che aveva dato ordini di appoggiare il sultano, ma essi si accorsero che le lettere erano apocrife.

Solo poche tribù non senussite appoggiano i turchi, una parte degli auaghir vicino a Bengasi ed una parte dei brassa, dei dressa (o dersa) e degli hassa; il Manghreb reputa i brassa fra i più infidi.

Edhem pascià, generalissimo turco, chiamò presso di sé Sidi el Alami capo della zauia senussita di Tert (a circa due giorni da Derna) e voleva costringerlo ad usare della sua grande influenza per decidere i senussiti della sua regione a ribellarsi, ma egli si rifiutò adducendo di non potersi muovere senza un ordine tassativo di Sidi Ahmed Scerif il Gran Senussi!

Il Manghreb è convinto che, se arriveranno dal Gran Senussi ordini di appoggiare gli italiani, anche le tribù non senussite ubbidiranno, ed i turchi non potranno resistere, non solo, ma se commetteranno qualche violenza contro gli arabi, saranno addirittura massacrati.

Ma occorre però, egli dice, far cessare l'entrata dei soccorsi sia dall'Egitto che per mare.

Dall'Egitto vengono denari, viveri, munizioni, volontari e ufficiali turchi, ma i soldati in numero di qualche migliaio e tutti della Siria e Anatolia, sono giunti per mare a bordo di velieri e sbarcano vicino a Defna, a Kasr el Gedid (anch'esso nelle vicinanze di Defna) e ad El Arais (quest'ultima località non son riuscito a precisare dove sia).

Quanto sopra mi è stato riconfermato anche da Hassan el Maghrebi e dal senussita di Defna.

*Il telegramma cifrato da lei inviatomi è indecifrabile in un punto importante: infatti è scritto2 ... che significa: diamo loro indirizzo insospettato abilmente dove inviare notizie 3 ... rapporto direttamente 4 ...

Non sono riuscito ad afferrare il senso*: ad ogni modo ho già disposto perchè da Siwa partano due persone una pei dintorni di Bengasi ed una per Derna, Tobruk, *Bomba*, Defna, e che ritornino immediatamente a renderei conto esatto della vera situazione, ma nessuno però vuole arrischiarsi a portare né lettere né biglietti perché i turchi perquisiscono ed impiccano (vicino a Defna infatti essi hanno impiccati tre senussiti che avevano dei manifesti del generai Caneva e li leggevano agli arabi, pare anzi che due di essi fossero incaricati di una missione dal comandante italiano di Tobruk). Ad ogni modo farò tutto il possibile per essere tenuto al corrente di tutto. *Le accludo due modelli con entro scritto: «Non v'è Dio che un sol Dio, l'autentico re. Maometto è il profeta di Dio, il profeta sincero e fedele». Negli angoli sono scritti i nomi dei primi califfi: «Abu Bakr, Ornar, Osman, Alì Hassan ed Hossein (che Dio li benedica)».

Uno stemma simile è il più idealmente perfetto (sic) pei musulmani; ma credo anch'io che sarà forse impossibile metterlo sulla bandiera. Si potrebbe forse adottarlo come stemma o adoperarlo in qualche altro modo. Veda lei*.

Per l'oasi di Giarabub non so come regolarmi, le sarei grato se mi rispondesse in proposito tanto più che qui corre voce che gli inglesi abbiano inviata una missione a Giarabub, con regali per un valore di trecentomila franchi da distribuirsi a nome del Governo

3 Segue un gruppo cifrato.

4 Punti sospensivi del redattore della lettera.

anglo-egiziano ai senussi ivi residenti, ed invitandoli a chiedere l'annessione all'Egitto. Cercherò di avere informazioni più esatte su questa missione.

Le accludo anche uno stampato arabo che venerdì scorso èstato distribuito in tutte le moschee sotto gli occhi della polizia. Esso è intitolato: «Eccitamento dello zelo islamico a favore dell'Impero ottomano».

Poesia di Ahmed Alì el Milighi, libraio. In riassunto è detto: «Quando ho visto che l 'Italia ha commesso delle enormi e selvaggie atrocità in Tripolitania ho fatto questa poesia per rivolgermi alla gente che ha dello zelo». Quindi l'autore invita tutti i musulmani a mettersi contro gli italiani, boicottarli, cacciarli, rompere ogni relazione con loro, poiché sono dei violentatori di donne e degli assassini di donne e bimbi. Gli italiani, esso dice, sono ladri, traditori, ingannatori vili eccetera e via di questo passo.

*Stassera (sic) vedrò gl'Idrissi di Luxor, se riuscirò ad inviame come ormai sono sicuro uno di essi a Massaua che faccia da tramite coll'Idrissi, l'Italia potrà gettare le basi di una azione che può avere una portata enorme*.

Sto stampando l'opuscolo che farò tirare a seimila esemplari, io avrei desiderato fame assai di più, per mandame anche in Arabia. L'ho fatto leggere a varie persone sia ad ulemi che a semplici beduini e tutti ne sono entusiasmati, io sono sicuro che darà un ottimo risultato. *Mi occorrono però dei fondi per stamparlo. Come ella può vedere dal preventivo che le accludo5 la sola stampa costerà circa duemila franchi, senza contare le spese di posta per spedirli. Sarei grato anzi se ella mi scrivesse subito se e quante ed a chi debbo spedire detti opuscoli in Italia*. Io cercherò di affrettarne la pubblicazione perchè conto molto sul loro effetto. Mi sono occupato anche di far pubblicare qualche articolo in favore nostro nei giornali egiziani e le invio alcuni numeri del Misr, del Gherida, del Wotan e dell'Akbar. L'Akbar, dopo i nazionalisti, è il giornale più importante ed il suo redattore capo, Selim el Haddad, come già le scrissi tempo fa è da me sussidiato, per scrivere in favore dell'Italia. Egli mi disse ieri che l'agenzia diplomatica italiana compra ogni volta centinaia di numeri dell'Akbar. Non vorrei che l'agenzia facesse credere di avere essa attirato l'Akbar da parte nostra. Non è per rivalità, o meglio è per rivalità nel fare tutto il possibile per il nostro Paese, ma ... unicuique suum.

*Ieri giunse il pacco dei famosi vestiti del Miladi e del Ruhsi che avevamo spediti da Tripoli e che avevamo consegnati all'albergatore Milul. I due tripolini sono molto contenti; solo desidererebbero aver notizie dei loro parenti; essendo imminenti le grandi feste del Curbam Bairam, ho dato loro un nuovo sussidio, e ho fatto un regalo a Sidi Abd el Khader parente dei senussi, che come già le scrissi sta in El Azbar.

Il Sherida giorni sono pubblicò il manifesto del generai Caneva, probabilmente gli deve [essere] stato dato dalla locale agenzia diplomatica. In esso sono stati corretti vari errori: è stata tolta Kairuan (per Cirene) ma vi è una cosa che può essere grave, infatti nel manifesto stampato in Italia e quello ristampato da noi con lievi aggiunte che non modificavano in nulla il senso, è stato detto che il Governo italiano ha occupato la Tripolitania la Cirenaica il Fezzan e le regioni annesse facendo così ben comprendere che l'Italia si annetteva non solo la parte costiera: Tripolitania e Cirenaica, ma anche l'interno: cioè il Fezzan, ora nel manifesto riprodotto dal Sherida è stato soppressa la parola Fezzan, e sostituita con Tobruck, Bomba eccetera.

In quanto ai giornali nazionalisti è difficile far loro scrivere in nostro favore, a meno di non spendere molti denari. Chi può farlo è la Germania per mezzo della Deutsche Orientbank. Da uno degli alti impiegati di questa banca ho saputo che quando venne in Egitto il telegramma in cui si diceva che l'imperatore aveva parlato contro l'Islam, si temette il boicottaggio della banca da parte dei musulmani: cominciò subito una serie di telegrammi, tra la

sede d'Alessandria e quella di Cairo, e vi furono riunioni presiedute dal console generale di Germania (che è il vero direttore del Banco), a mezzanotte tutto il denaro era pronto per gli eventuali rimborsi, alla sera stessa tutti i direttori e redattori capi dei giornali di Cairo ed in particolar modo quelli del Siwa, dell'Aalam, del Moyad, eccetera, erano chiamati dal direttore del Banco, furono distribuite somme fortissime, ma si ottenne il risultato che nessun giornale arabo rilevò le parole dell'imperatore che furono pubblicate seguite da una smentita che subito giunse da Berlino.

lo ho avuto vari colloqui con Mualley bey direttore amministrativo del Siwa, ma non ci siamo accordati, egli mi ha anche proposto di fare un giornale nazionalista che in fatto difenderebbe gli italiani; ma egli vorrebbe che proprietario responsabile di questo giornale fosse un italiano, per evitare la legge sulla stampa applicabile agli indigeni.

Ma io temendo che ciò non entri nelle vedute del nostro Governo che si troverebbe forse costretto a difendere il giornale contro una qualche violenza inglese, ho tralasciato di trattare, provo a farlo se ella lo credesse opportuno.

Sto raccogliendo dei dati interessantissimi sugli ibaditi del Gebel tripolino che mi affretterò a trasmetterle perché credo esse ci daranno le basi per trattare la sottomissione delle tribù ibadite ribellate*.

514 1 Non pubblicato.

515 2 Segue un gruppo cifrato.

515 5 Non pubblicato.

516

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7832/36. Teheran, 8 dicembre 1911, ore 5,45 (per. ore 20).

Telegramma di V.E. nn. 5645 e 5681 1• Sembra effettivamente che presente conflitto russo-persiano abbia dato forte scossa accordo anglo-russo in specie a cagione opinione pubblica e situazione parlamentare britannica. Tuttavia due Governi fanno ogni sforzo superare crisi. Corrono attivi negoziati fra le legazioni di Russia e d'Inghilterra ed il Governo persiano per un accomodamento nel senso immediata destituzione Shuster e modifiche redazione seconda e terza domanda ultimatum russo. Pare che Parlamento persiano si disponga a cedere su tali basi e che deciderà entro pochi giorni ponendo fine al conflitto. Parte delle truppe russe arrivate Kasvin ove per ora si concentreranno anche le altre. Governo degli Stati Uniti si è disinteressato del lato politico questione Shuster però ha fatto intendere alle due Potenze gradirebbe fossegli accordato partendo buon trattamento. Attuale azione russa in Persia è opera esclusiva Pietroburgo essendosi questo ministro di Russia sempre mantenuto incline moderazione per non dar appiglio disturbare accordo. Teheran assunto aspetto più tranquillo.

516 1 TT. rispettivamente del 3 e del 5 dicembre, non pubblicati.

517

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, NANI MOCENIGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7834/294. Sofia, 8 dicembre 1911, ore 12,30 (per. ore 20).

Telegramma di VE. n. 57071 .

Mi ero astenuto dal commentare visita del re Ferdinando all'imperatore Francesco Giuseppe da me però segnalata con telegramma n. 2742 , perché in quel tempo si trovava a Roma Bosdari il quale ne avrà certamente intrattenuto l'E.V., questo avvenimento costituendo la miglior conferma delle notizie da lui

date negli ultimi tempi sulle trattative, fra Sofia e Vienna, per un eventuale spartizione della Macedonia. Credo ad ogni modo di dover comunicare a VE., che visita in questione non ha prodotto qui alcuna sorpresa e che ha avuto una sola e generale interpretazione quella cioè che in vista dell'annunziata azione nell'Egeo e delle complicazioni che ne potrebbero derivare il re Ferdinando e l'imperatore Francesco Giuseppe, o per meglio dire Aehrenthal, abbiano voluto procedere ad uno scambio di idee.

Una intesa con l'Austria non sarebbe certamente popolare in Bulgaria. Né mi consta che Gueschoff e il suo Ministero vi sarebbero favorevoli: su questo argomento però la volontà del re che è il padrone della situazione avrebbe una influenza predominante ed egli vi potrebbe essere sospinto dal timore che un così potente vicino gli incute e dai suoi sentimenti personali che, malgrado venticinque anni di regni e le sue affettate simpatie per lo slavismo, sono sempre persistite quelle de li'ufficiale austriaco.

Naturalmente mi mancano gli elementi per pronunziarmi sulle considerazioni che consiglierebbero l'Austria ad una tale intesa: da fonti però assai bene informate, mi viene qui assicurato che la Monarchia ha negli ultimi tempi più che mai attivato la sua propaganda in Albania ed in Macedonia e che emissari austriaci stanno abilmente sfruttando lo stato di disperazione in cui le popolazioni macedoni si trovano per l'apparente abbandono dell'Europa e specialmente della Russia per fare convergere le loro speranze su di un intervento austriaco che benché da esse non desiderato costituirebbe l 'unica àncora di salvezza di fronte ali' odiato regime ottomano.

Questo ministro di Serbia mi ha anzi, testé, recisamente affermato risultargli che petizioni in questo senso sono state da diverse località della Macedonia dirette a Vienna.

517 1 T. del 6 dicembre, col quale si trasmetteva il T. 7728 del 5 dicembre, non pubblicato. 2 T. 7518/274 del 29 novembre, non pubblicato.

518

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2102/225. Budapest, 8 dicembre 1911 (per. il 13).

Da molti anni la Duplice Monarchia non si è trovata in una situazione interna come la presente così incerta per lo stesso avvenire del Paese, così complicata per la ripercussione che la medesima ha sui rapporti con l'estero, specie con l'Italia. Le opposte correnti che agitano da vario tempo le sfere dirigenti della Duplice Monarchia sono venute ad urtarsi -ed una delle più eminenti personalità della Monarchia, il generale barone Francesco Conrad de Hotzendorf, ha dovuto dimettersi dall'alta carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito comune da lui occupato con il favore del sovrano e la considerazione e fiducia generali. L'urto è avvenuto naturalmente in Vienna e in quei circoli che nonostante le aspirazioni nazionali ungheresi formano tuttora il centro d'irradiazione della vita politica della Duplice Monarchia specialmente per quanto riguarda l'esercito e la politica estera. Non è tuttavia privo d'interesse notare l'impressione prodotta in questa capitale da quell'avvenimento, tanto più che ciò servirà a ridurre alla loro reale importanza certi commenti esagerati e fantastici apparsi nella stampa locale e in quella estera e nello stesso tempo a procurarci una nuova prova delle macchinazioni di quel partito militare che per fortuna e per il bene generale è ben lungi dall'avere con sé il paese, tanto meno l'Ungheria.

Le dimissioni del generale Conrad non hanno colto all'improvviso questi circoli politici e parlamentari come pure i più serii e meglio informati di questi giornalisti. Era infatti conosciuto che già in occasione delle ultime delegazioni egli aveva domandato al sovrano di essere esonerato dal grave peso impostogli, motivando questa sua domanda con l'opposizione incontrata presso i due Governi austriaco ed ungherese dalle richieste dei fondi necessari per la realizzazione dei piani militari da lui ideati. Tanto a Vienna che a Budapest, date le non floride condizioni del bilancio e le esigenze delle opposizioni parlamentari, non si era creduto poter seguire il capo di Stato Maggiore nei suoi piani di armamenti nella velocità e nella misura da questo desiderate. Di fronte alle insistenze del sovrano egli cedette e restò al suo posto sperando di riuscire ad ottenere mediante espedienti quello che non aveva ottenuto con un programma definitivo in tutte le sue particolarità e ben chiaro. Ma questa speranza non si è avverata, e anche quella voce secondo la quale si avrebbe avuto intenzione di domandare ai Parlamenti un aumento annuo di contingente non sembra destinata a prendere la forma decisa di progetto governativo. Dato il carattere suo autoritario e il temperamento fatto a tutt'altro che per pazientare per la buona grazia delle Assemblee parlamentari, egli stanco della lotta se ne è andato, e la decisione è stata presa in un momento nel quale gli ultimi avvenimenti internazionali, da lui a modo suo giudicati, e le conseguenze che egli ne tirava facevangli sentire sempre maggiore il peso che gl'impacci burocratici e parlamentari ponevano sulla sua attività come capo di Stato Maggiore.

Il posto da lui lasciato vacante è stato subito da altri coperto. Ma il nome del generale Conrad era diventato programma e una promessa per il ceto militare, e la sua partenza ha provocato in questo una dolorosa disillusione. Niente quindi di più naturale che i più ardenti fra questi militari tentino di tenere alto il nome del generale o di prepararne il ritorno, spargendo ai quattro venti che i piani da lui ideati altro non fossero che una inevitabile misura di precauzione contro i preparativi guerreschi compiuti con crescente alacrità ai confini occidentali e del Tirolo meridionale. Difficile è lo stabilire se i circoli militari oggi, come ieri lo stesso generale Conrad fossero in buona fede nel coltivare questi timori contro l 'Italia, certo è che, anche ammessa la buona fede, non può ammeno di notarsi in loro una deficienza di memoria, una doppia misura per valutare quello che segue sulle due frontiere, e una forte miopia intellettuale che lor vieta di rendersi esatto conto dello stato animo delle genti al di là dei confini della Duplice Monarchia. Gli sforzi di questo gruppo formatosi dintorno al generale Conrad erano favoriti dalla simpatia personale e dalla fiducia che per lui nutre l'arciduca ereditario, come soldato, sentimenti personali che gl'interessati hanno sfruttato e sfruttano più del lecito, e dalla leggenda che è venuta formandosi alle intenzione guerresche di Sua Altezza imperiale e reale. Certo nell'ambiente della sua famiglia e nei circoli politici che si accerchiano intorno alla sua persona la nuova Italia non ha molte simpatie. Ma ciò non vuoi dire che risponda alla realtà la leggenda formatasi e che dipinge l'arciduca come nemico giurato del nostro paese e niente altro anelante se non a discendere sui piani del Veronese e della Lombardia alla testa dei suoi battaglioni. Le persone che qui conoscono bene il suo pensiero e il suo temperamento -e esse sono poche e non loquaci -lo definiscono anzitutto come conscio dell'alta missione che lo attende, e fedele osservatore dei doveri che mano a mano vanno accalcandosi sulle sue spalle.

Per dare a questa leggenda e ad alcuni commenti fantastici sull'ultimo argomento sparsi nei giornali il reale valore non bisogna dimenticare anzitutto che oggi le guerre nemmeno in Austria-Ungheria non si fanno soltanto per volontà di pochi, ma soltanto con il concorde consenso di tutte le classi della Nazione. Oggi i due Parlamenti della Duplice Monarchia sono ben !ungi dal formare un nucleo concorde e compatto pronto a seguire e a votare i fondi necessari per una politica d'avventure. Sull'Ungheria poi -e parrà strano date le qualità cavalleresche delle sue razze -gl'intrighi del partito militare hanno nessuna presa. L'articolo qui annesso del -Pesti Hirlap -1 , è una prova degli sforzi che il partito militare va facendo per conquistare questa pubblica opinione come di ciò è prova anche il tentativo fatto di acquistarsi il favore del partito del signor Justh nel Parlamento ungherese. Ma l'Ungheria reagisce contro questi intrighi e come il signor Justh dà querela ai giornali che hanno data pubblicità a quel tentativo, così la Nazione, in Parlamento per mezzo di uno dei suoi più illustri oratori, il conte Alberto Appo

nyi, nella stampa con articoli del genere di quello del Neues Poster Journal qui annesso, tiene a far conoscere che essa non è disposta a seguire i fautori di una politica di classe, di avventure.

Il generale Conrad si è ritirato dalla lotta, ma i suoi seguaci non hanno perduto completamente la speranza di giorni, dal loro punto di vista, migliori. Il conte d' Aehrenthal interprete della parte assennata e moderata è rimasto, ma seri i pericoli tuttora lo minacciano. Tuttavia nella Duplice Monarchia tre grandi forze restano a salvaguardia del paese contro la politica di avventure, e sono: il vecchio imperatore, i due Parlamenti e la Nazione ungherese.

518 1 Non si pubblicano gli allegati.

519

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO E SOFIA

T. 5762. Roma, 9 dicembre 1911, ore 0,30.

(Per Belgrado) Suo telegramma n. 99 1 .

(Per gli altri) Mio telegramma n. 57632 .

(Per Parigi) e telegramma di V.E. n. 80P.

(Per tutti) Questo incaricato d'affari di Serbia m'informa che il console generale di Serbia a Salonicco ha fatto sapere al suo Governo che agenti austriaci cercherebbero di raccogliere firme nella popolazione macedone per una petizione da dirigersi alle Potenze allo scopo di chiedere che l'Austria-Ungheria riceva il mandato di ristabilire l'ordine in Macedonia. I membri del Comitato locale sarebbero agitati per il timore che il Governo austro-ungarico prenda pretesto dai pochi attentati commessi in Macedonia, per un'azione diplomatica o d'altra natura. Si afferma pure che l'organizzazione bulgaro-macedone sarebbe in relazione con taluni circoli politici di Austria-Ungheria. Il console serbo a Salonicco pretende aver avuto questa informazione da quel suo collega di Russia.

(Per Pietroburgo e Vienna) Senza parlarne a codesto Governo, prego VE. di dirimi la sua impressione circa tale notizia, che pare a prima vista inverosimile4 .

2 T. dell'8 dicembre, col quale si trasmetteva il telegramma di cui alla nota l.

3 T. 7818/801 dell'8 dicembre, non pubblicato.

4 Le risposte non sono state rinvenute.

Intanto ho risposto all'incaricato d'affari di Serbia che il Governo austriaco desidera la pace e il mantenimento dello statu quo territoriale nella penisola balcanica e che perciò se agenti che diconsi o sono creduti austriaci agiscono nel modo indicato dal console serbo a Salonicco l'azione loro non risponde alle vedute del Governo austriaco.

519 1 T. 7788/99 del 7 dicembre, non pubblicato.

520

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO SEGRETO 7865/807. Parigi, 9 dicembre 1911, ore 15,30 (per. ore 18,50).

Il principe Fuad parte 12 corrente per Cairo. Mi ha ripetuto che è disposto inviare un suo fidatissimo emissario al capo dei senussi per persuaderlo ad esserci favorevole però Fuad dice che questo suo passo compromettente per lui deve essere tenuto segretissimo. Egli desidererebbe essere in rapporti diretti con me per mezzo di Grimani salvo poi a me di tenerti informato segretamente. Egli dice che al suo emissario occorrerà dare una somma per le spese di viaggio e chiede un'altra somma nel caso riesca nella sua missione. Al capo dei senussi bisognerebbe assicurare poi un assegno per qualche anno. Principe Faud domanda fino a qual cifra può spingersi per ciascuno di queste tre cose ed attende che io gli porti una risposta prima della sua partenza 1 .

521

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7884/81. Parigi, 9 dicembre 1911, ore 21,45 (per. ore 1,45 del 10).

Ho avuto oggi con Sazonoff lungo amichevole colloquio del quale riferisco soltanto le parti importanti.

Circa blocco Dardanelli, egli ha detto che è lieto che la questione si sia potuta [...]' in modo da mostrare che la Russia non voleva fare cosa sgradita all'Italia, ma solo impedire alla Turchia di collocare mine o affondare navi vecchie per ostacolare navigazione. Circa questione Stretti mi ha detto che certamente come noi ben sappiamo preoccupa la Russia; però Tcharykoff sollevandola esplicitamente a Costantinopoli ha agito senza istruzioni ed inoltre ha commesso un errore. Infatti è inutile andarne a parlare alla Turchia senza essersi assicurati le Potenze, perché la Turchia riparerà certamente dietro quella che ha interesse opposto alla Russia. Sazonoff crede che la questione degli Stretti debba essere trattata dalla Russia prima di vedere (sic) colle Potenze e dopo ottenuto l'assenso di queste presentata alla Turchia in forma che non ammetta replica. Ma non è cosa che potrà risolversi rapidamente poiché vede bene che l'intesa con tutte le Potenze non sarà molto facile. Avendo io riportato il discorso sulla nostra eventuale azione puramente militare nei Dardanelli, Sazonoff ha convenuto meco pienamente che non debbasi ammettere in nessun modo un diritto acquisito di immunità alla Turchia ed ha anche convenuto essere utile che la Turchia creda e tema di essere sempre sotto la minaccia dell'azione italiana.

Sazonoff mi ha chiesto se noi intendiamo procedere a quest'azione militare nei Dardanelli. Gli ho risposto che non vi avevamo rinunziato; ma che naturalmente questa sarebbe stata un'ultima ratio alla quale avremmo ricorso soltanto quando non ci fosse stato altro mezzo per indurla alla pace. Sazonoff mi ha risposto che quando avessimo dovuto fare ciò ci consigliava di metter prima le cose molto bene in chiaro a Vienna e Berlino.

Venendo ai Balcani Sazonoff mi ha detto che sapeva che io nutrivo l'aspirazione ideale ad una azione concorde austro-italo-russa. Che egli come aveva fatto ultimamente per l'insurrezione albanese era favorevole allo scambio di idee tra i tre Gabinetti in occasione di [... ]1 e situazione concreta. Però aveva poca fiducia nell'Austria perché gli constava che l 'ultima insurrezione albanese era stata sobillata dagli agenti austriaci dei quali ora gli era stato segnalata la propaganda in Macedonia. Quanto ho esposto risponde pienamente a quanto V.E. mi ha significato con i suoi telegrammi nn. 5725 e 5745 2 .

Il telegramma di Avama riferitomi dall'E.V. con telegramma n. 57683, mi pare che sia diretto contro la proposta di Imperiali, ma non valga contro l'ordine

2 TT. del 7 dicembre, non pubblicati.

3 T. dell'S dicembre, col quale si trasmetteva il T. 7814 del 7 dicembre, del quale si pubblica il seguente brano: «lo credo ... che la conclusione di un accordo a tre non sia desiderabile da parte nostra e che nostro accordo segreto del 1909 con l'Austria-Ungheria dall'un lato ed i nostri buoni rapporti con la Russia dall'altro, siano per il momento la migliore garanzia dei nostri interessi nella penisola balcanica».

539 d'idee da me esposte perché io non ho parlato mai di un nuovo accordo scritto a tre ma soltanto dell'opportunità di procurare da parte nostra che il sorgere di nuove situazioni nei Balcani non produca dissidi tra Austria-Ungheria Russia e Italia e che le tre Potenze possano procedere concordi. Il colloquio si è svolto in modo da non menomare il prestigio di Melegari come questi ha per un momento temuto.

520 1 Per la risposta cfr. n. 523.

521 1 Gruppo indecifrato.

522

IL MINISTRO A L' AJA, SALLIER DE LA TOUR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 577/260. L 'Aja, 9 dicembre 1911 (per. il 14).

Qualora avessi avuto alcunché da comunicare all'E. V. non avrei certamente tralasciato di tosto far seguire un rapporto ai miei telegrammi nn. 32, 33 e 34 del 23, 24 e 29 novembre scorso 1 , relativi ai passi fatti da questo ministro degli affari esteri presso varie cancellerie allo scopo di assicurarsi l'appoggio delle Grandi Potenze per far gradire dai due belligeranti un'eventuale offerta di buoni uffici da parte del Governo olandese, onde trovare un terreno d'intesa per far cessare lo stato di guerra fra l'Italia e la Turchia. Ma sino ad oggi non mi risulta che la questione abbia progredito di un passo.

Fui indotto a telegrafare per la prima volta, in proposito, aii'E.V. da qualche frase vaga di questo ministro degli affari esteri, il quale, in occasione di uno dei soliti ricevimenti diplomatici, espresse, con parole di molta simpatia verso l 'Italia, il voto di veder presto cessare lo stato di guerra fra l'Italia e la Turchia, aggiungendo che, a suo avviso, alla diplomazia europea, e non a quella degli Stati Uniti d'America sempre pronta a mettersi in evidenza, dovrebbe spettare il vanto di trovare un terreno d'intesa fra i due belligeranti. A queste parole io non diedi, sul momento, grande importanza e mi limitai a rispondere che il mondo intero doveva essere persuaso, dopo le così chiare ed esplicite dichiarazioni di V.E., del nostro buon diritto e nello stesso tempo delle concilianti intenzioni del R. Governo, sempre pronto a trattare, naturalmente sulla base del riconoscimento dell'assoluta sovranità dell'Italia sulla Tripolitania e sulla Cirenaica. Ma, dopo

540 qualche giorno, il mio collega di Francia avendomi detto confidenzialmente constargli che il signor van Swinderen stava facendo delle pratiche per assicurarsi l'appoggio delle Grandi Potenze in vista di far accettare la sua offerta di buoni uffici, credetti mio dovere di informare di ciò l'E.V. col mio primo telegramma del 23 novembre n. 32, seguito l'indomani dal telegramma n. 33, col quale informavo l'E.V. del colloquio avvenuto in proposito tra il signor De Selves e l'ambasciatore di Germania a Parigi, informazione che mi era pervenuta dalla stessa fonte, cioè da questa legazione di Francia.

Come riferii poi, col mio telegramma del 29 novembre n. 34, questo ministro di Francia, su mia domanda, precisò meglio, sempre confidenzialmente, le sue precedenti informazioni facendomi conoscere che era stato in occasione del passaggio da Parigi del signor van Swinderen, ai primi dello scorso novembre, che questi aveva intrattenuto verbalmente dell'argomento il signor De Selves, il quale aveva allora mostrato di prendere l'idea di questo ministro degli affari esteri molto più sul serio di quanto risultava ora dal suo colloquio con l'ambasciatore di Germania e dalle sue parole con S.E. il senatore Tittoni.

Da allora nulla più seppi in proposito, ma, -da quanto precede, come dal tono di scoraggiamento col quale questo ministro degli affari esteri si espresse meco sulla situazione, deplorando amaramente che le invidie e le diffidenze esistenti tra una Nazione e l'altra a Costantinopoli, i giuochi d'influenze e la preoccupazione egoistica di non danneggiare i propri interessi, che caratterizzano la politica delle Grandi Potenze a Costantinopoli, impedissero a queste di tenere alla Porta il linguaggio forte e risoluto che dovrebbe indurla alla pace, -risulta in modo evidente che le buone intenzioni del signor Swinderen non trovarono grande incoraggiamento da parte dei Gabinetti delle Grandi Potenze e specialmente da parte del Governo inglese, il quale ha dovuto influenzare nel senso contrario il signor De Selves, che da principio erasi mostrato piuttosto favorevole all'iniziativa del Governo olandese.

Devo aggiungere che, naturalmente, io sempre evitai accuratamente, nei miei rari colloqui con questo ministro degli affari esteri, di sollevare di proposito tale argomento, non volendo trovarmi nel caso di dovere, senza istruzioni dell'E.V., incoraggiare, né scoraggiare tale sua iniziativa. E ciò tanto più che, sino dal principio, mi ero fatto la persuasione che mancava al signor van Swinderen un'idea concreta, una base qualsiasi sulla quale intavolare tentativi di mediazione; e che, se era da escludersi assolutamente in questa sua iniziativa ogni idea di ambizione personale, e pur essendo innegabile il suo sincero desiderio di veder cessata la guerra e la sua profonda simpatia per l'Italia, il movente principalissimo che lo aveva indotto a far dei passi in tale senso era il desiderio di veder partire la prima parola di pace dall' Aja, ove si tennero le due conferenze della pace ed ove ha sede la Corte permanente d'arbitrato.

522 1 T. 7302/32 e T. 7509/34, non pubblicati, il T. 33 non risulta nel registro dei telegrammi in arrivo.

523

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO SEGRETO 5809. Roma, 10 dicembre 1911, ore 12,45.

Telegramma di V.E. n. 8071• Approvo. Autorizzo somma che V.E. concorderà con il principe Fuad. Informo GrimanF.

524

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 7922/198. Atene, 11 dicembre 1911, ore 1,20 (per. ore 15,10).

Questo ministro degli affari esteri mi ha comunicato confidenzialmente ieri l'altro che giusta un telegramma del console ellenico a Smime autorità ottomane avevano ordinato espulsione italiani dalle piazzeforti Impero entro cinque giorni. Il mio collega di Germania opina che l'espulsione non si deve ascrivere a scopo rappresaglia o provocazione e sia invece misura di ordine militare in relazione con preparativi difesa di dette piazze. Provvedimento sarebbe inoltre destinato tranquillizzare opinione pubblica eccitata dai recenti attentati Turchia europea; esso non sarebbe eccezionale visto che tra gli altri esempi venne adottato anche nella guerra franco-germanica. Ministro di Germania crede che in pratica esso non sarà rigorosamente applicato e che in ogni modo non escluderà spostamento degli italiani verso località pros~ime alla loro residenza senza obbligo abbandonare Turchia. Ho risposto al collega, col quale per la vecchia amicizia uso franco parlare, essere assai dubbio che una simile interpretazione dei fatti venga accolta dalla opinione pubblica italiana ed essere anche temibile che qualche nemico della Triplice Alleanza faccia risalire parte responsabilità agli incaricati tutela dei nostri interessi in Turchia. Ho osservato che se la misura fosse di carattere militare sarebbe stata presa ben prima dalla Sublime Porta e che se questa fosse in buona fede dovrebbe togliere di mezzo e non accrescere sospetti sulla nostra connivenza negli attentati bulgari. Ho soggiunto che il precedente franco-germanico non era applicabile alle peculiari condizioni della guerra i tal o-turca ed a quelle della Turchia e che quanto alle limitazioni dell' espulsione ed alla attenzione dei danni da essa derivanti queste avevano ben poca impor

523 1 Cfr. n. 520. 2 Con T. 5810, pari data, non pubblicato.

tanza di fronte impressione morale che la misura in se stessa avrebbe inevitabilmente prodotto. Ho concluso augurandomi che il suo ed analoghi modi di vedere sulla questione trovino seguace la nostra opinione pubblica, ma ho pronosticato che se il provvedimento venisse considerato come sfida, qual esso apparisce essere, noi sapremmo raccoglierla e farla pagare cara. Mio collega replicò che certamente il barone Marschall deve aver fatto il possibile per scongiurare come già altra volta espulsione italiani, ma che se non vi è riuscito ciò si deve attribuire soltanto alla forza soverchiante della corrente anti -italiana a Costantinopoli.

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. segreto 5835. Roma, 11 dicembre 1911, ore 14,30.

Decifri ella stesso. Faccio seguito al mio telegramma n. [5825]1. Prima di decidere se convenga che VE. parli con codesto Governo nel senso delle seguenti considerazioni, pregola telegrafarmi il suo parere2 . È superfluo ripetere che il R. Governo è favorevole alla rinnovazione della Triplice Alleanza e solamente si deve esaminare se conviene procedervi subito o aspettare la fine della guerra o una fase ulteriore di essa. Da un lato la salute e l'età dell'imperatore Francesco Giuseppe consigliano di affrettarla, ma altre gravi ragioni consigliano di indugiare. Il segreto è difficile mantenere e il rinnovare l'alleanza nel momento in cui l'opinione pubblica italiana prova risentimento contro gli alleati da cui crede che l'Italia incontri oggi più inciampi che aiuti, potrebbe nuocere all'efficacia vera dell'allenza, la quale in Italia ha bisogno del consenso nazionale per essere veramente effettiva come il R. Governo sinceramente la desidera e la vuole applicare. Ma ciò che soprattutto mi preoccupa è il timore che la rinnovazione in questo momento possa alienarci le simpatie della Francia e della Russia e renderei meno

favorevole il contegno riservato del Governo inglese che da una frazione ininfluente del partito liberale è continuamente spinta ad appoggiare la Turchia contro di noi. Da ciò potrebbero venire a noi grandi difficoltà specialmente per quanto si

riferisce alla importantissima questione dei prestiti alla Turchia ed alla introduzione di ufficiali turchi e di contrabbando di guerra in Tripolitania e Cirenaica attraverso l'Egitto e la Tunisia.

Noi non potremmo dunque esporci a tali inconvenienti senza assicurarci il modo di compensarne gli effetti, tanto mercé la nuova redazione degli articoli 9° e l oo e le cresciute guarentigie degli accordi balcanici tra Italia ed Austria, quanto col concordare l 'attitudine di entrambi gli alleati nelle ulteriori fasi della guerra i tal oturca, nelle trattative di pace, e nella ipotesi che operazioni navali nostre ai Dardanelli ed altrove si rendano necessari. Noi non abbiamo alcun desiderio di compierle, anzi desideriamo vivamente di evitarle ma potrebbero esserci imposte o da atti della Turchia contro i nostri connazionali o dall'utilità o necessità di porre fine alla guerra, che una attitudine meno favorevole dell'attuale verso di noi da parte dell'Inghilterra, Francia e Russia potrebbe rendere più lunga e per noi più sanguinosa e più costosa.

La Nazione italiana è decisa a tutto per conseguire il suo fine e non abbiamo per conto nostro alcuna fretta di porre fine alla guerra, anzi la posizione dell'Italia nel mondo sarà tanto più elevata e forte quanto maggiore sarà la prova di tenacia che avrà saputo dare. E la darà. Ma i nostri alleati che al pari di noi, desiderano la statuquo territoriale balcanico e non vogliono complicazioni europee pericolose debbono ricordare che la eventuale rapida e breve estensione delle operazioni navali, se riuscisse a porre fine alla guerra italo-turca, costituirebbe per la pace generale un pericolo molto minore che la continuazione della guerra attuale sino alla primavera e all'avvicinarsi di essa.

Noi desideriamo vivamente, lo ripeto, evitare le complicazioni internazionali, ma siamo decisi ad affrontarle anziché far concessioni sulla estensione piena e completa della sovranità italiana alla Tripolitania e Cirenaica, la quale è un fatto compiuto ed a qualunque costo irrevocabile.

525 1 Integrazione del numero sulla base della copia dell'ambasciata a Berlino. Nel T. segreto 5825 del l O dicembre, non pubblicato, di San Giuliano invitava Pansa a temporeggiare. 2 Cfr. nn. 528 e 530.

526

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 7937/810. Vienna, Il dicembre 1911, ore 18,50 (per. ore 20,15).

Telegramma n. 5743 1 . Sono lieto di constatare che i rr. ambasciatori a Parigi ed a Pietroburgo concordano con me nel riconoscere non essere per noi opportuno in questi momenti di adoperarci per la conclusione di una intesa a tre fra l'Italia Austria-Ungheria e Russia concernente gli affari balcanici. In merito considerazioni di quei miei colleghi mi permetto sottoporre a V.E. le osservazioni seguenti.

l) Come Tittoni io sono stato favorevole all'intesa a tre all'annessione della Bosnia -Erzegovina perché preesistendo l'accordo austro-russo noi non potevamo aspirare a niente di meglio che ad essere ammessi a partecipare ad esso. Ma ora l'accordo austro-russo è rotto e noi abbiamo un accordo segreto a due coll'AustriaUngheria che ci garantisce su tutti i punti e non abbiamo certo motivo di dubitare pel momento che esso non sarà lealmente applicato dalla Monarchia.

Da quando l'accordo segreto del 1909 è stato stipulato io ho sempre ritenuto che l'intesa a tre sarebbe non solo superflua ma meno vantaggiosa per noi del regime attuale. Del resto grandi per non dire insormontabili sarebbero le difficoltà [ ...]2 per precisare tale intesa a tre siccome lo dimostrai ali'E.V. con lettera particolare del 26 agosto u.s. 3 , giacché l'Austria-Ungheria non sarebbe disposta ad ammettere il principio su cui l'intesa stessa dovrebbe essere basata e che è propugnato dalla Russia, quello cioè dello sviluppo normale e pacifico degli Stati balcanici sulla base di nazionalità: tale principio che Aehrenthal ha sempre rifiutato finora riconoscere essendo in aperta contraddizione con la politica della Monarchia.

2) Il pericolo temuto da Melegari che Austria-Ungheria e Russia sotto [...]4 necessità del momento si intendano all'infuori di noi sulle questioni balcaniche fu sempre da me segnalato per l'addietro a più riprese all'E.V. ed ai suoi predecessori. Tal pericolo era realmente da temere prima dell'accordo segreto fra noi e l'AustriaUngheria e fu questo uno dei motivi che mi determinò a rappresentare a Tittoni nel gennaio 1909 la necessità di entrare in negoziati con l'Austria-Ungheria, i quali condussero nel dicembre di quell'anno alla conclusione dell'accordo stesso. Ma il detto accordo ci assicura ora la nostra partecipazione ad ogni intesa che intervenisse tra l'Austria-Ungheria e la Russia e la portata di esso non può venir menomamente modificata dal fatto che noi siamo in guerra con la Turchia.

Consento interamente con V.E. circa l'estrema delicatezza della nostra attuale situazione. Mentre è opportuno che noi manteniamo i più amichevoli rapporti con la Russia, è indispensabile che evitiamo però tutto ciò che può sollevare qua ingiustificati sospetti. Non conviene dimenticare che, se noi abbiamo considerato e considereremmo con una certa diffidenza l'eventualità che la Russia e l'Austria-Ungheria si intendessero all'infuori di noi, uguale diffidenza noi abbiamo qua suscitato specialmente nel periodo che precedette la morte improvvisa del conte Mouravieff ed al momento della visita dello czar a Racconigi in cui si sospettò che noi avessimo concluso o stessimo per concludere con la Russia un accordo a cui la Monarchia sarebbe rimasta estranea. Non è certo nel nostro interesse siccome giustamente osserva V.E. di far nascere nel momento attuale nuove diffidenze in Austria-Ungheria col nostro contegno di fronte alla Russia ma di continuare per contro ad intrattenere sempre leali fiduciosi intimi e cordiali rapporti colla Monarchia.

3 Non rinvenuta.

4 Gruppo indecifrato.

526 1 T. del 7 dicembre, non pubblicato.

526 2 Gruppo indecifrato.

527

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 7967/223. Il Cairo, 12 dicembre 1911, ore 14 (per. ore 19,15).

Decifri ella stessa. Mio telegramma 222 1 . Avvocato Bigiavi ha saputo dal direttore del Lewa che questo era stato avvicinato da Insabato che aveva iniziato con lui trattative valendosi mio nome e dicendosi con me d'accordo. Fatto è certo perché il Bigiavi me ne ha parlato spontaneamente chiedendomi se io avevo incaricato passo. È superfluo dire che secondo le istruzioni di V.E. non ho alcun rapporto con Insabato. Contro altro italiano che in momento così difficile si fosse permesso esporre me ed agenzia avrei preso immediatamente misure di rigore ma data posizione Insabato debbo !imitarmi segnalare all'E. V. accaduto. Simili inframmettenze inqualificabili, costituiscono grave pericolo e possono compromettere irrimediabilmente me ed agenzia diplomatica nel paese e di fronte autorità locali. Prego V.E. considerare che solo a patto di massima circospezione posso mantenere di fronte Governo locale ed alle nostre colonie autorità e prestigio malgrado scarsa anzianità carriera mentre in siffatte condizioni responsabilità che tengo per la benevola fiducia dell'E.V. e del R. Governo divengono insostenibili non potendo io rispondere che degli atti miei personali. Confido ricevere assicurazione da R. Governo che mi garantisca contro ripetersi simili indelicati pericolosi abusi mio nome e millantati rapporti con r. agenzia.

528

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO 7974/336. Berlino, 12 dicembre 1911, ore 20,26 (per. ore 21,45).

Telegramma di V.E. n. 5825 1• Ammesso in principio che un anticipato rinnovamento di un trattato di alleanza sia consigliato dall'età dell'imperatore Francesco Giuseppe, panni che agli inconvenienti dall'E.V. accennati possano opporsi le seguenti considerazioni: l) l'attesa della fine o di una fase decisiva della guerra potrebbe portarci troppo in lungo. 2) Il segreto se strettamente osservato dai tre Gabinetti, potrà essere abbastanza assicurato e quando anche ne trapelasse nel pubblico qualche vaga nozione, l'effetto non dovrebbe esserne troppo pericoloso, né

528 1 Si tratta in tutta evidenza del T. 5835 (cfr. n. 525). Sul T. 5825 cfr. n. 525, nota l.

rispetto alle altre Potenze, trattandosi di un atto già generalmente previsto e scontato nella opinione pubblica; 3) circa l'articolo settimo del Trattato di Alleanza mi riferisco alla mia lettera a V.E. del 24 settembre2 che esponeva i motivi per i quali una aggiunta ad hoc per gli effetti del protocollo austro-turco del 1909 non sarebbe indispensabile; e quanto ad una sostanziale modificazione dell'articolo stesso riguardo alla questione dei compensi territoriali credo che ciò sarebbe impraticabile; 4) per la nuova redazione dell'articolo 9° e 10° potremo cercare che essa sia combinata in termini implicanti di fatto un riconoscimento anticipato del nostro decreto di annessione ed ho motivo di credere che calcolando appunto sull'assoluto segreto da osservarsi ?3 non farà a ciò troppa difficoltà avendo egli perfettamente compreso che su quello non v'è a ritornare.

Indipendentemente da quanto precede credo del resto che non vi sia a preoccuparsi per un eccessiva rapidità di questi negoziati che nel miglior caso richiederanno parecchie settimane prima giungere a definitiva conclusione sicché sarebbe inutile il farci innanzi fin d'ora con obiezioni o condizioni preventive che potrebbero produrre non favorevole impressione. Già Kiderlen-Waechter osservò a Szogyeny [ ...] 4 ([...]4 che lo informava della conversazione avuta con me) che io non gli avevo più parlato della Triplice Allenza. Nel [ ... ]4 Kiderlen-Waechter, stimai opportuno perciò di dirgli incidentalmente che a Roma si era in questi giorni interamente assorbiti dalla preoccupazione della guerra che non lasciava tempo di pensare ad altro. Kiderlen-Waechter avrà probabilmente preparato il suo progetto per gli articoli 9° e l oo prima di partire in congedo il 17 prossimo. Il progetto sarà in tal caso presentato a V.E. da Jagow ed ella potrebbe anche all'occorrenza riservarsi di parlarne a Kiderlen-Waechter personalmente quando egli venisse a Roma.

Io farò il possibile per mantener vivo il progetto di Kiderlen-Waechter di fare le visite entro la prima metà di gennaio, ma mi permetto raccomandare a V.E. di voler tener per ora la cosa assolutamente segreta e prevenire in proposito ogni indiscrezione che potrebbe nuocere.

527 1 T. 7987/222, pari data, non pubblicato.

529

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

FOGLIO RISERVATO PERSONALE 1921 1 . Roma, 12 dicembre 1911 2.

Ho ricevuto la copia del telegramma del r. ambasciatore a Vienna, in data 11 corrente, relativo al contrabbando di guerra attraverso la frontiera tunisina3•

3 Il punto interrogativo è del decifratore.

4 Gruppo indecifrato.

2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

3 T. 7933/812, non pubblicato.

Mentre ringrazio l'E.V. per la comunicazione delle disposizioni date al riguardo alla r. ambasciata a Parigi ed al r. consolato di Tunisi, mi onoro assicurare che si sta disponendo appunto per l'occupazione di Zuara, sulla cui opportunità

V.E. insiste.

Sono però del parere che detta comunicazione non possa servire ad impedire il contrabbando che soltanto per la via più vicina al mare, almeno per ora.

528 2 Cfr. n. 205.

529 1 Risponde al foglio 271 dell'li dicembre, non pubblicato.

530

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO 8020/821. Vienna, 13 dicembre 1911, ore 23,50 (per. ore 3,50 del 14).

Telegramma di V.E. 58351 .

Tenute presenti tutte le considerazioni svolte dalla E.V., ritengo che per noi sia preferibile il rimandare il rinnovamento formale della Triplice Alleanza a quando avremo fatto la pace con la Turchia. Certo se nel frattempo l 'imperatore Francesco Giuseppe venisse a morire ed il conte Aehrenthal dovesse ritirarsi, il rinnovamento potrebbe presentare qualche difficoltà. Ma credo che si riuscirebbe ugualmente a concluderla soprattutto perché la Germania si è molto interessata e cercherebbe di influire ove fosse necessario sull'arciduca Francesco Ferdinando. Per contro se rinnovassimo subito il trattato ci esporremo agli inconvenienti segnalati da V.E. e potrebbe darsi forse che le stesse potenze alleate, sicure del fatto loro, mettessero

meno buon volere a facilitarci la conclusione della pace con la Turchia. E non conviene dimenticare che anche il dissenso tra noi e l'Austria circa l'interpretazione dell'articolo VII del Trattato relativamente alle nostre eventuali operazioni navali nell'Egeo, potrebbe venire aggravato qualora queste fossero da noi riconosciute necessarie. Finalmente è bene di avere presente l'indiscrezione commessa a Berlino quando fu rinnovata la Triplice Alleanza nel 1902, per non farci soverchie illusioni circa eventuali promesse di tenere segreto il futuro rinnovamento. In ogni modo però anche se il R. Governo credesse di procedere al rinnovamento immediato dell'Allenza, credo che sarebbe pericolosissimo il volerlo subordinare a più precisi accordi circa l'attitudine degli altri due alleati nelle ulteriori fasi della guerra con la Turchia. Intavolare una discussione su tale argomento, significherebbe sollevare un vespaio, suscitare mille sospetti, dare adito ad ogni specie di supposizioni ed anche di pretese per parte dell'Austria-Ungheria, la quale, dopo la nostra occupazione della Tripolitania e Cirenaica, che è vista da questa opinione pubblica con una certa gelosia per l'aumento di territorio e di potenzialità che ne conseguirà l'Italia, e dopo gli acquisti

territoriali fatti dalla Germania Francia e Spagna, non può che vagheggiare nell'intimo dell'animo suo l'idea di realizzare le sue aspirazioni orientali, ove bene inteso le se ne offrisse il destro e d'altra parte come è bene noto alla E.V., Aehrenthal ritiene che ogni estensione del teatro della guerra da parte nostra, anziché facilitare, renderà più difficile il ristabilimento della pace che finirà coll'imporsi alla Turchia stessa col tempo e col procedere delle nostre operazioni militari in Tripolitania e Cirenaica. Ma anche volendo procrastinare il rinnovamento formale dell'alleanza io riterrei che ci convenga di non dire le ragioni, almeno qui a Vienna dove Aehrenthal è molto sospettoso e suscettibile e si trova alle prese con elementi a noi ostili. Sarebbe invece possibile di fare comprendere il nostro desiderio di aspettare la fine della guerra per rinnovare il trattato al Governo tedesco che è molto interessato al rinnovamento e che mi sembra essersi mostrato sinora più condiscendente verso di noi. Si potrebbe con la Germania accennare come ragione dell'indugio lo stato dell'opinione pubblica nei tre paesi dove polemiche di stampa non giustificate da ragioni fondate hanno alquanto inasprito gli animi e le divergenze con l'AustriaUngheria circa l'interpretazione dell'articolo sette2 .

530 1 Cfr. n. 525.

531

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3119/1380. Parigi, 13 dicembre 1911 (per. il 19).

Ho avuto una lunga conversazione con questo ambasciatore di Austria-Ungheria, conte Szécsen. Prendendo occasione dall'impressione riportata dall'onorevole Sanjust nel suo soggiorno a Vienna che, tranne il Governo, tutte le classi e tutti gli ambienti sono colà a noi ostili, ho chiesto al conte Szécsen se a lui constava che le cose fossero a tal punto e che cosa ne pensasse. Il conte Szécsen, dopo aver fatto rilevare come l'attitudine del conte di Aehrenthal sia stata fin da principio e sia costantemente rimasta a noi favorevole, ciò che io mi sono affrettato a confermare e riconoscere, mi ha detto che effettivamente l'impresa tripolina, per un complesso di ragioni che sono su per giù quelle di cui si sono visti gli effetti in altri paesi, è impopolarissima a Vienna e dà luogo nei giornali, nelle riunioni e nelle conversazioni a giudizi sfavorevoli per l'Italia. Si giudica un atto di forza brutale non giustificato dal punto di vista del diritto ed al quale l'opinione pubblica estera non era preparata. Si teme per le ripercussioni che potrà avere nella Turchia d'Europa, si è irritati per l'influenza sfavorevole che ha nel campo finanziario ledendo così una quantità d'interessi, ed in fondo poi il conte Szécsen riconosce che c'è quella gelosia

che tutti i popoli hanno per le imprese degli altri e che io, egli ha detto, rilevai opportunamente nel mio discorso alla Camera di Commercio italiana e della quale si videro gli effetti in Italia al tempo della occupazione della Bosnia-Erzegovina. Su questo punto davvero il conte Szécsen ha avuto buon giuoco, ricordando come durante tre mesi l'Austria in tutti i giornali italiani, in tutte le pubbliche riunioni, in tutte le assemblee politiche ed amministrative fu ingiuriata e vilipesa in tutti i modi. Eppure allora si trattava di una questione puramente nominale, poiché l'Austria già da un pezzo aveva il pieno dominio nella Bosnia-Erzegovina e non ruppe mai i rapporti diplomatici colla Turchia. Il Governo italiano tenne coraggiosamente fronte alla tempesta nel paese, affrontò energicamente la discussione in Parlamento, vinse nel voto, ed i rapporti con l'Austria dopo poco tempo tornarono amichevoli ed intimi come prima. Ora bisogna aver pazienza e lasciare sfogare l'opinione pubblica austriaca. Anzi è forse questo, secondo lui, il modo più sicuro perché quella tomi più presto ad apprezzare le cose con maggior calma e serenità. Perciò, se fosse possibile, sarebbe desiderabile che i giornali italiani non tenessero accesa la polemica coi giornali austriaci.

Io ho risposto che questo era un chiedere un po' troppo ai giornali italiani e che per ottenere ciò da essi bisogna almeno che i giornali più seri di Vienna e di Budapest avessero avuto per l'Italia parole di simpatia e d'amicizia che certamente in Italia sarebbero state rilevate e benissimo accolte. Szécsen mi ha detto che capitandogli da scrivere ad Aehrenthal avrebbe volentieri richiamata la sua attenzione su questo punto. Qui si sarebbero presentate spontanee varie domande: rimarrà Aehrenthal ministro? Chi gli succederà e con quale politica? Quale politica avrà l'arciduca ereditario che oggi per la sua futura ascensione al trono si presenta come un'incognita piena di minacce e di pericoli per la pace? Naturalmente nessuna di queste domande io poteva rivolgere al conte Szécsen e quindi la conversazione non ha avuto altro seguito.

Però a proposito dei nostri rapporti coll'Austria-Ungheria devo far rilevare a VE. che essi sono esposti ad un pericolo duplice. Un pericolo viene dall'Austria stessa ed è quello cui ho accennato. Ma un altro pericolo viene dall'Italia. Il partito nazionalista rumoroso, audace, inorgoglito dalla convinzione che ha (a torto, ma poco importa) di essere esso l'autore della spedizione di Tripoli, convinzione che cerca in tutti i modi di far dividere dal paese, dice chiaramente che Tripoli deve segnare il cambiamento radicale della politica estera in Italia e che alla guerra d'Africa deve seguire quella coll'Austria. Guai se questa idea dovesse prevalere ed il paese dovesse lanciarsi in una simile avventura! Io credo che un grande compito incomberà sul Governo quando ne sarà giunto il momento: quello di mettere seriamente argine a questo movimento, di dichiarare apertamente al paese ed all'Europa tutta che, condotta a termine l'impresa tripolina, l'Italia riprende la sua politica pacifica e che la guerra coll'Austria non intende farla e non la farà. E qui mi fermo per non andare troppo oltre. Di ciò si potrà riparlare quando sapremo in quali condizioni si tratterà il rinnovamento della Triplice Alleanza e soprattutto quando prima di dette trattative e prima della fine dell'impresa di Tripoli nulla sia avvenuto nella penisola balcanica.

530 2 Per la risposta cfr. n. 533.

532

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8034/830. Parigi, 14 dicembre 1911, ore 14,45 (per. ore 18,35).

Ho avuto una lunga conversazione col ministro della guerra Messimy. Egli mi ha detto che in Consiglio dei ministri ha appoggiato le domande dell'Italia circa la repressione del contrabbando alla frontiera tripolo-tunisina. Però ha soggiunto insistendo molto che è indispensabile che l'Italia non lasci questo compito interamente alla Francia ma faccia anche essa qualche cosa per coadiuvarla. Messimy dice che per andare dalla Tunisia in Tripolitania vi è una sola strada lungo il mare. Ora se l'Italia occupasse sollecitamente la costa tra Zuara ed il confine tunisino e stabilisse presso questo un forte presidio il quale sorvegliasse la frontiera fino a cinquanta chilometri di distanza dalla costa, il contrabbando diverrebbe impossibile. Ministro ha concluso: «Più tarderete a far ciò e maggiori saranno le difficoltà che incontrerete più tardi nella vostra avanzata».

Messimy dice che se alcuni ufficiali italiani volessero studiare i metodi adottati dalla Francia per cattivarsi le tribù arabe non sottomesse e che hanno fatto fino ad ora buonissima prova, bisognerebbe mandarli non già in Tunisia, ed in Algeria ma all'estremo sud -algerino al confine del Marocco e del Sahara. Nel posto che i francesi hanno stabilito di fronte all'oasi di Figuig. Messimy dice che è spiacevole per l'Italia di non poter servirsi di truppe indigene specialmente per la questione sanitaria non ora ma nell'estate. In quella stagione al Marocco la mortalità delle truppe francesi è stata grandemente superiore a quella delle truppe indigene, algerine. Le malattie che hanno prevalso sono state la dissenteria e la febbre tifoide contro la quale ha fatto buona prova la vaccinazione preventiva.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 5942. Roma, 14 dicembre 1911, ore 23,30.

Telegramma di V.E. n. 821 1 . Trovo sagge le sue considerazioni. Conviene temporeggiare senza averne l'aria2 .

533 1 Cfr. n. 530. 2 Per il seguito cfr. n. 557.

534

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2563/676. Londra, 14 dicembre 1911 (per. il 26).

La mia attività e, confesso pure, il mio interesse essendo momentaneamente assorbiti in modo precipuo dalle vicende della nostra guerra con la Turchia, non ho avuto agio di riferire a V.E. sulla politica interna dell'Inghilterra.

Avvicinandosi però il termine della presente sessione parlamentare credo doveroso, per esattezza di corrispondenza, ragguagliare in modo sommario l'E.V. sulla situazione.

L'avvenimento più importante verificatosi negli ultimi tempi è stato il mutamento nella direzione del partito conservatore unionista in seguito al ritiro del signor Balfour.

Questo ritiro era prevedibile, come V.E. avrà potuto desumerlo da varii miei precedenti rapporti.

Il malcontento già da tempo serpeggiante nel partito contro l'ex primo ministro, acuito sensibilmente al punto d'assumere carattere di vera rivolta in occasione del Parliament Bill, non era, malgrado l'apparenza in contrario, scomparso al riprendere della vita parlamentare. L'istituzione da me segnalata dell'Halsbury Club era di ciò una prova manitèsta.

Fiutato il vento infido, Mr. Balfour, natura altera, indipendente, e dalle speculazioni filosofiche assai più che dalle lotte politiche attratta, ha scelto il momento opportuno, e senza preavviso ha fatto sapere un bel giorno che intendeva abbandonare la direzione del partito, pur rimanendo però al suo posto di deputato per partecipare, nella sessione futura, alla lotta più che mai violenta che si prepara contro il Governo.

L'annunzio della decisione del signor Balfour fu accolto con unanime rimpianto, da tutti, compresi i dissenzienti, riconoscendosi le qualità ed i meriti dell'eminente uomo di stato. E il rimpianto era anche maggiore in quanto, causa le rivalità e le ambizioni personali, non appariva facile, trovare un successore. l candidati più in vista erano il signor Austen Chamberlain, rappresentante le tendenze liberali unioniste, ed il signor Walter Long, esponente del vecchio classico torismo.

Fra tali due litiganti la designazione del partito è caduta su di un terzo, il signor Bonar Law, deputato di Bootle. E saggia ed opportuna già rivelasi tale scelta, il signor Bonar Law avendo mostrato di possedere i requisiti voluti per tenere con autorità ed efficacia la direzione del partito nelle future lotte parlamentari. Egli è uomo essenzialmente pratico: nel fatto è un vero e proprio businessman nel buon senso della parola: appartiene a ricca famiglia borghese di negozianti di ferro del nord dell'Inghilterra. Anche sotto questo aspetto la designazione di lui va notata come un indizio dei nuovi tempi, in quanto si discosta dalla vecchia tradizione, m

omaggio alla quale il leader dei conservatori nei Comuni era di famiglia aristocratica. Quasi presagio di future vittorie, la nomina del signor Bonar Law, ha coinciso con eclatanti successi in tre elezioni parziali. In due di esse i conservatori hanno strappato il collegio ai liberali; nella terza quella di lord Robert Cecil, hanno veduto sensibilmente crescere la loro maggioranza. Delle qualità del nuovo leader, dal punto di vista dell'oratoria e della tattica parlamentare, si sono avute pure prove assai soddisfacenti nelle avvenute discussioni sul tanto controverso Insurance Bill (ne ho riferito con separato rapporto) e specialmente in quelle sulla politica estera. Il discorso pronunciato in quell'occasione dal signor Bonar La w è stato con unanime consenso giudicato eccellente per tatto, moderazione, prudenza e senso di opportunità. Il plauso è tanto maggiore in quanto era la prima volta che egli prendeva la parola in materia di politica estera.

Malgrado le replicate categoriche smentite, vi sono fondati motivi di prevedere che il ritiro del signor Balfour sarà, a scadenza più o meno breve, seguito da quello del marchese di Lansdowne. Il quale, sia per le non ottime condizioni di salute, sia per un'alto sentimento di solidarietà col signor Balfour, sia finalmente per le non poche amarezze cagionategli l'estate scorsa dai lords dissenzienti nella discussione del Parliament Bill, ha, a quanto mi si riferisce, annunziato ai suoi intimi la irrevocabile decisione di rientrare nella vita privata alla prima propizia occasione.

Anche nei lords l'eventuale ritiro del marchese di Lansdowne, che, come VE. sa, gode il rispetto, anzi la venerazione universale, darà luogo ad imbarazzi per la scelta del successore. Analogamente alla situazione dei Comuni, gli aspiranti più notevoli sono il conte Curzon ex vicerè delle Indie, ed il conte Selborne, già primo lord dell'Ammiragliato e poi governatore generale del Transvaal. Lord Curzon rappresentò nelle vicende del Parliament Bill le tendenze propugnanti l'astensione e magari il voto in favore, pur d'impedire la nomina dei cinquecento pari. Lord Selborne fu con lord Halsbury l'anima dei die harders.

Il carattere angoloso, il fare altezzoso ed autoritario, i modi bruschi e moderatamente cortesi di lord Curzon gli hanno sollevato un cumulo di antipatie personali, e fanno ritenere assai dubbio che la scelta del partito possa ricadere sulla sua persona. D'altra parte i lords moderati non hanno ancora dimenticato il contegno violentemente, aggressivamente intransigente di lord Selborne. Appare quindi poco probabile che essi consentano ad averlo per capo. La opportunità di un tertium gaudens fra i due litiganti si fa pertanto imperiosamente sentire in questa occasione. Questo terzo sarebbe, a quanto si vocifera lord Grey, tornato da poche settimane dal Canada dove ha con grande successo esercitato per quattro anni le delicate funzioni di governatore generale.

Col mutamento di direzione il partito conservatore, incoraggiato pure dai successi ottenuti nelle elezioni parziali, si prepara, come ho già detto, a dare aspra battaglia al Governo nella sessione prossima, e, contrariamente a quanto avveniva mesi fa, comincia ad essere animato da speranze di non troppo lontane vittorie.

Sul fondamento reale di tali speranze non è il caso di entrare qui in discussione, ed ancora meno di arrischiarsi in pronostici. Certo è però che la posizione del Governo dopo la grande vittoria riportata nella lotta contro i lords, appare in oggi alquanto meno solida di quello che era al termine della sessione estiva. I motivi di tale fatto sono vari e molteplici. Non starò a ripeterli avendovi accennato già in un precedente rapporto.

Né, a consolidare la posizione del Governo, può avere contribuito l'ora approvato Insurance Bill che come lo ho già riferito, risulta decisamente impopolare. Ciò per il presente. Quanto al futuro si prevedono per il Governo difficoltà, né poche, né lievi, da superare, prima di aver condotti a porto i tre Bills destinati a formare la base essenziale del prossimo lavoro parlamentare nella seguente sessione. L'Home Rule, l'allargamento del suffragio sul sistema dello One Man one vote ed il Welsh disestablishement sono problemi ardui, complessi, assi controversi, il cui passaggio non incontra uguale e concorde il favore e le simpatie delle tre frazioni in cui si compone la maggioranza ministeriale. Nella frazione più moderata del partito liberale, si comincia a trovare ad esempio che il signor Asquith, spintovi dai suoi colleghi, ed amici radicali, accenna a discostarsi troppo dal liberalismo classico, per avviarsi sempre più verso un pericolosissimo radico-socialismo, che incute spavento nelle classi dell'agiata borghesia, tra le cui fila sono stati finora principalmente reclutati i liberali moderati. Avremo, se questi dissensi si andranno accentuando e cristallizzando, una nuova secessione nel partito liberale, sul tipo di quella che, auspice il marchese di Hartington e Mr. Chamberlain, fece cadere l'ultimo Gabinetto Gladstone? È una domanda, questa, meramente ipotetica, alla quale, per non trovare essa al momento alcun sostegno in fatti e nemmeno in indizii, sarebbe ridicolo il volere improvvisare una risposta. La menziono soltanto perché la ho sentita più di una volta formulare in colloqui privati con persone serie. Certo è che le vedute dei radicali estremi in molte questioni, non possono non urtare i principi professati da coloro che nel Parlamento seguono gloriose tradizioni del liberalismo inglese. «Se Gladstone vivesse tuttora» -mi diceva giorni fa un eminente parlamentare -«sarebbe alla lettera inorridito per le condizioni in cui è ridotto oggi, e per fatalità di eventi si ridurrà ancor di più in futuro, il nostro partito».

Ma il dissenso che in fatto di politica interna è soltanto incipiente, e latente, fra i liberali moderati e gli estremi radicali e i labouristi, si è manifestato invece accentuato, nelle questioni di politica estera, circa le quali, entro e fuori il Parlamento, non sono state dai radicali risparmiate vivaci, amare critiche contro la politica del Governo, ed in modo speciale contro l'eminente uomo di Stato che la dirige. In nome di idee preconcette, di quell'incorreggibile dottrinarismo cui inspiransi le vedute dei radicali inglesi e di altri paesi, si è rimproverato a sir Edward Grey di non fare una politica estera liberale, di seguire invece pedissequamente le tradizioni e le direttive dei conservatori, di considerare gli affari esteri come una specie di monopolio sottratto quasi del tutto al controllo ed all'azione del Parlamento.

La politica estera inglese, secondo questi signori, dovrebbe avere oggi un solo scopo, quello cioè di giungere ad ogni costo ad una intesa con la Germania, sacrificando, se occorre, l'Entente cordiale con la Francia, e quella ad essi assai più ingrata ed invisa, con la Russia. E come se ciò non bastasse, i dottrinarii radicali, col contegno assunto in occasione della guerra, avrebbero preteso l'intervento del Governo britannico a favore della Turchia, anche a rischio di compromettere in modo irreparabile l'amicizia coll'Italia, unica Nazione al mondo che per cinquant'anni ha mostrato, in ogni circostanza, di nutrire per l'Inghilterra un affetto sentimentale tanto intenso da resistere anche a varie dure prove, nel corso delle quali il popolo italiano ha generosamente preferito di non accorgersi che tale sentimento fu sempre, più o meno, unilaterale. Per fortuna le insistenti pressioni e la morbosa agitazione dei radicali non hanno trovato seguito né nel Parlamento né nel Paese in generale. La grande maggioranza del quale ha mostrato di approvare pienamente la politica del Governo negli affari del Marocco, in quelli di Persia e nella guerra i tal o-turca.

Per quanto ci concerne più direttamente, il contegno della grandissima maggioranza dei lords e dei Comuni, specie nel campo conservatore, ha dimostrato chiaramente che qui, non per motivi di platonico sentimentalismo sul quale non è prudente fare affidamento, ma di primario interesse politico, si è capito quale grave errore sarebbe il dare retta alle declamazioni dei radicali, la cui insigne malafede non potrà e non dovrà mai essere dimenticata dagl'italiani.

Nel deplorare e condannare in termini non ambigui le escandescenze e la mancanza di qualsiasi senno politico di questi signori, il vecchio Mr. Chamberlain che con tanta veemenza è insieme, col valoroso maresciallo lord Roberts, uscito in campo a prendere le nostre difese, mi faceva giorni orsono osservare, che non dovevano meravigliarci le stolte e bugiarde accuse contro soldati stranieri da parte di persone che non esitarono, durante la guerra boera, a dire assai di più ed assai peggio a carico dei soldati del loro paese. L'osservazione dell'eminente uomo di Stato è giusta, ma non mi induce, nello scrivere a V.E., a ritirare l'accusa di malafede dianzi formulata. Che, se in vera buona fede fossero stati tutti coloro che con tanta precipitazione si affrettarono a denigrarci, un dovere di elementare onestà avrebbe dovuto spingerli a denunciare con pari indegnazione le vere, positive, ultra provate atrocità di cui furono vittime i nostri valorosi soldati; ciò che essi si sono accuratamente astenuti dal fare. E poiché mi trovo in argomento non posso non debbo dissimulare a V.E. la mediocre impressione cagionatami dalla risposta data al deputato signor Mason dal segretario di Stato per gli affari esteri. Il quale, applicando con la rigidità che gli è propria, il principio della neutralità e del non intervento, spingendolo anzi ai limiti estremi, non ha trovato una sola parola implicante una discriminazione, che in omaggio alla scrupolosa verità pure s'imponeva, tra l'Italia, nazione altamente civile e la Turchia, di cui, nella medesima Camera dei Comuni, con tanta frequenza, si ebbero a stigmatizzare in passato, e sotto il vecchio e nuovo regime, i massacri ed atrocità di ogni genere in Armenia, Macedonia Bulgaria eccetera eccetera.

Io mi rendo pienamente conto dei motivi di varia indole, cioè esigenze parlamentari, desiderio generale di non urtare il sentimento musulmano, specie causa presenza del re nelle Indie, che hanno ispirato il linguaggio estremamente riservato e circospetto di lui. Non ignoro nemmeno l'azione con successo esercitata dal Governo sui suoi aderenti per distoglierli dal parlare della questione di Tripoli, ma tirando le somme, e giudicando obbiettivamente la questione dal punto di vista dei riguardi dovuti al sentimento degli italiani, debbo riconoscere che l'In

ghilterra si è fatta sfuggire una occasione che forse non troverà mai più, di assicurarsi per molti e molti anni a venire, la riconoscente amicizia del popolo italiano, che, nei giorni futuri, avrebbe ricollegate le simpatie britanniche dell'oggi con quelle ancora fra noi vivide prodigateci cinquanta anni orsono. Ma questo è affare dell'Inghilterra. Per quanto ci riguarda, starei per dire che, praticamente, interessatamente parlando, dovremmo avere motivi di compiacerci di questo perfettamente ma altrettanto freddamente corretto contegno, perché esso, mentre non ci ha sollevato finora difficoltà od imbarazzo di sorta nella nostra azione, anzi ci è stato in sostanza favorevole, ci esonera, per la forma col quale si è esplicato, da qualsiasi obbligo di riconoscenza e lascia perfettamente liberi i nostri movimenti quando, siccome auguro con tutto il fervore patriottico, avremo condotta felicemente a termine questa impresa, divenuta a poco a poco sempre più ardua, ma che contribuirà, in modo sensibile, a rilevare il morale del nostro Paese, a dargli coscienza del proprio valore ed a dimostrare al mondo i progressi tangibili dell'Italia moderna. La quale potrà a pace conclusa, senza vanteria e con sicura coscienza, affermare di avere materialmente e moralmente preso sul serio il posto che le spetta tra le Grandi Potenze di Europa. E l'avere superate e bene tante difficoltà, da soli e senza alcun valido appoggio di alleati e di amici, circondati anzi dall'indifferenza se non dalla malevolenza generale, non potrà, come ho scritto più volte fin dall'inizio della guerra, non rendere assai più importante e 1 significativo ed in Italia ed all'estero, il successo finale della nostra azione nella questione della Tripolitania e della Cirenaica, che abbiamo tenacemente voluto e saputo risolvere a nostro favore, ed a gloria imperitura del re e del popolo italiano.

535

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8092/339. Berlino, 15 dicembre 1911, ore 17,10 (per. ore 18,05).

Kiderlen-Waechter mi ha detto che questo ministro dei Paesi Bassi, ritornando sul noto progetto di circa un mese fa, gli ha comunicato l'intenzione del suo Governo di promuovere un componimento fra l'Italia e la Turchia mediante un invito a mandare qualche loro delegato all'Aja. Kiderlen-Waechter gli ha risposto non vedere troppo la possibilità in questo momento di una transazione fra i belligeranti per quanto il Governo germanico sia naturalmente sempre disposto seguire con simpatia qualunque tentativo a favore della pace.

534 1 Il documento reca per errore il.

536

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8045/236. Pietroburgo, 15 dicembre 1911, ore 22,15 (per. ore 2,10 del 16).

In una lunga conversazione che ho avuto oggi con Sassonoff egli mi parlò subito del colloquio avuto a Parigi con Tittoni e si mostrò particolarmente preoccupato della possibilità ammessa da quest'ultimo di una nostra azione contro Costantinopoli non nascondendo che essa avrebbe dovunque provocato una viva agitazione specialmente in Austria-Ungheria e in Germania e che, se non il Governo, almeno l'opinione pubblica russa ne sarebbe rimasta molto impressionata. Gli ho risposto che una nostra azione navale al di là degli Stretti se non era da escludersi completamente figurava ancora fra le eventualità. Ciò che importa ora anzitutto era evitare che Turchia potesse credersi invulnerabile nelle parti sue più vitali, ciò che costituirebbe per la Russia e per la Europa una fonte di complicazioni e difficoltà per l'avvenire e per noi un danno immediato.

Passando alla nostra campagna in Tripolitania e Cirenaica, Sassonoff manifestò parere che, senza troppo occuparsi della soluzione giuridica della questione, Italia dovesse occuparsi completare sua occupazione vincendo le resistenze degli araboturchi che egli non credeva potrebbero durare a lungo. Assai più allarmanti credeva potrebbero invece essere conseguenze della nostra guerra sulla situazione dei Balcani quando durasse fino alla primavera. Il maggior pericolo consisteva, a suo avviso, in un'azione dell'Austria-Ungheria in Albania intesa a realizzare suo disegno di un'autonomia, sotto protettorato austriaco, dell'Albania (?) 1• Osservò davanti una azione dell'Austria-Ungheria in Macedonia la Russia non potrebbe rimanere inattiva, un'azione di lei in Albania, che la Russia ha sempre considerato al di fuori della sua zona di interessi, la colpirebbe assai meno sensibilmente di quanto colpirebbe l'Italia. Da ciò grande interesse per l'Italia di conchiudere la pace al più presto.

Sassonoff riconosceva però che di fronte al grave pericolo di una continuazione della guerra fino a primavera tutte le Potenze dovrebbero accordarsi per fare una pressione sulla Turchia per richiamarla ad una più esatta coscienza della realtà delle cose, essere cioè provincie africane definitivamente perdute per lei e dovere quindi rassegnarsi alla pace. Avendogli io chiesto chi potrebbe prendere iniziativa di una tale azione, Sassonoff riconobbe essere difficile trovarlo, potendo ricadere sul suo autore i rancori dei turchi: soggiunse però che, a sua avviso, questa iniziativa potrebbe partire dalla Francia, di tutte le Potenze politicamente la più indipendente di fronte alla Turchia e che ha poi su di lei il grande ascendente di tenere i cordoni

della borsa. A colmare il baratro immenso del deficit ottomano, molto maggiore di quanto generalmente si crede, può solo contribuire danaro francese. Nella disperata sua situazione finanziaria, davanti a cui ritiro dei fondi disponibili dell'ultimo imprestito ed altri espedienti non rappresentano che palliativi di poca durata, Turchia dovrà forzatamente ricorrere ad essa. E Sassonoff, che ha relazioni a Parigi coi finanzieri francesi, ne ebbe assicurazioni che non presteranno danari alla Turchia che quando concludesse la pace.

In ultimo Sassonoff mi ha chiesto informazioni sulle nostre condizioni di pace. Gli ho risposto che esse erano chiaramente indicate dal nostro decreto di annessione. Avendomi allora domandato se avremmo acconsentito al mantenimento di un vincolo religioso ho risposto che sul principio della guerra Governo italiano erasi mostrato disposto ad accordare quanto in proposito era stipulato nell'accordo austro-turco del 1909, ma che non sapeva se tale disposizione perdurava tuttora2 .

536 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

537

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. SEGRETO 5964. Roma, 16 dicembre 1911, ore 0,20.

Decifri ella stesso. Ho ricevuto la lettera particolare di V.E. annunziatami col telegramma n. 3381• Mentre mi riservo di risponderle le sarei grato di farmi conoscere per mia norma le sue impressioni sui seguenti quattro punti: l) se le cose dettele da Kiderlen-Waechter possono essere considerate come delle entrature per tastare il terreno e conoscere il nostro preciso pensiero per una soluzione sulle basi vagamente accennate; 2) se si può ritenere che le idee espresse da Kiderlen-Waechter a V.E. siano già note a Costantinopoli in modo da poter far ritenere a codesto ministero degli affari esteri che su quelle basi sia possibile aprire una discussione; 3) se il non aver ella accennato al ritiro degli ufficiali e soldati turchi dipenda dal ritenere evidentemente implicita tale condizione; 4) se allo stesso motivo debba attribuirsi il non aver ella fatto menzione del ritorno allo stato quo ante bellum per le capitolazioni, poste, scuole, dazi doganali eccetera2 .

2 Per la risposta cfr. n. 539.

536 2 Per il seguito cfr. nn. 547 e 548.

537 1 Non rinvenuti.

538

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8111/342. Berlino, 16 dicembre 1991, ore 4,40 1.

Kiderlen-Waechter mi ha nuovamente confermato il suo desiderio di visitare

V.E. -in Roma. Egli partirà il 20 per Wiirttemberg e mi domanda quando sarebbe a V.E. -più gradito di riceverlo entro la prima metà di gennaio; al che risposi ritenere che V.E. sarebbe sempre visitabile in quei giorni. Kiderlen-Waechter mi chiese pure se anch'io mi troverei allora in Roma. Gli risposi, come è vero, che mi era proposto di domandarle un breve licenza per le feste di Natale dovendomi trovar qui per ricevimento dell'imperatore al capo d'anno ma che qualora egli lo ritenesse opportuno avrei invece potuto recarmi a Roma con lui nel gennaio. Rimanemmo però entrambi in [ ... ]2 se la nostra simultanea presenza costì non si sarebbe prestata ad esagerate interpretazioni della stampa. Attenderò quindi di conoscere in proposito pensiero di V.E. Per il caso che V.E. avesse qualche cosa da fargli dire, avverto che sarò a pranzo da lui martedì, vigilia sua partenza da Berlino3 .
539

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8110/343. Berlino, 16 dicembre 1911, ore 18,30 (per. ore 20,05).

Rispondo ai quesiti esposti nel telegramma di V.E. n. 69541 circa il noto progetto. l) Avendone riparlato ieri a Kiderlen-Waechter (solo per dirgli che ne aveva scritto a V.E.) egli mi confermò trattarsi di una idea sua allo stato nebbioso ma da studiarsi più da vicino quando ne fosse ammesso il principio. 2) Alla domanda da me postagli se di quella idea fosse informato Marschall o se essa forse provenisse da lui, Kiderlen-Waechter rispose negativamente. 3) Dal nostro primo colloquio risultava implicita in genere la cessazione delle ostilità e quindi a parer mio il ritorno degli ufficiali e soldati turchi, sebbene di questo punto non facessimo espressa menzione. 4) Così non si è parlato tassativamente delle capitolazioni ma solo in genere del ristabilimento di condizioni normali per le nostre colonie ed il commercio.

2 Gruppo indecifrato.

3 Per la risposta cfr. n. 540.

Come l'ho accennato nella mia lettera particolare2 ho voluto anzitutto conoscere le prime impressioni di V.E. e mi sono astenuto dall'entrare con Kiderlen-Waechter in troppi particolari tanto più avendo l'impressione che egli stesso non vi fosse ancora preparato. Ma se V.E. mi vi autorizza potrei prima della sua partenza sentire più precisamente quali sarebbero le sue proposte per porre V.E. in grado di trattame eventualmente con lui in Roma3 .

538 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

539 1 Errore di decifrazione. Si tratta in tutta evidenza del T. 5964 (cfr. n. 537).

540

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 5985. Roma, 16 dicembre 1911, ore 24.

Suo telegramma n. 3421 . Sarò lietissimo di vedere Kiderlen-Waechter in qualunque momento. Quando la data precisa della sua venuta sarà conosciuta vedremo se convenga o non simultanea presenza di V.E. in Roma.

541

IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. SEGRETO 59891. Roma, 17 dicembre 1911, ore 12.

Decifri ella stessa. Suo telegramma n. 3432 . Parmi evidente che per poter esaminare la idea espressale da Kiderlen-Waechter siano indispensabili le condizioni seguenti: l) ritiro degli ufficiali e soldati turchi dalla Tripolitania e Cirenaica. 2) Guarentigie che non ne saranno mandati altri e non sarà dato dalla Turchia alcun altro aiuto alla resistenza araba. 3) Certezza di riconoscimento dell'annessione da parte delle Grandi Potenze. 4) Ristabilimento in Turchia dello statu quo ante bellum in quanto alle capitolazioni, dazi doganali, poste, scuole e tutto il resto.

Senza queste condizioni la soluzione proposta da Kiderlen-Waechter sarebbe a tutto danno dell'Italia ed a vantaggio esclusivo della Turchia, poiché, liberando

3 Per la risposta cfr. n. 541.

2 Cfr. n. 539.

questa da spese danni timori e pericoli ed i neutri dai doveri della neutralità, intensificherebbe e prolungherebbe la resistenza turco-araba in Tripolitania e Cirenaica. Ciò premesso è certo opportuno che prima della partenza di Kiderlen-Waechter da Berlino V.E. cerchi di sentire più precisamente quali sarebbero le sue proposte.

539 2 Non rinvenuta.

540 1 Cfr. n. 538.

541 1 Minuta autografa.

542

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 8128/90. Bucarest, 17 dicembre 1911, ore 17,05 (per. ore 18,10).

Telegramma di V.E. n. 5981 1 .

Quanto disse Stancioff a S.E. Tittoni circa i rapporti rumeno-bulgari è esatto. Qui si segue con diffidenza condotta bulgara ed i più autorevoli personaggi ufficiali rumeni dichiarano francamente che se la Bulgaria attaccasse Turchia la Rumania sosterrebbe quest'ultima e attaccacherebbe a sua volta la Bulgaria. Solo autorevole

uomo politico rumeno partigiano d'una politica di intesa colla Bulgaria è il Carpentaria2 opposizione conservatore democratico. Anche il nuovo ministro di Rumania costì è favorevole intesa colla Bulgaria e colla Russia e perciò appunto è stato traslocato da Sofia.

Del resto politica estera è qui regolata esclusivamente dal re il quale terrà sempre Rumania strettamente legata alla Germania ed all'Austria-Ungheria.

Anche qui si temono complicazioni nei Balcani in primavera specialmente se per quell'epoca non sarà terminata guerra italo-turca e si è fermamente decisi non lasciar modificare statu quo penisola balcanica senza partecipazione Rumania.

543

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 8150/841. Vienna, 18 dicembre 1911, ore 4,10 (per. ore 18).

Telegramma V.E. n. 5786, 5925 1 .

2 Così nel documento per errore di decifrazione. Si intende, presumibilmente, capo.

Le accurate indagini da me fatte in via riservata mi hanno confermato nell'opinione manifestata nei miei telegrammi 527, 77F e mi fanno quindi escludere che abbia potuto intervenire tra Austria-Ungheria e Bulgaria accordo segreto per una spartizione eventuale della Macedonia.

Di uguale parere sono pure miei colleghi di Russia e Germania. Essi riconoscono con me che tale accordo sarebbe in aperta contraddizione colla politica pacifista che tanto imperatore quanto Aehrenthal intendono seguire nei Balcani e non posso perciò ammettere che l'Austria-Ungheria voglia crearsi in questo momento nuove complicazioni che resulterebbero inevitabilmente da quegli accordi di fronte ai quali la Russia non potrebbe certo restare inattiva senza compromettere gravemente suoi interessi in Macedonia che essa considera compresa nella sfera dei propri interessi.

Certamente Aehrenthal non può non stare in vedetta e seguire con occhio vigile gli eventi che potrebbero prodursi nei Balcani per approfittarne in quella circostanza però speciale già da me segnalata a V.E. con gli anteriori miei telegrammi.

Ma non è da credere che egli voglia avventurarsi possibilmente in questo momento in un'eventuale azione in Macedonia per il fine sopra indicato tanto più che tutto porta a ritenere che la Germania stessa gli farebbe intendere di non dar seguito a quell'azione non potendo questo corrispondere nelle presenti circostanze ai suoi interessi.

È innegabile però che la visita fatta da re Ferdinando all'imperatore avvenuta a quanto si afferma dietro invito, ha aperto il campo in questi circoli diplomatici ai più svariati commenti per il fatto specialmente che il conte di Aehrenthal, parlando di essa con me e con i miei colleghi di Russia e Germania, si è tenuto ai termini generali. Ed è questo suo contegno che fa nascere qualche sospetto nell'ambasciatore di Russia che si domanda perché Aehrenthal, che non può ignorare i commenti suddetti, non abbia cercato con franca ed esplicita dichiarazione sia direttamente con lui, sia presso il Governo russo per mezzo dell'ambasciata d'Austria-Ungheria in Pietroburgo, a tagliar corto a quel commento per ogni diffidenza.

Ma, nonostante ciò, non è inverosimile supporre che il ministro imperiale e reale, che è piuttosto preoccupato per gli eventi che potrebbero prodursi nella prossima primavera nei Balcani, abbia pregato l'imperatore di parlare di persona al re Ferdinando per avere da un lato la conferma delle sue disposizioni pacifiche e raccomandargli dall'altro con l'autorità che ha su di lui di evitare qualsiasi cosa che possa provocare complicazioni.

Ed infatti qualora Austria-Ungheria che può già contare sul contegno corretto della Rumania fosse sicura di far un uguale assegnamento pure su quello della Bulgaria essa potrebbe più facilmente [adoperarsi Pcol concorso delle altre Potenze,

ad ovviare ai pericoli che fossero per minacciare lo statu quo nei Balcani che è suo interesse precipuo di mantenere in questo momento.

542 1 T. del 16 dicembre, che trasmetteva il T. 8036 del 14, non pubblicato.

543 1 TT. rispettivamente del 9 e del 14 dicembre, non pubblicati.

543 2 T. 5683/527 del 13 ottobre e T. riservatissimo personale 7728/771 del 5 dicembre, non pubblicati. 3 Integrazione sulla base del registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

544

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8163/843. Parigi, 18 dicembre 1911, ore 21,17 (per. ore 23,55).

Mangano scrive da Tunisi che a suo avviso solo l'occupazione del litorale tra Zuara ed il confine tunisino metta fina al contrabbando il quale è favorito da circostanze locali malgrado le istruzioni del Governo francese. Occorrerà però che a Zuara si formi un centro di parecchie migliaia di uomini per poter inviare colonne lungo la frontiera e sorvegliare il passo di Ben Garden dove il contrabbando è più facile. Mangano dice che la conseguenza della nostra occupazione di Ain Zara e del litorale fino a frontiera tripoli-tunisina sarà che i turchi per comunicare colla Tripolitania non avranno che una sola via: quella che per Foum Tatahouine passa la frontiera Adeibat. Ora a Adeibat sono di guarniggione soldati francesi i quali non hanno interesse come i soldati musulmani di Ben Garden a chiudere un occhio sui loro correligionari ed oltre a ciò per andare Adeibat bisogna passare dalle piazze di Medenine e Foum Tatahouine le quali sono comandate dal colonnello Fouché ufficiale attivo intelligente scrupoloso e molto amico dell'Italia. Conclusione di tutto ciò è che è assolutamente indispensabile che insieme a Zuara si occupi tutto il litorale fino a frontiera tripoli-tunisina e che una guarniggione italiana numerosa si stabilisca di fronte a Ben Garden. Ciò è indispensabile non solo per frenare seriamente il contrabbando turco, ma per impedire che la questione del contrabbando turco turbi i rapporti tra Francia e Italia e crei a Tunisi uno stato di ostilità tra la colonia italiana e le autorità francesi le quali si mostrano molto irritate per le notizie che [da] Tunisi sono state inviate ai giornali italiani e tra le quali se ve ne sono alcune vere ve ne sono anche varie del tutto infondate.

545

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 8191/617. Londra, 19 dicembre 1911, ore 16,42 (per. ore 21).

Casse! che ho veduto testé mi ha manifestato suo vivo compiacimento per linea di condotta da noi adottata la quale ha ritenuto sola veramente giovevole ai nostri interessi perché mentre ci pone riparo complicazioni con altre Potenze non può non contribuire a persuadere Turchia della necessità far pace le probabilità della quale cominciano apparirgli meno remote. In via di segreto mi ha confidato a riguardo che Giavid bey è già convertito oramai alla causa della pace. Casse! spera che al momento opportuno da ambo parti si mostrerà spirito di conciliazione pace sembrandogli desiderabile oltreché per la Turchia anche per l'Italia in vista situazione balcanica che lo preoccupa. Secondo Casse! pericolo principale non viene dai piccoli Stati quanto soprattutto dall'Austria. Ho risposto ripetendo a Casse l che a parte questione sovranità sulla quale noi non possiamo assolutamente e per alcuna considerazione transigere, le nostre disposizioni sul resto, sono concilianti, mantenimento consolidamento Turchia rappresentando per noi primario interesse politico. In conclusione ho detto che sarei lieto se le prime aperture di pace giungessero per tramite suo. Ha risposto al momento opportuno farà, quale amico sincero dei due Paesi, possibile per cooperare favorevole soluzione.

546

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, PARIGI E VIENNA E ALLA LEGAZIONE A SOFIA 1

T. GAB. RISERVATISSIMO 6049. Roma, 20 dicembre 1911, ore 18,45.

Da persona dimorante a Costantinopoli, che ha attinenze con personaggi altolocati di quella capitale, mi è stato sottomesso, a titolo di semplice informazione personale, un prospetto tendente a facilitare l'inizio delle trattative di pace colla Turchia. Poiché il Governo ottomano vi trova difficoltà per ragioni soprattutto d'ordine interno, di accettare formalmente l'annessione da noi proclamata della Tripolitania, esso potrebbe forse ricorrere all'espediente di dichiarare l'indipendenza del vilajet e la libertà degli arabi loro affidando la continuazione della lotta. Quindi ritirate le truppe turche, si aprirebbero le trattative di pace coll'Italia e non sarebbe fatta menzione né del nostro decreto di annessione né di un riconoscimento di esso da parte della Turchia.

(Per Sofia). Pregola farmi conoscere in proposito il suo parere e possibilmente anche quello di Marschall ma senza dirgli che il R. Governo ne è informato. (Per Berlino, Parigi e Vienna). Gradirò conoscere il modo di vedere dell'E.V. in merito a questo progetto2 .

2 Per le risposte cfr. nn. 552, 553, 563. Non è stata trovata nessuna risposta da Berlino. Si può supporre che Pansa, dovendosi recare a Roma, si fosse riservato di esprimere personalmente le sue idee al ministro.

546 1 Il telegramma a Sofia era indirizzato a Garbasso.

547

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8213/240. Pietroburgo, 20 dicembre 1911, ore 19,19 (per. ore 22,50).

Sazonoff mi disse oggi quanto segue: col regime ottomano Turchia non può né ora né poi sottoscrivere un trattato di pace con Italia che sarebbe la sua morte. Stato di guerra minaccia così di prolungarsi indefinitamente con grave rischio della pace d'Europa che sarà già nella prossima primavera seriamente compromessa dalle complicazioni che a motivo in gran parte della guerra stessa ritiene immancabili in Albania [che] 1 forse anche in Macedonia. In tale stato di cose Sazonoff si domanda se non sarebbe possibile giungere anche senza trattato di pace ad una situazione che nel mentre scarterebbe in grande parte i danni di una guerra equivarrebbe di fatto al riconoscimento della occupazione della Tripolitania e Cirenaica, beninteso sulle basi da noi volute. Questa soluzione che potrebbe eventualmente, dopo ottenuto assenso Italia, essere suggerita alla Subblime Porta dalle Potenze o da qualche Potenza consisterebbe, secondo Sazonoff, in un aggiustamento sulla base di un armistizio condizionato all'evacuazione dei militari della Tripolitania e Cirenaica ed eventualmente pure di qualche compenso materiale dell'Italia alla Turchia. Una tale soluzione dopo gli ultimi segnalati nostri successi militari nulla avrebbe di poco decoroso per noi: sulla questione poi dei compensi si troverebbe facilmente una formula che salvaguardasse nostro prestigio. La Turchia ritirerebbe la sue truppe dalla Tripolitania e Cirenaica sia per mare sia dalle frontiere Egitto, così che truppe italiane non avrebbero più che fare che con insurrezione arabi che dopo la defezione turchi sarebbe presto domata, mentre l'Italia eviterebbe la grave spesa dover tenere per molto tempo ancora sua flotta in assetto guerra. Ottenuto questo risultato Sazonoff crede sicuramente che Potenze non farebbero più difficoltà riconoscere definitivamente nostra annessione. Sazonoff mi ha dato quanto precede come sua idea personale che gli era venuta recentemente alla mente ma che non aveva ancora avuto tempo di studiare molto profondamente. Egli non aveva ancora scrutato in proposito disposizioni della Turchia e ne aveva solo accennate accademicamente in un colloquio con questo ambasciatore di Germania2 . Beninteso egli avrebbe favorevolmente accolto tutte le modificazioni o aggiunte che VE. avesse creduto eventualmente apportare a questa sua idea. Ho risposto Sazonoff che per parte mia non credevo potermi rifiutare portare a cognizione del R. Governo questo suo suggerimento ispirato senza dubbio a sentimenti simpatia verso noi ma non gli nascosi le gravi obiezioni che a parere mio avrebbe sollevato in Italia. Idea dell'armistizio era

stata già sollevata ai prim'ordi della guerra ma accolta da noi con scarso favore. Ed allora trattavasi di armistizio che avrebbe dovuto precedere immediatamente un trattato di pace mentre adesso opinione pubblica italiana difficilmente si sarebbe potuta rendere ragione di un armistizio senza pace. De pari la concessione compensi finanziari alla Turchia all'infuori di un trattato di pace sarebbe da noi apparsa poco decorosa. In generale sembravami che situazione anfibia da lui suggerita non ci avrebbe molto vantaggiato né dal punto di vista dei nostri futuri rapporti con Turchia né da quello dell'avvenire nostra colonia ed avrebbe inoltre nociuto al nostro prestigio intemazionale3 .

547 1 Integrazione del decifratore. 2 Cfr. GP, vol. XXX/l n. ll006; successivamente Sazonoff si espresse nello stesso senso con l'ambasciatore austro-ungarico: OeUA, vol. III, n. 3153.

548

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 8239/243. Pietroburgo, 21 dicembre 1911, ore 14,05 (per. ore 15).

Sassonoff suggestionato dal timore di serie complicazioni nella prossima primavera, appare molto desideroso assai più che non lo fosse Neratoff della cessazione stato di guerra fra l'Italia e Turchia e disposto cooperare efficacemente. Ed è perciò che, pur ammettendo impossibilità per parte nostra accogliere la sua proposta, riterrei forse opportuno che risposta di V.E., la quale al pari della proposta stessa di Sassonoti dovrebbe essere priva ogni carattere ufficiale, fosse concepita in modo lasciare margine ad ulteriore scambio di idee. Sintomatico sembrami fatto che Sassonoff abbia pel primo parlato della sua idea all'ambasciatore di Germania ciò che sembrerebbe dimostrare suo proposito di una previa intesa con Berlino. Ritengo ora una iniziativa russa germanica potrebbe essere molto opportuna e tale da raccogliere adesione di tutte altre Potenze mentre invece una iniziativa esclusivamente francese di cui mi parlò Sassonoff nel nostro colloquio1 potrebbe suscitare malumore dei nostri alleati ed avere sulla opinione pubblica italiana una assai pericolosa ripercussione2.

2 Per la risposta cfr. n. 550. Di un'iniziativa francese si tornò a parlare qualche giorno dopo. Così riferisce Melegari in un telegramma noto dalla copia che di San Giuliano inviò a Berlino, Londra, Parigi e Vienna e del quale si pubblica il seguente brano (T. segreto 6178 del 25 dicembre): «Aggiunsi però per parte mia quanto sarebbe a desiderarsi se a facilitare qualsiasi soluzione intesa alla cessazione delle ostilità turca concorresse pure Governo francese facendo ben comprendersi a Costantinopoli che, in caso di guerra continuata, la borsa francese resterebbe chiusa alla Turchia. Sassonoff mi disse condividere stesso parere egli aggiunse che si proponeva parlame subito con questo incaricato d'affari di Francia». Sul colloquio Sazonov-Panafieu (Pietroburgo, 25 dicembre) vedi DDF, serie III, t. I, n. 393.

547 3 Per il seguito cfr. n. 548.

548 1 Cfr. n. 536.

549

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. SEGRETO 6086. Roma, 22 dicembre 1911, ore 0,30.

La ringrazio del suo interessante rapporto del 16 corrente numero 14021 .

Se la guerra non durerà così lungamente da imporre al paese troppo gravi sacrifici di sangue e di denaro, credo che potremo dare alla Turchia un compenso pecuniario nella forma che si potrà facilmente concordare.

Credo pure che si potrà regolare la questione religiosa o in conformità all'articolo 4 della convenzione austro-turca del 26 febbraio 1909 o in quell'altra forma che si potrà escogitare e che non menomi la nostra piena ed intera sovranità politica, né sia fonte di continui attriti fra l'Italia e la Turchia.

Noi non siamo mai stati contrari a una soluzione di tal natura, ma soltanto abbiamo osservato che i poteri religiosi del califfo e la confusione esistente nella legge sacra tra affari civili ed affari religiosi rendeva pericolosa, data soprattutto la mentalità araba, quella sovranità nominale del sultano che, secondo l'avviso del signor Dupuy, avrebbe a quest'ora già assicurato la pace, mentre a noi contesta che, anche se noi avessimo potuto accettarla, la guerra durerebbe ancora.

550

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. SEGRETO 6085. Roma, 22 dicembre 1911, ore 0,45.

Suoi telegrammi riservatissimi nn. 240 1 e 243 2 . Non mi pare fondata l'osservazione di Sazonow che sottoscrivere trattato sarebbe morte Turchia. Essa sottoscrisse accordo 26 febbraio 1909 con Austria e tanto per perdita sovranità politica quanto per questione religiosa potrebbero studiarsi formule analoghe od altre idonee a salvaguardare suo amor proprio pur conseguendo nostro fine. Può anche studiarsi altra soluzione tendente a conseguire lo scopo propostosi da Sazonow, ma sempre a condizione del ritiro degli ufficiali e soldati turchi, del riconoscimento dell'annessione da parte delle Potenze e del ristabilimento dello statu quo ante bellum nella Turchia europea ed asiatica per le capitolazioni dazi doganali, poste scuole e tutto il resto. Ciò può farsi sia con trattato di pace sia in altri modi da esaminare. In massima siamo anche disposti a compensi pecuniari, ma trovo giusta l'osservazione di V.E. in proposito.

2 Cfr. n. 548.

Con tali guarentigie dico a V.E. per sua informazione personale e per accennarvi, se crede come idea sua, che forse si potrebbe evitare alla Turchia la necessità di riconoscere formalmente l'annessione come non ha mai riconosciuto quella dell'Algeria alla Francia e di Massaua all'Italia, né il protettorato francese alla Tunisia. In tutti questi casi però la mancanza di riconoscimento non ha recato alcun inconveniente alla Francia né nociuto sensibilmente ai rapporti franco-turchi, perché la Turchia non ebbe mai il proposito di contestare effettivamente il fatto compiuto, mentre, diverse essendo le sue attuali disposizioni nella questione tripolina, non gioverebbe né a noi, né alla Turchia, né alle Potenze, né alla pace generale la perpetuazione d'uno stato di permanente conflitto che, anche senza guerra guerreggiata, potrebbe produrre da un momento all'altro gravi e pericolose complicazioni internazionali.

549 1 R. 3156/1402, non pubblicato.

550 1 Cfr. n. 547.

551

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 8276/622. Londra, 22 dicembre 1911, ore 14,58 (per. ore 20).

Grey mi ha parlato ieri degli imbarazzi creategli in Parlamento da questione persiana. Malgrado ostinazione Parlamento ed assoluta mancanza tatto di Shuster, egli spera che affari prenderanno presto miglior piega. Accaduto dimostra esaurientemente importanza mantenimento intesa russo-inglese senza la quale a quest'ora i russi sarebbero già permanentemente a Teheran, Inghilterra si preparerebbe occupare provincie sud e fra i due Paesi sarebbe sorta tensione pericolosissima per pace europea.

Osservazione Grey circa vantaggio generale intesa anglo-russa mi pare fondata. Per quanto riguarda però indipendenza Persia è lecito osservare che tutti gli argomenti qui svolti in Parlamento per affermare rispetto indipendenza non valgono distruggere fatto innegabile che Persia si trova ora sotto vera e propria tutela due Stati posizione assunta dai quali rassomiglia alquanto storico condominio anglo-francese in Egitto.

552

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8293/853. Vienna, 22 dicembre 1911, ore 19,20 (per. ore 21,40).

Telegramma di V.E. 60491 . Mi sembra che per parte nostra non avremmo ragione di opporci a che la Turchia prima di iniziare i negoziati di pace con noi

568 dichiari indipendenza della Tripolitania e Cirenaica e ne ritiri le sue truppe regolari lasciando liberi gli arabi di accomodarsi con noi. Se noi iniziassimo i negoziati con Turchia potremmo stipulare benissimo il ristabilimento della pace e risolvere le altre questioni senza parlare più bene inteso della nostra sovranità in Tripolitania e Cirenaica questa essendo per noi un fatto compiuto dopo decreto annessione.

Questa soluzione potrebbe solo presentare qualche difficoltà di redazione quando si trattasse di fare alla Turchia le concessioni morali e materiali che essa desidera perché se Tripolitania e Cirenaica saranno messe come devono esserlo fuori causa le concessioni specialmente materiali non sembreranno più giustificate non potendo noi pagare alla Turchia somma né per indennità di guerra né per altro titolo di carattere generale. A tale proposito conviene osservare che il protocollo tra Austria-Ungheria e Turchia del 26 febbraio 1909 non ci può servire di modello in tutto perché se esso non contiene il riconoscimento dell'annessione da parte della Turchia contiene però il riconoscimento del nuovo stato di cose creato in BosniaErzegovina con la decisione dell'Austria-Ungheria che decretò l'annessione. Tale protocollo può tuttavia essere seguito da noi in alcune questioni speciali da regolare come per esempio in quella dei rapporti spirituali tra sultano come califfo e mussulmani della Tripolitania e Cirenaica.

552 1 Cfr. n. 546.

553

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8297/863. Parigi, 22 dicembre 1911, ore 23 (per. ore 2,30 del 23).

Parmi che Sassonoff con la sua proposta che è appena abbozzata e dovrebbe essere maggiormente studiata si avvicina molto al concetto manifestato nel telegramma di VE. 6049 1• Trovo giusta l'osservazione di Melegari che indennità dovrebbe essere rimandata alla pace definitiva non potendo un semplice armistizio giustificare il pagamento di una indennità. Però noi potremmo fin dalla stipulazione dell'armistizio convenire officiosamente con la Turchia la somma da pagarsi quando si stipulasse la pace. Non sono però d'accordo con Melegari quando, per respingere senz'altro la proposta di Sassonoff, dice che l'idea dell'armistizio già stata sollevata ai primordi della guerra non fu trovata accettabile dall'Italia. Allora si trattava di armistizio puro e semplice e noi come lo respingemmo allora dovremmo respingerlo oggi. Ma la proposta di Sassonoff è ben diversa poiché si tratta di armistizio con ritiro di tutte le truppe turche dalla Tripolitania ciò che è cosa ben diversa perché non è armistizio che lascia lo statu quo tra i belligeranti ma lo altera sensibilmente a favore. In conclusione a me sembra che la proposta Sassonoff non debba essere

553 Cfr. n. 546.

569 senz'altro respinta ma debba essere studiata in relazione anche alla proposta di cui al telegramma di V.E. 6049.

554

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8302. Bucarest, 23 dicembre 1911, ore 16,55 (per. ore 17,55).

Telegrammi di V.E. nn. 6106 e 6111 1 . Desiderio dell'Austria-Ungheria di giungere ad una intesa rumeno-bulgara non sembrami da escludere. Gravissima difficoltà sarebbe di trovar il terreno di intesa, date note aspirazioni bulgare in Macedonia e fermo proposito della Rumania di non lasciare che la Bulgaria ottenga nulla nei Balcani senza un adeguato compenso per essa. Confermo del resto che questo Governo è in completo strettissimo accordo coll'Austria-Ungheria e che in vista eventuali complicazioni dichiara di riservarsi piena libertà d'azione nei Balcani. Confermo pure che anche Governo rumeno teme che in primavera si verifichino dei disordini nella penisola balcanica nel caso in cui prima di allora non sia terminata la guerra italo-turca.

555

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RJSERVATISSIMO PERSONALE 8315/870. Parigi, 23 dicembre 1911, ore 19 (per. ore 21,15).

De Selves è pienamente d'accordo con V.E. circa l'opportunità anzi l'urgenza di fare conoscere al pubblico in modo molto chiaro che non esiste (?) 1 nessuna questione né di confini né di hinterland tripolino pubblicando che nell'accordo franco-italiano del 1902 si è stabilito di riconoscere come confine della Tripolitania quello risultante dalla Convenzione franco-inglese del 1899 ed anzi crede che insieme si potrebbe fare pubblicare la carta annessa al detto trattato che fu già pubblicata negli atti parlamentari francesi e che del resto è conforme a tutte le altre carte della Tripolitania recentemente pubblicate in Francia, Germania, Inghilterra e Italia.

554 1 TT. del 22 dicembre, con i quali si trasmettevano rispettivamente il T. 8230 e il T. 8237, entrambi del 21 dicembre, non pubblicati.

555 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

556

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO

T. UFF. COLONIALE S.N. Roma, 23 dicembre 1911, ore 21.

Nella notte dal 21 al 22 vi fu a Bengasi un atto nemico che fu respinto. A Tobruk il 22 i nostri furono vivamente attaccati e respinsero il nemico dopo sei ore combattimento.

557

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. SEGRETO 6151. Roma, 23 dicembre 1911, ore 21,40.

Questi ambasciatori di Austria-Ungheria e Germania mi hanno oggi comunicato il testo del progetto del nuovo trattato della Triplice Alleanza. Ad eccezione dei cambiamenti di date e di nomi, il progetto non contiene alcuna modificazione del trattato ora in vigore. Si propone invece la stipulazione di un protocollo addizionale, nel quale si stabilisca che «il est entendu que le statu quo visé par les articles IX et X du présent traité serait pour la Tripolitaine e la Cyrénai:que celui qui sera fixé d'après l'accorci futur entre l'Italie et la Turquie, et pour le Maroc, celui établi par les arrangements survenus entre les Puissances signataires de ce traité et la France au sujet de ce pays».

Per Vzenna soltanto: Prego telegrafarmi suo parere 1 .

558

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATISSIMO 6156. Roma, 24 dicembre 1911 1.

Suoi telegrammi nn. 857-862 2•

2 T. riservatissimo personale 8332/857 e T. 8319/862 del 23 dicembre, non pubblicati.

Più che la guerra turco-italiana la causa di possibili torbidi in Macedonia ed altrove è da ricercare nel pessimo regime dei giovani turchi. Ciò non esclude che sarebbe certo desiderabile finire la guerra prima della primavera, ma questo scopo non si raggiungerà se non se ne fanno sentire più vivamente alla Turchia i danni ed i pericoli, mentre finora, ora questa, ora quella potenza, hanno sempre cercato di attenuarli e di rassicurarla non vedendo i pericoli di tale sistema. Dico ciò per uso esclusivo di V.E. poiché non sembra che una discussione per quanto amichevole di questo argomento possa oggi condurre a risultati pratici.

557 1 Per la risposta cfr. n. 560. Si vedano anche GP, vol. XXX/2, n. 11250 e OeUA, vol. III, n. 3159.

558 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

559

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8361/358. Berlino, 25 dicembre 1911, ore 4,50 (per. ore 18,20).

Quest'ambasciatore di Turchia parlando con un mio collega si lagnò dell'attitudine secondo lui troppo favorevole delle Potenze e specialmente della Francia verso l 'Italia. Egli disse che la Turchia avrebbe resistito ad oltranza e che l 'Italia, quand'anche riuscisse a mantenersi in Tripolitania, vi avrebbe da combattere per settanta anni. Nizam prevede inevitabile grave complicazione nei Balcani a breve scadenza. Egli disse che l'Austria-Ungheria in previsione di ciò si adoperava ad una intesa non solo con la (?) 1 e la Romania e la Bulgaria, ma anche col Montenegro. Il prestito fatto a questo ultimo sarebbe sintomo grave. Egli fece le più catastrofiche previstom.

560

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8381/865. Vienna, 26 dicembre 1911, ore 1,05 (per. ore 14,45).

Telegramma segreto di V. E. n. 615 P. Non trovo che vi siano inconvenienti a rinnovare il trattato senza modificazione precisando con un protocollo addizionale il mutamento relativo alla Tripolitania e Cirenaica. Ma quanto al contenuto del progetto austro-tedesco per tale protocollo addizionale osservo: l) essendo possibile che il

560 1 Cfr. n. 557.

trattato di pace tra Italia e Turchia non contenga un riconoscimento esplicito, da parte della Turchia, della nostra sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica mi sembra che noi non possiamo contentarci che Austria-Ungheria e Germania considerino che lo statu quo previsto dagli articoli 9 e l O del Trattato dell'Alleanza sia quello che che sarà fissato nel trattato di pace. Austria-Ungheria e Germania non possono come Potenze neutrali riconoscere la nostra sovranità su Tripolitania e Cirenaica finché siamo in guerra colla Turchia, ma non hanno ragione di non riconoscerla esplicitamente ed incondizionatamente quando la pace sarà ristabilita. Quindi, a mio avviso, la prima parte del protocollo addizionale potrebbe essere modificata così: «Il est entendu que le statu quo visé par l'article 9 et 10 du présent Traité serait pour la Tripolitaine et la Cyrénaique, après que la paix aura été rétablie entre I'Italie et la Turquie, celui fixé par le decret de Sa Majeste le Roi d'Italie en date du cinq novembre 1911 éténdant la souveraineté de l'Italie sur ces deux régions de l'Afrique».

2) Gli articoli 9 e 10 del Trattato d'Allenza non si riferiscono al Marocco che non è compreso nella sfera del trattato stesso. Quindi la seconda parte del progetto austro-tedesco di protocollo addizionale non avrebbe ragione di essere. Con esso noi verremo ad assumere di fronte alle Potenze alleate un impegno che non abbiamo e che esse non sono in diritto di chiederci. Io ignoro il testo del nostro accordo con la Francia relativo al Marocco ma se questo contenesse, come è probabile, una dichiarazione di completo disinteressamento da parte nostra, ciò che significherebbe che abbiamo lasciato la Francia libera anche di annettersi puramente e semplicemente il Marocco, è evidente che siamo nella materiale impossibilità di assumere di fronte alla Germania l'obbligo di mantenere lo statu quo fissato per essa al Marocco col suo recente accordo con Francia. Sarebbe inoltre necessario che un secondo protocollo segreto assicuri il rinnovamento, per la durata del Trattato d'Alleanza dell' accordo segreto tra Italia e Austria-Ungheria del 1909 relativo all'articolo 7 del trattato stesso2•

559 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

561

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 8395/632. Londra, 26 dicembre 1911, ore 6 (per. ore 21).

Telegramma di V.E. 60941• Proposta Sassonoff così come venne formulata a Melegari presenta a mio avviso due gravi inconvenienti. l) Lascia praticamente

insoluta questione principale ossia situazione giuridica Tripolitania Cirenaica le quali si verrebbero trovare ufficialmente sotto due sovranità. Ciò verrebbe in fatto e in diritto vulnerare valore decreto reale annessione, toglierebbe nostro possesso quel carattere legale dallo stesso che con tanti sacrifici abbiamo mirato conservare e renderebbe pure assai malagevole alle potenze riconoscere annessione territori sovranità dei quali Turchia non ha ufficialmente rinunziato. 2) Non provvede modalità ripresa relazioni normali italo-turche, le quali per essere state interrotte da una formale dichiarazione di guerra è nostro decoro volere ristabilite con un vero proprio trattato di pace consacrante con ben definite stipulazioni intorno statu quo per quanto riguarda situazione generale nostri sudditi nell'Impero nonché capitolazioni scuole istituti beneficenza uffici postali. Omissione siffatte stipulazioni oltre nuocere nostro prestigio potrebbe dare origine nuove spinose questioni data tendenza giovani turchi ricorrere ad ogni sotterfugio per attentare diritti e privilegi nazioni estere. In complesso quindi proposta [Sassonoft] 2 a meno di essere radicalmente modificata e completata mi sembra inaccettabile perché salva bensì faccia Turchia ma a scapito prestigio e interesse Italia. Più pratica meglio corrispondente allo scopo mi sembra invece proposta turca. Proclamata difatti indipendenza Tripolitania Cirenaica in una formala implicante in fatto rinunzia sovranità turca, due provincie cessano far parte Governo imperiale e diventano legalmente res nullius non potendosi certo lasciare in mano degli arabi accozzaglia di tribù seminomadi barbare e non costituite in ente statale. Nulla quindi si opporrebbe, tutto anzi dovrebbe spingere Potenze riconoscere al più presto sovranità italiana. Con che questione principale sarebbe risoluta con vantaggio materiale morale nostro e senza troppo scapito prestigio Turchia. Se proposta arrivasse avere approvazione Governo ottomano si potrebbe seguire seguenti modus procedendi: l) Turchia di sua iniziativa senza darcene alcun avviso proclamerebbe nella formula accennata indipendenza due provincie e ne informerebbe Potenze. 2) Potenze riconoscerebbero subito annessione italiana senza alcun altro passo da parte nostra dandoci semplicemente atto nostra comunicazione novembre u.s. 3) Rimosso ostacolo principale nulla opporrebbesi inizio trattative armistizio preparatorio negoziati pace previa però intesa ufficiosa sulle condizioni essenziali. Credo opportuno insistere [su questo punto f perché qualora iniziate ufficialmente trattative sull'entità compenso materiale e morale, Turchia avanzasse pretesa esagerata, importa molto premunirsi in tempo ad evitare trovarci penoso dilemma o accettarle in seguito pressione Potenze mediatrici sacrificando qualche nostro interesse ovvero addossandoci responsabilità fallimento negoziati. In questo ordine idee si dovrebbe a mio avviso agire Pietroburgo per spingere Sassonoff formulare proposta più concreta sulla base di quella turca. Riterrei poi indispensabile che nell'eventuale proclamazione indipendenza venisse omesso accennare libertà araba continuare lottare.

560 2 Per il seguito cfr. n. 609.

561 1 T. segreto del22 dicembre, col quale si trasmettevano i nn. 548 e 550 e una sintesi del R. 3156/ 1402, Parigi, 16 dicembre, non pubblicato (conversazione col senatore Jean Dupuy sui modi per indurre la Turchia alla pace).

561 2 Integrato sulla base del registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

562

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8394/365. Berlino, 26 dicembre 1911, ore 7,20 (per. ore 22,50).

Ho trovato Zimmermann preoccupato perché teme complicazioni non solo nei Balcani, ma in Persia ed in Cina come riferisco negli altri telegrammi odierni. Quanto alla Turchia egli mi disse essere la situazione interna gravissima. Il Ministero ha pochissima autorità ed anche sciolto il Parlamento, ciò è che dovrebbe avvenire fra pochi giorni, la sua posizione sarà tutt'altro che solida e non è affatto da escludere che avvengano dei gravi torbidi. Né si vede chi potrebbe avere autorità sufficiente per sostituire con vantaggio gli uomini attualmente al potere. Guerra è così in certo qual modo passata a Costantinopoli in seconda linea. Ma ad ogni modo vi predominano le idee di resistenza ad oltranza e anche quelli che forse crederebbero utile fare la pace non osano dirlo. D'altra parte la situazione in Macedonia e in generale nei Balcani sarebbe minacciosa. Zimmermann mi disse testualmente: «È assolutamente necessario che la pace sia fatta il più presto possibile ed in ogni modo prima della primavera. Io non penso ad altro ed anche per Kiderlen ora che il Marocco è a posto e che con l 'Inghilterra abbiamo un poco diradato le nubi, questa è l'idea fissa. Egli profitta del suo congedo per studiare come potrebbe riuscire a fare questa pace». Passammo quindi ad una lunga conversazione su tale argomento. Ne profittai per dirgli, secondo le istruzioni del telegramma di V.E. n. 6183 1 , Governo italiano era grato che le Potenze si interessassero a cercare un modo facilitarla, ma che era necessario che quando si tasti il terreno a Costantinopoli si facesse bene intendere colà che l'iniziativa era venuta dalle Potenze nell'interesse più che altro della Turchia stessa che doveva rendersi conto dei pericoli derivanti dal protrarsi dello stato di guerra. Zimmermann mi rispose che ciò era inteso ed era del resto la verità. Accennai quindi alla proposta Sassonoff. Zimmermann mi disse che la conosceva ed anche Kiderlen ne era edotto. Essa aveva molti punti di contatto colle idee che Kiderlen aveva esposti a S.E. Pansa. Comprendeva in più una chiara menzione del ritiro degli ufficiali e soldati turchi da Tripoli. Questo osservava Zimmermann non sembrava [ ... ]2 facile ad attenersi dalla Turchia che non poteva così abbandonare quelle due provincie alla loro sorte. Credetti allora poter accennare che il R. Governo aveva pensato che una soluzione potrebbe forse trovarsi proclamando l'indipendenza di quei vilayets e lasciando agli arabi di difendere o di accordarsi con noi. Zimmermann mi rispose che era la prima volta che udiva questa idea. Ma che gli sembrava meritasse di

562 1 T. del 25 dicembre, non pubblicato. 2 Gruppo indecifrato.

essere attentamente esaminata come quella che poteva condurre ad una soluzione più completa (cioè ad una vera pace italo-turca). Ricordando delle conversazioni avute con lui in ottobre scorso (mio telegramma 264)3 osservai in fine che la proposta Sassonoff così simile a quella di Kiderlen era di buon augurio. E che se adesso la Germania avesse potuto intendersi con la Russia per un passo positivo a Costantinopoli, ciò oltre al risultato diretto che era lecito sperare, avrebbe avuto anche quello di fare una favorevole impressione sulla opinione pubblica italiana che era sempre un poco contristata dall'attitudine della stampa tedesca. Egli ne convenne pienamente, mi ripeté che l'attitudine di questa stampa faceva la disperazione del Dipartimento perché non avrebbe potuto essere più maladroite. Mi disse pure che la Germania era sempre costretta a procedere molto guardinga per timore che l'Inghilterra ne profittasse per annullare l'influenza tedesca a Costantinopoli (questa è sempre una idea fissa di Zimmermann). Mi disse che credeva realmente che a Costantinopoli vi fossero degli uomini politici disposti fare grandi concessioni in Asia Minore, specialmente sul Golfo Persico ali 'Inghilterra, il che costituirebbe per essa una seria tentazione ed un grave pericolo per gli interessi germanici. Concluse «potendo essere certi che faremo tutto il possibile ed il più presto possibile. Bisogna assolutamente che questa guerra finisca n eli 'interesse di tutti e non solo dei turchi o vostro»4 .

563

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8448/338. Costantinopoli, 26 dicembre 1911 (per. ore 14,50 del 29) l.

Risposta al telegramma n. 6049 riservatissimo2 . Ho parlato col barone Marschall del progetto di indipendenza del vilayet senza dirgli che il R. Governo ne è informato. Marschall mi ha detto non averne conoscenza; escluse che Governo ottomano possa addivenirvi, perché ciò sarebbe una implicita rinunzia alla sovranità del sultano ed un abbandono delle popolazioni arabe.

Al riguardo ho raccolto quanto segue: progetto sarebbe dovuto a Zeki pascià, comandante del Corpo d'Armata di Costantinopoli. Idea sarebbe stata accettata da Damad Ferid pascià capo partito intesa liberale. Idea farebbe strada e non si esclude che essa possa essere forse matura fra dieci giorni. Personalmente credo

4 Per la risposta cfr. n. 565.

Cfr. n. 546.

576 progetto atto a facilitare trattato pace; panni però esso progetto non avrebbe per effetto immediato ritiro dei regolari turchi che forse non avrebbe luogo che a pace conclusa.

562 3 T. segreto 6276/264 del 28 ottobre, non pubblicato.

563 1 Il telegramma fu tramesso da Sotìa il 29 dicembre, ore l ,00.

564

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 8401/635. Londra, 27 dicembre 1911, ore 14,47 (per. ore 19,10).

Ambasciatore di Spagna mi diceva ieri suo Governo essere deciso seguire politica negoziati con Francia medesimo sistema seguito dalla Francia stessa nel trattare con Berlino. Prima cioè discutere cessione territori vuole essere sicura trovarsi nella zona assegnatale in condizioni assolutamente identiche a quelle della Francia nel resto del Marocco ossia trovarsi padrone e non inquilino sottoposto col pretesto di unità dell'amministrazione alla autorità del magzen equivalente in pratica a quella del residente francese. Su questo punto essenziale, dice Villa-Urrutia, nessuna transazione è possibile. Per quanto riguarda cessioni di territori, Spagna per ora vorrebbe dare hinterland di Ifni; arriverebbe però in seguito per spirito di conciliazione sia in omaggio amichevoli consigli Inghilterra abbandonare un porto sulla costa che per contro Francia vorrebbe tutta. Inoltre Francia reclama largo territorio situato tra fiume Draa antico confine Marocco e colonia spagnola Rio de Oro. Questo territorio è stato con discutibile buona fede considerato dalla Francia nel recente accordo colla Germania come facente parte del Marocco. Governo spagnuolo protestò ministro di Francia (sic) 1 gli fu risposto in via confidenziale che effettivamente contestato territorio non apparteneva Marocco ma che Governo francese ve lo aveva incluso per non svegliare rapaci appetiti. Per quanto riguarda situazione futura Tangeri dice Villa-Urrutia essere quella divergenza tra Londra e Parigi. Governo francese con solito pretesto omogeneità in alcuni rami amministrazione vorrebbe Tangeri sottostasse ad un controllo del magzen Grey invece gli ha detto testualmente : «Tangeri non deve essere né francese né marocchina ma in buona fede internazionale».

Cambon attualmente a Parigi si starebbe adoperando appianare difficoltà. VillaUrrutia si dice molto soddisfatto contegno sinceramente amichevole di questo Governo verso la Spagna.

564 1 Annotazione del decifratore. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra reca invece: «Governo spagnuolo protestò immediatamente a Parigi».

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN

T. SEGRETO 6208. Roma, 27 dicembre 1911, ore 16.

Suo telegramma n. 365 1• Per evitare equivoci osservo: l) che senza il ritiro dei soldati ed ufficiali turchi è evidente il nostro interesse a continuare con ogni energia la guerra; 2) che l'idea relativa alla proclamazione della indipendenza non è di iniziativa del R. Governo, ma fu esposta a noi da persona residente a Costantinopoli e noi ci siamo limitati e ci limitiamo a prenderla in esame insieme alle altre.

Aggiungo che dal momento che codesto Governo desidera così vivamente affrettare la pace, dovrebbe vietare ad un generale in attività di servizio come von der Goltz di dare nella pubblica stampa alla Turchia il consiglio politico di prolungare la resistenza ed i consigli militari corrispondenti.

566

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8417/248. Il Cairo, 27 dicembre 1911, ore 21,25 (per. ore 1,20 del 28).

Mio telegramma 240 1 . Principe Fuad m'informa che avrebbe persona adatta per nota missione a Kufra. Per viaggio che durerebbe da quattro a cinque mesi, composizione di numerosa carovana e forse acquisto di qualche dono, si è riservato indicare somma occorrente.

Principe domanda ora quali sono le basi su cui R. Governo è disposto trattare. Desidera sapere il massimo delle concessioni di carattere politico, religioso, finanziario cui potrà giungere nelle offerte che inizierà naturalmente dal limite più basso possibile.

È a prevedersi che il capo dei senussi qualora sia disposto accordarsi intenda mandare un proprio rappresentante per le trattative concrete e finali ed il principe chiede se siffatto rappresentante deve farsi venire in Egitto, deve indirizzarsi Tripoli

o deve ed in tal caso chi sarà persona autorizzata concludere patti necessari. Per desiderio di S.A. telegrafo quanto precede anche S.E. Tittoni2 .

2 Per la risposta cfr. n. 575.

565 1 Cfr. n. 562.

566 1 T. segreto 8328/240 del 23 dicembre, non pubblicato.

567

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2977/1197. Vienna, 27 dicembre 1911 (per. il 30).

Prima di prendere le vacanze natalizie la Camera dei deputati austriaca si è molto occupata del disegno di legge per l'istituzione della facoltà giuridica italiana. L'ambiente era sempre quello che io ho rappresentato a V.E. col mio rapporto

n. 2592/1051 in data del 26 ottobre u.s. 1• I più feroci oppositori sono stati sempre i tedeschi esasperati anche da una frase detta dall'attuale presidente del Consiglio conte Stiirgk quando era ancora ministro della pubblica istruzione, frase la quale invece di giustificare l'istituzione della facoltà giuridica italiana come una restitutio in integrum di quella già esistente a Wilten, la voleva far apparire come un primo passo verso la soddisfazione dei vari postulati scolastici delle nazionalità non tedesche dell'Impero.

Il progetto per la facoltà giuridica italiana, approvato in prima lettura della Camera doveva essere discusso nella giunta del bilancio. Ma in questa i deputati tedeschi e specialmente quelli pangermanisti, iniziarono una specie di ostruzione che, diretta contro il progetto in parola, aveva per effetto di paralizzare tutta l'attività della giunta. Impensieriti da ciò, i capi dei vari gruppi parlamentari volevano di nuovo sgomberare il terreno domandando l'esame del progetto ad una sotto-giunta.

Ma i deputati italiani si opposero recisamente ed uno di loro, il clericale Bugatto, iniziò in piena Camera con un lungo discorso, per la maggior parte in lingua italiana, l'ostruzione contro l'esercizio provvisorio.

L'energia dei deputati italiani che avevano fatto prova di una pazienza e di una longanimità a cui tutti hanno reso giustizia, ebbe il suo buon effetto.

I principali partiti si misero d'accordo per far riprendere immediatamente i lavori della giunta del bilancio la quale nelle sedute plenarie ha continuato a discutere il progetto per l 'istituzione della facoltà giuridica italiana. La discussione è stata interrotta solo quando la Camera ha preso le sue vacanze.

Tutti i partiti, anche la grande maggioranza dei tedeschi moderati, si sono mostrati favorevoli al postulato degli italiani.

La principale difficoltà che rimane a risolvere è quella della sede della facoltà. Gli italiani domandano sempre Trieste, ma a ciò si oppongono, più che gli sloveni, il Governo ed i circoli militari. I tedeschi liberali sono contrari alla sede provvisoria a Vienna ed a qualsiasi città del Tirolo, compreso il Trentino. Gli czechi hanno offerto agli italiani l'ospitalità a Praga ed i polacchi a Cracovia, ma queste offerte sembrano poco pratiche. La soluzione che sembra meno difficile sarebbe quella di istituire la facoltà giuridica in una città dell'Istria o del Goriziano.

In complesso non bisogna disconoscere che se in teoria c'è molta buona volontà di soddisfare in qualche modo la giusta domanda degli italiani, in pratica le difficoltà sono grandi e non è agevole il dire se potranno essere superate.

567 1 Non pubblicato.

568

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 8438/871. Vienna, 28 dicembre 1911, ore 6,55 (per. ore 20,50).

Aehrenthal ha fatto stamane nella commissiOne della Delegazione ungherese una breve esposizione sulla politica estera. Ha detto che fin dallo scoppio della guerra turco-italiana la Monarchia ha fatto colle altre Potenze neutrali il possibile per preparare la fine del conflitto. La Monarchia desidera tanto più la pace in quanto un prolungamento delle ostilità potrebbe minacciare lo statu quo nei Balcani. Il Governo italiano ha dichiarato esplicitamente di rimanere fedele al principio del mantenimento dello statu quo in Oriente ed ha conformato a ciò la sua condotta. Gli Stati balcanici hanno una attitudine corretta e la Turchia fa il possibile per mantenere l'ordine all'interno.

Aehrenthal ha aggiunto che le basi della politica della Monarchia rimangono naturalmente invariate. Appoggiandosi a provate alleanze e alle amichevoli relazioni con tutte le Potenze, la Monarchia contribuirà a por fine al conflitto italo-turco che non è senza pericoli anche per altri Stati, mediante una pace onorevole per le due parti. Aehrenthal ha parlato quindi brevemente della questione del Marocco.

E nel dichiarare che l'Austria-Ungheria aveva propugnato e propugnerà una politica conservatrice in Europa come nel prossimo Oriente, Aehrenthal ha concluso coll'accennare alla necessità di riformare le forze militari della Monarchia nell'interesse della sua difesa e provvedere d'accordo con i suoi alleati alla pace generale.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. 6224. Roma, 28 dicembre 1911, ore 12.

Suo telegramma n. 637 1• Farò smentire dalla Stefani falsa notizia. Giudichi V.E. se sia opportuno che anche ella la faccia smentire costì. L'Italia non ha iniziato né

580 inizierà aperture pace. Esaminerà proposte se le verranno fatte sulla base incrollabile della annessione. Il Paese è disposto a fare anche dieci anni di guerra.

569 1 T. 8404/637 del 27 dicembre, non pubblicato, col quale Imperiali riferiva che i giornali pubblicavano la notizia di iniziative per la pace avviate dall'Italia.

570

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO

T. UFF. COLONIALE S.N. Roma, 28 dicembre 1911, ore 14.

A Tripoli si è provveduto ad organizzare servizi urgenti con baraccamenti per famiglie beduine, locali di isolamento e cura, corpo nettezza urbana, servizi vetture pubbliche e pompieri, illuminazione. È stato disposto ripopolamento sobborghi Dahra, Zauiet e Dalmeni, permettendo a quattrocento famiglie ritornare case sgomberate 23 e 26 ottobre. Il 25 corrente arriva a Tripoli Commissione studenti universitari con album ventimila firme e indirizzi Giovanni Pascoli. Commissione ha portato cippo preso Campidoglio da innalzarsi memoria valorosi caduti.

571

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 918/243. Cettigne, 28 dicembre 1911 (per. il 2 gennaio 1912).

Non è ancora a conoscenza di alcuno dei miei colleghi, ma io so che il Governo montenegrino ha preparato un memorandum per invocare l'intervento delle Potenze firmatarie del Trattato di Berlino, allo scopo di regolare, mediante l'opera di una commissione internazionale, le questioni di confine tra il Montenegro e la Turchia, causa perenne di conflitti tra i due Stati, e pericolo permanente per la pace.

Dopo avere dimostrato l'impossibilità di una intesa diretta, con la enumerazione di tutti i tentativi fatti in questo senso, ed andati falliti, il memorandum fa appello alle Grandi Potenze come unico mezzo di soluzione delle irreducibili controversie, da cui sono nati da gran tempo e continuano a nascere con una frequenza allarmante gravissimi incidenti sulla frontiera turco-montenegrina.

La commissione speciale europea dovrebbe, nel pensiero del Governo reale, fissare in modo esatto e preciso i limiti dei due Stati, troncando così ogni dubbiezza ed eliminando ogni ragione di dissidio.

Il Montenegro accetterebbe anticipatamente la decisione di essa commissione qualunque potesse essere, e spera che la sua proposta sarebbe favorevolmente accolta dai Gabinetti cui andrebbe rivolta.

Che se, per caso, questi la rigettassero il Governo reale non potrebbe che declinare la responsabilità degli avvenimenti che fatalmente seguirebbero dalla persistenza al confine turco-montenegrino di una situazione divenuta, per colpa dei turchi, intollerabile.

Prima però, di far pervenire il documento alle Grandi Potenze, il Governo montenegrino si propone di mandame un esemplare al suo rappresentante a Costantinopoli per dame conoscenza alla Sublime Porta. Se questa mostrasse serie intenzioni di accordarsi direttamente col Montenegro, allora il memorandum non sarebbe più diramato; se invece, perseverasse nei modi sino ad ora tenuti, esso sarebbe rimesso ai rappresentanti delle Potenze a Cettigne per la trasmissione ai rispettivi loro Governi.

572

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN

T. 6256. Roma, 30 dicembre 1911, ore 18,55.

Telegramma della r. ambasciata n. 3621• Alle osservazioni di Zimmermann possiamo rispondere: l) che noi non intendiamo abbandonare la nostra tesi, che riteniamo fondata in diritto, né indugiar troppo a provocare una soluzione della questione; 2) che, in fatto, non è esatto che la situazione dei sudditi italiani in Turchia sia tollerabile. Dai rapporti e dai numerosi reclami che riceviamo risulta invece che la protezione dell'ambasciata e dei consolati germanici non potendo essere efficacemente esercitata appunto a causa della soppressione del regime capitolare, i nostri compatrioti sono sottoposti in Turchia a tutti gli arbitrii e le vessazioni delle autorità locali; 3) che, del resto, noi ci rendiamo conto della difficile posizione del Governo germanico, e che perciò, anche per rendergli servizio, noi siamo disposti, se esso non è di diverso avviso, senza aspettare di sentire di nuovo il parere già ben noto di Marschall, a rimettere subito la questione a tutti gli Stati che godono del regime capitolare in Turchia; 4) che, a nostro avviso, tale passo, ]ungi dal pregiudicare la situazione e dal costituire un ostacolo alla pace, dovrebbe invece contribuire a facilitarla, sia per le complicazioni diplomatiche che la Turchia può temere, sia perché può diminuire l'illusione che essa nutre tuttora di stancarci con mezzi di questo genere. È d'altronde, ripeto, una questione di principio che non conviene lasciar cadere, nell'interesse di tutti.

Mando per la posta altri esemplari della memoria in francese, e del testo italiano del parere del Contenzioso diplomatico.

572 1 T. 8369/362 del 26 dicembre, non pubblicato, col quale Martin Franklin riferiva un colloquio con Zimmermann sul regime capitolare e la protezione degli interessi italiani in Turchia.

573

IL COLONNELLO ELIA AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO

RAPPORTO 1 . Il Cairo, 30 dicembre 1911.

Ieri mattina S.A. il khedive mi fece chiamare a Koubbeh. Mi disse che desiderava esprimermi personalmente tutto il suo rincrescimento per non potermi condurre seco a Sollum, secondo l'invito che mi aveva fatto.

Sua Altezza sperava di liberarsi temporaneamente per questa circostanza della compagnia di Wilson pasha, l'aiutante di campo britannico, al quale spettava d'accompagnarlo, mandandolo a Port Soudace, ad attendervi il passaggio del re d'Inghilterra, di ritorno dalle Indie: ma ciò non gli era riuscito. Parendogli allora troppo arrischiato di farmi passare per un ingegnere (od altro borghese), in un recente colloquio che ebbe con lord Kitchener gli disse aver appreso dal principe Fouad che c'era qui in licenza un colonnello italiano, già ufficiale di Stato maggiore: e che gli era venuta l'idea di farsene accompagnare a Solum, in modo che l'ufficiale italiano potesse intanto vedere quel punto della frontiera ed informare il proprio Governo delle condizioni di quelle regioni; in modo che, quando si fosse trattato poi di addivenire alla delimitazione del confine fra noi e l'Egitto, ci fosse già un principio di studio anche da parte nostra. Lord Kitchener rappresentò allora al khedive come il farsi egli accompagnare da un ufficiale italiano potesse esporlo a delle rimostranze da parte della Sublime Porta, che già in recenti circostanze ha reclamato contro l'atteggiamento dell'Egitto che ritiene soverchiamente benevolo verso di noi. Gli disse che, poiché il colonnello Elia è qui in posizione non ufficiale, nessun risultato si poteva trarre da un preliminare scambio d'idee sull'andamento della futura linea di frontiera. Che, d'altra parte, quando fosse trapelata la qualità di militare d'una delle potenze belligeranti nella persona del suo invitato, il khedive avrebbe potuto trovarsi a disagio nel visitare -come ne ha l'intenzione -il campo del distaccamento turco presso Sollum e nel ricevere -come conta di fare -tutti i capi tribù beduini della regione, che nutrono sentimenti decisamente avversi al nostro Paese.

Il khedive non credette opporre buoni argomenti a queste ragioni dell'agente britannico che non si può negare abbiano un fondamento: e non vuole insistere per non dar a divedere i rapporti che già ha con me: e che ho ragione di credere non siano noti all'agenzia britannica2 . Rispose quindi a lord Kitchener che quella era solo stata un'idea fattagli venire da un colloquio col principe Fouad (e così ha messa la cosa sul conto del cugino i cui sentimenti italofili sono noti a tutti).

573 1 Manca la nota di trasmissione agli esteri. 2 Annotazione a margine: «ne dubito pure io».

È superfluo ch'io dica quanto mi dolga di veder sfumare la possibilità di fare questa gita, della cui effettuazione però non mi dissimulavo la difficoltà, fino dalla prima volta che il khedive me ne aveva parlato. Naturalmente con Sua Altezza feci bonne mine à mauvais jeu e gli dissi che ero ugualmente grato della sua cortese intenzione, ma che mi rendevo conto delle ragioni che ne impedivano l'esecuzione.

Il khedive mi disse che porterà seco uno dei cinque agenti di polizia segreta che ha, tutti ex sottufficiali italiani: che io scegliessi quello dei cinque che mi pareva più intelligente e che gli dessi un questionario su ciò che m'interessava di sapere intorno alla località. Che pur non facendomi io molta illusione sui dati utili che mi potranno essere fomiti da un ex sottufficiale nostro, accettai l'offerta ringraziando. Così stamane vidi -presso de Martino bey -i cinque agenti (tre ex brigadieri dei Carabinieri Reali e due ex sergenti dei Bersaglieri) e diedi loro un questionario sulla regione (strade, visibilità dal mare, acqua, abitati, attitudine degli abitanti, eccetera) ed istruzioni per prendere qualche veduta fotografica.

Il khedive mi disse che mi vedrà prima della sua partenza (che avverrà mercoledì): che, ad ogni modo, io posso contare che mi darà, al suo ritorno, tutte le notizie, come le avrei potute assumere io stesso.

Sua Altezza mi sviluppò un suo progetto, per tirare dalla nostra parte gli affigliati alla setta dei Medania: meno potenti dei senussi, ma pure assai influenti in Tripolitania ed in Cirenaica.

Capo della setta è il Sheik el Zafr, che abita a Costantinopoli. Uno dei fratelli di lui sono (sic) in Egitto: e due di questi il khedive vide avantieri e li mandò a parlare con Sheik Alesh (quello che abita il Cairo, capo della Moschea Umberto I e di sentimenti molto italiani, per quanto glielo permettono l'apprensione e la paura che lo dominano). Un nostro emissario assisterà al colloquio, che dovrebbe servire di «entrata in materia». Se le trattative prendessero corpo, esse sarebbero condotte indipendentemente da quelle coi senussi, e da questi ignorate. Bisognerebbe assicurare a questi Zafr che sono in povere condizioni, qualche vantaggio, una volta che si vedessero dei risultati nel senso della pacificazione delle loro tribù3 .

Questa pratica verrà naturalmente svolta dalla r. agenzia, secondo le istruzioni del R. Governo.

La partenza del khedive dal Cairo avverrà due o tre giorni prima dell'anniversario della sua ascensione al potere. Mi si è assicurato da persona bene informata della Corte khediviale, che Sua Altezza voglia -in questo suo ventesimo anniversario di principato -evitare di trovarsi alla capitale ed in mezzo ai ricevimenti ed ai festeggiamenti, per sfuggire all'avverarsi d'una predizione che gli sarebbe stata fatale, anni addietro, eh' egli sarebbe assassinato in una di queste ricorrenze. Strana miscela di pregiudizio orientale in una mente senza dubbio coltivata ed intelligente, qual'è quella del khedive.

573 3 Annotazione a margine di di San Giuliano: «A S.E. Giolitti in relazione a sua nota del 5 novembre. Domandargli che istruzioni vuole che diamo a Grimani», poi depennata, presumibilmente da De Martino -al quale era stata assegnata la pratica -che, a sua volta, aggiunse: «Già fatto» (cfr. n. 417).

574

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 8510/890. Parigi, 31 dicembre 1911, ore 2,25 (per. ore 17,10).

Ho potuto avere tutti i più minuti particolari circa il contratto di acquisto di dieci aeroplani tipo militare stipulato dalla commissione militare turca che è attualmente a Parigi. Li spedisco per lettera. Non sono in grado di indicare data di partenza perché si attende il benestare di Costantinopoli ed anche non v'è accordo circa il pagamento che il venditore vorrebbe in contanti e la commissione turca vorrebbe eseguire in buoni del tesoro. È lo stesso ostacolo che finora ha impedito la stipulazione definitiva da me segnalati a V.E. Poiché partenza aeroplani avrà luogo da Marsiglia ed io spero di potere telegrafarla in tempo crederei opportuno che fin d'ora si tenessero pronti due incrociatori veloci alla Maddalena per eseguire cattura in mare libero. Il vapore di cui non so anche il nome dirigerebbe verso la frontiera tripolina-tunisina per sbarcare ivi aeroplani. Ma poiché il punto di sbarco potrebbe essere variato parmi più sicuro eseguire cattura Golfo del Leone. Credo anche opportuno che V.E. mi autorizzasse telegrafare direttamente al Comando di Maddalena che dovrebbe essere prevenuto 1•

575

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. SEGRETO 6270. Roma, 31 dicembre 1911, ore 19.

Suo telegramma n. 248 1• Prego informare principe F ouad che siamo disposti ad assicurare ai senussi il pieno rispetto delle leggi religiose musulmane e delle costumanze locali, il mantenimento dei beni vakuf e dei beni appartenenti alle zauie senussite, il rispetto degli ordinamenti dei senussi e della loro gerarchia; faciliteremo ai senussi con ogni mezzo il traffico commerciale con la costa; al capo dei senussi siamo disposti concedere un assegno annuale di cinquantamila franchi e uno di dodicimila franchi al fratello di lui Mohammed Abed. Voglia far presente al principe

585 che non possiamo promettere formalmente concessioni di carattere propriamente politico per cui sarà meglio nulla precisare su questo argomento. Siamo assai grati a Sua Altezza del suo concorso e molto confidiamo nell'opera sua e pertanto in piena fiducia ci crediamo in debito di fargli sapere che or non è molto un nostro agente segreto ha inviato da costà una missiva al senussi nella quale si davano affidamenti all'incirca analoghi a quelli sopra esposti.

Credo opportuno informare di ciò il principe Fouad per caso non improbabile egli ne avesse sentore per altra via ed ella vorrà spiegargli, ad evitare malintesi e salvare eventuali suscettibilità, che quando fu stabilita la detta missione non sapevamo di poter fare assegnamento sull'opera di una personalità autorevole ed influente come Sua Altezza. Voglia fargli comprendere che l'iniziativa precedente non farà che integrare l'azione presente del principe.

Quanto al luogo dove dovrebbero condursi le trattative col rappresentante del Senussi gradiremo conoscere il modo di vedere del principe. Bisognerebbe sapere per qual via egli potrebbe eventualmente recarsi in Cirenaica o Tripolitania cioè se direttamente ovvero per l 'Egitto e quindi per via di mare imbarcandosi in Alessandria.

A prima vista parrebbe opportuno che quel rappresentante si rechi a Bengasi o a Tripoli ove sarebbe sottratto ad influenze meno favorevoli ed ove la sua presenza potrebbe avere benefici effetti nei rapporti della zauie senussite locali.

Riterrei poi opportuno che il messo del principe Fouad rechi una lettera del presidente del Consiglio diretta al Senussi, lettera che le spedirò quanto prima.

574 1 Con T. Gab. riservato del 3 gennaio 1912, non pubblicato, di San Giuliano rispose che il Ministero della marina, se avvisato in tempo, avrebbe dato disposizioni per tentame la cattura.

575 1 Cfr. n. 566.

576

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6/l. Vienna, l° gennaio 1912, ore 2,30 (per. ore 16).

Telegramma di V.E. n. 61401 . In questi circoli politici erasi pure attribuito al Governo imperiale e reale l'intenzione di contrarre un prestito in Francia e di fare dipendere dal collocamento di esso la sua adesione all'accordo franco-germanico per il Marocco. Le informazioni da me assunte in via riservata, mentre hanno confermato tale intenzione, escludono in modo sicuro l'esistenza di un collegamento qualsiasi fra prestito ed accordo suddetto.

Sembra infatti, a quanto fu confidato da questo incaricato d'affari di Francia a persona di mia fiducia, che me lo ha riferito, che Aehrenthal, nel fare conoscere a Crozier che Austria-Ungheria era disposta a dare in massima il suo consenso all'accordo, avrebbe espresso la speranza che Governo della Repubblica si sarebbe mostrato dal canto suo condiscendente verso il Governo imperiale e reale nelle varie questioni che fossero per presentarsi, compresa quella relativa al prestito. Ed a questo proposito Aehrenthal avrebbe accennato alla possibilità in cui Governo imperiale e reale si trova di ricorrere alla Francia per i bisogni del suo bilancio, facendo intendere che si sarebbe forse trattato di contrarre un prestito di 500 milioni di franchi per Austria e di una somma eguale per Ungheria.

Crozier, pur facendo rilevare a Aehrenthal difficoltà già incontrate in occasione del prestito che Ungheria aveva desiderato contrarre l'anno passato in Francia, avrebbe risposto che si sarebbe tuttavia occupato della cosa recandosi a Parigi. In questa alta Banca però si ignora fino ad ora che Governo imperiale e reale abbia una simile intenzione e si osserva per ciò che riguarda l'Austria-Ungheria che avrebbe già provveduto alle esigenze momentanee del suo tesoro coi tre prestiti contratti con banche austriache dell'importo di 426 milioni di corone destinato a colmare deficit, a fare alcuni investimenti, a saldare antichi debiti ed a rinnovare i buoni del Tesoro alcuni dei quali trovansi all'estero.

576 1 Il T. 6140 del 22 dicembre 1911 ritrasmette il T. 8290 del 22 dicembre, non pubblicato.

577

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 3. Roma, 2 gennaio 1912, ore 21.

Decifri ella stessa. Il consigliere di questa ambasciata di Russia è venuto ad espormi la seguente idea di Sazonoff, che questi ha già comunicata agli ambasciatori della Grandi Potenze a Pietroburgo.

Riconoscendo un interesse europeo nello intervento delle Grandi Potenze per affrettare la pace fra l'Italia e Turchia, esse dovrebbero fare un passo a Costantinopoli per convincere la Turchia che la perdita delle provincie occupate dall'Italia è inevitabile, e per indurla ad accettare un armistizio che equivarrebbe alla cessazione effettiva delle ostilità. Questo armistizio durerebbe fino a che sorgesse la probabilità di concludere definitivamente la pace. La Turchia dovrebbe profittare di questo frattempo per ritirare i contingenti poco importanti che mantiene ancora in Tripolitania e Cirenaica. Nel corso dei negoziati la Sublime Porta dovrebbe venire informata sotto una forma da concretarsi, delle disposizioni dell'Italia a versare un compenso pecuniario che sarebbe fissato di comune accordo. Per garantire i diritti dell'Italia sulle provincie occupate, le Grandi Potenze, ciascuna separatamente, si impegnerebbero di fronte all'Italia, mediante uno scambio di note e dichiarazioni, a riconoscere la sovranità dell'Italia sulle due provincie. L'Italia non domanderebbe fin d'ora il riconoscimento da parte della Turchia, lasciando alle circostanze di regolare il corso degli eventi. Se le Potenze si mettessero d'accordo su questa proposta, è la Francia che parlerebbe a Costantinopoli a nome di tutte le altre.

Korff mi ha chiesto le mie impressioni. Ho risposto non potergliene dare senza più maturo esame e senza aver conferito col presidente del Consiglio. Ho aggiunto però che apprezzavo lo spirito amichevole da cui era mosso Sazonoff, ma che vedevo un danno militare per noi nell'armistizio, non risultando ben chiara la clausola relativa al ritiro delle truppe turche.

Prego V.E. di dirmi il suo avviso personale su quanto precede (meno per Pietroburgo) e di farmi sapere se e come codesto Governo siasi pronunciato circa questa iniziativa russa 1 .

578

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO 11/4. Il Cairo, 2 gennaio 1912, ore 21,40 (per. ore l,10 del 3).

Circa missione, presso Idris, di Ismail aiutante di Campo di S.A. il Kedive, reggente Governo Eritrea mi ha telegrafato quanto segue: «lsmail partirà 12 con diretto. Egli, giunto ad Elgoz, con mio messo s'avviò verso Idris, ma, strada facendo, con pretesto avanzò da solo per abboccarsi senza testimoni con Idris. Consegnò 5000 mila sterline da noi mandate a sua richiesta, ma ignoro se proprio tutte. Idris in presenza messo disse non capire perché noi avessimo mandato denaro essendo pure in guerra, ma interloquì Ismail per dire Italia essere ricca e avere pensato che anche Idris abbisognava fare spese. Idris diede 50 sterline a Ismail, incaricandolo darle ad una sua moglie in Dongoli Egitto. Poi domandò a Ismail che cosa volesse il suo padrone, al che Ismail si turbò, ma rispose che aveva l'incarico di metter d'accordo Idris con Governo italiano. Ismail offrì di tornare per successiva intesa ed Idris dichiarò ciò inutile potendo ormai conferire direttamente. Idris vorrebbe bombardamento turchi e forti Gedda, ma Ismail si oppose ed io stesso trovo che non converrebbe, considerando ripercussione in terra di musulmani. Dice Ismail che si deve diffidare di Mohammed Ali Elui bey che ha scritto, secondo lui, al saied Idris di pacificarsi con i turchi e fu od è servizio consolato d'Italia Cairo, ma io so da persona seria che Ismail è rivale di Mohammed Elui nel trattare questione Mecca in cui entrambi fiutano guadagno personale. Di tutto ciò io nulla so per giudicare. Per mia norma vorrei sapere che cosa sia precisamente questione Mecca, anche per tenerne conto nel regolare mia azione. Firmato Rubiolo».

Mi riservo inviare maggiori particolari quando Ismail sarà tornato in Egitto. Frattanto ignorando anche io se Mohammed Ali abbia avuto incarico di trattare

con sceik Idris questione relativa Mecca, accennata nel telegramma sopra riferito, prego V.E. mettermi in grado di rispondere al Governo Eritrea ed eventualmente a

S.A. il Kedive qualora suo aiutante di campo gli riferisca qualche passo fatto da Mohammed Alì.

577 1 Per l'opinione del Governo di Berlino cfr. n. 586, di Londra cfr. n. 590, di Vienna cfr. n. 581 e di Parigi cfr. n. 594.

579

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. GAB. RISERVATO 4. Roma, 2 gennaio 1912, ore 23,35.

Suo rapporto personale del 20 dicembre1 . Deploro contegno Insabato, Mohammed Alì e Parvis. Presidente del Consiglio approva interamente considerazioni da lei esposte e ancora una volta fece impartire severissimo avvertimento a Insabato.

Mi è grato intanto assicurarla della piena fiducia del R. Governo che molto apprezza l'opera di lei. Parimenti sono soddisfatto dei servizi resi da Nacouz. Recenti distinzioni onorifiche a V.S. e a Nacouz stanno a confermare l'approvazione del R. Governo.

580

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, FARES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 7/2. Aden, 2 gennaio 1912 (per. il 12).

Per opportuna conoscenza di codesto onorevole ministero mi onoro di rassegnare all'E.V. l'unita copia di rapporto da me diretto al Governo della Somalia italiana intorno alla situazione politica in Arabia e nella Somalia settentrionale.

ALLEGATO

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, FARES, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

R. 1037. Aden, 31 dicembre 1911.

La situazione de turchi in Arabia senza paragonarla a quella dei loro fratelli che sono in Tripolitania e Cirenaica, non è certo soddisfacente e sotto più d'un aspetto la si può considerare come grave.

Anziché inviare centomila uomini in Tripolitania, come all'inizio delle ostilità itala-turche ebbe a telegrafare al sultano a Costantinopoli, l'imam Yahia Hummedin sta lesinando al governatore dell'Yemen l'aiuto di qualche migliaia di uomini promessi per combattere l'altro imam, così detto dell' Assir, Seyed Mohammed bin Idrissi, e sotto un pretesto od un'altro egli cerca esimersi dall'obbligo di aiutare coi propri uomini i turchi contro l'Idrissi, che, pure lui, ebbe il gran gesto di dichiarare a Izzet pascià che avrebbe invaso la colonia Eritrea con 40 mila uomini dell'Assir, operando il passaggio del Mar Rosso in sambuco.

Ora invece l'imam dell'Yemen, dopo aver spillato lui ed i suoi capi molti denari ai turchi (più di ventimila lire turche si assicura), finge di essere attaccato da rivali che gli contrastano l'imamato per esimersi, come ho detto dianzi, dall'obbligo di fornire l'aiuto promesso, e l'imam dell'Assir, il giovane e simpatico ldrissi, senza buttar giù del tutto la maschera, fa sollevare di nuovo le bellicose tribù dell'Assir contro gli odiati turchi tanto da costringere questi a preparare contro di lui una spedizione di circa diecimila soldati regolari al comando del generale Riza pascià che già ha iniziato le operazioni mandando un primo corpo di circa 5 mila uomini con Mohammed Ali pascià, governatore dell'Assir, 1 a Uasin, località distante tre giornate da Sabbia capo luogo dell'Idrissi; altre truppe pronte agli ordini del generale Soliman pascià attendono un cenno per marciare contro Sabbia.

L'Idrissi a conoscenza dei movimenti dei turchi manda seimila guerrieri arabi comandati da uno dei suoi migliori capi, Seyed Mustafa, contro i turchi che vengono da Uasin ed ha ordinato ad altri cinque mila arabi delle tribù dipendenti che si trovano nel territorio di Gisan di riconquistare quel porto e nello stesso tempo ha chiamato tutte le tribù dipendenti ed amiche di unirsi a lui per la guerra santa contro i turchi.

Oltre a questa situazione direi così interna che il Governo dell'Yemen deve fronteggiare, e per la quale, non fidandosi sulle promesse dei capi arabi amici, deve tenere impegnate una buona parte delle truppe regolari disponibili, egli è costretto ad avere un numero considerevole di soldati e di artiglieria alla costa: a Moka, a Sceik Said e nei territori adiacenti, le quali truppe dopo il bombardamento di quelle località che produsse ottimo effetto, si tengono lì più per difendere da possibili attacchi di navi italiane che per tentare un colpo di mano sulla costa eritrea, come i turchi avevano l'idea prima del bombardamento.

Data questa situazione e dati i continui successi delle nostre armi in Tripolitania e Cirenaica, ai quali si possono aggiungere il recente sequestro di denari a bordo del Menzaleh e la cattura del trasporto ottomano «Kaisery» operati nel Mar Rosso dalle nostre navi, lo spirito pubblico dei turchi nell'Yemen è fortemente depresso e quello degli arabi e dei musulmani di questi paesi è notevolmente mutato in nostro favore per cui il nostro prestigio presso queste popolazioni ha grandemente avvantaggiato.

Nel corso di questo mese nessun avvenimento degno di rilievo è avvenuto a mutare la situazione generale della nostra Somalia settentrionale, che continua ad essere tranquilla, il Mullah ed i suoi dervisc hanno poco o nulla operato contro le tribù nostre protette e nemmeno contro quelle del protettorato inglese, sembra che essi abbiano dato tregua alle loro scorrerie tanto frequenti nei mesi scorsi massime a danno delle tribù inglesi.

Il sultano Osman Mahmoud fino a pochi giorni fa era a Barga! dove si occupa ad agevolare il ricupero del carico del piroscafo inglese «Fifeshire», operazione che oltre a procurargli un lauto guadagno lo distoglie dal pensare alla guerra o alla pace da farsi col Mullah ed alle ostilità italo-turche e la loro ripercussione sulle popolazioni da lui dipendenti nonché agli emissari turchi di cui non si hanno più notizie né di loro stessi né della lettera che si disse avevano scritta al sultano dei migiurtini.

579 1 Non rinvenuto.

580 1 S'intende, presumibilmente, dello Yemen.

581

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 15/2. Vienna, 3 gennaio 1912, ore 21 (per. ore 23).

Telegramma di V.E. Gabinetto n. 3 segreto'. Nella visita fatta oggi al conte di Aehrenthal egli mi ha detto se avessi avuto comunicazione da V.E. delle idee esposte da Sassonoff agli ambasciatori delle Grandi Potenze a Pietroburgo intese a fare cessare lo stato attuale di guerra fra Italia e Turchia e quali fossero le impressioni di VE. in proposito.

Ho risposto che tali idee erano state manifestate a V.E. dal consigliere di codesta ambasciata russa e che ella erasi riservata di fare conoscere suo parere dopo un più maturo esame di esse e dopo aver conferito col presidente del Consiglio. Aehrenthal mi ha detto quindi che era lieto dell'iniziativa presa dalla Russia che non poteva essere accolta che con simpatia essendo interesse di tutte le Potenze di por fine alla guerra ma che non credeva neppure di potersi pronunciare per ora in ordine alle idee suddette che avrebbe sottomesse ad attento esame e che si sarebbe poi messo in rapporto con gli altri Gabinetti.

Mi risulta che Aehrenthal si è espresso pure in questo senso con ambasciatori di Germania e di Russia che mi avevano preceduto nel suo Gabinetto.

Dopo aver premesso che mi parlava in via strettamente personale Aehrenthal mi ha fatto conoscere che non gli sembrava che le idee di Sassonoff di cui egli stesso avevagli fatto dire non essere fiero avrebbero potuto essere eseguite in pratica. Non credeva infatti che a noi convenisse di accettare un armistizio questo non potendo esserci vantaggioso per i danni che ne sarebbero derivati e dubitava che Sublime Porta si potesse decidere a ritirare sue truppe dalla Tripolitania e Cirenaica. Sperava però che dallo scambio di idee che sarebbe avvenuto tra Potenze si sarebbe potuto trovare una formula tale che fosse accettabile da noi e dalla Turchia. Quanto poi alle idee d'incaricare Francia di parlare a Costantinopoli a nome di tutte le Potenze Aehrenthal ha osservato in via parimente del tutto personale che gli sembrava che spettasse a tutte le Potenze qualora si fossero messe d'accordo di parlare alla Sublime Porta e che Russia avrebbe potuto tutt'al più scandagliare precedentemente il terreno. Ed ha aggiunto che era da supporre forse che incarico da affidare alla Francia fosse il risultato d'una combinazione ideata a Parigi tra Iswolski De Selves Caillaux ed altri. In seguito alle cose dettemi da Aehrenthal ho creduto dirgli dal canto mio in via confidenziale e personale che

V.E. considerava l'armistizio come dannoso non risultando ben chiara la clausola relativa al ritiro delle truppe turche.

581 1 Cfr. n. 577.

582

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5115. Vienna, 3 gennaio 1912, ore 21 (per. ore 23,50).

Telegramma di V.E. 15 1• Nel colloquio avuto oggi col conte Aehrenthal, discorso essendo caduto sul ritardo frapposto dalla Turchia ad accettare la delimitazione della frontiera prevista dal protocollo 1908, egli mi ha detto che, secondo informazioni pervenutegli, tale ritardo sarebbe cagionato dal fatto che colla delimitazione suddetta Sublime Porta avrebbe dovuto cedere al Montenegro alcuni territori abitati da popolazioni albanesi ciò a cui sembrava piuttosto alieno. Aehrenthal ha aggiunto che non gli risultava affatto che situazione in Albania fosse in questo momento grave. Alcuna notizia di più eragli fino ad ora pervenuta da consoli austro-ungarici.

583

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 10. Roma, 3 gennaio 1912, ore 21,15.

Faccio seguito al mio telegramma segreto n. 3 Gabinetto 1 . L'ambasciatore d'Inghilterra mi ha detto che il suo Governo gli ha chiesto il suo parere sulla proposta russa e mi ha domandato la mia impressione su di essa. Ho risposto che non potevo dargli una risposta impegnativa ma che la mia prima impressione era che l) sarebbe stato pericoloso e dannoso per noi ed anche per la pace europea astenerci da operazioni militari, finché soldati ed ufficiali turchi restano in Tripolitania e Cirenaica; 2) che salvo questo punto la proposta russa mi pareva nel resto meritevole di esser presa 1n esame.

Sir Rennell Rodd accennò al ritiro delle truppe turche in territorio neutrale per la durata dell'eventuale armistizio con facoltà di ritorno sul teatro della guerra in caso di rottura dei negoziati. A questa idea io obbiettai che oltre che dannosa per noi sarebbe stata pericolosa per la pace europea perché avrebbe probabilmente prolungato la guerra sospendendola in inverno e riaccendendola nella stagione più pericolosa.

583 1 Cfr. n. 577.

Sir Renne l espresse il dubbio che la Germania e l'Austria vogliano associarsi al passo proposto da Sassonoff presso la Turchia diretto farle comprendere che le due provincie sono per essa perdute.

Egli aggiunge che non crede che l'Inghilterra darà risposta negativa a tale proposta russa ma probabilmente prima di pronunciarsi desidera sapere se sarà accettata da tutte le altre potenze.

Ci trovammo concordi nel ritenere che intanto sarebbe già un risultato utile nell'interesse generale se tutte le Grandi Potenze si mettessero d'accordo per far comprendere alla Turchia la necessità di rassegnarsi all'inevitabile. Questo sarebbe un primo passo verso la pace la quale probabilmente non potrà raggiungersi se non procedendo per gradi.

582 1 Del l o gennaio, non pubblicato.

584

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 16/4. Il Cairo, 3 gennaio 1912.

Venerdì scorso S.A. il Kedive disse al colonnello Elia che aveva parlato a lungamente con due figli del capo della setta dei Medania sulla situazione in Cirenaica e Tripolitania. Li trovò preoccupati della piega che la guerra andava prendendo, perché malgrado le notizie menzognere della stampa va facendosi strada poco a poco il convincimento della impossibilità di organizzare una resistenza vittoriosa contro l'Italia. Sua Altezza, profittando dell'occasione e senza naturalmente far conoscere i propri sentimenti personali, disse ai due Medania che i turchi non erano in grado di mandar nuovi aiuti, che pertanto tutti i danni della guerra sarebbero ricaduti sugli arabi, che le popolazioni delle due provincie non avrebbero tardato ad accorgersene e che allora avrebbero indubbiamente cercato di accordarsi con gli italiani. Poiché i due Medania si mostravano di ciò persuasi, il kedive disse loro che da quanto si sapeva i senussi avevano mantenuto finora un atteggiamento incerto, il che avrebbe loro facilitato una intesa coi nuovi dominatori e fece loro temere che potessero intervenir degli accordi ad esclusivo vantaggio della setta rivale. Poiché i due Medania espressero il desiderio di sentire ciò che le autorità italiane avrebbero fatto in loro vantaggio, Sua Altezza li indirizzò allo sceik Eleisce che indicò come amico dell'Italia. Essi decisero di recarsi da quest'ultimo l'indomani mattina.

Appena seppi di questa decisione non ne fui molto lieto, perché conoscendo la fede cieca di sceik Eleisce per Mohamed Ali fui subito persuaso che questi sarebbe venuto a conoscenza delle intenzioni dei Medania e che data la sua animosità contro il kedive e l 'ignoranza in cui si trova delle attuali disposizioni di Sua Altezza, avrebbe cercato di far cadere la cosa o l'avrebbe lasciata cadere. Né al kedive potevo dire di mandare i due Medania da altra persona, sia perché il tempo mi mancava, sia, sovratutto, perché non potevo far conoscere il probabile intervento del Mohamed Ali di cui Sua Altezza tanto diffida, arrischiando di far andare a vuoto eventuali trattative che potrebbero riuscirei utili. Non mi restava che una sola cosa da fare: mandare l'indomani mattina il cavalier Nacouz da sceik Eleisce per avvertirlo della venuta dei due visitatori ed incitar! o a riceverli e ad agire in nostro favore (devo dire che il sceik è pieno di paura fin dall'inizio della guerra), avvertire poi il Mohamed Ali cercando di indurlo a lavorare per noi in questa faccenda come se si trattasse di cosa sua ed in cui a lui soltanto dovesse poi ricadere il merito di un eventuale successo. Mi sarei infatti ben guardato di dirgli la parte avuta dal kedive. Dato nondimeno l'atteggiamento che da anni il Mohamed Ali, l'Insabato e gli altri hanno assunto verso l'agenzia diplomatica ho avuto subito il timore che, malgrado tutto il mio buon volere, non sarei riuscito ad ottenere una cooperazione leale. Quanto espongo in appresso a V.E. mi dà purtroppo ragione.

Il sabato mattina il cavalier Nacouz si è recato dal sceik dove incontrò i due Medania; ecco quanto egli mi ha riferito circa il loro colloquio: «Recatomi da sceik Eleisce, stamani 30 dicembre 1911 alle ore 9 antimeridiane, gli dissi essere stato informato che una persona influente gli avrebbe diretti due individui, figli dello sceik el Medani che risiede a Costantinopoli, i quali si trovano attualmente in Cairo, perché egli suggerisca a detti individui i mezzi per avvicinarsi alle autorità italiane in Cairo allo scopo di conoscere il loro intendimento verso la popolazione musulmana della Tripolitania e particolarmente verso la grande tribù dei Medania 1 , dalla quale dipendono molte zauie in Tripolitania.

Sceik Eleisce non esitò a dirmi che ieri sera un suo parente venne a trovarlo per dirgli che il capo dei camerieri di S.A. il Kedive era venuto a trovarlo in casa sua, per dirgli appunto che due figli del sceik el Zaffer el Medani avrebbero desiderio di vederlo per sollecitare il suo appoggio presso la r. agenzia italiana allo scopo di ottenere qualche vantaggio dal Governo italiano. Mi soggiunse che sulle prime ebbe a rifiutare di vederli per tema di qualche tranello, ma che poi consigliato dallo sceik suo cognato accettava di ricevere detti due individui a condizione però che siano sinceri ed in buona fede, perché egli non voleva assolutamente prestarsi ad alcun tradimento verso il Governo italiano a cui deve rispetto ed amore. Lo ringraziai per il suo modo d'agire e gli dissi che aveva fatto benissimo.

Sceik Eleisce mi disse che attendeva la visita di quei tali alle dieci antimeridiane e che io potevo assistere all'abboccamento fra di loro. Infatti alle dieci e mezza vennero due individui, il primo vestito del costume mograbino e l'altro vestito ali' europea colla stambulina ed il tarbusc. Entrato nella sala in cui si trovavano già i su indicati due individui, lo sceik Eleisce mi presentò a loro come il primo dragomanno dell'agenzia italiana e come amico di tutti gli arabi essendo di origine araba, sebbene di religione cristiana.

Sceik Eleisce allora cominciò a raccontare tutto il bene che l'Italia ha fatto per l'arredamento della moschea di Umberto Primo provvedendo a tutto il necessario

perché la moschea stessa potesse funzionare convenientemente, ha raccontato tutto il bene che l 'Italia compie in Eritrea ed in Somalia per render felice la vita alla popolazione musulmana.

Dopo di ciò presi la parola io e domandai a quei tali se sono figli del Gran Capo el Zefer el Medani del quale conoscevo la storia, ed essi mi risposero affermativamente. Domandai se quel Medani che si trova attualmente a Tantah (v. rapporto n. 1796/679, in data 20 ottobre 1911)2 era pure della famiglia, mi risposero un "si" alquanto imbarazzato. Allora io dissi che per qualunque cosa avessero bisogno mi mettevo a loro disposizione, tanto più che l'intervento dello sceik Eleisce era mezzo sicuro per ottenere dal Governo italiano ciò che desideravano, essendo egli molto ben voluto. Essi ringraziarono e replicarono che i fatti che si svolgono in Tripolitania li interessavano assai avendo colà moltissimi parenti e proprietà. Essi non chiedono altro che il rispetto alle consuetudini ed alle leggi e dissero che se faranno dei passi presso i loro adepti li faranno per spirito d'umanità.

Chiesero del mio nome e detti loro la mia carta da visita dicendo che in qualunque momento che mi volessero possono venire a vedermi in casa mia o mandarmi a dire per mezzo di sceik Eleisce del luogo dove possiamo incontrarci. Questi signori non nascosero che furono indotti dallo stesso kedive a recarsi da sceik Eleisce, essendo questi in grande considerazione presso il Governo italiano: aggiunsero che sono ospiti di Sua Altezza. Il loro nome è: el saied Mohamed Zafer el Madani e Abdel Salam Zafer el Madani».

Stante le molte occupazioni di fin d'anno e del principio del nuovo, ieri mattina soltanto ho potuto chiamare in agenzia Mohamed Ali, nell'intenzione appunto di interessarlo alla faccenda per neutralizzarne l'eventuale opposizione, ma era già troppo tardi. Fece rispondere che sarebbe venuto fra qualche giorno e ciò basta per dimostrare a E.V. il modo come egli attende agli inviti di questa r. agenzia del cui personale fa parte come interprete onorario. Ieri nel pomeriggio venne in agenzia il di lui fratello per riscuotere il consueto sussidio alla scuola Tadirieh ed a lui il Nacouz disse ch'io mi ero lagnato del rifiuto di Mohamed Ali di venirmi a vedere. Mentre poi pranzavamo è venuto a trovarmi il conte Manassei, che, come già ho riferito in via privata, ha conosciuti qui Parvis, Insabato e Mohamed Ali, e mi disse che credeva suo dovere riferirmi subito quello che i tre gli avevano detto. Riassumo brevemente le sue parole:

«Mohamed Ali è assai dispiacente d'essersi rifiutato di recarsi in agenzia, ma non sapeva d'esser desiderato da lei per cui ha gran deferenza. Il cavass gli disse che era chiamato dal cavalier Nacouz col quale non vuol aver nulla da fare ritenendolo persona infida. Anche sceik Eleisce è dello stesso avviso e perciò quando giorni or sono si incontrò da lui con due Medania, evitò di parlar con loro di alcuna cosa compromettente, ma, ad insaputa del Nacouz, invitò i due a pranzo per il giorno successivo e li fece incontrare con Mohamed Ali ed Insabato. Il Parvis solo non potè assistere perché obbligato a passare la serata in famiglia. Insabato riferì che mai

come in questa circostanza il Mohamed Ali ha saputo lavorar bene; fece abilmente cadere i due Medania nelle sue reti e fece loro confessare quasi senza se n'accorgessero che la loro prima intenzione era stata quella di recarsi in Cirenaica per eccitarvi gli arabi contro di noi. Sul loro atteggiamento futuro vollero dir poco. Invitati ad un altro colloquio si schermirono, dissero che dovevano andare in Alessandria ove il Mohamed Ali si offri di seguirli, dissero poi che sarebbero partiti col kedive per Sollum, per di là proseguire soli ed accettarono far mandare delle lettere ai loro fedeli per il tramite di Insabato. Questi deve ricever le lettere questa sera, si propone naturalmente di aprirle; se me ne comunicherà il contenuto, come spero, non mancherò di farglielo conoscere».

Fin qui il Manassei, che si disse anzi incaricato d'una missione di Insabato verso di me, che cioè questi gli aveva detto di scusarlo presso di me per il suo intervento in una questione che era stata iniziata dall'agenzia, ma che avevano ritenuto necessario di farlo col sceik in vista dell'interesse di sapere esattamente cosa i due volevano e si proponevano, che però se non avessi voluto che se ne occupasse si sarebbe subito ritirato. Naturalmente l 'intervento da me temuto di quegli individui che sono sospetti al kedive e che probabilmente saranno stati dipinti come tali ai due Medania ha, credo, compromesso irrimediabilmente un progetto che, per quanto nel momento attuale non se ne possa dir nulla, avrebbe potuto dar qualche frutto. Se nuove accuse all'onestà del Nacouz vennero mosse al conte Manassei, che me lo disse senza sottintesi, è a supporsi che altrettante ne sian state fatte ai due Medania, sicché ora è del tutto inutile che il dottor Insabato s'offra di ritirarsi una volta che sarà riuscito a porli in diffidenza verso la sola persona di cui posso valermi verso indigeni che non parlano altre lingue.

Non so se i Medania si recheranno veramente a Sollum col kedive che me ne avrebbe probabilmente informato. Suppongo invece sia stata una scusa per interrompere le loro relazioni col circolo di sceik Eleisce. Ora la faccenda si presenta molto compromessa ed in ogni caso assai imbarazzante per noi. Io non posso mettermi a lavorare con Insabato, sul che ho avuto ordini precisi da V.E., d'altra parte il kedive finirà indubbiamente col domandare quale esito ha avuto il suo progetto; se per parte mia potrei nascondergli il vero non lo faranno certamente i due Medania. Siccome Sua Altezza è partita oggi per Sollum e rimarrà assente una ventina di giorni, potrò ricevere in tempo da V.E. le necessarie istruzioni se continuare ad occuparmi della cosa od abbandonarla nell'interesse di evitare complicazioni. Sono molto riconoscente a V.E. del benevolo avviso espresso a riguardo della modesta opera mia e del cavalier Nacouz da lei e da S.E. il presidente del Consiglio, ma nel fatto, qui, la doppia azione dell'agenzia e di una missione secreta che lavora per proprio conto, in completa indipendenza dalla rappresentanza ufficiale del R. Governo e purtroppo, per le persone che la compongono, in palese e voluta opposizione ai funzionari italiani finirà col condurci a qualche incidente. Non è sempre possibile fare un doppio gioco come quello che sto facendo io qui, sconfessare cioè a parole persone ed azioni che esistono e devo lasciare indisturbate. Bisognerebbe prendere una decisione per la rappresentanza ufficiale o per quella ufficiosa, ma ora la cosa è ormai difficile perché non vedo come potrei giustificare a Sua Altezza un completo disinteressamento da questioni di tanta importanza. Bisogna dunque sperare che questa situazione così ibrida e pericolosa non finisca col condurre a qualche incidente.

Questa sera ho visto il Mohamed Ali al quale ho chiesto esplicitamente di dirmi se e quali accuse potessero farsi all'integrità del cavalier Nacouz riferendogli che varie persone mi avevano parlato di accuse vaghe mosse contro il medesimo. Mi rispose ciò che attendevo non esser egli in grado di dir nulla contro quel r. funzionario. Circa i due Medania disse che si recano in Cirenaica con l'incarico da parte del kedive di incitare le popolazioni alla resistenza. Non appena il kedive avrà fatto ritorno in Cairo (tra una ventina di giorni se non più) saprò se detti individui sono veramente partiti cosa di cui dubito: per allora, poiché ve ne è il tempo sarò grato a

V.E. -come ho detto più sopra di farmi sapere se debbo continuare ad insistere presso Sua Altezza nel senso che non si tralasci di incitare quei Medania a lavorare in nostro favore, o se sia meglio abbandonare la faccenda per evitare che l'intervento di Insabato e compagni, che forse è determinato dal desiderio di rendere dei servigi al R. -Governo, non ci conduca a qualche attrito col kedive stesso3 .

584 1 «Grande tribù dei Medania», sottolineato e seguito da «!?».

584 2 Non rinvenuto nel fascicolo.

585

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 23/3. Vienna, 4 gennaio 1912, ore 5,50 (per. ore 19,55).

Telegramma di V.E. Gabinetto n. 3 segreto 1• L'idea di un armistizio destinato a durare fino a che sorgesse la probabilità di concludere pace non mi sembra molto felice. Infatti se l'armistizio dovesse precedere il ritorno delle truppe turche dalla Tripolitania e Cirenaica sarebbe poco prudente il concluderlo perché nessuna Potenza potrebbe garantirci che tale ritiro avverrebbe poi in fatto. L'idea sarebbe in tal caso tutta a nostro danno ed a tutto vantaggio della Turchia perché immobilizzerebbe nostro esercito mentre darebbe agio agli ufficiali turchi di ritirarsi nell'interno per organizzare le tribù arabe. Se per contro l'idea dovesse essere seguita immediatamente da ritiro delle truppe turche esso sarebbe superfluo. A me sembra che se la Turchia in seguito ai passi che le Potenze fossero per fare a Costantinopoli si decidessero a entrare nell'ordine di idee della pace dovrebbero senz'altro dare ordini alle sue truppe regolari di entrare dalla Tripolitania in Tunisia e dalla Cirenaica in Egitto dove la Francia e l'Inghilterra le disarmerebbero. Anche da questo punto di vista dell'amor patrio della Turchia questo sarebbe la migliore soluzione. Così la guerra cesserebbe di fatto tra Italia e la Turchia. In seguito a ciò l'Italia e la Turchia

585 1 Cfr. n. 577.

597 potrebbero negoziare sia mediante le Potenze ed ove fosse possibile sia direttamente tra loro per ristabilire i rapporti normali con una convenzione che senza toccare la questione della nostra sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica potrebbero stabilire: l) Il ristabilimento dello statu quo precedente all'iniziare della guerra per tutto ciò che concerne i sudditti italiani nell'Impero ottomano (capitolazioni, scuole, uffici postali eccetera). 2) La clausola relativamente ai rapporti spirituali tra sultano come califfo e musulmani della Tripolitania e Cirenaica. 3) L'impegno dell'Italia a pagare alla Turchia una determinata somma per un titolo da stabilirsi in modo che il nostro amor proprio sia tutelato. Naturalmente le Potenze dovrebbero impegnarsi con noi a prevenire la Sublime Porta che fatta la pace su queste basi esse ricompenserebbero formalmente la nostra sovranità sulle due province. Quanto alla proposta di incaricare la Francia a parlare a Costantinopoli in modo delle Potenze essa mi sembra poco opportuna per ragioni di politica generale e potrebbe essere poi vista di mal occhio dai nostri alleati. Ma se anche non si potesse ottenere che parlare a Costantinopoli una delle Potenze nostre alleate per esempio la Germania sarebbe almeno desiderabile che una delle Potenze nostre alleate facesse il passo insieme alla Francia o ad una delle Potenze della Triplice Intesa. Soltanto ove Germania e Austria-Ungheria non credessero di associarsi e preferissero lasciare la Francia parlare sola in nome delle Potenze è evidente che non avremmo più ragione di insistere perché si proceda altrimenti. L'idea però emessa da Aehrenthal che tutte le Potenze parlino a Costantinopoli (mio telegramma Gabinetto segreto n. 2)2 mi sembrerebbe più conveniente e naturale e una azione unanime di esse avrebbe certo un peso maggiore sulla Sublime Porta.

584 3 Per il seguito della questione cfr. n. 685.

586

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 21/4. Berlino, 4 gennaio 1912, ore 14, 18 (per. ore 18,40).

Telegramma di V.E. n. 3 Gabinetto'. Zimmerman ha ricevuto da Pietroburgo e da questo ambasciatore di Russia analoga comunicazione delle proposte Sazonoff per un armistizio. Riservandosi di esaminarle ed anche per riguardo all'assenza di Kiderlen, egli non si è ancora pronunciato in modo formale, ma ha manifestato in massima le sue disposizioni favorevoli ad un tentativo delle Potenze nel senso indicato.

Zimmermann, pur temendo che quella proposta incontrerà a Costantinopoli non poche difficoltà, ritiene che qualche passo debba farsi ad ogni modo come avvia

586 1 Cfr. n. 577.

mento alla pace. Questo ambasciatore di Turchia, al quale due giorni fa egli fece vagamente allusione ad un eventuale armistizio, aveva rinnovato le solite dichiarazioni di resistenza ad oltranza allegando fra altro che non si poteva abbandonare gli arabi dimostratisi fedeli al proprio sovrano; ma Nizam stesso aveva poi accennato che nel caso di un armistizio sarebbe da riservarsi un lembo provvisoriamente riparare quegli indigeni avversi al dominio italiano. Zimmermann avendomi chiesto se ritenevo che il R. Governo fosse eventualmente disposto a qualche concessione di tal genere atto ad agevolare i negoziati colla Turchia, gli risposi che lo ignoravo, ma che se la riserva in questione tendesse ad implicare un qualunque riparto di territorio, non era evidentemente il caso di parlarne; ed osservai che del resto l'idea di un armistizio essendo conciliabile con quella di una temporanea linea di delimitazione, al di là della quale dovrebbe eseguirsi l'evacuazione delle truppe turche, nulla impediva che intanto ne approfittassero anche quegli arabi combattenti. I due punti essenziali io conclusi sono per noi, l'evacuazione delle truppe turche ed il riconoscimento delle Potenze; su tutto il resto vi sarebbe modo di transigere. Quanto al modus procedendi mi è parso che Zimmermann non fosse troppo favorevolmente impressionato delle idee di deferire esclusivamente alla Francia la missione di parlare a Costantinopoli in nome di tutte le Potenze. Credo che egli si aspettasse a che quelle prime pratiche fossero da affidarsi congiuntamente alla Francia ed alla Germania, considerando fra altro che quest'ultima è già incaricata della rappresentanza diplomatica dei due belligeranti e che la Francia e la Germania verrebbero così ad agire come per mandato dei rispettivi gruppi di alleanze, essendo poi esse le due Potenze che mentre possiedono i maggiori interessi economici in Turchia non vi hanno contatto territoriale. Vedrà V.E. se vi sia modo fare prudentemente suggerire a Pietroburgo ed a Parigi l'idea di una simile partecipazione, la quale senza dubbio sarebbe vantaggiosa per ovvie considerazioni sia al successo dei proposti negoziati sia anche dal punto di vista di interesse di ordine più generale.

585 2 T. Gab. 15/2 del 3 gennaio, non pubblicato.

587

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 66/66. Il Cairo, 4 gennaio 1912, ore 14,35 (per. ore 17,30).

Mi risulta da più parti che la Turchia avrebbe concentrato lungo il confine del Sinai armi, munizioni e dicesi anche uomini con l'intento di avviarli in Cirenaica attraverso l'Egitto.

Agenzia britannica mi informa che tutte le misure necessarie furono prese per impedire violazioni di neutralità attraverso Canale di Suez e so effettivamente si esercita una sorveglianza efficace. Lord Kitchener stamane mi ha fatto dire confidenzialmente che per effetto di detta sorveglianza ritiene probabile Turchia rinunzi tentativi lungo canale per avviare contrabbando di guerra mediante sambuchi da Akaba o da costa meridionale Sinai sulla costa egiziana probabilmente verso Koseir. Mi aggiunge che non può esercitare sorveglianza sufficiente disponendo di un solo guardacosta: per ciò suggerisce a noi prender misure necessarie di vigilanza lungo tutto il Golfo di Suez e sbocco Golfo Akaba.

Mi sembra urgente aderire invito, sia per sventare tentativi turchi, sia per non parere di fronte Egitto disposti soltanto reclamare misure tutela a nostro favore senza adottarle noi stessi. Credo opportuno mandare subito r. nave necessaria dall'Italia coadiuvare quelle stazioni Mar Rosso già assorbite altri compiti.

Kitchener desidera essere informato non appena nave sarà sul posto, il che prova urgenza del provvedimento. Prego informare Guerra e Marina nonché capo di Stato Maggiore.

588

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 19/3. Pietroburgo, 4 gennaio 1912, ore 16, 15 (per. ore 17,25).

Sassonoff mi ha parlato nuovamente del noto progetto della proclamazione dell'indipendenza della Tripolitania per parte della Turchia. Egli credeva però che sarebbe difficilmente accettabile ai turchi in quanto che costituiva una volontaria rinunzia per parte loro a quelle provincie dell'Impero. Il suo progetto aveva invece il vantaggio di evitare ai turchi ogni esplicito riconoscimento o rinunzia.

589

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 82/8. Il Cairo, 4 gennaio 1912, ore 21,30 (per. ore 23,35).

Giunse da Malta nave da guerra inglese «Suffolk» che ha incarico sorvegliare mantenimento neutralità acque egiziane. Principe Fuad dice che invio nave fu determinato da intento rafforzare sorveglianza contro eventuale contrabbando ritenendo non abbastanza efficace quella esercitata r.r. navi e per assodare eventuali violazioni neutralità da parte di queste ultime. Principe assicura che pubblico si è preoccupato pensiero R. Governo possa sostenere responsabilità Egitto nelle conseguenze per noi dannose pel contrabbando armi verificatosi scorso dicembre. Mi ha parlato nota questione Alabama con cui vorrebbe trovare qualche affinità nella situazione creata all'Egitto da detto contrabbando. A suo avviso dovremmo far rimarcare queste autorità che si intenderebbe addossare Egitto responsabilità civile per l'accaduto giacché in tal modo zelo medesime sarebbe accresciuto. Per quanto tesi principe non mi sembra troppo sostenibile ho voluto riferire parola all'E.V.

590

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 22/2. Londra, 4 gennaio 1912 1.

Telegramma V.E. Gabinetto 32 .

A mio avviso proposta Sazonoff presenta due vantaggi incontestabili: l) riconoscimento Potenze nostra annessione; 2) fa rilevare necessità intervento Potenze a Costantinopoli in favore pace. Questi vantaggi però sono sensibilmente attenuati se non distrutti dalle condizioni in cui viene formulata conclusione eventuale armistizio.

Un armistizio difatti di durata indefinita e non preceduto da [inteseP su basi concrete per preliminari di pace andrebbe vantaggio totale turchi ai quali si porgerebbe destro di profittare sospensione operazioni militari e rinviare sine die conclusione pace. Ciò da un lato ci imporrebbe onere finanziario del mantenimento integrale nostre truppe occupazione, mentre cagionerebbe dall'altra grave pregiudizio ai nostri interessi politici economici resto Impero e prolungherebbe già [penosa] precaria situazione italiana nello Impero ottomano. Per ovvie considerazioni di politica generale specie quella di non ferire suscettibilità della Russia mostratasi nostra sincera amica nella circostanza presente e di addossarci responsabilità della prolungata guerra non mi sembrerebbe tuttavia consigliabile dichiarare senz'altro inaccettabile proposta russa. Sarebbe invece desiderabile trovare il modo di migliorarla rendcndola meglio corrispondente nostre legittime esigenze. Si potrebbe per esempio suggerire che prima fare a Costantinopoli aperture nel senso proposta Sazonoff o da sola o d'accordo altra Potenza tastare terreno per sapere se Turchia sarebbe disposta a concludere pace alle condizioni che siamo disposti offrire. Potenze dovrebbero in pari tempo lasciare intendere Sublime Porta loro decisione riconoscere comunque nostra annessione rimanendo inteso che di essa come della rinunzia alla sovranità turca non si farebbe alcuna menzione nel trattato di pace. Raggiunta intesa su questo punto fondamentale [ed impegnatasi] 3 Turchia di fronte Potenze si potrebbe senza [inconvenienti]3 stipulare armistizio immediatamente seguito da formale negoziato

2 Cfr. n. 577.

3 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

di pace. In frattempo Turchia spontaneamente proclamare indipendenza e ritirare truppe.

Stante concessione veramente importante che noi faremmo col non insistere nell'imporre alla Turchia rinunzia alla sovranità, mi pare che questa modificazione od altra da studiarsi non dovrebbe essere trovata eccessiva ed irragionevole e potrebbe prestarsi come base per azione conciliativa Potenze presso Turchia. Circa pensiero Grey riferisco non appena riuscirò vederlo4 .

590 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

591

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

D. Il. Roma, 4 gennaio 1912.

Per informazione personale di VE. le faccio conoscere che oggi Mérey mi ha comunicato il contenuto d'una lettera particolare direttagli da Aehrenthal il 19 dicembrel.

Aehrenthal dice nella predetta lettera presso a poco quanto segue:

«Egli ha lavorato cinque anni a migliorare i rapporti tra Italia ed Austria e ciò gli dà diritto di parlare francamente. La guerra italo-turca ha reso nervosi in Italia paese e Governo e la stampa italiana ha tenuto un linguaggio aggressivo contro Germania ed Austria, non giustificato dalle critiche obiettive della stampa austriaca-tedesca. In quella ora la stampa italiana non si è mostrata risentita degli attacchi ancora più vivaci della stampa inglese.

Aehrenthal tuttavia ha lavorato presso la stampa austriaca per moderare il linguaggio, che in parte era motivato dal ricordo degli attacchi della stampa italiana all'Austria nel 1908 in occasione dell'annessione della Bosnia ed Erzegovina.

Egli crede che il Governo italiano non apprezzi abbastanza i benefici della Triplice Alleanza tra cui la protezione degli italiani durante la guerra in Albania e il linguaggio dei Governi austriaco e ungherese nei rispettivi parlamenti.

Articoli pubblicati sui giornali italiani di uomini politici dimostrano che tali servizi amichevoli non sono abbastanza apprezzati, ed il Governo italiano non fa abbastanza per popolarizzare la Triplice Alleanza e per reprimere le manifestazioni irridentiste, né tiene abbastanza conto delle difficoltà che egli deve affrontare in Austria per perseverare nella sua politica amichevole verso l'Italia.

2 Cfr. OeUA, vol. III, n. 3139.

Il malumore dell'opinione pubblica austriaca contro l'azione italiana in Tripolitania si spiega per l 'interesse dell'Austria alla solidità e conservazione della Turchia e perché si credeva che l'Italia avrebbe aspettato il momento della dissoluzione dell'Impero ottomano per tradurre in atto le sue aspirazioni a Tripoli.

Il modo poi come l'attacco dell'Italia alla Turchia fu fatto ha rafforzato in alcuni circoli austriaci il timore che l'Italia facesse un giorno altrettanto contro l'Austria.

L'Italia dovrebbe da ora in poi evitare di esporsi alla critica che le vien mossa di aver sempre fatto un politica di equilibri e un jeu de bascule tra i suoi alleati ed altre potenze ma applicare d'ora in poi in tutto il suo spirito la Triplice Alleanza».

A tutto questo ho risposto presso a poco nei termini seguenti:

«Governo e Paese in Italia apprezzano quanto Aehrenthal ha fatto già per migliorare i rapporti tra Italia e Austria. lo credo d'altra parte di avervi pure contribuito.

La Nazione italiana ha posto tutto l'animo suo in questa guerra, in questa prima grande prova nazionale e, perciò tutto ciò che viene dall'estero e vi si connette produce impressione profonda, viva e durevole. La nostra stampa ha risposto agli attacchi della stampa austriaca e tedesca, che, almeno nei sunti telegrafici, parvero assai offensivi, e ben diversi da una critica obiettiva. Si è men risentito delle critiche dei giornali inglesi perché si credette sapere che non eran mossi da ostilità contro l'Italia, ma da sentimentalismo male informato in buona fede. Credo quindi in questa occasione spiegabile il vivace linguaggio della stampa italiana, mentre convengo con Aehrenthal nel giudicare deplorevole quello tenuto nel 1908, che attribuisco in parte ad ignoranza e in parte a desiderio d'attaccare Tittoni per motivi di politica interna. Non soltanto il Governo italiano apprezza i benefici della Triplice Alleanza ma tutti gli uomini seri in Italia sono per la rinnovazione della Triplice. La protezione degli italiani in Albania fu da noi affidata all'Austria per porle una prova di fiducia, ignorando che fosse una conseguenza necessaria della convenzione consolare austro-tedesca.

I discorsi di Gautsch, Khuen-Hédervary e Aehrenthal sono stati tanto favorevolmente commentati e con tanta unanimità e tanto calore dalla stampa italiana che lo stesso Mérey mi espresse il timore che si credesse. Non ricordo che alcun uomo politico italiano serio abbia scritto articoli contro l'Austria. Il Governo italiano fa quel che può per render sempre più popolare la Triplice ma il successo dipenderà in grandissima parte dalla condotta degli alleati nella questione di Tripoli. Ciò non bisogna dirlo per non dar luogo a false interpretazioni, ma è la verità. Il Governo italiano fa il possibile per impedire le manifestazioni irridentiste, ma il Governo in Italia ha le mani legate dalla nostra legislazione che è molto liberale e dal timore di dare notorietà ed importanza ad individui falsi e che non ne hanno.

Il Governo conosce le difficoltà contro cui Aehrenthal deve lottare in Austria, e ha fatto, fa e farà quanto è in suo potere per facilitargli il compito.

Non era possibile differire la soluzione della questione di Tripoli, per molte ragioni, tra cui quella che, risoluta la questione del Marocco, avremmo dovuto, se non avessimo preso subito la Tripolitania e Cirenaica, dare maggiori occasioni ad essere accusati di jeu de bascule mentre uno dei motivi per cui abbiamo detto di risolvere senza indugi la questione di Tripoli è per potere nei rapporti cogli alleati in quelli colla Turchia conformare interamente e costantemente la nostra politica allo spirito dell' Allenza».

Mérey mi è parso abbastanza convinto delle mie ragioni.

590 4 Con T. Gab. Segreto 52/7 del 9 gennaio, non pubblicato, Imperiali riferiva che Grey stava esaminando la proposta russa e comunque suo desiderio era di agire in perfetto accordo con gli altri Governi.

591 1 Minuta autografa. Il dispaccio fu inviato ad entrambi con il medesimo numero.

592

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 30/1. Il Cairo, 6 gennaio 1912, ore 0,35 (per. ore 5,50).

Prima di dar corso alle istruzioni contenute nel telegramma 6270 1 mi permetto sottoporre ali 'Eccellenza seguente considerazione. l) Per quanto riguarda concessione offerta al capo dei senussi è probabile che principe Fuad osserverà che si concretano effettivamente solo nella promessa d'un assegno. Le altre sono più che altro apparenti in quanto si riferiscono e al riconoscimento di legge religiosa e costumi locali già garantito indifferentemente a tutti gli arabi o al mantenimento di proprietà che possono considerarsi appunto connesse alle costumanze del paese o a facilitazioni commerciali che è anche nel nostro interesse di vedere sviluppati. Senza far concessioni di carattere propriamente politico non sarebbe forse impossibile trovare un terreno d'intesa sulla base del riconoscimento di qualche titolo e di qualche privilegio di carattere amministrativo o giudiziario nel senso per esempio di assicurare entro certi limiti una preferenza ai capi delle zauie senussite nella scelta di magistrature locali come cadì o simili, le cui funzioni in paesi musulmani si confondono col potere religioso. Così pure sembrerebbe che qualche accordo fosse possibile nel!' esercizio dei poteri di politica in quanto è noto come la setta dei senussi abbia conquistato larga simpatia ed influenza notevole fra le tribù, assicurando nei paesi su quali estende propria egemonia una sicurezza quasi assoluta delle vie carovaniere un rispetto della proprietà altrui che quelle popolazioni semi-barbare non avevano in precedenza conosciuta. Anche nella relazione sull'oasi di Siwa che ho trasmesso col rapporto n. 782 del 5 dicembre2 si rileva che le popolazioni locali ricorrono al vicino centro senussita di Giarabub per averne norma nelle proprie questioni. 2) È cosa sommamente delicata e pericolosa far cenno al principe Fuad della esistenza di una missione segreta. Egli mi chiederà certo per prima cosa chi sono questi messi: né come rappresentante del R. Governo potrò pretendere di

592 1 Cfr. n. 575. 2 Non rinvenuto.

ignorarlo. Ricorderò che V.E. mi ha incaricato espressamente di sconfessare l'azione di Mohamed Ali e di Insabato qualora il kedive me ne avesse parlato e che ho dovuto seguire siffatte istruzioni. Il kedive e Fuad lavorano ora d'accordo; l'accordo non sarà forse duraturo ma pel momento esiste, rendendo così probabile che il principe intrattenga il kedive dell'incarico affidato dal R. Governo all'Insabato. Ne deriverebbe per lo meno un sospetto sulla sincerità dell'atteggiamento da me mantenuto di fronte sovrano locale il che potrebbe porlo in diffidenza verso me o peggio codesto ministero e compromettere il proseguimento o l'esito d'altra azione come l'insurrezione dell'Idrissi che furono iniziate col concorso diretto del medesimo. 3) Mi sembra poco probabile che il capo dei senussi mandi un nuovo rappresentante a trattare con noi nelle località occupate dalle nostre truppe appunto per l'effetto che l'invio avrebbe tra le popolazioni locali di menomare cioè l'importanza ed il prestigio su cui è basata egemonia del capo senussi e di fare apparire le deliberazioni e gli accordi meno spontanei ed indipendenti. Ricordo che il senussi ha sempre evitato di farlo anche col Governo ottomano. Se il viaggio dovesse compiersi direttamente da Kufra, Tripoli o Bengasi esso potrebbe avere effetto contrario ai nostri interessi nulla garantendoci che esso non possa eccitare il fanatismo degli indigeni o spingerli verso la costa per accrescervi il numero di coloro che si combattono. Avviare il rappresentante a Tripoli o Bengasi facendolo passare attraverso l 'Egitto, cioè per la via più lunga, non eviterebbe il pericolo delle influenze a noi contrarie che potrebbero circondarle al passaggio ma neanche gli inconvenienti della sua presenza fra le nostre truppe. 4) Affidare al messo del principe Fuad una lettera del presidente del Consiglio può essere decisione non gradita al principe, il quale per la sua posizione di principe musulmano, aspira ad essere diretto intermediario e non alla semplice funzione di trovare un individuo che porti credenziali altrui e che pertanto da queste tragga propria, autorità. Del resto è probabile che il capo senussi, forse disposto accogliere con un certo favore invito di un principe egiziano, ignori interamente l'importanza e le funzioni d'un presidente del Consiglio e sia perciò meno disposto fidarsi delle sue promesse ed a lasciarsi indurre alla nomina di un vero e proprio rappresentante destinato a trattare con quello del R. Governo le condizioni definitive del ravvicinamento tra i senussi ed i nobili di quelle regioni sulle quali egli ha pretese e fino a un certo punto i diritti che derivano dal consenso e dalla venerazione della popolazione. Le trattative per un accordo pratico coi senussi non sono certamente agevoli trattandosi di una setta d'importanza indiscutibile che dispone di mezzi abbastanza larghi di armi e di numerosi adepti pronti eseguirne gli ordini ciecamente. Non è presumibile che il Senussi si accordi ad un'intesa che rappresenta nel suo pensiero un [ ... p anziché una sottomissione senza ricevere compensi soddisfacenti che bilancino quella supremazia di cui godette finora ed alla quale dovrebbe rinunziare. Né a questo compenso presterà soverchio [ ... ]3 almeno all'inizio se non avrà piena fiducia nell'in

termediario incaricato di offrirglieli ed è per questo che, senza negare le relazioni di Mohamed Ali o di Insabato coi senussi, ho sempre dubitato che essi possano avere autorità sufficiente verso il capo di una setta che vanta discendenza dal profeta ed ha pretese al Caleffato. Il R. Governo deve aver da lungo tempo determinato le basi su cui è disposto intendersi coi senussi per evitare di iniziare coi medesimi una lotta lunga e non facile. L'invio del messo d'un principe egiziano può essere veramente la prima occasione seria di avvicinare il capo in incognito in una forma che l'induca se non altro a discutere le possibilità di un accordo con noi e bisognerebbe facilitargli il compito in quanto è possibile. Mentre ho creduto doveroso esporre quanto precede a V.E. sono naturalmente pronto non appena me ne dia conferma ad intrattenere il principe Fuad nel senso preciso del telegramma al quale mi riferisco4 .

592 3 Gruppo indecifrato.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. GAB. SEGRETO 45. Roma, 6 gennaio 1912, ore 21,20.

Telegramma di VE. Gabinetto n. 41• Non è possibile per noi sospendere le ostilità finché soldati ed ufficiali turchi si trovano in Tripolitania e Cirenaica. L'impegno della Turchia di ritirarli non è sufficiente perché può esser preso in mala fede, e perché, anche se preso in buona fede, può non essere obbedito. Infatti Enver bey ed altri hanno pubblicamente dichiarato che non obbediranno. Noi potremmo bensì, quando siano concordate tutte le condizioni della soluzione, prendere l'impegno anticipato di sospendere le ostilità a partire dal giorno in cui gli ufficiali e soldati turchi si saranno effettivamente ritirati.

Si potreobe anche esaminare se sia opportuno, previ i relativi accordi segreti, un nostro proclama di amnistia agli arabi per tutti gli atti compiuti contro di noi sino alla data del proclama, purché, ben inteso, quelli che vogliono godere dell'amnistia si sottomettano entro un equo termine. Ciò renderebbe più facile alla Turchia il ritirare i suoi ufficiali e soldati; poiché non soltanto non avrebbe l'apparenza di abbandonare gli arabi alle nostre vendette dopo di averli sobillati e condotti a combattere contro di noi, ma potrebbe dianzi a tutto il mondo musulmano, giustificare il ritiro col desiderio di evitare agli arabi sofferenze, perdite e castighi. In altri termini, le sue risoluzioni potrebbero apparire ispirate da sentimenti umanitari e da fratellanza musulmana.

593 1 T. Gab. segreto 29/4 del 5 gennaio, non pubblicato.

592 4 Per il seguito cfr. n. 615.

594

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 36/12. Parigi, 6 gennaio 1912, ore 23,35 (per. ore 0,20 del 7).

Ho avuto stamane colloquio con Caillaux, il quale mi ha manifestato il suo pensiero circa l'iniziativa di Sassonoff. Anzitutto mi ha detto che mai la Francia accetterebbe di assumere una posizione distinta dalla altre Potenze facendosi l'interprete del loro pensiero a Costantinopoli. La Francia intende procedere colle altre a parità di posizione. Quindi si associerà volentieri a qualunque passo collettivo verso la Turchia ma questo passo dev'essere fatto a Costantinopoli da tutte le Potenze insieme. Quanto alla possibilità di condurre le Potenze ad una azione decisiva e concorde Caillaux si mostra molto scettico e teme che l'iniziativa russa abbia a rimanere sterile come già l'iniziativa austriaca. Ad ogni modo siccome in questo momento la situazione interna della Turchia è così incerta che qualunque passo a Costantinopoli sarebbe pregiudicato e vano, Caillaux si riserva di vedere le disposizioni che mostreranno le altre Potenze visto quelle della Francia sono per cooperare alla conclusione della pace purché la cooperazione delle altre Potenze sia assicurata. In conclusione Caillaux è stato con me meno esplicito di De Selves, si è tenuto più sulle generali ed ha mostrato di avere minore fiducia nei risultati dell'iniziativa russa. Più tardi ho avuto altro colloquio con Paolo Cambon. Ho trovato in lui presso a poco le stesse impressioni e disposizioni di De Selves.

Mi ha detto in più che l'Inghilterra ha una invincibile diffidenza verso la Germania ed esiterà sempre a dare una risposta precisa anche a comunicazioni confidenziali nel timore che se contraria alla Turchia possa essere sfruttata a suo danno a Costantinopoli dalla Germania.

La diffidenza dell'Inghilterra e la riluttanza ad impegnarsi in un passo collettivo deriva anche dalla attitudine di Marschall, il quale ritiene inabile qualsiasi pressione a farlo. Avendogli io detto che sapevo al contrario che a Berlino si aveva preoccupazione per prolungamento della guerra, Cambon mi ha detto che ciò gli risultava completamente nuovo.

In tal caso, ha soggiunto Cambon, la Germania dovrebbe fare un passo presso l'Inghilterra per intendersi confidenzialmente con essa. Tale passo sarebbe certamente bene accolto a dissipare la diffidenza inglese.

595

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 5. Mogadiscio, 6 gennaio 1912 (per. il 26).

Mi onoro di rimettere a V.E. un rapporto del commissario Baccari sul boicottaggio delle nostre merci avvenuto nel Jubaland.

Ho espresso al dottor Baccari la mia soddisfazione pel contegno assunto con le autorità inglesi e lo svolgimento dato alla vertenza; né ho creduto di dare maggiore importanza alla cosa, rivolgendomi al governatore della British East Afrika.

ALLEGATO

IL COMMISSARIO REGIONALE, DELLA GOSCIA E DEL BASSO UEBI SCEBELI, BACCARI, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

R. RISERVATO 97. Giumbo, 22 dicembre 1911.

L'E.V. avrà rilevato dai miei telegrammi come l'atteggiamento delle autorità della vicina colonia inglese, da quando esiste lo stato di guerra fra l'Italia e la Turchia, non sia stato costante. Esso può, infatti, essere distinto in due periodi.

Nel primo periodo, le dette autorità manifestano apertamente la propria amicizia e la maggiore simpatia per la confinante colonia italiana, minacciando pene a chi si fosse fatto inventore o divulgatore di notizie false ed allarmanti, ed esercitando attiva vigilanza perché non entrassero da Kisimayo persone sospette come incitatrici o portatrici di proclami eccetera.

Alcuni primi tentativi di boicottaggio furono energicamente repressi dalle autorità locali, le quali se ne dichiararono dolenti, e mi pregarono di segnalare loro ogni altro tentativo di tale genere per poterlo prontamente impedire e punire.

Questo atteggiamento era dovuto alla personale iniziativa del commissario provinciale signor Reddie, con il quale mi mantenni in frequentissimi rapporti diretti, sin dal primo delinearsi del movimento islamico; ben comprendendo come il punto debole della nostra colonia di fronte a un tentativo di estendere anche in essa il detto movimento fosse appunto la frontiera del Giuba, lunghissima e di assai difficile sorveglianza.

Nello stesso tempo, feci stabilire a Kisimayo in modo permanente il signor Pratesi, per essere prontamente informato di tutto ciò che ivi avveniva, e specialmente dell'arrivo di persone sospette. E devo dire che egli ha finora adempiuto il segreto incarico affidatogli, con molto tatto e con molto zelo.

Non avendo in quel momento ragione di dubitare della continuità dell'amichevole atteggiamento delle autorità inglesi, io lasciai Giumbo il 6 dicembre, e mi recai a Kisimayo per imbarcare sull'«Adria» diretto a Mogadiscio, secondo l'ordine dell'E.V.

Prima di lasciare Kisimayo conferii con quel district commissioner signor Haywood, nell'assenza del commissario signor Reddie; 1icevendone le più esplicite assicurazioni circa la continuità delle disposizioni già prese, e la repressione di ogni tentativo di boicottaggio.

Tuttavia non partii da Kisimayo tranquillo, essendo stato informato di una crescente eccitazione contro gli italiani.

Nel giungere a Brava 1'8 dicembre, trovai un telegramma del signor residente di Giumbo che mi informava di un nuovo tentativo di boicottaggio; e allora chiesi a VE. il permesso di ritornare sollecitamente a Giumbo; e l'E.V. me ne dette facoltà.

Non prima del pomeriggio del 10 dicembre potei lasciare Brava con un sambuco arabo, e il mattino seguente arrivai a Kisimayo, dove trovai più esteso e meno dissimulato il movimento anti-italiano.

Lo stesso giorno doveva aver luogo una riunione dei capi arabi, somali, suaheli e bajune per proclamare il boicottaggio; ma non potè effettuarsi perché l'autorità negò il permesso. Anzi il signor Haywood mi confermò che il boicottaggio sarebbe stato impedito.

E qui finisce il primo periodo ed incomincia il secondo. La sera del 14 dicembre il signor Pratesi mi informò che era stato proclamato il boicottaggio a Kisimayo contro gli italiani, e che l'autorità si asteneva da ogni intervento. Il domani -15 -ricevei dal commissario provinciale la lettera n. 774 del 14 dicembre (allegato A), con la quale il boicottaggio mi veniva ufficialmente annunziato 1 Questa lettera fu da me messa puramente e semplicemente agli atti, senza neppure segnare ricevimento. Il pomeriggio dello stesso giorno 15 andai a Kisimayo e conferii con il signor Reddie. Il quale si mostrò spiacentissimo di ciò che accadeva e che affermava non essere in poter suo di impedire, facendomi chiaramente intendere che aveva dovuto conformarsi ad ordini superiori. Accennò pure ai riguardi che si dovevano nel protettorato alla qualità di mussulmano del sultano di Zanzibar. Ma -non so perché -nei colloqui che ho avuto di poi con il signor Reddie, egli ha energicamente negato ciò che pure quel giorno mi disse, affermando che l'ordine di boicottare gli italiani era venuto agli arabi di Kisimayo direttamente e soltanto da Stambul. Il signor Reddie mi dichiarò che avrebbe tenuto in freno il movimento nei confronti di uno sciopero, e che avrebbe detto ai capi del movimento che, pur non potendo obbligare al lavoro chi si rifiutava, egli deplorava altamente il boicottaggio contro gli italiani. Presi quindi accordi a Kisimayo con il signor Caudron, direttore della Società italiana per la navigazione e il commercio nella Somalia italiana, perché il piroscafo «Vittorio Emanuele», che

era già partito per Malindi per caricare granoturco destinato a Brava, avesse atteso quivi il piroscafo italiano per trasbordare le merci e portarle a Giumbo attraverso la foce del Giuba. Il pomeriggio di domenica 17 c.m., fui informato che la popolazione di Gobwen si era abbandonata a pubbliche dimostrazioni di ostilità contro di noi, proclamando l'imminente arrivo dei turchi nella colonia italiana e cercando adescamenti e con intimidazioni di indurre alcuni nostri dipendenti a lasciare il servizio degli italiani se volevano dimostrarsi buoni

mussulmani. Era a mia conoscenza che nessun funzionario inglese, civile o militare, si trovava a Gobwen, essendone il district commissioner signor Lamb e il comandante militare capitano Bois assenti da più giorni; la quale circostanza, appunto, aveva reso possibile quegli eccessi; tanto più che era festa e tutta la popolazione era disoccupata. Scrissi immediatamente e mandai la sera stessa al commissario provinciale la lettera n. 2040 qui allegata in copia (allegato B); accompagnandola con una lettera privata nella quale manifestavo ancora più vivamente il mio stupore per ciò che accadeva; dicendo che Gobwen si comportava verso di noi come un paese turco nemico e non come amico territorio inglese. Essendo passati il giorno 18 e la mattina del 19 senza ricevere risposta, il 19 inviai un'altra lettera privata al signor Reddie, per chiedergli se avesse ricevuto la mia prima comunicazione, e confermando i fatti esposti e lamentati. Questa lettera era appena partita quando si presentarono nel mio ufficio il district conunissoner di Kisimayo, signor Haywood, e il comandante la polizia del Jubaland, tenente Elliot, dicendosi inviati dal commissario provinciale per manifestarmi il suo dispiacere per i fatti

segnalati, e per compiere a Gobwen un'inchiesta sui fatti stessi. Mi pregarono, perciò, di voler fare andare a Gobwen gli individui che erano state parte o testimoni in quegli avvenimenti. Accogliendo tale domanda, feci andare a Gobwen le dette persone, accompagnate dal

brigadiere dei Carabinieri e dal nostro interprete; ed esse resero piena e chiara testimonianza dei fatti esposti.

Poco dopo che i signori Haywood ed Elliot ebbero lasciato il mio ufficio, mi arrivò la lettera n. 780 del 18 dicembre del commissario provinciale (allegato C), per segnare il ricevimento della mia n. 2040, per annunziarmi la visita del district commissioner di Kisimayo, e dare assicurazione per il mantenimento dell'ordine.

Anche di questa lettera io non accennai ricevuta, mentre restavo nell'attesa dei resultati dell'inchiesta compiuta dal signor Haywood. Il 21 dicembre ebbi le lettere n. 796, del 20, (allegato D) e n. 797, anche del 20 (allegato E) del commissario provinciale.

Con la prima il commissario, a) manifestava il proprio rincrescimento per le molte noie che io avevo avuto a causa dei supposti atti ostili degli arabi di Gobwen; b) affermava che niente era stato provato dall'inchiesta, e che si aveva ragione di ritenere che tutta quella faccenda non avesse fondamento; c) dichiarava che il tentativo di persuadere i sudditi italiani a lasciare il servizio dell'Italia non è una mancanza punibile; d) esprimeva la propria impressione che io ero stato ingannato con il racconto di storie inesistenti, e si diceva dolente che ciò mi avesse causato tanta inutile ansietà e pena; e) diceva che non era serio discutere le voci correnti fra gli indigeni, che cioè il Governo inglese, nella persona dei suoi funzionari del Jubaland, fomentasse le ostilità degli indigeni contro il Governo italiano.

Con la seconda lettera, il commissario mi informava di aver fatto affiggere a Kisimayo e a Gobwen manifesti per avvertire le popolazioni di non intimidire i sudditi italiani.

Le due lettere mi parvero, ed erano infatti siffattamente strane che risolsi di andare immediatamente a Kisimayo per chiedere al signor Reddie le necessarie spiegazioni, prima di considerarle come effettivamente ricevute.

Conferii con il signor Reddie la sera del 21, e gli dissi: a) che non permettevo che si elevasse il più piccolo dubbio sulla piena e assoluta esattezza di tutto ciò che io gli avevo riferito con la mia lettera; b) che non potevo fargli il torto di ritenerlo di vista così corta da non comprendere che istigare i sudditi italiani e lasciare il servizio dell'Italia, in nome della solidarietà di tutti i mussulmani contro l'Italia perché questa ha mosso guerra alla Turchia, sia qualche cosa di più e di diverso dell'indurre un domestico a cambiare padrone; c) che mi dispiaceva che egli avesse abbassato la sua stessa dignità di funzionario inglese con il raccogliere, sia pure per affermare l'assurdità, le voci degli indigeni circa l'azione segretamente incitatrice esercitata dal Governo inglese per eccitare i maomettani contro gli italiani.

Non potevo perciò ricevere, per la dignità sua e mia, una lettera ufficiale, nella quale fossero cose di questo genere.

Quanto all'altra lettera (allegato E), invitai nel modo più formale il signor commissario del Jubaland a far ritirare i manifesti con i quali si raccomandava alla popolazione di non intimidire i sudditi italiani.

Il signor Reddie si affrettò a dichiararmi che per Italian subjects egli aveva voluto intendere gli indigeni e che il verbo to intimidate significa infastidire e non impaurire.

Ma io tenni fermo sulla mia precisa richiesta; dichiarandogli con parole ben alte e ben chiare che i sudditi italiani non soffrono intimidazioni e nemmeno fastidio da chicchessia, sapendo benissimo farsi rispettare da sé; e che coglievo l'occasione per avvertirlo che male sarebbe incolto a chi avesse osato fare anche un gesto poco rispettoso verso un italiano.

Essendomi capitato di manifestare la mia meraviglia per il mutato atteggiamento dell'autorità inglese, ed avendomi egli risposto che ciò era imposto dai doveri di neutralità, gli feci notare che neutralità non vuole essere disinteresse, e che il lasciare la plebaglia mussulmana abbandonata a se stessa e ai suoi fanatismi in una regione che confina con territorio italiano poteva esporlo a gravi responsabilità.

Così, era stata certamente una mancanza per lo meno di previggenza l'aver abbandonato Gobwen interamente nelle mani degli arabi, dopo aver permesso il boicottaggio, il quale, a parte il lato economico, è senza dubbio una manifestazione di ostilità e non certo di neutralità verso l 'Italia.

E questo è veramente il punto debole della questione; e appunto perché persuasa di ciò, quella autorità aveva tentato di sottrarsi alle eventuali responsabilità con il negare i fatti avvenuti. Concludendo, invitai il commissario provinciale a riprendere le sue lettere, che io consideravo come non ricevute e a sostituirle con altre corrispondenti ai concetti da me esposti.

Feci notare al signor Reddie che con ciò io gli davo la migliore prova di amicizia e di rispetto alla sua maggiore età che egli potesse attendersi da me, e che speravo che egli avesse apprezzato al suo giusto valore il passo che io avevo fatto presso di lui.

Il signor Reddie mi ringraziò calorosamente della simpatia che io gli avevo dimostrato con il fargli rilevare in via del tutto amichevole e confidenziale le manchevolezze delle sue lettere; che egli ora riconosceva e sinceramente deplorava.

Mi fece capire di aver agito sotto la suggestione del signor Haywood, e di avere più sottoscritto che scritto.

Mi pregò infine di andare il domani, cioè stamane, nel suo ufficio, dove avrebbe sottoposto alla mia approvazione la minuta delle lettere che avrebbe scritto in cambio delle prime le quali avrebbe soppresso, dando loro lo stesso numero di protocollo e le stessa data.

Stamane, infatti, ci siamo facilmente e con la maggiore cordialità messi di accordo sulla lettera n. 726 -20 dicembre 1911 (allegato F) qui unita in copia.

In questa sono ammessi, senza discussione o restrizione alcuna, i fatti avvenuti il 17 dicembre a Gobwen e da me denunziati; e per essi il commissario manifesta il proprio rincrescimento. Assicura inoltre che sono, state prese le misure necessarie per impedire il ripetersi di fatti simili, e informa che sono stati affissi pubblici manifesti per avvertire i maomettani di guardarsi da ogni atto poco rispettoso verso i sudditi italiani.

In questa lettera, perciò, sono riunite le due precedenti.

Il signor Reddie mi pregò vivamente di non insistere sulla punizione da infliggere ai colpevoli di quegli eccessi, stante la difficoltà di identificarli con esattezza. Ma io compresi bene che egli desiderava lasciare meno tracce che fosse possibile di quegli avvenimenti, che mettono in gioco la sua personale e diretta responsabilità. Egli mi promise che mi avrebbe compensato della mia accondiscendenza su questo punto con la severità degli ordini che avrebbe dato; i quali così avrebbero costituito anche una certa soddisfazione per il Governo della colonia italiana.

L'E.V. vede come io mi sia tenuto misurato nel contentarmi delle dichiarazioni e degli impegni contenuti in questa ultima lettera, arrestandomi là dove essi erano diventati sufficienti; mentre mi sarebbe stato relativamente facile ottenere di più dal signor Reddie. Ma da una parte ciò non sarebbe stato concorde con l'intonazione che ho creduto di dover dare alla condotta di questa faccenda, per contenerla nei confini di un incidente locale accomodabile fra le locali autorità; e, dall'altra, mi sarebbe parso quasi di abusare di un uomo evidentemente debole; e ciò sarebbe stata una ingenerosità tanto meno scusabile in quanto inutile e forse dannosa.

Così credo di aver tratto il massimo vantaggio da un incidente che io appresi con grande soddisfazione, perché mi dava finalmente modo di costringere le autorità inglesi ad uscire dall'atteggiamento nel quale si erano chiuse negli ultimi tempi, e che voleva parere di neutralità mentre era disinteresse e anzi tacito ma efficace incoraggiamento ad ogni manifestazione di ostilità contro di noi. E il beneficio che ne abbiamo ricevuto è stato veramente grande, perché il deciso contegno assunto ora da quella autorità ha concertato e disarmato i capi del movimento anti-italiano di Kisimayo e di Gobwen, ed ha per naturale conseguenza rialzato il prestigio nostro di fronte ad esse, e profondamente soddisfatto le nostre popolazioni.

Questo incidente fu salutato da me con compiacimento anche perché compresi che poteva essere la causa determinante di un più profondo distacco delle genti di riva nostra da quelle di riva inglese, e infatti così è stato; e l'E.V. può pensare come io abbia attivamente favorito questo felice movimento.

Non ho bisogno di aggiungere che trattenni segretamente copia delle prime lettere, poi distrutte e sostituite dal signor Reddie, e che perciò rimetto dette copie alla E.V. con ogni più grande riserbo.

Avendo così informato l'E.V. di questa parte della mia azione nei riguardi del riflesso che la guerra italo-turca ha avuto nella nostra colonia, attendo su di essa il suo alto giudizio; anche per trame più sicura norma nella mia condotta ulteriore.

595 1 Non si pubblicano gli allegati.

596

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 69. Roma, 9 gennaio 1912, ore 19,50.

Persona di cui nel mio telegramma n. 6049 1 assicura che Assim bey nelle sue conferenze col sultano ha accennato apertamente al progetto di venire presto alla pace: le smentite pubblicate, la chiusura del Banco di Roma ed altri atti ostili sarebbero paravento per coprire le mosse ulteriori davanti l'opinione pubblica. Come base delle trattative si vorrebbe la garanzia per parte dell'Italia dell'integrità dell'Impero ottomano nei Balcani.

Questa garanzia dovrebbe compensare la perdita delle provincie africane e soddisfare l'opinione pubblica. Questa garanzia e la proclamazione dell'indipendenza delle due provincie lasciando agli arabi la continuazione della lotta, qualche concessione finanziaria o nel campo delle capitolazioni sarebbero i punti principali della possibile intesa.

lo feci rispondere senza entrare in merito delle altre proposte ma chiedendo qualche schiarimento sulla garanzia dell'integrità.

597

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 73/36. Pungi, 9 gennaio 1912.

Riassumo a V.E. il risultato delle mie indagini, ricerche, informazioni, conversazioni ed impressioni su tale argomento 1•

597 1 A margine: «La situazione in Turchia ed il contrabbando di guerra».

All'infuori della necessità nella quale si trova il Comitato Unione e Progresso di volere il prolungamento della guerra, necessità dipendente dal suo stesso carattere esclusivamente panislamico e di turchificazione dal Paese, e dal bisogno nel quale si trova di riguadagnare terreno di fronte all'opinione pubblica contro il nuovo partito dell'intesa liberale, altri fattori devono essere presi in considerazione per spiegare la corrente che si è fino ad ora sviluppata in Turchia per la guerra ad oltranza.

Di fronte al Comitato Unione e Progresso, come partito politico capace di strappargli il potere dalle mani, sta l'intesa liberale la quale considera la questione tripolina come liquidata per non portare i suoi sforzi che sulle questioni interne del Paese. Essa desidera la pace alle migliori condizioni, contentandosi cioè di un'indennità e possibilmente della supremazia religiosa del sultano sulla Tripolitania e Cirenaica. Però non osa pronunziare la prima parola per non affrontare l'impopolarità.

A fianco a questi due partiti si trovano gli indipendenti sui quali si può contare soltanto nel senso che si schiereranno sempre dalla parte del partito che tiene il potere e la forza.

Al di fuori della Camera e del Paese esiste ancora una forza capace di avere un certo peso nelle relazioni internazionali costituita dal partito così detto di Nizza, perché i suoi principali fautori, Cubani, Zia bey, Andon bey, eccetera, esiliati dai Giovani Turchi, risiedono appunto in quella città. Sono partigiani di Abdul Hamid, che hanno accumulato enormi fortune e che non disperano di ritornare ancora al potere, grazie ad un colpo di stato che ponga termine all'attuale regime costituzionale da essi considerato nefasto per un paese non ancora maturo per sopportarlo.

Tali sono nelle linee generali i partiti, e le previsioni che si possono fare sul peso ch'essi avranno sulla apertura delle trattative di pace, più che dalla loro azione politica dipende dall'interesse privato dei singoli membri che li dirigono.

Siccome la guerra attuale non costa gran cosa alla Turchia, perché pagata in gran parte dalla sottoscrizione egiziana e combattuta dagli arabi, il partito dirigente oltre ad aver preso la cura di risvegliare il patriottismo interno, a mezzo di false notizie, si è riservato il monopolio delle forniture unilaterali ai combattenti.

La guerra ha generato il contrabbando, ed il contrabbando è fonte di lauti guadagni: sicché la guerra attuale fa l'interesse di molta gente del Comitato e specialmente degli ufficiali Giovani Turchi.

Non è più un mistero la storia del contrabbando di questa guerra.

Nei primi tempi, allorché le frontiere egiziana e tunisina erano ancora aperte, si è avuto un movimento serio e disinteressato. Il contraccolpo del fanatismo arabomusulmano si è manifestato immediatamente tanto in Egitto che a Tunisi sotto forma di aiuti di varia natura ai nostri nemici.

In ambedue questi Paesi i sentimenti turcofili, abilmente risvegliati dagli emissari del Comitato di Salonicco, hanno sul principio della guerra suscitato non solo grave pregiudizio a noi, per il graduale aumento dell'efficienza bellica dei turco-arabi in Tripolitania, ma generato altresì un movimento anti-europeo non estraneo alle decisioni in seguito prese dall'Inghilterra e dalla Francia per rispettare più amichevolmente la neutralità a nostro riguardo.

I risultati di questa propaganda nelle due regioni, al punto di vista del contrabbando di guerra, hanno avuto effetti diversi.

L'apertura delle ostilità ha trovato l 'Egitto in piena crisi di nazionalismo ed il terreno fecondo per un forte movimento panislamico. Il paese essendo molto ricco, si sono potute subito riunire fra le persone facoltose somme ingenti, ed anche, tra i nullatenenti, un numero assai importante di volontari pronti a traversare la frontiera. Parigi, luogo di residenza preferito dai ricchi egiziani, è stato sempre in corrispondenza attivissima col Cairo e specialmente per quello che riguarda il lato finanziario del contrabbando. Senonché le somme raccolte dovevano esser fatte pervenire al campo turco, in Tripolitania e Cirenaica, sotto forma di numerario da potersi distribuire tra gli arabi. Si è quindi messa subito in evidenza la rapacità ottomana e la disonestà degli emissari del Comitato, perché parecchi ufficiali inviati da Parigi e dal campo turco alla frontiera egiziana per il traffico del rifornimento monetario, sono scomparsi appena in possesso di una somma di qualche importanza. In dicembre ultimo scorso sono state così sottratte delle somme di 3000, 1900 ed anche di 200 lire turche. Finché, per porre un termine a tale scandalo, il colonnello Nechat bey ha dovuto incaricare di tale servizio una persona di sua fiducia, Ariz bey, che è poi un medico dell'esercito; ma anche quest'ultimo, disgustato, ha abbandonato la partita preferendo ritirarsi qui a Parigi, dove è fidanzato.

In Tunisia la propaganda ha lavorato in un ambiente meno raffinato e più povero, e quindi il primo risultato è stata la rivolta di Tunisi che ha dato molto a riflettere al Governo francese. Qui gli emissari turchi non hanno potuto risvegliare che il fanatismo religioso schietto e puro, non direttamente utilizzabile ai fini della guerra, ma che ha potuto aiutarli efficacemente nel transito del contrabbando di guerra traverso la frontiera tunisina. È innegabile che al principio della guerra la Tunisia è stata considerata come la base di rifornimento dell'esercito turco e mi è doloroso constatare l'azione dei così detti coloniali francesi in questa faccenda. Attirati dal miraggio di lauti guadagni, sono essi che hanno preso l'incarico del vettovagliamento e del rifornimento sotto tutti gli aspetti. E la mia azione diplomatica è stata singolarmente combattuta ed ha proceduto tra continui ostacoli non solo per l'evoluzione prodottasi nel carattere del signor de Selves, che dopo un breve periodo d'iniziativa è diventato indolente e temporeggiatore, e rifugge dall'assumere qualunque responsabilità rimettendo tutte le decisioni ai ronds-de-cuir del Quai d'Orsay per i quali i reclami degli ambasciatori non sono altro che des embetements, ma anche perché il Governo francese nel mentre non voleva inimicarsi gli arabi della Tunisia, con misure troppo violente e repressive, era incoraggiato a resistere nascostamente alle mie pressioni dall'inaspettato sviluppo di una nuova industria, quella del contrabbando del quale per tradizione (tradizione che non fa davvero onore alla Francia) è stato sempre singolarmente tenero come noi abbiamo a nostro danno potuto sperimentare e continuiamo a sperimentare nel Mar Rosso. I fabbricanti di aeroplani, di armi di tutti i generi, e di materiale di guerra in generale, si sono visti sollecitati da gente senza coscienza che si vende al miglior offerente. Per seguire le trame di tutte queste piccole cospirazioni, nominalmente a vantaggio dei turchi, occorre qui molta circospezione ed una vigilanza assidua per mezzo di emissari i cui risultati si trovano nei numerosi telegrammi da me diretti a V.E. al riguardo.

Da qualche settimana, ed in seguito al nostro intervento diplomatico, le frontiere della Tripolitania e Cirenaica si sono gradatamente chiuse talché si può dire che attualmente sia molto difficile esercitare il vero contrabbando di guerra. Ma, malgrado questo, il lavorio delle forniture è diventato più intenso in questi ultimi giorni: ora le cose si fanno in grande e si organizzano delle vere spedizioni, perché più lauti ne sono i guadagni da parte dei funzionari turchi e degli industriali stranieri. Fra Costantinopoli, Parigi e la Tunisia, è un andirivieni continuo di ufficiali di tutte le armi alle spese dei comitati di soccorso egiziani. Questi ufficiali sanno benissimo che non traverseranno mai la frontiera, ma il loro scopo è di venire a Parigi, dove se non si mescoleranno in qualche affare losco di contrabbando o non potranno combinare acquisti di armi e munizioni per i quali si mostrano disposti a pagare prezzi esagerati, purché prima dai venditori venga loro promesso un lauto pot-de-vin, (che a quanto mi è stato autorevolmente riferito persino il capo della missione militare turca non si è vergognato di domandare), troveranno sempre il modo di passare delle notti allegre, di fare la noche, alle spese del Comitato. Lo scandalo è talmente palese che in questi ultimi giorni il signor Galil bey, pittore dimorante in Parigi, e rappresentante finanziario delle principali famiglie egiziane, ha ricevuto l'ordine dal Cairo di sospendere i pagamenti agli ufficiali turchi.

Così il prolungarsi della guerra serve gli interessi di molti: i più importanti fautori del Comitato Unione e Progresso sono principalmente interessati nelle forniture militari, gli ufficiali hanno trovato il modo di avere una vita facile e divertente, ed infine il contrabbando ricopre di una veste legale i guadagni esorbitanti che normalmente apparirebbero come truffe.

Dato questo stato di cose non è da meravigliarsi che i Giovani Turchi, fiaccamente osteggiati dai partiti avversi, siano tuttora per la resistenza ad oltranza che oltre ad essere loro imposta dalla frenesia del potere, che non intendono abbandonare ad alcun costo, costituisce per essi una fonte inesauribile d'indebiti lucri, una vera cuccagna.

Quanto durerà tuttociò è difficile poterlo dire. Si dice abitualmente che l'Oriente è il Paese delle sorprese: a completare la verità di tale aforisma occorre aggiungere che, a differenza di quanto succede negli altri paesi, in Turchia il terrorismo è sempre stato impiegato dal partito che è al potere, e quindi nel caso presente tale mezzo non sarà trascurato dal poco scrupoloso partito che regge le redini del Governo a Costantinopoli.

596 1 Cfr. n. 546.

598

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 76. Roma, l0 gennaio 1912, ore 20.

Suo telegramma segreto n. 51• Se le intenzioni della Turchia sono realmente quelle riferite da Aehrenthal a codesto incaricato d'affari di Francia, cioè rifiuto del ritiro delle truppe e del ristabilimento dello stato quo ante esse equivalgono a rigetto da parte della Turchia della proposta Sazanow ed a suo proposito di continuare le ostilità, poiché è chiaro che in tale condizione di cose qualsiasi sospensione di esse sarebbe tutto danno nostro ed a vantaggio esclusivo della Turchia e noi non potremmo certamente aderirvi.

599

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 80. Roma, 10 gennaio 1912, ore 21,30.

Oggi conversando con Barrère ho trovato modo in via non ufficiale di dirgli che dalle mie informazioni risultava l) che tanto la Germania quanto l 'Inghilterra ignorano l'una le intenzioni dell'altra rispetto alla proposta Sazonow ed agli eventuali passi presso la Turchia, ma che io ho motivo di credere che le intenzioni di ognuna di queste due Potenze sarebbero favorevoli se avesse modo di accertarsi che tali sono pure quelle dell'altra; 2) che se, dopo un passo di tutte la Potenze a Costantinopoli, si stimasse necessario che a due di esse venisse affidato il compito di condurre colà ulteriori trattative, ho motivo di credere che la Germania si associerebbe volentieri alla Francia. Gli dissi però ben chiaramente che tutto ciò non mi risultava in modo ufficiale e certo, ma che si poteva documentare dal complesso delle mie informazioni.

Gli ripetei poi che l'Italia non ha fretta di far la pace ma che è intransigente sopra un solo punto, quello cioè della sovranità piena ed interna sulla Tripolitania e Cirenaica.

598 1 T. Gab. segreto 53/5 del 9 gennaio, non pubblicato.

600

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 131/51. Vienna, 10 gennaio 1912 (per. il 23).

Mentre i rapporti ufficiali fra i Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo continuano, per quel che concerne le questioni di politica generale, ad essere corretti e tendono a migliorare, i rapporti reali fra l'Austria-Ungheria e la Russia sono sempre tesi ed inaspriti da ciò che succede in Galizia e nella Polonia russa.

Dall'annessione della Bosnia-Erzgovina in poi, la Russia fa in Galizia un lavoro di spionaggio attivissimo ed una viva propaganda nazionale e religiosa. Dal punto di vista nazionale tende ad infondere nei ruteni la credenza che essi formano un popolo solo coi piccoli russi d'oltre confine, che il Governo russo colma di benefici e di favori a danno dei polacchi. Dal punto di vista religioso alletta i ruteni greci-cattolici a convertirsi alla ortodossia.

Nell'ottobre scorso il Vaterland pubblicò il testo di una allocuzione che il vescovo russo di Radzivilov avrebbe tenuto ad un pellegrinaggio di contadini ruteni di «fratelli della Russia asservita». Esso merita di essere riprodotto. «In Galizia languite ancora sotto un duro giogo. Ma dovete aver fede che verrà il giorno in cui anche la Russia asservita, di là dalla frontiera, infrangerà le sue catene, si unirà all'Impero russo, unitario e indivisibile, sotto lo scettro di monarchi ortodossi e godrà la stessa felicità del resto della Piccola Russia. Voi dovete dunque prepararvi alla lotta ed unirvi affinché l'ora sospirata possa giungere più presto».

E di recente la Reichspost ha riprodotto certe manifestazioni irredentiste della stampa nazionalista russa, un articolo apparso nel Moskowskaia Wiedomosti del pubblicista A. Sawenko, in cui si consiglia alla Russia di permettere all'AustriaUngheria l'occupazione della Serbia, domandando come compenso la Galizia orientale. Ed un articolo dello Swiet il quale osserva che le pretese russe non si limitano alla Galizia orientale, ma si estendono anche «ai territori russi nella Bucovina ed a quelli ortodossi fin dentro l'Ungheria. Questa è l'eredità di San Vladimiro ... a questi territori la Russia non può mai rinunziare».

Ma non solo l'attività degli agenti russi in Galizia dispiace ai polacchi dell' Austria. Essi sono anche molto contrariati dall'avversione che il Governo russo dimostra ai suoi sudditi cattolici in generale ed ai cattolici polacchi più specialmente. Inoltre essi sono esasperati dai provvedimenti di natura politica che il Governo di Pietroburgo prende continuamente per fiaccare l'elemento polacco. L'ultimo di tali provvedimenti è stato il disegno di legge presentato alla Duma per staccare dal Regno di Polonia la provincia di Chelm per poterla poi russificare.

Contro tale progetto si è formata una viva agitazione in Galizia. In quasi tutte le città della regione ed anche nelle rappresentanze municipali di Cracovia e di Lemberg si sono avute manifestazioni di protesta. Il l O dicembre si è tenuto a Lemberg un solenne comizio durante il quale la folla ha lanciato contro il consolato di Russia sassi e calamaj. A quanto sembra alcuni vetri dell'edificio sono stati rotti e lo

stemma del consolato è stato imbrattato d'inchiostro. Quest'ultima circostanza è recisamente smentita dalle autorità austriache. I russi sostengono tuttavia che essa è esatta e che le autorità locali hanno però potuto lavare lo stemma prima che si procedesse a constatazioni in contraddittorio.

Quest'ambasciata di Russia ha subito fatto rimostranze in proposito presso questo Ministero imperiale e reale degli affari esteri. Il conte d'Aehrenthal ha scritto una lettera al signor de Giers esprimendogli il rincrescimento del Governo imperiale e reale per quanto è avvenuto ma, nonostante le vive insistenze del mio collega egli persiste a rifiutarsi a far ripetere tali scuse dal luogotenente della Galizia al console russo in Lemberg.

601

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 54/19. Il Cairo, l0 gennaio 1912 (per. il 30).

Un salutare effetto del contrabbando di armi effettuato in principio dello scorso dicembre a traverso il territorio egiziano è stato quello di fornir la prova di quanto avevo dichiarato spesso a Lord Kitchener, di temere, cioè, che malgrado le buone intenzioni del Governo locale e delle autorità inglesi le misure di sorveglianza adottate non fossero sufficienti.

Da allora, come è noto all'E.V., la neutralità del territorio egiziano nella regione occidentale compresa tra Alessandria, Sollum e Siwa fu garantita in modo rigorosissimo, sia mediante punizioni severe a coloro che più o meno direttamente avrebbero partecipato al detto contrabbando, sia con opportune misure preventive. Sembra che queste, combinate con la sorveglianza esercitata sul mare dalle nostre navi, ed ora anche dal Suffolk, abbiano tolta ai turchi la speranza di poter rifornire nuovamente per tal via le loro truppe in Cirenaica. Hanno quindi pensato di poter penetrare con nuovo contrabbando in Egitto dal lato della penisola del Sinai, contando probabilmente sulle difficoltà di esercitare una sorveglianza efficace sulla regione egiziana ad oriente del Canale di Suez e ad occidente di questo sulla complicità della popolazione locale. Si vocifera perfino che la Turchia intendesse far passare da quel lato anche delle truppe o per lo meno delle bande di beduini, ma su questo le notizie sono meno precise, per quanto lo sconfinamento di truppe al quale ho accennato nel rapporto n. 22511829, del 18 dicembre pp. 1 , possa far ritenere possibile qualche tentativo in tal senso da parte della Turchia.

Lord Kitchener mi avvertì subito della possibilità che il contrabbando si esercitasse prossimamente attraverso il confine orientale dell'Egitto, mi assicurò che aveva disposta l'adozione di serie misure di sorveglianza lungo il Canale di Suez, dove sarebbesi impedito certamente sia il contrabbando delle armi che l'eventuale passaggio di truppe regolari o volontarie. Mi disse invece che non disponeva d'alcun mezzo per impedire che violazioni di neutralità avvenissero a traverso il Golfo di Suez e, per quando in via strettamente confidenziale, che chiedessi al R. Governo l'invio di qualche nave per la sorveglianza di quelle acque dove l'Egitto non poteva disporre che di un piccolo battello guardacoste. E V.E. si compiacque di accogliere il desiderio espressomi da questo rappresentante inglese.

Intanto le rigorose misure adottate lungo il Canale cominciarono ad occupare l'opinione pubblica e la stampa, non parlo dei nostri connazionali che per bocca dei rispettivi consoli mi facevano pervenir come al solito notizie gravi ed impressionanti. Viceversa un più sereno esame della situazione in territorio ottomano a circa 30 chilometri oltre il confine nord-orientale della penisola del Sinai, si è operato un concentramento di truppe in numero non ben precisato. Sembra improbabile, ma non impossibile data la mentalità dei turchi, che dette truppe fossero destinate a recarsi in Cirenaica, passando sul territorio dell'Egitto come se si trattasse di cosa propria. Più presumibile è che si tratti di truppe che il Governo di Costantinopoli vorrebbe mandare, o per la ferrovia dell'Hedjaz o per Akaba, nelle regioni dove si agitano i seguaci di sceik Idrissi, in sostituzione di quelle che fece rimpatriare nell'ottobre scorso, ed alle quali, per timore di catture da parte delle nostre navi, non osa prendere la via del Canale. In vari punti della penisola del Sinai si sono accertate riunioni di beduini armati e carichi di armi e munizioni, già penetrati dal confine orientale -uno di detti carichi fu segnalato a poche ore di distanza da Kantara (Canale di Suez). Infine attivi agenti turchi stanno facendo pratiche a Suez per noleggiare sambuchi di cui certamente vorrebbero servirsi per trasporto di uomini

o materiale di guerra da Ankara o dal Sinai sulla costa egiziana.

Ritengo che sia attualmente impossibile al contrabbando, ed ancor più a truppe regolari od a bande armate, di entrare nell'Egitto propriamente detto, traghettando il Canale. Ecco quali sono le misure adottate e che furono accertate anche dal colonnello Elia, recatosi appositamente sui luoghi per rendersi esatto conto della situazione e, da lui riferite in un ampio rapporto al Comando di Stato Maggiore, [di cui] mi ha data conoscenza: rinforzo delle stazioni di guardacoste mediante il personale di finanza, tolto da tutti gli altri punti dove era disponibile; -dislocazione, ai passaggi del Canale, di distaccamenti di truppa britannica, con mitragliatrici e costruzione di trinceramenti sia sulla riva d'Asia che su quella africana; -ricognizioni con pattuglie del corpo dei cammellieri ( Camel Corps) inglese lungo le vie carovaniere provenienti dal confine orientale; -servizio intensificato di pattuglia a cavallo lungo le sponde del Canale; -intensificazione del servizio dei «gaffim, guardie campestri indigene fomite dalla popolazione dei villaggi lungo il Canale che hanno un premio per ogni fermo di contrabbando; -perlustrazione del Canale e dei laghi con barche a vapore armate della polizia, dei guardacoste e della Compagnia del Canale, che ha prestato tutto il proprio concorso al Governo; -oltre al consueto servizio telegrafico e telefonico i vari distaccamenti ed i posti di vigilanza sono collegati fra loro con stazioni eliografiche e qualche distaccamento si vale anche di linee telefoniche da campagna; -tutti i ponti natanti e le imbarcazioni del Canale sono obbligati a pernottare sulla riva occidentale; -si sarebbero prese infine le necessarie disposizioni per mandare in caso di bisogno reparti di truppe dal Cairo mediante la ferrovia.

La gita del colonnello Elia, che si recò a Porto Said, ad Ismailia, a Suez, ed anche sulla riva asiatica del Canale dove visitò un reparto del Camel Corps ed i lavori che le truppe stanno eseguendovi, confermò ampiamente quanto lord Kitchener mi aveva assicurato, cioè l'esistenza di effettive misure rigorosissime per la sorveglianza della regione.

Tanto maggiore è perciò il pericolo che dei tentativi di contrabbando abbiano a tentarsi da Akaba o da un punto della costa ad oriente del golfo di Suez, mediante imbarcazioni dirette ad un punto della costa egiziana, dove la Turchia, o chi per essa lavora, hanno probabilmente disposto l'invio dei necessari cammelli. Lord Kitchener mi accennò alla probabilità che come punto di sbarco sia stata scelta la regione circostante a Kosseir: è invece avviso del r. viceconsole in Suez che possa scegliersi l'ancoraggio protetto dali 'isola Ifatin, che è assai più vicino alla punta di Ras Mohamed, dove per le informazioni da lui raccolte si dovrebbe concentrare il contrabbando proveniente da Akaba lungo la costa del Sinai. È dunque sommariamente necessario che un'attiva sorveglianza venga esercitata in quelle acque dalle nostre navi. L'eventuale contrabbando che provenisse per tal via impiegherebbe lungo tempo per raggiunger la Cirenaica lungo le estesissime e malagevoli vie carovaniere, ma ad ogni modo è necessario, anche dal punto di vista morale, che si contrapponga anche da parte nostra, alle misure prese da questo Governo, una sorveglianza veramente efficace.

60 l Non rinvenuto.

602

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 63/6. Vienna, 11 gennaio 1912, ore 11,20 (per. ore 1,30 del 12).

Nel colloquio avuto oggi con Aehrenthal circa proposta Sassonoff egli mi ha detto non essere esatto che avesse dato in massima la sua adesione alla proposta stessa. Egli aveva fatto sapere soltanto a Sassonoff che considerava l'iniziativa da lui presa in modo simpatico che l'avrebbe esaminata con tutto l'interesse che comportava e si sarebbe messo in rapporto con gli altri Gabinetti. Egli non avrebbe certo data la sua adesione a prendere una parte attiva in massima senza prima interpellare V.E. e conoscere il suo parere in merito alla proposta circa la quale non aveva creduto neppure d'incaricare Mérey di parlare onde ignorava ancora il pensiero di lei al riguardo. Dopo avere premesso che parlava in via amichevole e personale ho detto ad Aehrenthal che VE. considerava pure la proposta Sassonoff in modo simpatico [perché] 1 lo scambio d'idee cui avrebbe dato luogo tra le Potenze era molto utile come un passo di più verso la soluzione. Ma i punti che da noi si ritenevano essenziali erano anzi tutto il ritiro delle truppe ottomane dalla Tripolitania e Cirenaica ed il riconoscimento per parte delle Potenze della nostra sovranità su quelle regioni. Per tutto il resto ci sarebbe stato modo di transigere. Aehrenthal pur osservando che si parlava dal suo lato in via amichevole non potendo pronunziarsi ancora ufficialmente sulla proposta ha riconosciuto che il ritiro delle truppe turche era per noi necessario e che noi non avremmo potuto cessare le ostilità che dopo la loro partenza per la quale gli sembrava opportuno un impegno formale da parte della Turchia. Accennando quindi al compenso pecuniario contemplato nella proposta, Aehrenthal ha osservato che credeva che di esso si fosse fatto cenno nella supposizione che la Sublime Porta l'avrebbe chiesto quale corrispettivo pel ritiro delle truppe. Mi sono affrettato a fargli notare che noi non avremmo mai potuto ammettere una connessione qualsiasi tra le due questioni per ragioni ovvie di dignità o di interesse politico e militare. Aehrenthal ha convenuto pienamente meco su ciò dicendomi che del compenso pecuniario non avrebbesi potuto parlare che in occasione o dopo la soluzione definitiva della questione. Aehrenthal mi ha informato poi che dai telegrammi pervenutigli dal rappresentante imperiale e reale in Londra, Parigi e Berlino non risultava che essi Gabinetti si fossero ancora pronunziati in modo ufficiale sulla proposta di Sassonoff. Però secondo un telegramma dell'ambasciatore d'Austria-Ungheria in Costantinopoli, di cui mi ha dato lettura, quell'ambasciatore di Francia e con esso tutti i suoi colleghi aveva riconosciuto la proposta di Sassonoff irrealizzabile perché Sublime Porta non si sarebbe mai decisa a ritirare le sue truppe dalla Tripolitania Cirenaica. A questo proposito mi ha detto confidenzialmente che le idee contenute nella proposta sarebbero state suggerite a quanto sembrava a Sassonoff da S.E. Tcharikoff il quale intanto cercava che guerra si prolungasse per trarre vantaggi nell'interesse proprio paese. Avendo chiesto ad Aehrenthal se non credeva che una delle cause che rendevano difficile l'accordare le Potenze fosse la diffidenza che regnava tra Inghilterra e Germania egli mi ha risposto che dissentiva in ciò da me ed aveva anzi pensato a tale diffidenza quando la proposta era stata messa innanzi. Ho osservato allora che si avrebbe potuto diminuire forse tale diffidenza se si avesse modo di far conoscere ai due Governi le rispettive idee ed intenzioni che ignoravano realmente a vicenda e ho aggiunto come un'opinione mia personale che mi sembrava che egli avrebbe potuto contribuire in ciò dato i vincoli di alleanza della Monarchia colla Germania e gli eccellenti rapporti che intratteneva colla Inghilterra. Al che Aehrenthal ha replicato che egli non era in odore di santità a Londra e qualsiasi azione che avesse esercitato anche per uno scopo giusto ed onesto avrebbe potuto essere considerato come suggerito da Berlino. Per cui non era il caso per lui di adoperarsi in tal senso. Nel corso della conversazione, pur facendo rilevare ad Aehrenthal che iniziativa della pace non proveniva da noi e noi non avevamo alcuna fretta per ciò, gli ho detto che sarebbe stato utile che rappresentanti delle

Grandi Potenze facessero intendere in via privata e amichevole alla Sublime Porta come la perdita della Tripolitania e Cirenaica dovesse essere ormai considerata da essa come inevitabile ciò che non avrebbe potuto che facilitarle il compito di fronte alla opinione pubblica. Ma Aehrenthal ha replicato che Potenze data loro qualità neutrali non potessero toccare neppure in via privata e amichevole tale questione che avrebbe potuto essere ritenuta dalla Sublime Porta essere una ingerenza nelle questioni interne dell'Impero. Nell'accennare poi all'interesse che avevano le Potenze di porre fine allo stato attuale di guerra in vista eventualità che avrebbero potuto sorgere nei Balcani, Aehrenthal ha ricordato che egli si era pronunziato a questo proposito in modo piuttosto ottimista nelle delegazioni. Ed ha soggiunto che persisteva a credere che il fatto che Austria-Ungheria seguiva e intendeva seguire una politica eminentemente pacifica nella penisola balcanica e che tale era pure intenzione della Russia non poteva non aver una influenza salutare nei vari Stati balcanici ritenendoli [ ... ]2da qualsiasi atto che avesse potuto provocare complicazioni. Il pericolo non stava in ciò ma poteva derivare per contro dalla situazione del Governo in Costantinopoli e dal contegno che questo avrebbe tenuto verso popolazioni in Macedonia. Se condizioni in Costantinopoli fossero divenute in seguito tali da indebolire governo ciò avrebbe potuto produrre un contraccolpo in Macedonia o far sorgere nei Stati balcanici la velleità di accingere ad un'azione. Sebbene Aehrenthal non abbia voluto manifestarmi ufficialmente suo pensiero sulla proposta di Sassonoff e sebbene abbia espresso la speranza che dal presente scambio d'idee possa risultare qualche progresso verso soluzione, egli mi è sembrato farsi poca illusione sull'esito della proposta stessa. Aehrenthal partirà tra due giorni pel Sommering ove conta passare una settimana per riposare.

602 1 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

603

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 200/22. Parigi, Il gennaio 1912, ore 13,25 (per. ore 19,15).

Ier sera alle sette Agenzia Havas telefonava alle ambasciate che l'accettazione di Delcassé per il Ministero degli affari esteri era ufficiale. Alle nove Caillaux presentava al presidente della Repubblica le dimissioni del Ministero. Giornale ufficioso le dice motivate dalla difficoltà di trovare un ministro della marina. Invece esse furono motivate da esitazione di Delcassé al quale gli amici hanno fatto osservare che con la sua accettazione comprometteva probabilmente un migliore e più sicuro avvenire. Quanto alla soluzione della crisi dopo l'incidente personale con Caillaux si

esclude la possibilità di Clemenceau, si crede che la Presidenza sarà come di consueto offerta a Bourgeois il quale come di consueto la rifiuterà e si crede che non si uscirà da questi tre nomi: Delcassé, Briand Poincarè. Intanto gli incidenti di ieri sono seguiti da rivelazioni piccanti. Il Matin, evidentemente inspirato e informato da Caillaux, pubblica che dopo l'incidente di Agadir Caillaux e De Selves volevano mandarvi nave da guerra francese e inglese e che Delcassè li persuase che sarebbe stato un grave errore. Malgrado ciò de Selves all'insaputa di Caillaux e Delcassé telegrafò a Paul Cambon di proporre al Governo inglese l'invio delle navi.

Questo episodio conferma la parte pacifica che già si attribuiva a Delcassé nel periodo delle trattative franco-germaniche. Inoltre è venuto fuori un documento del quale De Selves aveva nascosto l'esistenza a Caillaux e cioè un rapporto di un funzionario del Ministero degli affari esteri francese dal quale risulterebbe che Caillaux aveva fatto alla Germania proposte più larghe di quelle di De Selves. Caillaux poi fa accusare Pichon di essersi valso a Berlino di emissari segreti per trattare la transazione tra le Compagnie tedesche e francesi del N gokonsangha. Queste rivelazioni avranno un seguito di pettegolezzi di incidenti personali di discussioni irritanti alla Camera ed al Senato.

602 2 Lacuna anche nel registro dell'ambasciata a Vienna.

604

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO 83. Roma, Il gennaio 1912, ore 18,10.

Suo telegramma n. 9 segreto 1 . Mi pare che il passo di tutte le Potenze a Costantinopoli consigliato da Zimmermann possa riescire utile, purché venga fatto in modo da non infondere nei turchi l'erronea credenza che sia fatto per desiderio dell'Italia.

È superfluo ripeterle che noi, qualunque ne siano le conseguenze, non consentiremo mai a trattative ed a pace su base diversa da quella del decreto cinque novembre, il quale però non esclude accordi di carattere religioso ed altri vantaggi alla Turchia, di cui è nostro interesse salvaguardare il prestigio e la forza in Europa. L'armistizio senza evacuazione è impossibile e non possiamo accettarlo.

Il ragionamento di Assim bey sui rapporti della Turchia cogli arabi è infondato. Essa non potrebbe essere accusata di abbandonare quelli della Tripolitania a Cirenaica quando il ritiro delle sue truppe fosse preceduto da una nostra dichiarazione di non punire né molestare alcuno per atti anteriori alla detta dichiarazione, anzi, come le avevo già fatto notare, sarebbe interpretato come suo amichevole proposito di evitare a quegli arabi i danni d'una guerra, forse lunga, ma certo di esito indubbio.

Il pericolo d'un movimento secessionista arabo in tutto l'Impero è chimerico, visto la mancanza di coesione, d'organizzazione e di comunicazioni tra di essi nonché le grandi distanze. Se in tutto o in parte avvenisse, non si dovrebbe attribuire all'abbandono di quelle due provincie che la Turchia può colorire in vmj modi all'ignorante ed ingenua credulità delle popolazioni dell'Impero, bensì la vera causa ne sarebbe il regime vessatorio dei turchi, che vogliono imporre il loro giogo al popolo, al quale l'Islam deve la propria origine nonché la propria arte, letteratura e filosofia. È superfluo notare che l'insurrezione dello Hauran, le frequenti del Libano e del Nedjed, quella quasi permanente e sovente gravissima dell'Yemen e deli'Assir e l'anarchia di buona parte della Mesopotamia, della Siria e della Palestina sono anteriori alla guerra italo-turca.

604 1 T. Gab. segreto 58/9 dell'li gennaio, non pubblicato.

605

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB. SEGRETO 84. Roma, Il gennaio 1912, ore 18,30.

Suo telegramma n. 201 .

L'impressione, da V.E. riferita, non è interamente esatta. La nostra situazione politico-limitare in Tripolitania e Cirenaica è già dopo pochi mesi superiore a quella che ebbe per parecchi anni la Francia in Algeria. Un fatto d'armi decisivo del genere di quelli delle guerre europee non è possibile con un nemico che come ad Ain Zara profitta della sua maggiore mobilità per non impegnarsi a fondo, perché sa che non gli converrebbe. Le città principali della costa sono tutte occupate e fortificate in modo da rendere inverosimile la riuscita di qualunque tentativo del nemico di riprenderle anche se ne riducessimo i presidii.

L'occupazione di altri punti della costa è stata finora impedita dal mare pessimo che ha impedito lo sbarco e renderebbe difficili i rifornimenti, mentre a Zuara essi vengono nuovamente facilitati al nemico dalla rinnovata indulgenza francese verso il contrabbando di guerra. Nessuna persona di buon senso può credere che la Turchia abbia la possibilità di riprendere i punti da noi cccupati e che sono gli accessi, gli sbocchi e i centri di vita della due provincie.

605 Con T. 185/20 del l O gennaio Tittoni riferiva tra l 'altro: «È mio dovere informare V.E. che giudizio di Assim bey circa i risultati non ancora decisivi della azione militare italiana in Tripolitania é divisa da questo Governo e da questi circoli politici e diplomatici. Qui si riconosce che una delle ragioni per cui la pace non appare ancora facile é che gli italiani non hanno riportato un successo veramente decisivo».

606

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB 65/14. Londra, 12 gennaio 1912, ore 1,35 (per. ore 17,05).

Linguaggio tenutomi ieri da Nicolson ha confermato impressione da me tratta e riferita a V.E. dopo il colloquio con Grey. Nicolson disse che dai rapporti di Costantinopoli risultava che Sublime Porta continua mostrarsi intransingente e non favorevole accogliere eventuali proposte sulla base della iniziativa russa. Risposi che ciò non ostante da molteplici indizi risultava a noi che a Costantinopoli si desidera invece pace e si vorrebbe trovare via di uscita per giungervi. Ad ogni modo ripetei noi non abbiamo fretta e se desideriamo naturalmente pace nostro desiderio non è motivato da preoccupazioni per prolungamento guerra in Tripolitania dove nulla abbiamo da temere ma dalle apprensioni legittime che, come Potenza interessata negli affari balcanici, inspira a noi e a tutta Europa situazione indubbiamente minacciosa in quelle regioni; situazione che può condurre a più gravi avvenimenti, i quali in definitiva malgrado vantaria dei Giovani Turchi si risolverà fatalmente con pregiudizio Impero ottomano di cui è nostro manifesto interesse cooperare con altre Potenze per conservare integrità. Ripetei pure ad ogni buon fine che salvo questione annessione siamo sempre animati da propositi concilianti ma che non conviene nemmeno ai turchi abusare nostra longanimità perchè prolungandosi per la loro ostinazione guerra potrebbe pure venire giorno in cui ci vedremmo dalla pressione nostra opinione pubblica costretti rifiutare qualsiasi compenso. Rispose Nicolson che sulla questione annessione è oramai chiaro che non possiamo più ritornare. Dall'insieme linguaggio del segretario di Stato ho constatato che Rodd tiene molto esattamente e accuratamente informato Foreign Office pensiero Governo di Sua Maestà nonchè su veramente mirabile atteggiameto nostro paese.

607

IL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. UFF. COLONIALE URGENTISSIMO 219/499. Asmara (Kassala Haifa), 12 gennaio 1912, ore 17, 15, (per. ore 18).

Incrociatore «Piemonte» cacciatorpediere «Garibaldino» ed «Artigliere» incontrarono presso Confuda sette cannoniere turche ed un yacht armato. Malgrado valide artiglierie turche nostre navi annientarono cannoniere, catturararono yacht e presero parte dei cannoni nemici, bandiere e trofei di guerra.

608

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO 70/20. Parigi, 12 gennaio 1912, ore 21,25 (per. ore 6,35 del 13).

Leipnik manda da Costantinopoli resoconto suo colloquio con gran vizir alla presenza Hilmi Pascià e Bustani. Gran vizir che già aveva conoscenza formale indipendenza si oppone perchè se abbandonasse1 gli arabi della Tripolitania gli arabi dell'Asia si solleverebbero sicuramente. Quanto alla pace gran vizir disse sarebbe felice trovare formula che permetterebbe se arrivarvi ma chi la troverà sarà il diplomatico più celebre del secolo. Sua Altezza prevede pericoli ma deve rassegnarsi al destino. I bulgari non si muoveranno per paura della Romania che è assolutamente con la Turchia. Con gli albanesi Sublime Porta cerca intendersi. I serbi aspirano alla confederazione balcanica di cui Sublime Porta si occuperà più attivamente. I montenegrini, senza aiuto Austria-Ungheria Serbia, immobilizzati. Italia non può colpire Turchia in parti vitali. I pericoli più gravi continuava Sua Altezza, sono quelli interni e il sempre possibile abbandono da parte degli arabi (?)2 per evitare questo, contando sul loro spirito innato di vendetta, egli aggiunse, noi pubblichiamo nella stampa europea rapporti con fotografia su crudeltà italiana che, tradotte spregiano (?) 2 poi tra popolazioni arabe. Sua Altezza invitava signor Leipnik pubblicare articolo atto svegliare in Italia movimento contro la guerra3; articolo che sarebbe riprodotto nella penisola dagli amici che Turchia ha colà. Impressione di Leipinik è che chiave situazione trovasi nelle mani albanesi e arabi. Situazione parlamentare intricatissima se tentativo conciliazione fallirà Camera di deputati sarà sciolta.

609

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

D. S.N. Roma, 12 gennaio 1912.

Senza parlarne per ora a codesto Governo, prego V.E. di farmi conoscere per telegrafo il suo parere circa l'opportunità di sottoporre ai Governi alleati le consi

2 Il punto interrogativo è del decifratore.

3 Annotazione a margine: «Vedo che essi danno ai turchi l'illusione che l'Italia sia strabica. Bisogna, per mezzo di Salem, disingannarli».

derazioni seguenti, e circa le modificazioni, aggiunte e soppressioni che vi si potrebbero apportare: «Il Governo italiano è, naturalmente, fermo nel proposito di rinnovare il più presto possibile il trattato della Triplice Alleanza.

È però da esaminare se convenga rinnovarlo adesso, o dopo la fine dell'attuale guerra colla Turchia. Vi sono serie ragioni nell'un senso e nell'altro. Tra quelle, che consiglierebbero di aspettare la fine della guerra, ha speciale importanza la seguente: il decreto del 5 novembre 1911, col quale fu estesa la sovranità piena ed intera dell'Italia sulla Tripolitania e Cirenaica, ha creato uno stato di cose molto diverso da quello, in vista del quale furono redatti gli articoli 9 e l O del trattato della Triplice Alleanza. Da ciò deriva la necessità, o di modificare la redazione di quegli articoli, o di firmare un protocollo per la loro interpretazione ed applicazione al nuovo stato di cose. A questo secondo scopo i Governi austro-ungarico e tedesco hanno concordato un progetto di protocollo, che è stato sottoposto allo esame del Governo italiano. Dopo matura riflessione, il Governo italiano ha dovuto conchiudere che la forma proposta non può essere da esso accettata, ma deve in pari tempo riconoscere che è molto difficile trovarne un'altra, la quale sia di soddisfazione di tutte e tre le Potenze. Infatti, nella forma proposta, si ammette la possibilità di una soluzione diversa da quella costituita dal r. decreto del 5 novembre: anzi si allude alla situazione che «risulterà dall'accordo fra Italia e Turchia», mentre una delle soluzioni del conflitto, che oggi si esaminano, escluderebbero appunto un accordo formale su questo punto fra le due Potenze belligeranti. Il protocollo, così come è concepito, toglierebbe valore al decreto del 5 novembre: è quindi evidente che l'Italia non può firmarlo, per ragioni d'interesse e di dignità, ma anche per ragioni di lealtà, essendo essa irrevocabilmente decisa a non accettare, a qualsiasi costo, una soluzione diversa da quella della sua sovranità piena ed intera sulla Tripolitania e sulla Cirenaica. D'altra parte il Governo italiano riconosce che non è facile, nell'attuale momento, per due Potenze neutrali ed amiche della Turchia, modificare il protocollo in una forma soddisfacente per l 'Italia, come sarebbe, per esempio, la seguente: «il est entendu que le statu quo visé par l es arti cles 9 et l O du présent Traité serait, pour la Tripolitaine et la Cyrénaique, celui qui a été établi par le decret de S.M. le Roi d'Italie, en date du 5 novembre 1911, étendant la souveraineté de l'Italie sur ces deux regions de l'Afrique». Forse, però, esse potrebbero aderirvi tenendo conto di due circostanze:

l) il fatto che la rinnovazione dell'alleanza è destinata per ora a rimanere segreta;

2) il vantaggio che a tutte e tre le Potenze alleate deriva dali 'estensione della sovranità italiana sulla Tripolitania e sulla Cirenaica. Infatti, quando queste due provincie erano ottomane, il «casus foederis» a favore dell'Italia si verificava in due casi: nel caso, cioè di un attacco della Francia contro l'Italia, e nel caso di un attacco della Francia contro la Turchia allo scopo di impadronirsi di quelle provincie, o, in genere, di un suo tentativo a tale scopo, anche senza il proposito di attaccare l'Italia. Ora, invece, quelle due provincie essendo diventate italiane, i due casus foederis si fondono in uno solo, non potendo la Francia tentare d'impadronirsi della Tripolitania e della Cirenaica senza far la guerra all'Italia.

Si è detto che il vantaggio della estensione della sovranità italiana sulla Tripolitania a sulla Cirenaica ridonderebbe a tutte e tre le Potenze alleate: poiché, quantunque le disposizioni degli articoli 9 e l Odel Trattato si riferiscano soltanto all'Italia e la Germania, pure è indubitato che anche la situazione dell'Austria-Ungheria verrà ad essere avvantaggiata, quando siano diminuiti i casus foederis per le altre due Potenze sue alleate. Per altre ragioni, del resto, quella estensione della sovranità italiana potrà profittare agli alleati dell'Italia:

a) perché, col possesso della Tripolitania e della Cirenaica, diventerà assai più forte la posizione mediterranea e internazionale dell'Italia, e più importante l'appoggio specie in caso di azione navale, che essa potrà prestare ai suoi alleati;

b) perché, essendo tolta di mezzo la principale ragione di attriti e di dissi dii colla Turchia, l'Italia potrà più facilmente seguire, di fronte a quest'ultima Potenza, una politica concorde con quella dell'Austria-Ungheria e della Germania;

c) perché, col possesso da parte dell'Italia della Tripolitania e della Cirenaica, diminuisca la limitazione che accordi, relativi a quelle regioni, con altre Potenze estranee alla Triplice Alleanza, hanno forzatamente talora imposta alla cooperazione politica tra l'Italia ed i suoi alleati.

Circa il progetto di protocollo si affaccia, poi, un'altra obiezione. Il Trattato della Triplice Alleanza, quale è attualmente in vigore, non si applica al Marocco. Se il Marocco non ne è esplicitamente escluso, come accade per l'Egitto (art. VIII), non è men vero però che in nessuno degli articoli del trattato vi è una menzione qualsiasi che possa direttamente o indirettamente riferirsi a quel paese. Invece, col protocollo proposto, si verrebbe a garantire, in definitiva, lo statu quo risultante dagli accordi franco-germanici per il Marocco. Il che costituisce per l'Italia -e anche per l'Austria-Ungheria-un obbligo nuovo che esse finora non avevano; obbligo che l'Italia non sarebbe -a causa di altri impegni da essa contratti -assolutamente in grado di assumere, poiché potrebbe implicare la necessità di opporsi ad eventuali mutamenti nello statu quo del Marocco.

Per tutte queste considerazioni, è necessario esaminare se convenga ritardare la rinnovazione dell'alleanza sino alla fine della guerra, o almeno a un periodo più inoltrato di essa: ma non vi ha dubbio che in qualunque caso si debba studiare una diversa redazione del protocollo; qualora non si volesse invece -il che potrebbe sembrare per molti aspetti più pratico e più logico -dare addirittuta agli articoli 9 e l O dei trattato una redazione meglio rispondente allo stato attuale della cosa.

Pare inoltre che sarebbe opportuno dichiarare -o nello stesso più volte citato protocollo, o in altro protocollo apposito -che si intendono pure mantenuti in vigore, per tutto il nuovo periodo di durata della Triplice Alleanza, gli speciali accordi segreti attualmente vigenti fra l'Italia ed Austria-Ungheria; e cioè:

l) l'accordo sull'Albania, costituito dalle scambio di note Visconti-Venosta -Goluchowski 20 dicembre 1900-9 febbraio 190 l;

2) l'accordo circa il Sangiaccato di Novi-Bazar e l'interpretazione dell'articolo 7 del trattato -costituito dallo scambio di note Guicciardini -Liitzow del 19 dicembre 1909».

Prego finalmente V.E. di farmi conoscere, esponendomene le ragioni, se crede o no opportuno fare qualche tentativo e tastare il terreno per ottenere che questi accordi, anziché in un protocollo, vengano addirittura inseriti nel trattato della Triplice Alleanza1•

608 1 Annotazione a margine: «De Martino. Si potrebbe rispondere per posta per mezzo di Salem che procede all'armistizio così che non si può parlare d'abbandono».

609 1 Per le risposte cfr. nn. 61 7 e 613.

610

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 182/16. Tunisi, 12 gennaio 1912 (per. il 15).

Credo opportuno trasmettere all'E.V. copia di un rapporto, che invio oggi alla r. ambasciata a Parigi, intorno al modo in cui qui è esercitata la neutralità.

Benché le cose ivi esposte, io le abbia ripetutamente telegrafate e scritte tanto all'E.V. quanto alla r. ambasciata, ho creduto tuttavia riassumerle in un rapporto, visto il perseverare di un tale penoso stato di cose.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

R. RISERVATO 181. Tunisi, 11 gennaio 1912.

Ho l'onore di rispondere ai due suoi pregiati telegrammi di ieri, concernenti i signori Lemoine e Michel.

Che il primo di essi, specialmente, socio o dipendente del noto Simon, sia uno dei principali fornitori dell'esercito in Tripolitania e fra i più attivi organizzatori delle carovane, che passano la frontiera cariche di provvigioni di ogni natura, è cosa qui nota da tempo, talché anche di lui parlai sovente ne' miei colloqui coi funzionari della Residenza e col generale Pistor, chiamando la loro attenzione su questo vero rifornimento dell'esercito nemico e facendo le più vive rimostranze. Ma, com'ebbi l'onore di riferire più d'una volta tanto all'E.V. quanto a S.E. il ministro degli esteri, questi signori mi hanno sempre risposto che, in presenza del noto articolo 7 della Convenzione del!' Aja, ciò non si poteva impedire. Alle mie insistenze aggiungevano che si doveva tener conto dei bisogni del commercio locale, aggravati quest'anno dalle deficenze dei raccolti in quelle regioni, e finalmente che, al postutto, non era provato che quelle merci andassero al campo ottomano. La stessa convenzione m'era opposta ogni qualvolta faceva loro rimarcare che, per quanto isolato, il passaggio di ufficiali turchi, ripetendosi parecchie volte al giorno costituiva un altro vero rifornimento del personale dello Stato maggiore nemico.E finalmente, tornando io continuamente alla carica nel lagnarmi anche dei frequenti passaggi di grosse somme e richiamando il loro vecchio proverbio che l'argent est le nerf de la guerre, mi ripetevano ch'esso non costituiva contrabbando di guerra. Sono arrivati sino al punto di dirmi francamente che tali non erano neppure gli aeroplani coi rispettivi aviatori, e che se fossero giunti in Tunisia, gli avrebbero lasciati senz'altro passare.

Ho dunque io un bel affermare che in questa guisa la tanto vantata neutralità francese si riduce ad un mito, le cose continuano allo stesso modo. E anche le armi e munizioni credo fermamente sieno passate prima che l'E.V. fosse riuscita ad ottenere dal ministro De Selves che ne fosse impedito il transito, e per far ciò andarono ad esumare un vecchio decreto beilicale che ne proibiva l'importazione nei paesi di Protettorato. Ma anche questa tardiva concessione temo sia molto illusoria, perché la visita delle casse, dei sacchi, degli involti, eccetera è fatta molto superficialmente e sommariamente, fors'anche per deficienza di personale specialmente delle dogane: senz'osservare che vi sono punti della vasta frontiera, ove non esiste sorveglianza di scorta, né uffici doganali.

Se a tutto questo si aggiunge il continuo andirivieni di uffici e funzionari turchi, e di certi loro amici tedeschi, inglesi e francesi, coi quali si trovano in continua comunicazione, e insieme lavorano allo stesso scopo, a piena conoscenza delle autorità locali, presso le quali invano io mi reco per segnalarne le gesta, i luoghi di convegno, gli acquisti, i trasporti, eccetera son tratto dolorosamnete a concludere che la Francia vuole bensì avere tutte le parvenze di una neutralità benevola, e spenderne in Italia la desiderata credenza, ma realmente essa non è che una solenne mistificazione. A queste parvenze tuttavia ci tengono enormemente, tanto che insorgono violentemente quando si osa metterle anche leggermente in dubbio, come avviene sempre a coloro che sanno di trovarsi nel torto; bisogna leggere questi loro giornali!

Non nego, tuttavia, che qualche rara carovana sia stata fermata, che qualche gruppo di ufficiali sia stato respinto dalla frontiera, ma ciò evidentemente al solo scopo di meglio colorire il disegno di una efficace neutralità, che nel fatto, ripeto, non esiste.

E non esiste perché l'esercitarla seriamente urterebbe contro la politica attualmente dominante nelle sfere dirigenti francesi della famosa associazione coll'elemento arabo, il cui recente risveglio improvviso e insospettato, ha sgominato ogni intendimento di governo sin qui seguito ne ha dimostrato, se non la fallacia, almeno la fragilità.

Una riprova di quanto vengo esponendo, l'avemmo nella recente sommossa, nella quale si volle assolutamente e niente altro vedere che un movente anti-italiano, mentre ad ogni spirito imparziale ed osservatore che vi si trovò presente, anche francese, risultò quale essa fu veramente un movimento anticristiano, anti-europeo. Ma guai a chi osa dirlo o scriverlo; tutta la muta dei cento organi ufficiosi gli si avventa contro per combatterlo, per sbranarlo, quando non lo si tratti d'imbecille. Basta leggere cosa pubblicano questi organi officiosi, che da qualche mese son diventati tanto numerosi (et pour cause!) contro di noi, contro i nostri giornali, persino contro i pochi francesi, che dissero francamente la verità. Il signor Bertrand della Revue des Deux mondes che si trovò presente a quella sommossa e ne scrisse una relazione seria assennata, documentata, veritiera, ne sa qualche cosa.

A questo concetto politico predominante conviene poi aggiungere come corollario, la opportunità (pel Governo del Protettorato) di mantenere fra la due popolazioni maggiori della Reggenza (l 'indigena e l 'italiana) un certo antagonismo di razza, alimentato da interessi economici opposti, in modo da renderle costantemente fra loro diverse, diffidenti ed ostili e così averle più e meglio inoffensive e soggette.

Ma per tornare al signor ingegnere Lemoine, dico dunque che egli è tra i principali fornitori d eli' esercito nemico che va e viene dalla frontiera, ha continui rapporti con ufficiali turchi, con negozianti e fornitori fa acquisti, provvede cammelli, eccetera tutto questo a piena conoscenza delle autorità locali: ma considerato tutto quanto ho detto sopra, a che approderà il mettergli alle calcagne qualcuno che ne segua minutamente le gesta, quando l'azione sua non sarà affatto ostacolata?

Se l'E.V. lo desidera, io troverò facilmente la persona adatta che convenientemente retribuita, faccia questo servizio, ma a che pro? ...

Per concludere, poi, per essere intieramente esatto, aggiungerò che queste autorità, civili e militari, mi dissero parecchie volte (forse per rendere men dure le loro ripulse) che se ordini precisi e categorici, nel senso da noi desiderato, venissero loro da Parigi, sarebbero ben liete di applicarli.

611

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB. SEGRETO 112. Roma, 14 gennaio 1912, ore 18,20.

Suo telegramma n. 21 1 .

Un grave ostacolo all'azione tedesca è l'erronea e pericolosa opinione personale di Marschall che Italia finirà per transigere sull'annessione. Sto cercando tutti i mezzi di farlo disingannare. V.E. può giudicare se anche per mezzo di SchOn si possa ottenere che il Governo tedesco faccia conoscere a Marschall la verità.

612

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 299/30. Parigi, ... gennaio 1912, ore 21,30 (per. ore 7 del 16).

Sesta e ultima lettera.

Leipnik riferisce che deputati arabi dell'opposizione sono più loquaci, manifestano chiaramente loro scontento contro Governo turco per avere abbandonato loro connazionali. Essendo a conoscenza che Sublime Porta contempla seriamente la separazione delle due province, Tripolitania all'Italia Bengasi alla Turchia, preferirebbero che tutta la regione passasse all'Italia. Secondo loro, gli arabi non sarebbero insorti senza eccitazione da parte dei turchi; i senussi non pericolosi per l 'Italia e sarebbero i primi a unirsi a questa se potesse essa accordarsi con i capi loro a Kufra. Rapporti fra senussi e arabi Asia Minore minimi. Situazione nello Yemen non ancora definitivamente regolata, l'imam augurasi vittoria finale dell'Italia, dopo la quale si metterebbe d'accordo maomettani, africani, per farsi riconoscere come califfo. Secondo interlocutore, indigeni della Tripolitania si sarebbero già sottomessi all'Italia, se non fosse agitazione da Costantinopoli e il prestigio Enver bey. Per sottometterli occorre azione energica militare da parte dell'Italia, prevenire le notizie tendenziose turche facendo distribuire tradotti articoli dimostranti impotenza Turchia proteggere territori africani.

Scioglimento Camera imminente: eccellente mezzo agitazione fra gli arabi come prova dell'incapacità dei turchi governare.

Nuova crescente agitazione fra i malissori.

Leipnik è partito sabato da Costantinopoli e sarà mercoledì mattina a Parigi.

611 1 Con T. 74/21 del 13 gennaio, non pubblicato, Tittoni, riferisce una conversazione con Schon sulle possibilità di una intesa tra Germania ed Inghilterra per porre fine al conflitto italo-turco.

613

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 99/13. Vienna, 17 gennaio 1912, ore 5,20 (per. ore 19,45).

Risponde alla lettera particolare di V.E. in data 12 corrente'.

Per le ragioni esposte a V.E. nel telegramma segreto n. 821 del 13 dicembre scorso 2 ritengo sempre consigliabile di non dire nè qui nè a Berlino che noi pensiamo a soprassedere al rinnovamento dell'alleanza. Se facessimo una comunicazione in tal senso i nostri alleati ne sarebbero sfavorevolmente impressionati perchè vi vedrebbero una esitazione, ed ho motivo di credere di non essere nell'errore affermando ciò. Ma niente impedisce invece che noi cerchiamo di guadagnare tempo e di ciò ci offrono il destro e la necessità di concordare i protocolli addizionali e la difficoltà reale di trovare una formula per tutti soddisfacente circa l'interpretazione da dare alla espressione statu quo degli articoli nove dieci del trattato. Quanto a tale formula io ritengo sempre che quella indicata nel mio telegramma segreto n. 865 del 25 dicembre scorso3 potrebbe garantirci sufficientemente ed essere accettabile dai nostri alleati. Dubito per contro che i nostri alleati possano accettare [ ...] 4 dell'E.V. perchè non credo che consentiranno a riconoscere anche solo segretamente la nostra sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica, finché noi siamo in guerra con la Turchia. Per quello che concerne il Marocco non posso che ricordare le considerazioni contenute nel mio telegramma sopra citato n. 865, le quali collimano con quelle esposte dali 'E .V. cioè che noi non possiamo prendere con la Germania e l'Austria-Ungheria un impegno a mantenerlo statu quo se tale impegno è inconciliabile colle stipulazioni che abbiamo contratte con la Francia e l 'Inghilterra. Credo però che sarebbe molto utile che noi cogliessimo quest'occasione per [ .. i alle nostre alleate il testo di tal stipulazione, ciò che moralmente produrrebbe sopra di esse un'ottima impressione dissipando malintesi e sospetti che durano già da troppo tempo. Per ragioni di opportunità già esposte all'E.V. nella mia lettera particolare dal 1° dicembre scorso 5 , ritengo preferibile non toccare il testo primitivo del trattato perchè una sola modificazione potrebbe fame desiderare molte altre ed è meglio non metterei su questa strada. Per cui non sarebbe desiderabile cercare di fare inserire nel trattato l'intesa per l'Albania e l'accordo segreto del 19 dicembre 1909. L'intesa per l'Albania è di durata ed effetto indipendente dal trattato di alleanza e quindi non mi sembra che ci [...t bisogno di stipulame la rinnovazione né scorgerei del resto quale interesse noi avremmo a farle attribuire una durata identica a quella del trattato stesso. Invece credo opportuno far constatare da apposito protocollo che l'accordo segreto del 1909 si intende rinnovato con il trattato di alleanza e per la durata di esso.

2 Cfr. n. 530.

3 Cfr. n. 560.

4 Gruppo indecifrato.

5 L. particolare confidenziale del l o dicembre 1911, non pubblicata.

613 1 Cfr. n. 609.

614

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 350/33. Parigi, 17 gennaio 1912, ore 21,30 (per. ore 0,10 del 18).

Oggi ho fatto la prima visita a Poincaré. Mi ha ricordato di avermi, [ ...]1 nel 1906 quando egli era ministro fmanze ed io gli ho ricordato l'appoggio da lui dato in quella circostanza alla conversione della rendita italiana e per la quale egli aveva sempre diritto alla nostra maggiore riconoscenza. Mi ha quindi espresso la sua simpatia per l'Italia che conosce benissimo perché vi si reca ogni anno. Siccome oggi doveva ricevere tutti i miei colleghi del corpo diplomatico, abbiamo rimandato ad altro giorno una conversazione politica su tutte le questioni nella quali l'Italia è interessata. Solo su mia richiesta mi ha promesso di telegrafare a Tunisi perché sia impedito il passaggio dei dodici ufficiali dei quali il r. console generale a Marsiglia mi ha telegrafato la presenza e quindi in via confidenziale mi ha brevemente intrattenuto del fermo del «Carthage», circa il quale mi ha detto avere incaricato codesto incaricato d'affari di intrattenere amichevolmente V.E. Io gli ho detto che ritenevo che gli areoplani erano diretti apparentemente a Tunisi, ma effettivamente al campo turco, ed ho soggiunto che credevo aggiungere con tutta franchezza che l'incidente non sarebbe sorto se il suo predecessore mi avesse dato circa questione aeroplani una risposta che io durante un mese ho inutilmente sollecitata. Egli mi ha risposto che con lui ciò non mi accadrà, perchè sa bene quale importanza per i buoni rapporti tra i due Paesi abbia il fatto di dar risposte sollecitate precise e bene motivate siano esse affermative o negative. Con ciò ha avuto termine il colloquio.

615

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 97/35. Il Cairo, 17 gennaio 1912.

Ho comunicato a S.A. il principe Fuad in linea generale il tenore dei telegrammi che ho scambiati con l'E.V. circa le proposte che il suo messo potrà fare al capo dei senussi nell'intento di indurlo ad accordarsi col R. Governo per facilitare all'Italia la conquista della Tripolitania e Cirenaica.

Per quanto riguarda le concessioni da farsi al sceik Senussi il principe s1 e riservato, di esaminare i suggerimenti miei, anche Sua Altezza essendo d'avviso che sia necessario poter offrire ai senussi qualche compenso che effettivamente non possa considerarsi come concessione fatta indistintamente a tutto l'elemento indigeno di quelle due provincie. Anche il principe, come appunto prevedevo, ritiene che si debba dare all'intesa il carattere, almeno apparente, di un vero accordo bilaterale e che a noi giovi nelle circostanze attuali cercar di accaparrarci il concorso del capo dei senussi anche col fargli delle concessioni veramente importanti che sarà sempre possibile modificare, ridurre od annullare fra qualche anno quando ci fossimo installati stabilmente nella regione, avessimo legati a noi con una rete di interessi gli elementi più importanti della popolazione e fossimo in grado di imporci anche ai senussi. Si sa che questo ha fatto anche l'Egitto a Siwa che pure era importante centro senussita e che in questo paese l'influenza del sceik Senussi fu coll'andar del tempo quasi interamente annullata. Non appena il principe mi avrà comunicate le sue idee non mancherò di telegrafarle a V.E.

Per quanto riguarda l'invio di altri messi ho eseguito l'incarico datomi da V.E. nel senso che ho informato il principe dell'avvenuta partenza di altre persone che si proponevano di indurre il Senussi ad accordarsi con l'Italia. Sua Altezza mi domandò subito chi fossero. Ho accennato all'azione di Insabato e Mohamed Ali, ma come di una iniziativa privata, intrapresa dali 'Insabato coi denari appartenenti a sua moglie e nell'intento, in caso di successo, di far valere le proprie benemerenze di fronte al R. Governo. Avevo appena fatti i due nomi che il principe fece un salto sulla sedia, si portò le mani alla testa e mi disse: «allora non me ne voglio assolutamente occupare.

Ma lei non sa che persone son quelle, non sa tutto quel che han fatto contro De Martino? Si tratta di canaglie, di imbroglioni. Forse non avran mandato nessuno, ma se ne vantano per spillar denari all'Italia. No, no, facciano pure io non me ne voglio più occupare». Riferisco le parole del principe solo perchè giudichi quanto sia stato necessario non dire esplicitamente a Sua Altezza che il R. Governo si valeva di simili persone, la cui fama in Egitto è delle peggiori. Io su questo ho insistito col principe Fuad, cioè che si trattava di una iniziativa assolutamente privata che il Governo di Sua Maestà -non aveva né spinta, nè incoraggiata, nè aiutata, ma che non poteva naturalmente impedire. Ho avuta gran pena a far recedere il principe dall'idea di abbandonare interamente il suo progetto e credo di averlo persuaso a perseverarvi. Dico «credo» perchè non ne sono affatto sicuro. Forse egli non ha voluto dire esplicitamente, di fronte alle mie insistenze, che abbandonava la sua idea, ma nel fatto sollevò poi delle difficoltà di carattere pratico ed economico cui non aveva in precedenza accennato. Inoltre al colonnello Elia che vide iersera e che di fronte al principe ne ignora interamente il progetto, Sua Altezza disse esser ben dannoso all'Italia che manchi in Egitto un'unità d'azione e che il Governo faccia lavorar persone al di fuori del controllo e della sorveglianza dei suoi rappresentanti ufficiali, ripetendo così antichi errori. Attribuisco queste parole del principe, ed il colonnello Elia ne ebbe sul momento stesso impressione eguale, che Sua Altezza sia convinta che l'Insabato e compagni si adoperano qui coi mezzi e le direttive loro fomite dal Governo. Può dunque prodursi ciò che ho più volte segnalato come un probabile pericolo, che cioè l'idea di esser anche indirettamente connessi a persone così completamente malfamate e ritenute capaci di qualsiasi inganno od azione indelicata possa farci perdere altri aiuti di assai men dubbia efficacia. Ad ogni modo, fingendo di ignorare le parole dette al colonnello, insisterò opportunemente col principe perchè continui nell'idea di mandare il proprio messo al Senussi e riferirò a suo tempo le idee che in proposito mi avrà espresse, ma non potevo tacere alla E.V. l'impressione fattagli dal mio accenno all'azione condotta a mezzo di Insabato.

Per quanto riguarda la località dove il rappresentante del Senussi potrà essere inviato per trattare le basi definitive dell'accordo, qualora decida in massima di addivenirvi, il principe si è pure riservato di esaminar la questione e di parlame, in seguito.

Gli ho pure offerto, se l'avesse creduto vantaggioso, di munire eventualmente il suo messo anche d'una lettera di S.E. il presidente del Consiglio, ma Sua Altezza disse subito che il capo dei senussi non avrebbe compresa l'importanza della cosa, ignaro com'è dei nostri ordinamenti politici. Disse che il capo senussi crede probabilmente che in Italia il potere appartenga esclusivamente al sovrano e soltanto egli potrebbe vedere la persona capace in impegnarsi effettivamente con lui.

Con riserva adunque di telegrafare ulteriormente a V.E. le mie ulteriori trattative su questo argomento, ...

614 1 Gruppo indecirrato.

616

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 104/39. Il Cairo, 17 gennaio 1912.

Sua Altezza il Kedive ha informato avant'ieri il colonnello Elia di aver ricevuto un telegramma del gran vizir col quale vien pregato di rendere alla Turchia un segnalato servigio, che sarebbe molto apprezzato dal Governo ottomano. Si tratta d'un azione religiosa che potrebbe avere una grande portata. Said Pascià chiede al kedive di riunire in Egitto un consesso di ulèma ed altre autorità religiose egiziane allo scopo di far loro redigere un invito al sceik Idris di astenersi dal combattere i turchi non essendo questo il momento in cui i musulmani devono combattersi tra loro e convincerlo che il suo dovere di buon islamita è quello di sospendere le ostilità almeno fin c h è sia finita la guerra per l'aggressione dell'Italia. Il kedive non nascose la sua soddisfazione per la richiesta della Turchia ed appare lusingato della importanza che una simile azione gli conferirebbe nel campo religioso. Sua Altezza disse che non aveva ancora risposto, ma che aveva l'intezione di accettare l'invito. Che manderebbe a portare l'invito degli ulèma uno dei parenti dell 'Idris ai quali ho accennato in altro rapporto, ma lo farebbe accompagnare in pari tempo da un messaggero ufficioso e segreto, quello appunto che si recò di recente a Massaua per trattare l'invio delle nostre armi, per spiegare al sceik di non far conto dell'invito stesso ed intensificare invece la sua azione contro i turchi e contro l'emiro della Mecca, essendo questo il momento più favorevole per gli arabi di liberarsi dai turchi.

Il kedive vorrebbe dunque iniziare una di quelle doppie azioni in cui tanto si compiace la sua politica di orientale: ma si tratta di un gioco assai pericoloso. In ogni caso, anche ammettendo riesca, l'effetto morale a nostro danno non ne sarebbe diminuito. Il colonnello Elia non sollevò per il momento alcuna obiezione, appunto perchè preferiva ed a ragione di lasciar parlare Sua Altezza e di conoscerne in quanto fosse possibile le intenzioni. Ne parlò invece col principe Fuad che se ne mostrò subito assai male impressionato.

Il principe Fuad disse, a proposito di questo progetto, che lo disapprovava. E soggiunse (parole che il colonnello Elia riferiva a me): «lo in tutta questa faccenda lavoro fino a che gli interessi del kedive e quelli dell'Italia vanno d'accordo. lo conosco molto bene il kedive, so la sua amicizia per il vostro paese, ma so anche che la prima cosa alla quale pensa è interesse suo proprio. Quindi per prendere una risoluzione o per desisterne è sempre a quello che gli giova o che gli fa danno che bisogna fare appello. Questa proposta del gran vizir è dannosa tanto per l'Italia che per il kedive. Per l'Italia in quanto l'affermazione di solidarietà islamica di un centro musulmano come è il Cairo aumenterebbe la forza morale delle popolazioni che sono contro di voi e che non hanno alcun bisogno di ulteriori incitamenti per essere determinante alla resistenza. Al kedive ne verrebbe danno innanzi tutto perchè un consesso che si pronunziasse contro di voi, anche solo in materia religiosa, nei suoi stati sarebbe assai male giudicato in Italia. Poi dati i fini reconditi ed importanti che il kedive ha in Arabia (cioè le sue segrete aspirazioni al califfato) un deliberato come quello proposto potrebbe avere effettivamente un certo effetto sui seguaci di Idrissi e rendere invece inefficace la contro azione dell'inviato clandestino. Potrebbe poi darsi che l'Idrissi, per avere qualche vantaggio immediato dalla Turchia, si decidesse a svelare il doppio gioco del kedive».

Il principe Fuad, le cui considerazioni concordano interamente con quelle che ho fatto io stesso appena seppi del telegramma del gran vizir, ritiene che si tratti di un artifizio di Said Pascià per sapere se e fino a quel punto il kedive sia in rapporti con Idrissi. Se il kedive accetta una missione come quella propostagli vuoi dire che ritiene di poterla compiere, almeno in una certa misura, e questo sarà preso come una prova ch'egli mantiene col sceik ribelle alla Sublime Porta quelle segrete relazioni, che appunto si son sempre sospettate a Costantinopoli. Il principe crede invece che il kedive avrebbe buon gioco nel declinare l'incarico allegando come abbia troppo poca importanza dal punto di vista della supremazia religiosa per poter riuscire laddove la ben maggiore autorità di Stambul, del califfato e del sceik ul Islam non potessero trionfare.

Sua Altezza esporrà personalmente sifatte considerazioni al kedive non appena potrà vederlo. lo intanto sto prendendo misure perchè in via indiretta siano esposte al kedive delle considerazioni che possano distorlo dalla sua prima intenzione. Gli farò osservare così, come la riunione degli ulèma al Cairo, anche senza contare l'impressione che se ne avrebbe in Italia, potrebbe riuscir sospetta anche all'Inghilterra, che potrebbe ostacolarla o perfino proibirla, ciò che di certo non servirebbe ad aumentare il prestigio del kedive in Egitto e tanto meno nel mondo islamico, nel quale aspira invece a formarsi una salda base. Gli farò inoltre considerare come la sola discussione di un simile argomento in una riunione di ulèma al Cairo potrebbe interpretarsi come un vero e proprio aiuto morale ad uno dei belligeranti, assai poco conforme alla neutralità che l 'Egitto ha tutto l'interesse di mantenere nel presente conflitto.

Ad ogni modo mi riservo di riferire in seguito a VE. le decisioni di Sua Altezza ed io non lascierò nulla intentato per cercare di dissuaderlo dall'aderire ad una proposta che ci potrebbe esser veramente dannosa 1•

617

L'AMBASCIATORE A BERLINO, P ANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 107/13. Berlino, 18 gennaio 1912, ore 8,20 (per. ore 21,45).

Ho ricevuto la lettera particolare di VE. del 12 gennaio1 . Suppongo che questione sarà ora trattata da VE. con Kiderlen-Wachter. Non credo mi occorra ritornare sugli argomenti già noti pro e contro il rinnovamento immediato della alleanza. Zimmermann col quale me ne sono anche intrattenuto giorni sono riconosce che ve ne sono di seri nell'uno e nell'altro senso ed egli sembrava fra l'altro dare non poco peso alla maggiore solidità che sarebbe eventualmente assicurata al trattato se riconfermato da un nuovo imperatore d'Austria-Ungheria. Se si potesse farlo senza destare troppa diffidenza o malumore nei governi alleati i quali evidentemente desiderano l'immediata rinnovazione, io propenderei in complesso per un ritardo, in attesa che si affermino le conseguenze della guerra a meno che non si riuscisse a fare risultare fin d'ora nel nuovo trattato di alleanza un riconoscimento della nostra posizione a Tripoli di Barberia.

Con quest'intento mi pare che pur dichiarandoci disposti al rinnovamento si potrebbe far valere l'evidente incongruità del riprodurre e sottoscrivere gli antichi articoli 9 e l O riferentisi ad uno stato di cose che ha cessato di esistere. KiderlenWachter insisterà di certo per la firma integrale del primitivo trattato di alleanza tenendosi moltissimo qui come a Vienna a potere asserire verso chicchessia che «La Triplice Alleanza venne semplicemente prolungata». Egli quindi cercherà di

617 1 Cfr. n. 609.

dimostrarle come fece con me non esservi inconveniente a interpretare lo statu quo mediante un apposito articolo addizionale. Il cedere che si facesse su questo punto di forma offrirebbe buon argomento per richiedere riguardo alla Tripolitania termine più esplicito di quello proposto contro il quale assai efficace le obbiezioni da V.E. indicate. Ritengo però che l'esigere una espressa menzione del decreto del 5 novembre equivarrebbe a far cadere il negoziato. Se invece si desidera tentare un componimento si potrebbe forse creare una formula meno specificata di quella accennata nella sua lettera come se si dicesse per esempio che: lo statu quo contemplato si riferisce allo stato di cose risultante dalla occupazione italiana della Tripolitania e Cirenaica. Una tale formula sarebbe abbastanza compromettente per garantirci tra altro che a Berlino ed a Vienna si farà il possibile per tener segreto l'eventuale rinnovamento. Quanto agli accordi concernenti l'Albania e Novi Bazar, credo che quest'ultimo diverrebbe superfluo col nuovo trattato di alleanza contenente guarentigie dello statu quo creato pel Sangiaccato alla data anteriore del 1909. Quanto al primo mi parrebbe utile il confermarlo, ma se ciò potrà attenersi con un protocollo aggiunto ritengo escluso che si voglia per esse alterare il testo principale.

616 1 Cfr. n. 641.

618

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 260. Roma, 18 gennaio 1912, ore 20.

Telegrammi di V.E. nn. 33 1 , 34, 352• Incaricato d'affari di Francia, che era già venuto ieri a chiedere semplicemente schiarimenti circa l'incidente del «Carhage», mi ha consegnato oggi una memoria, statagli telegrafata dal suo Governo, e nella quale, sulla base delle convenzioni vigenti, viene impugnata la legittimità della cattura del piroscafo. Legrand chiedeva quindi, a nome del suo Governo, che «Carthage» e aereoplano venissero lasciati liberi di proseguire subito la rotta per Tunisi.

Per risolvere incidente nel modo più sbrigativo ed amichevole, ho proposto a Legrand quanto segue: il R. Governo libererà immediatamente piroscafo e aereoplano, purché e appena che Governo francese abbia assunto impegno formale di impedire assolutamente che l'areoplano passi in qualsiasi modo frontiera Tripolitania e raggiunga il campo turco. Tutto ciò lasciando impregiudicata la questione di diritto, che si discuterà poi fra i due Governi.

Prego V.E. di esprimersi in tal senso con codesto ministro degli affari esteri.

618 1 Cfr. n. 618. 2 TT. 345/34 e 347/35 del 17 gennaio, non pubblicati.

619

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 375/GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 37. Parigi, 18 gennaio 1912, ore 21,45 (per. ore ... del 19).

Console generale Marsiglia risponde così a mio telegramma di ieri: «Impossibile ottenere dichiarazione scritta e fornire prove della probabile destinazione degli aereoplani Tripolitania, trattandosi notizia data a voce in via confidenziale».

V.E. potrebbe sapere dalla nostra agenzia diplomatica Cairo se è vero che Duval, dopo di avere volato colà pel pubblico, tentò passare in Tripolitania e ne fu impedito dalle autorità egiziane. Sono venuti molti giornalisti francesi per avere da me dichiarazioni e spiegazioni ma io non ho voluto dire nulla in aggiunta a quanto dissi loro confidenzialmente ieri, non volendo in nessun modo pregiudicare il negoziato che si svolge a Roma. Intanto, ho saputo da essi che oggi il linguaggio della stampa sarà più vivace verso l'Italia.

Barrère mi ha scritto un biglietto nel quale mi dice che sarà a Roma martedì o, al più tardi, giovedì prossimo e aggiunge: «L'effet produit par l'incident est penible et fàcheux». Giornali pubblicano un telegramma da Roma in cui dicesi che l'incaricato d'affari di Francia ha fatto le riserve del suo Governo sulla cattura ed ha aggiunto che ove questa fosse tolta subito ciò sarebbe considerata a Parigi, come una prova dei sentimenti amichevoli del Governo italiano. Se le dichiarazioni dell'incaricato d'affari sono state effettivamente in questi termini, io credo che potrebbero costituire il punto di partenza per chiudere un incidente che può assumere proporzioni più gravi e del quale il vero responsabile, l'ex ministro De Selves, dal quale non fu possibile durante un intero mese sapere come il Governo francese si sarebbe regolato riguardo agli areoplani, è scomparso per sempre dalla scena politica.

Pare a me che il Governo italiano, pur affermando in modo reciso il suo pieno diritto di eseguire la cattura e riservandosi di esercitarla in avvenire come e quando crederà, potrebbe dichiarare che per dare una prova di amicizia alla Francia rilascia il «Carthage» e l 'areoplano fidando nella dichiarazione di Duval che non si recherà in Tripolitania e in ogni caso nella dichiarazione del Governo francese che eventualmente impedirà ciò. Naturalmente, siccome questa dichiarazione il Governo francese non l'ha finora fatta, toccherebbe all'incaricato d'affari di Francia di farla a V.E.

620

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. Roma, 18 gennaio 1912.

Seguito indagini risulta che, causa misure Governo inglese per impedire contrabbando attraverso Egitto, agenti Turchia hanno costituito Marsiglia loro quartiere generale per invio ufficiali, graduati arn1i campo turco attraverso Tunisia. All'uopo sarebbesi disposto Gabes e Sfax apposito servizio automobilistico. Organizzatore sarebbe Lufti pascià, residente cotesta metropoli col concorso console turco Marsiglia e due ufficiali superiori colà trasferitisi chiamati Joubti bey e Nubar bey alloggiati Grand Hòtel Beauvau. Presentemente Lufti pascià trovasi, presso console turco Marsiglia, ove giunsero dodici ufficiali e graduati alloggianti parte Hòtel anzidetto, parte Hòtel Helvètie rue Breteuil. Giorni addietro partì per Tunisi altra comitiva ufficiali con graduati dicesi cannonieri, che fecero acquisto abiti, fucili cartucce speciali per colpire aeroplani. Seconda comitiva partita 17 volgente composta undici ufficiali turchi con altri diciassette soldati sul piroscafo «Manouba» della Società Mixte. I primi sonosi dichiarati a bordo medici, altri infermieri luna rossa. Come V.E. sa, da r. nave «Agordat» fu catturato aeroplano partito da Marsiglia con aviatore Duval sul piroscafo «Carthage» della Compagnia Transports Maritimes. Da tutto ciò parrebbe che predette società navigazione tengano mano al contrabbando, e dubbio sarebbe avvalorato dal seguente telegramma spedito ieri dall'agente tunisino dei Transports al console francese in Cagliari: «Prière informer Themeze commandant Carthage que transtlantique Marseille lui confinne ordre refuser livraison des dépèches et de !es garder avec soin à bord ainsi que les marchendiscs». Informone VS. per opportuna notizia e per pratiche che stimasse opportune fare Governo francese.

621

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO POLITICO 18. Mogadiscio, 18 gennaio 1912. (per. il 16 marzo).

Confermando quanto ebbi l'onore di esporre all'E.V. col mio foglio 17 corrente

n. -16 riservato politico 1 pregiomi trasmettere in copia il parere che il comandante del R. -Corpo delle Truppe mi esprime, in seguito a mia richiesta, sulla opportunità di un'azione concertata fra l 'Italia e l 'Etiopia contro le tribù di frontiera fra la Somalia e l'Abissinia nel territorio dell'Uebi Scebeli.

ALLEGATO

IL COMANDANTE DELLE TRUPPE COLONIALI IN SOMALIA, ALFIERI, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

L. Mogadiscio, 18 gennaio 1912.

L'E.V. mi ha fatto l'onore di chiedermi il mio parere sui seguenti argomenti: l) se riterrei utile, non in questo momento ma in avvenire forse anche non prossimo, un'azione di guerra concertata tra l'Italia e l'Etiopia contro gli ogaden; 2) se, in caso negativo, riterrei almeno utile l'organizzazione da ambo le parti di un forte servizio di polizia ai confini verso gli ogaden, con reciproche intese. Rispondo che, per mio conto, ritengo dannosa qualunque intesa con l'Etiopia per un'azione contro tribù somale, e ciò per vari motivi:

a) perché mi pare indiscutibile che convenga far entrare il meno possibile l'Etiopia nelle questioni riguardanti la Somalia: vi sarebbe il germe di gravi pericoli per il più lontano avvenire;

b) perché mi sembra non convenga di trattare un'azione comune con genti le quali, come risulta anche dai più recenti rapporti ufficiali, compiono, precisamente nell'Ogaden, spedizioni che hanno per scopo di far pagare il tributo ma per risultato definitivo un grande bottino di bestiame e di schiavi.

L'Ogaden darà delle noie agli abissini: a noi non ne dà che assai poche: si sente di tanto in tanto parlare di razzie, di lotte di cabile, eccetera ma ciò non danneggia aftàtto la nostra situazione in Somalia. E noi possiamo non tenerne conto, sia per la distanza, sia anche perché, se è vero che dobbiamo mantenere finchè possibile l'ordine, proteggere i commerci, eccetera, non dobbiamo e non possiamo preoccuparci di accorrere in soccorso di tutti coloro che sono in qualsiasi modo minacciati, specialmente quando questi hanno i mezzi e debbono aver l'animo per difendersi.

Per me gli ogaden rappresenterebbero, fatte le debite proporzioni, quello che in Europa si chiamerebbe uno Stato-cuscinetto, e penso che se non ci fossero, o fossero soggetti ed ossequienti agli abissini, sarebbe per noi più un danno che un vantaggio.

Venendo alla parte militare, che più direttamente m'interessa, ritengo:

l) -che, date le truppe dei nostri presunti alleati, sarebbe vana speranza quella di dirigere le operazioni combinate e sopratutto di mantenerle in quei limiti in cui dovrebbero esser tenute da popoli civili;

2) -che, tenuto conto della distanza e delle condizioni logistiche, operazioni di tal genere richiederebbero un notevole aumento di forze e una grave spesa per superare le difficoltà dei rifornimenti.

Quanto al servizio di polizia, che è quello che in conclusione noi ora facciamo lungo i nostri confini effettivi, prescindendo dalle considerazioni politiche di cui sopra, sta di fatto che bisognerebbe cominciare dall'estendere tali confini fino a portarci quasi a contatto delle popolazioni di cui si tratta, il che richiederebbe uomini denaro e tempo, e potrebbe portare complicazioni di altro genere. Riassumendo, il mio parere circa i quesiti propostimi non è favorevole, per ragioni politiche morali e militari; la nostra azione sarebbe certo utile all'Etiopia, ma per noi sarebbe inutile e potrebbe essere anche dannosa.

E d'altra parte non è da escludere che anche la nostra prossima avanzata abbia già per se stessa una benefica influenza (come si è verificato altrove) sulla tranquillità della regione contro la quale si dovrebbe operare.

621 1 Non pubblicato.

622

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 395/GAB. 39. Parigi, 19 gennaio 1912, ore 21,20 (per. ore 7 del 20).

Telegrammi di V.E. nn. 257 e 264 1 . Barrère è tornato da parte di Poincaré per chiedermi di telegrafare a V.E. di lasciar passare il piroscafo «Manouba» con gli ufficiali turchi, impegnarsi egli a fermarli al loro arrivo a Tunisi e procedere rigorosa inchiesta circa loro identità. Io sarei d'avviso che, prima di tutto, noi rilasciassimo il «Carthage» e l'aeroplano prendendo atto dell'impegno assunto al riguardo dal Governo francese, poiché, nel caso del «Carthage», il nostro diritto non mi sembra così chiaro come nel caso del «Manouba». Ciò varrebbe anche a dare alla Francia una prova della condiscendenza dell'Italia ed a calmare questa opinione pubblica che qui, a Marsiglia ed a Tunisi si va sempre più eccitando in modo veramente pericoloso per i buoni rapporti dei due Paesi. Eliminata così la questione del «Carthage», rimarrebbe solo quella del «Manouba» per la quale, vista l'assoluta riluttanza di questo Governo a consentire puramente e semplicemente uno sbarco degli ufficiali turchi lasciando partire la nave, io completerei la proposta da noi fatta in questo senso coll'offrire al Governo francese di sottoporre la questione al Tribunale dell' Aja

o ad un arbitrato da convenirsi altrimenti. In questo modo il «Manouba» partirebbe subito e gli ufficiali coi loro bagagli rimarebbero nostri prigionieri fino alla decisione arbitrale.

623

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 293. Roma. 20 gennaio 1912, ore 20,45.

Telegrammi di V.E. nn. 38, 39 1 e Gabinetto 39 2• Sono dolente dell'indisposizione di V.E. e le auguro pronto completo ristabilimento.

Come risulta dal mio telegramma n. 2823 , le soluzioni raccomandate da V.E. per i due incidenti sono già state realizzate. In seguito alla dichiarazione del Governo francese per l'areoplano Duval, fu lasciato libero il «Carthage»; in seguito al consenso allo sbarco dei ventinove turchi a Cagliari, fu lasciato libero il «Manouba». Se

2 Cfr. n. 622.

3 T. 282 del 20 gennaio non pubblicato.

642 il suo stato di salute lo consente, occorrerebbe che V.E. vedesse ancora Barreré prima della sua partenza per l'Italia, e che persuadesse lui e lo inducesse a persuadere il suo Governo di dare allo svolgimento ulteriore delle due vertenze una definizione tale da soddisfare l'opinione pubblica italiana, la quale non ha potuto non constatare che la prolungata resistenza in Tripolitania è stata resa possibile solo dall'assistenza che, grazie al contegno delle autorità locali, i turco-arabi hanno costantemente ricevuta attraverso la frontiera di Tunisia. Sulla questione degli aereoplani noi avevamo da tempo attirato l'attenzione del Governo francese; ed è soltanto per causa dell'indecisione e dell'incompetenza, da lei giustamente rilevate, di De Selves, che essa non poté venir risolta. Quanto al nostro diritto di visita di tutte le navi neutre, esso è un diritto assoluto e primordiale dei belligeranti; e noi non potremmo in alcun modo rinunziarvi, come chiedeva il Governo francese nel telegramma comunicatomi iersera da Legrand. In pratica però, noi di tale diritto ci siamo valsi solamente in quei casi, nei quali sapevamo che le navi trasportavano o militari turchi, o contrabbando di guerra. E, in ogni caso, la visita si ridurrebbe ad una semplice formalità senza nessun ritardo o danno per le Compagnie di navigazione, quando queste si decidessero, in linea di principio, a non eseguire simili trasporti. È così, per esempio, che la «Deutsche-Ost-Afrika Linie» si rifiutò recentemente a trasportare al Benadir una trentina di somali fra i quali solo pochi militari, e un ufficiale che li accompagnava, a causa della neutralità.

622 1 T. 257 del 18 gennaio e T. 264 del 19 gennaio, non pubblicati.

623 1 TT. 393/38 e 394/39 del 19 gennaio, non pubblicati.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 188/42. Londra, 20 gennaio 1912 (per. il 26).

La notizia della caduta del Gabinetto Caillaux provocò qui un sentimento di soddisfazione generale che lo stesso sottosegretario di Stato, discorrendo meco, non arrivava a dissimulare. Il fatto non deve meravigliare. Già da tempo avevo avuto sentore, e ne avevo ragguagliato V.E., in alcuni miei telegrammi, che a causa dell'intransigente contegno del Governo francese verso la Spagna, e della situazione futura di Tangeri, erano sorte fra Londra e Parigi sensibili divergenze di vedute, ed alquanta frizione che nemmeno l'azione personale del signor Cambon, di cui è noto il prestigio e l'autorità che qui lo circondano, era riuscita ad attenuare. Ad accrescere la naturale irritazione qui risentita dopo il positivo, efficacissimo aiuto prestato alla Francia nella controversia marocchina, per l'atteggiamento soverchiamente indipendente assunto dal signor Caillaux, avevano pure contribuito i rapporti dell'ambasciatore britannico a Parigi su due colloqui abbastanza vivaci da lui avuti col presidente del Consiglio, colloqui nei quali, secondo mi è stato assicurato da ottima fonte, si sarebbe persino giunti a parlare della Entente Cordiale in termini assai diversi di quanto supponeva il pubblico. Se a questi precedenti si aggiunge l'impressione semplicemente disastrosa qui cagionata dalle rivelazioni nella commissione senatoria francese e nei giornali segnatamente nel Débats e nella Liberté sulla politica in partita doppia del signor Caillaux, non si dura fatica a rendersi conto di quella soddisfazione cui ho accennato dianzi.

«Date le diffidenze qui sorte ed il carattere retto e leale di sir Edward Grey, la caduta del dipartimento si può dire sia stata provvidenziale perchè la sua permanenza al potere, malgrado tutti gli sforzi del signor Cambon, avrebbe a lungo dare segnato la fine dell'Entente Cordiale». In questi termini si esprimeva meco avantieri un mio collega che per le speciali relazioni intercedenti fra il suo Governo e l'Inghilterra si trova meglio degli altri al caso di conoscere il pensiero reale del Foreign Office in certe determinate questioni. Il pericolo tanto paventato dal predetto mio collega sembra ora essersi dileguato. L'avvento del Gabinetto Poincaré e le dichiarazioni esplicite del nuovo presidente del Consiglio, mi affretto a dirlo, sono state generalmente accolte con soddisfazione, e si vera sunt exposita dovrebbero diradare completamente le nuvole che per breve tempo hanno oscurato l'orizzonte della relazioni anglo-francesi.

Della sincerità delle sue intenzioni il nuovo Gabinetto francese avrà, del resto, occasione di dare presto tangibile testimonianza nelle spirito con il quale si accingerà a condurre a termine i non facili negoziati con la Spagna, ed a regolare definitivamente la situazione giuridica di Tangeri, che sir Edward Grey ha dichiarato esplicitamente -me lo ha narrato l'ambasciatore di Spagna -dover essere né francese, né marocchina, ma bona fide internazionale.

Riterrei tuttavolta affermare cosa inesatta se dicessi che, dopo il mutamento di Ministero in Francia, le relazioni anglo-francesi, se non nella lettera, certo nello spirito, siano oggi così perfettamente cordiali, così pienamente improntate a fiducia reciproca, siccome lo erano qualche mese fa. Malgrado le manifestazioni quasi unanimi della stampa in favore del Gabinetto Poincaré, la penosa impressione destata dalle rivelazioni sui maneggi e intrighi del signor Caillaux non è peranco totalmente dissipata. Perdura invece tuttora, benché nessuna traccia sia dato di scorgerne, nel fondo dell'animo degli inglesi, così teoricamente devoti alla regola delfàir play, una certa tal quale sensazione di malessere e di diffidenza a riguardo della nazione vicina per avere essa troppo presto e con troppa disinvoltura accennato a dimenticare l'efficace ausilio prestatole dall'Inghilterra che senza un momento di esitazione assunse l'estate scorsa un atteggiamento che poteva condurla ad una guerra con la Germania.

Questa impressione è da ritenersi andrà a poco a poco dissipandosi. Per il momento però essa sussiste ed ha per conseguenza di contribuire in modo non indifferente ad inspirare seria riflessione sulle condizioni tutt'altro che soddisfacenti delle relazioni anglo-germaniche. Qualche dubbio del pari essa ingenera sulla saggezza e opportunità delle dichiarazioni del signor Lloyd George, dopo il famigerato «colpo di Agadir» che, in verità, le avvenute postume rivelazioni agli occhi delle persone serie ed imparziali, se non a giustificare, hanno per lo meno contribuito a spiegare. l radicali naturalmente hanno con gioia colto il destro per gridare di nuovo la croce addosso a sir Edward Grey ed alla sua politica «non liberale». Ma se i radicali hanno gridato apertamente, non sono nemmeno mancate critiche e riserve

644 più o meno sommessamente formulate anche da molti di coloro che nella Camera hanno approvato la linea di condotta seguita dal Governo.

Da questi ultimi specialmente si è osservato che, con l'aggravare la tensione delle relazioni anglo-germaniche, l'Inghilterra ha sensibilmente vulnerato la sua libertà d'azione di fronte alle due potenze dell'Entente, nella quale essa non può più esercitare una parte dirigente e preponderante. In tal ordine d'idee è da segnalare un discorso di recente di lord Rosebery, discorso che non ha, ed era naturale, incontrato il favore del Temps.

Ma le critiche alla politica del Governo non si limitano al suo atteggiamento verso la Francia. Esse sono assai più veementi e più generali per quella che i radicali proclamano supina, umiliante, remissività di fronte alla Russia nella questione persiana con pregiudizio letale, non solo del prestigio quanto degli interessi essenziali della Gran Bretagna, la quale, quando l'incalzare degli avvenimenti, fatale conseguenza della tolleranza dimostrata verso la Russia, conducesse, come non è in modo assoluto da escludere, ad una eventuale spartizione della Persia, raggiungerebbe per l'insipiente politica del Governo il risultato sgraditissimo ed ab antiquo deprecato di diventare nazione finitima della Russia. E su questo argomento specialmente raggiungono il colmo gli aspri rimproveri e le violente invettive senza tregua lanciate dai radicali contro sir Edward Grey, che giorni sono il Daily News arrivava persino a qualificare di «impossibile ministen> mentre negli altri giornali del partito si leggono articoli altrettanto virulenti aventi la medesima intestazione che precedeva mesi fa quelli dei giornali conservatori, avversari del signor Balfour, ossia le fatali tre lettere:

G.M. G. (Grey must go).

Tutti questi attacchi, più o meno giustificati, se non varranno a provocare la caduta del segretario di Stato per gli affari esteri, hanno non di meno per inevitabile conseguenza di porlo nella situazione sempre poco piacevole di un ministro mantenentesi al potere principalmente per il suffraggio dei suoi avversari. D'altra parte, per quanto sia nota la freddezza, l'indifferenza e la rigidità del carattere di sir Edward Grey, non è meno vero che la violenta campagna mossagli dai suoi più fidi correligionari in fatto di politica interna lo turba lo irrita ed in molti casi ne inceppa l'azione, creandogli di fronte all'estero imbarazzi e difficoltà. L'ambasciatore di Russia mi diceva avant'ieri che circa la Persia sir Edward avrà buon gioco nel ribattere, al riaprirsi della Camera, le accuse mossegli, perché a quell'epoca la questione persiana avrà fatto un buon passo verso un avviamento soddisfacente per tutti, e l'azione di sir Edward apparirà nella vera sua luce. Quando anche, com'è da augurarsi, si avverino le ottimistiche previsioni del conte Benckendorff, tutto lascia ritenere che non cesseranno per queste le recriminazioni dei radicali, irriduttibili avversari dell'intesa con la Russia e dominati da un'idea fissa che costituisce per esse il porro unum est necessarium la base di ogni possibile politica estera inglese, e, cioè, il riavvicinamento con la Germania. Il desiderio se non di un vero e proprio riavvicinamento, certo di una sensibile détente con la Germania va indubitatamente però facendosi più strada, ed acquistando favore anche nel campo conservarore, secondo che l'ho già riferito a V.E. Lo si è veduto nelle recenti discussioni in Parlamento, e lo si può giornalmente constatare dal linguaggio dei giornali. Errano però, a mio avviso, i radicali nel voler imporre al Governo di prendere subito iniziative in tal senso, di mutare sostanzialmente da un momento all'altro la base della sua politica, di rinunziare senz'altro alle amicizie esistenti, di gettarsi, in altri termini, piedi e mani legate al collo della Germania, donde, e sarebbe ben naturale, potrebbero in tal caso, venire affaciate esigenze imposte condizioni inaccettabili. Errano poi ancora più, dottrinari impenitenti come sono, i radicali nel ritenere che conseguenza immediata del riavvicinamento sospirato anglo-tedesco sarebbe quella diminuizione degli armamenti navali da essi strettamente caldeggiata, ma dalla grande maggioranza della Nazione britannica, per ora almeno, con tanta deliberata veemenza osteggiata. Posso sbagliarmi, ma prima che tale avvenimento abbia a verificarsi, dovrà, temo, passare ancora non poco tempo e le relazioni anglo-germaniche dovranno raggiungere un grado di intimità e di reciproca fiducia che per mille ovvi motivi non mi pare lecito di prevedere in un futuro prossimo.

Per l'ora presente tutto quello che nell'interesse dei due potenti rivali e della tranquillità dell'Europa è dato di sperare, si è di augurare, che tanto in Germania, quanto in Inghilterra si cominci gradatamente a dimenticare il passato, e i due Governi, riprendendo contatto, si studino con calma ed uguale buona volontà di cercare un terreno d'intesa per le varie questioni in litigio, da quella di Bagdad in prima linea.

Questa è politica pratica: il resto mi pare semplicemente pericolosa fantasia, destinata a produrre risultati negativi, e ad aggravare forse anche più la certamente non piacevole situazione attuale, grazie alla quale tra Londra e Berlino, si può dire senza esagerare, che le relazioni sono in oggi divenute puramente nominali e ufficiali. A giustificare questa asserzione, sono in grado di affermare, perché mi risulta in modo ineccepibile, che le visite di questo ambasciatore di Germania al Foreign Office sono negli ultimi tempi quasi cessate, e gli affari ordinari vengono trattati dal consigliere con i funzionari subaltemi.

Da questo rapido e sommario esame della situazione politica dell'Inghilterra nei suoi rapporti coll'estero mi pare si possano trarre due conclusioni:

l) che nella controversia marocchina, sarebbe stato certamente preferibile da parte dell'Inghilterra una impetuosità minore nello schierarsi, in tono così minaccioso a fianco della Francia contro la Germania; e sulla discutibile opportunità del discorso del signor Lloyd George i fatti hanno, parmi, giustificato gli apprezzamenti da me sottoposti all'E.V. col mio rapporto n. 361;

2) che, contrariamente a quanto si ritiene in alcune capitali sul continente, la politica estera inglese negli ultimi anni non è stata tortuosa, subdola e lungimirante, ma rigida, a volte impulsiva ed in generale forse troppo del «caso per caso». Ed i risultati, tutto compreso, non si può certo dire che siano stati fino ad ora favorevoli e vantaggiosi per il prestigio, l'autorità e l'influenza britannica.

624 1 Non rinvenuto.

625

L'ADDETTO AGLI AFFARI CIVILI PRESSO IL COMANDO DI BENGASI, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA. Roma, 21 gennaio 1912.

Mi onoro dare a V.E. le informazioni che seguono intorno all'attuale stato delle nostre relazioni con la confraternita dei senussi a Bengasi, premettendo questa osservazione: che la confraternita dei senussi -a quanto mi consta per diretto esame della questione -pur essendo la più estesa e la più importante della Cirenaica (la Medania non avendovi che scarsissima influenza) non esercita tuttavia il suo potere sull'intera popolazione, moltissimi essendo coloro, specialmente nei centri costieri, che non sono affigliati alla confraternita stessa.

Prima della occupazione italiana di Bengasi, le relazioni tra l'Italia e lo sceik di Cufra, Sidi Ahmed Scerif, erano svolte a mezzo del r. consolato di Bengasi, il quale si serviva principalmente all'uopo di tal Osman el-Anesi, commerciante bengasino della tribù dei bragta (nord est di Bengasi).

In seguito all'intervento di altre persone, appartenenti pure alla Senussìa, e che, passate da Bengasi, si recarono poi a Roma iniziando o riprendendo una nuova via di comunicazioni con Cufra, quella di Cairo, la situazione di Osman el -Anesi, di fronte al Governo italiano, mutò notevolmente, essendo nato sopra di lui il sospetto intorno all'efficacia e, più, alla sincerità della sua azione politica tra noi e la confraternita mulsumana.

Stavano così le cose, quando la seconda divisione del corpo d'occupazione, alla quale io sottoscritto ero aggregato, sbarcò a Bengasi, occupando la città.

Prima cura di quel comando fu di iniziare, contemporaneamente e parallelamente alle opere difensive guerresche, un'azione politica tendente a impedire che la propaganda turca avesse efficace successo tra le tribù interne della Cirenaica e ad attrarre verso di noi le tribù stesse.

Parte principale di questa azione politica fu quella di intavolare relazioni con i senussi, tanto locali che lontani, e anche col capo di essi, Sidi Ahmed Scerif, che dalla lontana sua residenza nell'oasi di Cufra avrebbe dovuto mandare ai fratelli (akuàn) sparsi nella Cirenaica la parola d'ordine incitante alla guerra o invitante alla pace.

Il Comando della Divisione (a mezzo del sottoscritto e del capitano di S.M. Signor Bianco) si mise dunque subito in contatto con i notabili senussiti di Bengasi, avendo cura di evitare Osman el Anesi e di non entrar con lui in diretti rapporti se non dopo aver valutata e controllata la sua personalità in mezzo alla società senussita di Bengasi.

Si svolsero quindi le principali trattative con i notabili senussiti di Bengasi, che rappresentano i più importanti amici e sostenitori del Sidi Ahmed Scerif di Cufra, il quale, per quanto riguarda intensità e sicurezza di appoggi, di affari e di propaganda si rivolge sempre ai confratelli della Cirenaica e segnatamente a quelli di Bengasi, i quali hanno fino ad ora rappresentato per lui una specie di sudditanza diretta, fedele e forte, indipendente da ogni anche larvata influenza straniera-cristiana, come sarebbe avvenuto, ad esempio, per i fratelli senussi dello Egitto e della Tunisia. E

prova di ciò sia il fatto che nella Cirenaica sono in numero rilevantissimo le zavie, che scarseggiano invece nelle altre provincie nord-africane. I suddetti capi senussiti di Bengasi sono: l) Sidi Ah m ed el Aissaui, capo della zavia di Bengasi. 2) Sidi Abd el Aziz el Aissaui, fratello del primo ed ex capo zavia.

3) H agi Mansur Keia, influentissimo personaggio bengasino imparentato con i capi della tribù degli Auaghir, che occupa tutto il territorio ad est e sud est di Bengasi ed è tra le più potenti della Cirenaica.

4) Sidi Mohammed El Misganni, ricco commerciante tumsmo stabilito a Bengasi ed amico del capo di Cufra con cui sta in diretta frequente corrispondenza.

5) Sidi Soliman Mnena, ex sindaco di Bengasi che fu prescelto dal Governo turco per le sue buone relazioni con Sidi Ahmed Scerif, a portare a Cufra la bandiera ottomana.

Questi cinque ed altri minori, risposero al nostro invito con concorde attività, e ciascuno per proprio conto operò sia direttamente con Cufra, inviando lettere e messi al capo della confraternita, sia in Bengasi e nei dintorni, diffondendo le parole di persuasione e di pace che avevamo loro esposte nelle riunioni tenute tra di noi.

Durante questo primo periodo della nostra azione a riguardo della questione senussita, fu mia precipua cura quella di esaminare quale fosse esattamente la situazione del più volte citato Osman el Arresi, di fronte agli altri fratelli senussi. Senza dilungarmi troppo in dettagli, credo di potere affermare con sicurezza a VE. che il detto Osman el Arresi, pur non essendo uno dei capi senussi più influenti a Bengasi, è tuttavia stimato e ben visto da tutti i confratelli, i quali riconoscono in lui l'elemento più attivo e più zelante e quasi il trait d 'union tra loro e le autorità italiane, che egli, conoscendo l'italiano, avvicina con maggiore facilità. Osman el Arresi può dunque considerarsi -e circa tre mesi di esperienza continua lo provano -un ottimo e fedele strumento nell'azione italo-senussita sia per le sue doti di abile organizzatore, che per le conoscenze e le simpatie di cui gode. Naturalmente sarebbe un errore trattare solamente con lui e ciò, come si è visto, non si è fatto; come sarebbe altro errore, che anche è stato evitato, quello di metterlo alla pari con gli altri senussi suddetti, più influenti specialmente in riguardo alla posizione elevata delle loro famiglie di fronte alle tribù ed alla popolazione di Bengasi.

Da attento e sereno esame dei precedenti, trovati nell'archivio del già consolato d'Italia, chiaramente risulta come nelle relazioni italiane con il capo dei senussi a Cufra, che furono condotte in generale con abilità, un solo punto non sia da approvare ed è quello di non avere recisamente fatto intendere al Sidi Ahmed Scerif che l'Italia non avrebbe mai inviato a Cufra forti stock~ di fucili e di munizioni.

Il Sidi Ahmed invece, rispondendo alle lettere che gli venivano da Bengasi e che gli riferivano le intenzioni benevole del Governo d'Italia a suo riguardo, ritornava sempre nella sua ostinata domanda di armi. V'è infatti una lettera (che mi sembra essere del principio del 1911) in cui tra l'altro, lo sceik di Cufra scrive presso a poco così: «Quelli (gli italiani) voglion mandarmi regali di vestiari, di lampade e che so io. Ma, per Iddio, (sic) io non ne voglio, di questa roba; e ciò che voglio, loro lo sanno, ed io l'attendo, perchè anche il Profeta permette che i musulmani tolgano a prestito dai cristiani quelle cose di cui hanno necessità ...».

Da tutto ciò -(sia per istruzioni precedentemente impartite da VE., sia per evidente necessità di cose) -risultò che bisognava troncare questa pur vaga attesa, del capo dei senussi, di un rifornimento di armi da parte nostra. E si improntarono infatti le trattative con i suddetti capi -(ai quali si era aggiunto nelle proporzioni e nella situazione su indicate, Osman el An esi -) a concetti molto più generici di benevolenza, appoggio, esenzione di imposte, riconoscimento di privilegi, eccetera come risulta dalle lettere accluse che furono scambiate tra il generale Briccola ed il capo zavia di Bengasi e tra questi e Sidi Abd-el-Aziz, che si è rivelato il più sincero il più attivo, il più disinteressato, tra i notabili senussiti nell'agire in nostro favore.

Altre lettere, presso a poco dello stesso tenore, furono inviate, come si è visto, dai notabili senussi al loro capo. E una lettera lunga e particolarmente studiata fu mandata a Cufra dal generale Briccola poiché (malgrado l'ordine venuto dalla Presidenza del Consiglio di non trattare col capo dei senussi, ma di limitare la nostra azione, a Bengasi, alle trattative coi senussi locali), si ritenne opportuno di coordinare le varie trattative svolte appunto coi senussi locali, in una missiva a Cufra, tanto più che essa rappresentava per i nostri amici senussi di Bengasi, una necessità logica, tale che essi non avrebbero potuto capirne l'omissione da parte nostra.

Dei risultati della complessa azione italiana verso i senussi, che si svolge da Cairo e da Bengasi, non si può ancora parlare con precisione.

Fino ad ora la risposta non è giunta. I senussi, in generale, hanno mantenuto condotta neutrale, salvo qualche raro caso favorevolmente attivo e qualche più numeroso caso di individuale ostilità.

Voci giunte recentemente a Bengasi, recavano che la parola sarebbe arrivata presto e sarebbe stata parola di sottomissione ai voleri di Dio e di accettazione degli eventi umani decisi da lui. Ma mancavano elementi positivi per l'accertamento della verità delle voci stesse.

Certo -ragionando per ipotesi -si dovrebbe ritenere che lo sceik di Cufra -se bene informato sulla potenza d'Italia e quindi sulla definitiva perdita da parte dei turchi di Tripoli, Bengasi, Derna, eccetera e loro regioni -abbia tutto l'interesse di stare, per lo meno al principio, in buoni rapporti con noi a causa della necessità fondamentale che egli ha, che le vie del mare non gli siano precluse, e che la sua oasi di Cufra non venga completamente soffocata da una immensa fascia di territorio ostile, rappresentata dall'Egitto inglese, dal Wadai francese e dall'interland cirenaico italiano.

E che l'attitudine dello sceik non dovrebbe essere contraria si potrebbe arguire anche dal carattere commerciale della confraternita, la quale da un arricchimento dei mercati costieri non può che sperare un rifiorimento di vita economica nelle regioni interne attraversate dalle carovane.

Contrasta, è vero, con queste previsioni e queste ipotesi la considerazione seguente: che l'insediamento dell'Italia in Cirenaica, vorrà dire, in tempo relativamente breve, la fine del traffico delle armi, così care invece alla confraternita, e la fine della schiavitù -commercio tuttavia in pieno vigore nelle oasi del deserto libico. Ma cui si dovranno mostrare da parte nostra accortezza ed abilità: non deviando dal nostro fine di arrivare a troncare le due tratte delle armi e degli schiavi, ma procedendo in quella via con moderazione e con prudenza.

Intanto il mio subordinato parere è questo: che -chiarite bene le intenzioni del Governo escluse -le promesse di speciali doni, particolarmente di armi -fissate le linee generale della nostra condotta verso i senussi (riconoscimento dei privilegi, mantenimento dell'autorità del capo, eccetera, eccetera) si continui ad agire coordinatamente ed energicamente sia da Cairo che da Bengasi, tanto con i senussi locali quanto con il capo di Cufra.

626

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 152. Roma, 22 gennaio 1912, ore 1,30.

Faccio seguito al mio telegramma Gabinetto n. 1481 . Per norma eventuale di linguaggio comunico a V.E. quanto segue: È pura verità che la venuta di KiderlenWaechter a Roma2 durante il suo congedo in Italia non ebbe altro scopo che quello di fare la mia conoscenza personale; ma credo abbia avuto utili risultati per la buona impressione che egli ha riportata dell'ambiente politico italiano e quella ugualmente buona che egli vi lascia di sé.

La sua visita a Merry del Val non ebbe carattere ufficiale. Egli crede che i rapporti fra Germania e Francia andranno gradatamente migliorando, e non mi è parso in massima contrario ad un'azione comune franco-tedesca a Costantinopoli per le trattative di pace, dopo un passo collettivo delle Grandi Potenze, quando il momento sarà venuto. Egli crede però che sarà più facile a suo tempo far cessare le ostilità in una forma meno solenne, anziché con un formale trattato di pace. Gli ho detto che la diffidenza reciproca tra Germania ed Inghilterra, la quale impedisce la loro cooperazione in senso pacifico a Costantinopoli, cesserebbe subito se ognuno dei due Governi avesse modo di accertarsi delle buone e sincere disposizioni dell'altro, delle quali io sono sicuro. Egli si mostrò abbastanza

convinto di ciò. Ed ho insistito sulla lealtà e rettitudine personali di Grey a me ben note. Ho esposto a Kiderlen i motivi per i quali noi possiamo senza gravi inconve

nienti finanziari e d'altra natura far durare la guerra quanto sarà necessario pel conseguimento del nostro fine.

2 Al riguardo si vedano anche GP, vol. XXXIII, nn. 11254-11255 e OeUA, vol. III, nn. 32483249.

626 1 Con T. 148/148 del 22 gennaio non pubblicato di San Giuliano comunicava che le sue conversazioni e quelle di Giolitti con Kiderlen-Waechter erano state molto cordiali. Questi era convinto che l'unica base possibile per la pace con la Turchia fosse il decreto del 5 novembre.

627

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 481/GAB. 47. Parigi, 23 gennaio 1912, ore 0,55 (per. ore 7).

Oggi, davanti una Camera imponente per numero di deputati, si sono svolte le interpellanze a proposito del sequestro del «Carthage» e «Manouba». Tre erano gli interpellanti. Laroche ha domandato che il Governo francese esiga una riparazione immediata perché il Tribunale dell'Aia farebbe perdere troppo tempo; l'ammiraglio Bienaimé è stato violentissimo; dopo aver deplorato l'attentato brutale e ingiusto della marina italiana e la premeditata mancanza di riguardo del Governo italiano, chiese riparazione immediata ed in mancanza disse che l'onore della Francia esigeva che si giungesse fino alle estreme conseguenze avendo essa all'uopo soldati e marina per farsi rispettare. Guernie ha cominciato dicendo che la Francia appunto perché forte del suo diritto e della potenza delle sue armi deve discutere con serenità. Viceversa è stato pochissimo sereno perché ha detto che l'arbitrato potrà liquidare i danni materiali ma la Francia deve esigere dall'Italia riparazione immediata del danno morale. Ha fatto un'allusione ambigua a possibile trucco o imbroglio sulla trasmissione dei telegrammi francesi al console di Cagliari e ha detto che, se l'Italia farà esaminare i turchi, questi devono rifiutarsi di rispondere. n presidente del Consiglio rispose facendo la storia dei due incidenti; senza riportare integralmente il discorso che V.E. avrà ricevuto certo prima di questo telegramma, noto alcuni punti più importanti nel caso che non fossero riportati nel resoconto stesso. Nella narrazione dei fatti ha detto che l'ufficiale della torpediniera italiana montato a bordo «Charthage» pretendeva distruggere immediatamente l 'aeroplano; quindi ha dato una versione del colloquio di V.E. con Legrand assolutamente contrario a quello che V.E. mi ha telegrafato essere la vera, affermando che il Governo francese si era limitato a far sapere al Governo italiano che il padre di Duval aveva spontaneamente dichiarato che il figlio non aveva voluto mettere il suo aeroplano a disposizione di uno dei belligeranti. Il Governo italiano, il quale pretendeva dal Governo francese l'impegno di sorvegliare l'aeroplano in Tunisia dopo il rifiuto del Governo francese si è contentato dell'assicurazione (?)1 del signor Duval e lo ha considerato come una garanzia sufficiente per togliere il sequestro e far partire il «Carthage». Perciò le autorità italiane col sequestro hanno commesso un grave errore. Ha quindi ricordato la dichiarazione da lui fatta in replica alle mie dichiarazioni ed ha detto che quasi contemporaneamente a ciò avveniva la cattura del «Manouba» che ha chiamato atto deplorevolissimo. Ha detto che la restituzione dei turchi s'impone e che se dopo questo resteranno altri punti litigiosi si possono sottomettere all'arbitrato. Le parole relative all'Italia le ometto perché certamente saranno state riprodotte testual

mente nel discorso a quest'ora giunto in Italia. Circa accoglienza della Camera alla parte ostile e a quelle cortesi per l 'Italia, mi rimetto a quanto ho esposto nei precedenti telegrammi. Del resto, alle parole di conclusione amichevoli per l'Italia non solo tolgono valore i punti precedenti del discorso di Poincaré da me segnalati e l'accoglienza fredda della Camera ma soprattutto toglie ad essa importanza il fatto che Poincaré non ha sentito il bisogno di fare un solo cenno di protesta contro le ignobili ingiurie a noi dirette dall'ammiraglio Bienaimé.

627 1 Il punto interrogativo è del decifratore che aggiunge nell'interlinea: «impegno?».

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETISSIMO PRECEDENZA ASSOLUTA 483/56. Parigi, 23 gennaio 1912, ore 0,55 (per. ore 7).

Da informazioni precise e sicure mi risulta Governo francese è impensierito della via su cui si è messo e che lo obbliga a ricorrere a mezzi estremi se non si intende coll'Italia. Nel corpo diplomatico l'impressione sfavorevole del discorso di Poincaré è generale e alcuni miei colleghi hanno detto che un ministro si esprime in quel modo verso un'altra Potenza solo alla vigilia di una dichiarazione di guerra. Poincaré, il quale non ha avuto per me nemmeno il riguardo di farmi una visita, cosa di cui personalmente non mi importa nulla, ma che sarebbe stata interpretata come un'atto di riguardo per il paese che rappresento, ha mandato stasera da me Hedemann capo della politica estera del Matin con una missione confidenziale. Io ho molta considerazione per Hedemann che mi ha servito molto e con disinteressamento, e ciò malgrado che il direttore del suo giornale sia nazionalista. Però, se la sua persona mi è gradita, non mi piace affatto questo sistema di trattare mediante agenti segreti irresponsabili. Mi sono limitato ad ascoltare quindi ciò che mi ha detto e lo trasmetto a V.E. Hedemann ha detto che, dopo le dichiarazioni fatte oggi alla Camera, Poincaré si trova stretto in una via senza uscita. O può attenersi dall'Italia la restituzione dei turchi, o devesi ricorrere ai mezzi estremi perché dopo gli impegni verso la Camera non può più indietreggiare. Perciò mi fa sapere che se riesce a ottenere questa restituzione è disposto a far tutto ciò che può per renderla a noi accettabile e più specialmente a prendere l'impegno nella forma che da noi si crede migliore di tenere i turchi come prigionieri di guerra fino a che la sentenza del Tribunale arbitrale de li'Aja deciderà che cosa debba farsi di essi. Per parte mia, ove a V.E. riesca di far accettare una tale soluzione dall'opinione pubblica italiana, sarei d'avviso di non respingerla, a meno che non fossimo disposti anche noi a rispondere a eventuali misure estreme della Francia con altrettante misure estreme da parte nostra. Però, se possiamo accettare questa soluzione che in sostanza ci dà ragione perché otteniamo l'effetto da noi voluto che turchi siano tenuti prigionieri, dobbiamo esigere una procedura che tuteli nostra dignità. Noi colla proposta di arbitrato abbiamo fatto un gran passo verso la Francia, Senza venir meno alla nostra dignità non possiamo fame altri, e quindi non poss1amo prender noi l 'iniziativa della transazione proposta da Poincaré. Se VE. la ritiene accettabile, io dovrei !imitarmi a dire al messo che egli mi ha mandato che so che se la proposta verrà fatta ufficialmente da Poincaré, sia presentandola a me egli stesso, sia facendola presentare dall'ambasciatore di Francia a Roma, il Governo italiano l'accetterà. Sarebbe bene che V.E. non rispondesse a riguardo con la massima sollecitudine possibile, perché Poincaré si asterrà dal dire qualsiasi cosa in attesa della mia risposta, ma non possiamo sperare la stessa discrezione dalla stampa, la quale potrebbe riprodurre le voci di ultimatum o dimostrazione navale che circolano nel pubblico allarmato, ed allora anche questa soluzione potrebbe diventare difficile per la nostra dignità.

629

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 329. Roma, 23 gennaio 1912, ore 13.

Legrand è venuto a farmi la seguente comunicazione: «Il Governo francese, per quanto concerne il «Manouba», prima di qualsiasi procedura di arbitrato, domanda il ristabilimento dello statu quo ante, cioè la consegna nelle sue mani e il ritorno a Marsiglia o altrove dei passeggeri ottomani detenuti a Cagliari.

L'opinione del Parlamento e del Paese è unanime in proposito. Gli elementi di prova fomiti dal Governo italiano sono fragili, mentre i passeggeri turchi posseggono documenti comprovanti che appartengono alla Mezzaluna Rossa. Anche tra belligeranti è di regola che la frode non si presume. L'ambasciata di Turchia a Parigi assicura che le somme trovate sopra di loro dovevano servire a sollevare le miserie dei coltivatori indigeni. Tutto ciò che il Governo francese può proporre al Governo italiano è che procederà esso stesso, colla indipendenza che gli dà la sua qualità di neutrale, a un esame approfondito del vero carattere di questi individui. Consegnandoli al Governo francese, il Governo italiano riconoscerebbe semplicemente che quei passeggeri, imbarcati sopra un piroscafo neutrale, avevano documenti in regola e viaggiavano in buona fede sotto la bandiera francese.

Ricordando che la cattura dei passeggeri è stata effettuata nel momento in cui il Governo francese assicurava il Governo italiano, pel tramite del suo ambasciatore a Parigi, che l'identità degli individui sospetti sarebbe verificata a Tunisi, il Governo reale potrà spiegare che l'accordo intervenuto in proposito fra Tittoni e Poincaré non può essere distrutto dalla cattura, e che i passeggeri ottomani sono consegnati alla Francia per conformarsi a questo accordo».

Ho risposto che, constatato che il Governo francese non contestò il nostro diritto al quale noi non intendiamo rinunciare in alcun modo, di far prigionieri militari nemici viaggianti sotto bandiera neutrale, sul resto della sua comunicazione mi sono riservato di rispondere al più presto possibile.

630

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 332. Roma, 23 gennaio 1912, ore 13,15.

Telegramma di V.E. segretissimo numero 56 1 . Da esame cominciato in Cagliari risulta che tre sono medici. Per gli altri si sta esaminando se siano infermieri. Se tale sarà il risultato dello esame, nessuna difficoltà a consegnarli. In caso diverso potremmo accettare la eventuale proposta del Governo francese, che esso si obblighi di teneri i come prigionieri di guerra fino a che la sentenza arbitrale dell' Aja deciderà che cosa debba farsi di essi. La spiegazione della consegna dovrebbe essere tale da non mettere in dubbio il nostro diritto di visitare le navi neutrali e di fare prigionieri i militari nemici che esse trasportino.

631

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA SEGRETA 3950/10 l. Roma, 23 gennaio 1912.

Con riferimento al foglio n. l 079 (Divisione Stato Maggiore) del 18 gennaio corrente', credo opportuno di informare in via segreta la E.V. dello stato attuale della questione dei confini orientali della Cirenaica.

Tale questione formò l'oggetto, nel 1907, di uno scambio di note segrete fra noi ed il Governo britannico. Quest'ultimo, con nota del 20 agosto 1907 ci comunicava un memorandum diretto al Governo ottomano fin dal 1904 con il quale l'Inghilterra dichiarava di ritenere che il confine egizio-cirenaico partisse «da Ras Gebel Sollum, il promontorio a nord del porto seguendo la cresta della collina e di là volgesse a sud -sud-ovest, lasciando all'Egitto le oasi di Siwa e Giahabab».

Rispondendo a questa nota, a nome del Governo del re, dichiaravo con nota del 21 dicembre 1907 (ero allora io ambasciatore d'Italia a Londra) che prendevo atto della comunicazione del memorandum britannico in quella parte con cui si assegna un «limite massimo verso ovest» al confine sulla costa tra Egitto e Cirenaica; ma soggiungevo che «il Governo del Re non poteva accettare interamente le vedute del Governo britannico pel tracciato del confine».

La linea di confine citata è quindi impegnativa per l 'Inghilterra, ma non per l'Italia.

631 1 Non pubblicato.

Con successiva nota del 24 dicembre sir Edward Grey mi dichiarava che il Governo britannico considerava le oasi di Cufra in territorio turco. Il Ras Gebel Sollum, nominato nella nota britannica è una cosa sola con il Beacon Point segnato sulle carte. Mentre intanto ringrazio l'E.V. per la cortese comunicazione del telegramma del colonnello Elia, non credo sia ora il caso di sollevare la questione.

Al momento opportuno, quando si tratterà di addivenire ad una delimitazione definitiva non vi può essere dubbio che questa dovrà aver per base lo scambio di note segreto del 1907 il quale non lascia luogo ad equivoci.

Intanto noi dobbiamo continuare a considerare, come del resto abbiamo finora considerato estendendovi la nostra linea di blocco, Ras Gebel Sollum come «confine di fatto», con la naturale conseguenza della più completa libertà d'azione ad occidente di tale punto.

Sarò grato all'E.V. se del contenuto di questa nota vorrà, in via segreta, dar notizia anche a S.E. il capo di Stato Maggiore dell'esercito.

630 1 Cfr. n. 630.

632

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 163/66-bis. Il Cairo, 23 gennaio 1912 1

Ismail bey, l'aiutante di campo di S.A. il Kedive, ha compiuta la sua missione presso il sceik Idrissi ed è tornato in Egitto. Ieri, insieme al colonnello Elia, ho avuta con lui una lunga conversazione presso il commendator De Martino bey che ci serviva da interprete e per quanto supponga che in linea generale V.E. sia stata informata dal Governo della Colonia dell'andamento di questa missione credo bene riferire, anche per controllo, quanto Ismail bey mi ha detto.

Debbo anzitutto premettere che il contegno di quest'ultimo era interamente mutato da quando l'avevo visto prima della partenza; allora mi apparve impacciato e freddo, ieri invece espansivo ed indubbiamente entusiasta del proprio successo, dell'accoglienza avuta in Colonia, dei nostri ufficiali, delle nostre navi, della lealtà con cui avevamo cercato di aiutare lo sceik Idrissi. V.E. ricorda certamente ch'egli era partito solo per la riverenza che lo lega a quest'ultimo, ma niente affatto mosso da speciali simpatie per noi.

Disse dunque che al suo arrivo tutte le precauzioni erano state prese per non far conoscere la sua identità e che così potè condurre la trattative con sceik Scineti col facente funzione di governatore, col commissario Allori senza che nulla trapelasse del vero esser suo. Appena comprese che effettivamente le nostre autorità avevano l'intenzione di aiutare l'Idrissi si aprì con loro interamente e domandò diecimila fucili, cinque milioni di cartuccie e cinquemila lire sterline. Gli fu risposto di attendere l'arrivo del «Piemonte» e quando giunse si recò a bordo ove ebbe anche colloqui col comandante Cerrina.

Grazie agli accordi intervenuti passò con due sambuchi sulla costa araba, portando seco il denaro, tremila fucili e quattrocentomila cartuccie.

Trovò l'Idrissi a Sabia, gli spiegò la nostra amicizia, la nostra comunanza di interessi; gli disse che l'Italia non nutriva alcuna mira di conquista sull'Arabia, ma che voleva solo aiutarlo a cacciare i turchi dalla Mecca. L'Idrissi rispose che già venticinque giorni prima del suo arrivo aveva ricevuta una lettera dagli italiani di Massaua nello stesso senso, ma che era rimasto incerto sul da farsi non essendo ben sicuro dell'animo nostro; con la sua missione e con gli aiuti che effettivamente gli si mandavano si dissipava in lui ogni dubbio. Lo incaricò pertanto di portarci la sua risposta e cioè che «era molto riconoscente agli italiani per gli aiuti che gli fornivano e che una volta cacciati i turchi dal Paese si sarebbe stretta amicizia fra i popoli dell'Arabia e gli italiani». Ismail seppe da lui che le nostre navi davano la caccia nel Mar Rosso alle sole navi turche od a quelle degli arabi che partecipano per loro, non già alle barche delle tribù fedeli al sceik, cosa di cui si mostrò molto soddisfatto. Diede anzi informazioni sulle navi turche di Confuda, analoghe a quelle che ho potuto mandar da qui io stesso. Fornì anche notizie sulle forze turche, le loro posizioni, ed indicò i punti che sarebbe stato opportuno bombardare (El Gez, Lohaia, Midi, Cunfuda).

Ismail bey rimase tre giorni nel campo di Idrissi dove vide anche il suo prigioniero, il colonnello turco Ragheb bey, quello che in passato aveva battuto l 'Imam Yahia. Il giorno dopo l'arrivo dei fucili gli arabi iniziavano l'avanzata contro Mohamed Ali pascià, comandante le forze turche.

Tornato a Massaua ammalò e vi fu curato dai nostri medici militari. Intanto veniva mandato il rimanente delle armi e munizioni, comperate in parte a Gibuti. Il sceik Idrissi chiese anche quattro cannoni da montagna e a Massaua ne avrebbero promessi otto ed insieme alcuni ascari per insegnare il maneggio dei pezzi. Dovevano pure spedirsi delle provvigioni.

Ho chiesto a Ismail bey, quale fosse attualmente l'atteggiamento dell'imam Yahia e quali fossero i suoi rapporti con Idrissi; mi rispose che i turchi avevano effettivamente ottenuto con denaro e concessioni che stesse fermo e che per ora stava in pace con loro. Tempo fa l'imam scrisse all'Idrissi consigliandogli di fare altrettanto, ma questi rispose rifiutando; perciò molti degli aderenti del primo si sarebbero già uniti al secondo. Ismail mi disse pure che la popolazione musulmana dell'Eritrea è assai lieta di quel che succede in Arabia, perché la fine del dominio dei turchi sarebbe di grande vantaggio a tutti.

Di una cosa molto importante lo sceik Idrissi intrattenne spontaneamente Ismail bey, si disse cioè disposto, se noi lo desideriamo, a scrivere una lettera al capo dei senussi per informarlo dell'aiuto che noi gli diamo, delle nostre buone intenzioni verso gli arabi e per consigliargli di accordarsi con noi. Simile intervento avrebbe grande importanza perché l'Idrissi discende dal fondatore della setta senussita ed è tenuto da essa e dal suo capo attuale in grande considerazione. Tuttavia essendomi io offerto di fargli aver subito il consenso di VE. per un'azione di cui non potevamo essere che lieti, Ismail mi ha pregato di attendere finché della cosa non avesse parlato anche con S.A. il Kedive. Dimenticavo infatti di dire che Ismail ha parlato con me prima che col suo padrone, perciò tutto quel che mi ha riferito è assolutamente spontaneo. Egli si propone dunque, se avrà l'assenso del R. Governo e quello del kedive (ecco perché attende di averne parlato con questi), di farsi mandare la lettera a mezzo del sceik Scineti ed egli stesso penserebbe di farla pervenire sicuramente al capo senussi.

Un'altra cosa di particolare gravità mi fu detta da Ismail bey per incarico dell'Idrissi. Questi gli ha mostrata una lettera che Mohamed Ali Elui, il dragomanno onorario di quest'agenzia, gli ha diretta poco prima dello scoppio della nostra guerra per esortarlo a cessare dalla guerra contro i turchi ed accordarsi con loro. Siffatta lettera pose l'Idrissi in grande sospetto contro di noi e fu la principale ragione per cui non accolse favorevolmente i primi inviti venutigli da Massaua. Ora però è persuaso della sincerità delle nostre intenzioni ed incaricò l'aiutante di campo del kedive di dirmi che Mohamed Ali è «un uomo falso e cattivo, che fa doppio gioco, che è necessario impedirgli di agire perché altrimenti non recherà che dei danni». Ismail mi disse «esser necessario far sorvegliare detto individuo per togliergli il modo di nuocere» e mi disse che si sarebbe fatta mandare la lettera per farla vedere anche a me. La lettera oltreché dal Mohamed Ali sarebbe firmata anche da uno stretto parente di sceik Eleisce.

Se avremo tal lettera ed è come Ismail dice, avremmo nelle mani una prova gravissima contro Mohamed Ali, il quale starebbe in tal caso giocando il R. Governo e lo stesso Insabato che di lui interamente si fida. Bisogna che la cosa sia tenuta per ora segretissima; se la lettera, come credo, verrà, VE. giudicherà cosa sia da farsi per impedire i danni, in questo momento specialmente gravi, che ci potrebbero derivare. Dirò ancora che per volontà dell'Idrissi lo sceik Chineti non corrisponde più con Mohamed Ali. Questi è infatti privo di notizie dallo Yemen ed anche avant'ieri mi chiese se sapevo niente di quel che vi accadeva, se era vero che l'Idrissi s'era mosso contro i turchi e che il Governo italiano gli aveva mandate o promesse delle armi. Io naturalmente ho detto di non saper nulla.

Mi riservo su tutto questo di fornire alla E.V. quelle ulteriori informazioni che mi fosse dato di ottenere: oso dire che spero abbia ad esservi qualche equivoco perché altrimenti troppo tempo si sarebbe perduto, affidandosi a chi ci avrebbe traditi, nel cercar di raggiungere un accordo coi senussi, ma temo purtroppo che si tratti di cosa vera: infatti Ismail bey si mostrava del tutto sicuro di quanto riferiva e molto eccitato per un fatto che aveva potuto compromettere l'esito del suo viaggio, come potrebbe comprometter l'esito dell'azione che l'Idrissi sembrerebbe disposto a fare in favor nostro verso i suoi parenti senussiti.

632 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

633

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 173/72. Il Cairo, 2 4 gennaio 1912 1.

Gli ultimi numeri della Tribuna e del Corriere della Sera giunti in Egitto hanno diffuso anche qui ampie descrizioni del battesimo di una piccola araba avvenuto di recente a Tripoli, con intervento delle nostre truppe.

Il fatto avrà certo una ripercussione per noi molto sfavorevole negli ambienti musulmani, perché servirà ai nostri nemici per sostenere che le nostre promesse di assoluto rispetto alla religione dei paesi da noi conquistati non corrispondono ai fatti e che noi vogliamo far seguire alle nostre conquiste la propaganda religiosa. Un fatto, sia pure isolato, influisce assai più che non qualsiasi dichiarazione; ben lo sanno gli inglesi che si son ben guardati dopo la conquista del Sudan di aiutare in alcun modo la propaganda del cristianesimo di cui pur sono rigidi osservatori.

Ho sentito commentare l'accaduto da molti italiani o stranieri che dimorano in Egitto da moltissimo tempo come un grosso errore da noi commesso, sia col permettere che il battesimo avvenisse a Tripoli ed in forma così pubblica, sia col lasciare che la nostra stampa, più avida d'effetti immediati che non cosciente di quelli che produce, ne desse così minute e particolareggiate descrizioni. I nostri giornali principali son letti dagli indigeni assai più che non si pensi: essi vi cercano appunto la conferma o meno di quanto vien loro dichiarato dai nostri avversari. E questi nel fatto su cui mi permetto di intrattenere l'E.V. troveranno indubbiamente un buon argomento a sostegno della loro causa. Non è certo col battesimo d'una piccola araba di dieci anni e che è pertanto nella impossibilità di manifestar le proprie intenzioni che potremo concigliarci le simpatie dei musulmani; ed a parte il fatto che quella povera bambina è probabilmente destinata a divenir nella vita una spostata, arrischiamo di far dubitare di noi anche quei pochi musulmani che non attribuiscono alla nostra guerra un carattere religioso.

Se i musulmani raccogliessero un bambino cristiano, Io circoncidessero ed allevassero nella religione islamita non mancherebbero in Italia le più altre proteste: eppure il nostro popolo non è fanatico e molto non s'occupa di questione religiose.

V.E. può perciò immaginare quale impressione può fare tra i maomettani la conversione indubbiamente forzata che avvenne a Tripoli con assai poca opportunità.

Vivendo in un paese musulmano è stato mio dovere segnalare a V.E. l'impressione che qui il fatto ha prodotta: è necessario evitare con ogni cura che il fatto si ripeta perché altrimenti è inutile diffonder promesse tra gli arabi se si mostra coi fatti d'esser disposti a tollerare o forse favorire che da parte nostra, pei primi, vi si contravvenga. La pietà dei nostri soldati, così nota ed encomiabile, può limitarsi a

658 soccorrere quei bambini che la guerra ha privati di protezione ed aiuto, ma non se ne facciano dei cristiani, proprio ora, di fronte al nemico e quando così difficile si presenta la pacificazione delle popolazioni conquistate ed è così malagevole accaparrarne la fiducia e l'amicizia.

633 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

634

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 380. Roma, 25 gennaio 1912, ore 15.

Barrère mi ha presentato il seguente progetto d'accordo: «L'ambassadeur de France et le ministre des affaires ètrangères d'Italie ayant examiné dans l'esprit le plus cordial les circonstances qui ont précédé et suivi l'arrèt et la visite par un croiseur italien de deux vapeurs français se rendant de Marseille à Tunis, ont été heureux de constater d'un commun accord, et avant toute autre considération, qu'il n'en résultait de la part d'aucun des deux Pays aucune intention contraire aux sentiments de sincère et constante amitiè qui les unissent. Certe constatation a amené sans difficulté les deux Gouvernements à décider:

l) Que les questions de fait et de droit dérivant de la capture et de l'arrèt momentané du vapeur «Carthage» seraient déférées à l'examen de la Cour d'arbitrage de La Haye en vertu de la Convention d'arbitrage franco-italienne du 25 décembre 1903 renouvelée le 24 décembre 1908.

2) Qu'en ce qui concerne la saisie du vapeur «Manouba» et des passagers ottomans qui y étaient embarqués, cette opération avait été effectuée de bonne foi par le Gouvernement italien en vertu des droits qu'il estime tenir de l'artide 47 de la convention de Londres de 1909; que l es conséquences qu 'elle entraine pourraient ètre également, s'il y a lieu, soumises à l'appréciation de la haute juridiction internationale institutée à la Haye; et qu'en conséquence le statu quo ante serait rétabli en ce qui concerne la personne des passagers ottomans saisis, lesquels seront remis au consul de France à Cagliari pour ètre reconduits par ses soins à leur lieu d'embarquement sous la responsabilité du Gouvernement français.

Ce dernier sera ainsi mis à mème de procéder à leur identification: et dans le cas où il serait démontré qu 'ils appartiennent, non pas au servi ce sanitaire du Croissant Rouge, comme ils déclarent, mais à un corps combattant d 'une armée belligérante, ces étrangers seraient retenus en France jusqu'à la fine des hostilités»1 .

Ho risposto a Barrère che mi riservo rispondergli possibilimente entr'oggi, credendo egli necessario che la pubblicazione si faccia simultaneamente domattina

659 a Parigi ed a Roma. In merito gli ho fatto osservare che la nota verbale francese del 21 gennaio chiedeva la messa in libertà dei turchi, se da un esame fatto da noi risultassero realmente medici ed infermieri, il che in via di fatto sembra per quasi tutti assodato. Barrère insiste invece nel considerare quella nota verbale come annullata dalla posteriore domanda di fare in Francia la verificazione. Salvo quindi migliore esame, saremo entrambi disposti ad adottare la formula seguente che lascia intatti i due opposti punti di vista: «ceux des passagers n'appartenant pas au service du Croissant Rouge ...».

Ho poi riflettuto che la clausola, secondo cui i combattenti saranno trattenuti in Francia sino alla fine delle ostilità ci potrebbe creare difficoltà colle altre Potenze neutrali. Barrère riconosce questa difficoltà, e propone una formula identica in sostanza alla proposta fatta da Hedemann a V.E., e che comincierebbe così: «Si les deux Gouvemements décident d'avoir recours au Tribuna! de la Haye». Senonché questa formula lascia adito alla eventualità che tutta la controversia finisca di fatto semplicemente colla restituzione dei turchi, mentre l'intervento superiore della Corte dell' Aja varrà in certo modo a tutelare il nostro prestigio di fronte ali' attitudine intransigente della Francia. Reputo quindi che il ricorso all' Aja, anche per l'incidente «Manouba», debba essere stabilito fin d'ora in modo non condizionale, ma tassativo.

Prego V.E. telegrafarmi il suo parere, sebbene vi sia da temere che non giunga in tempo, vista l 'urgenza.

Barrère mi ha chiesto inoltre di essere autorizzato a telegrafare al suo Governo che può far pubblicare che l'accordo è in principio già raggiunto sulla base della restituzione dei turchi. lo mi sono recisamente opposto, ed egli mi è parso essersi convinto della necessità che l'accordo sia reso noto al pubblico soltanto nella sua forma definitiva e concreta, potendo una parola di più o di meno influire sull'impressione nel pubblico.

Intanto è bene V.E. sappia che abbiamo fatto in questi giorni altri prigionieri su piroscafi austriaci ed inglesi senza dar luogo a reclami, e che la stampa austriaca dice che l'Italia può in ogni evento contare sui suoi alleati 2 .

634 1 Tale progetto è pubblicato in DDF, III serie, tomo I, n. 518.

635

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 385. Roma, 25 gennaio 1912, ore 20, 15.

Ho avuto oggi lunghe discussioni con Barrère, nel corso delle quali egli mi ha comunicato che i giuristi francesi credono che la Francia, Potenza neutrale, non abbia il diritto di internare combattenti non in corpo di una Potenza belligerante. Nostri giuristi riconoscono giusta osservazione.

In seguito a questa ed altre considerazioni ho proposto a Barrère la formula seguente, che egli ha telegrafata al suo Governo, insistendo per una pronta risposta:

«<l ministro degli affari esteri d'Italia, e l'ambasciatore di Francia, dopo di avere esaminato insieme con spirito di massima cordialità le circostanze di fatto e di diritto che hanno preceduto e seguito l'arresto e la visita, da parte di un incrociatore italiano, di due piroscafi francesi recantisi da Marsiglia a Tunisi, sono stati lieti di constatare d'accordo, e prima di ogni altra considerazione, che non risulta in alcuno dei due paesi una qualsiasi intenzione contraria ai sentimenti di sincera e costante amicizia che li uniscono.

Questa constatazione ha condotto senza difficoltà i due Governi a decidere:

l) che le questioni derivanti dalla cattura e dal sequestro momentaneo del piroscafo «Carthage» saranno deferite all'esame della Corte d'Arbitrato dell'Aja, in virtù della convenzione d'arbitrato franco-italiana del 25 dicembre 1903, rinnovata il 24 dicembre 1908;

2) che per ciò che concerne il sequestro del piroscafo «Manouba» e dei passeggeri ottomani che vi erano imbarcati, questa operazione era stata effettuata dal Governo italiano in virtù dei diritti che esso dichiara derivargli dai principii generali del diritto internazionale e dall'art. 47 della dichiarazione di Londra del 1909; che le circostanze speciali nelle quali quella operazioni è stata fatta, e le conseguenze che ne scaturiscono, saranno sottoposti ugualmente all'esame dell'alta giurisdizione internazionale istituita ali'Aja; che conseguentemente, al fine di ristabilire lo status-quo ante in ciò che concerne le persone dei passeggeri ottomani arrestati, questi saranno consegnati al console di Francia a Cagliari per essere ricondotti a sue cure alloro luogo d'imbarco sotto la responsabilità del Governo francese, che prenderà i provvedimenti necessari per impedire che i passeggeri ottomani non appartenenti alla Mezzaluna Rossa ma a corpi combattenti, non si rechino sul teatro delle operazioni militari» 1 .

634 2 Per il seguito cfr. n. 635.

636

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 181/70. Vienna, 25 gennaio 1912 (per. il 30).

Dalla mia corrispondenza telegrafica l'E.V. ha potuto rendersi conto della violenta campagna condotta dal partito cristiano sociale contro il conte di Aeherenthal, attaccato per avere fatta una politica che al partito stesso sembra da un lato troppo ligia all'Italia ed atta dall'altro a turbare i buoni rapporti esistenti tra l'AustriaUngheria e la Germania.

La campagna medesima ha prodotto in tutta la stampa tanto austriaca che ungherese la maggiore emozione e gli organi liberali non mancarono di gridare il crucifige contro i cristiani sociali, accusandoli di volere la guerra coll'Italia allo scopo di restituire al papa il potere temporale. Insorsero allora i cattolici ed il giornale del partito cristiano sociale, la Reichspost, tentò scagionare il partito stesso dal nutrire aspirazioni temporaliste, accusando invece i liberali, di aver cercato di attribuire al defunto nunzio apostolico, monsignor Bavaona, la colpa di seminare zizzania tra l'Austria-Ungheria e l 'Italia.

Intanto le Deuschte Nachrichten pubblicarono il giorno 22 corrente un articolo che diceva provenirgli dai circoli facenti parte dell'Unione Nazionale Tedesca in cui si facevano conoscere le idee dei tedeschi della Monarchia di fronte alle accuse mosse al conte di Aeherenthal dal barone Fuchs.

Sostanzialmente il pensiero esposto in tale articolo è questo: circa il non sufficiente appoggio dato dall'Austria-Ungheria alla Germania nella ultima fase degli affari marocchini, si ritiene che ove il conte di Aeherenthal avesse fatto sentire in modo più energico l'appoggio che dava alla Germania, ciò sarebbe stato più di nocumento che di vantaggio ai negoziati in corso. Circa l'accusa di troppa condiscendenza di fronte all'Italia si ritiene che la politica estera della Monarchia non possa derogare dai due principi seguenti: mantenimento della integrità territoriale dell'Impero ottomano in Europa e rispetto degli interessi austro-ungarici nella penisola balcanica e nei mari che bagnano quest'ultima. Il conte di Aehrenthal non ha mancato di fare chiaramente comprendere all'Italia quali erano i limiti che dovevano essere imposti alla sua azione bellica contro la Turchia. Il conte di Aeherenthal potè ottenere il felice risultato di vedere rispettati i due capi saldi della politica austroungarica, appunto perché mantenne in tutto il resto, di fronte alla Italia, il contegno amichevole che si conviene ad uno dei tre partecipanti alla alleanza. Dal punto di vista tedesco la politica del conte di Aeherenthal di fronte all'Italia ha poi il vantaggio di fare sì che le forze militari e finanziarie austro-ungariche, che da una generazione stanno fedelmente a lato di quelle dell'Impero tedesco, non siano d'ora innanzi allontanate da queste ultime per gli scopi di una speciale politica, ma possono costantemente coadiuvarle per impedire la politica di accerchiamento cui mirano le Potenze occidentali nonché la Russia.

Queste dichiarazioni sollevarono una polemica per parte di vari giornali viennesi, specialmente della Zeit che dichiarò essere esse il frutto di una mistificazione, giacché non emanavano affatto dall'Unione Nazionale Tedesca e provenivano assai più probabilmente dall'Ufficio della stampa del Ballplatz.

Il Ministero degli affari esteri smentì tale voce in un comunicato comparso il 23 corrente nella Politische Correspondenz e l'Unione Nazionale Tedesca dichiarò che esse emanavano da un deputato membro dell'Unione stessa. Con ciò la polemica sembra finita.

Intanto ebbe luogo il 23 sera un comizio di liberali tedeschi in Vienna, nel quale il deputato liberale Neumann criticò aspramente le accuse dei cristiano-sociali contro il conte di Aeherenthal.

Anche i circoli dei deputati polacchi e giovani czechi espressero sentimenti di solidarietà alla politica seguita dal ministro imperiale e reale e di riprovazione per le inconsulte accuse del barone Fuchs e dei suoi compagni di fede politica.

In complesso, per quanto abbia potuto essere spiacevole la campagna mossa al conte di Aehrenthal, essa servì a dimostrare che i vari aggruppamenti politici in Austria ed in Uhgheria non vogliono una politica estera avventurosa e desiderano invece la continuazione di quella presente basata sulla fedeltà alla alleanza.

635 1 Per il seguito cfr. n. 638.

637

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 146/26. Londra, 27 gennaio 1912, ore 14 (per. ore 19,50).

Ieri venne vedermi Metternich reduce congedo. Mi chiese notizie su impressione lasciata Roma dalla visita di Kiderlen-Waechter1• Risposi nel senso indicato da V.E. Si discorse poi della guerra e eventuale azione Potenze in favore pace. Parlai in termini analoghi a quelli già adoperati con altri colleghi e con Nicolson. Ricordando osservazione fattegli nell'ottobre mio telegramma 42J2 conclusi che a mio avviso perché azione eventuale sia efficace occorrono due condizioni essenziali: l) Marschall e gli altri ambasciatori siano convinti assoluta impossibilità per noi transigere su questione annessione. 2) Nell'eventuale azione, linguaggio rappresentanti Germania Inghilterra assolutamente identico nella lettera e nello spirito sia esponente di una perfetta intesa su questo punto intervenuta fra i due Governi, intesa di cui vantaggi positivi anche e sopratutto nello interesse miglioramento relazioni anglo-germaniche mi sembravano evidenti. Rispose Metternich aver motivo credere che del nostro punto di vista Marschall sia edotto e convinto ma difficoltà sta nel convincere Turchia che non accenna per ora voler cedere. Risposi che pretesti addotti Turchia per giustificare sua intransigenza sono futili; oramai tutto lascia prevedere che ad elezioni compiute Comitato avrà forza e potere sufficienti per consigliare pace e farla accettare al paese checché si dica in contrario già praticamente rassegnato all'inevitabile. Governo ottomano resiste ancora perché fino all'ultimo spera speculare su rivalità anglo-germanica. Disillusa su questo punto cederà e non è nemmeno detto che, nel fondo suo cuore, non sarà [grato P alle Potenze se la aiuteranno uscire da incresciosa situazione. Rispose Metternich che su risultato azione collettiva conveniva fare assegnamento solo relativo. Essenziale è che Germania e Inghilterrra siano perfetto accordo perché se ciò avverrà altre Potenze tutte desiderose pace seguiranno senza difficoltà. Egli aggiunse: «se i due ambasciatori terranno contegno linguaggio scrupolosamente identico ne Il' eser

Cfr. n. 372. 3 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

citare una specie di dolce pressione (di più non sarebbe possibile fare), risentimento turco sarà ugualmente diviso e nessuno dei due Governi potrà trame vantaggio a scapito dell'altro. Sull'opportunità avviamento migliorare relazioni due Paesi, Mettemich abbondò nel mio senso osservando che la questione presenta ottima occasione per modificare freddezza relazioni attuali permettendo ai due Governi scambio di vedute amichevoli per raggiungere lo scopo che a sua impressione [ ... ]4 Inghilterra al pari della Germania. («Al quale, soggiunsi io, non avere eccetera che a far sapere direttamente o indirettamente questo vostro proposito qui perché credo ignorato. Io ho già sussurrato discretamente che voi desiderate pace ma di più per ovvi motivi delicatezza non mi sembra potere fare e comunque nessun ordine ho dal mio Governo»). Colloquio mi lasciò complessivamente impressione favorevole. Trovai linguaggio Mettemich molto diverso da quello tenutomi in passato. Non so se abbia avuto istruzioni parlare qui ma è sembrato personalmente almeno desideroso cogliere l'occasione per riprendere contatto col Foreign Office.

637 1 Cfr. n. 626.

638

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 145/82. Parigi, 27 gennaio 1912, ore 17,45 (per. ore 19,45).

Mi viene riferito da buona fonte che quando Poincaré ricevette il telegramma di Barrère col testo concordato con V.E. 1 andò su tutte le furie, dicendo che Barrère nel redigere quel testo non aveva tenuto conto alcuno delle sue istruzioni. Convocò quindi il Consiglio dei ministri nel quale propose di sconfessare quanto aveva fatto Barrère e ricominciare le trattative su nuove basi. Senonché Delcassé, Bourgeois e [ ... f riuscirono a calmarlo ed a persuaderlo che conveniva accettare il più possibile di quanto Barrère aveva concordato. Allora si concretò la domanda di modificazione che Poincaré trasmise a Barrère in forma imperativa, facendo nello stesso tempo dire a Ruspoli dal suo capo di Gabinetto che se l'accordo non fosse stato firmato stamane Barrère sarebbe stato richiamato. Qui a cominciare da Poincaré tutti giudicano che la Francia ha ottenuto un demi succés perché Italia non ha ceduto subito ed ha ottenuto una formula sulla quale ha espresso le sue condizioni e riserve. Però la parola d'ordine che anche la stampa segue è di dichiararsi pienamente soddisfatta, di dicharare l'incidente chiuso, e di togliere ogni importanza alla cattura del «Favignana».

2 Gruppo indecifrato.

637 4 Lacuna anche nel registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

638 1 Cfr. n. 635.

639

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 164/33. Washington, 27 gennaio 1912 (per. il 17 febbraio).

Parlando davanti l'Associazione Forense dello Stato di New York sul tema «La dottrina di Monroe e alcuni obblighi, ad essa inerenti nella zona Caraibica» questo segretario di Stato onorevole Knox ha fatto, il 19 corrente, una interessante e dettagliata esposizione dei principi che informano la politica dell'attuale amministrazione nei riguardi dell'America latina in generale e, più specialmente, della America Centrale. Il suo discorso, notevole per alcune dichiarazioni nuove sulla portata e sugli effetti della dottrina di Monroe, costituisce un importante documento in difesa di quella dollar diplomacy che gli Stati Uniti stanno applicando, con apparente successo, nei paesi situati fra la Repubblica messicana ed il canale di Panamà e che rappresenta indubbiamente la parte più saliente dell'opera compiuta dall'onorevole Knox nella direzione di questo Dipartimento di Stato. Oggi soltanto ho potuto ottenere il testo completo ed ufficiale del discorso in parola, che mi onoro trasmettere qui accluso a V.E., 1 riassumendone brevemente, nello stesso tempo, i punti principali.

L'onorevole ha esordito accennando all'importanza dei due trattati che l'Amministrazione ha recentemente concluso coi Governi di Nicaragua e di Honduras e che tuttora aspettano la ratifica del Senato, per passare subito a parlare della dottrina di Monroe di cui ha fatto la storia nelle sue linee generali, tracciandone la graduale evoluzione dai primi anni dell'indipendenza americana -quando il principio, non ancora concretato in una formula precisa, era stato enunciato già in diverse contingenze -fino all'epoca attuale, in cui esso rappresenta un postulato indiscusso della politica estera degli Stati Uniti. Egli ha mostrato come, da semplice misura di conservazione -come era stato concepito ai tempi di Monroe e di Canning, esso sia andato poco a poco assumendo un significato più vasto, diventando l'espressione genuina della idea pan-americana.

Dalla dottrina di Monroe, ha continuato l'onorevole Knox, deriva la responsabilità più grave che incombe oggi agli Stati Uniti, cioè quella di aiutare le repubbliche americane più deboli nella via del progresso verso il buon governo e la prosperità economica, appoggiandole e favorendo i loro sforzi per uscire dalle difficoltà che le opprimono, specialmente per gli obblighi assunti nel passato verso le nazioni europee. E finora, infatti, la politica degli Stati Uniti ha consistito essenzialmente nel porgere aiuto alle repubbliche sorelle del Sud per ottenere una equa soluzione dei reclami fatti valere dalle nazioni creditrici, ciò che non implicava alcuna responsabilità da parte del Governo di Washington. -Ma, si chiede il signor

Knox, quale deve essere l'attitudine di questo Governo nel caso in cui una di queste repubbliche rifiuti di soddisfare agli obblighi contratti con una nazione europea ?

È questo l'aspetto nuovo della questione che si presenta nell'attuale periodo storico: si tratta oggi di stabilire fino a che punto possono andare gli Stati Uniti nell'aiutare le altre repubbliche americane allo scopo di evitare le dannose conseguenze dei loro errori e delle loro colpe.

A questo proposito il segretario di Stato si è richiamato ai principi enunciati nel 1905 dal presidente Roosevelt nel suo messaggio annuale e che possono essere cosi riassunti:

«Se una repubblica del Sud commette un torto contro una nazione straniera come sarebbe un oltraggio ad un suo cittadino -la dottrina di Monroe non ci obbliga ad intervenire per prevenire la punizione del colpevole, a meno che tale punizione assuma la forma di una occupazione territoriale.

Nello stesso modo gli Stati Uniti non faranno la guerra per impedire ad un governo straniero di ottenere il pagamento di un debito; però non conviene permettere ad alcuna Potenza straniera di prendere possesso, sia pure temporaneamente, delle dogane di una repubblica americana, giacché tale occupazione potrebbe trasformarsi da temporanea in permanente. La sola via di uscita fra queste alternative è quella di cercar di giungere ad un accordo, mediante il quale possa essere soddisfatto quanto più è possibile degli obblighi legalmente contratti ed è molto meglio che gli Stati Uniti cerchino di combinare tale accordo piuttosto che !asciarlo fare dalla nazione interessata».

L'onorevole Knox ha aggiunto che non è ancora scomparso il pericolo di un intervento europeo nell'America latina ed ha ricordato, fra gli altri, i casi recenti dell'invio di una nave italiana nelle acque di Santo Domingo per ottenere da quel Governo il pagamento di crediti fatti valere da sudditi italiani e la controversia con l'Inghilterra per la delimitazione dei confini fra la Guiana inglese e il Venezuela.

In pratica, secondo l'onorevole Knox, il modo migliore per risolvere la questione sopra enunciata, è quello di migliorare le condizioni delle repubbliche americane diminuendo in tal modo le probabilità di complicazioni internazionali e, conseguentemente, le responsabilità degli Stati Uniti. Come nei contratti di assicurazione, la posizione dell'assicuratore è tanto migliore quanto minori sono i pericoli dell'assicurato, e la via più pratica per diminuire il peso delle responsabilità che incombono agli Stati Uniti è quella di generalizzare l'adozione di convenzioni simili a quelle già concluse coi Governi di San Domingo, Nicaragua e Honduras, le quali permetteranno alle dissestate repubbliche centro-americane di ottenere prestiti a un equo interesse e di sistemare le proprie finanze sotto la guida ed il controllo degli Stati Uniti. Finora l'onorevole Knox aveva difeso tali accordi principalmente col sostenere che essi avranno per effetto di far cessare lo stato di rivoluzione endemica che regna in quei paesi, favorendone la prosperità economica e commerciale con diretto vantaggio degli Stati Uniti. Nel suo recente discorso, invece, egli ha assunto un punto di vista diverso, dichiarando che tali accordi non sono che la conseguenza logica e necessaria della teoria di Monroe. Non si tratterebbe più di ragioni di pura utilità, ma di un dovere positivo connesso a quel principio.

L'onorevole Knox ha concluso mostrando l'enorme importanza che l'apertuza del Canale di Panama verrà a dare al problema delle relazioni degli Stati Uniti con l'America Centrale e ricordando che l'assistenza prestata in passato a certi paesi dell'America latina non solo ha giovato a liberare gli Stati Uniti da una parte della loro responsabilità, ma ha contribuito a fare, dei paesi stessi, dei sinceri e validi sostenitori della dottrina di Monroe, come base dell'idea pan-americana.

La difesa che l'onorevole Knox ha fatto, con questo discorso, della sua politica centro-americana, è certamente molto abile e contiene indubitabilmente molte cose giuste. Non si può far a meno di notare, però, che la vivace opposizione manifestatasi in Senato contro i proposti trattati con l'Honduras e il Nicaragua mostra come non tutti convengono nell'opportunità dell'azione esplicata in questo campo dal segretario di Stato. Molti gli rimproverano di mettere troppo a contatto il Governo con «Wall Street»2 e di confondere troppo gli interessi generali del Paese con quelli dell'alta banca. La definizione di dollar diplomacy, che il sottosegretario di Stato onorevole Huntington Wilson accettava come l'espressione esatta della politica dell'attuale amministrazione in un discorso pronunciato qualche mese fa in Philadelphia, è stata, da alcuno, sostituita con quella più personale di Morgan diplomacy. Si rimprovera inoltre, a tale politica, di eccitare i sospetti e le diffidenze di tutti i paesi dell'America latina e di assumersi nuove responsabilità, di cui è difficile prevedere le conseguenze.

La ripresa della discussione in Senato sui trattati con l'Honduras e il Nicaragua, e la decisione che verrà presa al riguardo, ci diranno come l'Alta Camera del Congresso giudica la politica che il signor Knox ha difeso nel discorso sul quale ho creduto mio dovere di riferire a V.E.

639 1 Non allegato.

640

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 662/58. Parigi, 28 gennaio 1912, ore 15,30 (per. ore 19).

Il Petit Journal pubblica una intervista di S.E. Giolitti che ha detto al suo corrispondente romano che l'amicizia franco-italiana uscirà da questa prova più solida di prima e nulla potrà più oscurarla in avvenire. Il «Figaro» biasima i giornali che, con linguaggio violento accusano l'Italia di pirateria, perché il diritto di visita non può essere contestato. Si può chiedere solo che venga esercitato con tatto. Le Matin ha da Roma che l'accordo è il migliore che si potesse concludere, ma le circostanze che lo hanno preceduto lasciano una ferita nell'amor proprio italiano che, benché superficiale deve essere considerato. L'Echo de Paris dice che il tono della stampa italiana è la rassegnazione.

Riproduco dal Journal Genève un attacco del suo corrispondente parigino contro di me che sono accusato di aver spinto V.E. a resistere ad oltranza alle domande della Francia. Riproduco poi una intervista di Clemenceau il quale felicitasi dell'accordo. Dice che la simultaneità delle mie pratiche presso Poincaré colla cattura del «Manouba» cagionò un equivoco e termina colle seguenti parole: «L'Italia si è unita a noi ad Algeciras e con pensiero di concordia e di amicizia fu la prima a dare la sua adesione all'accordo franco-germanico. Tutto consigliaci a riprendere la politica di amicizia vantaggiosa ai due Paesi. Io ho fiducia che Poincaré farà ciò che all'uopo è necessario e sono sicuro che avrà il concorso cordiale di Tittoni». L' Humanité ha un articolo di Jaurés, il quale, dopo di avere approvato l'accordo e l'arbitrato, si scaglia contro la seduta della Camera francese dalla quale ebbe inizio la campagna di contumelie contro l'Italia. Jaurés dice: «che spettacolo miserabile che dei legislatori, a proposito di una controversia internazionale, abbiano lanciato la parola ingiuriosa «attentato». Quale pericolo nella nervosità di una Camera che non avrebbe permesso ad un oratore di ricordare che vi sono delle convenzioni e vi è un diritto internazionale. La Camera preda della ignoranza e della declamazione «chauvines» non ha la padronanza di se stessa che nel periodo febbrile che attraversa l'Europa è condizione assoluta di equità e di pace. Il Journal ha una intonazione a noi favorevole. Nel Gaulois Renato Lara dimostra necessità di regolare diritto di visita, ma la Francia deve pensare alla posizione che un giorno potrà avere come belligerante. Approva poi l'idea di V.E. esposta dal Temps che dà mio telegramma di ieri sera

n. 871• L'Autorité, la Libre parole tutti gli altri giornali a noi ostili ripetono presso a poco gli stessi attacchi contro l'Italia, dietro la quale vedono la mano della Germama.

639 2 Nota del documento: «Quartiere dove hanno sede le principali banche di New York».

641

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 28 gennaio 1912.

Ti rendo il rapporto di Grimani 1• È necessario fare tosto il possibile per distogliere il viceré dalla sua idea, facendogli anche capire che ciò porrebbe noi nella impossibilità di rifiutarci a riconoscere il califfato nel sultano2•

2 Annotazione di San Giuliano: «Telegrafare in questo senso a Grimani senza il periodo sottolineato in blu» (da «facendogli anche capire» alla fine). Sulla base di queste istruzioni venne redatto il T. Gab. 171 del 29 gennaio.

640 1 T. 641 Gab./87 del 28 gennaio, non pubblicato.

641 1 Cfr. n. 615.

642

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. 460. Roma, 29 gennaio 1912, ore 2,30.

Barrère è venuto stamane a farmi da parte del suo Governo la proposta di istituire a Parigi una commissione mista incaricata di studiare un modus vivendi per regolare durante la guerra attuale l'esercizio del diritto di visita allo scopo di evitare difficoltà in avvenire, specialmente per quanto concerne le comunicazioni dirette tra la Francia, l'Algeria e la Tunisia. La commissione sarebbe composta di due giureconsulti, uno francese e l'altro italiano, dell'addetto navale france<;e a Roma, e dell'addetto navale italiano a Parigi. Il giurista francese sarebbe Renault. Il punto di vista francese è che la navigazione diretta tra la Francia e le sue colonie mediterranee deve considerarsi come un gran cabotaggio. Io mi sono riservato di rispondere a Barrère e gli ho raccomandato segretezza, e che la proposta francese non sia pubblicata. Avendola poi esaminata, insieme col presidente del Consiglio, col ministro della marina, e con Fusinato, abbiamo considerato che l'accettazione di essa si esporrebbe ad uguale richiesta da parte di tutte le altre Potenze neutrali, visto che sotto l'aspetto del diritto internazionale una nave trovata in mare libero, ma anche se viaggia tra la metropoli e le colonie, non può invocare in tempo di guerra trattamento diverso da quello del diritto comune. Tale eccezione non è mai stata sostenuta da alcun giurista, nemmeno da Renault che fu uno dei principali autori della Dichiarazione di Londra. Sarebbe poi pericoloso, dal punto di vista politico, pei rapporti fra l'Italia e Francia, se la commissione non riuscisse a mettersi d'accordo. Sarebbe quindi preferibile cercare di stipulare tra l'Italia e Francia un accordo segreto su basi da concordare, e fare uno scambio di note pubblicabili in cui i due Governi convengano di voler applicare nei loro rapporti reciproci la Dichiarazione di Londra entro i limiti in cui è compatibile colla legislazione interna dei due Paesi. Per spirito conciliativo si è deciso di non dare oggi risposta a Barrère, ma di riesaminare la questione domani. Comunico tutto ciò a VE. per sua informazione personale, e la prego di telegrafarmi il suo parere'.

643

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 764/GAB. SEGRETO 101. Parigi, l° febbraio 1912, ore 15,10 (per. ore 19,15 ).

Circa quanto è argomento telegramma di VE. n 499 1 avevo preparato per VE., lettera che non è potuta partire. Poincaré mi aveva intrattenuto della cosa dicendomi

643 1 T. 499 del 31 gennaio, non pubblicato.

che i deputati Piou e Jaurès, che avevano presentato mozione per pubblicazione dell'accordo segreto franco-italiano, probabilmente vi avrebbero insistito. Egli mi ha detto quanto già Barrère ha riferito a V.E. ed io gli avevo fatto osservare che la formula da lui voluta in aggiunta al disinteressamento reciproco circa Marocco e Tripolitania parevami pericolosissima, poiché faceva supporre altri accordi circa i quali si sarebbero certo chieste spiegazioni e si sarebbe insistito per la pubblicazione di quanto dietro detta formula supponeva fosse nascosto.

Poincarè dissemi che, in ogni caso, spettava a noi l 'ultima decisione e che se noi avessimo creduto inopportuna qualunque dichiarazione egli si sarebbe limitato a dire che non poteva fare comunicazioni circa gli accordi del 1900 e 1902 senza il consenso dell'Italia. Io sarei d'avviso di non pubblicare nulla e di limitare la dichiarazione di Poincaré al semplice reciproco disinteresse per Marocco e Tripolitania. Infatti, Poincaré, dissemi che, mediante la formula aggiunta, voleva far capire al popolo francese che non bisognava compromettere i rapporti coll'Italia perché con ciò si sarebbe compromesso anche un accordo per eventualità future di grande importanza per la Francia. Ora è evidente che, quando ciò fosse compreso dal popolo francese, lo sarebbe da tutti e la Germania avrebbe fondato motivo per accusarci di mancata fede al patto d'alleanza. Si tratta di cosa delicatissima nella quale occorre procedere colla maggior circospezione e previdenza. Ad ogni modo, occorre tener presente la lettera firmata da me e da Giolitti col consenso di Sua Maestà e mandata a Pansa quando Biilow manifestò sospetti in proposito 2 .

642 1 Per il seguito cfr. n. 644.

644

APPUNTI CONFIDENZIALI 1 SULLA PROPOSTA DI UN MODUS VIVENDI CON LA FRANCIA RELATIVAMENTE AL DIRITTO DI VISITA E DI CATTURA

Roma, l° febbraio 1912.

Le obiezioni a un accordo come quello che è proposto dalla Francia, sono queste.

l) Le difficoltà per un regolamento convenzionale del diritto marittimo bellico, derivano tutte dalla opposizione degli interessi e dalla diversità del punto di vista dello Stato che è neutrale in confronto di quello dello Stato che è belligerante. Gli accordi di questo genere non possono essere che il resultato di transazioni fra i due punti di vista; e la loro riuscita è resa possibile dalla circostanza che gli Stati,

riunendosi in tempo di pace a discutere, non sanno se le guerre future li troveranno neutrali o belligeranti. Pesando quindi i propri interessi opposti nelle due diverse eventualità, possono trovare conveniente di fare ai due punti di vista delle reciproche concessioni, pensando che ciò che perdono per il caso che siano belligeranti, è compensato da ciò che guadagnano per il caso che siano neutri. Il massimo sforzo di questo genere, tentato sinora, è rappresentato dalla Dichiarazione di Londra. Ma un accordo da stipulare in tempo di guerra e per quella determinata guerra, come la Francia propone, mette di fronte due interessi in acuto contrasto fra di loro, senza la previdibilità del compenso per il caso in cui le posizioni fra i due Stati contraenti fossero invertite. L'opposizione degli interessi sarebbe pertanto, secondo ogni probabilità, irriducibile. L'Italia poi, accettando un'apertura di negoziati su questa base, si porrebbe in una posizione estremamente svantaggiosa, perché, nella eventualità di un risultato negativo, questo apparirebbe formalmente come determinato dal rifiuto dell'Italia a proposte fatte dalla Francia e dall'Italia non accettate perché giudicate lesive dei suoi interessi di belligerante. La responsabilità e la colpa del mancato accordo cadrebbe così tutta intera sopra l 'Italia. E il mancato accordo sarebbe, anche dal punto di vista politico, deplorevole, e peggiorerebbe la situazione anche in considerazione delle ripercussioni sulla opinione pubblica dei due Paesi.

2) Un altro punto di vista importante dev'esser tenuto presente.

La guerra pone di fronte, da un canto i belligeranti fra di loro, e dali' altro i belligeranti di fronte ai neutri. I diritti e i doveri dei belligeranti di fronte ai neutri sono regolati dal diritto internazionale in modo uguale e uniforme per tutti. Per ciò che riguarda particolarmente il diritto di visita e di cattura, esso è identico di fronte a tutte le navi neutrali che si trovino in mare libero, qualunque sia il titolo per il quale la nave viaggia, qualunque sia il suo porto di partenza e di arrivo, qualunque sia la bandiera che essa batte. Ammesso pure che, dal punto di vista strettamente giuridico, il belligerante possa anche durante le ostilità stringere una speciale convezione con uno Stato neutrale per garantire ad esso, nell'esercizio del diritto di visita e di cattura, un trattamento di favore, è certo peraltro che qualora, come è ben probabile, lo stesso trattamento fosse poi domandato da un altro stato neutrale e a questo rifiutato, il rifiuto potrebbe essere considerato come un atto poco amichevole, e provocare lagnanze e ritorsioni.

Al dovere dei neutri di usare eguaglianza di trattamento ai due belligeranti, è in certo modo correlativo il dovere dei belligeranti, di usare eguaglianza di trattamento ai neutri.

La conclusione che io traggo da queste considerazioni è che tutto ciò che, a mio giudizio, possono fare praticamente i due Stati, come reciproca dimostrazione amichevole è di dichiarare fra di loro vigenti le disposizioni della dichiarazione di Londra, in quelle parti che non contraddicano ad espresse disposizioni delle leggi rispettive; perché soltanto fino a tal punto possono andare le potestà dei due Governi.

Che se ciononostante un negoziato si volesse assolutamente tentare, io vorrei che esso fosse subordinato alle seguenti condizioni:

a) L'accordo dovrebbe riferirsi a circostanze specialissime che si verifichino solo nei rapporti fra l'Italia e la Francia. L'accordo dovrebbe quindi regolare «i rapporti di navigazione diretta fra la Francia e i suoi possedimenti affricani, di

dominio mediato o immediato, nel Mediterraneo». Sarebbe questa l'unica maniera per rendere più difficile l'eventualità della pretesa degli altri Stati al medesimo trattamento. È perciò che fra le due formule successivamente proposte dall'ambasciata di Francia, io non esiterei ad accettare la prima.

b) L'accordo dovrebbe avere portata generale, e cioè non essere limitato né alla presente guerra né alla Francia soltanto, nel senso che l'accordo dovrebbe riservare eguaglianza di trattamento all'Italia, di fronte alla Francia, quando le posizioni di belligerante e di neutro fossero invertite. Ciò esige assolutamente la dignità dell'Italia. Non v'è esempio di accordi analoghi che non siano stati stretti con tale carattere di eguaglianza e di reciprocità assoluta.

c) L'accordo non dovrebbe comprendere il diritto materiale, ma soltanto ed esclusivamente qualche espediente di indole procedurale. Un accordo toccante il diritto materiale si presenterebbe irto di difficoltà che riterrei veramente insolubili, e richiederebbe ad ogni modo dei negoziati lunghissimi. La Conferenza dell'Aja e quella di Londra, che pur si svolgevano in condizioni tanto più favorevoli, insegnino.

d) Ridotto l'accordo a qualche pratico provvedimento di procedura, l'affidarne le trattative a una speciale commissione mista non parrebbe né opportuno né conducente allo scopo; sia perché non si richiederebbero speciali competenze tecniche per poterlo concludere, sia perché si impiegherebbe, così, assai più lungo tempo, sia infine perché l'eventuale insuccesso avrebbe assai maggiore notorietà e aggraverebbe quelle ripercussioni politiche a cui sopra fu accennato, e che sono, per quanto è possibile da evitare. Le trattative dovrebbero pertanto svolgersi direttamente fra i due Governi.

643 2 Con T. Gab. 249 del 17 febbraio Di Sangiuliano commentando le dichiarazioni di Poincaré al Senato osservava che queste erano diverse da quelle concordate e precisava: «Non occorrono rettificazioni né discussioni. Basta aver messo in evidenza che non aderiamo a possibili interpretazioni contrarie ai nostri diritti ed interessi».

644 1 L'appunto fu redatto presumibilmente da Fusinato, nella sua veste di consigliere del Contenzioso del Ministero. Risulta infatti aver partecipato ai colloqui di Giolitti con Barrère sul diritto di visita. In proposito cfr. DDF, III serie, tomo I, n. 592.

645

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 791/GAB. 7. Il Cairo, 2 febbraio 1912, ore 12,05 (per. ore 17,15 ).

Mio telegramma Gabinetto 6 1• Opuscolo di Insabato contiene attacchi violenti contro Governo ottomano sultano-califfo, incitamenti ad arabi staccarsi da quest'ultimo che, secondo legislatura Corano, sarebbe stato usurpato dai turchi. Lord Kitchener mi disse ieri che pubblicazione contiene effettivamente passaggi pericolosi per ordine pubblico in Egitto dal punto di vista politico e religioso. Ministro affari esteri mi disse che azione governo locale fu determinata dal fatto che la pubblicazione ricade sotto disposizioni speciali articoli del codice penale. Anzi, poiché una

672 cassa di opuscoli s1 trovava presso un negoziante italiano, ha richiesto in modo regolare intervento r. console per sequestrarla. Concorso r. console venne accordato e cassa si trova attualmente in consolato. Ministro affari esteri mi disse pure che, non volendo crearci imbarazzi, non avrebbe presentato alcun reclamo per parte avuta da italiano nella pubblicazione, limitandosi ad agire contro lo stampatore indigeno.

Mi ha accennato convenienza per parte di questo r. ufficio non sollevare [incidenti?]2 per Insabato e Mohamed Alì, cio che conferma mia supposizione ?3 di colpire ?3 persona sospetta?3 a questo Governo. Insabato si recò in consolato protestare e fu invitato rivolgersi a legale per esaminare suoi eventuali diritti. Ritengo che, se questo Governo non ci demanda agire contro autore opuscolo, a noi converebbe consigliare lnsabato non sollevare difficoltà per non fare altro rumore intorno relazioni di Mohamed Alì con Idris e Iman Yahia, mentre era dragomanno di questa Agenzia e non far conoscere che al R. Governo interessa azione di Insabato. Ma su questo attendo istruzioni di VE. Circa sequestro avvenuto presso spedizioniere francese consolato di Francia da primo esame che si tratti di provvedimento condotto in forma illegale. Poiché rappresentante ditta francese è italiano e fu minacciato di arresto, conformerò mia condotta alle decisioni delle autorità francesi, perché, se sequestro e sua forma fossero da esso riconosciuti legali, mancherebbe di base nostro eventuale reclamo per minaccia di arresto che sarebbe stato legittimo. Naturalmente Insabato potrà citare per risarcimento di danni spedizioniere che potrebbe chiamare in causa Governo egiziano. In tal modo r. autorità resterebbe estranea al procedimento che si svolgerebbe avanti Tribunale misto.

Vedrà VE. se non sia meglio consigliare Insabato desistere da ogni azione4 .

645 1 Con T. Gab. 746/6 del 31 gennaio non pubblicato Grimani riferiva tra l'altro che: «Consigliere agenzia diplomatica britannica mi disse iersera questo Governo era stato informato di una pubblicazione in lingua araba in corso di stampa per conto di Insabato in una tipografia indigena di Cairo. Governo egiziano considera siffatta pubblicazione, che mira conciliare ali 'Italia elemento arabo Tripolitania dipingendo malgoverno Turchia, come atto poco conforme neutralità Egitto ed avere intenzione impedirla».

646

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 187. Roma, 2 febbraio 1912, ore 18,20.

Mio telegramma Gabinetto n. 1771•

(Per Berlino) e telegramma di VE. n. 27 Gabinetto2 .

(Per Pietroburgo) e telegramma di V.E. n. 20 Gabinetto3 .

(Per tutti) Questo ambasciatore di Russia mi ha lasciato ieri copia della circolare mandata da Sazonoff ai rappresentanti russi presso le altre Grandi Potenze. È un

4 Per la risposta cfr. n. 649.

2 T. 167/27, del lo febbraio, non pubblicato.

3 T. 166/20, del lo febbraio, non pubblicato.

documento molto importante, nel quale la situazione è descritta sotto i suoi veri aspetti, e che rende piena giustizia alla condotta e ai propositi dell'Italia. L'impressione per questo nuovo passo alla Russia, che non ci attendevamo in questo momento, è stata in noi molto favorevole.

(meno per Pietroburgo) Giudichi VE. ciò se e come, a viva voce e in via non ufficiale, convenga che ella faccia conoscere ciò a codesto Governo.

(per Pietroburgo soltanto) e VE. nell'esprimersi con Sazonoff in questi sensi, vorrà ringraziarlo vivamente a nome mio per i termini nei quali la sua circolare è concepita4 .

645 2 Integrazione del decifratore.

3 l punti interrogativi sono del decifratore.

646 1 Il T. 177 del 31 gennaio rimanda al T.l58 del 30 gennaio in cui Avarna riferisce circa una circolare russa in cui si propone il contatto tra le Grandi Potenze allo scopo d'intendersi per indurre la Turchia ad una eventuale pace in vista di possibili avvenimenti nei Balcani.

647

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATO 523. Roma, 2 febbraio 1912, ore 20.

Faccio seguito al mio telegramma n. 489 1•

Anche oggi invece di Barrère è venuto Laroche. Gli ho detto che per la nostra situazione verso le altre Potenze neutrali e per l'impressione nociva ai cordiali rapporti italo-francesi, che la nomina di una commissione farebbe in Italia, è meglio abbandonare questa idea e limitarsi i due Governi a dichiarare che intendono uniformarsi alla Dichiarazione di Londra. Se ciò non pare sufficente al Governo francese, siamo disposti ad esaminare quelle proposte che crederà di farci purché in via confidenziale e segreta. Colla nomina della commissione se questa non riescisse a mettersi d'accordo l'effetto sarebbe deplorevolissimo. Invece con trattative segrete, se non riescono, troveremo sempre modi pratici di evitare possibilmente incidenti, e se riescono ad un accordo allora decideremo insieme se pubblicarlo o no.

648

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 820/85. Vienna, 3 febbraio 1912, ore 20,50 (per. ore 22,35).

Telegramma di VE. n. 4791• Non v'è dubbio, siccome il conte Szécsen ha affermato al r. ambasciatore in Parigi, che qualunque sarà il successore del conte

647 1 T. 489 del 31 gennaio non pubblicato, ma cfr. 642. 648 1 Il T. 479 del 31 gennaio ritrasmette il T. 668 del 28 gennaio, non pubblicato.

674 Aehrenthal, questo non potrà non continuare la politica estera da lui seguita quella cioè della Triplice Alleanza e dell'amicizia coll'Italia, tale politica essendogli imposta dagli interessi reali della Monarchia.

Ma quello che a noi importa sopratutto si è di vedere in qual modo questa politica verrà attuata e specialmente se sarà impressa nella sua applicazione agli stessi sentimenti da cui il conte Aehrenthal era animato a nostro riguardo. Anche Goluchowsky dichiarava di seguire una politica di alleanza ed amicizia coll'Italia. Ma sebbene i nostri rapporti fossero durante la sua permanenza al Ballplatz corretti ed anche amichevoli noi non avemmo che buonissime parole. Nell'ordine dei fatti, però, non si verificò alcun cambiamento e nessuna occasione fu da lui presa, ne potè essere da noi colta, per affermare vieppiù la solidarietà di interessi esistenti tra i due Paesi. Egli non intuì o non volle intuire l'importanza che aveva per la Monarchia una intimità maggiore coll'Italia, ciò che fu per contro compreso pienamente dal conte Aehrenthal come egli lo attestò coi fatti ed il contegno leale che mai si smentì coadiuvato dall'opera efficace di V.E., contribuì a fare riposare i nostri rapporti sopra un piede di tale cordialità al quale non erano mai pervenuti. Si ignora pel momento su chi cadrà la scelta dell'imperatore. Ma alcuni dei personaggi di cui si fa il nome come candidati al Ministero degli affari esteri, cioè quelli del Berchtold, Szécsen, Burian, Bacquehem ex relatore del bilancio degli affari esteri alle delegazioni e signor de Mérey, non sembrano avere nello stesso grado le qualità che distinguevano il conte Aehrenthal per indipendenza e fermezza di carattere e di propositi, che gli permisero acquistare autorità necessarie per imporre le sue idee all'imperatore e trionfare dei suoi avversari. E questa autorità mancherà indubbiamente al suo successore almeno nei primi momenti per cui non gli sarà forse agevole di tener testa alle influenze estranee che cercassero di esercitare su lui. Ma prima di portare giudizio sopra l'eventuale ministro degli affari esteri conviene vederlo all'opera per constatare quale fiducia merita e quale assegnamento noi potremo fare su di lui.

646 4 Per la risposta cfr. n. 659.

649

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 540. Roma, 4 febbraio 1912, ore 14, 15.

Suoi telegrammi n. 61 e 7 2•

Circa il deplorevole incidente degli opuscoli la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza ha dato ordine telegrafico a Insabato di attenersi alle istruzioni che V.S. gli impartirà.

Cfr. n. 645.

Lascio V.S. giudicare della risposta da dare a codesto Governo e all'agenzia britannica.

Conviene ad ogni modo negare rapporti di Insabato colla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza. Ella vorrà anche richiamare severamente Mohammed Alì a quella stretta riserva che gli è imposta dalla sua qualità di dragomanno onorario e che egli troppo spesso ha trascurato.

Ella potrà fare osservare a codeste autorità che gli opuscoli erano destinati alla Libia. Voglia spedirne qui un paio di copie e li faremo ristampare con opportuni tagli per mandarli in Libia.

Non credo sia il caso di por termine sin da ora alla missione Insabato essendo preferibile attendere la risposta promessa dal capo Senussi per giudicare dei risultati della missione stessa. Gradirà ad ogni modo suo parere anche su questo punto3•

649 1 Cfr. n. 645, nota l.

650

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 125/33. Belgrado, 4 febbraio 1912 (per. il 17).

Riassumo, ad ogni buon fine, una conversazione avuta pochi giorni sono col signor Milovanovitch, prima che egli presentasse al re le dimissioni del Gabinetto da lui presieduto.

Il presidente del Consiglio m'intrattenne nuovamente a proposito dell'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar e del probabile intervento nei Balcani da parte deli'Austria. Gli ho fatto osservare che non vedevo la ragione per dubitare del desiderio, pìù volte affermato, del Governo di Vienna di voler mantenere lo statu quo balcanico, e mi son permesso di chiedergli se il timore di questo Governo non fosse, a tale proposito, alquanto esagerato. Il signor Milovanovitch mi rispose che non aveva, infatti, alcun dato preciso per poter provare in modo irrefragabile le proprie asserzioni, ma che gli risultava però indubitabilmente che l'Austria aveva fatto e stava facendo ingenti preparativi militari alla frontiera meridionale della Monarchia.

Gli ho soggiunto che ciò poteva darsi, ma che anche in questo caso, bisognava considerare se tali preparativi avessero un carattere aggressivo oppure di semplice precauziOne.

Date le voci generali di complicazioni balcaniche nella prossima primavera, era forse naturale che l'Austria volesse tenersi pronta ad ogni eventualità e siccome complicazioni non potrebbero avvenire se non per l'azione di qualcuno degli Stati

balcanici, stava, in loro di evitare il temuto intervento col non offrire alcun pretesto colla loro condotta calma e prudente. Il signor Milovanovitch mi ha detto allora che sperava io potessi avere ragione, ma che, se poteva accordarmi che l'Austria non avrebbe forse presa l'iniziativa di un intervento, essa avrebbe potuto facilmente procurarsene il pretesto. Ed a questo proposito egli mi ripetè -cose già più volte riferite a

V.E. -la sua sfiducia verso la politica di Cettigne, le manovre di re Nicola, le sue ambizioni di un ingrandimento territoriale, e finì col dirsi convinto che il Montenegro, istigato dal Governo di Vienna, offrirà a quest'ultimo l'invocato pretesto.

«In tal caso» -concluse il ministro -«se l'Austria muove un passo, nessuna forza potrà trattenerci dal prendere le armi. Noi siamo abbastanza preparati per il momento, ma se nessuno ci aiuterà e saremo sconfitti, meglio è finirla una volta: anche se dovessimo essere assorbiti dall'Austria serviremo ad essa di avanguardia per la sua avanzata verso Salonicco ed avremo anche in questo ben meritato dalla causa nazionale colla riunione degli sparsi elementi del serbismo».

Non credo troppo, lo confesso, alla sincerità dei propositi bellicosi del signor Milovanovitch -che egli ha anche manifestato ad altri miei colleghi -e che sarebbero d'altronde in opposizione alla precedente linea politica da lui seguita. Ho però creduto di riferirne all'E.V. perchè essi sono in sostanza, conformi alle aspirazioni di buona parte della pubblica opinione -mio rapporto odierno n. 321 -e bene accetti, sembra, anche alla Corte. Potrebbe quindi darsi che l'apparente cambiamento nelle idee pacifiche e moderate, sempre sinora affermate dal Milovanovitch, significhi una concessione alle opinioni patrocinate dall'elemento militare e dagli ultranazionalisti, oppure fosse dettato dal desiderio di entrare nelle buone grazie del re al quale egli, in quei giorni chiedeva, e dal quale sperava di ottenere la facoltà di sciogliere la Skupstina.

649 3 Grimani con T. 947/45 dell'8 febbraio, non pubblicato, riferiva sulla necessità che Insabato e Mohamed Alì ricevessero istruzioni di mantenersi tranquilli e di non esporsi con alcun atto all'attenzione dell'autorità locale che cercava occasione per chiederne l'allontanamento.

651

TL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, G. DE MARTINO, AL CAPO DI GABINETTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PEANO

L. 73. Roma, 4 febbraio 1912.

D'ordine del ministro le comunico in copia l'unito documento rimessomi da

S.E. -Barrère e contenente le istruzioni date dal presidente del Consiglio francese al residente generale a Tunisi relativamente alle misure da prendersi per la repressione del contrabbando delle armi in Tunisia. S.E. -il ministro ha mandato un comunicato in proposito alla Tribuna nel quale si fa anche cenno dell'invio di torpediniere francesi nelle acque tunisine (telegramma Stefani da Parigi). L'ambasciatore di Francia aveva domandato che i due provvedimenti fossero fatti rilevare nella nostra stampa.

Ho dato anche comunicazione del comunicato a Chauvet il quale è venuto a lamentarsi vivamente perché si dice trascurato a vantaggio della Tribuna.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, POINCARÈ, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BARRÈRE

J'ai pris connaissance des indications que vous m'avez foumies au sujet des expéditions d'armes et de munitions que le consul général d'Italie à Tunis a signalées à son gouvemement comme pretes à etre dirigées vers la Tunisie et destinées à l'armeé ottomane.

J'ai l'honneur de vous aviser que ces renseignements ont été aussitòt transmis è la Residence générale de France à Tunis qui a les moyens de s'assurer de leur exactitude et de prendre, le cas échéant, toutes mesures nécessitées par le souci de tenir la main à la mise en vigueur du décret de 1883 sur la contrebande des armes en Tunisie.

650 1 R. 124/32, non pubblicato.

652

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 180/29. Vienna, 5 febbraio 1912, ore 8,50 (per. ore 22,35).

Telegramma di VE. Gabinetto 194 segreto'. Se un'azione intesa a forzare i Dardanelli avrebbe potuto essere da noi effettuata nelle condizioni indicate da Aehrenthal ad uno dei miei colleghi, cioè di sorpresa e prima che di essa si avesse avuto sentore delle Potenze tale azione non sarebbe certamente da eseguirsi dopo l'interpretazione arbitraria data da Aehrenthal all'art. 7 del trattato della Triplice Alleanza e dopo le ripetute e recise sue dichiarazioni che si opporrebbe a qualsiasi nostra operazione contro le coste europee della Turchia. Per cui se noi tentassimo nelle presenti circostanze di intraprendere una simile azione siccome non potrebbe oramai avvenire più di sorpresa, ci esporremmo indubbiamente a gravi fastidi da parte dell'Austria-Ungheria, tanto più che essa darebbe luogo a nuove e più vivaci manifestazioni contro noi nella stampa della Monarchia e nei Parlamenti austriaco ed ungherese le quali costringerebbe il Governo imperiale e reale ad assumere a nostro riguardo un contegno non scevro di pericoli per i rapporti reciproci. VE. ricorderà del resto che sebbene io non avessi mai fatto alcun cenno in proposito al conte di Aehrenthal neppure in via privata ed amichevole, egli mi fece intendere spontaneamente che la comparsa della nostra flotta innanzi Costantinopoli avrebbe potuto provocare una rivoluzione ed avere serie ripercussioni nei Balcani (mio telegramma,

n. 20 segreto )2 . Non mancherò tuttavia di tenere al corrente VE. delle ulteriori ed

652 1 T. Gab. 194 del 2 febbraio, non pubblicato. 2 T. Gab. segreto 133/20 del 23 gennaio, non pubblicato.

678 eventuali disposizioni del Governo imperiale e reale a questo riguardo, ma è da supporre che qualunque sia il successore del conte di Aehrenthal egli non potrà non seguire l'identica linea di condotta da lui adottata nella questione che è considerata qui per le conseguenze a cui potrebbe dar luogo come implicante interressi vitali della Monarchia.

653

IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 863117. Tunisi, 5 febbraio 1912, ore 16 (per. ore 20,05).

Ieri amvo nota mtsstone Mezza Luna Rossa, ma non sbarcò. Al porto ebbe luogo tuttavia grande dimostrazione franco-araba anti-italiana. Numerose sottoscrizioni in onore comandanti noti piroscafi sequestrati, portano firma personaggi ufficiali e persino del bey. Continua indisturbata aspra, violenta campagna giornali locali contro esercito, marina, Nazione italiana mantenendo vivissima agitazione specialmente fra elemento arabo e colonia neutra, la quale teme possa finalmente raccogliere continue provocazioni e reagire. Situazione delicatissima dalla quale non panni che autorità locali si rendano bene conto, nulla facendo per migliorarle malgrado mie continue rimostranze frenando almeno eccessi stampa che sono causa principale di questo penoso stato di cose.

Non ho bisogno di aggiungere che, meno armi e munizioni ufficiali in gruppo, tutto passa come prima alla frontiera prendendo ora, anche via interna più lunga, ma più sicura di Dohibat e Nalut.

Comunico presente telegramma r. ambasciata Parigi.

654

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 184/12. il Cairo, 5 febbraio 1912, ore 22 (per. ore 7,30 del 6).

Telegramma di VE. 61 1• Principe Fuad mi ha incaricato informare VE. che sarebbe disposto mandare emissario al Senussi. Cosa presenta, a suo avviso, carattere urgenza, perchè sarebbe qui giunta lettera del capo Senussi in cui questi palesa

679 intenzione iniziare guerra contro noi. Emissario principe porterebbe messaggio verbale con consiglio Senussi astenersi guerra ed influire perché ostilità cessino. Farebbe rilevare sua convenienza accordarsi con Italia che ormai non rinunzia certo sua conquista. Direbbe che Italia è disposta riconoscere autorità religiosa, accordarli privilegi, dare compenso pecuniario. Lo inviterebbe mandare qui persona autorizzata trattare con principe modalità definitive.

Emissario, nel quale Sua Altezza crede potere fidarsi, chiede però somma 18 mila (18.000) lire egiziane. Sua Altezza trova richiesta troppo ingente e cercò per vari giorni ottenere riduzione ma senza risultato. Sua Altezza ritiene indispensabile prendere decisione e mi ha incaricato telegrafare quanto precede all'E.V.; mi ha detto che, se R. Governo non intende accogliere progetto, non avrebbe altra persona cui affidare missione così delicata.

Mi è impossibile esprimere in proposito parere. Sua Altezza, di cui son ben noti sentimenti, non avrebbe additato progetto se non credesse contare in quanto è possibile su probabilità successo. So che ha lungamente esitato causa ingente somma domandata e che solo ora mi ha incaricato telegrafare perché ritiene necessario decidersi. Prego V.E. telegrafarmi se R. Governo accetta progetto ed in caso affermativo dare istruzioni per procur ... 2 .

654 1 Con T. Gab. riservatissimo 61 del1'8 gennaio, non pubblicato di San Giuliano rispondeva al n. 592 e lo invitatava a conferire con il principe Fuad.

655

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 186. Il Cairo, 6febbraio 1912, ore 21,25 (per. ore 0,45 del 7).

Mio telegramma Gabinetto l O, 11 1 .

Governo dell'Eritrea telegrafa quanto segue: «Riservatissimo per lei solo 1568. A seguito mio 1550 d'oggi, prevengo che, a scanso possibili equivoci, ho chiesto chiarimenti presidente del Consiglio dei ministri circa mio contegno con Said, dovendo egli, a quanto pare, trattare cose alquanto analoghe ad altre che io precedentemente proposi a Idris per incarico prefata Eccellenza. Voglia V.S. accennarmi se missione Said è simile quella Ismail e se debbo accordargli ciò che mi richiedesse ed io fossi in grado di fornire».

Ho risposto: «Suo telegramma 1568. Missione Said presso Idris, è diversa da quella di Ismail ed egli non ha per ora incarico richiedere aiuto codesta Colonia. Missione Said costituisce segreto Stato che non sono autorizzato divulgare. Telegrafi Ministero degli affari esteri suo telegramma e mia risposta».

Dal telegramma Governo dell'Eritrea rilevo che sono in corso con Idris trattative dirette parallele quella kedive e qui ignorate.

655 1 T. Gab. 839/1 O e T Gab 840/11 del 4 febbraio, non pubblicati .

Pericolo cui si espone S.A. il Kedive verso il Governo ottomano e Governo inglese come pure verso il suo popolo col favorire insurrezione in [ ... ]2 è gravissimo.

Devo richiamare seriamente attenzione R. Governo sull'eventualità assai probabile che kedive venga a conoscere essersi iniziata a sua insaputa altra azione presso Idrissi. In tal caso, molto facilmente abbandonerebbe sua cooperazione.

Già ho riferito impressione manifestata dal kedive di non esser assecondato nei suoi consigli e devesi tener conto giuste suscettibilità di uno che ci ha accordato un appoggio in opposizione dovere e sua posizione politica.

654 2 Così nell'originale. Aggiunto nell'interlinea: «spendere?». Per il seguito cfr. n. 655.

656

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 190/32. Vienna, 7 febbraio 1912, ore 20,25 (per. ore 22,35).

Telegramma di VE. Gabinetto 200 1• La dichiarazione fatta dall'arciduca ereditario a Szogyeny di essere cioè risoluto a coltivare buoni rapporti coll'Italia conferma pienamente quanto mi disse in proposito a più riprese Aehrenthal. Ma le parole colle quali Sua Altezza Reale fece seguire tale sua dichiarazione che conveniva «tener d'occhio quell'alleata» mentre dimostrano la poca fiducia che nutre a nostro riguardo riassumono la sostanza di quel programma di provvedimenti militari che queste autorità marittime vanno gradatamente effettuando da più anni alla nostra frontiera. Ma devesi riconoscere che la esecuzione di tale programma che Conrad voleva completare e realizzare con la maggiore energia possibile e che non potè condurre a termine per l'intervento del conte di Aehrenthal non è motivato da propositi bellicosi verso Italia che come affermò l'arciduca ereditario Szogyeny non esistono realmente nel Governo imperiale e reale verso noi bensì dalla intenzione di premunirsi contro un eventuale attacco da parte nostra. Come è noto a V.E. è qui invalsa erronea supposizione che possano da noi in un dato momento circostanze tali in cui opinione pubblica prenda mano al Governo e lo costringa ad entrare in campagna contro l'Austria-Ungheria e tale supposizione è stata ora in certo modo avvalorata dalla credenza che sussiste in alcuni che l'attuale impresa di Tripoli sia stata imposta dal volere della nazione. Condivido poi interamente il pensiero manifestato da Sassonoff a Melegari (telegramma di V.E. 519)2 che non siano da temere i pericoli che molti vedono nell'ascensione al trono dell'arciduca Francesco Ferdinando. Ma se il futuro imperatore non si lascerà trascinare in una politica di avventure all'estero ciò avverrà non già come Sassonoff pare supporlo perché egli non è abbastanza popolare nella Monarchia ma perché l'evoluzione operatasi in Austria-Ungheria in seguito alla introduzione del suffraggio universale ed i sentimenti di indipendenza e libertà

2 T. 519 del 2 febbraio, non pubblicato.

esistenti in Ungheria lo metteranno nell'assoluta impossibilità di modificare in modo radicale le condizioni di politica estera ed interna in cui troverà stabilito il governo al momento nel quale assumerà il potere. Ed egli sarà per contro costretto dalla forza delle circostanze a prescindere dalle sue disposizioni personali ed a seguire l'indirizzo stesso del suo predecessore.

655 2 Gruppo indecifrato.

656 1 T. Gab. 200 del 4 febbraio, non pubblicato.

657

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, TITTONI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. GAB. SEGRETO 210. Roma, 8 febbraio 1912, ore 18, 15.

Ci si assicura che l'ambasciatore di Russia a Costantinopoli, il quale ha sempre fatto colà una politica turcofila, è contrario alla proposta del suo Governo che qualifica apertamente di inopportuna, e che di fronte alla Turchia egli si esprime in modo anche più categorico.

658

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 400/184. Parigi, 9 febbraio 1912.

La rendita italiana ha continuato a ribassare ed è difficile dire quando e dove il ribasso si arresterà. Le ragioni che hanno provocato il ribasso e che rendono molto difficile arrestarlo sono molteplici. Innanzi tutto v'ha il fatto che il tasso della rendita sopra la pari con un interesse netto del 3 e mezzo per cento, mentre molti titoli di stato esteri di uguale solidità al tasso odierno rendono il 4 per cento o poco meno, era ottenuto artificialmente. Ora questo artificio poteva reggersi in momenti tranquilli, ma è naturale che colle preoccupazioni destate dalla guerra non possa reggersi più. In secondo luogo v'ha la voce che qui corre e insistentemente e che è generalmente creduta che il Governo italiano per mezzo di banche private o di agenti segreti cerchi di collocare a Londra e qui piccole partite di qualche milione di buoni del tesoro al 4 per cento, e molti detentori di rendita se ne disfarebbero volentieri per acquistare i detti buoni. In terzo luogo v'ha il discredito che questa voce ha prodotto. Dopo le comunicazioni ufficiali nelle quali si diceva che il tesoro italiano per provvedere alla guerra tripolina aveva una riserva di quasi mezzo miliardo e che solo dopo che questa fosse esaurita avrebbe avuto bisogno di ricorrere al credito, si taccia di poca sincerità il tentativo di collocare buoni del tesoro ed il fatto del collocamento di piccole partite è anche accolto sfavorevolmente quale rivelatore del proposito di vivere di espedienti invece di ricorrere ad una operazione organica e completa. Io faccio di tutto per smentire queste voci e dire che il tesoro italiano non ha bisogno di nulla all'estero e nulla ha chiesto né chiede all'estero. Ma la mia smentita si trova di fronte a troppe affermazioni e quindi è accolta con incredulità. Inoltre io non posso essere presente in tutti i luoghi in cui questa voce è ripetuta per opporre ad essa le mie smentite.

Finalmente bisogna tener conto del modo come qui (a torto o a ragione poco importa) sono giudicati i risultati della nostra azione militare. Il fatto che dopo quattro mesi siano ancora ristretti in alcuni punti della costa ed il modo come le operazioni militari sono condotte astenendoci dal molestare la ritirata dei turchi tutte le volte che attaccando le nostre trincee sono da noi respinti, hanno qui radicata generalmente la convinzione che noi resteremo costantemente nell'attitudine difensiva. E poiché si ritiene che, stando così le cose, la Turchia non consentirà mai alla pace in base al decreto d'annessione, e non si ha alcuna fiducia nella attesa azione coattiva e collettiva delle Potenze sulla Porta, si crede che la guerra si prolungherà ancora per molto tempo e dovrà necessariamente esaurire le riserve e le risorse del tesoro italiano e costringere l'Italia tra qualche mese a fare un grosso prestito all'interno o all'estero. E poiché si pensa che nelle attuali condizioni del mercato non è possibile collocare né in Italia né all'estero un prestito che dia un interesse inferiore al 4 per cento netto, si deduce da ciò che la rendita dovrà necessariamente continuare a discendere e ad approssimarsi al punto in cui rappresenterà un interesse che poco si discosti dal 4 per cento.

Naturalmente le invidie ed ostilità verso di noi, latenti fino ad ora, ma ora palesemente mostrate, e il run degli speculatori senza scrupoli, immancabile sempre in queste circostanze, fanno pesare di più ed aggravano le molteplici ragioni che cospirano pel ribasso.

Il quadro che io ho fatto è poco lieto, ma esso è il fedele riassunto delle impressioni che ho avuto discorrendo in questi giorni con finanzieri, diplomatici, uomini politici e uomini di mondo e che credo dovere senza indugio manifestare a V.E.

659

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO,

T. GAB. SEGRETO 203/23. Pietroburgo, 10 febbraio 1912, ore 17,49 (per. ore 19,35).

Telegramma di V.E. 187 Gabinetto 1• Ho comunicato a Sassonoff, il quale ha potuto ricevermi solo oggi, trattenuto tutti questi giorni dal lavoro della commissione parlamentare per i bilanci degli affari esteri, i ringraziamenti di V.E. per ultima circolare russa. Egli se ne è molto compiaciuto e mi ha incaricato ringraziare V.E. A proposito di questa circolare egli mi disse soltanto che i Gabinetti non gli avevano dato che delle belle parole e che si rendeva conto come sarebbe per ora difficile giungere a qualche pratico risultato. Sassonoff mi ha espresso quanto sarebbe lieto se Italia fosse in misura colpire Turchia in una delle sue parti più vitali e desse ai

Giovani Turchi una buona lezione onde abbattere «la loro ormai insopportabile tracotanza». Avendo io fatto un accenno all'attitudine turco-fila di Tcharikoff egli mi disse avere saputo da Iswolsky dell'opposizione da lui fatta alla proposta russa. Sassonoff non se ne mostrava sorpreso ed ebbe solo all'indirizzo di quell'ambasciatore una frase ironica che denoterebbe il poco conto che fa dell'opera sua.

659 1 Cfr. n. 646.

660

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Budapest, 11 febbraio 1912 (per. il 15).

Quale console generale di Turchia a Budapest è stato nominato Roumbeyoglou Fahreddin bey. Egli è arrivato ieri l'altro in questa capitale prima ancora che il Governo imperiale e reale abbia avuto il tempo di concedergli l 'exequatur, e appena giunto per telefono mi domandò di vedermi.

Da molto tempo sono legato in amicizia con Fahreddin bey, che per quattro anni ho avuto come collega a Berlino dove fin alla sua recente nomina era consigliere di quella ambasciata ottomana. Non potendo senz'altro chiudergli la porta di casa mia, gli risposi che l'avrei atteso ieri nel mio alloggio privato. Venne, e la sua visita ebbe carattere di cortesia e nello stesso tempo scopo di assumere quelle informazioni che abitualmente si domandano da un collega a nuova nomina ad un collega già conosciuto altrove e che da tempo si trova sul luogo.

Nel corso della conversazione, Fahreddin bey a più riprese portò il discorso sulla guerra lamentando che la situazione sia presentemente tale da non lasciare intravvedere a breve scadenza la possibilità della pace. Anche se questa venisse conchiusa a Costantinopoli, egli dicevami, non avrebbe nelle due province africane alcun effetto, perché gli arabi continuerebbero a battagliare per conto proprio e gli ufficiali Giovani Turchi colà comandanti, si rifiuterebbero di obbedire agli ordini di Costantinopoli e non abbandonerebbero il campo. Mi permisi di fargli osservare che già sarebbe un passo importante, nell'interesse della pace, se a Costantinopoli decidessero a sanzionare l'inevitabile e a venire a patti: ma poi troncai senz'altro la conversazione su questo tema. E allora il mio collega passò a parlare del malcontento che non solo nei circoli politici turchi, ma anche nell'ambasciata di Germania in Costantinopoli si nutre contro il signor von Kiderlen-Waechter, al quale si rimprovera di non aver fatto opportunamente alcun tentativo «per impedire che tra l'alleata Italia e l'amica Turchia si venisse alle mani per una questione sulla quale ci si sarebbe potuti intendere se la Germania vi avesse messo a tempo una buona parola». Egli aggiungeva anzi di aver avuto dal dottor Weitz ben noto corrispondente a Costantinopoli della Frankfurter Zeitung ed esecutore fedele della volontà del barone von Marschalll'assicurazione che il signor von Kiderlen-Waechter non rimarrebbe più a lungo alla direzione degli affari esteri germanici, che a sostituirlo sarebbe chiamato il barone von Marschall, il quale si sarebbe dichiarato pronto a riprendere il posto abbandonato circa quindici anni or sono alla sola condizione che rimanga come cancelliere dell'Impero il signor von Bethmann-Hollweg. A sostituire il barone Marschall a Costantinopoli andrebbe il signor von Tschirschky da Vienna o il principe di Ratibor da Madrid. Riferisco queste informazioni per dovere di cronista, non essendo io in luogo dove è possibile il controllarle. Fahreddin bey poi esprimeva la speranza che la primavera non arrecherebbe serie complicazioni balcaniche e fondava questa sua speranza sulla perfetta preparazione guerresca delle truppe ottomane nelle province europee, sulla circostanza che la Russia e l'Austria-Ungheria si trovano in questo momento costrette a desiderare che nessuna seria complicazione venga a prodursi, quella perché impegnata in Persia e nell'Estremo Oriente, questa perché ancora non ha «digerita» la Bosnia-Erzegovina. Vi saranno dei moti in Albania e in Macedonia, ma quelli saranno calmati con concessioni e misure pacifiche da parte della Sublime Porta, questi con la forza. Ma se la speranza sua, aggiungeva, si dimostrerà fallace, la Turchia in Europa è forte e saprà far fronte alle difficoltà. Il movimento elettorale assorbe presentemente tutta l'attività politica del Paese egli prevede una vittoria dei Giovani Turchi, non perché i più forti, ma perché meglio organizzati nelle province e perché per loro tutti i mezzi sono buoni perché assicurino loro la vittoria in seguito alla quale la desiderata modificazione della Costituzione sarà approvata ma non per questo sarà assicurata la pace interna. A Costantinopoli si fa sentire l'assoluta mancanza di uomini seri, lavoratori e capaci di un elevato sentimento della propria responsabilità di fronte al Paese.

Fahreddin bey chiudeva la conversazione col rilevare che, sebbene le entrate finanziare vadano progressivamente aumentando, pure le enormi spese militari (11 milioni di Ltq.) e la ripercussione della guerra sul commercio pesano gravemente sull'economia del Paese. Quantunque allo scoppiare del conflitto italoturco vi fosse chi credeva che il posto occupato negli scambi internazionali con la Turchia dall'Italia, sarebbe stato preso da altre nazioni concorrenti, l'incertezza della situazione, i pericoli della navigazione e la possibilità che da un momento all'altro si venga alla pace, fanno si che finora quel posto sia rimasto in gran parte inoccupato.

Ci separammo, riconoscendo d'accordo che la guerra in corso imponeva a noi, nei nostri rapporti personali, una certa riserva, specie di fronte al pubblico.

661

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL COMANDANTE DELLE TRUPPE DELL'ERITREA, RUBIOLO

T. RISERVATO 115. Roma, 12 febbraio 1912, ore 20.00 (per. ore 11 del 13).

[...]l attitudine del capo dei senussi verso noi che va delineandosi favorevole e fortune dell' Idris nell' Assir e nell 'Hedgiez sono due p o li che attraggono tutta la attenzione del mondo islamico particolarmente della razza araba.

Sarebbe quindi molto importante preannunziare decidere Idris scrivere una lettera al capo senussi nella quale lo informasse dei progressi della sua campagna per la liberazione dell'Arabia dai turchi, liberazione che avrà per risultato immediato ritorno della nobile razza araba all'antico splendore nonché lungamente desiderata restaurazione del califfato arabo abbattuto dai turchi e da loro usurpato mantenuto colla forza.

Tale lettera dovrebbe essere ad Idris recapitata per mezzo di persona di sua fiducia.

661 1 Gruppo indecifrato.

662

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL'ERITREA, RUBIOLO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 698. Roma, 12 febbraio 1912, ore 21.

D'accordo con presidente del Consiglio, ministro guerra, capo di Stato Maggiore generale Caneva è stato stabilito costituire al più presto altri due battaglioni eritrei da inviare in Tripolitania. Prego VS. voler subito procedere formazione di essi, disponendo che uno parta appena costituito e appena ella avrà i mezzi di imbarco.

Dopo costituiti due nuovi battaglioni di quattro compagnie si avrebbero sette battaglioni con trentadue compagnie, di cui dodici distaccate in Libia.

Non potrebbero costituire ostacolo ragioni politiche nei riguardi dell'Abissinia, né ragioni militari, economiche o finanziarie nei riguardi della Colonia, poiché contingente distaccato in Libia è destinato combattere musulmani, sarebbe costituito oltre quello attualmente in Colonia, sarebbe a carico della spesa del corpo di occupazione in Libia, e non toglierebbe forse uomini atti al lavoro poiché anche tigrini e agamiti accorrerano a formare i nuovi battaglioni.

I tre nuovi battaglioni accorreranno per lungo tempo in Libia, anche dopo conclusione della pace; e in ogni modo in caso di minaccia ai confini eritrei si avrebbero altre compagnie già allenate alla guerra che in breve tempo potrebbero entrare in colonia.

Per evitare che una prolungata lontananza degli ascari eritrei dalla Colonia possa avere men buone conseguenze, si provvederà con una rotazione semestrale

o annuale dei reparti distaccati con quelli alla sede. Ella vede la urgente necessità di avere in Libia reparti mobilissimi come gli eritrei che mettano in grado il Comando militare supremo di combattere il nemico con fondata speranza di utili successi per la fine della guerra.

Non ho pertanto bisogno di raccomandare vivamente alla S.V. l'attuazione rapida dei provvedimenti invocati.

663

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 467/98. Londra, 12 febbraio 1912 1.

Le prime notizie che mi giunsero della operazione finanziaria recentemente conclusa dal Governo ottomano con la Banca Nazionale di Turchia e con quella di Salonicco (miei telegrammi Gab. 18, 22)2 recavano che la ditta Baring Brothers avrebbe patrocinato il collocamento sul mercato di Londra dei buoni del Tesoro che le due banche suddette ad esso destinavano. Susseguentemente la notizia mi venne dapprima contraddetta, di poi confermata: qualcuno, anzi, osservò che il patrocinio di così autorevole casa bancaria avrebbe molto contribuito al buon esito della operaziOne.

Siccome mi si afferma che la ditta Baring Brothers è tra i pochi corrispondenti del Tesoro italiano sul mercato inglese, ho creduto il caso di indagare quale è stato il suo vero atteggiamento di fronte ad un'operazione finanziaria importante eseguita da un Governo con il quale quello di Sua Maestà si trova in stato di guerra.

Tutte le fonti sentite, meno una, hanno ammesso che la casa Baring ha patrocinato il collocamento dei buoni del Tesoro ottomano. La casa Baring interrogata in proposito ha risposto che di lotti del Tesoro ottomano essa «non ne ha mai né presi, né tenuti». La risposta non è esauriente; ma parmi che si debba tener conto del fatto che i responsabili di un'importante azienda possono aver motivo di usare un certo riserbo nel rispondere a domande investigatrici delle quali non si può intravvedere subito l'intera portata.

Questo è il risultato delle investigazioni che ho fatte con la cautela necessaria, affinché la ditta interessata non ne avesse il minimo sentore. Aggiungo che, date le intime relazioni di affari esistenti tra sir E. Cassell e lord Revelstoke (della casa Baring) interessato nella National Bank of Turkey, non mi sorprenderei troppo se la casa Baring abbia realmente partecipato all'operazione.

Qui, in alcuni circoli che sono essi pure in rapporti d'affari col Governo del re e che, nella circostanza presente, hanno tenuto, a quanto mi è stato possibile appurare, atteggiamento scrupolosamente corretto, il contegno della casa Baring è stato osservato e commentato.

L'operazione era finanziariamente assai lucrosa, e si comprende perciò ancora più facilmente che chi si è da essa astenuto per solo motivo di correttezza, commenti ora ed anche critichi chi, trovandosi in consimile situazione, avrebbe tenuto diverso atteggiamento. Da parte nostra dobbiamo prevedere che di operazioni altrettanto, se non più, lucrose per le banche, la Turchia dovrà, assai verosimilmente, fame altre se

663 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 T. Gab. 85118 e T. Gab. 320/22 del 16 gennaio, non pubblicati.

687 la guerra continuerà e che vi saranno dunque nuove tentazioni per gli istituti finora a noi rimasti fedeli di seguire l'esempio dato ora da uno di essi che è tra i più importanti sul mercato mondiale del danaro.

664

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 273/44. Washington, 12 febbraio 1912 (per. il 26).

Come ho avuto l'onore di informare V.E. col mio telegramma odierno n. 141 , questo segretario di Stato, onorevole Knox, intraprenderà, nella seconda quindicina del corrente febbraio, un viaggio di parecchie settimane attraverso i Paesi dell' America Centrale e della costa settentrionale de !l'America del Sud, seguendo probabilmente questo itinerario Cuba, San Domingo, Haiti, forse Porto Rico, Venezuela, Columbia, Panama, le repubbliche del Centro e, se le condizioni politiche del Paese lo permetteranno, anche il Messico.

L'annunzio ufficiale del viaggio venne dato ieri dalla Casa Bianca con un suo comunicato alla stampa, di cui trascrivo qui sotto la traduzione:

«Le relazioni fra gli Stati Uniti e le repubbliche spagnuole bagnate dal mare Caraibico e dal Golfo del Messico sono della massima importanza per noi, in considerazione degli interessi e delle responsabilità che noi abbiamo in quei Paesi. Il Presidente ritiene che potrà essere a noi di grande giovamento nel risolvere le questioni diplomatiche a cui ci troviamo giornalmente di fronte se potremo manifestare alle vicine repubbliche il nostro amichevole interesse mediante una visita del segretario di Stato.

Le conferenze che egli potrà avere nelle capitali di quelle repubbliche coi vari capi di Governo, avranno per effetto di creare più intime relazioni fra i Paesi e di farci acquistare una più esatta conoscenza delle condizioni di quei popoli, mettendoci in grado di trattare in modo più efficace le questioni pendenti. Questa sarà la prima volta che un segretario di Stato americano avrà visitato quelle contrade.

Per tali ragioni il presidente ha chiesto al segretario della marina di mettere a disposizione del segretario di Stato l'incrociatore "Washington". L'onorevole Knox si imbarcherà su questo da uno dei porti della Florida entro due settimane e sarà di ritorno probabilmente verso il principio del prossimo mese di aprile».

L'annunzio del viaggio è stato accolto e commentato molto favorevolmente dalla stampa americana, la quale non ha mancato di ricordare l'altro memorabile

688 viaggio politico attraverso le repubbliche sud-americane, compiuto alcuni anni or sono dall'onorevole Root, segretario di Stato durante la seconda amministrazione Roosevelt, e di augurare all'onorevole Knox un successo uguale a quello del suo predecessore.

Molti hanno messo in relazione l'annunciata visita del segretario di Stato americano col discorso da lui pronunciato lo scorso gennaio davanti l'Associazione Forense dello Stato di New York sul tema della dottrina di Monroe (vedi mio rapporto, del 27 gennaio u.s. -n. 164/33)2 ed hanno concluso che l'iniziativa odierna altro non è se un atto preliminare diretto a preparare il terreno per l'applicazione del programma allora enunciato.

Ebbi già l 'onore di riferire a V. E. che, nel discorso sopra ricordato, l'onorevole Knox aveva specialmente insistito su questo punto che nel momento attuale l'unico mezzo idoneo che si offre agli Stati Uniti per salvaguardare l'integrità della dottrina di Monroe -ciòè per tener lontano l'ingerenza delle Potenze europee dalle repubbliche ispano-americane -è quello di aiutare le repubbliche stesse (quelle di esse, s'intende, che di aiuto abbiano bisogno) ad uscire dallo stato di marasma e di anarchia in cui ancora si trovano, assistendole anzitutto nella opera di redenzione economica coll'agevolare la cooperazione che sono disposti a prestare i finanzieri americani.

Si tratterebbe ora appunto, per l'onorevole Knox, di fare accettare questo programma di cooperazione alle altre parti interessate persuadendole della bontà del sistema e della sincerità di intenzioni degli Stati Uniti, ed a ciò dovrebbe servire il progettato viaggio dell'uomo di Stato americano presso i Governi delle piccole repubbliche americane: dissipare il sospetto che la politica di Washington sia diretta soltanto ad ottenere vantaggi ed ingrandimenti territoriali a proprio favore.

Intanto molti rappresentanti sud-americani in questa capitale si sono affrettati, in interviste concesse ai giornali, a manifestare il loro vivo compiacimento per l'onore che questo segretario di Stato si appresta a fare ai loro paesi rispettivi dichiarandosi convinti che egli sarà accolto ovunque con sincera simpatia e che dalla sua visita non potranno derivare se non risultati benefici per le future relazioni fra gli Stati Uniti e l'America Latina.

Quale sia per essere l'accoglienza che si prepara all'onorevole Knox nei vari Paesi che egli si accinge a visitare, non è facile prevedere, non essendo io qui in grado di conoscere esattamente i sentimenti che dominano nelle diverse repubbliche del sud, alcuna delle quali ha pur recentemente dovuto sperimentare le conseguenze della «protezione» della sorella maggiore del nord. Quanto agli effetti nel futuro di questa visita, le previsioni non possono essere che incerte i fatti soltanto potranno mostrarci, in seguito, in quale misura l'aiuto che gli Stati Uniti offrono con tanta insistenza alle disorganizzate repubbliche del mare Caraibico e del Golfo del Messico sia ispirato dal desiderio sincero e disinteressato del loro progresso civile, politico ed economico.

664 1 T. 1057/14, non pubblicato.

664 2 Cfr. n. 639.

665

IL MINISTRO ALL' AJA, SALLIER DE LA TOUR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO. L 'Aja, 12 febbraio 1912 (per. il 16).

Come ebbi l'onore di riferire ali 'E. V. col mio telegramma, Gabinetto n. l, di oggi1 , ho considerato che potevo senza inconvenienti parlare a questo ministro degli affari esteri della comunicazione fatta dal ministro di Olanda a Berlino al commendatore Pansa, conoscendo io gli intimissimi rapporti che corrono fra il signor van Swinderen ed il signor Gevers, e per di più avendomi questo ministro degli affari esteri intrattenuto già da qualche giorno, della sua intenzione di tentare un nuovo passo in favore della pace.

Ed infatti, dieci giorni or sono, il signor van Swinderen venne a trovarmi per riferirmi una conversazione che aveva avuto il giorno precedente con questo ministro di Turchia, Aristarchi bey, il quale non esce di casa da oltre due mesi, perché ammalato. In tale conversazione Aristarchi bey avrebbe detto, pur dichiarando di emettere un giudizio personale, di aver la persuasione che il Governo turco era molto più inclinato a far la pace di quanto lo si voleva far credere all'Italia, alla condizione, naturalmente, che quest'ultima si mostrasse conciliante e facesse conoscere quali compensi sarebbe disposta ad offrire in cambio del possesso delle due province. Venendo poi a parlare delle voci che correvano al riguardo di un tentativo di mediazione da parte della Russia, Aristarchi bey emise l'opinione che, se solo tentativo era stato realmente fatto, esso era destinato a fallire, poiché le Grandi Potenze avevano troppe opposizioni d'interessi fra di loro a Costantinopoli, ognuna di esse avendo in Turchia interessi politici o materiali da salvaguardare, interessi che avevano la precedenza sul loro comune desiderio di pace.

Ed infine Aristarchi bey avrebbe aggiunto che, a suo avviso, per arrivare alla pace il miglior modo sarebbe, o di intavolare delle trattative dirette fra i due belligeranti, oppure di affidare tali trattative ad una piccola potenza, amica delle due parti, e si dichiarò entusiasta dell'idea di una mediazione della regina di Olanda, la regina della pace.

Il signor van Swinderen, dopo di avermi riferito queste parole di Aristarchi bey, che lo avevano fortemente impressionato, e che confermavano, in molte parti, notizie recentemente pervenutegli in proposito da Costantinopoli, Berlino e Pietroburgo, mi disse che ora gli appariva ancora più chiaramente per quali ragioni le sue ripetute aperture per una mediazione olandese erano state accolte così freddamente, specialmente a Londra e a Pietroburgo, contrariate di sotto mano a Parigi e non abbastanza caldamente appoggiate a Vienna ed a Berlino, ed aggiunse che ora si sentiva spinto a

ritentare la prova sotto altra forma e che aspettava con impazienza che la regina, rimessasi completamente, riprendesse le sue udienze e lo ricevesse, sperando di poter ottenere la formale autorizzazione della sovrana di offrire i buoni uffici del Governo olandese alle due nazioni belligeranti per trovare un terreno d'intesa. Ma, nel dirmi questo, il signor van Swinderen, mi pregò insistentemente di non far cenno all'E.V. di tale nostra conversazione, sino a che egli non avesse parlato con la regina, poiché egli non poteva impegnarsi in una così grave questione, senza averne avuto prima la formale autorizzazione sovrana.

Trovai oggi il ministro in disposizioni di spirito ben differenti. Dopo di avermi detto che egli non poteva che approvare che il ministro Gevers, del cui tatto e abilità diplomatica egli aveva la più alta opinione, avesse fatto, di sua propria iniziativa, tale comunicazione che corrispondeva perfettamente al suo modo di giudicare la situazione sino a questi ultimi giorni, il signor van Swinderen mi dichiarò, con dolore, che nuove circostanze e recenti notizie lo avevano costretto a rinunciare, almeno per ora, ad ogni idea di mediazione. Egli mi disse che, prima di essere ricevuto dalla regina, sabato scorso, aveva voluto recarsi da Aristarchi bey, per chiedergli se, a suo avviso, il Governo turco avrebbe potuto e saputo serbare il segreto sulle eventuali trattative di pace che il Governo olandese voleva tentare d intavolare fra i due belligeranti, ali 'insaputa delle Grandi Potenze. A tale domanda Aristarchi bey rispose negativamente nel modo più assoluto, dicendosi persuaso che il Governo turco nulla faceva e nulla decideva, in questo momento, senza consultare prima l'una o l'altra delle Grandi Potenze.

Tale assicurazione di Aristarchi bey impressionò vivamente il signor van Swinderen, al quale mancò il coraggio di spingersi su di una via che poteva, a suo avviso, attirare sull'Olanda il malumore e l'ostilità di quelle grandi Potenze che più avevano scoraggiato i suoi primi passi in vista di arrivare ad una mediazione. Oltre a questo, poi, sarebbero pervenute in questi ultimi giorni al signor van Swinderen, da quanto egli mi disse, notizie, da parecchie fonti, che lo avrebbero persuaso dell'inutilità di ogni tentativo in favore della pace nel momento attuale, astenendomi sempre dal parlargli per il primo di tale sua iniziativa, che non ho mai incoraggiata, ben inteso, senza pur tuttavia scoraggiare. Sono, peraltro, di avviso che le buone ed amichevoli intenzioni del ministro van Swinderen a nostro riguardo meritano, per lo meno di essere segnalate a V.E., la quale, nel suo alto senno, saprà giudicare, qualora se ne presentasse l'occasione, o quando ne fosse venuto il momento opportuno, se le buone disposizioni del Governo olandese e la protezione speciale che occupa nel mondo la giovane sovrana, che si intitola la regina della pace, potessero utilmente essere impiegate per far cessare il presente conflitto2 .

665 1 T. Gab. 212/1, non pubblicato.

665 2 Annotazione di San Giuliano: «Bollati 22 febbraio 1912. Bisogna rispondere per norma eventuale di linguaggio che noi non chiediamo alla Turchia il riconoscimento e che salvo un punto solo nel resto non siamo intransigenti. Di questo e della risposta sarà bene inviare copia agli ambasciatori».

666

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 107/20. Pietroburgo, 13 febbraio 1912, ore 17,25 (per. ore 18,40).

Ho incontrato già due volte re di Montenegro che andai ad ossequiare al suo arrivo e che rividi stamane al ricevimento diplomatico. Sua Maestà si è astenuto toccare, con me e coi colleghi, argomenti politici. Egli mi disse, però, essere molto soddisfatto dell'accoglienza che gli è stata qui fatta. Ignoro quali siano attualmente, a suo riguardo, le disposizioni dell'imperatore, ma credo quelle del Governo imperiale ed in particolar modo di Sazonoff non debbano essere molto propense a nuove concessioni. Questo ultimo non nasconde suo risentimento per politica avventurosa del re. Egli mi disse che Sua Maestà aveva di recente nettamente dichiarato al ministro di Russia a Cettigne che, qualora Russia avesse tollerato una eventuale azione austriaca sul Sangiaccato, egli non avrebbe esitato di accordarsi con Austria-Ungheria, purché questa le garantisse qualche ingrandimento territoriale.

667

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 276/53. Budapest, 15 febbraio 1912 (per. il 21).

Nonostante sia oltre la mia competenza di occuparmi di avvenimenti che si svolgono al di fuori di questo Regno non sarà privo d'interesse per l'E.V. conoscere quanto da persona appartenente al mondo bancario internazionale mi è stato detto intorno al risultato della visita del ministro inglese della guerra a Berlino e all'impressione che nei circoli bancari si ha dell'effettuato ravvicinamento fra l'AustriaUngheria e la Russia.

Quanto al risultato della visita del ministro inglese nonostante le rosee speranze che una parte della stampa ha tessuto intorno alla medesima l'alta banca si mantiene molto riservata e non crede che per il momento siano stati originati da quella visita accordi politici effettivi -si ritiene per altro che nei colloqui del signor Haldane con

S.M. l'Imperatore e il cancelliere dell'Impero qualche malinteso sia stato rischiarato e siasi preparato il terreno al nuovo piano navale germanico che consisterebbe nella costituzione di una terza squadra navale -dopo la quale costituzione sarebbe possibile alla Germania accordarsi con l'Inghilterra per una sosta negli armamenti in mare.

Quanto al riavvicinamento tra la Russia e l'Austria-Ungheria, questi circoli finanziari salutano l'avvenimento con viva soddisfazione anzitutto perché rappresenta per essi, se non la fine, una tregua nel pericoloso antagonismo tra le due nazioni e perché dal medesimo si attende, quale prima conseguenza, la pace tra l'Italia e la Turchia e la cessazione di un conflitto che cagiona, tra altro, gravi perdite e gravi preoccupazioni a chi ha capitali investiti nel vicino Oriente. Mi è stato a questo proposito segnalato un articolo apparso stamani nel Neues Pester Journal come dovuto a persona autorevole e che risponde a quello che presentemente «si dice» e «si pensa» in questi circoli finanziari.

Come ella vedrà l'articolo comincia con mettere in chiaro un punto: trattarsi in questo momento tra l'Austria-Ungheria e la Russia di un riavvicinamento ma non di una ricostituzione dell'alleanza dei tre Imperatori, a rendere impossibile la quale contribuiscono gravi ragioni di vario ordine. Anzitutto l'accordo conchiuso tra il principe di Bismarck ed il conte Andnissy stabilisce che il casus foederis si verifica allorquando uno dei due Imperi venga attaccato dalla Russia o da una terza Potenza con l'aiuto della Russia. Ora se si dovesse risuscitare l'alleanza dei tre imperatori dovrebbe essere eliminata ogni possibilità che la Russia presti ausilio ad una terza Potenza per attaccare uno dei due Imperi. Ma tale esplicita obbligazione è possibile per un Paese come la Russia con i suoi 18 miliardi di debito verso la Francia? Manca per di più alle Potenze centrali il motivo impellente e tale da rendere inevitabile la rinnovazione non solo della vecchia alleanza dei tre Imperatori ma nemmeno del patto di Miirzsteg. La Russia è diventata una vicina molto comoda, anche senza bisogno della sanzione di un'alleanza. Quando il conte Goluchowski e il conte Lambsdorf conclusero l'accordo di Miirzsteg, la penisola balcanica era in preda a forti agitazioni e le varie nazionalità erano in armi l'una contro l'altra. Adesso invece si fa manifesta una tendenza ad uno sviluppo pacifico delle medesime. «Certo i rapporti tra la Corte di Vienna e quella di Pietroburgo sono ridiventati normalmente cordiali e sicuramente la Russia ha trovato a Vienna quell' assicurazione che le permetterà di agire in Asia, quando ciò le sia opportuno, senza aver paura di essere colpita alle spalle. Sicuramente l'Austria-Ungheria non avrà sofferto alcun danno da questo riavvicinamento, poiché per essa nello sviluppo dei suoi interessi politici ed economici nei Balcani è ben differente di trovarsi dinanzi anziché ad una Russia fredda ed abbotonata, ad una Russia amichevole e ben disposta. Caso per caso quando la occasione si presenti favorevole il riavvicinamento avvenuto potrà presumibilmente condensarsi in una più stretta comune azione. Ma per il momento non è stata conclusa una alleanza, nemmeno una forte e profonda intesa».

L'articolo poi passa a parlare dell'avvenuto mutamento che si riscontra nella maniera di parlare dell'Italia presso una parte della stampa austriaca. La spiegazione di questo mutamento l'articolo dice esser data da un accenno contenuto nel discorso del Trono letto ultimamente dall'imperatore Guglielmo al nuovo Reichstag, accenno che pei più è passato inosservato come una banale ripetizione di cose dette e ridette. Quell'accenno consisteva nell'enunciazione del proposito di S.M. di mantenere l'alleanza con l'Italia. Queste parole furono inserite nel discorso imperiale dopo il ritorno del signor von Kiderlen-Waechter da Roma il quale aveva riportato a casa la certezza positiva che la Triplice Alleanza sarà rinnovata. «Si capisce da sé che al momento di una tale rinnovazione siasi tenuto conto di quanto differentemente è stato riscontrato come poco piacevole. Naturalmente in tali casi non è nemmeno da pensare ad una rinnovazione se si lasciano sussistere punti di attrito come si sono manifestati specie nei rapporti tra l'Italia e l'Austria-Ungheria».

L'articolo è chiuso con la supposizione che a questa rinnovazione vada connessa la notizia dell'invio di nuove truppe in Tripolitania (il che evidentemente non succederebbe se l'Italia non si sentisse sicura in Europa) e l'altra notizia che queste nuove truppe saranno tolte dalle guarnigioni del Veneto.

668

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 20/53. Sofia, 16 febbraio 1912 (per. il 25).

Nel mio rapporto n. 20 del 16 gennaio u.s. 1 informai V.E. di una conversazione da me avuta col signor Ghescioff nel corso ella quale egli mi parlò di discorsi fatti dagli onorevoli Barzilai e Bissolati al signor Rizoff nel senso che, in caso di complicazioni balcaniche, l'Italia piuttosto che farsi complice di ingrandimenti territoriali dell'Austria-Ungheria si sarebbe atteggiata a difenditrice dell'integrità dell'Impero ottomano. In quella occasione il Ghescioff mi chiese testualmente perché se, a quanto dicevano quei due autorevoli uomini politici, uno dei quali era stato anche in predicato come ministro, l'Italia per odio all'Austria sarebbe potuta divenire financo alleata della Turchia, essa Italia non si sarebbe piuttosto intesa colla Bulgaria. Lasciai allora cadere inosservata questa frase perché la sua eccessiva importanza e gravità non era consona ad una conversazione fatta in piedi dopo un pranzo a Corte; e nemmeno la riferii allora a V.E. perché non mi pareva opportuno di registrada come avance concreta ed esplicita senza averne prima per qualche modo ottenuto una conferma. Risposi soltanto in termini generici (come risulta dal mio precitato rapporto) che quanto dicevano uomini politici italiani lontani dal Governo, non doveva considerarsi come indizio positivo di politica italiana, e che i nostri rapporti coll'Austria non erano mai stati migliori che al momento presente.

Giunto a Roma pochi giorni dopo il menzionato colloquio, ricevetti la visita del signor Rizoff il quale mi espresse il suo rammarico di dover constatare che negli ambienti politici di Roma si diffondesse ognor più la persuasione che la Bulgaria fosse oramai completamente in mano all'Austria. Che mi pregava caldamente di profittare del mio soggiorno a Roma per dissipare questo preconcetto e per indurre il Governo italiano ad una intesa colla Bulgaria in vista dei più che probabili prossimi mutamenti nei Balcani e del conseguente pericolo di vedersi allargare nella penisola, se non la effettiva dominazione, certo l'influenza materiale e morale

694 dell'Austria-Ungheria nostra comune nemica, mi disse il Rizoff Distratto allora da altri pensieri e non avendo la possibilità di restare a Roma un tempo sufficiente a riprendere ed a svolgere questi discorsi, risposi evasivamente al Rizoff, né più lo vidi prima della mia partenza.

Senonché tornato qui ed avendo avuto agio di ponderare le due suaccennate fugaci conversazioni, e recatomi ieri, per la prima volta dopo il mio ritorno, a visitare il Ghescioff, gli narrai le cose dettami dal Rizoff e gli chiesi se egli fosse d'accordo colle idee espostemi dal rappresentante del Governo bulgaro a Roma. Il Ghescioff mi disse di si, e che le sue preoccupazioni per l'attitudine dell'AustriaUngheria nella Macedonia e nell'Albania si aumentavano di giorno in giorno.

Il Governo bulgaro aveva fin qui creduto che si trattasse soltanto di zelo eccessivo di agenti più o meno irresponsabili, ma ora veniva a sapere che questa stessa rappresentanza diplomatica e consolare della Monarchia non era aliena dal tenersi in contatto cogli elementi rivoluzionari della Macedonia; e perciò narrandomi il fatto, da me riferito nel mio telegramma n. 92 del 14 corrente, del ricevimento accordato a tre capi dell'organizzazione macedone da parte di questo console austroungaro e dei discorsi fatti successivamnte da quei signori2 .

Dissi allora al Ghescioff che questi sospetti contro l'Austria-Ungheria che egli già altre volte mi aveva espressi mi sorprendevano assai, perché molti indizii facevano credere a taluni circoli diplomatici che il re Ferdinando fosse invece d'accordo colla Austria-Ungheria per una eventuale spartizione della Macedonia in caso di rottura dello statu quo. Il Ghescioff mi disse che sapeva che tali voci si erano divulgate ultimamente; che nulla di più falso poteva asserirsi; che egli lamentava che avessero potuto diffondersi; che la soluzione della questione macedone indicata in simili voci era quanto di più pernicioso agli interessi ed all'avvenire della Bulgaria avrebbe potuto immaginarsi; che infine la Bulgaria non aveva mai desiderato altra soluzione che la istituzione di una Macedonia autonoma. Il re Ferdinando (continuò il Ghescioft) sarebbe l'ultimo ad ammettere tale associazione coll'Austria-Ungheria la quale non avrebbe potuto considerarsi che come un mercato che il sovrano bulgaro avrebbe fatto degli interessi del Paese a lui affidato, a quelli della strapotente vicina. In tali condizioni di cose (concludeva il Ghesciofl) noi vediamo avvicinarsi la crisi suprema della Macedonia colla preoccupazione di chi si sente isolato e non può contare che sopra le proprie insufficienti forze; ed è perciò che abbiamo sperato e tuttavia speriamo che l'Italia, Paese che sente ed intende le idee liberali e nazionali, ci presterebbe all'occasione una mano soccorrevole per poter salvarci nel momento del pericolo dalla prepotenza e dalla invadenza austriaca. La Bulgaria d'altro lato potrebbe offrire all'Italia una non spregevole contro-assicurazione per i suoi accordi coll'Austria, la cui buona fede egli vedeva posta in dubbio da tanti autorevoli uomini politici dell'Italia.

Risposi al Ghescioff con molta calma che il punto di vista che egli mi esponeva così eloquentemente era per noi di molta importanza. Che speravamo di poter risolvere sollecitamente e radicalmente il problema tripolino, di gran lunga il più interessante ed urgente per noi, per poter poi consacrarci di nuovo a far pesare la nostra autorità ed influenza, nella plenitudine dei nostri mezzi, sui problemi balcanici.

Che tale influenza non si sarebbe esercitata in altra guisa che col rispetto deil'equità e della nazionalità. Che ali' ora presente la situazione ci imponeva il più grande riserbo, e che d'altra parte non avevamo speciali motivi di sospetto verso l'Austria. Che ad ogni modo sarei stato sempre pronto e lieto di udire quanto egli avesse da dirmi su questi argomenti così importanti per l'avvenire dell'Europa.

Io ritengo che le parole del Ghescioff e del Rizoff contengano più sincerità che verità, nel senso che io persisto a credere il re Ferdinando impegnato coll'AustriaUngheria e che l'incertezza in cui egli lascia i suoi propri ministri non sia ultimo motivo di questi loro discorsi. Convien quindi procedere con la massima cautela e considerare un ministro bulgaro per quello che è, ossia per la cosa più fragile e precaria che vi sia sulla terra. Ma è mio obbligo porre in rilievo e credo che il R. Governo non debba scordare che in un momento di grave crisi politica quale il presente, un Governo bulgaro dei meno deboli e meno compromessi moralmente che da molti anni sieno arrivati al potere, ci tende in modo non dubbio la mano, e mostra di attendersi che non possiamo stringerla e tirarla verso di noi.

668 1 R. 114/20, non pubblicato.

668 2 Con T. l 083/92 De Bosdari riferiva tra l'altro: «secondo i discorsi fatti da questi parrebbe che il console abbia dichiarato loro che l'Austria-Ungheria non vuole attentati e delitti, ma che, in caso di un'organizzata insurrezione, l'Austria-Ungheria interverrebbe sostenendola. Gheschoff non si spiega questa costante contraddizione fra il linguaggio e l'apparente attitudine del Governo di Vienna e l'azione subdola dei suoi agenti nei Balcani».

669

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 1186/18. Il Cairo, 17 febbraio 1912, ore 21.05 (per. ore l,45 del 18).

Con rapporto 112 in data 12 corrente1 spedito mercoledì ho informato che questo ministro degli affari esteri mi aveva accennato a difficoltà che Egitto potrebbe sollevare circa nostri arruolamenti truppe in Eritrea per usarle in Cirenaica alludendo ai diritti che l'Egitto avrebbe in quella regione che fu in passato una specie condominio analogo a quello dal Sudan, diritti ai quali questo Governo non avrebbe mai rinunziato.

Stamane Kitchener mi parlò della questione prendendo occasione dall'eccitamento che medesima ha prodotto nella stampa locale e nel Paese. Afferma che per quanto ricorda noi ottenemmo solo un permesso di occupazione e che pertanto

Eritrea non potrebbe considerarsi come una colonia vera e propria ciò che sarebbe provato dal fatto che per qualche tempo accanto alla nostra bandiera veniva alzata bandiera egiziana mentre poi per deliberazione nostra bandiera egiziana sarebbe stata esclusa provocando anzi una protesta da parte dell'Egitto. Kitchener non vorrebbe che questione venisse discussa più di quello che già non è stato in questi giorni per evitare discussione analoga circa posizione Inghilterra in Egitto e Sudan. Ritiene converrebbe meglio sospendere invio delle truppe. Mi disse avere informato Londra della questione.

Più tardi mi tenne analogo discorso anche questo ministro degli affari esteri chiedendomi anzi espressamente consigliare R. Governo cessare detto invio.

Ho risposto ad ambedue che ritenevo non esservi dubbio circa nostro pieno diritto sovrano nell'Eritrea ricordare che esistevano vari accordi con l'Inghilterra circa quella nostra colonia. Tuttavia ho promesso riferirne a V.E.

Attendo conoscere da V.E. preciso pensiero del R. Governo circa questione suddetta e termine risposta che dovrò dare. Può darsi che Kitchener si sia impressionato più del bisogno per la campagna qui fatta e per le sue conseguenze nei riguardi dell'Inghilterra. Si tratta in ogni caso di questione che va risolta in modo reciso per non creare pretesti con nostra annuenza ad opinione che nostra sovranità piena ad intera sulla colonia possa mettersi in discussione 2 .

669 1 R. 302/112, non pubblicato.

670

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 813. Roma, 17 febbraio 1912, ore 23,55.

Creta. Questo ambasciatore d'Inghilterra mi ha comunicato quanto segue: sir Edward Grey propone che le Potenze Protettrici informino i Governi di Germania e di Austria-Ungheria delle loro conclusioni sullo stato attuale della questione cretese. Esse sono riuscite finora ad impedire l'invio al Parlamento ellenico dei deputati dell'isola, che non avevano per nulla dissimulato le loro intenzioni, ma che, se un'altra volta questi tentassero di evadersi clandestinamente, diventerebbe materialmente impossibile alle Potenze di stabilire il blocco della intera isola. Le Potenze sono fermamente risolute a mantenere lo statu quo, anche se ciò dovesse condurre alla rioccupazione militare di Creta; ma la presenza dei deputati cretesi ad Atene potrebbe dar luogo a difficoltà fra Grecia e Turchia che creerebbero una situazione pericolosa dal punto di vista internazionale. Sarebbe dunque desiderabile uno scambio di vedute fra tutte le Potenze allo scopo di evitare qualsiasi turbamento della pace.

E il Governo britannico chiede ai Governi delle altre Potenze Protettrici se non credano essi pure opportuno che una comunicazione in questo senso fosse fatta ai Gabinetti di Berlino e di Vienna.

Colla consueta riserva circa gli eventuali provvedimenti esecutivi impostaci dalla nostra attuale situazione di fronte alla Turchia, ho risposto che non vedo incovenienti a invitare Austria-Ungheria e Germania ad uno scambio di vedute per tentare di evitare le possibili conseguenze dell'andata, forse materialmente inevitabile, dei deputati cretesi ad Atene.

669 2 Per la risposta cfr. n. 671.

671

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. 820. Roma, 18febbraio 1912, ore 12,30.

Suo telegramma Gabinetto n. 18 1 .

La colonia Eritrea è un possedimento italiano. Continueremo a mandare dall 'Eritrea in Cirenaica quanti ascari vorremo. Ella può esprimersi recisamente in questo senso.

Aggiungo che in via di fatto la maggior parte dell'Eritrea tra cui Asmara sua capitale non ha mai fatto parte dell'Egitto le cui truppe furono battute distrutte dagli abissini le due volte che tentò di impadronirsene.

672

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1208/116. Vienna, 18 febbraio 1912, ore 19 (per. ore 20, 15).

Nel pubblicare stamane notizie nomina Berchtold a ministro degli affari esteri giornali rilevano che suo precipuo compito consisterà nel continuare politica estera di Aehrenthal e addivenire ad un riavvicinamento colla Russia. Osservano come egli sia particolarmente indicato per portare a compimento ripresa di cordiali rapporti coll'Impero russo.

Solo la Zeit nota che il riavvicinamento alla Russia è tanto più necessario in quanto che rapporti della Monarchia con l'Italia sono in buone relazioni con quelli

che Monarchia stessa intrattiene colla Russia. L'eventualità per Monarchia di dover pensare a condurre la guerra su due fronti è un indice sufficiente della concessione suddetta. Qualora però l'Austria-Ungheria fosse in buone relazioni colla Russia e si sapesse coperta da quel lato che nella politica della Monarchia si denomina «Questione Italiana» non sarà più tanto seria e diverrà più facile per l'avvenire il mantenimento dell'alleanza coll'Italia.

671 1 Cfr. n. 669.

673

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 254. Roma, 18 febbraio 1912, ore 20,40.

Questo ambasciatore d'Austria-Ungheria mi ha fatto ieri verbalmente la comunicazione seguente che fu fatta all'ambasciatore di Russia a Vienna e portata a conoscenza degli altri Gabinetti: «il Gabinetto di Vienna è d'accordo, in massima, nel riconoscere l'utilità di fare, a un dato momento, un'azione pacificatrice, il cui carattere e la cui forma sarebbero da concertarsi fra le Potenze.

Questa azione potrebbe imporsi, specialmente se il corso degli avvenimenti ingenerasse per la pace europea la situazione grave e minacciosa accennata dal signor Sassonoff. Anche quando le Potenze ·non fossero unanimi a riconoscere il momento attuale come propizio per siffatto intervento, l'iniziativa del signor Sassonoff non avrebbe meno il merito di mantenere fra di esse quel contatto che la situazione esige. Il Gabinetto di Vienna l 'ha dunque accolta con simpatia, nella convinzione che la soluzione pacifica del conflitto italo-turco non potrebbe essere ottenuta se non alla condizione che l'azione benevola delle Potenze sia ispirata e regolata in completo accordo fra tutte».

Ho detto a Mérey che avevamo molto gradito il linguaggio della nota russa.

674

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1239/122. Vienna, 19 febbraio 1912, ore 23 (per. ore 2,45 del 20).

Il nuovo ministro degli affari esteri è venuto oggi a farmi la sua visita ufficiale.

Nel felicitarsi di entrare in rapporti con me, mi ha detto che avrebbe continuato verso il R. Governo l'identica politica seguita dal suo predecessore e si sarebbe adoperato per rendere sempre più intimi reciproci rapporti eliminando qualsiasi cosa che avesse potuto turbarli. Nel ricordare i legami di amicizia che ci univano personalmente da oltre quindici anni, ha aggiunto che non dubitava che io gli avrei prestato stessa cooperazione che avevo prestato al compianto conte d'Aehrenthal. Ho risposto al conte Berchtold che mi sarei fatto premura di comunicare le disposizioni che mi aveva fatto a VE., ma che intanto potevo assicurarlo che il R. Governo come VE. erano animati da uguali sentimenti verso il Governo imperiale e reale e che ella sarebbe stato lieto di adoperarsi, dal canto suo, a rassodare e rendere più intimi reciproci rapporti, evitando tutto ciò che avesse potuto offuscarli, e che per ciò che mi riguardava, non avrei mancato di cooperare con lui in tal senso.

Il conte Berchtold mi ha quindi detto che non aveva ancora l'onore di conoscere personalmente VE. ma che aveva risposto ad un telegramma di lei diretto a Miiller.

Mi ha informato inoltre che aveva esitato lungamente ad accettare la successione di Aehrenthal conoscendo quale difficile e grave compito avrebbe assunto, ma in seguito alle ripetute premure fattegli non aveva potuto esimersi dal conformarsi agli ordini di S. M. l'Imperatore.

675

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 513/109. Londra, 20 febbraio 1912 (per. il 26).

Nel discorso pronunciato il 14 corrente da S.M. il Re Giorgio per l'apertura della presente sessione parlamentare non v'è stata alcuna specifica allusione alle relazioni tra l'Inghilterra e Germania.

«Le mie relazioni colle Potenze estere continuano ad essere amichevoli», ha detto Sua Maestà, e questa generica frase è stata l'unica da Sua Maestà pronunziata che possa concernere i rapporti anglo-germanici. Ma l'argomento è di tale importanza e la recente visita di lord Haldane a Berlino lo ha reso di tale attualità che nella discussione sull'indirizzo da presentarsi dal Parlamento a Sua Maestà, colla quale, secondo le tradizioni, si iniziano i lavori della sessione esso è stato preso in esame e fatto oggetto di speciali dichiarazioni. I due leaders dell'opposizione, i quali, per tradizione prendono le parole subito dopo i discorsi dei due membri designati quali movers e seconders dell'indirizzo a Sua Maestà; i due leaders del partito al Governo i quali immediatamente rispondono ai loro oppositori, hanno, nei loro discorsi, trattato delle attuali relazioni tra Inghilterra e Germania e del viaggio a Berlino di Lord Haldane.

Qui accluso ho l'onore di trasmettere a V. E. i testi di questa parte dei discorsi pronunziati da lord Lansdowne e da lord Crewe alla Camera dei lords, dal signor Bonar La w e dal signor Asquith alla Camera dei comuni 1•

Di queste relazioni ha parlato anche il segretario di Stato per gli affari esteri in due discorsi pronunziati il 12 ed il 16 corrente a Manchester. Qui accluso l'E.V. troverà anche il testo delle dichiarazioni di sir E. Grey, confermanti ed illustranti quelle del primo ministro e del marchese di Crewe. Tutte queste dichiarazioni chiare, precise ed eloquenti non hanno bisogno di commenti. Esse vengono in sostanza a confermare le impressioni che, sulle disposizioni generali di questo Governo circa la vessata questio delle relazioni anglo-germaniche io, avevo sottoposto a V.E. in varii miei rapporti specie in quello n. 188/42, del 20 gennaio u.s2 .

I capisaldi della politica inglese verso la Germania lo si rileva ancora meglio dal secondo discorso di Manchester nel quale sir. E. Grey ha messo anche più i punti sugli i si possono dunque riassumere così. L'Inghilterra non ha intenzioni aggressive contro la Germania della quale non mira punto ad arrestare la naturale espansione e con la quale sinceramente desidera mantenere cordiali relazioni basate sulla reciproca fiducia. L'Inghilterra però non intende abbandonare le intese e le amicizie stabilite con altre Nazioni, né in alcun modo di rinunziare alla sua supremazia sul mare, che per essa rappresenta una questione vitale. Su questo ultimo punto il linguaggio molto esplicito di sir E. Grey ha ribadito, per quanto con maggior tatto e migliore forma, i principi fondamentali enunciati a Glasgow dal primo lord dell'Ammiragliato. La frase adoperata in quell'occasione dal signor Wiston Churchill per illustrare il suo concetto, e cioé che una potente marina era per la Germania solo «un lusso» fu unanimamente giudicata fuori di proposito, sia per la forma infelice sia per il fatto dell'essere essa stata pronunziata durante la presenza di lord Haldane a Berlino. La frase non risponde meno però al pensiero esatto di quello che qui si chiama the man in the street. Comunque dal discorso del cancelliere germanico e dall'insieme delle dichiarazioni qui avutesi, vi ha ogni motivo di ritenere che, grazie alla massima franchezza cui si sono inspirate le conversazioni di Berlino, si è riesciti quanto meno a «rompere il ghiaccio», ed a dare un migliore avviamento alle relazioni anglo-germaniche. Si tratta tuttavia di un semplice «avviamento» ed è prudente prima di cantar vittoria, che il miglioramento prenda maggior consistenza. Occorrerà a ciò del tempo e giova augurarsi che non sorgano intanto altri piccoli incidenti che, esagerati ed ingranditi dalla stampa dei due paesi, della Germania specialmente tuttora in preda a non trascurabile nervosità, potrebbero ad un tratto arrestare in sul nascere l'opera risanatrice e provocare nuovi e più gravi malumori.

675 1 Non si pubblicano gli allegati. 2 Cfr. n. 624.

Per quanto concerne la Francia, dove a giudicarlo dalla recente discussione in Senato, e da altre circostanze, si direbbe cominci ad introdursi un esprit nouveau non troppo rassicurante per gli amici della pace, l'iniziato miglioramento delle relazioni anglo-germaniche, nei limiti in cui è stato qui chiaramente definito e precisato non dovrebbe cagionare in massima ragionevole e fondato malumore. Esso però, a mio modesto avviso, non può non dare a riflettere al Governo della Repubblica.

Tutto lascia presumere, di fatti, che, se le direttive della politica francese si manterranno modeste e pacifiche, nessun pericolo può minacciare l 'Entente Cordiale. Se per contro nel caso di sempre possibili divergenze con la Germania circa la esecuzione dell'accordo recentemente stipulato, si facesse sentire in modo più tangibile, da parte francese, quello spirito d'intransingenza di combattività del quale si sono mostrati animati i più eminenti parlamentari francesi, non è da escludere che un contegno irritante della Francia verso la Germania, lungi dall'essere incoraggiato, provocherebbe qui sensibile malcontento. Conviene al riguardo tener presente due fatti: l) che qui il sentimento generale è che nella recente transazione marocchina la Francia ha fatto un affare ottimo, assai migliore di quello fatto dalla Germania, e che tale successo la Francia deve se non totalmente certo nella massima parte al vigoroso appoggio prestatole dall'Inghilterra; 2) che, se a quest'ora si vanno qui dimenticando i maneggi e gli intrighi del signor Caillaux, l'impressione da essi destata è stata profonda, oltremodo sgradita, ha cagionato a tutti senza eccezione stupore e vivace mantenimento ed ha ancora più contribuito ad acuire il risentimento contro il Governo per il constatato pericolo corso dal paese, di trovarsi impigliato in una grossa avventura per motivi non perfettamente afferrati dal grosso pubblico. In altri termini se l'Inghilterra si mostrò, e credo si dimostrerebbe ancora pronta ad accorrere in aiuto della Francia «aggredita» da uguali disposizioni non sarebbe certo animata il giorno in cui l'«aggredito» tendesse a trasformarsi in «aggressore».

Un'altra conseguenza potrebbe a mio avviso scaturire dalla detente anglotedesca, datcJ che essa prenda corpo e conduca col tempo a quel riavvicinamento oggi ancora in fieri, è che la Francia non potrebbe più in avvenire profittare dell'Entente Cordiale per esercitare quella influenza preponderante che per forza delle circostanze essa ha, negli ultimi due anni in ispecie, potuto spiegare, grazie all'abilità ed al tatto del signor Cambon, sulla politica generale dell'Inghilterra. La quale, dato sempre che le riesca di consolidare le sue buone relazioni con la Germania, verrà a poco a poco ad acquistare maggiore elasticità e più larga libertà di azione, scopo questo, non tra i meno importanti che, secondo mi risulta, il Governo britannico mirava a conseguire, e che lo hanno determinato quindi ad adoperarsi per porre termine alla incresciosa e senza dubbio pericolosa tensione colla Germania.

Per quanto concerne la Russia, non vedrei motivi per cui l'eventuale riavvicinamento anglo-germanico possa nella situazione attuale, riescire sgradito al Governo imperiale, riterrei invece che, tutto compreso esso dovrebbe essere salutato con soddisfazione.

676

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 562/259. Parigi, 21 febbraio 1912 (per. il 27).

La Francia, che ha seguito sempre con vivo interesse il problema delle comunicazioni ferroviarie fra le sue colonie africane, ha organizzato ora una nuova missione di esplorazione e di indagini incaricata degli studi preparatori per la vagheggiata ferrovia transafricana.

La missione, che lascerà Algeri nel prossimo marzo, è diretta dal capitano Nieger coadiuvato dal capitano Cortier, l'uno e l'altro praticissini del Sahara, e composta dagli ingegneri Monseran, Dubuc, Nemorin. Provvederanno alla sua protezione, entro i limiti del territorio algerino, i meharisti della compagnia di Tidikelt, e nell'Africa Occidentale speciali colonne di meharisti del Sudan, al comando sempre del tenente d'artiglieria coloniale Latibe.

La missone si occuperà anzitutto del tracciato che la ferrovia deve seguire nella valle del Niger. Così, giunta a Colomb-Pechar, si porterà, attraverso la valle della Saoura e dell' Adrar, alle oasi sahariane del Tidikelt; poi, attraversata la valle dell'Oued Djaret, risalirà l'Oued Tesaret fino alla sorgente spingendosi fino al gruppo dell' Ahagar. Qui, dal grosso della missione che andrà ad Inguerram ed Agades e poi fino a N'Guimi sullo Tchad, si staccheranno due suoi membri, che dovranno raggiungere la valle del Niger, girando il Tassili dello Adrar e seguendo all'ovest il gruppo dell' Adrar nigerino.

Ho detto che la Francia ha sempre vagheggiata l'idea d'una ferrovia transafricana: ma, a parer mio, la maggior spinta all'organizzazione sollecita di questa nuova missione sta nelle parole che io so pronunziate da un alto delegato tunisino: «Nous apprenons qu'il y a déjà entente entre l'Allemagne et l'Italie pour la construction d'un chemin de fer Tripoli-Togo. Hàtons-nous donc de nous mettre à l'oeuvre pour exécuter au plus tòt, car il est déjà tard, le Bizerte-Bougrara-Capetown. Laissons pour plus tard, si nous voulons, l'Arzew-Tchad. Ne pas agir ainsi serait un acte de trahison envers la France».

Nell'ultimo discorso pronunziato dall'onorevole Pichon, havvi un accenno allo stesso argomento, ma l'egregio uomo sembra aver dimenticato un elemento di fatto, che pure ha la sua importanza, e che cioé la linea italiana non può congiungersi a quella tedesca senza passare per il territorio francese 1•

676 1 Annotazione di San Giuliano: «Copia a Giolitti, Spingardi e Caneva. Rispondere che non esiste alcuna trattativa colla Germania per la ferrovia Tripoli-Toga». In base a tali istruzioni venne redatto il D. riservato s.n. del 12 marzo, non pubblicato.

677

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, A COSTANTINOPOLI, NOGARA, ALL'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, VOLPI

L. Costantinopoli, 21 febbraio 1912.

Ho cercato di riassumere oggettivamente il pensiero del ministro della guerra col telegramma di ieri, colla presente le darò maggiori dettagli, premettendo che è un ministro della guerra che parla.

Egli dopo aver ascoltata la mia difesa del principio dell'annessione, basata sulla necessità che chiusa questa parentesi africana non esistano più ragioni di conflitto fra i due Paesi, ma ragioni di leale amicizia risposemi: ebbene, se l'Italia vuole annettere le nostre provincie cominci col conquistarle, oggi essa non possiede che alcuni punti della costa e questo fatto non giustificherebbe da parte del Governo turco il riconoscimento dell'annessione. La situazione militare poi dell'Italia nelle due provincie è ora !ungi dall'essere difficile per le truppe indigene. Queste, nei cinque mesi decorsi, vennero istruite ed allenate alla guerra, cosicché come ministro della guerra egli si dichiara orgoglioso della disciplina al fuoco e del valore della piccola armata che stanno di fronte alle città occupate dagli italiani. Il servizio di approvigionamento delle truppe indigene è ormai organizzato ed esse non mancano neppure di esplosivi o munizioni che in parte esse si fabbricano sul posto, importando gli elementi necessari alla fabbricazione. Queste truppe poi sono destinate ad avere un considerevole rinforzo organizzato dal capo dei Senussi e dal medesimo spedito in Cirenaica. La guerra che si combatte contro l'Italia, non è una guerra della Turchia ma una guerra dell'islamismo, ed è per questo che fornisce denaro ed uomini. In queste condizioni, una pace coll'Italia sulla base dell'annessione non può essere fatta da nessun governo.

Gli ho quindi parlato del progetto dell'indipendenza delle provincie africane. Egli mi dichiarò che data la situazione interna dell'Impero ottomano la proclamazione dell'indipendenza delle provincie africane aprirebbe la porta ad altre indipendenze. Naturalmente intendeva accennare allo Yemen, Assyir, Hedjaz e Siria che dovrebbero dichiararsi indipendenti da Costantinopoli. Secondo lui la proclamazione dell'indipendenza della Tripolitania e Cirenaica, porterebbe con sé la scissione dell'Impero ottomano, quindi tale metodo per far cessare le ostilità, non è considerato pratico.

Mahmoud Chevket non conosce dove si possa trovare un terreno di intesa fra le due parti: non il denaro perché la Turchia non vende le sue provincie. Secondo lui, il terreno d'intesa non può nascere se non da complicazioni balcaniche, che sono improbabili ma che potrebbero nascere.

Ma l 'Italia, egli aggiunge, non ha nessun interesse a sollevare la questione d'Oriente perché sarebbe risolta contro l'Italia non potendo essa pesare sulla bilancia internazionale. Del resto la Turchia si prepara da sei mesi a far fronte a qualsiasi complicazione nei Balcani.

Secondo Mahmoud Chevket, nemmeno la questione finanziara può inquietare la Turchia perché non ha che da cercare i capitali e subito li trova, mentre l'Italia si troverà presto a disagio fra le crescenti spese della guerra; e qui ripete che secondo sue informazioni (le conosciamo) l'Italia ha già speso più di 800 milioni.

Aggiunge poi una pittura dell'esercito italiano affaticato, spossato dalle malattie e disagi, decimato dai combattimenti, asserendo ancora, secondo sue informazioni, che più di 10.000 sono i soldati morti a tutt'oggi in Africa.

Terminò augurandosi che l'Italia si accontenti di ammettere i punti della costa attualmente occupati, lasciando il resto alla Turchia ma non disse se libero o protettorato.

Quanto alla questione dei privilegi di ordine religioso da accordarsi ai mussulmani, affermò che essi non sono un compenso ma un dovere di ogni governo civile.

678

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1302/24. Pietroburgo, 22 febbraio 1912, ore 16,49 (per. ore 19,20).

Sazonow mi ha parlato oggi di un progetto del Governo ottomano alle Potenze contro progetto nuovamente attribuito all'Italia di una azione navale nell'Egeo e nei Dardanelli. Qualora questo progetto si effettuasse, Turchia minaccia trattare tutti i sudditi italiani nell'Impero come prigionieri di guerra e di chiudere ermeticamente stretti. Sublime Porta (?) 1 fin[isce] con invocare un'azione energica delle Potenze a Bema in vista di prevenire quest'azione navale. Sazonow ha risposto a Turkhan pascià non avere alcuna notizia di tale intenzione dell'Italia, ma che, se ciò fosse vero, non avrebbe tale (?) 1 motivo di opporvisi, come non si opporrebbe neppure quando Turchia fosse, dal canto suo, in grado di intensificare sua azione militare contro Italia. Minacciate rappresaglie contro sudditi italiani provocherebbero contro Turchia disapprovazione di tutto il mondo civile, mentre chiusura degli stretti offenderebbe in primo luogo Russia. In quanto ad un'azione delle Potenze a Roma nel senso desiderato dalla Turchia, egli non la crede compatibile coi doveri di neutralità e la sola cosa che potesse consigliare al Governo ottomano era di chiedere francamente la mediazione delle Potenze, le quali, a suo parere, non sarebbero aliene dali' accordarla.

678 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

679

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 1348/127. Costantinopoli, [23] febbraio 1912 (per. ore 17 del 24) 1.

Nella nota alle Potenze di cui il telegramma n. 122, della r. legazione Sofia2 , oltre a considerare italiani residenti in Turchia come prigionieri di guerra in caso di una azione navale italiana, Governo ottomano minaccia pure i campi di concentramento. Marschall considera queste misure come offesa alla Germania che ha assunto protezione dei regi sudditi nell'Impero. Stamane egli ha ricevuto telegramma da Berlino che gli dà istruzioni di fare tutto ciò che è possibile per impedire tali misure.

680

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 556/255. Parigi, 23 febbraio 1912 (per. il 26).

Ringrazio l'E.V. per il dispaccio a margine ricordato 1 , al quale andava unito l'estratto d'una lettera direttale dal signor de Bondini intorno alle finanze ottomane.

Per quanto concerne la concessione di denaro alla Turchia da parte del capitale francese, è per il momento inutile spiegare qui alcuna azione diretta ad ostacolare ciò.

Si può piuttosto contare sulla prudenza dell'alta finanza, la quale è poco disposta ad impegnarsi colla Turchia sinché duri la guerra.

Fa d'uopo, d'altra parte, osservare come nel mondo finanziario si tragga ora partito contro di noi anche dal fatto dell'iscrizione all'ordine del giorno del disegno di legge del monopolio sulle assicurazioni, benché sappiasi che l'eventuale accoglimento di tale monopolio non leda gran che gli interessi francesi.

Desidero, comunque, assicurare V.E. che io continuerò, come per l'addietro, a vigilare, ma m'è pur necessario usare la massima circospezione.

2 T. 1292/122 del 22 febbraio, non pubblicato.

679 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 24, ore 2,30.

680 1 D. Gab. 24, del 18 febbraio, non pubblicato

681

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 310/66. Budapest, 23 febbraio 1912 (per. il 28).

Il conte Berchtold con l'accettare la carica di mm1stro comune degli affari esteri ha procurato all'Ungheria una sorpresa in definitivo piuttosto gradita. Sebbene da tempo e più specialmente dal momento in cui le condizioni della salute del conte d'Aehrenthal andarono progressivamente peggiorando il nome suo venisse fatto come quello di un possibile candidato alla di lui successione, tuttavia lo stesso conte Khuen-Hédervary (mi risulta in modo positivo) fino a due giorni avanti la nomina effettiva del conte Berchtold e gli stessi suoi parenti non credevano possibile che egli, anche se invitato da Sua Maestà avrebbe finito con l'accettare l'onorifico incarico. E anche oggi i suoi stessi famigliari dubitano che egli possa a lungo sostenere il peso a cui si è sottoposto sia perché il suo sistema nervoso non è tale da poter reggere ad un intenso e continuato lavoro, sia perché il giorno in cui cominciassero gli intrighi di certi circoli viennesi a rendergli la vita difficile, come la fecero al conte d'Aehrenthal, il conte Berchtold non tarderebbe molto a ritornare volontariamente alla sue preferite occupazioni domestiche sulle sue terre.

Ma se anche giunta di sorpresa (sorpresa che praticamente si spiega con la rapidità della decisione imperiale a favore del conte Berchtold o il ritardo che si usa abitualmente a Vienna nel porre questo Governo a parte degli avvenimenti che interessano la politica estera della duplice Monarchia), la nomina del conte Berchtold è stata qui gradita. Sebbene la famiglia sia originaria del basso Tirolo, sebbene egli abbia servito nella Landwehr austriaca e sebbene non parli la lingua ungherese in modo da potersi presentare senza titubanza dinanzi alla delegazione ungherese, tuttavia è suddito ungherese e ciò basta per renderlo qui ben accetto ai più.

La stampa pure ha fatto al nuovo ministro buona accoglienza e con benevola aspettativa ne prosegue i primi atti. E la Budapester Presse si è affrettata a pubblicare uno schizzo sul programma politico del nuovo ministro, schizzo che il giornale dice venirgli da fonte competente o che mi sembra opportuno qui riprodurre testualmente: «Il mantenersi fedele alla politica attuale della Monarchia rappresenta per il conte Berchtold non solo il rispetto alla tradizione, ma anche un proprio convincimento. Questa politica è entrata nel suo sangue e l'esperienza fatta finora nella sua carriera gli impone il proseguimento e l'approfondimento della politica di alleanza della Monarchia di fronte alle altre due Potenze della Triplice e il rafforzamento dei vincoli di amicizia con le altre Potenze. Uniformandosi alla volontà del sovrano e alle intenzioni del conte d'Aehrenthal, il nuovo ministro degli esteri porrà tutta la sua forza per rinnovare la Triplice Alleanza e per proseguirla fino a completa maturità. Seguendo queste direttive il conte Berchtold al suo ingresso nel Ministero degli esteri ha diretto a Roma quel telegramma che nell'opinione pubblica dei tre paesi alleati è stato considerato come una manifestazione di pace e al quale il marchese di San Giuliano ha risposto con parole piene di speranza. I nuovi scopi della politica estera italiana, simpaticamente salutati dai due alleati, creeranno nuovi politici rapporti tra l'Italia e l'Austria-Ungheria, rapporti che arricchiranno il contenuto dell'alleanza e coopereranno a renderla sempre più stretta. Questo era il convincimento del conte d'Aerenthal che oramai è diviso da tutti i fattori della politica estera austroungarica. Il compiere in questo senso l'opera cominciata dal suo predecessore sarà lo scopo alla cui realizzazione il conte Berchtold si dedicherà interamente. Questo solo già basta per aprire un largo campo di lavoro all'attività del nuovo ministro. Ma il conte Berchtold ha un altro compito immediatamente dinanzi a sé. La sua carriera, il suo soggiorno in Pietroburgo come ambasciatore, le sue relazioni con la società russa hanno dato origine in tutta l'Europa all'opinione che egli sia chiamato a rendere più intimi i rapporti con la Russia.

Ciò è assolutamente vero. Soltanto sembra che l'opinione pubblica europea sarebbe alquanto unilaterale se considerasse questo scopo come un suo compito esclusivo. Certamente il conte Berchtold si adopererà in questo senso e in ciò profitterà dei risultati dell'azione da lui svolta finora. Soltanto un più intimo riavvicinamento alla Russia domanda a questa che dimostri di nutrire uguali buone disposizioni verso l'Austria-Ungheria. Il giornale rammenta a questo proposito come i predecessori del conte Berchtold, pur avendo lo stesso desiderio al momento in cui assumevano la direzione della politica estera della duplice Monarchia, finirono poi col trovarsi costretti ad un antagonismo con la diplomazia russa. Il conte Berchtold non potrà quindi fare campo esclusivo della propria attività quelle relazioni nelle quali le migliori disposizioni dei suoi predecessori non trovarono la meritata accoglienza. Il conte Berchtold poi terrà conto delle esigenze della situazione internazionale. Egli è convinto che un uomo di Stato moderno può fare una buona politica soltanto quando d'uno sguardo abbracci tutti gli avvenimenti della politica mondiale dai quali egli può trarre vantaggi per il suo paese».

In ordine poi ai cambiamenti che hanno accompagnato la nomina del conte Berchtold, la stampa lamenta le necessarie dimissioni del barone Burian, determinate, come qui si crede, non tanto dalla circostanza che due ungheresi si sarebbero trovati a far parte del Ministero comune, quanto piuttosto dal vedersi questi escluso da quella successione nel Ministero imperiale e reale degli esteri da lui vivamente desiderata. Alla uscita poi dal Ministero esteri di un altro ungherese il conte Esterhazy, qui non viene dato altro valore che quello di una misura burocratica. Del resto già da tempo qui si sapeva che i rapporti tra lui e il conte d'Aehrenthal non erano più improntati a quella cordialità di cui lo rendevano degno dei servigii da lui resi al suo capo. Anche se questi fosse vissuto, il conte Esterhazy avrebbe lasciato il suo posto nel ministero. Egli l 'ha abbandonato ora col grado di ambasciatore, ed è opinione dei più che ben presto gli riuscirà ottenere effettiva quello che vivamente desidera, la direzione di un ambasciata imperiale e reale.

682

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 248/27. Pietroburgo, 24 febbraio 1912, ore 22 (per. ore 1,40 del 25).

Il signor Sassonoff mi ha detto oggi che il Governo britannico si era indirizzato a tutte le Potenze proponendo di fare un passo collettivo a Costantinopoli in favore della pace. Secondo Grey le Potenze avrebbero dovuto chiedere amichevolmente al Governo ottomano di affidarsi a loro per arrivare alla conclusione della pace. Sassonoff lieto di questa iniziativa inglese ha risposto obiettando che in questa forma il passo progettato non sarebbe certamente riuscito, perché il Governo ottomano, pure aderendo, avrebbe messo come prima condizione il ritiro del decreto di annessione e avrebbe contemporaneamente chiesto quali compensi avrebbe dato l 'Italia; gli ambasciatori a Costantinopoli allora mentre dovevano sostenere l 'irresponsabilità del decreto non sarebbero stati in grado di far conoscere gli eventuali compensi che siamo disposti a dare. Ha proposto perciò che le Potenze si rivolgano prima a Roma, chiedendo sotto quali condizioni il Governo italiano sarebbe disposto a concludere la pace, e, queste conosciute, si sarebbero potute intavolare le trattative a Costantinopoli. Come mia idea personale osservai che degenera (?) 1 la mala fede dei Giovani Turchi, questa procedura poteva far credere che l'iniziativa venisse dall'Italia, cosa che per ovvie ragioni bisognava evitare. Sassonoff trovò giusta la mia osservazione, ma replicò che tale eventualità era assolutamente da escludersi, perché il Governo ottomano aveva già conoscenza dell'iniziativa inglese, e perché il passo da fare a Roma secondo il suo concetto doveva restare segreto.

Sassonoff mi disse infine che Grey aveva accettata la modificazione da lui proposta.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA AVARNA

T. GAB. SEGRETO 280. Roma, 25 febbraio 1912, ore 13,25.

Ieri ho conferito con Jagow sulla probabile estensione delle nostre operazioni navali nell'Egeo gli ho detto che noi non la desideriamo, ma che potrebbe presentarsene la necessità nello interesse nostro, dell'Europa intera e della Turchia

stessa, per porre fine alla guerra. Quando tale necessità fosse dimostrata, e la nostra azione ben determinata a tale scopo, l'Austria non avrebbe interesse ad opporvisi, e Kiderlen potrebbe come promise, cominciare a tastare il terreno presso Berchtold. Intanto gioverebbe molto se egli ottenesse dali' Austria che facesse conoscere a Costantinopoli che, se l'Italia vorrà compiere tali operazioni, né l'Austria né le altre Potenze vi si opporranno. Forse il saper ciò potrebbe influire sulle disposizioni ancora intransigenti della Turchia, e rendere superflue le operazioni stesse.

Jagow promise di telegrafare in questo senso al suo Governo. Egli crede che la sola azione efficace sarebbe ai Dardanelli; che l'Austria forse non vi si opporrebbe se ne fossero dimostrate l'efficacia e la necessità, e che non si opporrebbe ad un nostra azione a Smirne, la quale però egli crede inefficace.

Egli stima pure che l'Austria si opporrà sempre ad una nostra azione a Salonicco, e che in ogni modo, quanto ad operazioni nell'Egeo in genere, sarà difficile a Berchtold mostrarsi più arrendevole che Aehrenthal.

Gli ho anche parlato dell'attitudine di Marschall che Jagow nega, e di un posssibile viaggio per conferire a Berlino di Marschall, che egli stima difficile a cagione dell'età e della salute di quest'ultimo.

682 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO 290. Roma, 26 febbraio 1912, ore 21.

Trasmetto il seguente telegramma di S.E. il presidente del Consiglio a V.E.: «Credo mio dovere dirti che qui in Italia essendosi conosciuto per molte notizie venute da Costantinopoli che la resistenza turca è incoraggiata dall'ambasciatore Marschall, si va determinando nella opinione pubblica una corrente ostile alla Germania, che molto mi preoccupa. Tu sai che i partiti estremi qui lavorano per l'accordo colla Francia; è quindi necessario che l'azione della Germania non appaia meno amichevole di quella della Francia in una questione, come quella di Tripoli, che eccita vivamente tutte le classi sociali, o che è considerata ora in Italia come di gran lunga più importante di tutte le altre questioni di politica internazionale. Ti raccomando il massimo impegno per evitare che una grave decisione della pubblica opinione possa avere conseguenze funeste. Presidente Consiglio Ministri: Giolitti».

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. 34. Roma, 26 febbraio 1912 (per. il 27).

Ho preso conoscenza della tua lettera 17 corrente1 , nonché di quella del 15 del ministro della guerra2 con la quale si domanda di render noti a Sidi Saied Zafer el Madani i patti da noi conclusi con Sidi Mohamed ben Abdalla Zafer el Madani per il caso che gli riuscisse a farsi riconoscere capo dei Madani e venisse a stabilirsi a T ripoli.

Sono a te note le condizioni attuali della Congregazione religiosa dei Madania, la quale svolge principalmente la sua azione in Tripolitania, dove sono, la zauia principale, la tomba del fondatore, e, in Tripoli stesso, uno dei pretendenti alla direzione suprema. In Cirenaica la sua importanza è piccola in sé, e non conviene attribuirtene una maggiore anche per non eccitare gelosie inopportune tra i senussiti, i quali considerano quella regione quasi un territorio loro riservato.

Ciò posto, mentre non potevo che lodare l'invio fatto dal generale Briccola, di sidi Saied Zafer el Madani in Egitto, affinché di là tentasse di penetrare in Cirenaica a farvi propaganda a nostro favore, non mi pare altrettanto pratico, ora che a questo suo tentativo ha dovuto rinunciare, di fronte alla missione affidata a due nuovi parenti da sidi Ibrahim el Madani di Costantinopoli in pro dei turchi, un suo viaggio a questa città per una nuova missione che non ha alcuna probabilità di riuscita e per la piccola importanza della sua persona e della sua influenza, e perché sidi Ibrahim è di già apertamente compromesso con la Turchia.

E quand'anche della riuscita fosse sicuro non è da dimenticare che sidi Ibrahim è solo uno di quattordici fratelli, tutti viventi a Costantinopoli, tutti presso a poco nella stessa posizione riguardo la Confraternita, tra i quali i turchi potrebbero, non appena nota la sua defezione, trovargli subito un successore.

A te poi sono anche note le offerte che S.A. il Kedivè ci ha fatto, nel caso che avessimo reputato opportuno guadagnarci l'animo di sidi Ibrahim el Madani, offerta che abbiamo lasciato cadere, anche di fronte alle ripetute assicurazioni venute dal Comando in capo di Tripoli sulla poca importanza della Congregazione Madanita in questo momento.

Non crederei poi opportuno comunicare al Saied Safer le condizioni stipulate con sidi Mohamed ben Abdalla per un riguardo verso costui, che si troverebbe esposto a non dubbie rappresaglie quando un tale accordo venisse a trovarsi, più

o meno, di pubblica ragione.

685 1 D. 111, non pubblicato. 2 Non pubblicata.

Miglior consiglio sarebbe considerare definitivamente fallita la missione di sidi Saied Safer, e farlo rientrare in Bengasi dove la sua presenza potrebbe tornare più utile. Con questo ritorno egli verrebbe anche a dissipare i dubbi sollevati, intorno alla sua buona fede, da qualcuno che gli attribuisce il disegno di fare, a poco a poco, uscire la sua famiglia da Bengasi, per chiarirsi poi a noi apertamente contrario.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1442/GAB. SEGRETO 32. Pietroburgo, 27 febbraio 1912, ore 16,49 (per. ore 19) l.

Sazonow, in una conversazione generale avuta meco sulla guerra, mi disse risultargli che contrabbando di guerra a nostro danno continuava essere esercitato. Avendo chiesto se gli risultava qualche fatto, preciso, egli, dopo certa esitazione, mi rispose affermativamente.

Avendo col dovuto tatto insistito perché mi comunicasse quanto sapeva, mi disse che con un suo amico personale poteva uscire dai doveri della neutralità imposti al ministro e mi diede poscia lettura di un rapporto del console russo ai Dardanelli, nel quale era esposto quanto segue: «Organizzatore del contrabbando da guerra a Costantinopoli è certo Buchanan pascià; un americano. Non molto tempo fa egli noleggiò il "Maggi Creh" della Compagnia inglese di salvataggio dei Dardanelli. Vi furoro caricate 250 tonnellate di contrabbando di guerra consistenti in fucili, munizioni, mitragliere e denaro e imbarcati tre generali e ventinove soldati tutti travestiti da marinai inglesi. Contrabbando di guerra era in casse di zinco ben saldate e ricoperte di altre mercanzie. Arrivato vicino a Malta, detto battello trasbordò uomini e carico sul yacht inglese "Dorotea" che poté arrivare indisturbato vicino a Sfax. Le casse furono gettate a mare in sito poco profondo da dove poi vennero ritirate da arabi ed i ventinove soldati poterono sbarcare in un punto della costa. Sbarcarono anche due generali che si chiamano Husni e Salik. Buchanan sbarcò Malta e terzo generale ritornò a Costantinopoli. Il "Maggi Crech", nel suo viaggio di ritorno, fu visitato da due torpediniere italiane e lasciato libero, perché si era già liberato dal contrabbando di guerra». Tutto ciò fu raccontato dal capitano della detta nave al console di Russia.

Sembrerebbe che questo modo di esercitare il contrabbando di guerra sia stato praticato altra volta e non è da escludere che si tenterà ancora. Sazonow, a mia richiesta, mi permise prendere appunti mentre leggeva rapporto console. Comunico quanto precede a VE. per provvedimenti del caso, facendo

sicuro affidamento sopra assoluta segretezza quanto alla fonte da cui queste notizie provengono.

686 1 In testa al documento: «Recapitato dal Gabinetto di S.E. il ministro alle ore 8 del giorno 28».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB. SEGRETO 303. Roma, 27 febbraio 1912, ore 21.

Mi riferisco alla lettera personale di V.E. 1 . Non v'ha dubbio che le due cannoniere già varate a Havre per conto del Governo turco cadono sotto il disposto dell'art. 8 della XIII Convenzione dell'Aja del 18 novembre 1907. E lo stesso deve dirsi della cacciatorpediniera ormeggiata a Tolone, cui riferivasi il telegramma di V.E. Gabinetto n. 1072 .

V.E. potrà quindi, senza fame oggetto di formale rimostranza, esprimere al signor Poincaré la nostra convinzione che il Governo francese, in omaggio alle norme tracciate nel detto articolo, non mancherà di impedire l'armamento e l'equipaggiamento delle tre navi, e in ogni caso, di opporsi alla loro partenza. Ciò non limita il nostro diritto di catturarle o distruggerle se le rr. navi le incontrano in mare libero o ottomano.

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IL CONSOLE GENERALE E TUNISI, BOTTESINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1192/95. Tunisi, 27 febbraio 1912 (per. il 2 marzo).

Duolmi comunicare a V.E. che, malgrado il ritorno del presidente signor Alapetite, la situazione non accenna a migliorare, dirò, anzi, che tende sempre più a peggiorare.

La campagna dei giornali francesi, sopratutto, continua più violenta che mai contro di noi; ben più, o non risponde, come l'ufficiosa Dépeche Tunisienne, alle avances amichevoli e serene del nostro giornale l'Unione, invitanti alla calma e alla pacificazione degli animi, oppure come il Courrier de Tunisie che qui è considerato organo sotto-ufficioso del Governo del Protettorato, considera quell'attitudine riservata e pacifica, come ipocrita, equivoca e peggio, e risponde nel modo che si vede negli

687 1 Non rinvenuta. 2 T. Gab. 857/107 del 5 febbraio, non pubblicato.

uniti articoli. Così tutti gli sforzi che da noi si fanno, cadono nel vuoto, e gli animi si inaspriscono sempre più, facendo seriamente temere guai peggiori, per l'aizzamento continuo, che i giornali francesi fanno dell'elemento arabo contro di noi, togliendo pretesto dalle cose più insignificanti ed estranee perfino all'attuale guerra.

Così in questi giorni un nostro connazionale è stato assassinato da arabi, che tentarono invadere anche la sua casa, minacciando di morte la famiglia.

L'esasperazione dei nostri è al colmo, così da farmi temere che io non possa più oltre contenerla, malgrado intervenga in tutti i modi con parole di prudenza, di calma e di pazienza: ma sono oltre tre mesi che tale stato di cose dura, e dinanzi a tante provocazioni e a tanto vituperio di noi e delle nostre cose, anche la più longanime pazienza può avere un limite. Le associazioni cittadine si agitano, discutono, fanno ordini del giorno e vengono da me perché le tranquillizzi e rassicuri, ed io non so più che fare per dar loro quelle soddisfazioni, che vivamente reclamano.

Insistentemente pregato, ho l'onore di trasmettere all'E.V. due ordini del giorno votati recentemente da un'associazione operaia e dalla società magistrale, la mente e il braccio, per così dire, di questa nostra Colonia1•

Io rinnovo le mie visite alla residenza, come presso il generale Pistor, rappresentando la gravità della situazione e l'urgenza di un rimedio; ma, debbo con dolore constatarlo, senza risultati tangibili. Mi si fanno continue promesse, mi si danno assicurazioni, ma, eccetto qualche misura di ordine pubblico, non veggo che nulla si faccia sul serio per rimuovere le cause, che questo ordine pubblico turbano continuamente.

Basterebbe che s'imponesse ai due organi più o meno ufficiosi, la Dépeche Tunisienne e il Courrìer de Tunisie di cessare questa indegna gazzarra di menzogne e malafede, perché gli animi si rasserenassero e a poco a poco tutto rientrasse in una calma, almeno relativa. Ma, invece tutto va come prima, malgrado la presenza del signor Alapetite.

Inesplicabile, poi, veramente è la campagna accanita, violenta, incessante contro la nostra Unione, che tenne e tiene un contegno riservato, prudente, quale non era forse neppure da sperarsi dinanzi a tante provocazioni. Si fece e si fa sempre un gran caso di due o tre articoli di parecchie settimane fa, ove fece capolino un po' di reazione, e non si tiene alcun conto degli articoli recenti in cui si predica in tutti i modi la calma, la prudenza, la serenità, e si fa appello agli antichi sentimenti di pace, di concordia, di fiducia reciproca e di piena fede nelle autorità del Protettorato.

E siccome so che si è riusciti, tanto a Parigi che a Roma, a far credere il contrario, e cioé che siamo noi i provocatori, che siamo noi, che è l'Unione la causa del presente deplorevole stato di cose, così credo opportuno trasmettere all'E.V. gli ultimi numeri della Dépechè del Courrier ed anche della nostra Unione onde si veda da che parte stia la ragione.

Non mando che gli ultimi numeri, ma conservo tutta la collezione a disposizione di V.E.

Prego l'E.V. di voler mandar copia del presente rapporto alla r. ambasciata a Parigi, non osando io mandarlo per la posta, avendo ragione di credere che le mie lettere siano aperte.

688 1 Non si pubblicano gli allegati.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 265/138. Parigi, 28 febbraio 1912, ore 21,15 (per. ore 23,30).

Telegramma di V.E. 295 1 , 3122 e 9803 . Non posso dissimulare a V. E. la sfavorevole impressione che mi ha fatto la riserva di Berchtold di non associarsi alla proposta russa se non nel caso sia compatibile coi doveri della neutralità. Tale riserva posta in raffronto con quanto pubblicano i giornali austriaci anche quelli a noi favorevoli fa qui ritenere che sia inutile pensare al concorso dell'Austria per un passo energico delle Potenze verso la Turchia. Si ritiene che con quella riserva Berchtold abbia voluto conservare una via per sottrarsi al momento opportuno. Impressione sfavorevolissima mi ha fatto le rimostranze di Berchtold e Mérey circa Beirut pel mendicato protesto di immaginari interessi austriaci in quella città. Tale pretesto non potendo essere ammesso, malgrado la miglior buona volontà, pare debba piuttosto interpretarsi come un avvertimento larvato di contrarietà austriaca a qualunque ulteriore azione italiana nell'Egeo.

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IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 538/161. Il Cairo, 28 febbraio 1912.

Durante una visita che ho fatta ieri al kedive, Sua Altezza mi disse che il Governo ottomano aveva mandato a Medina lo sceriffo Haidar.

Questo sovrano non si spiega bene i motivi che possono aver determinata la Sublime Porta a scegliere per quel posto un uomo che è notoriamente l'avversario dello sceriffo Hussein della Mecca; spera tuttavia che quest'ultimo abbia a provare del risentimento per siffatta scelta e che ciò contribuisca ad accrescere la difficoltà

2 T. 312 del 21 gennaio, non pubblicato.

3 T. 980 del 27 febbraio, non pubblicato.

delle situazione in Arabia. Il kedive si è affrettato a mandare un apposito messo alla Mecca per far conoscere l'invio di sceriffo Haidar a Medina. Comunico quanto precede a V.E. a titolo d'informazione confidenziale, ...

689 1 T. 295 del 20 gennaio, non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 326. Roma, 3 marzo 1912, ore 0,50.

Trascrivo, per informazione personale di V.E., una comunicazione confidenziale fattami oggi da questo ambasciatore d'Austria-Ungheria: «Il 29 febbraio, l'ambasciatore d'Inghilterra a Vienna consegnò al conte Berchtold una memoria così concepita: "È certo che il commercio internazionale subirebbe gravissime perdite, nel caso che il Governo ottomano decidesse, come misura di difesa, di chiudere con mine sottomarine i Dardanelli. Sir E. Grey desidera sapere se il Governo imperiale e reale giudicherebbe opportuno che i rappresentanti delle Potenze chiedano al Governo italiano se sarebbe disposto ad assicurare che nessuna operazione militare sarà intrapresa nei Dardanelli o nelle acque vicine". Berchtold si proponeva rispondere a Cartwright aver egli ragione di credere che il Governo italiano non consentirebbe a simile dichiarazione, e soltanto ove ciò non fosse, essere egli disposto a entrare in uno scambio d'idee in proposito cogli altri Gabinetti. Berchtold incaricava quindi Mérey d'informarmi che egli non prenderebbe parte al passo progettato, se non quando si fosse assicurato che il Governo italiano non avesse alcuna obiezione a che le cinque Potenze facessero a Costantinopoli una simile dichiarazione; e di esprimermi la sua convinzione che il Governo italiano non pensa ad un'azione marittima ai Dardanelli, né nelle vicinanze, tale azione, per il contraccolpo da temersi nei Balcani, potendo mettere in pericolo il mantenimento dello statu quo. Berchtold dice che il Governo austro-ungarico comprende come l'Italia abbia interesse a lasciare il Governo ottomano nell'incertezza e nel timore dell'apparizione della flotta italiana al Como d'oro; esso ha quindi scrupolosamente evitato di informare i governanti turchi di quella sua convinzione, ed è pronto ad osservare la stessa riserva in avvenire» 1•

Ho risposto a Mérey non prendendo nessun impegno di fare o non fare operazioni ai Dardanelli o altrove, pur mostrandosi poco desideroso di farle, salvo il caso che ne risultasse più tardi la necessità assoluta: ed ho insistito sulla convenienza che la Turchia resti col timore di tali nostre possibili operazioni.

Reputo superfluo aggiungere che sarò grato a VE. di quanto potrà fare affinché l'iniziativa del Governo inglese non abbia seguito essendo essa molto dannosa ai nostri interessi e di natura di prolungare la guerra e da incoraggiare la Turchia a far fallire i propositi pacifici delle Potenze2 .

691 1 Il contenuto di questa comunicazione venne riferito, anche con citazioni testuali, da GIOLITTI, Memorie, p. 251.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 331. Roma, 3 marzo 1912, ore 17.

Come VE. comprende, nella probabile imminenza dei passi delle Potenze per la pace, è necessario che l'Italia eviti di produrre tanto l'impressione che essa sia troppo intransigente, quanto l'impressione opposta che sia stanca della guerra ed impaziente della pace. Entrambe le impressioni sarebbero del resto lontane dal vero.

Gradirò molto sui modi di evitare tali impressioni opposte ed erronee l'autorevole parere di VE.

Pregola anche farmi conoscere per telegrafo quale impressione VE. crede che si avrebbe costì, se noi, quando saremo richiesti di esporre le nostre condizioni per la pace, ci esprimessimo presso a poco nei termini seguenti: l 'Italia è e sarà sempre irremovibile sulla sua sovranità piena ed intera sulla Tripolitania e Cirenaica.

Desiderando dopo la guerra aver amicizia sincera colla Turchia e cooperare al consolidamento di questa, non accetterà clausole che possano essere causa di continui attriti italo-turchi, tanto più che la maggiore o minore ripercussione di siffatti eventuali attriti sulla situazione balcanica ed europea potrebbe essere inevitabile.

Non è necessario che la Turchia, la quale non ha mai riconosciuto la sovranità francese sull'Algeria, riconosca formalmente la sovranità italiana sulla Libia, bastandoci che ne venga a noi fatto il riconoscimento formale da parte delle Potenze.

Circa autorità religiosa del califfo, indennità in danaro, poste, capitolazioni, aumenti dazi doganali, temettù, si potrebbero adottare stipulazioni analoghe a quelle contenute nello accordo austro-turco del 26 febbraio 1909, relativo alla Bosnia ed Erzegovina.

Le varie pendenze per reclami e controversie diverse anteriori alla guerra si potrebbero deferire al tribunale dell' Aja, o pure si potrebbe adottare altra soluzione, per la quale ci rimetteremmo pure tanto per i danni, che la Turchia ha inflitto ai nostri connazionali, commercio, istituzioni ed interessi diversi durante la guerra, quanto per altre vertenze prive di importanza politica.

Ben inteso si riaprirebbero scuole, istituzioni, poste ristabilendosi per tutto lo statu quo ante bellum.

Naturalmente rientrerebbero i nostri connazionali espulsi. Il diritto dei privati di far valere giudiziariamente le loro ragioni contro il Governo ottomano rimarrebbe impregiudicato.

Potremmo accettare, d'accordo colle altre Potenze, qualche clausola che risponda ai fini della nostra politica diretta al mantenimento dell'integrità territoriale della Turchia europea.

Siccome la Turchia dice che deve resistere per non abbandonare alle nostre rappresaglie gli arabi di Tripolitania o Cirenaica, noi potremmo eliminare questa difficoltà per mezzo di un'amnistia e della espressione dei nostri propositi amichevoli verso quelle popolazioni.

Oltre a tutto ciò, siamo disposti ad esaminare con spirito di conciliazione tutte quelle altre proposte che, nello interesse morale e materiale della Turchia, le Potenze vorranno farci, purché resti ferma la nostra sovranità piena ed intera sulla Tripolitania e Cirenaica.

Intanto V.E. può inspirarsi a quelle direttive nelle sue private conversazioni 1 .

691 2 Per le risposte da Londra e Pietroburgo cfr. nn. 693 e 695. Le risposte da Parigi T. 284/146 del 3 marzo e da Vienna T. 299/49 del 6 marzo non sono pubblicate. Nella serie dei telegrammi di Gabinetto non è stata rinvenuta la risposta da Berlino.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 289/61. Londra, 4 marzo 1912, ore 8,26 (per. ore 0,40 del 5).

Telegrammi di V.E. 322, 324', 3262 , 328, 3293 • Prendendo argomento dalle notizie false giornali circa movimento nostra squadra, ho oggi, in via generale, intrattenuto Grey estensione eventuale nostra operazione navale. Ho detto parermi Turchia sia già sotto impressione che Potenze si adoperebbero per consigliarci astenerci da azione navale Dardanelli o n eli 'Egeo. Ignoravo se e fino a quale punto impressione era fondata, premeva però bene stabilire che impressione se esiste è assolutamente fallace. È ovvio, ho osservato, che noi non desideriamo punto tale azione perché a nessun piace esporre proprie navi fuoco di forti bene armati; è però altrettanto evidente che in nessun caso potremmo consentire impe

693 T. 322 e T 324 del !0 marzo, non pubblicati.

Cfr. n. 691. 3 T 328 e T. 329 del 3 marzo, non pubblicati.

gnarc1 nnunziare a siffatta azione rappresentante per noi «carta maestra» di cui

sarebbe massima imprudenza privarci potendo essa ad un dato momento imporsi

imprescindibilmente per costringere Turchia pace. Non supponevo del resto che

Potenze dimostratesi fin ad ora così scrupolosamente rispettose regole neutralità di fronte Turchia pensassero ora venire meno a nostro pregiudizio. Non abbiamo mai chiesto e non chiediamo alle Potenze esercitare su Turchia in favore pace quella pressione da cui sembrano rifuggire siamo quindi in diritto aspettarci almeno uguaglianza trattamento che non ci si rivolgano consigli aventi via ufficiale parvenza di un pressione che nessun governo potrebbe accettare perché vi si rivolterebbero concordi Parlamento e Paese: «Che cosa avreste detto voi se durante guerra boera una Potenza qualsiasi vi avesse consigliato limitare vostre operazioni?». Grey ha risposto non poteva nascondermi che possibilità di un nostro blocco e di un bombardamento dei Dardanelli gli cagionava alquanto preoccupazione perché dinanzi minacce tali operazioni Turchia già parla chiudere stretto con mine. Ciò arrecherebbe gravissimi danni commercio inglese, solleverebbe gran chiasso in Parlamento e egli si troverebbe in serio imbarazzo dinanzi pressioni che gli verrebbero da tutte le parti. Vorrebbe quindi persuadere Turchia a non chiudere stretto con mine ma per riuscire occorre pure rassicurare quel Governo. Ho risposto: se voi in questo momento togliete dall'animo dei turchi dubbio di una possibile nostra azione militare in un punto veramente vulnerabile tanto vale che rinunziate darvi pena per concordare con altre Potenze tentativo mediazione. Governo ottomano per motivi interessi sta da cinque mesi trasformando in vittorie sue continuate sconfitte in Tripolitania. Se arriva oggi sentirsi al riparo contro ogni pericolo ai Dardanelli o in altro punto vulnerabile potete stare sicuri che lungi credere vostro consiglio diventerà anche più intransigente. Così passo delle Potenze diventerà un completo insuccesso e fallito non per mancanza disposizioni concilianti da parte nostra ogni speranza di accomodamento guerra continuerà indefinitivamente crescerà pericolo complicazioni. Noi ci vedremo allora imprescindibilmente costretti ricorrere mezzi estremi e diventerà inevitabile quell'azione decisiva che a voi preme evitare. Mi pare per tutto questo incompatibile che allo stato attuale delle cose un contegno di massima riserva su questo punto si imponga a tutte le Potenze sinceramente desiderose vedere terminata guerra. A mio avviso voi avete ora nelle mani eccellenti argomenti per influire sulla Turchia in favore pace senza menomamente uscire dal vostro contegno stretta neutralità. Comunque, ripeto, «Noi non siamo disposti a prendere alcun impegno di natura vincolare nostra libertà d'azione. A mio avviso personale di tale impegno si potrebbe se mai parlare solo dopo che Turchia avrà ritirato sue truppe Tripolitania». Grey ha risposto capire benissimo mio punto di vista, non potere però darmi alcuna risposta trattandosi di questione assai complessa che devesi bene studiare prima di prendere decisione.

Sarebbe a mio avviso opportunistico che V.E. conferisse con codesto ambasciatore farli anche lui valere qui prima che Grey prenda decisione. Naturalmente io non ho fatto benché minimo accenno passo inglese a Vienna Berlino ai quali nemmeno Grey ha alluso.

692 1 Per le risposte da Londra, da Pietroburgo e da Vienna cfr. nn. 699, 696 e 702. La risposta da Berlino non è pubblicata (T 313/57 del l O marzo). La risposta da Parigi non è stata rinvenuta nel registro dei telegrammi.

694

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. SEGRETO 336. Roma, 4 marzo 1912, ore 19.

Abbiamo finora cercato di non far conoscere al pubblico in Italia il passo del Governo inglese per la limitazione delle nostre operazioni militari navali, perché ciò farebbe nel paese un'impressione oltremodo nociva ai sentimenti di amicizia finora ancora cordiali della nazione italiana verso l'Inghilterra.

Tutto ciò che tende a limitare la nostra azione bellica incoraggia la Turchia ad indefinita resistenza ed è sommamente dannoso per noi. Abbiamo del resto già dato prova della nostra tendenza a far uso molto moderato della libertà d'azione che ci riserviamo intera. Far proposte ed insistere per !imitarla non mi pare compatibile coi doveri della neutralità che debbono essere imparzialmente applicati e non solo a danno nostro ed a favore della Turchia. Confidiamo perciò che il Governo inglese si asterrà da tutti quei passi che possano rafforzare nell'animo del Governo ottomano la convinzione che la Turchia sia invulnerabile e che potrà indefinitivamente prolungare la guerra senza risentirne danni e pericoli. Tale convinzione costituirebbe ostacolo grave agli sforzi delle Potenze per la pace.

Lascio V.E. giudice della opportunità o meno di esprimersi amichevolmente a viva voce con sir Edward Grey in questo senso.

695

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 288/37. Pietroburgo, 4 marzo 1912, ore 20,30 (per. ore 21,10).

Telegramma di V.E. Gabinetto 326 1• Sassonoff che è tornato oggi Pietroburgo mi disse che prima della sua partenza questo ambasciatore d'Inghilterra aveva fatto presso lui passo concernente Dardanelli. Sassonoff mi disse avere data risposta negativa non credendo passo progettato compatibile con doveri neutralità. Alle insistenze ambasciatore Inghilterra aveva replicato giudicare tale discussione oziosa e finì con dare categorico rifiuto. Mi confidò poi che al passo fatto dall'Inghilterra si era unito quello di Francia, il quale aveva anche fatto menzione oltre dei Dardanelli della costa della Siria e Mar Egeo.

Aveva naturalmente data analoga risposta. Sassonoff poi nel dirmi che aveva già telegrafato in proposito a Dolgorouchi con la franchezza che usa nei colloqui con me qualificò passo inglese come «indecente».

695 1 Cfr. n. 691.

696

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 295/39. Pietroburgo, 5 marzo 2912, ore 5,19 (per. ore 0,20 del 6).

Telegramma di VE. 331 Gabinetto 1• Impressione di troppa intransigenza o l'opposta di essere noi impazienti della pace potrebbe prodursi sul Governo imperiale, sulla opinione pubblica e sulla stampa. Governo: dalle impressioni ritratte dalle mie frequenti conversazioni con Sassonoff sono in grado di affermare che Governo russo è perfettamente convinto che Italia non è stanca e non desidera affrettare pace. Nessuno meglio di Sassonoff sa che iniziativa presa dal Gabinetto di Pietroburgo è stata spontanea e senza alcuna spinta da parte dell'Italia. Nei miei colloqui con questo ministro degli affari esteri ho sempre avuto la massima cura mostrare nostro gradimento per sua iniziativa pace nell'interesse tutti, evitando scrupolosamente tutto ciò che potesse lontanamente suonare come stanchezza da parte nostra. A più riprese gli ho fatto conoscere nostri propositi concilianti e Sassonoff ne è perfettamente convinto (mio telegramma Gabinetto 33)2 . Opinione pubblica: essa è in generale a noi favorevole e ciò per il tradizionale odio che ogni russo ha per i turchi oppressori degli slavi del sud. Potrebbe darsi che nostre trattative pace intavolate prima di battere completamente nemico, come qui vivamente si desidera, intiepidissero la simpatia dimostrata fino ad ora e ci si accusasse di debolezza. Stampa: stampa, specialmente quella di sinistra, senza aver quel deplorevole carattere di acredine di altre, ci è pur nondimeno contraria. I liberali di qui non avendo abbastanza libertà parola per quanto riguarda politica interna si sfogano simpatizzando coi liberali di Persia e coi Giovani Turchi. Sono avversi per ciò alla nostra azione in Tripolitania e mentre è da escludere che ci accuseranno di intransigenza è molto probabile che ci accuseranno di debolezza. I giornali conservatori rispecchieranno probabilmente quelle disposizioni della opinione pubblica accennata sopra. Il giornale ufficioso sarà certamente concorde con idee di Sassonoff.

Nei giornali liberali che hanno del resto solo importanza nei non larghi circoli dei cadetti, hanno già accennato ad un cambiamento di linguaggio; si occupano

696 1 Cfr. n. 692. 2 T. Gab. segreto 259/33 del 28 febbraio, non pubblicato.

meno di noi per attaccare ministro degli affari esteri per sua iniziativa. Potrebbe darsi che si continui su questa via. Preoccupazione maggiore di questa stampa è quella attaccare Governo in tutte manifestazioni sue, facendo servire tutto il resto incidentalmente a questo fine. Per evitare questa impressione e falsi apprezzamenti, se V.E. lo consente, io potrei a momento opportuno cercare ottenere da Sassonoff un comunicato ufficiale nel quale fosse chiaramente spiegato che sua iniziativa fu dovuta esclusivamente all'esame oggettivo da lui fatto sulla situazione e sui pericoli cui Europa era esposta e far spiegare che Italia, raggiunto suo scopo, aveva dato prova di sentimenti concilianti per i suoi interessi generali concordanti con quelli delle altre potenze e dei quali Europa doveva essergli grata. Gli articoli però dei giornali italiani vengono qui riprodotti e commentati dalla stampa. Bisognerebbe per ciò che la stampa nazionale desse prova di patriottismo con la sobrietà. Per la stampa di qui, valendomi dei mezzi di cui dispongo cercherò, nei limiti del possibile, di influenzarla dando le spiegazioni occorrenti. Quanto alla ultima parte del telegramma V.E. dirò che ne ho data lettura confidenziale al signor Sassonoff. Egli si mostrò completamente soddisfatto dicendo che le nostre concessioni rappresentavano effettivamente il massimo che potevamo accordare. Mi pregò infine di far rimarcare a V.E. che sarebbe opportuno stabilire o far conoscere fin d'ora il compenso che siamo disposti dare alla Turchia dopo avvenuto il ritiro delle truppe e ufficiali turchi dalla Tripolitania e Cirenaica.

697

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 154/60. Teheran, 5 marzo 1912 (per. il 19 ).

Come accennavo nel mio rapporto n. 123/50 del 19 febbraio u.s. 1 il punto del programma anglo-russo sottoposto all'approvazione del Governo persiano nella forma di condizioni per accordagli immediatamente un anticipo di 5 milioni di franchi sul prestito che esso negozia con le banche anglo-francesi, che incontra presso questi uomini di Stato la maggior, per non dire unica, resistenza è quello relativo alla imposta dichiarazione formale che la Persia si conformerà ai principii dell'accordo del 31 agosto 1907. Giova qui rammentare che allorquando nel settembre di quello stesso anno le due Potenze notificarono la loro Convenzione al Governo dello scià questo si affrettò a protestare contro di essa affermando i propri diritti di indipendenza che non potevano essere lesi da una intesa fra terzi. In seguito

per quanto le medesime ed in ispecie la Russia cercassero a più riprese di ottenere dalla Persia il riconoscimento dell'accordo, gli sforzi rimasero sempre vani. Ma il passo che fanno ora i Governi di Pietroburgo e di Londra è più deciso e condotto in un momento in cui la Persia non può apporre una valida resistenza sia per gli errori oggimai riconosciuti dagli uomini di Governo di questo paese, sia per il fatto che l'Erario dell'Impero, assolutamente esausto, ha bisogno urgentissimo di fondi che esso non potrebbe procurarsi al di fuori dei Governi russo o britannico. Ripeto la resistenza dei persiani non potrà durare ed essi stessi sembrano persuasi che dovranno cedere. Se non ché i medesimi vorrebbero farlo escogitando una formula che permetta loro di salvare quanto più è possibile dei diritti di indipendenza che con il riconoscimento puro e semplice dell'accordo verrebbero ad essere violati. I negoziati fra il ministro degli affari esteri dello scià e le legazioni russa e britannica si protraggono da circa due settimane senza effetto perché le seconde sembrano respingere sistematicamente ogni contro-proposta persiana esercitando al tempo istesso una grande pressione quotidiana per strappare l'adesione ai termini della primitiva richiesta da esse enunciata. L'ultima formula avanzata dal Gabinetto dello scià sarebbe stata concepita ad un di presso nei seguenti termini: «La Persia si conformerà ai principii dell'accordo che nel preambolo garantisce l'indipendenza o l'integrità dell'Impero, od in quanto le sue disposizioni non abbiano a pregiudicare l'eguaglianza dei diritti commerciali ed industriali delle altre Potenze». Questa proposta in fondo non ha avuto migliore sorte delle altre perché i due ministri si sarebbero recisamente opposti alla seconda parte di essa.

Impotente a vincere da solo la lotta e considerando -non a torto -che la questione posta in quei termini interessa anche le Potenze neutrali che vogliono in Persia l'osservanza del principio dell'eguaglianza di diritti nel campo economico, il Governo dello scià ha, in questi giorni, inviato istruzioni ai suoi rappresentanti in Berlino e Vienna affinché ponessero subito al corrente della vertenza quei ministri degli affari esteri. A Berlino sarebbe stato risposto al diplomatico persiano che si prenderebbe in esame l'argomento; a Vienna il funzionario che ricevette la comunicazione avrebbe detto che ne informerebbe tosto il ministro. Sembra inoltre, a quanto ho pure saputo oggi, che corra scambio di idee in proposito fra quei due Gabinetti.

Come era naturale questo ministro degli affari esteri mi parlò giorni addietro della questione, ma io dal canto mio lo ascoltai a semplice titolo d'informazione. Egli anzi mi fece intendere che mancando a Roma presentemente il rappresentante persiano avrebbe gradito che ne riferissi a VE. Non presi alcun impegno deciso a telegrafare a VE. solo quando avessi meglio conosciuto quale sviluppo prendeva la cosa e quale atteggiamento avrebbero assunto gli altri miei colleghi delle maggiori Potenze. Ho così saputo che l'incaricato d'affari d'Austria-Ungheria ha tenuto un contegno riservato, mentre l'incaricato d'affari di Germania -come egli stesso mi ha detto -privo di istruzioni da Berlino, ha creduto di avvertire a titolo personale che laddove la Persia aderisse alla richiesta della Russia e dell'Inghilterra ne risulterebbe una lesione degli interessi tedeschi, poiché l 'ultimo accordo russo-germanico che si riferisce solo al nord dell'Impero contempla solo la rinunzia da parte della Germania a tre o quattro determinate specie di concessioni, mentre l'accordo anglo-russo copre tutto il territorio dell'Impero e non ha limite nel genere di concessioni economiche e commerciali che le due Potenze riservano esclusivamente a proprii sudditi. Il signor de Schmidthals mi aggiungeva «io non so come si considererà la questione a Berlino, ma ad ogni modo mentre le mie riserve qui formulate a titolo personale non possono nuocere, potrebbero anche essere utili al mio Governo». Tanto egli che il collega austro-ungarico hanno pertanto avuto cura di informare Berlino e Vienna ove, per quanto mi è dato conoscere, potrebbe considerarsi non con indifferenza il passo cui si sta forzando la Persia e che tende a risolversi in via immediata ad un monopolio delle concessioni commerciali ed industriali nelle rispettive zone di influenza a favore dei sudditi russi e britannici ad esclusione di tutti gli altri, ed in via mediata ad eventuali barriere artificiali nella libera espansione dei traffici internazionali sul mercato persiano. Indubbiamente il Governo tedesco con l'ultima sua convenzione con la Russia, mentre ha rinunziato, almeno per ora, ad ogni sua mira politica nell'Iran, ha voluto assicurarsi che non gli saranno sollevati ostacoli alla libera espansione commerciale ed economica in queste regioni. Ed indizio ancora più palpabile di tale proposito si ha nelle nascenti imprese germaniche nell' Azerbaidjan, che, come sono andato riferendo a V.E., cominciano in certo modo ad interessare capitali tedeschi in misura, se bene sempre ristretta, maggiore. In quanto ali' Austria-Ungheria ho appreso in questi giorni che si è costituito a Vienna un potente sindacato di capitalisti per l'acquisto ed il taglio delle celebri ed immense foreste del Mazanderan, le quali danno un legno durissimo ottimo per l'industria dei fusti. Infine tanto l'uno che l'altro Impero contano con la Persia un commercio superiore al nostro e che è in via di accrescimento. È quindi possibile che da Vienna e da Berlino, senza che si assuma un atteggiamento troppo energico (che non sembrerebbe indicato nella presente situazione internazionale) procurino di ottenere da Londra e da Pietroburgo garanzie ed affidamenti che gli interessi economici dei due Imperi non abbiano ad esser pregiudicati. Il che gioverebbe anche a noi in forza della clausola della nazione più favorita, che regola i nostri rapporti economici con la Persia. L'Italia in fatto se bene non abbia capitali investiti in questo paese, né per essa esista accenno alcuno da parte di sudditi nazionali di venire qui ad impegnarsi in imprese locali economiche, intrattiene con la Persia scambi commerciali limitati, ma che dovranno aumentare, e che se nulla sorgerà ad impedirlo aumenteranno allorché la situazione politica ed economica di questo Stato migliorerà. Quindi anche noi, a malgrado sia per un solo punto di vista, siamo interessati nella vertenza odierna, ma è naturale che nel giuoco di essa -in ispecie per considerazioni di politica generale -non occorra essere in prima linea. Quello che faranno ed otterranno gli altri più interessati gioverà pure a noi. Nella ipotesi contraria non saremo più sacrificati degli altri. Quindi, a mio subordinato avviso, a noi non conviene che seguire da presso lo svolgimento della controversia onde poter compartecipare come ci spetta ai beneficii ed ai vantaggi che fossero per conseguire altri Stati che rispetto alla Persia si trovano nella nostra

medesima situazione.

A tal fine mi sono fatto un dovere di riferire brevemente a VE. con il mio telegramma n. 5 di oggi2 i termini della questione e le sue attuali fasi.

697 1 Non pubblicato.

698

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 5 marzo 1912.

Ho letto il rapporto riservatissimo del conte Grimani datato dal Cairo 21 febbraio scorso, allegato alla tua lettera, del l o corrente1 , con la quale mi domandi di metterti in grado di rispondergli.

A me pare che in tutto quanto il conte Grimani racconta vi sia della esagerazione, non tanto da parte sua quanto da parte di coloro che si danno la briga di tenerlo informato di pettegolezzi ai quali viene attribuita una importanza o che non hanno o molto maggiore di quella che hanno.

Lo stesso conte Grimani mostra di sospettare, ed io credo che sia nel vero, un fine interessato nel suo informatore, che è avvocato o liquidatore del giornale il Lewa, e che, a favore del suo cliente, vorrebbe continuare a riprendere, colla nostra agenzia, vantaggiose trattative oramai cadute, o quasi.

E base di ogni rivelazione sarebbe una lettera anonima diretta a questo avvocato, non si sa perché proprio a lui, da Mohamed Alì el Elui, il quale avrebbe poi avuto la dabbenaggine di andarsi quasi ad accusare presso di lui come autore della stessa.

Ora se vi fosse veramente nel dottor Insabato e nel suo compagno arabo un vero e proprio proposito di nuocere all'agenzia, questo dovrebbe risultare dai loro rapporti o da loro denuncie a questo Ministero, non già denuncie anonime all'avvocato del giornale il Lewa, che nulla può contro il conte Grimani e molto invece potrebbe contro di loro svelandoli, come ha fatto, all'agenzia.

D'altra parte potrebbe anche essere che a gonfiare le cose contribuisse direttamente o indirettamente anche l'interprete signor Nacouz, che, come uomo del paese, deve aver gli abiti del troppo parlare e non sempre a proposito.

Comunque, io credo che al conte Grimani dovrebbe bastare la certezza di godere la stima dei suoi superiori, i quali non devono essere supposti troppo facili a lasciarsi sviare da false od interessate referenze, dato che simili referenze da parte dell'Insabato o del Mohamed Alì vi fossero; e non vi sono.

698 1 Non rinvenuti.

Io non mancherò di richiamare nuovamente l'Insabato ed il Mohamed Alì ad un contegno assolutamente corretto e riguardoso verso l'agenzia, e non avrò difficoltà neanche a richiamarli a tempo opportuno, se ai miei consigli non si conformassero. Non lo potrei ora, essendo entrambi impegnati in servizi dai quali non sarebbe opportuno distoglierli non essendo facile sostituirli. Solo cercherò che in questi servizi tutta la loro attenzione rimanga concentrata ed assorbita.

697 2 T. 1607/5, non pubblicato.

699

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 298/62. Londra, 6 marzo 1912, ore 6,40 (per. ore 19).

Telegramma di V.E. Gabinetto 331 1• Se questo e altro Gabinetto vorrà esaminare con criterio di giustizia e obiettività proposte enunciate da V.E., dovrebbe mi pare onestamente convenire che esse sono tangibile dimostrazione disposizioni concilianti Italia la quale nel dichiararsi disposta esaminare con benevolenza anche eventuali nuove proposte delle potenze spinge all'estremo limite sua condiscendenza e suo desiderio favorire interessi materiali e morali Turchia o di fare possibile per evitare complicazioni dannose per interessi Europa. A mio avviso sarebbe forse opportuno omettere qualsiasi allusione garanzia integrità Turchia sembrandomi preferibile lasciare potenze ogni iniziativa di proposte sull'argomento. Mi pare d'altra parte utile insistere su importanza della concessione che noi facciamo nel non esigere dalla Turchia riconoscimento nostra annessione non che, siccome ebbi a far rilevare avantieri a Grey, noi ci mostriamo assai più concilianti dell'Austria-Ungheria che di tale riconoscimento per Bosnia ed Erzegovina fece condizione sine qua non di ogni accordo. Mi parrebbe poi assai desiderabile di ben stabilire e precisare a priori epoca approssimativa e le modalità per ripresa normali relazioni italo-turche e per ritorno allo statu quo ante per tutto ciò che concerne sudditi e istituzioni varie italiane. Qualora difatti si arrivasse alla semplice conclusione armistizio ben inteso con ritiro truppe turche senza essersi bene intesi colle potenze su questi altri punti Sublime Porta potrebbe coi suoi soliti sistemi dilatori rinviare chi sa per quanto tempo soluzione finale e noi ci verremmo trovare in una situazione equivoca e dannosa nostra dignità, nostri interessi. Circa opportunità giustamente rilevata dall'E.V. di non mostrarci troppo desiderosa pace credo che miglior sistema per raggiungere lo scopo sarebbe quello di influire sulla nostra stampa autorevole, perchè da ora e fino a che sarà noto risultato tentativi media

zione si astenga il più possibile parlarne limitandosi pubblicare notizie dall'estero senza commenti dei quali turchi e loro amici in tutta Europa possono valersi per attribuirci impazienza concludere pace. Questo contegno di massima riserva mi pare anche consigliabile per non ispirare nel nostro pubblico troppa speranza nel risultato soddisfacente mediazione, sul successo della quale dato spirito con cui si accingono intraprenderlo Potenze e manifesto malvolere dimostrato dai loro ambasciatori; non mi sembra per il momento prudente conservare molte illusioni.

699 1 Cfr. n. 692.

700

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 350. Roma, 6 marzo 1912, ore 22,45.

Mio telegramma Gabinetto n. 3341 . A quanto mi comunica Jagow, la risposta definitiva che il Gabinetto di Berlino ha data alla domanda dell'Inghilterra circa i Dardanelli, è nei termini seguenti. Il Governo germanico riconosce i danni che deriverebbero al commercio internazionale da una eventuale chiusura dei Dardanelli, ma non crede possibile di fare presso il Governo italiano il passo proposto, che costituirebbe una illecita immistione nello stato di guerra.

701

IL VICE CONSOLE GAVOTTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 1658/59. Alessandria d 'Egitto [7] marzo 1912, ore 18 (per. ore 20,10 del 7).

Numerosi italiani residenti rifugiati Libano, preganmi urgenza sottoporre V.E. loro proteste contro decretata espulsione italiani dal Libano, contrario a statuto organico Libano. Osservano: l) Italia, fra Potenze garanti indipendenza libanese, possiede sul Libano diritti che non le si possono negare senza consenso Potenze firmatarie statuto organico. 2) Libano sempre godette diritto asilo che fu abolito nel 1861, solamente per colpevoli reati comuni. 3) Tutte provincie privilegiate Impero ottomano sono considerate, in genere, come neutrali (dichiarazione Sublime Porta 1877) Libano fra queste. 4) Se Libano eseguirà ordine espulsione italiani, Libano

perderà sua qualità di neutralità e Italia potrà quindi considerarlo come territorio nemico, attaccando le sue coste.

Riferisco VE. che, dopo fatti 24 corrente, furono da Beirut trasportate munizioni Libano, dicesi, a Babda. Riferisco, inoltre, a titolo informazione, che più volte fui ultimamente sollecitato da influenti libanesi far osservare R. Governo essere giunto momento opportuno far sbarcare nascostamente Libano ingente numero armi, onde provocare rivolta e imbarazzi Turchia. Naturalmente risposi sempre col massimo riservo, affettando neanche raccogliere tali suggerimenti. Termine espulsione scade 13 corrente: costretto partire a gironi, attenderò istruzioni Alessandria1•

700 1 T. 334 del 3 marzo non pubblicato, ma cfr. n. 691.

702

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 306/53. Vienna, 7 marzo 1912, ore 20,30 (per. ore 23,10).

Telegramma di V.E. Gabinetto 331 1 . Non vi è dubbio che di fronte agli eventuali passi che fossero fatti dalle Potenze nell'interesse della pace Italia debba evitare di produrre impressione di essere troppo intransigente e che essa sia stanca della guerra come impaziente della pace. E mi sembra tanto più necessario che il nostro contegno si inspiri a tale principio che come feci rilevare a V.E. coll'anteriore mia corrispondenza le operazioni nostre all'infuori della Tripolitania Cirenaica e specialmente nelle acque europee sono state qui interpretate come una scappatoia e un diversivo alle difficoltà che si pretende che noi incontriamo in quella regione e come desiderio per non dire un bisogno di far la pace a breve scadenza ed esercitare quindi una specie di pressione sulle potenze e forzare loro in certo modo la mano per conseguire l'intento. Per ciò che riguarda l'impressone che potrebbe qui produrre le condizioni per pace esposte nel telegramma suddetto è noto a V.E. come alcuna di esse abbia già formato oggetto di discussione per parte di questa stampa e di questi circoli politici e dato luogo a svariati commenti. Sebbene il decreto del 5 novembre abbia qui incontrato dapprima non poca opposizione la nostra sovranità piena ed intera sulla Tripolitania e Cirenaica è ora ammessa in generale come la sola base su cui noi potremmo consentire a far la pace. Ma si ritiene che noi non potremmo pretendere pel momento il riconoscimento di essa da parte della Turchia. Quanto alle altre condizioni circa autorità religiosa del califfo !'[indennità pecuniaria ?F da

728 accordarsi alla Turchia eccetera specialmente [ ... ]3 per le quali noi prenderemmo come modello le stipulazioni analoghe dell'accordo austro-turco del 1909 relative alla Bosnia-Erzegovina esse non potrebbero mi pare che produrre qui una favorevole impressione perchè equanime e conciliante. Circa infine la condizione concernente il ristabilimento dello stato quo ante-bellum (capitolazioni, scuole, uffici postali) mi permetto di ricordare a V.E. le considerazioni contenute nella mia lettera particolare del 16 gennaio4 . È questo un punto della massima importanza e che richiede tutta la nostra attenzione perchè da esso dipendono le nostre future relazioni colla Turchia. Per provvedere alla tutela dei nostri diritti non mi sembra che noi potremmo accettare le proposte di intesa con Turchia che ci fossero presentate dalle Potenze che alla condizione che fosse in esse stabilito esplicitamente: l) che la Sublime Porta si impegni in modo formale ad assicurarci la «restituirti [?]5 o in integrum» deferire nostri interessi nell'Impero otto mano; 2) che le potenze dichiarino [ ... ]3 di rendersi garante della esecuzione di tale [...]3 , o in integrum. In questo modo solo noi potremmo sperare di ovviare ai gravi inconvenienti segnalati nella lettera suddetta. Non mancherò all'evenienza di esprimermi nelle mie conversazioni private secondo le direttive di VE.

701 1 Annotazione a margine di Bollati: «Sentire Ricci Busatti vedere che cosa si può fare. C'è modo di metter discordia tra Francia e Turchia». 702 1 Cfr. n. 692. 2 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

703

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 366. Roma, 9 marzo 1912, ore 0,30.

Senza parlarne a meno per ora con cotesto Governo prego V.E. di darmi il suo parere sui seguenti quesiti.

Qualora l 'Italia dovesse compiere operazioni navali militari ali 'infuori della Libia e del Mar Rosso, l) quali sarebbero più efficaci per costringere la Turchia a cedere, 2) quali riuscirebbero meno sgradite a codesto Governo, 3) se e quale opposizione difficoltà o protesta potremmo aspettarci da cotesto Governo per ciascuna diversa operazione 1•

4 Non rinvenuta.

5 Il punto interrogativo è del decifratore.

702 3 Gruppo indecifrato.

703 1 Per le risposte cfr. nn. 705, 716, 710, 707 e 711.

704

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 370. Roma, 9 marzo 1912, ore 19,30.

Stamane è venuto a trovarmi Gulkevitch, al quale nella riunione di ieri gli ambasciatori lasciarono la precedenza trattandosi di una iniziativa russa.

Parlando anzitutto in via ufficiale egli mi pose il quesito: «A quelles conditions minimaux l'Italie subordonnerait l'acceptation d'une médiation des Puissances à l'effet d'une cessation des hostilites».

Io mi sono limitato a dirgli che daremo in iscritto la risposta tra qualche giorno e che, salvo il punto relativo alla sovranità, sarà informata a spirito di conciliazione.

Gulkevitch accennò al ritiro delle truppe turche e ai corrispettivi che potremmo offrire. Io mi limitai a fargli notare il tranello che il ritiro potrebbe contenere se gli ufficiali e soldati fingessero di disobbedire e di dimettersi.

Gulkevitch aggiunse in suo nome personale che la Turchia è ancora intransigente e che sarebbe desiderabile che la nostra risposta si limitasse al quesito postoci senza sollevare la questione del riconoscimento del decreto 5 novembre da parte delle Potenze, che dovrebbe trattarsi separatamente con ciascuna. Disse pure che non ostante il suo trasloco spera di essere ancora egli che potrà comunicarmi il riconoscimento della Russia.

Gulkevitch spontaneamente aggiunse che cessazione delle ostilità significa pace senza trattato formale e non armistizio.

Barrère è venuto a dirmi che «le Gouvernement français est disposé à se prèter à un échange de vues entre l es Puissances et l 'Italie afin de connaìtre le minimum des conditions auxquelles celle-ci subordonnerait l'acceptation d'une intervention des dites Puissances dans son conflit avec la Turquie. Le Gouvernement français heureux de travailler ainsi au rètablissement de la paix entendant toutefois reserver entièrement sa liberté d'action pour le suite, et s'acquitter de sa tàche avec un respect scrupuleux de la neutralite».

Jagow e Mérey sono venuti a chiedermi di «communiquer le minimum des conditions auxquelles l'Italie subordonnerait l'acceptation d'une médiation des Puissances».

Rodd è venuto «per invitare l 'Italia a comunicare le condizioni minime alle quali essa consentirebbe ad accettare un intervento delle Potenze inteso a condurre alla cessazione delle ostilità».

Ho risposto che darò a tutti risposta scritta tra qualche giorno 1•

704 1 Cfr. n. 717.

705

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 318/58. Berlino, 10 marzo 1912, ore 9,10 (per. ore 22,50).

Telegramma di V.E. Gabinetto n. 3661• Quanto alla efficacia di eventuali nostre operazioni navali ulteriori credo che: l) un'azione contro porti abitati dell'Egeo non avrebbe sulla Turchia effetto maggiore diverso di quello ottenuto a Beyrut, a pregiudizio delle nostre colonie e la Sublime Porta vi scorgerebbe più che altro, un'occasione a reclami e malumori delle nazioni europee contro noi per i danni subiti dai loro interessi. 2) L'occupazione per esempio di un'isola dell'Egeo (potesse eseguirsi senza gravi distruzioni, né danni di neutri) non deciderebbe ora i turchi alla pace, ma potrebbe costituire in nostre mani una specie di pegno per eventuali trattative future, e forse, affrettarle. 3) Un attacco riuscito con parziale distruzione della flotta turca dovrebbe produrre sensibilissima [ ... ]2 a Costantinopoli e se non determinare la desistenza della Turchia spingervela fortemente. 4) La comparsa della nostra flotta nel Marmara dopo aver forzato i Dardanelli se praticabile (il che ignoro) produrrebbe enorme sensazione; ma appunto per riguardo a queste molteplici conseguenze, è difficile il calcolarne l'effetto diretto sulla questione della pace, la quale diverrebbe allora una appendice di eventi maggiori o dipendenti dalla imprevedibile situazione interna che ne risulterebbe per la Turchia. In quanto concerne il contegno della Germania di fronte ali 'uno od ali' altro dei predetti casi credo che per quanto essi le riescissero poco graditi (e più specialmente forse i due primi in ragione della loro inefficacia) il Governo imperiale non ci farebbe osservazioni come non ce ne ha mai fatte per fedeltà di alleato fin dal principio della nostra impresa. Quanto ad un attacco alla flotta turca credo che sarebbe qui piuttosto considerato come un fatto di guerra giustificato e neutrale. E nel caso poi di un passaggio forzato dei Dardanelli, se eseguito con esito fortunato, ho personalmente l'impressione che l'effetto in questo paese di un tale successo militare sarebbe superiore il sentimento degli imbarazzi di ordine politico che potrebbero derivarne. Ciò dico ben inteso dal punto di vista esclusivamente di cui si tratta ed in [quanto ?P concerne la Germania ma con riserva delle considerazioni più sopra accennate ed astrazione fatta della attitudine eventuale dell'Austria-Ungheria e di altri Gabinetti.

2 Gruppo indecifrato.

3 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

705 1 Cfr. n. 703.

706

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 311/57. Vienna 10 marzo 1912, ore 12,05 (per. ore 13,10).

Telegramma di V.E. Gabinetto 348, segreto 1•

Non mi sembra che risposta data da Berchtold alla proposta britannica2 possa essere interpretata, siccome Kiderlen l'affermò a Pansa, quale una deviazione della linea condotta troppo rigida tenuta da Aehrenthal di fronte ad una nostra eventuale azione nei Dardanelli e nelle acque vicine.

È ben vero che Berchtold non ha seguìto l'esempio datogli dal suo predecessore, che si era associato alla proposta fatta, nel novembre scorso, da Neratoff circa Dardanelli, a cui, si può dire, siasi ispirato Grey col recente suo passo. Ma è da rilevare che proposta russa non era così grave e dannosa al nostro prestigio come quella britannica non implicando essa alcun impegno da parte nostra di non fare le operazioni suddette. Ed è da dubitare che Aehrenthal, sebbene si fosse dichiarato contrario a queste operazioni, che considerava in opposizione all'articolo 7 del trattato, si sarebbe associato al passo britannico perché avrebbe compreso di non poterei chiedere di assumere di fronte all'intera Europa un impegno formale che avrebbe ferito nostro amor proprio con danno dei reciproci rapporti amicizia ed alleanza.

Ma la convinzione che Berchtold fece esprimere a V.E. da Mérey, che noi non pensavamo ad una azione navale nei Dardanelli e nelle sue vicinanze pel contraccolpo che avrebbe nei Balcani, potendo mettere in pericolo mantenimento statu quo, dimostrerebbe che egli non intende dipartirsi dal punto di vista del suo predecessore rispetto alle operazioni in discorso. E che di tal parere sia pure Kiderlen lo prova la sua affermazione a Pansa, che Berchtold, se interrogato direttamente da noi, non potrebbe non tenere un linguaggio diverso del barone di Aehrenthal circa interpretazione degli impegni reciproci.

Noi ci troviamo, per ciò che riguarda le nostre operazioni nelle acque europee ed asiatiche ottomane del mar Egeo, in una situazione oltremodo delicata, che richiede la massima circospezione e prudenza. Infatti, se noi ci accingessimo ad una azione contro Dardanelli e le coste [ed isole Peuropee ottomane, noi potremmo andare incontro all'opposizione non solo dell'Austria-Ungheria ed esporre a cimento nostri reciproci rapporti, ma anche all'opposizione dell'Inghilterra, come recente passo lo dimostra, non che a quella forse della Francia che si è associata presso Gabinetto di Pietroburgo a quel passo. E ciò sembrerebbe confermato da quanto

Cfr. n. 691. 3 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

Berchtold asserì ad uno dei miei colleghi che una Potenza sola, di cui non fece il nome, non si sarebbe opposta alla proposta Inghilterra.

Quanto alla nostra operazione contro coste asiatiche ottomane dell'Egeo, il linguaggio della stampa francese e quello piuttosto dubbio del Poincaré di fronte a bombardamento di Beirut, come contegno freddo e reticente temuto da Nicolson con Imperiali nel colloquio avuto con lui a tale riguardo (telegramma di V.E. 102 I )4 farebbero supporre che quella operazione, ove fosse da noi fatta, potrebbe esporsi all'opposizione o ad osservazioni da parte di quelle due Potenze. E la dichiarazione fatta da Nicolson al r. ambasciatore a Londra che colle nostre operazioni navali noi non potremmo danneggiare seriamente e forzare alla pace la Turchia ma danneggeremmo invece assai più gli interessi nostri nazionali e quelli dei sudditi esteri, aumentando così di molto difficoltà situazione (telegramma di V.E. Gabinetto 317 segreto )5 mi sembra che suoni quale un avvertimento che avrebbe dovuto [?'\:i presentire recente passo Inghilterra.

Certamente noi non possiamo né potremmo mai ammettere che la nostra libertà di azione contro la Turchia venga limitata in nessun modo e dobbiamo quindi adoperarci perché la questione delle nostre operazioni navali suddette non sia di nuovo ventilata e possa formare oggetto di ulteriori proposte da parte delle Potenze dichiarando apertamente che siamo risoluti ad opporci a tutto ciò che potesse menomaria in qualsiasi guisa. E noi dobbiamo d'altra parte comportarci verso Turchia in modo tale da mantenere sempre vivo in essa timore di una nostra eventuale operazione sulle sue coste europee ed asiatiche dell'Egeo per impedire che si creda invulnerabile e persista nella resistenza.

Ma in presenza delle disposizioni manifestate dalle varie Potenze circa questione è da domandarsi se ci convenga servirei della nostra libertà d'azione ed effettuare realmente quella operazione che potrebbe forse compromettere gravemente nostra impresa in Libia come la soluzione definitiva del conflitto attuale.

Ed a questo riguardo io non posso che condividere il parere manifestato dal Kiderlen al Pansa che la cosa più desiderabile nel nostro interesse sia contentarsi di estendere e consolidare più possibile nostra occupazione di fatto in Tripolitania.

Tale fu la linea di condotta che propugnai sempre fino dal principio della nostra impresa e persisto a credere che essa sia la sola corrispondente ai nostri interessi come al nostro prestigio e dignità.

Essa ci impone, è vero, gravi sacrifici di uomini e denaro ed esporre a seri danni il nostro commercio nell'Impero ottomano, ma non mi sembra che vi sia altra via da battere per uscire in modo soddisfacente dalla situazione presente ed evitare le serie difficoltà suddette che complicherebbero situazione stessa.

V.E. vorrà scusare se mi sono preso la libertà di esporle quanto precede, ma ho creduto di non dissimularle le preoccupazioni che in me destano le eventuali nostre operazioni contro coste europee ed asiatiche ottomane del! 'Egeo per conseguenze che potrebbero avere per noi.

5 T. Gab. segreto 317 del 29 febbraio, non pubblicato.

706 1 Il T. Gab. segreto 348 del 6 marzo ritrasmette il T. Gab. segreto 293/53, non pubblicato.

706 4 T. l021 del 29 febbraio, non pubblicato.

707

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 317/41. Pietroburgo, 10 marzo 1912, ore 18,52 (per. ore 20,30).

Telegramma di V.E. Gabinetto 3661• Non avendo conoscenza speciale e personale sulla Turchia per rispondere al primo quesito mi riferisco a conversazione precedente avuta con signor Sassonoff e che riassumo qui appresso: Sassonoff crede che operazioni navali militari nelle isole della Turchia di Europa non avrebbe la efficacia di costringere la Turchia a cedere, perché abitate da greci e stranieri che soli ne risentirebbero il danno. Lo stesso sostiene per possibili bombardamenti in altre parti dell'Impero; bombardamenti che attirerebbero su noi reclami di altre Potenze senza raggiungere lo scopo di far cedere il Governo ottomano incoraggiandolo anzi alla resistenza. Crede che operazioni efficaci avrebbero potuto essere il passaggio dei Dardanelli ma, a più riprese, mi ha detto che secondo i rapporti pervenutegli e notizie avute da persone competenti, tra cui lo addetto militare russo a Costantinopoli, tale operazione per provvedimenti presi dal Governo ottomano appare difficile e rischiosa Sassonoff mi ha poi accennato all'opportunità di un blocco a Salonicco e ciò allo scopo disturbare il commercio estero in modo da spingere le Potenze specialmente Austria-Ungheria e Germania ad agire efficacemente a Costantinopoli in favore della pace. Trova molto opportuna azione del Mar Rosso, ritenendo Arabia come punto vitale per Turchia. Secondo quesito: posso affermare che qualunque azione navale o militare da parte nostra in qualunque parte della Turchia non sarebbe sgradita a questo Governo, alla condizione che non sia di natura a produrre contraccolpo e complicazioni nei Balcani. Vi è una azione che riuscirebhe sommamente gradita alla Russia ed è distruzione della flotta turca. Se avvenisse Sassonoff mi disse: «farebbe una grande illuminazione forse anche allo stesso Ministero degli affari esteri». Terzo quesito. Le difficoltà di questo Governo ci potrebbero venire da un blocco dei Dardanelli. Tale azione colpirebbe evidentemente in massima parte commercio russo arrecando poco danno alla Turchia. Da precedente conversazione avuta in proposito con Sassonoff ho potuto rilevare che egli personalmente sarebbe disposto fare qualche sacrificio, ma non si sente la forza resistere al movimento che si determinerebbe nel ceto commerciale e che farebbe capo al presidente del Consiglio che come finanziere e antico ministro delle finanze è naturalmente portato vedere tutto dal punto di vista economico finanziario e commerciale.

707 1 Cfr. n. 703.

1

Le notizie che d'ogni parte giungono, tanto al Ministero della marina quanto a quelli degli interni, degli esteri e della guerra non lasciano ormai più dubbio sulla realtà di un fenomeno che deve in sommo grado preoccupare il R. Governo: esso è il generale ed incessante intensificarsi del contrabbando di guerra a nostro danno.

Al principio delle ostilità la Turchia, paralizzata per le urgenze inerenti alla sua mobilitazione, incontrò serie difficoltà ad organizzare un efficace contrabbando a favore delle sue truppe combattenti in Africa, e volse invece i suoi sforzi a provvedere di armi e di munizioni i punti più importanti e più esposti del proprio litorale. Le numerose segnalazioni degli informatori confrontate con le successive notizie che volta per volta fu dato appurare dimostrano chiaramente che il movimento iniziale di navi con carichi di armi e di munizioni servirono soprattutto a mettere in stato di efficiente difesa le coste albanesi ed epirote poi le isole maggiori Scio, Metelino, Rodi, Samos -poi le maggiori città quali Salonicco Smirne, Alessandretta e Beyruth. Di quelle navi poche erano destinate alle coste di Libia, ed è lecito assumere che la maggior parte di esse vennero catturate dalle nostre navi.

Ma quando la Turchia ebbe ultimati gli apprestamenti difensivi in patria, quando la scrupolosa astensione delle nostre navi dalle acque dell'Egeo mostrò all'evidenza il nostro proposito di non allargare il teatro delle operazioni navali ali 'infuori delle coste di Libia, la fiducia cominciò a rinascere, e con essa anche il tempo e la voglia di soccorrere più efficacemente le truppe ottomane in Tripolitania e in Cirenaica.

Si può affermare, sull'esame dei documenti raccolti e pazientemente coordinati, che il procedimento seguito dai turchi fu distinto in due fasi.

La prima consistette ne li'inviare in Africa personale inerme e grande quantità di viveri giacché, molto logicamente, la Turchia deve aver riflettuto che le sue truppe già esistenti in Libia erano abbondantemente armate e che ogni ulteriore invio di armi e munizioni sarebbe stato superfluo ove fosse mancata la gente atta a servirsene. Prima delle armi occorreva dunque aumentare i contingenti.

La seconda fase, che direi quella attuale, consiste nel rifornire abbondantemente di armi i rinforzi che potettero finora raggiungere il campo turco sul teatro della guerra.

La verità di questa affermazione appare subito dalla coordinazione della prima serie di informazioni, le quali tutte denunciavano tentativi di penetrare in Tripolitania e in Cirenaica. Le frontiere egiziane e tunisine furono quelle preferite, mentre fu quasi totalmente abbandonata la via marittima. I concentramenti di Akaba, di Rafa, di Mersina, di Beyruth ne sono una prova lampante. A piccoli gruppi, travestiti da beduini, i nuovi contingenti elusero la vigilanza dei nostri alle frontiere e raggiunsero il teatro della guerra. E quando lord Kitchener, conscio della sua responsabilità, adottò provvedimenti severi per troncare quella immigrazione attraverso il territorio egiziano settentrionale, il passaggio di volontari si spostò verso il sud: si ebbe allora Kosseir, Jafatin, El Tor e tutto il resto della non breve segnalazione di passaggi. In Tunisia il passaggio avvenne ancora più facilmente per la migliore utilizzazione delle strade di confine, per la possibilità dell'impiego di mezzi rapidi di trasporto, automobili, vetture, motociclette, eccetera.

Poi quasi d'un tratto, gli informatori tacquero ma solo per poco tempo. In breve la loro voce ammonitrice sorse di nuovo più assidua che mai, ma questa volta non era più fatto cenno di personali bensì sempre di materiali. Dapprima fomimenti militari, poi vestiario, poi cartucce, poi fucili, poi mitragliere poi pertìno cannoni. E le notizie che d'ogni parte piovono dai punti più diversi d'Europa, d'Africa, e d'Asia dimostrano un crescendo che sarebbe grave colpa il tacere, e più grave ancora non reprimere con tutti i mezzi che possono essere a nostra disposizione.

Ora tali mezzi si integrano principalmente in un razionale impiego di navi da crociera. Ma data la vasta estensione delle coste libiche da sorvegliare date le difficoltà d'ordine internazionale e diplomatico che si oppongono ad agire energicamente in prossimità delle acque territoriali neutre ai confini, data la estrema perizia dei contrabbandieri rotti ad ogni inganno, esperti di ogni località, appoggiati da numerosi adepti, data ancora la speciale configurazione dell'Arcipelago che d'ogni isola forma un ridosso o un temporaneo deposito di contrabbando appare superiore ad ogni sforzo e ad ogni buon volere della marina il fronteggiare la situazione nelle condizioni specialmente variate e difficili in cui si presenta.

Da qui la necessità di troncare il male alla radice.

708 1 Annotazione di San Giuliano: «De Martino. Rispondere che, per poter cercare con qualche operazione di superare gli ostacoli d'ordine internazionale all'occupazione temporanea di un'isola dell'Egeo, sarebbe necessario dir quale». Di altra mano: «La risposta è stata data verbalmente alla Marina».

708

È fuori dubbio che l'inesauribile fonte del contrabbando di armi è Costantinopoli, ed in via secondaria anche il Pireo. Bisognerebbe dunque precludere gli sbocchi dell'Egeo, in modo da impedire l'esodo dei contrabbandieri da quel mare verso le coste di Libia.

Un tale provvedimento radicale è reso tanto più necessario dal fatto che con l'approssimarsi della buona stagione le forti difficoltà che i cattivi tempi invernali hanno finora frapposto al libero approdo lungo le estese coste di Libia verranno tra breve a cessare.

Ma una continuata ed assidua crociera agli sbocchi dell'Egeo non potrebbe compiersi senza un adeguato centro di rifornimento e di rifugio per le navi, né all'uopo può considerarsi adatta la base navale di Tobruk, per la notevole distanza che la separa dalle zone da sorvegliare.

D'altra parte la energica repressione del contrabbando diventa per l'Italia tale impellente necessità di guerra, che essa non potrebbe ulteriormente indugiare ad assicurarne l'attuazione senza compromettere i più vitali interessi della sua campagna africana.

Occorre dunque occupare un'isola in prossimità degli sbocchi dell'Egeo per fame base delle navi addette a tale servizio.

709

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, ALL'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, VOLPI

L. Costantinopoli, 10 marzo 1912.

Ho ricevuto sua da Roma del 4 corrente e prendendo nota che il l O corrente lei rientra presso i lari famigliari, indirizzo la presente a Venezia.

È difficilissimo comunicare direttamente cogli altri personaggi politici, perché questi temono di essere spiati e denunziati al tribunale inquisitorio dal Comitato Unione e Progresso. È anzi certo che la compagine del Comitato si mantiene per paura reciproca degli aggregati.

È per questo che Assim bey ministro degli esteri tentenna a darmi un appuntamento. Non vi è che Mahmoud Chevket che sia superiore alle miserie dello spionaggio e posso andare da lui quando voglio, che sarò sempre gentilmente e soldatescamente ricevuto. Io ho sempre detto che il maggior nemico contro il quale si deve lottare è la resistenza passiva dei turchi, e questi sono più che mai decisi a continuare in questo programma, a ciò incoraggiati dall'attitudine estremamente benevola delle Potenze.

Io sono persuaso che a meno di assumere il rischio di battere su larga scala la costa turca (e se è necessario passare i Dardanelli e presentarsi davanti a Costantinopoli) né le Potenze si muoveranno sul serio, né la Turchia si arrenderà.

E data la psicologia di questa e di quelle è probabilissimo che anche così facendo la pace non avvenga sulla base del riconoscimento dei turchi della sovranità italiana sulle provincie africane. Essa avverrà, questo è il paese dei mezzi termini, sulla base di un modus vivendi nel quale si sorvolerà alla questione fondamentale. La formula da me proposta od altra migliorata sarà il solo mezzo di porre fine alle ostilità.

Avendomi lei telegrafato che la proposta era prematura ho trovato inutile di rivedere Mahmoud Chevket e di forzare la porta di Assim bey, non avrei dovuto ripetere loro che cose vecchie e note e io mi sarei sentito ripetere la solita antifona che la Turchia non ammetterà il fatto compiuto della nostra conquista se non quando le due provincie saranno da noi state sgombrate dalle orde turco-arabe.

Però dopo l'approvazione da parte della Camera italiana del decreto della sovranità del re d'Italia, i turchi hanno perduta la speranza di salvare un pezzo dell'Africa come era nel loro programma ai primi di febbraio.

Tutti gli sforzi del Governo turco sono ora guerreschi e non diplomatici.

Qui si organizzano per il caso della comparsa della flotta italiana nelle acque di Costantinopoli ed è un lavorio giornaliero e notturno per la preparazione di approvvigionamenti d'ogni genere.

Si caricano costantemente vapori d'armi, munizioni e uomini per i Dardanelli, l'Albania e per la Tripolitania.

La stampa poi è accanitissima ed insolente, ma io non credo si debba a ciò dare molta importanza, perché ad un segno del Governo cambierebbe intonazione.

Si è ripetuto e si ripete che prima che le elezioni politiche siano terminate il Governo attuale, non ancora sicuro dei 3/4 di maggioranza, possa passare alla pace. Ora mi sono convinto che questo é un modo qualunque per tirare in lungo, perché é certo che anche ad elezioni finite politicamente si sarà allo stesso punto di oggi.

Sarebbe quindi un errore il credere che ad elezioni finite il momento sarà propizio per imporre la pace ai turchi.

Non vi é che la forza ed esercitata rapidamente qui vicino che possa risolvere il difficile problema, ed anche con questo mezzo la soluzione non sarà così netta come é nel pensiero italiano, esso dovrà necessariamente essere una soluzione involuta come lo sono tutte le soluzioni di questioni orientali.

Come vede in mancanza di notizie importanti positive ha fatto della rettorica.

Ricevo avviso che potrò vedere il ministro degli esteri se lo desidero.

710

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 323/152. Parigi, 11 marzo 1912, ore 18,15 (per. ore 21,10).

Ho l'onore di rispondere ai quesiti che V.E. si e compiaciuta porre col telegramma 366 Gabinetto 1 . l) Esclusa l'azione nei Dardanelli per le incalcolabili conseguenze che ne potrebbero derivare, qualunque altra nostra operazione neli 'Egeo non mi sembra possa avere efficacia al punto da costringere Turchia a cedere. Tuttavia mentre una nostra eventuale azione sulle coste d'Asia o della Macedonia ci attirerebbe gravi complicazioni con le Potenze senza recare pratico e decisivo miglioramento alla nostra situazione in Tripolitania l'occupazione di una o più isole dell'arcipelago se non ci darà risultati immediati potrebbe più tardi offrirei la base per la conclusione della pace. A me pare che al punto attuale delle cose mentre chiediamo alla Turchia l'abbandono delle [ ...f ed il ripristino nell'Impero dello statu quo ante bellum non le offriamo in cambio vantaggi tali da facilitare al Governo ottomano la trattazione della pace. La sovranità religiosa del califfo data la mentalità musulmana è nel nostro interesse conservarla e con ciò non facciamo una vera concessione alla Turchia. Le concessioni eventuali circa capitolazioni aumenti dazi doganali eccetera hanno un valore relativo perché resteranno [ ... f sospesi fino a quando le altre Potenze vi aderissero. Resta l'indennità che non può essere base del

710 l Ctr. n. 703. 2 Gruppo indecitrato.

trattato di pace sia per il suo aumentare che per ragione di dignità da parte della Turchia. Diverso mi sembra sarebbe il caso se avessimo in nostro potere una o più isole la cui restituzione potrebbe costituire il corrispettivo per la cessione della Tripolitania e eventualmente per il pagamento di una idennità di guerra. La loro occupazione si presenta assai più facile tanto dal lato militare che da quello internazionale e presenta il minor rischio di una ripercussione nei Balcani. Avrebbe il vantaggio specialmente se si trattasse di isole vicine ai Dardanelli di costituire una base navale per eventuali nostre future operazioni e riuscirebbe una minaccia permanente contro i Dardanelli che si troverebbero esposti ad un colpo di mano di sommergibili o torpediniere contro la flotta turca. Costringerebbe la Turchia a mobilizzare gran parte delle sue forze di terra come avvenne già quando fu annunziata imminente una nostra azione nell'Egeo. Occupata la isola e le isole nell'Egeo prolungandosi lo stato di guerra specialmente quando si fosse proceduto ali' espulsione ingloriosa degli italiani in Turchia, sarebbe allora il caso esaminare la convenienza di procedere ad una energica azione contro i porti fortificati, cominciando da Smime come principale emporio dell'Asia Minore. 2) Esclusa l'azione nei Dardanelli ciò che riuscirebbe particolarmente sgradita alla Francia sarebbe operazione sulla costa della Siria ed a Beyrut e sarebbe interpretato come diretto contro di essa e comprometterebbe seriamente le relazioni tra i due paesi. 3) L'eventualità di una azione sulla Siria non parendo probabile potremmo dare da quel lato assicurazioni alla Francia ad otteneme il disinteressamento di fronte a una eventuale nostra occupazione di isole dell'Egeo e senza rinunziare beninteso alla possibilità di allargare in avvenire le nostre operazioni ai Dardanelli qualora le circostanze ce lo imponessero. Credo poi che eccezione fatta per la Siria dovunque avessero ad estendersi le nostre operazioni navali o militari non sarà la Francia che prenderà l'iniziativa di opposizione o protesta pur associandosi eventualmente a quelle difficoltà e dimostrazioni collettive che fossero proposte da altre Potenze.

711

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 327/60. Vienna, 12 marzo 1912, ore 11,15 (per. ore 0,35 del 13).

Telegramma di V. E. n. 366 segreto 1• l) L'operazione navale all'infuori della Libia e del Mar Rosso che sarebbe più efficace per costringere Turchia a cedere è indubbiamente quella che fosse intesa a forzare i Dardanelli. Quest'operazione, sebbene non possa essere ormai effettuata di sorpresa, dovrebbe, però, ove fosse

711 Cfr. n. 703.

739 possibile, essere preparata con tale segretezza ed eseguita con prontezza quasi fulminea, in modo da giungere a notizia delle Potenze quando la nostra flotta avesse attaccato Dardanelli e fosse già in procinto di penetrare negli stretti. Se le Potenze potessero averne sentore prima che nostra flotta avesse iniziato operazioni di attacco, noi potremmo forse attenderci a proteste da parte di alcune di esse, probabilmente da parte dell'Inghilterra, come suo passo recente lo farebbe prevedere, ed anche da altre Potenze che ad essa si associerebbero. In tale eventualità noi ci troveremmo di fronte all'alternativa o di passare oltre, continuando le nostre operazioni, o di tener conto di quelle proteste, astenendoci dal proseguire le stesse operazioni. Nel primo caso il nostro contegno potrebbe essere considerato quale una sfida alle Potenze che avessero protestato, esponendoci a conseguenze che sarebbero a noi nocive. Nel secondo caso la nostra astensione dal proseguire le operazioni ci sarebbe parimenti nociva, perché verrebbe a menomare gravemente il nostro prestigio di fronte alla Turchia e ali' Europa intera.

Ma se la protesta per contro ci fosse rivolta dopo che le nostre operazioni contro i Dardanelli fossero in piena esecuzione, non sarebbe più possibile per noi di fame caso, quelle operazioni essendo già fatto compiuto, che le Potenze non avrebbero saputo prevenire in tempo. 2) Le operazioni navali che riuscirebbero meno sgradite al Governo imperiale e reale sarebbero quelle in generale che non fossero atte a produrre un contraccolpo nei Balcani ed a mettere quindi a cimento lo statu quo della penisola. E tali, per esempio, sarebbero le operazioni dirette contro la costa asiatica ottomana dell'Egeo e del Mediterraneo, queste coste essendo considerate, a quanto mi fece intendere per l'addietro lo stesso Aehrenthal, come non [compresa nella]l, sfera d'interessi della Monarchia [bensìf in quella delle Potenze occidentali; Inghilterra e Francia. Tuttavia Governo imperiale e reale potrebbe attirare la loro attenzione su tali operazioni, come già fece in occasione del bombardamento di Beirut, qualora esse avessero per obiettivo porti delle coste suddette in cui risiederebbero numerose colonie austro-ungariche. 3) Berchtold non ebbe finora occasione di manifestarmi suo avviso in relazione alle nostre operazioni navali contro coste europee ed isole ottomane dell'Egeo. Ma tutto mi induce a credere che egli non intenda dipartirsi da quella linea di condotta che Aehrenthal mi fece conoscere a più riprese che sarebbe stata seguita dal Governo imperiale e reale di fronte a tali nostre operazioni.

Se noi quindi ci accingiamo a farlo, Berchtold dapprima protesterà e non sarebbe forse da escludere che tali proteste fossero seguite da una qualsiasi aziOne della flotta austro-ungarica.

V.E. ricorderà che il linguaggio severo tenutomi da Aehrenthal in occasione delle nostre operazioni contro le coste dell'Albania faceva prevedere una azione simile, a cui spingeva allora l'arciduca ereditario, che sarebbe stata effettuata se noi avessimo continuato quelle operazioni. Il conte Berchtold potrebbe inoltre

740 dichiararci che, essendo noi venuti meno agli impegni assunti coll'articolo 7 del Trattato di alleanza, Governo imperiale e reale si considera dal canto suo svincolato dagli impegni stessi. Tale era infatti l'intenzione manifestata confidenzialmente da Aehrenthal al mio collega di Germania.

Per conseguenza operazioni suddette non potrebbero essere da noi effettuate ed io non potrei, come già rappresentai ripetutamente a V.E., che sconsigliarlo di nuovo in modo assoluto a scarico della mia responsabilità, potendo esso mettere a grave rischio i nostri rapporti reciproci di amicizia e di alleanza.

Per ciò che riguarda una operazione contro i Dardanelli, Aehrenthal non mi fece mai intendere che essa era da lui considerata alla stregua di quelle contro coste ed isole ottomane dell'Egeo. Ma egli si espresse sempre meco nel senso stesso con cui Berchtold incaricò Mérey di esprimersi con V.E. rilevando grave contraccolpo che una simile operazione avrebbe potuto avere sulla penisola balcamca.

Se devesi tener conto del linguaggio tenuto in precedenza da questa stampa in ordine ad una eventuale nostra azione contro Dardanelli, è da prevedersi che, ove questa fosse realmente da noi effettuata, solleverebbe, da parte sua, una violenta opposizione, perché è qui ritenuta come implicante vitali interessi della Monarchia per le conseguenze che ne deriverebbero pel mantenimento dello statu quo nei Balcani. Di fronte a tale manifestazione dell'opinione sarebbe difficile al conte Berchtold di rimanere inattivo nonostante il suo desiderio di non fare cosa che fosse incompatibile coi doveri della neutralità.

Certamente tali operazioni incontrerebbero [la sua disapprovazione ed anche forse la] sua opposizione, ma sarebbe invero troppo arrischiato di pronunciarsi circa partito cui si appiglierebbe e se, ed in qual modo, ci farebbe conoscere la sua opposizione, questa potendo dipendere da un complesso di circostanze che non è dato di prevedere da ora.

Ma, prescindendo dal contegno che il Governo imperiale e reale sarebbe per assumere al riguardo, non è da escludere in modo assoluto che l'entrata vittoriosa della nostra flotta nel Mar di Marmara possa provocare, come si crede qui generalmente, una rivoluzione a Costantinopoli, che sarebbe seguita dalla caduta del governo e del Comitato dei Giovani Turchi, e dello scompiglio che risulterebbe potrebbero profittare gli Stati balcanici, che nessuna Potenza sarebbe più in grado allora di trattenere dallo entrare in campo. Tale eventualità, ove fosse per verificarsi, con lo scuotere compagine Impero ottomano, potrebbe far riaprire questione d'Oriente e noi avremmo allora assunto una grave responsabilità danneggiando in modo irreparabile i nostri vitali interessi giacché potrebbe produrre le circostanze per noi nocive indicate nella mia lettera particolare del 28 luglio l91P.

711 Non rinvenuta.

D'altra parte non sarebbe improbabile che il passaggio della nostra flotta attraverso i Dardanelli desse occasione alla flotta inglese di passare pure gli Stretti per ancorarsi dirimpetto Costantinopoli ed impedirci di fare qualsiasi ulteriore azione, seguendo così linea di condotta da essa tenuta durante la guerra russo-turca del 1878 e che la flotta russa penetri inoltre dal suo lato nel Bosforo.

E sarebbe infine da prevedere che, se le Potenze non intervenissero al momento in cui fossimo per forzare Dardanelli, la loro intromissione avvenga quando la nostra flotta fosse per entrare nel Mar di Marmara per fermarci, ciò che potrebbe condurre alla riunione d'una conferenza internazionale la quale non mi sembra possa corrispondere interamente alle vedute del R. Governo.

In conclusione per quanto efficace possa parere una nostra azione contro Dardanelli per costringere Porta a cedere, altrettanto grave essa sarebbe per le conseguenze imprevedibili che potrebbero forse scaturirne sia dal punto di vista internazionale in generale che da quello dei nostri interessi in particolare.

711 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

712

IL MINISTRO A BELGRADO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 1763/25. Belgrado, 12 marzo 1912, ore 16 (per. ore 18,45).

Trasmetto, ad ogni buon fine, informazioni seguenti che questo Governo afferma pervenutegli circa preparativi Austria-Ungheria.

Informatore mandato da questo ministro della guerra ha riferito che oltre rinforzi di truppe già noti, distaccate in Bosnia dal XVI Corpo d'armata e da quello di Temesvar, anche parecchie località della Dalmazia come Cattaro, Ragusa Metcovic si trovano in condizione di perfetta preparazione in vista della eventualità di un colpo di mano dalla parte del mare. Parecchi locali pubblici di Trieste cioè, trattorie, caffè, magazzini commestibili sono stati avvertiti tenersi pronti cedere in caso di bisogno loro locali oppure fornire viveri.

Questo ministro degli affari esteri asserisce poi essere informato di una agitazione fomentata nel Sangiaccato da agenti austriaci allo scopo di eccitare popolazioni chiedere ripristinamento occupazione. Si osserva però che tale sentimento è in genere sincero poiché emissari venuti dal Sangiaccato hanno riferito che popolazione è così disgustata del regime turco da invocare avvenimento qualsiasi che possa sottrarla attuale Governo.

713

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 328/32. Il Cairo, 12 marzo 1912, ore 17,40 (per. ore 0,30 del 13).

Mio telegramma Gabinetto 25 1 . S.E. presidente del Consiglio mi ha telegrafato che desiderio Idrissi fu trasmesso da coloro che gli consegnarono nostre armi, che informazioni provenienti Massaua danno tribù harb partigiane dei turchi. Appena khedive tornò al Cairo fece chiamare colonnello Elia che ne profittò per intrattenerlo circa desiderio Idrissi e disposizioni R. Governo. S.A. rispose essere lieto che desiderio Idrissi si accordi con suo suggerimento. Per decidere linea di condotta attendere ritorno di said Mustafà, suo messo ad Idrissi, ora molto vigilante. Circa atteggiamento tribù harb, il khedive dichiara recisamente che informazioni di Massaua non sono esatte e che se detta tribù non è ancora insorta dipese solo da mancanza di armi. Non ho dati per valutare attendibilità dichiarazione khedive, ma giova ricordare che questo fin dal suo viaggio alla Mecca ha stretto colà relazioni che coltiva con gran cura in vista suoi ambiziosi progetti che ne rendono completamente interessi identici italiani ed i diversi emissari già mandati presso sceik Salah (rappresentante di Idrissi alla Mecca) al quale chiese indicazioni sul da farsi per agire verso tribù al nord detta città farle insorgere e dare loro armi. S.A. non può agire direttamente sugli harb il di cui capo più influente è socio casa commerciale inglese a Gedda: ogni suo passo verrebbe risaputo dalle autorità britanniche [travisato] 2 . Perciò dovrebbe presumersi ben informato e sincero. S.A. rinnovò ad Elia viva raccomandazione di massima prudenza per quanto riguarda sua azione che può comprometterla e renderla sospetta verso Inghilterra.

Per continuare ora trattative è necessario attendere arrivo emissario sovraccennato il di cui viaggio fu ritardato mancando a Massaua adeguati mezzi di trasporto il che nuoce ad una più rapida conclusione delle trattative stesse.

Prego VE. comunicare quanto precede a S.E. presidente del Consiglio poiché ignoro se sono autorizzato a corrispondere direttamente con S.E. su quest'argomento e se sia opportuno il farlo mentre pur trattando di questione così riservata non potrei valermi col Ministero dell'interno che del cifrario comune n. 9.

2 Integrazione del decifratore.

713 1 Con T. Gab. 283/25 del 3 marzo, Grimani comunicava anche il seguente telegramma del presidente del Consiglio: «idrissi desidera vivamente che kedivè faccia azione presso arabi che si trovano a nord della Mecca. Quando essi si muovessero potremmo, se occorre, aiutarli. Veda se presso kedivè conviene agisca lei o colonnello Elia».

714

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 634/197. Il Cairo, 12 marzo 1912 1.

S.A. il kedive, che di recente ha fatto un nuovo viaggio lungo la linea del Mariut, ritornando al Cairo mi fece sapere pel tramite del colonnello Elia che i beduini, dimoranti lungo il confine tra l'Egitto e la Cirenaica, non sarebbero più così favorevoli ai nostri avversari, come in passato. Sembra che a più riprese sian stati delusi circa l'entità dei compensi; che questi anzi, talvolta, si an stati dati in misura inferiore alla promessa. Sua Altezza ritiene che abbastanza facilmente si riuscirebbe ora ad attrarli dalla parte nostra, impegnandoli specialmente a fare la polizia del confine col procedere all'arresto delle carovane.

Siffatta azione, come benissimo ha osservato il colonnello Elia al kedive, non potrebbe certo farsi da questo lato del confine dove le autorità locali non potrebbero ammettere che dei privati esercitassero una sorveglianza sulle carovane e procedessero al loro arresto, invadendo così il campo del potere governativo ed arrecando un serio danno ai commerci della regione. Sarebbe assai più agevole organizzare le operazioni entro la Cirenaica, se i beduini acquisiti alla nostra causa potessero far capo a qualche nostro posto situato nelle vicinanze del confine stesso: e questo non mancò di dire Sua Altezza, rinnovando l'antico consiglio di occupare Marsa Bardia.

Non posso naturalmente riferire a Sua Altezza i motivi per cui siffatta occupazione non è giudicata opportuna dal R. Governo; d'altra parte non potevo esimermi dal riferire la cosa all'E.V., giacché la conoscenza delle possibili intese che potrebbero aver luogo attualmente coi beduini di cui si tratta, può eventualmente influire sulle decisioni del R. Governo.

Sarebbe senza dubbio del massimo interesse aver modo di impedire il rifornimento dei generi alimentari ai nostri nemici, mentre i viveri stessi, che oggi si spediscono dall'Egitto in quantità notevoli, non possono considerarsi qui contrabbando di guerra.

714 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

715

IL CONSOLE GENERALE A CALCUTTA, SANT-MARTIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 118/22. Calcutta, 12 marzo 1912 1.

Le notizie della guerra italo-turca hanno creato e mantengono una viva agitazione tra la popolazione mussulmana di questo Impero, la quale supera i sessanta milioni di anime e rappresenta circa il quinto della popolazione totale dell'India.

Questi mussulmani appartengono ad una razza indigena convertita all'islamismo nei secoli scorsi, e non hanno quindi alcuna affinità di razza coi turchi e cogli arabi ai quali non sono uniti che dal vincolo religioso.

Tuttavia la Lega indiana mussulmana si studia di eccitare i mussulmani dell'India contro l'Italia come se questa avesse dichiarato la guerra all'islamismo, ed indìce comizi in ogni regione dell'Impero i quali formulano vibrate proteste indirizzate a questo Governo centrale.

Con mala fede evidente alcuni giornali hanno pubblicato la notizia che il Governo italiano intendeva bloccare i porti di Gedda e di Yembo per impedire il pellegrinaggio alla Mecca. Anzi a Luknow, e probabilmente altrove, è stato tenuto un comizio di protesta contro il blocco di Gedda, come se questo fosse già effettuato.

Non ho tralasciato di recarmi al segretariato di Stato pegli affari esteri e di osservare al vice segretario signor Clark, in assenza del segretario signor H. Mc Mahon, che il solo blocco nel Mar Rosso di cui avevo avuto notizia era quello di Hodeida (comunicatomi da VE. col telegramma n. 3832 di cui ho consegnato copia in inglese al signor Clark che non sembrava guari al corrente della situazione) e di osservare che l'erronea notizia del blocco di Gedda fomentava una agitazione contraria agli interessi dei nostri paesi. Il vice segretario di Stato mi ha risposto che non aveva ancora ricevuto l'annunziata protesta del comizio di Luknow ma che trovava giuste le mie osservazioni e che ne avrebbe riferito al segretario di Stato pegli opportuni provvedimenti.

Ritornato successivamente dal signor Clark, questi mi ha confermato che riceveva proteste da ogni parte dell'India contro l'intenzione del Governo italiano di bloccare Gedda e che rispondeva regolarmente che «il Governo inglese non aveva alcuna ragione per ritenere che il Governo italiano intendesse bloccare il porto di Gedda».

Tale risposta non ha corrisposto alle mie aspettative parendomi che, in presenza di una agitazione che non era basata su di un fatto concreto ma su di una semplice supposizione -che secondo lo stesso Governo italiano non aveva ragione di esistere sarebbe stato indicato un comunicato alla Lega dei mussulmani dell'India od ai giornali. Ho accennato quindi a quel provvedimento che avrebbe tolto di mezzo

715 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 T. 383 del 25 gennaio, non pubblicato.

una causa di agitazione, ed il signor Clark si è riservato di riferirne al segretario di Stato, che al suo ritorno a Calcutta si è deciso per un comunicato alla stampa apparso il IO corrente nel giornale ufficioso Stateman (allegato A)3 .

Il ritardo frapposto nell'adottare quella misura e la frase finale in cui si accenna alla circostanza che è stata attirata l 'attenzione dell'E. V. risentimento che quel blocco produrrebbe in India, sono una prova della politica di condiscendenza seguita dal Governo indiano versi i mussulmani, considerati come validi sostenitori dell'Impero.

Accludo un resoconto della protesta del comizio di mussulmani tenutosi testè a Madrase e terminato, come di consueto, con un eccitamento al boicottaggio delle merci italiane ed all'invio di soccorsi ai turchi ed arabi feriti combattendo per la difesa della loro patria e dell'islamismo, nonché alle famiglie dei morti (allegato B).

716

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 340/63. Londra, 15 marzo 1912, ore 17 (per. ore 20,45).

Telegramma di VE. Gabinetto 366 1• Circa grado di efficacia varie nostre ulteriori operazioni navali, nonché circa impressione che esse potrebbero produrre sull'animo dei turchi, divido opinione di Pansa (telegramma di VE., Gabinetto, 378)2 . Come pure concordo con Avarna nel ritenere azione vittoriosa contro Dardanelli, più che ogni altra, capace costringere Turchia cedere. Per quanto riguarda contegno eventuale questo Governo, non posso modificare impressione e conclusioni già ripetutamente sottoposte a VE., specie nei miei telegrammi 498, 3 5034 e 55?5 del 1911; quelle impressioni mi sembrano siano state giustificate dai fatti. Finché si è trattato azioni come quelle Mar Rosso e Beirut, nelle quali, per non essere stati lesi essenziali interessi britannici, qualsiasi protesta sarebbe stata incompatibile con la neutralità, Governo e opinione pubblica, benché non soddisfatti, hanno taciuto. Non appena, dopo le voci sparse di nostra possibile azione Dardanelli, si è cominciato prevedere danni più gravi commercio britannico, questo Governo, conforme alle dichiarazioni precise a me fatte da Grey e ripetute da lui alla Camera dei Comuni,

2 Il T 378 del 12 marzo comunica il n. 705.

3 T 6787/498 dell'8 novembre 1911, non pubblicato.

4 T 6919/503 del 12 novembre 1911, non pubblicato.

5 T 7523/557 del 23 novembre 1911, non pubblicato.

746 è uscito subito dalla riserva col passo fatto presso le Potenze; passo ispirato né da amicizia per Turchia, né da ostilità per noi, ma unicamente dall'interesse di mettersi in grado di rispondere ad eventuale rimprovero in Parlamento e nel ceto commerciale. Il passo, però, è stato un errore perché, mentre non è riescito vincolare nostra libertà d'azione, né ha impedito ai turchi di sbarrare stretti con mine, ha favorito giuoco Germania e Austria fornendo loro, a buon mercato, ottima occasione per fare, a spese dell'Inghilterra, apparente atto di solidarietà con Italia, nel volere rispettato diritto neutralità. E sul significato di risposta austriaca, impressione di Avarna merita massima riflessione. Qui attenzione generale Governo e pubblico essendo concentrata ora nella questione sciopero, tutte le altre questioni passano in secondo luogo e vengono lasciate in sospeso. Non oserei, però, certo affermare che tale inazione abbia a continuare anche quando, iniziate nostre operazioni contro Dardanelli, le quali per difficoltà che presentano non credo possano ultimarsi vittoriosamente in poche ore, commercio venisse essere completamente paralizzato. Anche qui, come a Berlino, sarei indotto ritenere che, rapida, vittoriosa azione contro Dardanelli o comparsa nostra flotta dinanzi Costantinopoli, desterebbe, per importanza primaria operazione militare destinata diventare storica, profonda ammirazione, capace -forse -attenuare alquanto irritazione commercianti. Ma operazione contro Dardanelli va esaminata anche dall'aspetto politico, sia per carattere internazionale questione stretti, sia per comparsa navi italiane davanti Costantinopoli, verrebbe non solo riaprire in modo ineluttabile tutta la questione d'Oriente, ma ad infliggere colpo terribile prestigio del sultano califfo, sollevando terribile indignazione di tutto elemento musulmano, dei sentimenti del quale Governo e opinione pubblica inglesi, in questo momento più che mai, sono costretti tener conto massimo. Dato tutto ciò, sarebbe somma imprudenza da parte mia spingere Governo del re ad una azione della quale non mi è permesso garantire conseguenze. Indipendentemente, del resto, da ogni considerazione sull'eventuale contegno Inghilterra, mi pare, in base informazioni Avarna, che le disposizioni alleata Austria siano tali da ispirare seria ponderazione, e, d'altra parte, anche Sazonoff, malgrado suoi sentimenti personali, ha formulato riserve non incoraggianti.

A tutte queste considerazioni si aggiunga quella dei sacrifici gravissimi che, stando all'opinione concorde dei tecnici, azione Dardanelli non potrebbe non cagionare nostra marina. Colla conseguenza indebolire nostra potenza navale, al momento in cui interessi supremi paese consigliano, invece, dare loro massimo incremento.

In conclusione, io non potrei mai assumermi gravissima responsabilità consigliare azione navale Dardanelli, senza prevedere difficoltà con l'Inghilterra. Comunque, mi pare che operazione contro Dardanelli dovrebbe essere, per lo meno, ultima ratio cui ricorrere, solo al momento in cui nostra situazione in Libia, grazie ad una serie ulteriori operazioni importanti analoghe a quelle dei giorni scorsi, sarà divenuta tale da permetterei di dimostrare tangibilmente vanità di quella resistenza da parte dei turco-arabi, nella quale, a torto od a ragione, Potenze si ostinano ravvisare principale ostacolo acquiescenza Turchia alla pace.

Per il momento, misure prese ai Dardanelli e conseguente intralcio commercio internazionale mi sembrano di natura a recare pregiudizio solo alla Turchia, visto che noi, pur avendo riservato piena, intera libertà d'azione, nulla abbiamo fatto per giustificare lagnanze neutri.

Per quanto riguarda (telegramma di V.E. Gabinetto 383)6 eventuale distruzione flotta turca, dato che ciò possa farsi senza operazioni contro la costa e senza forzare Dardanelli, non arriverei a vedere motivo plausibile proteste e opposizioni da parte di chicchessia.

715 3 Non si pubblicano gli allegati.

716 1 Cfr. n. 703.

717

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. 390. Roma, 15 marzo 1912, ore 20,30.

Oggi ho consegnato agli ambasciatori di Germania, Francia, Inghilterra ed Austria ed al consigliere dell'ambasciata russa, venuti separatamente alla Consulta, la risposta scritta alloro passo, di cui ho informato V.E., con mio telegramma n. 370 segreto1•

L'anzidetta risposta2 è così concepita: «Les Gouvemements de l'Allemagne, de l' Autriche-Hongrie, de la France, de la Grande Bretagne et de la Russie ont exprimé le désir de connaitre le minimum des conditions auxquelles l'Italie subordonnerait l'acceptation d'une médiation des Puissances à l'effet de la cessation des hostilités entre l'Italie et la Turquie. Le Gouvemement royal apprécie à sa juste valeur l'esprit amicai qui a inspiré cette démarche des Grandes Puissances et le but hautement humanitaire qu'elles se proposent. Obéissant aux devoirs qui lui étaient imposés par sa dignité de Grande Puissance et par la nécessité de sauvegarder ses interèts politiques et économiques dans la Méditerranèe, l'Italie s'est vue contrainte à déclarer la guerre à la Turquie; guerre que l'attitude du Gouvemement ottoman avait rendue inévitable et qui a été

constamment appujée pour le consentement unanime du Parlement et du pays. L'Italie n'a cependant pas d'interèt à amoindrir la situation intemational de l'Empire ottoman. Par conséquent, tout en persuivant la guerre avec tous Ies moyens à sa

disposition, l '!tali e est également disposée, la realisation de ses fins une fois assurée, à mettre un terme è l'état de guerre et à seconder, avec esprit de conciliation, !es efforts des Puissances tendant au rétablissement de la paix.

2 Edita anche in GP, vol. XXX/I, n. 11047, OeUA, vol. IV, n. 3378; DDF, serie III, tomo Il,

n. 21 O; BD vol. IX, I, nn. 381-382.

La cessation des hostilités signifie en effet la constitution d'un état de fait, équivalent è la paix, sans l'existence d'un traité qui en contienne la stipulation formelle.

La cessation des hostilités doit avant tout avoir comme base la souveraineté pleine et entière de l'Italie sur la Tripolitaine et la Cyrénalque, telle qu'elle a été solennellement proclamée par la loi du Royaume du 27 février 1912. La reconnaissance de cette souveraineté, une fois explicitement admise par !es Puissances, ne serait pas demandée à la Turquie. Il suffirait d'obtenir la certitude de sa renonciation pratique qui serait donnée en premier lieu par la retraite definitive de tous ses officiers et de toutes ses troupes des deux provinces. La Turquie devrait pareillement rétablir le statu quo ante bellum pour tout ce qui concerne la situation des sujets italiens dans son territoire (régime des capitulations, relations commerciales, bureaux de poste, écoles, hòpitaux etc. etc.).

L'Italie suprimerait, en échange, bien entendu, les surtaxes établies à l'entrée des produits tures dans le Royaume.

Les concessions que l'Italie ferait de son còté pourraient se rapporter aux points suivants: l) reconnaissance de l'autorité religieuse du calife, sous une forme analogue aux dispositions de l'artide IV du protocole austro-turc du 26 février 1909, pour autant qu'elles seraient applicables aux usages et aux conditions locales, et à la conditions qu'elles se mantiennent sur le terrain religieux, de manière à exclure tout ce qui pourrait constituer une immixtion politique ou y donner prétexte. Il ne faut pas laisser subsister, en effet, une source de conflits perpetuels, ce qui ne serait certes pas dans l'intérét de l'ltalie, ni des Puissances, ni de la Turquie elle-mème; 2) engagements relatifs à l'élévation des droits de douane, à l'établissement des monopoles, aux bureaux de poste italiens et au régime des capitulations dans l 'Empire ottoman, pareillement sous une forme analogues aux dispositions des articles VI, VII et VIII du protocole austro-turc susmentionné; 3) remboursement, dans un montant à établir, de la valeur des biens immeubles de divers nature que l'Etat ottoman possédait en Tripolitaine et en Cyrénai·que; 4) confirmation de la déclaration déjà émise par le Gouvemement italien relativement à la garantie des intéréts représentés par le Conseil de la dette publique ottomane, en ce qu'ils se rapportent aux revenus de la Tripolitaine et de la Cyrénai"que; 5) reglément des réclamations privées des sujets italiens en Turquie, en la déférant au Tribuna! de la Haye, ou en adoptant telle autre solution qui serait proposée par !es Puissances: règlement sur ces mème bases, ou solution proposée par !es Puissances, de toutes les réclamations concemant !es dommages infligés par la Turquie aux ressortissants italiens, à leur commerce et aux istitutions italiennes pendant la guerre. Le droit des particuliers de faire valoir leurs raisons envers le Gouvemement ottoman par la voie judiciaire devrait cependant demeurer intact; 6) déclaration de renoncer à l'application de toute punition aux populations arabes de la Tripolitaine et de la Cyrénalque sur tous le faits survenus jusqu'à la date de la cessation des hostilités entre l'Italie et la Turquie: esxpression de la part du Gouvemement royal, de son intention d'appliquer aux dites populations un regtme largement libéral, faisant droit aux uses et coùtumes de leur race; 7) accords à prendre avec les autres Grandes Puissances en vue d'une déclaration ou stipulation répondant au principe du maintien de l'integrité territoriale de la Turquie d'Europe.

Le Gouvernement royal, dans ses échanges de vue avec les Puissances, a déjà eu maintes fois l'occasion de mentionner quelques unes des conditions susenoncées en ayant soin d'ajouter qu'elles répondaient à la situation du moment, et qu'elles auraient dù subir des limitations consìderables par suite de la prolongation de l'état de guerre. Cependant, et pour déférer au désir exprimé par les Grandes Puissances, le Gouvernement royal est toujours disposé à maintenir ces dispositions. Le Gouvernement Royal est convencu que les Grandes Puissances reconnaìtront l'esprit de conciliation auquel s'inspirent les conditions qu'il propose. Si toutefois, dans le but de donner satisfaction aux intèrets et aux sentiments de la Turquie, les Grandes Puissances présentent quelques autres propositions, le Gouvernement royal est disposé à les examiner avec le mème esprit de conciliation, en restant naturellement hors de discussion le point relatif à la souveraineté pleine et entière de l'Italie sur la Tripolitaine et la Cyrénai'que.

Les dispositions du Gouvernement royal deviandraient naturellement moins favorables à la Turquie si la guerre devait se prolonger».

Mentre gli altri si riservarono chiedere spiegazioni dopo attenta lettura del documento, Mérey mi fece subito notare le difficoltà che si oppongono oggi al riconoscimento della nostra sovranità da parte delle Potenze, così che egli vede nella frase, a suo avviso poco chiara che vi si riferisce, un possibile ostacolo agli ulteriori passi per la pace. lo cercai di dargli risposte evasive insistendo per non entrare in discussione del nostro pro-memoria senza previo e maturo esame.

Egli accennò poi alle simpatie, di cui in questo momento gode la Russia in Italia ed io gli risposi che sono ben naturali, essendo finora la Russia la Potenza che ci ha dimostrato le maggiori simpatie.

Egli volle vedervi un effetto degli accordi di Racconigi ed io replicai che a Racconigi come in ogni altra occasione, in cui Italia e Russia hanno scambiato idee sulle questioni balcaniche si sono sempre trovate d'accordo sullo stesso principio, sul quale sono d'accordo Italia ed Austria, cioè lo statu quo territoriale.

Prego V.E. di telegrafarmi sul nostro pro-memoria e sulla impressione che produrrà su codesto Governo il suo parere e le maggiori informazioni possibili. Ho comunicato alla Stefani che ho dato la risposta alle Potenze, ma si è convenuto di tenere il più scrupoloso segreto sul contenuto di essa3 .

716 6 T. Gab. 383 del 13 marzo 1912, non pubblicato.

717 1 Cfr. n. 704.

717 3 Per il seguito cfr. n. 72!. Per le risposte cfr. nn. 726,723,731 e 727. La risposta da Londra non è stata rinvenuta nel registro dei telegrammi.

718

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 339/63. Vienna, 15 marzo 1912, ore 20,40 (per. ore 22,40).

Telegramma di V.E. Gabinetto 382 segreto 1•

Non mi sembra che dal mio telegramma, Gabinetto 60 segreto2 , si possa dedurre che Austria-Ungheria si opporrebbe con minor energia ad una azione nostra contro Dardanelli che ad una azione nostra contro coste ed isole europee ottomane nell'Egeo.

Risulta infatti dalle cose esposte in quel telegramma: l) che in tesi generale l'Austria-Ungheria farebbe opposizione ad ogni nostra operazione che avesse una ripercussione nei Balcani e potrebbe quindi mettere a cimento il mantenimento dello statu quo nella penisola balcanica che è la base fondamentale della sua politica orientale; 2) che in tesi particolare, siccome le nostre operazioni dirette contro coste ed isole europee ottomane dell'Egeo e contro Dardanelli sarebbero atte, come qui si ritiene, a produrre l'effetto suddetto, entrambe queste operazioni potrebbero incontrare, ove noi le effettuassimo, una eguale ed identica opposizione da parte dell'Austria-Ungheria.

Aggiungo che nel parlare dei Dardanelli, ho sempre considerato per le ragioni stesse indicate nel telegramma di V.E., la sponda europea e quella asiatica non come distinte tra loro, ma come costituenti un tutto insieme ed in tal senso esse erano considerate pure dal conte Aehrenthal; 3) che circa modalità dell'opposizione dell'Austria-Ungheria alle operazioni suddette, se noi sappiamo dalle ripetute dichiarazioni del conte Aehrenthal in qual modo si produrrebbe quella contro una nostra operazione sulle coste ed isole europee ottomane dell'Egeo, noi ignoriamo tuttora come si esplicherebbe l'opposizione contro l'altre nostre operazioni nei Dardanelli, non avendo Aehrenthal parlato di questo che in via incidentale; senza fare conoscere se fosse da noi considerato alla stregua della prima, cioè contraria agli impegni da noi assunti co !l'articolo 7 del trattato di alleanza.

Si fu perciò che dichiarai a V.E. che in tale stato di cose io non era in grado di pronunziarmi sul partito al quale Berchtold si sarebbe appigliato per manifestarci la sua opposizione contro questa ultima operazione. Ma che tale opposizione possa esplicarsi lo farebbe supporre la comunicazione confidenziale che in nome del conte Berchtold venne fatta di recente a tale riguardo a V.E. dal signor de Mérey, telegramma di V.E. Gabinetto 326 segreto3 , che sembra suonare quale un avvertimento di cui non possiamo non tener conto.

Condivido pienamente l'opinione di V.E. per ciò che riguarda una nostra azione contro Salonicco sia blocco, sia attacco.

2 Cfr. n. 711.

3 Cfr. n. 691.

Tale azione non spingerebbe certamente l'Austria-Ungheria in favore della pace, come suppone Sazonoff, telegramma di V.E. Gabinetto 375 segreto\ ma provocherebbe da parte sua una opposizione maggiore che a qualunque altra, esponendoci alle gravi conseguenze indicate nel mio telegramma suddetto, le quali si verificherebbero parimenti se noi cercassimo, giusta quanto suggerisce Pansa (telegramma di V.E. Gabinetto 378 segreto)5 di occupare un'isola qualsiasi dell'Egeo per servircene come di una specie di pegno per l'eventuali trattative di pace.

Per cui entrambe quelle operazioni, come già feci conoscere a V.E., non potrebbero non essere da me sconsigliate nel modo più assoluto a discarico della mia responsabilità.

Infine circa una nostra azione intesa a danneggiare la flotta turca senza fare operazioni contro le coste dei Dardanelli ignoro in qual modo potrebbe essere fatta. Ma se tecnicamente fosse possibile di farla eseguire da sottomarini accompagnati da torpediniere di sorpresa e in modo che Austria-Ungheria non ne avesse sentore che quando soltanto fosse già avvenuta, si verificherebbe allora il caso del fatto compiuto di cui Aehrenthal fece cenno ad uno dei miei colleghi (mio telegramma Gabinetto 26)6 e di fronte al quale sarebbe vana qualsiasi opposizione o protesta da parte del Governo imperiale e reale.

Per contro se nonostante le cautele che noi prendessimo anche l'azione suddetta dovesse giungere a notizia dell'Austria-Ungheria prima che fosse eseguita, noi potremmo opporci alla sua opposizione per le ragioni sopra esposte.

Il parere da me espresso circa le varie operazioni suddette è basato unicamente sulle dichiarazioni stesse fattemi a più riprese da Aehrenthal. Quantunque tutto induca a credere Berchtold non possa dissentire da questa dichiarazione, sembrerebbe opportuno, anzi prudente, ove fosse nostra intenzione d'intraprendere una di quelle operazioni, di scandagliare prima direttamente il terreno presso di lui, per essere accertati delle sue intime disposizioni in proposito. V.E. vedrà se convenga di riprendere con il nuovo ministro degli affari esteri la conversazione che su tale argomento rimase interrotta.

718 1 T. Gab. 382 del 13 marzo non pubblicato.

719

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 395. Vienna, 15 marzo 1912, ore 24.

Oggi prima Mérey e poi Jagow, separatamente, mi hanno consegnato la formala di Kiderlen relativa agli articoli 9 e l O del Trattato della Triplice Alleanza1 .

5 Il T. Gab. segreto 378 del 12 marzo comunica il n. 705.

6 T. 156/26 del 30 gennaio, non pubblicato.

Entrambi, alla mia risposta che presenteremo le nostre osservazioni, hanno detto chiaramente che i loro Governi capiscono che noi vogliamo differire la rinnovazione sino a dopo la pace, e preferirebbero che lo dicessimo chiaramente, poiché il tergiversare produce non buona impressione.

lo ho replicato che noi non abbiamo il proposito deliberato di rinviare la rinnovazione a dopo la pace, ma che non ci dissimulano due difficoltà, che del resto sono comune fra loro.

Una è la difficoltà di trovare, prima della pace, una formola, soddisfacente per tutte e tre le Potenze, per gli articoli 9 e l O.

L'altra è il timore che, vista la quasi impossibilità di mantenere il segreto, coincida la notizia della rinnovazione con qualche atto, se non della Germania, dell'Austria-Ungheria, di tal natura da provocare in Italia una forte esplosione d'irritazione in tutta la Nazione. Il che indebolirebbe l'alleanza, giusto nel momento in cui vogliamo rafforzarla; tanto che uno dei risultati che ci ripromettiamo dalla spedizione di Tripoli è quello di creare una situazione che ci permetta di seguire una politica di maggiore intimità e concordia coi nostri alleati.

In ogni modo, ho detto ad entrambi che tra pochi giorni esporrò loro le nostre osservazioni sulla formola di Kiderlen2 .

718 4 Il T. Gab. segreto 375 dell'Il marzo comunica il n. 707.

719 1 Al riguardo si vedano OeUA, voi IV, nn. 3377, 3384 e GP, vol. XXX/II, n. 11261.

720

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 342/21. Sofia, 16 marzo 1912, ore 1,45 (per. ore 14,30).

Questo ministro d'Inghilterra tornato da un breve soggiorno a Costantinopoli dove fu ospite di quell'ambasciatore d'Inghilterra, mi ha detto le seguenti cose: l) che ministro degli affari esteri ottomano si è mostrato poco voglioso di discutere con lui gli affari della Libia ed ha improntato il poco che ha detto a sensi di grande intransigenza; 2) che nelle prossime elezioni politiche si prevede pei Giovani Turchi una importante maggioranza; 3) che Marshall appare di più in più sotto la assoluta influenza del signor Weitz; 4) che nei giorni passati nessuno prevedeva richiamo di

Tcharicoff, il cui motivo determinante sembra tuttora ignorato a Costantinopoli; 5) che in seguito agli ultimi piccoli prestiti, situazione del tesoro ottomano è soddisfacente, né è da ritenersi che Turchia si troverà costretta alla pace da strettezze finanziarie.

719 2 Per il seguito della questione cfr. n. 771.

721

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 405. Roma, 17 marzo 1912, ore 20,30.

Faccio seguito al mio telegramma Gabinetto n. 3901• La Allgemeine Zeitung di Vienna dice che la risposta italiana offre modo alle Potenze di mettersi d'accordo intorno a nuove trattative col Governo italiano.

È necessario che prima di chiedere a noi modificazioni alle nostre proposte, le Potenze rivolgano alla Turchia la stessa domanda rivolta a noi, cioè a quali condizioni essa accetterebbe la loro mediazione per la cessazione delle ostilità. Infatti, se la Turchia aderisce in massima a trattare, è inutile discutere con noi le condizioni prima di sapere quali siano i punti ai quali la Turchia tiene di più. Se invece la Turchia non aderisce a trattare, giova evidentemente a noi che risulti chiaro che le trattative sono fallite per colpa sua e non nostra.

Non è certo il caso che V.E. si esprima fin d'ora in questo senso a nome del R. Governo, non sapendo fino a che punto sia attendibile la notizia della gazzetta viennese. Ma è bene che ella sia informata di tali nostre vedute, ed ispiri ad esse il suo linguaggio, cercando di evitare che vengano fatti nuovi passi presso di noi prima di interrogare la Turchia.

Aggiungo, per uso personale ed esclusivo di V.E., che tali passi potrebbero avere per effetto di fare in tutto o in parte ricadere su di noi la responsabilità del probabile insuccesso delle trattative, mentre a noi importa molto che esso venga, come è verità, attribuito il più possibile alla Turchia.

(Per Pietroburgo soltanto) Rammento che Sassonoff sosteneva il punto di vista che occorreva dapprima avviare pratiche esclusivamente presso di noi, e che fece scartando la proposta francese intesa a rivolgere la domanda contemporaneamente alle due parti. Importa quindi spiegargli chiaramente le considerazioni precedenti ed io ho fiducia che, ispirandosi alla simpatia che ci ha sempre dimostrata e della quale gli siamo particolarmente grati, egli saprà riconoscerne il fondamento ed agirà in conseguenza.

721 1 Cfr. n. 717.

722

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1915/211. Sofìa, 18 marzo 1912, ore 7 (per. ore 20,55).

Il signor Ghenadieff capo partito stambulista è venuto a dirmi che Adii bey segretario generale del Ministero interno ottomano è giunto ieri a Sofia e si è abboccato col signor Cristomatoff rappresentante qui dell'organizzazione macedone e gli ha chiesto cosa l'organizzazione stessa avrebbe domandato al Governo ottomano per fare cessare azione delle bande bulgare. Dopo breve discussione Cristomatoff avrebbe concluso che l'organizzazione non verrà mai a patti col Governo ottomano perché di esso non si fida. Cosicché questa missione si può dire avere avuto esito puramente negativo.

Il signor Ghenadieff non può spiegarsi il movente di questo passo del Governo turco così inatteso e senza precedenti. Egli ha convenuto con me che i mezzi di cui attualmente dispone l'organizzazione non sono tali da intimorire seriamente il Governo ottomano. Quindi inclina piuttosto a credere che Turchia procuri di intendersi coi rivoluzionari di Macedonia per timore che una loro azione, per quanto debole ed inefficace per se stessa, possa servire di pretesto all'intervento dell'Austria

o della Russia.

723

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 352/156. Parigi, 18 marzo 1912, ore 13 (per. ore 15,20).

Telegramma di V.E. 3901• Le condizioni di pace dal punto di vista italiano non possono essere più concilianti né esposte in modo più deferente verso le Grandi Potenze. Considerate però dal lato della loro efficacia in merito alla mediazione, date le condizioni speciali in cui si svolge la guerra in Africa che fanno sì che la Turchia non è dalle Potenze considerata vinta, data la situazione interna dell'Impero e il fermo proposito già manifestato a più riprese di non voler cedere sul punto della sovranità del sultano, dubito che le nostre proposte offrano elementi per l'intervento delle Potenze a Costantinopoli. Perché la mediazione nelle circostanze offra possibilità di successo bisognerebbe che fosse appoggiata o da forte pressioni delle

755 Potenze, eventualità che è esclusa, o per le meno da serie minaccie da parte nostra di estendere la nostra azione all'infuori della Libia e delle coste del Mar Rosso.

Non ho ancora avuto occasione di vedere Poincaré, ma credo che questa sarà pure impressione che produrrà nostro promemoria sul Governo francese. Ad ogni modo la nostra risposta dimostra la nostra buona volontà e spirito di conciliazione e avrà in pari tempo dimostrato la necessità per noi di estendere il campo delle operazioni di guerra.

723 1 Cfr. n. 717.

724

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1914/159. Parigi, 18 marzo 1912, ore 18 (per. ore 20,45).

Informazioni di ottima fonte da Tunisi confermano che la politica della Residenza è totalmente cambiata a nostro favore. Ciò dipenderebbe dal fatto che Alapetite si sarebbe accorto che era stato male informato ritenendo italiani fomentatori di disordini e dell'avere ricevuto ordini precisi da Parigi di fare cessare agitazione antiitaliana. I vivaci attacchi che la stampa francese, notoriamente stipendiata dalla Turchia, muove ad Alapetite dimostrano il grave danno che quella Potenza riceve dalla estinzione di quel focolare di agitazione che con molta fortuna aveva acceso in Tunisia. Mangano ha saputo da informatori di ritorno da Ben Garden che colà non si fa più contrabbando di guerra.

Quanto precede confermerebbe le assicurazioni datemi da Poincaré che tanto egli in Francia quanto il residente a Tunisi, giusta le precise istruzioni dategli, si adoperavano a fare tornare la calma in Tunisia.

725

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 1917/41. Pietroburgo, 18 marzo 1912, ore 18, 15 (per. ore 18,55).

Richiamo Tcharikoff ha dato luogo nella stampa ad infiniti commenti ed ipotesi di ogni genere. Si è perfino parlato di radicali cambiamenti nell'indirizzo della politica russa e si è giunto a vedere, non so con quale fondamento, un colpo diretto contro Austria-Ungheria. A troncare queste false supposizioni Novoje Vremia di questa mattina pubblica una intervista con persona bene informata che mette cose a posto. Tale intervista appare in modo non dubbio voluta da questo ministro affari esteri.

Gli addebiti fatti all'ex ambasciatore Costantinopoli sono: l) politica personale senza tener conto delle direttive del Ministero affari esteri. 2) Noti passi riguardanti Dardanelli intrapresi di propria iniziativa ed in momento inadatto e pericoloso. 3) Questione di Urmia alla quale ambasciatore non diede importanza che meritava omettendo spiegare azione energica indicata dal Governo imperiale. 4) Azione personale mirante alla realizzazione dell'utopia della federazione balcanica. 5) Politica diretta guadagnare ad ogni modo simpatie Comitato Unione e Progresso che non ebbe altro risultato che incoraggiare tracotanza Giovani Turchi. 6) Ragione ultima che fece decidere finalmente richiamo fu rifiuto più o meno velato di collaborare al successo dell'iniziativa russa per mediazione fra Italia e Turchia.

726

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 358/67. Berlino, 18 marzo 1912, ore 21,22.

Telegramma di V.E. Gabinetto 390. 1 Il testo della risposta di V.E. a codesti ambasciatori è arrivato qui oggi. Zimmermann, da me richiesto delle sue impressioni, mi disse che i suoi termini sono in sostanza quelli che già si aspettavano. Circa il passo che si tratterà di fare presso la Sublime Porta si attende qui di conoscere le disposizioni degli altri Gabinetti ed in ispecie di Sassonoff, che, si suppone, prenderà l'iniziativa di qualche proposta. Quanto al probabile effetto di quel passo a Costantinopoli tutto conferma che esso sarà almeno da principio negativo. Nel corso della conversazione circa il punto essenziale relativo al ritiro delle truppe turche, Zimmermann mi disse avere anche qui parlato più volte con Nizami, ma sempre asserisce essere ciò impossibile allo stato attuale delle cose perché nel momento in cui i turchi facessero cenno di andarsene quegli arabi, da loro finora sospinti alla guerra, cercherebbero di massacrarli.

727

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 359/49. Pietroburgo, 18 marzo 1912, ore 22,23 (per. ore 0, 15 del 19 ).

Telegramma di V.E. 390 1 . Ho chiesto oggi a Sassonoff le sue impressioni sulla nostra risposta. Egli non mi nascose la sua impressione poco favorevole causata sopra

727 1 Cfr. n. 717.

tutto dalle ripetute affermazioni sulla sovranità piena e intera, affermazione che, giunta a Costantinopoli, avrebbe potuto fare cadere ogni trattativa. Sassonoff mi ha sostenuto che della legge di sovranità sarebbe stato più opportuno non parlare anche rispetto alle Potenze neutrali, visto che già il nostro possesso assoluto era cosa acquisita e ammessa da tutti e che solo su questa base era stato possibile il passo a Roma. Io replicai che evidentemente la risposta non era destinata ad essere comunicata a Costantinopoli, ma era una comunicazione alle Potenze le quali conosciuto il pensiero del R. Governo avrebbero poi dovuto, nel parlare al Governo ottomano, servirsi di quella parte ritenuta più adatta per raggiungere il fine che si proponevano.

E che le potenze neutrali, appunto perché la cosa era già acquisita, non potevano più aver nulla da osservare.

Sassonoff mi rispose allora che certamente egli non la avrebbe comunicata a Costantinopoli, ma non essere sicuro degli altri. Aggiunse inoltre che qualche Potenza, non sinceramente favorevole alla conclusione della pace, avrebbe potuto vedere in tali ripetuti accenni alla sovranità un ostacolo agli ulteriori passi.

Ad evitare ciò, egli mi ha suggerito l'opportunità da parte nostra di prevenire le possibili obiezioni facendo comunicare ai Gabinetti, per mezzo dei rr. ambasciatori, degli schiarimenti verbali alla comunicazione già fatta dall'E.V. Osservò poi che sarebbe stato opportuno, a suo avviso, un accenno alle nostre concessioni militari nella parte in cui si parla del ritiro delle truppe e ufficiali turchi. In generale ritrassi impressione che, per ragioni anzidette, Sassonoff non aveva trovato la nostra risposta tale da agevolare i suoi sforzi. Mi disse poi che aveva ricevuto un telegramma da Parigi nel quale Izwolsky gli comunicava essere la impressione di Poincaré sulla nostra risposta poco favorevole. Non erano detti i motivi.

Nulla sapeva ancora di Londra, Berlino, Vienna. Mi informò inoltre che, da un colloquio avuto questa mattina con questo ambasciatore di Turchia, aveva tratto la impressione che a Costantinopoli si comincia ad essere più ragionevoli e che forse sarà possibile intavolare una conversazione. Parlando delle trattative pendenti l'ambasciatore di Turchia si era limitato a dire: «La Turchia mai riconoscerà il fatto compiuto». Al che Sassonoff aveva risposto, senza che l'ambasciatore replicasse, che ciò non era necessario2 .

726 1 Cfr. n. 717.

728

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. SEGRETA PERSONALE 16234/71. Roma, 18 marzo 1912.

Credo utile comunicare alla E.V. l'unita memoria in cui si propone una missione segreta a Cufra allo scopo di riuscire possibilmente ad un accordo politico-econo

mico col capo dei senussi. In questa memoria, si propone anche la persona a cm dovrebbe essere affidata tale missione: il capitano Ugo Ferrandi.

Credo che le idee esposte meritino l'esame della E.V. e che se un europeo può entrare a Cufra, certo il Ferrandi è, forse, il solo che ha maggiore probabilità di riuscirvi.

Non mi dissimulo che le probabilità siano poche; ad ogni modo piace tentare l'impresa.

La missione del Ferrandi sarebbe in ogni caso di grande utilità per le notizie che essa potrebbe darci sulla regione di confine tra Cirenaica-Egitto, notizie che saranno utilissime, in una futura delimitazione di detta regione.

ALLEGATO

MEMORIA SEGRETA.

MISSIONE A CUFRA

Necessità di una missione diretta a Cufra per abboccarsi possibilmente con il Sidi Ahmed el Scerif el Senussi, o per intendersi, sia pure indirettamente con lui e mettere le basi di un accordo politico-economico allo scopo di rendere la Senussia strumento di governo in Tripolitania e Cirenaica.

Se la missione riuscirà nel suo scopo, gioverà grandemente tanto perdurando la guerra con la Turchia, per il movimento politico religioso che determinerà nell'elemento indigeno, quanto, se la pace sarà conchiusa, per preparare la pacificazione della regione? Si espongono qui appresso i punti che dovrebbero formare oggetto dell'accordo, per ora, con semplici cenni come materia di esame, salvo a concretare quei punti che fossero ritenuti utili, se si entrerà nell'idea di dar seguito alla proposta di una missione segreta a Cufra.

L'accordo dovrebbe contenere due parti, una da rendersi di pubblica ragione, a suo tempo, e una da rimanere segreta.

A) La parte non segreta dovrebbe comprendere tre punti -a) politica interna; b) potere religioso-giudiziario; c) politica economica. Politica interna -argomenti da esaminare:

a) Riconoscimento dell'autonomia dell'oasi di Cufra sotto l'alto dominio dell'Italia e sotto la sua protezione anche quando individui della setta si rechino in località non soggette all'Italia.

b) Lasciare integro nel Fezzan e nel Barca il regime della cabila, cioè le istituzioni indigene e le norme di diritto islamico e più ancora di diritto consuetudinario (testur) che ne regolano i rapporti interni ed esterni.

c) Piena libertà nostra di azione nella costa e nelle prime oasi della Tripolitania ove risiede l'elemento berbero-arabo che va trattato diversamente. Potere religioso-giudiziario -argomenti da esaminare:

a) Affidamento che gli sceik o i cadi conservino le loro attribuzioni giudiziarie con maggiore guarentigia per l'esecuzione dei giudicati.

b) Come primo passo, ottenere che sia generalizzata la applicazione della dia (prezzo del sangue) in sostituzione del chisas (taglione). Le nostre leggi interverranno quando vi sia un interesse italiano o straniero.

c) Assicurazione che le zauie (confraternite) avranno piena libertà di azione nell'esercizio del culto e nell'insegnamento religioso.

d) Dare ai senussi e agli arabi (la distinzione è necessaria) una rappresentanza presso il Governo della Tripolitania e Cirenaica (qui più utile) presso le amministrazioni locali di Tripoli e di Bengasi.

Uno fra' più eminenti senussi di Cufra dovrebbe avere la prima delle dette rappresentanze per coadiuvare il Governo coloniale nei suoi confronti con le tribù e regolare conflitti ed evitare malintesi. Politica economica -argomenti da esaminare:

a) Assicurare riconoscimento e rispetto dei diritti patrimoniali collettivi e dei diritti di proprietà individuale ove esistono, il mantenimento delle decime alle zauie sui beni conservati agli indigeni, produttività di effetti legali ai beni Vacuf a cui sarà consentita una amministrazione autonoma e speciale.

b) Speciale intesa per gli sbarchi al mare sulla costa italiana.

c) Nessuna imposizione da parte nostra sul commercio carovaniero.

d) Regolare in base al diritto musulmano la proprietà piena allo Stato del sottosuolo. Regolamento dei terreni di risulta dall'accertamento dei diritti degli indigeni. B) Parte segreta -argomenti da esaminare:

a) Assicurazioni circa la nostra politica in materia di schiavitù.

b) Riconoscimento al Sidi el Senussi del potere religioso locale in Tripolitania e Cirenaica.

c) Nostro atteggiamento benevolo nella questione del potere temporale per così dire, e cioè possibilità di consentire in sede futura di delimitazione di confine con le potenze limitrofe che al Senussi sia mantenuto una zona di suo dominio. d) Nostro atteggiamento in avvenire in favore della causa senussita in relazione al Califfato. Se la missione è attuabile e utile, è necessario trovare persona che ne affidi sul modo di condurla e che abbia le qualità complesse per tentarla.

Il capitano Ugo Ferrandi, uomo di senno, di cuore e di idee semplici e chiare si presenta come la persona a cui in Italia possa, di preferenza, affidarsi tale missione a condizione che essa sia segreta, che abbia carattere personale senza scorta armata, senza toccare le terre di nostra occupazione, con piena libertà di azione, senza limiti di tempo o indicazione di itinerari e con la indicazione al Ferrandi di un limite massimo e un limite minimo nelle trattative, che dovrebbero essere condotte salvo ratifica.

L'impresa è molto ardua ma sarebbe grave responsabilità non averla tentata: tentarla può, forse, solo un uomo come il Ferrandi.

Per quanto si sa un sol bianco, il Rohlfs, penetrò a Cufra dalla Tripolitania, e rischiò la vita.

Qui unito lo stato di servizio del capitano Ugo Ferrandi 1

727 2 Per la risposta cfr. n. 729.

729

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA

T. GAB. SEGRETO 419. Roma, 19 marzo 1912, ore 20,30.

Suo telegramma Gabinetto n. 491 . Come ella ha giustamente osservato, la nostra risposta è diretta alle Potenze per loro norma e non è stata redatta coll'intendimento che venisse senz'altro trasmessa a Costantinopoli. La cosa più utile per noi sarebbe che, come primo passo, le Potenze rivolgessero alla Turchia la stessa

729 1 Cfr. n. 727.

760 domanda che hanno rivolta a noi, cioè a quali condizioni accetterebbe la loro mediazione per la cessazione delle ostilità. Quando avranno oltre alla nostra, la risposta turca, allora le Potenze le potranno mettere a confronto e prendere le decisioni che giudicheranno opportune. Sarò ben lieto di fornire alle Potenze, sia per mezzo dei nostri rappresentanti sia per mezzo dei loro ambasciatori a Roma, tutti gli schiarimenti verbali che esse richiederanno, ma non so come prevenire obiezioni, finché non vengano chiaramente formulate in termini concreti, né so quale schiarimento anticipato potrei dare, ignorando i punti che possono sembrare oscuri e sui quali perciò tali schiarimenti possano apparire necessari. Quanto alle nostre concessioni militari nella parte relativa al ritiro degli ufficiali e soldati turchi, osservo che non mi pare particolarmente possibile concretarle, se prima non si accertano due punti essenziali. l) Se la Turchia aderisce al ritiro; 2) qualora vi aderisca, quali garanzie siano possibili per assicurarsi che tale ritiro sia effettivo e completo e non nasconda un tranello.

Pregola anche trovar modo di far notare a Sassonoff che la cessazione delle ostilità senza trattato e perciò senza riconoscimento da parte della Turchia, avrebbe per noi troppo gravi inconvenienti, e manterrebbe una situazione internazionale incerta e disagiata se non vi fosse il riconoscimento da parte delle Potenze. Quanto più presto questo sarà fatto ed assicurato, tanto più facile sarà per noi mostrarci arrendevoli nei vari argomenti che potranno formare oggetto delle trattative, e tanto per ciò che concerne la sostanza, quanto per ciò che concerne il modus procedendi e la maniera simultanea o graduale di porre fine al conflitto italoturco ed alla situazione internazionale che vi è connessa.

Per conchiudere, a me pare che la nostra risposta dia luogo a continuare la conversazione tra le Potenze se la Turchia non sarà a priori intransigente, tanto più che la suddetta nostra risposta conchiude col dichiarare che, ferma restando la nostra sovranità sulla Libia, siamo per tutto il resto disposti a esammare con spirito di conciliazione le proposte che le Potenze vorranno farci.

728 1 Non si pubblica.

730

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 380/69. Vienna, 20 marzo 1912, ore 23,30 (per. ore 0,45 del 21).

Nella udienza accordatami oggi dall'imperatore mi sono fatto interprete presso Sua Maestà della cordiale affettuosa riconoscenza dei Nostri Augusti Sovrani pei sensi di schietta graditissima simpatia in occasione recente attentato. Imperatore mi ha espresso nuovamente suo vivo compiacimento per pericolo da cui Loro Maestà erano scampate. Ha rilevato coraggio mostrato da S.M. la Regina e mi ha chiesto con speciale interesse notizie Nostro Augusto Sovrano come ulteriori ragguagli circa circostanze attentato.

Sua Maestà mi ha detto quindi: «Noi ci occupiamo molto di voi in questo momento, ma temo che, data intransigenza Turchia, non si possa giungere per ora a un pratico risultato». Sua Maestà ha aggiunto che conveniva, però, trovare il modo di porre fine a conflitto che non poteva durare indefinitivamente, ciò che sarebbe stato certo nell'interesse delle Potenze. A questo proposito Sua Maestà ha rilevato che guerra non arrecava gravi danni materiali e morali alla Turchia che non sembrava sentire bisogno fare pace, né aveva quindi premura corrispondere domanda Potenze. La situazione politica in Macedonia, però, non presentava per il momento pericolo. Le disposizioni dei vari Stati balcanici erano pacifiche e era da augurarsi che si mantenessero tali. Gli risultava essere re Ferdinando e suo Governo animati sinceramente da questi sentimenti. Solo punto nero era Montenegro, ma le ammonizioni severe rivolte re Nicola durante il suo viaggio a Pietroburgo davano a sperare che egli sarebbe rimasto tranquillo e avrebbe evitato di trascendere a atti inconsulti che avessero potuto provocare complicazioni nella penisola balcanica. In tal senso suo Governo si adoperava pure con la maggiore energia presso re Nicola sul quale però, non potevasi avere che una fiducia limitata. Accennando infine alle nostre reciproche relazioni, Sua Maestà ha constatato con compiacimento che esse tendevano a migliorare sempre più e che idea di una maggiore intimità tra i due paesi cominciava a farsi strada nelle nostre popolazioni. Sapeva, d'altra parte, da quale sentimento fosse animato a questo riguardo il Nostro Augusto Sovrano che gli aveva dato prova della sua sincera e leale amicizia.

731

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 381/70. Vienna, 20 marzo 1912, ore 23,30 (per. ore l del 21).

Telegramma di V.E. Gabinetto 390 segreto1• Avendo chiesto oggi al conte di Berchtold quale impressione avesse prodotto su lui promemoria rimesso dalla E.V. agli ambasciatori delle Potenze circa nostre condizioni pace, egli mi ha detto non avere da sollevare obiezioni speciali sui vari punti di tal documento all'eccezione solo di quello relativo alla cessazione delle ostilità.

A questo proposito, Berchtold ha rilevato che la cessazione delle ostilità avrebbe dovuto avere per conseguenza naturale il ritiro delle truppe ottomane dalla Libia a cui non credeva che la Sublime Porta avrebbe consentito, perché considerava tal ritiro come atto equivalente al riconoscimento da parte sua dell'an

762 nessione di quelle regioni all'Italia, al quale, come aveva dichiarato, era suo fermo proposito di non addivenire mai. D'altra parte, Turchia aveva fatto intendere di non poter ritirare sue truppe dalla Libia per non abbandonare alle nostre rappresaglie gli arabi, ciò potendo produrre nelle altre popolazioni arabe dell'Impero un effetto dannoso ai suoi interessi ed al suo prestigio.

Ho osservato al conte di Berchtold che, per eliminare appunto tale difficoltà ed il pretesto messo innanzi dalla Turchia, si stabiliva al punto sesto del promemoria che una dichiarazione sarebbe fatta dal R. Governo per rinunziare all'applicazione di ogni punizione alle popolazioni arabe della Libia per tutti i fatti avvenuti fino alla data della cessazione delle ostilità e per manifestare in pari tempo la sua intenzione di applicare a quelle popolazioni un regime liberale conforme agli usi e costumi della loro razza. Tale dichiarazione, che avrebbe dimostrato che Turchia non abbandonava alla nostra mercé gli arabi, avrebbe potuto giustificare pienamente innanzi tutto il mondo mussulmano ritiro truppe ottomane.

Conte di Berchtold ha rilevato inoltre che nel promemoria non si faceva menzione delle concessioni che sarebbero state da noi fatte Turchia pel ritiro delle sue truppe dalla Libia.

Ho fatto notare al conte di Berchtold come mia opinione personale, secondo quanto VE. osserva nel suo telegramma Gabinetto 420 segreto2 , che non mi sembrava praticamente possibile di concretarle quelle concessioni se prima non si accertasse che Turchia aderiva al ritiro e, qualora vi aderisse, quale garanzia fosse possibile per assicurare che tale ritiro sia effettivo e completo. Accennando al riconoscimento per parte delle Potenze della nostra piena ed intera sovranità in Libia, Berchtold mi ha chiesto se nel pensiero del R. Governo, tale riconoscimento avrebbe dovuto precedere le trattative colla Turchia. Ho risposto, in conformità a quanto VE. aveva già detto a codesto ambasciatore d'Inghilterra (telegramma di VE. Gabinetto 421 segreto )3 , facendo conoscere al conte di Berchtold che R. Governo non aveva determinato il tempo in cui il riconoscimento da parte delle Potenze doveva esser fatto o assicurato, perché ciò farebbe parte delle trattative fra esso e le Potenze.

Berchtold mi ha riferito che ignorava tuttora quale impressione nostro promemoria avesse prodotta sugli altri Gabinetti. Ma egli erasi già messo in rapporto diretto con essi per concertarsi circa passi da fare presso Sublime Porta e stabilire la formula relativa. Fino ad ora alcuna determinazione non era stata presa al riguardo. Berchtold ha rilevato infine che, quantunque VE. avesse detto signor Mérey che il segreto più scrupoloso sarebbe stato tenuto sul contenuto del promemoria, eragli stato riferito che le condizioni di pace in esso esposte erano state pubblicate da uno dei nostri giornali4 .

3 T. Gab. segreto 421 del 19 marzo, non pubblicato.

4 Per la risposta cfr. n. 734.

731 1 Cfr. n. 717.

731 2 T. Gab. segreto 420 del 19 marzo, non pubblicato.

732

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 449/86. Budapest, 20 marzo 1912 (per. il 23).

La notizia qui giunta ieri, nelle ore pomeridiane, del rinvio della partenza da Berlino di S.M. l'Imperatore Guglielmo ha prodotto in questa Borsa un sensibile ribasso e in questi circoli finanziari un aumento della esistente preoccupazione per quel che in un prossimo avvenire può verificarsi sul terreno dei rapporti internazionali. È stato, fra altro, qui telegrafato che Sua Maestà non credeva poter abbandonare il suo paese in un momento in cui la situazione interna era tutt'altro che calma, sia per lo sciopero minerario sia per la latente crisi in alcuni alti posti dell'amministrazione imperiale che da tempo va maturandosi a Berlino, e a questo proposito stamani il Pester Lloyd riceve il seguente telegramma dal suo corrispondente berlinese «si afferma che anche prima della partenza di Sua Maestà per Corfù si avrà un cambiamento di ministri e più precisamente si parla del diritto del segretario di Stato per gli affari esteri signor von Kiderlen-Wiichter che avrebbe manifestato il desiderio di andare a Costantinopoli ad occupare il posto che lascierebbe vacante il barone Marschall». Ora quando 1 si sappia che il corrispondente del Pester Lloyd non è altro che quell'ufficio locale della Frankfurter Zeitung, non farà meraviglia il constatare la concordanza di questo telegramma con la notizia che ebbi l'onore di portare alla conoscenza dell'E.V. alcune settimane or sono proveniente da Costantinopoli e specialmente dalla bocca del noto dottor Weitz, rappresentante colà della Frankfurter Zeitung e «creatura» devota del barone Marschall.

Quello però che più preoccupa questi circoli finanziari è che secondo essi il rinvio del viaggio imperiale sarebbe un segno della grave impressione prodotta nell'animo di S.M. dalle franche dichiarazioni del primo lord inglese dell'ammiragliato, le quali sebbene non contengano alcuna sorpresa in ordine agli armamenti navali inglesi, dimostra che la mira loro è pur sempre la Germania e che l'Inghilterra cerca tuttora il nemico e l'attende nella diretta vicinanza delle sue coste, nelle acque del Mar del Nord.

La notizia suddetta viene altresì posta in relazione con le voci che si2 circolano intorno all'attitudine della Russia di fronte al conflitto italo-turco. Dalla quale attitudine viene qui arguito che tra quell'Impero e l'Italia siano in corso negoziati per una eventuale azione comune a Costantinopoli. Telegrammi qui giunti stamane da Londra e da Parigi farebbero ritenere essere ormai la Russia decisa, qualora l'attuale azione per la pace dovesse fallire, ad intervenire direttamente a Costantinopoli per

732 1 Il documento reca per errore quanto. 2 Così nel documento.

764 riaprire in tutta la sua estensione la questione d'Oriente -il che avrebbe trovato però una seria opposizione da parte del Gabinetto di Berlino.

Non essendo in grado di controllare queste voci, mi limito a raccoglierle non fosse per altro per spiegare all'E.V. certe correnti dell'opinione pubblica ungherese le quali trovano le loro espressioni in articoli di giornali del genere di quelli che qui unisco e che contribuiscono ad allargare il senso d'inquietudine attualmente esistente in Ungheria3 .

733

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 376/157. Parigi, 21 marzo 1912, ore 0,52 (per. ore 5,10).

Mediazione. Poincaré mi ha detto che riserbo impostogli dai doveri neutralità gli impedivano di esprimermi sua opinione sulle nostre condizioni pace, mi disse che in via generale poteva dirmi che tra le nostre proposte e le proposte turche vi era una tale distanza che non nutriva gran fiducia sull'esito dei passi delle Potenze. Che, a suo avviso, il passo degli ambasciatori ottomani presso le varie Potenze, i quali a priori hanno dichiarato inaccettabili condizioni italiane, non doveva in nessun modo desistere Potenze dal fare a Costantinopoli il passo fatto a Roma, che agire diversamente gli sembrava poco riguardoso verso l'Italia alla quale le Potenze si erano prima rivolte. Che ad ogni modo, se questo primo tentativo fallisse, sarebbe assai più facile riprendere la conversazione più tardi in altra occasione, quando un fatto nuovo fosse sorto che permettesse un nuovo intervento delle Potenze.

734

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 438. Roma, 21 marzo 1912, ore 20.

Telegramma di VE. Gabinetto n. 701 . Non comprendo come Berchtold abbia potuto dirle che nella nostra risposta non trova da far obiezioni che alla parte relativa alla cessazione delle ostilità, perché non comprendo quale motivo avremmo noi di

734 1 Cfr. n. 731.

765 accordare tanti vantaggi alla Turchia senza il ritiro delle sue truppe dalla Libia. Approvo le risposte di V.E.

Quanto alla deplorevole pubblicazione delle condizioni di pace fatta dal Corriere della Sera è risultato da una rigorosa inchiesta che nessun funzionario italiano ne è responsabile. Le copie furono fatte da antichi impiegati di cui V.E. conosce la provata segretezza ed onorabilità. È bene che Berchtold sappia che l'indiscrezione non è imputabile a noi.

732 3 Non si pubblicano gli allegati.

735

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 395/79. Londra, 23 marzo 1912, ore 12,15 (per. ore 16,50).

Ho veduto stamane Cambon. Premesso che durante il suo soggiorno breve a Parigi aveva conferito solo due volte con Poincaré circa altri affari ha detto che comunicazione della Sublime Porta provocata da dichiarazione di Sassonoff a Turkan Pascià viene a porre in un vero impasse Potenze informate a priori che rivolgendosi ora a Costantinopoli si espongono a sicuro insuccesso. Quale opinione strettamente sua personale ha aggiunto parergli per ciò che unica via da seguire sarebbe di limitarsi a chiedere a Costantinopoli quali sono le condizioni alle quali Sublime Porta consentirebbe cessazione guerra. In tal modo sottoponendo ad un esame proposta nostra e condizioni turche, vi sarebbe modo prolungare trattative che in caso diverso rimarrebbero troncate sino da principio. Ho risposto che esperienza di trent'anni di servizio mi insegna che Sublime Porta quante volte ha avuto sentore di un qualche passo in preparazione da parte delle Potenze ha sempre cominciato col dichiarare a priori che essa in nessun caso avrebbe ceduto. Ciò non ha però mai impedito Potenze di insistere ed alla Sublime Porta di dichiararsi il più delle volte a quelle insistenze. Ciò premesso, ho osservato situazione sembrarmi molto chiara. O Potenze ritengono pace desiderabile per interesse loro e della Turchia, ed allora non dovrebbero esitare a fare passo consigliando con uguale efficacia al Governo ottomano di profittare delle nostre disposizioni concilianti e finire guerra. O non ritengono pericoloso per tutti continuazione guerra od allora debbono né sorprendersi né allarmarsi se Italia che non può rimanere eterno stato di guerra provvede per conto suo ad affrettare pace, facendo toccare con mano alla Turchia penose conseguenze sua caparbietà. Ha risposto Cambon rilevando difficoltà ottenere dagli ambasciatori a Costantinopoli linguaggio identico nello spirito e nella forma. «Già sappiamo» ho detto «che qualche ambasciatore si è affrettato prevenire Sublime Porta che passo eventuale avrebbe carattere puramente informativo». Dato poi che si potesse rivolgere consigli realmente identici, risultato sarebbe parimenti negativo essendo notorio che, con consentire con evacuazione sue truppe riconoscimento implicito nostra annessione prima di avere subito in Libia disfatta definitiva irreparabile, Governo ottomano fornirebbe arma potente suoi avversari per rovesciarlo, pericolo questo cui è naturale comitato non vorrà esporsi prima, e forse nemmeno dopo le elezioni. A proposito Cambon ha fatto stessa osservazione di Sassonoff dicendomi che nel nostro memoriale si era troppo insistito sulla questione annessione. A che ho risposto nostra comunicazione essendo diretta non alla Turchia ma Potenze era naturale anzi indispensabile che noi avessimo messo bene in chiaro punto più importante sul quale nessuna transazione ci è permesso. Quanto all'effetto consigli sul Governo ottomano ho detto persistevo nella opinione già manifestatagli altra volta cioè che consigli efficaci Potenze fornirebbero al Comitato ottimo pretesto per [ ...]l di imbarazzo senza correre pericolo, tanto più che è da prevedersi che, ad elezioni terminate, Comitato vittorioso su tutta la linea avrà forza sufficiente per far accettare dal pubblico decisione Governo. Al mio accenno all'eventuale energica estensione nostre operazioni militari, Cambon non ha fatto alcun rilievo ha detto che evidentemente assalto Dardanelli e comparsa nostra squadra Costantinopoli eserciterebbe grave pressione sulla Turchia, essere però tale operazione dal punto di vista strettamente militare, impresa assai ardua da non potersi condurre a buon termine senza gravi sacrifici da parte nostra. Cambon ha concluso con insistere su carattere puramente personale sue impressioni trattandosi di questione non di sua competenza diretta alla quale prende speciale interesse nel solo intento trovare il modo di giungere pace. Chiestogli se conosceva impressioni qui prevalenti ha detto ignorarlo confermandomi che Grey in questo momento non si occupa che dello sciopero. Colloquio con Cambon messo in rapporto con linguaggio stampa francese mi farebbe ritenere consigliabile adoperarsi possibilmente Pietroburgo per indurre Sassonoff esercitare sulla Francia una certa pressione per spingerla uniformarsi nella presente questione con maggiore energia e buon volere al contegno del! 'Impero alleato. Se Francia si decidesse entrare più sinceramente nell'ordine idee russe conseguenze potrebbero essere benefiche per influenza che ciò eserciterebbe su contegno Inghilterra la quale se al momento presente causa iniziate trattative per Bagdad e altri motivi già indicati non è certo disposta prendere l'iniziativa di riuscire sgradita Costantinopoli, non vorrebbe nemmeno, riterrei, fare causa a parte e assumere contegno troppo marcatamente a noi sfavorevole.

736

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI 1

L. RISERVATISSIMA PERSONALE. Roma, 23 marzo 1912.

Mi affretto a rimetterti, originalmente, il rapporto dell'ammiraglio di Revel, riguardante l'azione di guerra svoltasi a Beirut il 24 febbraio u.s. e ti sarò molto grato se vorrai compiacerti restituirmelo con la maggiore cortese sollecitudine.

736 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle Carte ... , doc. 77, pp. 71-72.

Negli ultimi due fogli del rapporto di cui trattasi, rileverai quanto si credette opportuno sopprimere nella copia inviata, per evitare che chi copiava, per quanto persona di provata serietà e riservatezza, avesse conoscenza delle proposte tanto riservate dell'ammiraglio di Revel.

ALLEGATO

IL COMANDANTE DELLA II DIVISIONE DELLA II SQUADRA, THAON DI REVEL, AL COMANDANTE DELLA II SQUADRA, FARAVELLI, A TOBRUK

RISERVATISSIMO. In navigazione per Tobruk, 29 febbraio 1912.

Alle 19 del 20 febbraio, conformemente alle istruzioni dell'E.V., muovo con la «Garibaldi» da Tobmk per un'incursione lungo le coste della Karamania e della Siria; la «Varese», dopo completatasi, mi raggiungerà, partendo il posdomani: le ho lasciato speciali istruzioni.

Dirigo per il Golfo di Alessandretta passando al sud di Cipro.

Alle 2lh intercetto il seguente R.T. Ministeriale n. 4527 diretto a S.E. l'ammiraglio Aubry: «Nel porto di Beimt sono una cannoniera ed una torpediniera turche -bisogna catturare o distruggere. Accusi ricevuta Cattolica».

21 febbraio. Alle 0,30 ricevo da V.E. il R.T. 394 cc, in seguito al quale mi porto sulla congiungente Tobruk-Beirut per esservi raggiunto dalla «Fermccim>; questa alle 9h50m mi r.t. essere partita da Tobruk alle 7h 15m, velocità l O miglia.

Alle 13h avendo avvistati dei fumi da N.W con apparente movimento avvolgente, considerate le notizie di non impossibili colpi di mano da parte del nemico, sollecito l'avvicinamento del «Fermccio» fermandomi, e poi, per ingannare i piroscafi sulla nostra destinazione, inverto la rotta. I fumi avvistati sono di navi del commercio.

Alle 21 h «Garibaldi» e «Fermccim>, perfettamente oscurate proseguono per Beimt.

22 febbraio. Non siamo scorti da nessun bastimento. Tempo bellissimo, calma di mare, di cui profitto per riunire sulla «Garibaldi» i comandanti ed i direttori del tiro e comunicare loro le mie istruzioni, prevedendosi anche il caso di trovare a Beirut altre navi in più delle

supposte.

23 febbraio. Alle 9h30m al «Duca di Genova», che mi ha precedentemente comunicato la sua posizione, ordino di incrociare fra Cipro e la Siria e di trovarsi l'indomani del parallelo di Tripoli ed il meridiano di Beirut; gli ordino pure, se cosa facile e piana, di interrompere la linea telegrafica al nord di Beimt; ma l'operazione presentandosi difficile e non occultabile, non è effettuata. Ulteriormente il «Duca di Genova» riceve ordine di trovarsi a Beirut alle 8 del 24.

24 febbraio. Azione guerresca di Beirut. Essendo di grande momento il sorprendere il nemico, la navigazione è regolata in modo di essere a Beirut poco prima dell'albeggiare. Il faro del Capo, i fanali del porto sono spenti, ma le luci della città ci guidano. Si va a lento moto, dai fumaioli esce pochissimo fumo. Siamo assai vicini, immersi nell'ombra dei monti del Libano i moli del porto e la città non si discernono ancora. Sono le 6h30m. Cominciano i chiarori mattutini: ecco nel porto uno scafo grigio con albero militare, ecco una torpediniera, entrambi svaporano; le nostre navi, in migliore luce erano state scoperte, ma troppo tardi.

Segnalo alla «Ferruccio» WAJ (disponetevi secondo il piano stabilito). Per l'incrocio dei nostri fuochi è ormai preclusa la fuga alla silurante ed alla nave. Alzano la bandiera: è turca, ma è, anche egiziana. Essendomi detto che la nave somiglia alla egiziana «Nuhr-elBam, dubbioso possa trattarsi realmente di tal nave, alle 6h 50m alzo l'internazionale

S.E.C. (a quale nazione appartenete?) che appoggio poco dopo con un colpo di cannone in bianco: quasi a risposta parte un colpo di cannone a palla che cade vtcmtsstmo alla «Ferruccio».

7hl0m: WAO (preparatevi a combattere). Ammainato l'internazionale S.E.C., do l'ordine di aprire il fuoco, che annullo subito, prima che alcun colpo parta, perché dal porto esce una imbarcazione con bandiera parlamentare.

i'20m: internazionali SHC, JCV (navi neutrali uscite).

Alle 7h40m sale a bordo della «Garibaldi» l'ufficiale turco parlamentare: è un tenente di vascello mandato dal Comandante della nave da guerra per avvertirmi che la Città non è fortificata e non potrebbe per conseguenza rispondere ai nostri colpi; dice che la nave in porto è l'«Avnillah» (è a Beirut da otto mesi) e che ignora il nome della torpediniera, di cui però indica sul «lane» il tipo (Ansaldo, classe Anatolia, 160 tonn. ve!. 27). Faccio osservare ali 'ufficiale turco che la sua nave ha risposto a palla al mio colpo in bianco, al che egli soggiunge che «non ha niente contro di noi». Lo prevengo che se non vuole essere calato a fondo deve arrendersi subito, che se alle 9 non si sarà arreso aprirò il fuoco contro la sua nave: al che egli risponde «no!». Gli faccio consegnare una lettera con intimazione di resa per il suo comandante, altra per il governatore della Città con intimazione di far rimorchiare a caldaie spente fuori del porto le navi da guerra turche; altra infine diretta al console di Germania per informazione sua e del Corpo Consolare.

Frattanto la torpediniera pian piano si è spostata e più non si vede: ordino alla «Ferruccio» di tirarle immantinente contro se tentasse uscire dal porto.

La «Ferruccio» e poi la «Garibaldi» prendono posizione nella baia di San Giorgio in modo che la bocca del porto risulti bene aperta e l'«Avnillah» sufficientemente scoperto. Ne siamo a meno di 6000 metri, non fuori tiro quindi dei suoi 152, ma la convenienza di fornire con moderate distanze la precisione del fuoco e diminuire quindi le possibilità di danni alla Città, consigliano di non allontanarmi maggiormente.

Analoghe considerazioni umanitarie suggeriscono l'esclusione delle palle di acciaio soggette a lontani rimbalzi. Era stato convenuto con l'ufficiale turco che l'«Avnillah» avrebbe risposto per segnale all'intimazione di resa.

9h internazionale XAJ (arrendetevi). Nessuna risposta.

9h5m WHR (cominciate il fuoco).

9h7m si ammaina il segnale e la «Garibaldi» e la «Ferruccio» aprono il fuoco con medie e grosse artiglierie. L' «Avnillah» risponde subito dirigendo specialmente verso la «Garibaldi» i suoi proietti, che le cadono vicino o l'oltrepassano senza colpirla.

9h20m l'«Avnillah» non risponde più. Sospendo il fuoco ed ordino alla «Garibaldi» di portarsi a piccole distanze per affondare la nave nemica colpendola al galleggiamento, corazzato con 15 e/m di peso. Ma l'incendio già divampa al suo bordo*, fiamme sottili, fumi or densi or radi, or biancastri, ora cupi, sgorgano dalla nave; guizzan bagliori seguiti dallo scoppiettare delle granate eruttate dai depositi, mentre sulla banchina vicinissima raccolgonsi degli imprudenti, inconsci del grave pericolo* 2 La lotta è finita, decido di silurarla. Mentre la «Garibaldi» manovra per disporsi a meno di l 00 metri dalla bocca del porto, si scorge la torpediniera che rincattucciata alla radice del molo settentrionale fa schermo di alcuni velieri. Senza toccare questi, la «Garibaldi» la colpisce ripetutamente con proietti A E da 76 m/m.

l Oh lOm: la «Garibaldi» lancia il siluro di prora a sinistra, che non colpisce il bersaglio ed esplode contro la banchina danneggiando maone e battelli. 10h20m: la «Garibaldi» lancia il siluro di poppa a sinistra che colpisce sotto la plancia l' «Avnillah» [si c]: questo si solleva, ricade, affonda, abbattendosi sulla sinistra.

10h25m: la divisione si allontana verso tramontana.

Alle 11 h30m segnalandomi la «Ferruccio» di aver visto due scafi, dei quali uno probabilmente di silurante, proveniente dal sud, doppiare Capo Beirut, inverto la rotta, e quando presso il porto ordino alla «Ferruccio» di avvicinarsene, verificare lo stato della torpediniera ed occorrendo completare la distruzione; la quale viene radicalmente effettuata con alcune salve da 76 m/m.

Circostanza da notare: delle quattro navi, oggi due a due in lotta, tre erano di Ansaldo.

13h30m ordino al «Duca di Genova» di riprendere la normale sua crociera. Non ho indagato sui danni arrecati nel tiro al bersaglio contro l' «Avnillah», perché la mia condotta avrebbe potuto essere erroneamente interpretata ed attribuita a preoccupazioni inesistenti da parte mia, ma credo che essi furono lievi e certamente solo a fabbricati vicinissimi al porto; il Comandante della «Ferruccio», che lo avvicinò per ultimo, mi segnalò: «dietro la cannoniera si vede distintamente una casa colpita da un proiettile nei tiri di stamane. A quanto ho potuto vedere nessuno dei nostri colpi da 76 sparati ultimamente è andato lungo od ha rimbalzato. La casa retrostante alla torpediniera è stata colpita da qualche scheggia senza però guasti apparenti». Esaurita alle 14 la missione da VE. affidatami, lascio Beirut ed a lento moto volgo verso Cipro, nelle cui acque meridionali attendo successive istruzioni chieste con mio

R.T. 181. 25 febbraio. Alle 7'' la «Garibaldi» visita il piroscafo inglese «Ranzani»: è lasciato libero di proseguire.

Alle gh chiamo il «Ferruccio» a portata di voce e gli leggo l'ordine del giorno di cui accludo copia; e poiché la sua rimanenza di carbone non gli consentirebbe prolungate alte velocità, che da eventualità di guerra potrebbero essere imposte, gli ordino di raggiungere Tobruk avvistando Candia ed esercitando, camminfacendo, il diritto di visite.

La «Garibaldi» in relazione al R.T. 415 cc di VE., prosegue per Mersina passando fra Cipro e la Siria.

Nel pomeriggio la «Ferruccio» mi r.t. di aver fermato un piroscafo norvegese carico di carbone per Beirut; gli ordino di sequestrarlo, se il carico è per il Governo ottomano, diversamente di !asciarlo libero. Nei riguardi delle voci considerate contrabbando di guerra, mi sia lecito osservare quanto vego è l'art. VI del R. Decreto 1145 del 13 ottobre 1911 relativo alle istruzioni per l'esercizio del diritto di cattura e di preda durante la guerra con la Turchia, e quanto desiderabile sia che la Commissione delle prede con qualche chiara sentenza ne dirima presto le incertezze.

26 febbraio. Ali 'alba la «Garibaldi» è ancora a Mersina. È in rada il solo piroscafo germanico «Pindos» della D.L.L.: le sue carte sono in regola, non gli si rintraccia contrabbando.

Il paese appare fiorente ed il commercio attivo. Sonvi in acqua molte maone, battelli parecchi rimorchiabili; la spiaggia è bassa e da essa conviene ancorare a notevole distanza. Non è improbabile che traffico di contrabbando siasi qui praticato: appartata è la località e per calma di mare e comodità di pontili facili sono lo sbarcare ed imbarcare. Lo scalo ferroviario è della marina poco discosto.

Non v'è dubbio che se un piroscafo fosse sorpreso in flagrante contrabbando, vi sarebbe gran messe di galleggianti da sequestrare o distruggere, ma tale distruzione, per non ricorrere nel pericolo di danneggiare abitanti o caseggiati a terra, dovrebbe effettuarsi scafo per scafo, mediante barche a vapore armate in guerra, le quali con il cannoncino li affondassero ovvero con petrolio li incendiassero.

A Mersina era già conosciuta la distruzione delle navi turche a Beirut: credo che l'impressione ne perdurerà efficace per qualche tempo. All'apparire della «Garibaldi» la guarnigione turca si era ritirata in un villaggio interno. La Caserma prospiciente al mare sarebbe facilmente distruttibile senza danneggiare la Città.

A bordo del «Pindos» si attribuiva la nostra visita a Mersina ed un precedente sbarco di dinamite da parte di un piroscafo austriaco.

Alle 8h3om la «Garibaldi» lascia Mersina con rotta a mezzogiorno, volge poscia fra l'isola di Cipro e la Karamania e l'indomani 27 dirige per Salem ove giunge il mattino del 29; rimane all'ancora circa due ore muove per riconoscere Porto Baralia. Alle 10,45 avendo ricevuto R.T. dell'E.V fa rotta immediatamente per levante per riunirsi alla «Roma» che scorta la «Caprera» ed il «Valparaiso».

Permetta VE. che prima di chiudere questa relazione le manifesti la gratitudine mia e dei miei dipendenti della «Garibaldi» e della «Ferruccio» per essere stati designati a sopprimere il nemico navale a Beirut e voglia concedermi nei riguardi dell'impiego della Divisione «Garibaldi» di sottoporre alcune considerazioni e proposte.

Il 5 Novembre u. s. io domandava all'E.V. di recarmi con la mia Divisione ai Dardanelli: dopo 4 mesi sento vieppiù quanto ragionevole fosse la mia domanda e di quali risultati risolutivi sarebbe stata un 'azione, che io allora dubitava già tardiva ed era invece ancora opportunissima. Non conosco abbastanza intimamente la psiche della Sublime Porta per intuire se essa sia capace di scatti; ma, se dopo il colpo assestatole a Beirùt non ha reagito, la credo decisamente più disposta alla fatalistica, ma pur formidabile passività, che non ad ardite e violenti [sic] iniziative. Ciononostante la nostra flotta è ancora vincolata all'ufficio di guardiana delle coste della Cirenaica, compito che contrasta la sua preparazione alla vera guerra sul mare, cui potrebbe esser poi chiamata; alcune siluranti, di cui quattro ottime, pochissimi (due o tre) veloci incrociatori, tre o quattro mediocri corazzate, anche da lontano, per il solo fatto che esistono, costringono buon numero di navi da battaglia a costante vigilanza, a prolungati cimenti di uomini e di macchine. Le navi onerarie sono scortate dalle navi da battaglia e queste e quelle alla mercé di un siluro. La partita è impari! Sembrami urgente provvedere contro questo nemico, prima che per davvero giochi qualche irreparabile tiro ad una delle maggiori unità di linea; è necessario insidiarlo, raggiungerlo, distruggerlo, e, se rintanato nei suoi nascondigli, adescamelo fuori facendogli balenare facili sorprese; provocarne l'uscita con azioni grandemente nocive al suo prestigio politico immediato, quale ad esempio distruggendo le comunicazioni telegrafiche fra il continente e le isole turche.

A tale impresa parrebbemi adatta la Divisione «Garibaldi» accompagnata da tre cacciatorpediniere, che con tempo bello sarebbero tenuti a rimorchio. Io spero che VE. consentirà e dal Superiore Dicastero otterrà che essa la inizii. Volendo poscia proseguire con un ragguardevole numero di siluranti, la difficoltà che si frappone a tale intento è la pochezza della loro autonomia di moto, onde la necessità di un punto di rifornimento, di un sicuro ridosso marinaresco ove accostare i carbonai. Non avendo occupata una delle maggiori isole de li'Arcipelago quando disarmate, non è da pensarci ora che sono ben munite. Ve n'è tuttavia una che credo sprovvista di difesa e di guarnigione, popolata da 2500 greci, la quale per la sua lontananza da Salonicco, da Smirne e dai Dardanelli, per la relativa vicinanza alla Grecia ed agli sbocchi meridionali dell'Egeo, per essere sprovvista di cavo telegrafico, si presterebbe egregiamente come base di rifornimento alle nostre siluranti per piombare sul nemico che si discostasse dalle sue od ardisse spingersi nel basso Egeo, Stampalia ha ottimi ancoraggi: porto Panormos al nord ed ancor meglio porto Maltezzana al sud potrebbero accogliere in tutta sicurezza i carbonai; detti porti, il secondo specialmente non sono imbottigliabili; con poche centinaia di metri di reti Bullivan o di altre di miglior tipo, gli attacchi di siluri durante i carbonamenti sarebbero certamente sventati. Compito delle nostre siluranti non sarà di difendere la base carbonifera nè se stesse; compito loro con il concorso di qualche rapido Incrociatore, come l 'Agordat ed il Quarto se pronto, dovrà essere di cercare, trovare, aggredire, distruggere le siluranti nemiche come obbiettivo principale, le corazzate come obbiettivo eventuale. Le nostre siluranti dovrebbero essere cacciatorpediniere, perché armate di 76 m/m, cannone del quale sono provvedute le sole otto torpediniere maggiori nemiche e nessuna delle altre.

735 1 Gruppo indecifrato.

736 2 Il brano fra asterischi è stato aggiunto in margine.

737

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 405/51. Pietroburgo, 25 marzo 1912, ore 19,06 (per. ore 20,30).

Sazonoff mi disse non considerare affatto memorandum turco presentato alle Grandi Potenze in relazione alle nostre proposte pace, come indice di intransigenza. Infatti, in esso due sono punti principali: l) affermazione di non riconoscimento della sovranità italiana in Libia. Ciò non costituisce, secondo il suo parere, un impedimento per ulteriori passi, perché Potenze non devono Costantinopoli neppure accennarvi. 2) Pretesa della Turchia di essere trattata come Italia e quindi non notarsi differenza fra passo fatto a Roma e quello da farsi a Costantinopoli. Sazonoff mi disse che, allo scopo di riuscire, non intendeva, per una questione di forma, far cadere passo avviato e perciò aveva creduto di ovviare a questa difficoltà nel seguente modo. Aveva stabilito farsi iniziatore della seguente proposta. Invece di chiedere Turchia, secondo proposta inglese, rimettersi alle Potenze per porre fine alle ostilità, si sarebbe chiesto al Governo ottomano «a quali condizioni Turchia si sarebbe rimessa alle Potenze per cessazione ostilità». Con questa piccola differenza forma, Sazonoff nutre speranza di calmare suscettibilità turchi e di intavolare una conversazione.

Egli mi disse aver già comunicato Parigi questa sua proposta e, avuta risposta affermativa, l'avrebbe comunicata Londra e poi alle altre Potenze. Sazonoff mi pregò caldamente di tenere su di ciò il più scrupoloso segreto per non suscitare gelosie delle altre Potenze che sarebbero interpellate posteriormente.

Mi confermò che, da notizie pcrvenutegli, gli risultava essere intransigenza a Costantinopoli alquanto diminuita e mi promise di tenermi al corrente del risultato della sua nuova iniziativa.

738

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 238/124. Costantinopoli, 2 5 marzo 1912 (per. il 29).

Confermando il mio telegramma odierno!, ho l'onore di riassumere all'E.V. la conversaziOne avuta stamane dal ministro di Russia, signor Svetchine col barone Marschall.

Il signor Svetchine mi ha detto di aver trovato l'ambasciatore di Germania molto nervoso, assai male disposto per i passi da farsi qui e molto scettico su di un possibile risultato della mediazione.

Gli argomenti svolti dal barone Marschall nella sua conversazione col ministro di Russia sono quelli che ho già riferito all'E.V.

Secondo l'ambasciatore di Germania la Turchia non dà alcuna importanza ai passi collettivi delle Potenze, sapendo che essi, tutt'al più, si riducono ad un semplice consiglio e che l'accordo tra le Potenze non va mai fino ad imporle una decisione collettiva su mezzi coercitivi.

Secondo il barone Marschall l'iniziativa russa è stata inutile perché l'Europa conosceva le condizioni italiane alla pace fino dal r. decreto del 5 novembre; d'altra parte dette condizioni essendo inaccettabili per la Turchia qualunque tentativo di mediazione è destinato a fallire.

Se l'Italia vuoi giungere alla pace -ha soggiunto l'ambasciatore di Germania deve imporla alla Turchia colla forza; e la mediazione, mentre le fa perdere un tempo prezioso, dà modo alla Turchia di prepararsi su quei punti in cui un attacco italiano è da prevedersi.

Infine il barone Marschall ha esposto al signor Svetchine il suo punto di vista personale circa il modo di applicare qui l'azione mediatrice. Secondo lui il fatto di comunicare alla Sublime Porta le condizioni italiane implicherebbero il riconoscimento della sovranità italiana in Tripolitania e in Cirenaica e quindi costituirebbe una violazione della neutralità da parte delle Potenze e pertanto l'ambasciatore emette l'opinione doversi limitare a chiedere alla Sublime Porta le sue condizioni alla conchiusione della pace coll'Italia.

Circa al ritiro delle truppe ottomane dalla Tripolitania e dalla Cirenaica, il barone Marschall pensa che -se anche fosse ordinato al Governo ottomano -rimarrebbe senza effetto per gli ufficiali che, date le dimissioni, continuerebbero a dirigere la resistenza dell'elemento arabo.

Il signor Svetchine, alludendo ad un accenno fattogli a Vienna, giovedì 21, dal conte Berchtold circa ad un attuale scambio di vedute tra le Potenze mi ha detto ritenere che per tutta questa settimana nessun passo verrà qui fatto per la mediazione.

I giornali locali però, commentano l'assenza del barone Marschall al ricevimento diplomatico odierno, non esitano ad affermare che l'ambasciatore di Germania si asterrà dal prendere parte alla mediazione fino a quando sarà convinto che le condizioni italiane siano accettabili.

738 1 T. Gab. 414113 del 27 marzo, non pubblicato.

739

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 717/239. Il Cairo, 25 marzo 1912 (per. il 9 aprile).

Il marchese Salvago-Raggi, in viaggio per ritornare nell'Eritrea, si trattenne per tre giorni al Cairo. Durante il suo soggiorno qui S.E. è intervenuto ad un torneo dato

dalle truppe egiziane, ove fu invitato insieme a me nella tenda di S.A. il Kedive, il quale colse l'occasione per esprimere pubblicamente a S.E. il governatore il proprio compiacimento per alcune cortesie usate dalle rr. navi nel Mar Rosso ad un funzionario egiziano che tornava dalla Mecca. In pari tempo lo invitò a recarsi l'indomani a palazzo dicendo che voleva intrattenerlo lungamente.

Nell'udienza del giorno dopo il kedive ha informato diffusamente il marchese Salvago-Raggi di quanto aveva fatto finora, ripetendo cioè quel che man mano ho riferito all'E.V., per spingere l'Idrissi alla lotta contro i turchi. Sua Altezza, cosa che non avea fatto prima nessuno, accennò esplicitamente alle proprie aspirazioni al califfato.

Il governatore dell'Eritrea ha poi parlato lungamente col principe Fuad, il quale pure l'intrattenne della situazione e gli disse d'essere convinto che il kedive lavora certamente in nostro vantaggio, in quanto ciò ne serve l'ambizione e gli interessi.

Un'altra intervista il marchese Salvago-Raggi ha avuta con lord Kitchener. Questi gli ha ripetuto in una conversazione amichevole e confidenziale che era soddisfatto della situazione per quanto riguarda l'osservanza della neutralità egiziana, accentuando che le nostre colonie ed i corrispondenti dei giornali accordano troppa facilmente fede alle notizie sensazionali di contrabbando che nulla giustifica.

Fui personalmente assai lieto della venuta in Cairo del governatore dell'Eritrea: anzitutto ho potuto a viva voce discutere circa la situazione in Arabia e concordare nel miglior modo possibile la cooperazione necessaria ad ottenere i migliori risultati dalle pratiche in corso; per di più il kedive, lord Kitchener ed il principe Fuad gli espressero spontaneamente il loro compiacimento per l'aiuto che questa agenzia ha fornito alle autorità locali per evitare ogni conflitto tra gli italiani d'Egitto e l'elemento locale.

740

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. PERSONALE SEGRETO S.N. Roma, 27 marzo 1912, ore 23,55.

Decifri ella stessa. L'accoglienza fatta a Venezia a S.M. il Re ed a S.M. l'Imperatore è stata imponente e l'imperatrice ha compreso che tutta la Nazione è unanime e ferma nel volere ad ogni costo raggiungere il suo fine in Libia, e nel giudicare le amicizie e le alleanze alla stregua di questa prova. L'imperatore ha mostrato di ignorare che dall'Austria venissero ostacoli alla nostra libertà d'azione militare nell'Egeo, e promise di adoperarsi personalmente perché tali ostacoli vengano superati. Sembra infatti che l'imperatore abbia compreso che nostro scopo non

è, né premere sulle Potenze neutrali danneggiandone il commercio, né provocare complicazioni balcaniche, bensì affrettare la fine della guerra costringendo la Turchia a cedere, e che a questi criteri si conformeranno le nostre operazioni militari nell'Egeo ed altrove. È bene che V.E. ne sia informata per uso personale pel caso che il Governo tedesco non si uniformi abbastanza alle vedute dell'imperatore, ma la prego di tenere la cosa segretissima con chiunque.

Pare anche che l'imperatore abbia compreso che non è nostra intenzione di differire volontariamente la rinnovazione della Triplice Alleanza, ma che realmente è nostro interesse legittimo che si trovi per la Libia una formula soddisfacente anche per noi. Anche su questo punto le raccomando il segreto. L'incontro tra i due sovrani ed i loro colloqui sono stati cordialissimi. L'imperatore ha telegrafato a S.M. il Re da Brioni i suoi saluti e quelli dell'arciduca ereditario. S.M. il Re ha ringraziato direttamente anche l'arciduca.

741

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 663/174. Berlino, 2 7 marzo 1912 (per. il 2 aprile).

Fino a stamani i giornali si erano quasi tutti limitati a stampare i telegrammi sull'incontro dei sovrani d'Italia e di Germania a Venezia 1• Solo la Norddeutsche Allgemeine Zeitung pubblicò un breve commento (di cui unisco il testo )2 dicendo che l'incontro di S.M. l'Imperatore con S.M. il Re è una prova di più dell'amicizia fra i due sovrani, e che le simpatie di cui gode il re d'Italia nel suo popolo ed anche in Germania sono state veramente dimostrate in occasione del recente attentato. L'imperatore rinnovando a voce a Sua Maestà le sue felicitazioni esprimeva i sentimenti di tutto il popolo germanico.

La chauviniste National Zeitung che da qualche tempo dimostra per noi speciale deferenza ebbe pure un articolo nel suo numero del 23 marzo in cui salutava l'incontro fra i due sovrani come la miglior prova in questi tempi difficili dell'amicizia che lega le Potenze alleate.

Ora, passati alcuni giorni, quasi tutta la stampa, pur commentando con simpatia l'incontro, fa alcune riserve circa l'effetto diretto che esso potrà avere sull'attuale guerra. Quasi tutti i giornali finiscono per concludere che l'incontro è una prova della simpatia ed amicizia che lega i due sovrani e i due popoli ma non bisogna immaginare che per questo la Germania possa uscire dalla neutralità. Fra i giornali

741 1 Cfr. n. 751. 2 Non si pubblica.

che mantengono una nota più simpatica è la Kreuzzeitung la quale nel numero odierno osserva che, non ostante ciò che hanno potuto stampare alcuni giornali, il popolo italiano è fortemente deciso a condurre a termine la guerra colle proprie forze e non ha bisogno dell'intervento altrui.

I commenti eccessivi fatti da alcuni organi della stampa nostra hanno però prodotto un risultato che sarebbe stato più desiderabile evitare e cioè una nota, evidentemente ispirata, della Kolnische Zeitung in cui è detto che mentre la Germania è lieta di constatare il modo con cui è stato accolto l 'imperatore in Italia, non è desiderabile incoraggiare il crearsi di certe illusioni secondo le quali l'incontro dei due sovrani dovrebbe avere per effetto che la Germania prenda un'attitudine decisa contro la Turchia. Il giornale continua dicendo che si deve dubitare di un possibile mutamento nella politica tedesca e che l'accreditarsi di simili idee (che, osserva, sono pure esposte nella stampa francese) potrebbe avere per effetto di produrre una disillusione in Italia e conseguente malcontento; come, per contro, se l'Italia ottenesse un successo sia nelle trattative di mediazione sia in una azione navale nell'Egeo, si potrebbe credere che esso derivi da pressioni o da consigli della Germania, producendo malcontento in Turchia.

Giova sperare che queste dichiarazioni ripetute di neutralità non siano interpretate meno favorevolmente in Italia, -mentre rimane l'effetto salutare dell'incontro di Venezia che l'ambasciatore otto mano qui in Berlino definiva pochi giorni fa a un membro del corpo diplomatico come «assai spiacevole per la Turchia».

742

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2099/33. Atene, 28 marzo 1912, ore 13,30 (per. ore 14,25).

Mi consta che, di fronte volontà assoluta delle Potenze evitare conflitto turcogreco, il signor Venizelos proporrebbe, qualora nessuna altra soluzione della questione cretese fosse possibile, di ripristinare di fatto regime alto commissario con Zaimis od altro.

Se tale proposta venisse accolta, Venizelos sarebbe disposto a spiegare ai deputati cretesi eventualmente qui capitati che essi non possono essere ammessi alla Camera e che migliore partito è accettare alto commissario che costituisce un vincolo reale con la Grecia e che fu errore da parte dei cretesi dichiarare abolito.

Venizelos nutrirebbe speranza che il ristabilimento alto commissario possa effettuarsi senza rioccupazione, ma comunque preferirebbe quest'ultima con l'alto commissario alla continuazione del presente stato di cose senza Governo e senza serie garanzie per l'ordine pubblico.

743

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL CONSOLE A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI

T. 1433. Roma, 29 marzo 1912, ore 18.

Questa ambasciata di Francia mi comunica che il Governo inglese ha aderito alla proposta francese di una dichiarazione da farsi dai consoli alla Commissione esecutiva cretese e nella quale sia detto che la dimostrazione navale prova la volontà della Potenze Protettrici di mantenere lo statu quo e di considerare la partenza dei deputati cretesi per Atene come una manifestazione senza portata pratica, essendo contraria a tale statu quo.

Questa comunicazione concorda con telegramma di lei 571 e perciò le confermo istruzioni del mio 13942 .

744

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 425/88. Londra, 30 marzo 1912, ore 3,25 (per. ore 20,45).

Ieri, dopo avere conferito con Grey, vidi Benkendorff. Mi disse che effettivamente Sazonoff non ha ancora comunicato qui sue proposte. Suppone che prima di farlo, Sazonoff voglia bene intendersi col Gabinetto francese, il quale sembra a lui Benkendorff alquanto jlasque. Benkendorff, nel deplorare intempestiva pubblicazione nostra proposta, la quale ha contribuito accrescere complicazioni, disse avergli Sazonoff telegrafato per ristabilire esattezza dichiarazioni fatte a Turkan. Nell'accennare al colloquio con Grey, gli parlai della mia idea sulla dichiarazione alla Sublime Porta circa impossibilità Potenze impedire ulteriore azione Italia senza uscire neutralità. Conoscendo rettitudine Grey, dissi che, se una tale proposta venisse formulata da Sazonoff potrebbe forse ottenere adesione segretario di Stato, non potendosi una dichiarazione in tal senso considerare come una pressione. Replicò Benkendorff lanciando questa idea.

2 Con T. 1394 del 27 marzo, non pubblicato, di San Giuliano riferiva tra l'altro: «Qualora suoi colleghi di Inghilterra e Russia abbiano istruzioni dar seguito passo proposto da Francia la S.V. è autorizzata ad associarvisi».

Gli sembrava eventuale dichiarazione non potersi fare collettivamente, perché in tal caso avrebbe aria di pressione, converrebbe se mai fosse fatta individualmente dagli ambasciatori dopo il passo collettivo. Benkendorff confermò impressione già da me riferita a V.E. mio telegramma Gabinetto 79 1 che, per quanto questo Governo vivamente desideri pace, non vuole mettersi in prima linea, preferendo seguire azione altre Potenze soprattutto Francia. Preoccupazione urtare sentimenti musulmani India è divenuta qui vera ossessione, al punto che Grey nella recente controversia russoturca per frontiera persiana, ha bensì consentito raccomandare Turchia mostrarsi conciliante, però a condizione che raccomandazione non avesse parvenza pressione. A proposito della necessità assoluta in cui noi verremmo fatalmente a trovarci di iniziare energica azione in altri punti Impero, chiesi a Benkendorff cosa, a sua avviso, farebbe Inghilterra di fronte attacco contro qualche punto veramente importante. Replicò essere difficile risposta precisa tutto, a sua avviso, dipendendo dalle conseguenze di una tale azione. «Supponete, per esempio, che in seguito vostra azione a Salonicco od altrove in Turchia europea, Austria-Ungheria mobilizzasse un corpo d'esercito e si avviasse verso Salonicco rioccupando Sangiaccato, non potrei garantire quello che farebbe Inghilterra, la cui politica balcanica si restringe nell'unico intento impedire ad ogni costo Austria vada a Salonicco affacciata austriaca giudicandosi qui equivalente a quella germanica sull'Egeo ed in sommo grado contraria interessi inglesi. Del resto, in tal caso, non so nemmeno cosa faremmo noi considerato che, all'infuori degli abbracci tra imperatore e granduchi, le nostre relazioni coli' Austria, sebbene indiscutibilmente migliorate, non hanno, malgrado mia aspettazione, ancora fatto progressi sensibili sulla via di un'intesa».

Dall'insieme linguaggio Benkendorff trassi impressione che, ad onta gravissime difficoltà oggi ostacolanti azione mediatrice, egli non abbia perduto ogni speranza in un pratico risultato a scadenza più o meno prossima.

Parlandomi da ultimo del contegno ostruzionistico di Marschall, collega disse non arrivare a capire come possa conciliarsi con le incessanti dichiarazioni di Kiderlen-Waechter e Zimmermann sul fermo proposito Germania di collaborare efficacemente al favorevole risultato iniziativa russa.

La dichiarazione di Benkendorff sulla categorica opposizione inglese all'avanzata austriaca mi pare degna massima attenzione. Riterrei non avrebbe egli potuto [adoperare]2 termini così espliciti, se al riguardo non fosse avvenuto preciso scambio d'idee tra questo Governo ed il suo. V.E. rileverà che Benkendorff ha menzionato affacciata austriaca sull'Egeo, il che lascia supporre, che eventuale comparsa AustriaUngheria in qualche porto albanese non solleverebbe difficoltà da parte dell'Inghilterra.

744 1 Cfr. n. 735. 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

743 1 T. 2102/57 del 28 marzo, non pubblicato.

745

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA

T. GAB. SEGRETO 475. Roma, 30 marzo 1912, ore 18,20.

Suo telegramma Gabinetto n. 561 . Pregola cogliere occasione per rinnovare a Sazonow i nostri cordiali ringraziamenti.

Non parmi possibile né pratico indicare oggi m modo preciso compensi militari che potremmo dare per il ritiro degli ufficiali e soldati turchi dalla Libia, perché sappiamo che, se più tardi vi aderirà, i compensi militari ed altri che noi daremmo, dipenderanno dal complesso delle condizioni militari e politiche che esisteranno in quel momento, e che nessuno può prevedere oggi.

Quando la Turchia prometterà il ritiro delle sue truppe dalla Libia, potremo concordare i corrispettivi militari che alla nostra volta saremo disposti a promettere; ma non sarebbe giusto chiederci di sospendere in fatto operazioni militari che siano in corso in qualsiasi parte dell'Impero ottomano, in corrispettivo di semplici promesse turche, difficili a mantenere, anche se date, contro ogni probabilità, in buona fede. Ricordo all'uopo tutte le considerazioni svolte nel mio telegramma Gabinetto n. 295 2 .

Per quanto poi è possibile farlo senza urtare Sazonow, e senza raffreddame l'amichevole ed utile attività, converrebbe evitare di parlare, almeno per ora, di eventuale sospensione e limitazione delle nostre operazioni militari nel Mar Rosso, il cui pieno e continuo svolgimento fino alla soluzione del conflitto italo-turco, può essere un mezzo indispensabile per il conseguimento dei fini comuni dell'Italia e della Russia. Forse ella potrebbe, come sua opinione personale, far notare a Sazonow che la eventuale sospensione o limitazione delle nostre operazioni militari nel Mar Rosso potrebbe mettere la Turchia in grado di reprimere l'insurrezione nell'Yemen e privare perciò l'Italia, e la Russia stessa, di un mezzo efficace per costringere la Turchia a porre fine allo stato di cose, di cui Sazonow saggiamente vuole affrettare la cessazione.

2 T. Gab. segreto 295 del 27 febbraio, non pubblicato.

745 1 Con T. Gab. segreto 416/56 del 27 marzo, Della Torretta nel riferire una sua conversazione con Sazonoff affermava tra l'altro: «ho cercato indagare se era nel suo pensiero proporre, a un momento dato, ritiro della flotta italiana dalla Tripolitania e Cirenaica come corrispettivo ritiro truppe turche. Non potrei affermare, né negare che Sassonoff vi abbia pensato, non avendo riconosciuto né utile né opportuno di chiederlo chiaramente. L'importante sta nella conclusione a cui siamo arrivati discutendo argomento e che cioé ci siamo trovati perfettamente d'accordo nel ritenere inammissibile che Italia per considerazioni politiche ed altre ritiri sua flotta dalla Libia, e che una simile proposta non sarà perciò, né fatta da Sassonoff, né da lui accolta se altri la faranno. Sarei, però, portato credere Sassonoff non l'abbia mai ventilata. Conseguentemente siamo caduti d'accordo nello stabilire che nostro compenso per ritiro truppe turche deve essere cercato altrove».

746

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 688/257. Vienna, 30 marzo 1912 (per. l' 8 aprile).

Ho l'onore di informare l'E.V. che il ministro imperiale e reale della pubblica istruzione ha recentemente proposto ai deputati italiani di nominare, dopo le vacanze pasquali, in via amministrativa presso l'Istituto di Commercio Rivoltella in Trieste (scuola d'istruzione privata, sussidiata dal Governo) due o tre professori insegnanti materie di diritto, aventi attinenza colle discipline commerciali. Essi sarebbero stati scelti tra quelli già insegnanti della facoltà italiana di Innsbruck i quali continuano ad essere mantenuti nell'organico e percepiscono quindi il loro stipendio, pur non facendo lezioni. Il ministro imperiale e reale suddetto aggiunse che egli avrebbe proceduto quindi alla nomina, pure in via amministrativa, di liberi docenti alla scuola medesima in modo che vi si insegnassero tutte le materie legali che si insegnano ad una università, salvo il diritto romano, germanico e canonico, rappresentanti il vero e proprio diritto storico.

Secondo la proposta suddetta gli studenti italiani dovrebbero però inscriversi all'Università di Gratz, pur seguendo i corsi di diritto all'Istituto Rivoltella e gli esami di Stato dovrebbero esser passati da essi davanti la facoltà giuridica in Gratz. Il ministro promise peraltro che fra gli esaminatori verrebbero ammessi pure alcuni degli insegnanti nominati dall'Istituto Rivoltella.

L'attuazione di una tale proposta non impedirebbe che la commissione parlamentare del bilancio si occupasse anche in seguito del disegno di legge governativo relativo ali[ a istitu ]zione di una facoltà giuridica italiana con sede provvisoria in Vienna. Dopo che la discussione di quel disegno di legge fosse terminata nella commissione, esso sarebbe sottoposto all'esame di una sottocommissione nominata appositamente e sarebbe poi portato innanzi alla Camera.

I deputati italiani clericali del Trentino si sarebbero pronunziati in senso contrario alla proposta del ministro imperiale e reale della pubblica istruzione, perché non credono che la nomina dei professori suddetti affretterebbe la liquidazione definitiva della questione concernente la facoltà italiana e perché non credono che in pratica si possa ammettere gli studenti si iscrivano e si rechino a passare gli esami a Gratz, seguendo poi i corsi a Trieste. Essi potrebbero infatti venir costretti a seguire i corsi a Gratz, giacché per legge gli studenti devono seguire i corsi della facoltà presso la quale sono inscritti.

A detta del barone Malfatti, che mi riferì anche le notizie che precedono, l'opposizione dei deputati italiani cattolici avrebbe un'altra origine ed essa si sarebbe esplicata pure ove si fosse trattato di dare una soluzione definitiva immediata alla questione d eli 'istituzione della facoltà giuridica. I deputati stessi desidererebbero infatti in cuor loro che la facoltà giuridica italiana venisse istituita a Trento e se si potessero vincere le difficoltà tuttora esistenti ed ottenere che essa venga 1st1tmta a Trieste, non è quindi da escludersi che i deputati cattolici v1 facciano delle opposizioni.

Contrariamente a tale contegno dei deputati cattolici, i deputati italiani dell'Istria e di Trieste ed il barone Malfatti stesso -solo fra i trentini -si pronunziarono a favore dell'accettazione della proposta suddetta, giacché pur riconoscendo gli inconvenienti cui l'attuazione del progetto stesso darebbe luogo, ritengono che la nomina dei professori italiani di diritto dell'Istituto Rivoltella costituirebbe una vittoria morale per gli italiani e sarebbe un primo passo verso l'istituzione a Trieste medesima della vera e propria facoltà giuridica. Essi ritengono pure che il ministro non avrebbe fatto la proposta di cui si tratta, se essa non fosse stata approvata da S.M. l'Imperatore e la considerano quindi come un sintomo delle migliori disposizioni della Corona e del Governo verso i desiderii degli italiani.

Il ministro lasciò pure intendere che la sua proposta, se attuata, avrebbe potuto costituire una prova che il Governo tentava di fare e se l'istituzione delle cattedre di diritto presso l'Istituto Rivoltella non avesse provocato i temuti inconvenienti, sarebbero diminuite le difficoltà che tuttora si frappongono alla istituzione della facoltà giuridica italiana in Trieste.

Dopo aver ascoltato le considerazioni dei deputati clericali e liberali italiani, il ministro ha detto loro che avrebbe riferito l'esito dei suoi colloqui al presidente del Consiglio riservandosi di far loro conoscere in seguito le dicisioni del Governo.

Di fronte all'opposizione dei deputati clericali il barone Malfatti mi ha manifestato il timore che anche questa proposta possa essere messa in disparte, ciò che impedirebbe alla questione dell'istituzione della facoltà giuridica italiana di fare nemmeno questa volta un passo innanzi.

747

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATISSIMA PERSONALE 239 T 1 . Roma, 30 marzo 1912.

Come è noto a V.E. è imminente un'azione della nostra flotta in Egeo e sia in previsione di future eventualità che potranno presentarsi, sia per intensificare l'azione iniziata qualora ciò apparisse opportuno, stimerei necessario definire fin da ora i seguenti quesiti: l) Può la forza navale operante in Egeo valersi in ogni caso dell'isola di Lemnos alla stessa stregua di Stampalia, cioè come base passeggera di rifornimento e di appoggio?2

747 1 A margine del documento: «Osservazioni fatte in Consiglio dei ministri il 31 marzo 1912». 2 Annotazione a margine: «Sì se non si sbarca».

E può detta forza navale eventualmente occupare in via temporanea l'isola stessa, qualora lo ritenga necessario per lo svolgimento delle operazioni?3 2) Può la forza navale smantellare i forti della imboccatura dei Dardanelli?4 È chiaro che distruggere solo quelli della costa asiatica non varrebbe ad immunizzare il passaggio delle nostre siluranti eventualmente destinate a silurare la squadra turca entro gli stretti, mentre il risparmiare le opere della costa europea sarebbe una palese conferma della nostra soggezione al volere di altre Potenze in contrasto con gli interessi e le esigenze nostre. A me sembra che trattandosi di un gruppo di forti preposti allo sbocco di uno stretto, sia naturale che si debba potere agire contro entrambe le sponde entro la zona fortificata di esse, senza che ciò possa significare l'estensione della nostra azione bellica alla Turchia europea propriamente detta. 3) Entro quali limiti deve ritenersi contenuta la neutralità delle isole di Samos e di Creta? Ad esempio potrebbe una nave turca inseguita dalle nostre cercare rifugio nelle acque di dette isole e trattenervisi oltre ventiquattro ore?5

Data l 'importanza che tali quesiti rivestono e la loro influenza diretta sulle decisioni che potranno prendersi a seconda delle circostanze in un prossimo avvenire, sarei particolarmente grato a V.E. se le risposte vorrà favorirmi con la possibile cortese sollecitudine.

748

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2511133. Costantinopoli, 30-31 marzo 1912 (per. il 4 aprile).

Il commendatore Salem, qui tornato da poco, ha avuto un colloquio con questo ministro dei lavori pubblici Giavid bey e lo ha riassunto nell'unita lettera che mi ha pregato di far pervenire a V.E.

Le pretese del Governo ottomano circa una spartizione della Tripolitania e della Cirenaica tra l'Italia e la Turchia di cui si fa portavoce Giavid bey mi vengono confermate da altra parte.

Pochi giorni fa si insistette vivamente presso di me perché io vedessi Mouheddin bey, governatore di Pera, che aveva un piano di pace che sperava poter fare accettare da questo Governo.

4 Annotazione a margine: «Per ora no. Meglio studiare il siluramento».

5 Annotazione a margine: «Come in tutte le acque neutrali. (S.E. il ministro degli affari esteri si riserva di studiar meglio la questione)».

Si trattava della cessione della Tripolitania e della Cirenaica all'Italia, purché questa rinunciasse al Fezzan e concedesse alla Turchia un libero sbocco sul mare.

Mi sono rifiutato di vedere il Mouheddin bey.

Che questo Governo però mantenga dopo sei mesi di guerra tali assurde pretese dopo le sconfitte avute in Africa e le solenni manifestazioni del Governo e della nazione italiana di voler mantenere integro il programma tracciato dal r.d. del 5 novembre non è cosa da far stupire.

Come ho più volte riferito a V.E. l'attuale Governo ottomano si è servito della guerra nel proprio interesse ed assai abilmente.

Sconfitta o quasi l'opposizione, anche dell'elemento religioso, con la mistificazione dell'emendamento all'articolo 35 della Costituzione, che si presenta come un'estensione dei privilegi sovrani, mentre non è che un'arma nella mani del Comitato per imporre la propria volontà alla Camera qualora fosse indocile colla minaccia e la possibilità di scioglierla a tempo opportuno, il Comitato ha potuto preparare e sta facendo le elezioni in condizioni ottime, collo stato d'assedio e la legge marziale, col sequestro e la sospensione dei giornali dell'opposizione, l'arresto dei candidati dell'intesa liberale. Si può pertanto prevedere non più una vittoria in duecento circoscrizioni, ma in duecentocinquanta e forse più. Sono poi sintomatiche le cattive condizioni in cui lotta l'elemento greco.

E così il Comitato si assicura il potere indisturbato per quattro anni.

Come non ho creduto che -sciolta la Camera, il Governo -libero dal controllo parlamentare -potesse cambiare di attitudine di fronte a noi e, facendo tacere il proprio interesse egoistico, preoccuparsi di quello superiore nell'Impero, così non credo -malgrado l'opinione contraria di persone che bene conoscono l'ambiente -che -convocato il Parlamento -libero dall'opposizione -il Governo muti di rotta e si mostri conciliante. Non è poi da escludersi quello che i giornali europei hanno già annunziato: una manifestazione patriottica del nuovo Parlamento ottomano da contrapporsi quale parodia al voto del nostro Parlamento dello scorso febbraio.

A queste considerazioni si aggiunga che la condizione interna del Paese, non è peggiorata, anzi -relativamente ai mali cronici di cui esso soffre -è andata migliorando.

Il pericolo albanese pare scongiurato per questa primavera. L'incaricato d'affari del Montenegro, qui ritornato dopo una assenza di due mesi e dopo aver visto a Berlino il suo sovrano mi ha assicurato che nulla si produrrà in quella regione e che a ciò contribuisce specialmente il contegno del Montenegro che è deciso a non sollevare incidenti e a non correre avventure.

In Macedonia dopo i fatti di Itchip dello scorso dicembre nulla si è verificato di saliente ed al riguardo gli apprezzamenti e le previsioni del barone Marschall sulla portata dell'intesa greco-bulgara e sulla situazione in quella regione si sono avverati.

Anche la questione di Creta per la vittoria riportata dal signor Venizelos entra in una fase nuova e meno pericolosa per i rapporti turco-ellenici. Il Governo di Atene è ora assai forte per potere, volendo, impedire ai deputati cretesi di prender parte ai lavori del Parlamento ellenico. D'altra parte siccome ho sentito dire da alcuni greci autorizzati di qui, la questione dei deputati cretesi riguarda le Potenze Protettrici e non la Grecia; a questa si può chiedere il fermo volere di non contribuire ad alterare lo status quo dell'isola, ma non si possono imputare gli strappi a quel regime che si producessero, malgrado la lealtà delle sue intenzioni ed il suo buon volere. E quindi il caus belli tra la Turchia e la Grecia può non verificarsi.

Anche la questione di Urmia, assai acuta due settimane fa, accenna a risolversi senza incidenti. Cadono le preoccupazioni degli ambienti governativi e specialmente militari di qui che interpretano il richiamo di Tcharikow come un secondo affare Mayor des Planches e temettero di vedere nel signor Swetchine il de Martino russo del momento.

Ma su questo argomento riferisco all'E.V. con speciale rapporto 1 . Gli avvenimenti del Yemen sono l'unica preoccupazione seria del Governo ottomano nel momento attuale. Per quanto lo stato di rivolta sia colà normale, pure l'azione italiana nel Mar Rosso, che qui si finse ignorare per lungo tempo e si sperò rimanesse inefficace, e la conseguente nuova ribellione del Seid Idrissi preoccupano e seriamente il Governo ottomano. Non esiste -come più volte ho riferito -un vero imbarazzo finanziario e solo in questi ultimi giorni si verificano le prime strettezze dell'erario. È vero che il raccolto dell'Anatolia dello scorso anno è rimasto invenduto per difetto di credito, il grande

allarme nei soliti incettatori che non osano rischiare i loro fondi nella paura di complicazioni interne che li trovino allo scoperto, perché i trasporti ferroviari in quella regione furono resi difficilissimi, se non impossibili, le ferrovie essendo

state adibite esclusivamente ai trasporti di truppe, sicché quel raccolto invenduto, lasciato sui campi, va perduto e causerà più tardi la carestia e la rovina di un intera regione. Ma di ciò soffrirà solo una parte del Paese e non il Governo e dei bisogni del Paese i governanti ottomani non sono soliti a preoccuparsi. Infine il cedere all'Italia per qualunque Governo ottomano rappresenta essere sicuramente rovesciato ed è ovvio che nessun partito voglia condannarsi al suicidio e preferisca di abbandonare il potere perché costrettovi dalla forza, salvando così non tanto l'onore, quanto conservando la possibilità e la speranza di ritornarvi.

Tutte queste ragioni spiegano pertanto l'attitudine incorruttibile del Governo ottomano di fronte all'Italia. Ma pare poterle riassumere in una sola: il Governo dalla guerra ha tratto vantaggio per consolidarsi; il Paese della guerra fino ad ora non sopporta le conseguenze.

E pertanto al passo per la mediazione che probabilmente si svolgerà qui nella prossima settimana, il Governo ottomano potrebbe rispondere, per deferenza alle Potenze e nella migliore delle ipotesi, che per quanto animato dal desiderio di conchiudere la pace, non può accettare le condizioni italiane, perché costituiscono una diminuzione del prestigio del califfo.

748 Non rinvenuto.

È vero che a questo argomento del prestigio del califfo, che persisto a chiamare specioso, tanto più quando esce dalla bocca di un Giavid e di Talaat bey, si può opporre quello meno accademico e perentorio della forza diretta a colpire l'Impero nella sua parte più vitale.

Nel chiedere venia a V.E. per questa lunga esposizione nella quale ho voluto riassumere il mio modo di vedere -per quel poco valore che esso possa avere -.. .2.

ALLEGATO I

L'AVVOCATO SALEM AL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, G. DE MARTINO

L. Costantinopoli, 31 marzo 1912.

Le rimetto qui unita una nota relativa alla prima pratica che ho potuto fare. A questo scopo, non ho avuto bisogno di far uso della lettera rimessami. L'utilizzerei quando vedessi i turchi disposti ad entrare in una conversazione e che (çic) il bisogno di provare che potrei essere un intermediario ben visto presso il R. Governo.

La pratica fatta servirà certo a far considerare qui quale è la vera situazione al (sic) punto di vista italiano ed a far riflettere al compenso morale e materiale che la Turchia troverebbe in una soluzione pacifica colla prospettère (sic) di accordi tali da tranquillizzarla per l'avvenire. In ogni modo la pratica servirà a ciò che nelle sfere governative si sappia che, se si vuoi entrare in una conversazione diretta coll'Italia, si può farlo a mio mezzo.

Se debbo ora, egregio commendatore, riassumerle l'impressione che ho rissentito qui, tanto dalla mia pratica che da altre fonti, posso dire che il Governo ritiene che non vi siano complicazioni nei Balcani, e che quando anche qualche Stato balcanico si muovesse, non ne teme le conseguenze sin tanto che le Grandi Potenze non favorizzano (sic) il conflitto. Per quello riguarda (çic) queste ultime bisogna notare che l'Austria fa sempre delle protestazioni di amicizia e che in quanto alla Russia, i timori che aveva fatto nascere il richiamo dell'ambasciatore Tcharikoff, sono spariti. Le dichiarazioni rassicuranti fatte all'ambasciata turca di Pietroburgo, il fatto che il Governo turco è deciso a non contrariare i russi in Persia, fa ritenere che la Turchia può essere tranquilla da questo lato.

I turchi hanno infine l'impressione che le Potenze, nell'occuparsi della mediazione, non faranno la benché minima pressione. D'altra parte, ritengono che in Tripolitania ed in Cirenaica, le truppe italiane avranno molto da soffrire della stagione calda nella quale si entra e tutte queste circostanze fanno sì che il Governo turco non ha nessuna ragione per premurarsi a negoziare una pace in condizioni che considera umilianti e disastrose.

Quindi è bene che il R. Governo sappia che qui sono sempre intransigenti e che la soluzione è ben lontana.

Per darle un'idea come qui si è lontano dal pensare ad una pace nelle condizioni desiderate dall'Italia, le dirò che nell'opinione dei pacifisti ottomani, i quali certo sono rari, la soluzione possibile sarebbe quella di consacrare all'Italia, anche se necessario estendendola, la parte della Libia già conquistata lasciando l'altra parte alla Turchia per mantener a quest'ultima una posizione in Africa.

Le ho detto, egregio commendatore, quello che si passa. Se ella ha qualche osservazione da communicarmi onde far meglio risultare l'opportunità di una negoziazione diretta, la prego di trasmettermela autorizzandomi a communicarla (çic).

ALLEGATO II

Sono rientrato a Costantinopoli. Il rumore fatto nella stampa riguardo al mio viaggio mi ha messo in una posizione difficile e delicata. Non ho potuto vedere il ministro degli affari esteri. Non avevo occasione d'incontrarlo e non avrei potuto vederlo che avvisandolo dello scopo della mia visita, ciò che non conveniva fare. Ho, per contro, avuto l'occasione d'intrattenermi con Djavid bey, ministro dei lavori pubblici, persona di alta intelligenza e membro influente del partito Giovane Turco e che ha una certa autorità nel Gabinetto. Credo opportuno di riferire esattamente ciò che gli ho detto e si rileverà che non ho trascurato nessuno degli argomenti che al mio debole parere si poteva far valere per dimostrare l'opportunità d'una soluzione pacifica.

Ho intavolata la conversazione col dire che desideroso come sono di vedere ristabilire la pace nell'interesse generale, credevo opportuno di riferire le impressioni da me rissentite in Italia, aggiungendo che l'accoglienza fatta dal R. Governo alle mie pratiche nell'affare Modiano, mi faceva sperare che qualsiasi mia comunicazione sarebbe stata presa in benevole considerazione e che è a questo titolo che intervenivo.

Ciò detto ho fatto rilevare: a) Che Italia, Governo e paese, sono unanimi a sostenere la guerra fino all'ultima estremità. b) Che non è vero, come si ritiene qui, che il Governo italiano ha preso verso le altre Potenze un impegno di non estendere le ostilità nelle altri parti dell'Impero (sic), specialmente nel mar Egeo e nei Dardanelli. c) Che bisogna quindi considerare che se il Governo italiano si è astenuto fino oggi da una tale azione si è unicamente perché questa potrebbe servire di motivo a tale o tal altro Stato europeo per intervenire onde salvaguardare altri suoi interessi in Turchia ciò che sarebbe certo a pregiudizio dell'integrità del! 'Impero che l 'Italia ha il desiderio di vedere mantenere. d) Che la minaccia di espellere i sudditi italiani dalla Turchia non è certo di natura da impedire il Governo italiano di prendere quelle misure che crede pei bisogni della guerra, e che allorquando migliaja (sic) di italiani rischiano la loro vita combattendo nella Marina e nell'Armata gli interessi puramente economici di italiani risidenti (sic) in Turchia non possono far peso nella balancia (sic). e) Che all'Italia non mancano occasioni per incoraggiare gli Stati balcanici acciocché profittino del conflitto italo-turco per dar corso alle loro ben note aspirazioni ma che l'Italia, !ungi dal seguire questa via, fa tutto quello che dipende da lei per evitare altre complicazioni. Ho citato come esempio la Bulgaria che cerca a contrattare un imprestito che l'Italia potrebbe facilitare mentre si astiene dal farlo. f) Che non bisogna però perdere di vista che l'Italia potrebbe, à (sic) un dato momento, essere spinta dall'opinione pubblica a prendere un'attitudine più energica ed a estendere le sue ostilità sia spontaneamente, sia stabilendo certi accordi con altre Potenze ciò che potrebbe dar luogo agli interventi a cui facciamo cenno più sopra e che la Turchia ha tutto interesse di evitare. g) Che non è vero, come si ritiene qui, che l'Italia non può sopportare le spese di guerra se questa durasse ancora per lungo tempo, giacché l 'Italia ha ben considerato che anche facendo la pace colla Turchia, avrà ancora da sopportare le spese di guerra per lottare contro gl'indigeni in Tripolitania ma che se ciò nonostante è favorevale (sic) all'idea di pace, si è sempre per la ragione di non volere creare complicazioni generali in Turchia. Che è solo così che si deve interpretare l'attitudine dell'Italia e che tutt'altra interpretazione è erronea. h) Che se a tutte queste considerazioni si aggiunge che qualunque fossere (sic) le difficoltà che l'Italia può incontrare nel continuare la guerra, la Turchia non può oramai ragionevolmente sperare di riprendere la Tripolitania e che d'altra parte, la questione tripolitana regolata, la Turchia potrebbe trovare nell'Italia un'amica e forse anche in certi casi un'alleata, bisognerebbe concludere che la Turchia ha tutto interesse a non persistere in una lotta senza uscita e ad entrare in rapporti diretti coll'Italia per negoziare sinceramente una pace che altri potrebbero non avere interesse a far riuscire. i) Che è poi da considerare che una volta in principio un accordo stabilito, si potrebbe far dar corse (sic) all'intervento delle Potenze e forsi (sic) in quest'occasione la Turchia potrebbe ottenere da quest'ultime le concessioni economiche necessario (sic) al risorgimento del Paese, concessioni alle quali la Turchia ha diritto.

Queste osservazioni sono state sentite con attenzione. Il ministro senza contestare gli inconveniente (sic) per la Turchia di un azione navale dell'Italia in certe parti vitali, azione di natura a provocare l'intervento di altre Potenze, si è mostrato -e mi è parso che lo è effettivamente -molto tranquille (sic) a questo riguardo contando sulle buone relazioni attuali della Turchia colle altre Potenze.

Il ministro tuttoché spiegando che la continuazione della guerra lede più gli interessi italiani che i turchi, mi è sembrato sensibile all'idea che una pace potrebbe assicurare alla Turchia non delle amicizie né delle promesse platonichè (sic), ma degli accordi formali che possano permettere alla Turchià (sic} di vivere tranquilla e di potersi occupare in pace del suo risorgimento economico. Egli però ha aggiunto nel modo più reciso che una cessione della Tripolitania e della Cirenaica come la domanda deli'Italia sarebbe la rovina della Turchia. Quest'ultima ha un interesse vitale a mantenere la sua influenza morale sulle populazioni arabe che rappresentano nell'Impero stesso un elemento importante, che la cessione della Tripolitania e della Cirenaica costituirebbe, fra altre umiliazioni, la perdita irreparabile del prestigio e dell'autorità del sultano su quelle popolazioni e che questo sarebbe un sacrifizio che nulla giustifica e che nessun Gabinetto vorrà imporre al Paese. La Turchia dovrebbe quindi -dice il ministro -lottare sino alla fine; la Tripolitania potrà essere conquistata dall'Italia ma non potrà esserle ceduta.

Su ciò, ogn'uno di noi ha continuato a svolgere i suoi argomenti e ci siamo separati io !imitandomi a dire che per il caso ove potessi essere utile per un intervento, mi tengo a disposizione del Governo ed il ministro dicendo che se avesse qualche cosa da communicarmi, me lo farebbe sapere.

747 3 Annotazione a margine: «No».

748 2 Per il seguito cfr. n. 60.

749

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, ALL'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, VOLPI

L. Costantinopoli, 31 marzo 1912.

È qualche giorno che più non le scrivo perché da una quindicina di giorni cinque Potenze si occupano della pace italo-turca. Il passo qui pare sarà fatto domani o dopodomani e la risposta dei turchi si conosce già. Insomma nella mentalità turca popolare la questione è al punto al quale era in gennaio. Nelle sfere dirigenti le persone prese singolarmente considerano le due provincie irrimediabilmente perse. Questa convinzione è nata dopo il voto della Camera dei deputati, ma non è espressa pubblicamente. Ufficialmente però si continua a dire che il solo terreno di discussione è quello della divisione delle provincie africane in due parti non importa come ma in modo che i turchi possano dire gli italiani non hanno potuto cacciarci dall'Africa. Questo ripetono ufficialmente, ma personalmente ciascun membro del Governo è persuaso che in Africa la Turchia non tornerà più e si consola al pensiero di far costar cara agli italiani la conquista, mantenendo l'agitazione araba mussulmana.

Vi è chi crede che questa attitudine del Governo, come l'annuncio di vittorie che seguita regolarmente, non siano che una manovra elettorale, ma che una volta finite le elezioni il Governo diventerà pacifico. Io sono scettico circa queste opinioni di una parte degli ottomani, [ ...]1 a meno che un fatto nuovo serio intervenga a modificare lo stato d'animo attuale e la pressione del Governo turco, che l'Italia è bloccata dalle Potenze in Africa e non potrà mai attaccare la Turchia altrove. Questa è la convinzione delle sfere dirigenti ottomane e siccome a [ ... ]1 in essa gli ambasciatori di almeno quattro Potenze sono concordi, non vi è che il fatto nuovo che demolisca convinzione per aprire una breccia in questa convinzione -Fino a che questo fatto nuovo che può essere un'azione guerresca nostra nell'Egeo od una pressione effettiva diplomatica, non si verificherà lo stato quo del conflitto italaturco non subirà modificazioni sensibili -Personalmente mi auguro che la modificazione dello statu quo provenga da un'azione guerresca nostra e non dall'intervento delle Potenze perché questo ci impiccolisce assai davanti ai turchi e fatta la pace ci troveremmo sempre davanti la diffidenza di un nemico che si ritiene materialmente e moralmente superiore a noi.

Se la stampa turca sarà disposta ad accettare l'offerta di mezzi persuasivi fino ad ora respinti si confermerà l'opinione di quelli che considerano la resistenza ad oltranza una semplice manovra elettorale. -Io non sono di questa opinione e continuoa ritenere che la fine del conflitto non può essere provocata che dal cannone e dopo forti sacrifici da parte dell'Italia, perché i turchi si sono preparati alacremente alla difesa, aiutati validamente dagli ufficiali di quelle Potenze che si nascondono dietro il portone della neutralità.

[ ..• ] 1 e Sinapian stanno per rientrare.

750

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETISSIMO 432/78. Vienna, l° aprile, 1912, ore 20 (per. ore 6 del 2).

Dispaccio di V.E. Gabinetto 13 1•

Convengo con V.E. che noi non possiamo sottoscrivere alla formula propostaci dai nostri alleati.

Primo, perché in essa si fa astrazione del principio solennemente proclamato della sovranità dell'Italia sulla Tripolitania e Cirenaica. Secondo, perché conviene evitare eventualità che la situazione di fatto di quella province, ove non fosse ancora interamente conforme, alla data dell'entrata in vigore del nuovo trattato,

agli interessi e scopi d'Italia, potesse ricevere, quantunque di natura provvisoria, una sanzione definitiva dalla formula suddetta. Ma è da dubitare che i nostri alleati siano disposti a consentire alla formula che V.E. si proporrebbe di sottoporre loro, questa essendo basata sul principio sopra accennato che essi ci hanno fatto sempre intendere di non potere riconoscere, durante la guerra attuale, perché contrario ai doveri di neutralità. Né è da supporre che i nostri alleati possano modificare loro opinione per la ragione che il nuovo trattato è destinato a rimanere segreto, perché essi non si farebbero soverchie illusioni circa la promessa che verrebbe fatta dalle tre Potenze di tener segreto il futuro rinnovamento. Alla obiezione poi che gli inconvenienti derivanti da una divulgazione eventuale di quest'atto internazionale sarebbero di molto più notevoli per noi se si adottasse la formula propostaci, perché metterebbe il nostro Governo in opposizione alla legge votata dal Parlamento, potrebbe essere risposto dai nostri alleati che inconvenienti non minori sarebbe per avere per loro la divulgazione della formula dell'E.V. se vi consentissero, essa potendo avere per conseguenza, di fronte a Turchia, di comprometterli e danneggiare quindi i loro interessi nell'Impero e, di fronte a Potenze, di porli in contraddizione con il principio da loro affermato di potenze neutrali. Ma se i nostri alleati non credono per tale loro qualità di riconoscere la nostra sovranità nella Tripolitania e Cirenaica finché siamo in guerra con la Turchia, essi però non potrebbero addurre alcuna ragione plausibile per rifiutarsi di riconoscerla esplicitamente ed incondizionatamente quando la pace fosse ristabilita. Mi sembra quindi che, in caso nella formula di V.E. si intercalasse l'inciso che si trovava in quella che mi permisi di sottoporle con telegramma segreto 865 2,essa non sarebbe forse per incontrare seria obiezione da parte dei nostri alleati. La formula potrebbe essere ridotta nel modo seguente: «Il est bien entedu que le statu quo visé par les articles neuf et dix du présent traité serait, en ce qui concerne la Tripolitaine et la Cyrénalque -après que le conflit entre l'ltalie et la Turquie aura été défini par la formule de la paix ou une voie différente -celui qui a été créé par la loi du Royaume du 27 février milneufcent douze étendant la souveraineté de l'Italie sur ces deux provinces». Tale formula non ci metterebbe in contraddizione col voto del Parlamento, né potrebbe ove fosse divulgata, influire in modo sfavorevole sul sentimento del Paese, perché in essa non si viene meno alla legge del 12 febbraio di cui si riconosce anzi la validità e la menzione, poi, della legge stessa non potrebbe essere considerata dalla nostra opinione pubblica che come un riconoscimento morale ed anticipato da parte degli alleati della nostra sovranità sulla Libia e quale una garanzia che essa diverrebbe effettiva dopo risolto conflitto. Rispetto ai nostri alleati, se è vero che nella formola suddetta si accenna allo statu quo della Tripolitania e Cirenaica risultante dalla legge del 27 febbraio 1912, il riconoscimento però di questo statu quo sarebbe subordinato alla definizione del conflitto. Onde l'accettazione per parte loro di quella formola adoperata, in caso dovesse essere divulgata, non potrebbe essere ritenuta come incompatibile ai doveri di neutralità né compromettersi di fronte sia alla Turchia che alle altre Potenze, non

implicando un riconoscimento immediato sovranità sulla Libia che avrebbe luogo solo alla soluzione del conflitto. Quanto agli accordi segreti tra Italia e AustriaUngheria, a noi converebbe che fossero inseriti nel trattato ma sotto la formola3 di protocollo addizionale per impedire che l'accordo del 1909 possa dare occasione ad un2 rimaneggiamento qualsiasi dell'articolo 7 che è nostro interesse rimanga intatto e perché l'intesa per l'Albania riflette una questione del tutto differente dal trattato stesso. Tale, del resto, parrebbe essere pure l 'intenzione dei nostri alleati che desiderano che alcuna modificazione non venga fatta al testo del trattato attuale.

749 1 Parole illeggibili. 750 1 Non rinvenuto.

750 2 Cfr. n. 560.

751

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE SEGRETO S.N. Roma, l° aprile 1912, ore 20,40.

Mérey mi ha oggi chiesto notizie sul colloquio a Venezia tra i due sovrani 1• Gli ho detto che non è facile riassumere conversazioni amichevoli non ufficiali e interrotte da altri argomenti, ma che avevo motivo di ritenere che quei colloqui abbiano giovato a stringere sempre più la reciproca amicizia.

A sua domanda ho risposto che ritenevo dissipato, se pure esisteva, l'erronea impressione dell'imperatore che noi volessimo ad arte differire la rinnovazione della Triplice Alleanza, e che avevo motivo di credere che l'imperatore avesse compreso la necessità di studiare con maturità una formula soddisfacente anche per noi per la clausola relativa alla Libia.

Pure a sua domanda gli ho risposto che credevo che l'imperatore si fosse convinto della necessità per noi di servirei della flotta per far sentire alla Turchia i mali della guerra e d'affrettarne la fine. Aggiunsi che è nostro desiderio ed interesse evitare le complicazioni balcaniche.

Mérey, pur ritenendo difficile escogitare operazioni navali che non presentino tali pericoli, mi disse essere deplorevole che in Italia si attribuisca ali' Austria la colpa se noi non le facciamo, e aggiunse che forse Aehrenthal nello scorso novembre non vi si sarebbe opposto se non ne fosse stato preavvisato.

La verità è, come V.E. ricorda che Aehrenthal si oppose prima di esserne preavvisato, ma in ogni modo prego VE. farmi conoscere se crede che questo linguaggio di Mérey sia effetto d'un mutato atteggiamento austriaco in seguito a passi del Governo tedesco.

Nel corso della conversazione, non so se per caso, memore dell'erronea interpretazione di Aehrenthal, egli notò che l'articolo settimo si oppone solo alle occupazioni temporanee.

751 1 Cfr. anche n. 741. Si vedano inoltre GP, voi XXX/II, nn. 11263-11264.

750 3 Annotazione nell'interlinea: «forma?».

752

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. RISERVATISSIMO 7761 . Il Cairo, 3 aprile 1912, ore 12,42.

Khedivè comunica seguenti notlZle pervenutegli da fonti che afferma sicure: imponente forza ldris giunta 5 ore di marcia dalla Mecca. Sceriff Mecca non sembra molto inquieto tale avanzata e si è limitato mandare contro ribelli due battaglioni regolari turchi due batterie tiro rapido accompagnati da beduini.

Un battaglione regolare turco riuscì passare da Medina alla Mecca però la strada che collega tali due città sarebbe sul punto di cadere in mano ai partigiani di Idris.

Sua Altezza mi ha pregato telegrafare quanto precede a V.E. ritenendo urgente che tali notizie siano fatte conoscere a Idris il più presto possibile per le eventuali disposizioni che potrebbe essere indotto a prendere. Khedivè partito ieri per sua proprietà Anatolia, sua assenza probabile dieci giorni. Prego telegrafarmi se l'E.V. avrà potuto far eseguire suggerimento khedivè e di farmi avere quelle notizie che le pervenissero circa situazione Idris e suoi progressi contro le forze turche.

753

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 490. Roma, 4 aprile 1912, ore l0,15.

Nei suoi colloquii con Tschirschky prego V.E. tenere presente: l) che, se eccezione delle occupazioni temporanee contemplate dali' articolo sette e delle operazioni contro le coste ottomane dell'Adriatico e de li'Jonio, dalle quali abbiamo promesso astenerci, noi ci consideriamo liberi di compiere qualsiasi operazione militare nello Egeo od altrove senza previo accordo coll'Austria e senza che questa possa opporsi e reclamare; 2) che noi non faremo occupazioni temporanee senza previo accordo coll'Austria, che dovrebbe, non già opporsi a priori, ma esaminare amichevolmente con noi la opportunità o meno di tale operazione.

Noi confidiamo che il Governo tedesco otterrà dall'Austria questa attitudine, che è la sola conforme ai doveri della neutralità ed all'interesse che le tre Potenze alleate hanno a rafforzare la Triplice Alleanza e ad affrettare la fine della guerra.

752 1 Dal registro dei telegrammi non risulta che Grimani abbia comunicato tale notizia al Ministero.

754

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 446/164. Parigi, 4 aprile 1912, ore 14,55 (per. ore 19,05).

Nel corso della conversazione sulla situazione in Tunisia, Poincaré mi accennò alla preoccupazione che destava in lui il fermento che la guerra italo-turca svegliava tra gli arabi della Reggenza e nel mondo musulmano in genere. Ne approfittai per osservare quanto fosse nel vero interesse di tutti, e delle famiglie musulmane in particolare modo, che lo stato di guerra mantenuto dalla resistenza passiva della Turchia avesse a cessare e quanto minor danno deriverebbe agli interessi europei da un'azione energica dell'Italia dovunque le fosse possibile colpire Turchia, affrettando così conclusione pace, piuttosto che dal prolungarsi indefinitamente dello stato attuale. Poincaré rispose convenendo della opportunità per noi di estendere nostre operazioni all'infuori Libia e Mar Rosso, ma osservando essere nel nostro interesse, altrettanto che n eli 'interesse generale, per le imprevedibili conseguenze che ne potrebbero derivare, che l'attuale nostra azione navale non vada a colpire troppo apertamente interessi vitali dell'una e dell'altra Potenza, ma si esplichi in modo da recare minore danno possibile. Riconosce che, così circoscritto, il nostro campo di azione, dato il giuoco dei vari interessi in Oriente, si troverebbe molto limitato perché, se alla Francia riuscirebbe particolarmente sgradita una azione a Beirut e Smime, lo stesso può dirsi per l'Austria-Ungheria per quanto riguarda Albania e Salonicco, e per la Russia e Inghilterra di fronte azione Dardanelli. Ma vi restano, mi disse Poincaré, le isole [ ... ] 1: la loro occupazione da parte nostra mi sembra risponderebbe a tutte le esigenze del momento: «Personne (ne) pourra s'en plaindre et cela constituera un gage sérieux en vos mains». Dalla conversazione ho desunto impressione che, nel pensiero del signor Poincaré, l'occupazione delle isole permetterà alle Potenze in avvenire più o meno lontano, di riprendere la conversazione a Costantinopoli e di esercitare una valida pressione sulla Turchia. Relativamente a Smime, che Poincaré citò insieme Beirut come uno dei punti sui quali dovrebbero, evitarsi eventuale azione navale Italia, io osservai di non credere che la Francia mettesse sullo stesso piede Beirut e Smime, al che Poincaré rispose: «Non, non, mais nous y avons aussi de très grands intérèts». Qualora un'azione su

Smime fosse prevista dal Governo del re, sarebbe forse il caso di dare alla Francia ogni assicurazione circa Beirut per ottenere in cambio disinteressamento francese per Smime.

754 1 Gruppo indecifrato.

755

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 450/63. Pietroburgo, 5 aprile 1912, ore 22,55 (per. ore 2,15 del 6).

Telegramma di VE. Gabinetto 497 1• La divergenza sostanziale che si è poi mano a mano appianata fra il punto di vista di Sazonoff e quello di Poincaré è consistita in linea generale in questo che la Turchia «si rimettesse alle Potenze per la cessazione delle ostilità» (mio telegramma Gabinetto 51) 2 e Poincaré ha sempre insistito perché alla Turchia fosse fatto analogo trattamento a quello fatto all'Italia a cui non fu chiesto di rimettersi alle Potenze, ma le furono chieste le condizioni alle quali essa avrebbe consentito a porre fine alle ostilità. L'ultima volta che vidi Sazonoff egli mi accennò alla osservazione fattagli da Poincaré di doversi cioè concretare la formula da presentare alla Turchia in modo da dare ad essa la possibilità di fare quella riserva sotto la quale essa poteva fare conoscere le condizioni alle quali era disposta ad addivenire alla cessazione delle ostilità. Ciò per il principio dell'identità di trattamento avendo l'Italia nel suo memorandum alle Potenze dichiarato dover essere fuori discussione la sua sovranità piena ed intera in Libia ed aver le Potenze continuato il passo in base a questa dichiarazione. Sazonoff continuando ad informare la sua condotta alla idea di non rischiare per questione di forma di far naufragare tutto il passo, accolse il suggerimento di Poincaré. Risultato di queste due tendenze è stata la formula, a ciascuno già nota, la quale è stata del resto concretata dopo ulteriore scambio d'idee tra i due ministri. Per ricostituire con tutta precisione il filo di queste trattative e rispondere in modo esauriente al telegramma sopra indicato, presentatasene l'opportunità, ho pregato oggi Sazonoff di rifare la storia delle trattative tra Pietroburgo e Parigi. Egli, sorridendo, mi disse che ciò gli riusciva impossibile essendovi stato fra i due Gabinetti uno scambio d'idee ininterrotto e non facile e con qualche equivoco e ciò, oltre che per la natura della cosa, perché questo ambasciatore di Francia, nonostante la sua riputazione, trovava sempre modo telegrafare a Parigi il contrario di quello che egli gli diceva, di non riferire a lui esattamente quello che gli veniva telegrafato da Parigi. Quanto alla risposta da darsi dagli ambasciatori a Costantinopoli, l'idea di Sazonoff è la seguente: è da aspettarsi che la Turchia farà fin da principio la riserva che non

2 Cfr. n. 737.

793 può ammettere discussione sulla sua sovranità in Libia. Sazonoff teme allora che, siccome nel nostro memorandum è fatta menzione della nostra sovranità in Tripolitania e Cirenaica alcuni ambasciatori, riferendovisi, ne parlino alla Sublime Porta. In tal caso, le trattative verrebbero necessariamente ad essere interrotte, se, invece, alle riserve iniziali o alle proteste del Governo ottomano su questo argomento gli ambasciatori sorvoleranno abilmente, la conversazione continuerà. Sazonoff ha creduto quindi attirare la nostra attenzione su ciò per prevenire una simile difficoltà.

755 1 Con T. Gab. segreto 497 del 4 aprile, non pubblicato, di San Giuliano richiedeva chiarimenti tra il punto di vista di Sazonoff e quello di Poincaré e voleva conoscere la formula per il passo da compiersi a Costantinopoli.

756

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 266/139. Costantinopoli, 5 aprile 1912 (per. il 9).

Ho l'onore di trasmettere qui unito a V.E. una lettera direttami dall'ing. Nogara, direttore della Società Commerciale d'Oriente, in cui mi si rende conto di un suo colloquio con Halagian Effendi, deputato ed ex ministro dei L.L.P.P.

ALLEGATO

IL DIRETTORE DELLA SOCIETA' COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO

L. Costantinopoli, 4 aprile 1912.

Come ebbi a comunicarle ottenni un appuntamento dall'ex ministro B. Halagian, che come ella sa, è magna pars del Comitato Unione Progresso ed in contatto giornaliero con i dirigenti la politica ottomana.

La mia conversazione coll'ex ministro è durata più di due ore, e qui le riassumo brevemente i punti principali svolti da lui.

«Ii Decreto detto d'annessione del 5 novembre fu promulgato con una visione errata della situazione in Tripolitania. Dalla data del promulgamento i fatti hanno dato ragione al Governo turco, il quale ha potuto organizzare la resistenza militare al punto da ritenere possibilissimo di immobilizzare l'esercito italiano alla costa per un periodo di tempo incalcolabile.

Questa resistenza fu voluta dal Comitato Unione e Progresso e da lui organizzata. Per questa organizzazione e per il suo successo il Comitato ha dovuto fare appello ai sentimenti religiosi musulmani e con ciò dare un incremento considerevole al movimento islamitico. Il successo nella resistenza ha reso possibile di tenere in scacco l'esercito italiano in Tripolitania, ed il trionfo elettorale del Comitato.

Questi per fare la pace coll'Italia deve oggi tenere conto dello stato d'animo mussulmano all'interno ed all'esterno; stato d'animo che vieta di accogliere anche indirettamente la tesi italiana.

Nel fatto poi la guerra italo-turca non crea enormi imbarazzi alla Turchia. L'imbarazzo d'un movimento nei Paesi balcanici interessa più alle Potenze che alla Turchia, quindi sono quelle che impediranno questo movimento. I rischi che corre la Turchia nello stato attuale delle cose sono maggiori facendo la pace che continuando la guerra.

Facendo la pace coll'Italia la Turchia deve abbandonare gli arabi, che combattono per essa. Ciò provocherebbe una reazione in tutta l'Arabia e la conseguenza più temibile e che è probabile sarebbe la proclamazione di un Califfato arabo.

Con questo avvenimento la Turchia sarebbe liquidata e questa ragione sola basta per gli uomini di Stato ottomani per impedirli di trattare la pace sulla base voluta dall'Italia. Nelle condizioni attuali del conflitto la pace coll'Italia non può essere trattata se non sulla base della sovranità religiosa e politica del sultano.

Però lo stato di guerra è spiacevole, costoso, pieno sempre di pericoli, quindi i più illuminati uomini di stato desiderano trovare l'uscita onorevole per la Turchia e per l'Italia.

Quest'uscita può essere o il ritiro del Decreto del 5 novembre o un colpo fatale guerresco alla Turchia, che giustifichi per la Turchia l'accettazione del Decreto del 5 novembre.

Questo colpo può essere l'occupazione effettiva della maggior parte del territorio africano in modo che la sovranità politica del sultano non possa più esercitarsi; oppure un'estensione delle ostilità in altra parte del! 'Impero turco e con occupazione effettiva di altro territorio.

Questo può essere pretesto alla Turchia per accettare la pace ed il Decreto 5 novembre. Ma questo colpo violento e fortunato contro la Turchia, minacciato e non mai eseguito, che nel periodo attuale potrebbe decidere del conflitto, sembra molto lontano ancora, quindi alla Turchia conviene aspettare. Se l'Italia non vuole assumere il rischio della guerra in altre parti dell'Impero deve soffrire della stato di guerra da essa voluto e non domandare alla Turchia il riconoscimento né diretto né indiretto del Decreto 5 novembre. Ciò però non escluderebbe intese parziali coll'Italia che lentamente e gradualmente possano condurre alla pace. E se l'Italia in quest'ordine di idee vuoi fare qualche cosa deve pur sempre provocare la Turchia, affinché questa possa giustificare davanti al mondo mussulmano la sua nuova attitudine. In ogni caso, concluse il mio interlocutore, questo è il momento favorevole per l'Italia per avviare delle trattative, perché molti ed i più eminenti uomini politici ottomani desiderano essere forzati dagli avvenimenti a fare la pace; ma gli avvenimenti diplomatici sarebbero insufficienti. Non le dico, egregio cavaliere, quanto io contrapposi ai ragionamenti del signor Baiagian. Attiro soltanto la sua attenzione sui tre punti importanti del colloquio: l) Che la Turchia annetta alla questione del Califfato una importanza capitale; e che quindi una nostra propaganda in favore di altro od altri califfi può essere uno dei fattori per costringerla alla pace. 2) Che la Turchia ha bisogno di un avvenimento militare guerresco importante e che la tocchi da vicino per giustificare di fronte al pubblico le sue trattative di pace. 3) Che il momento politico attuale sarebbe favorevole per forzare la Turchia a fare la pace, e che bisogna quindi approfittare.

PS. Scusi gli errori di redazione dovuti alla fretta.

757

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, E AL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI

T. GAB. 502. Roma, 6 aprile 1912, ore 1,20.

(Per Londra) In relazione al suo telegramma n. 85 1 le comunico il seguente telegramma che ho diretto alla r. agenzia diplomatica al Cairo.

(Per Cairo) Suo telegramma Gabinetto 39 2 .

(Per tutti) Le ho comunicato il telegramma di Imperiali che assicura non esservi preoccupazioni in Inghilterra per la nostra azione nello Yemen, la quale ha per scopo esclusivo di costringere la Turchia a cedere nella questione di Tripoli non avendo noi alcuna aspirazione politica nello Yemen e nessuna intenzione né interesse a creare ostacoli all'influenza inglese in Arabia. Finita la guerra noi non avremo nello Yemen altro interesse che lo svolgimento del commercio coll'Eritrea.

Non abbiamo ricevuto dal Governo inglese alcuna rimostranza o non soltanto non abbiamo deciso di limitare le nostre operazioni nel Mar Rosso ma abbiamo deciso di estendere la zona del blocco. Governo inglese soltanto desidera che tali misure si possano conciliare col pellegrinaggio e così faremo.

Le comunico tutto ciò per norma eventuale di linguaggio.

758

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 459/91. Londra, 6 aprile 1912, ore 2,49 (per. ore 20,50).

Stamani alcuni giornali riproducono dichiarazioni fatte alla Agenzia Reuter da Abbott reduce campo turco. Egli assicura che mentre gli italiani per non avere profittato buon momento rimangono ad un dipresso dove erano principio guerra, turco-arabi si vanno sempre più rinforzando e sono preparati combattere indefinitivamente. Anche Times pubblica corrispondenza da Tripoli con intonazione obiettiva amichevole ma con critica contro nostra inazione nelle linee indicate nella lettera particolare già da me comunicata a V.E. 1 .... Times in pari tempo pubblica articolo di fondo allo scopo di dimostrare che Tripoli è perduta per Turchia, che italiani sono

796 decisi andare fino in fondo, che, per interesse Turchia, dell'Europa e Italia stessa, si impone azione pacificatrice Potenze [e f per Turchia [di ap fprofittare [delle F offerte concilianti Italia. Spectator poi, senza entrare nella questione della pace, pubblica articolo diretto dimostrare infondato risentimento italiano contro opinione pubblica inglese che, pur deplorando guerra, specie in previsioni sacrifici finanziari e scarso compenso che annessione Tripolitania cagionerà ali 'Italia, sostiene Inghilterra come sempre amica fedele. Critiche inglesi sono prova di stima. Non si critica una Nazione verso la quale si è indifferenti. Noi non potremmo mai essere indifferenti verso l'Italia. Politica del Governo è necessariamente neutrale, i sentimenti pubblico inglese, malgrado alcune riserve, rappresentano qualche cosa di meglio della neutralità. Articolo dimostra che, in nessun caso, durante la guerra, Inghilterra ci ha sollevato ostacoli; gli inglesi sono sempre «italianati». Per quanto sappiamo e possiamo, preghiamo italiani non commettere errore credere che il popolo inglese è divenuto d'un tratto anti-italiano.

Daily Chronicle prendendo argomento dalle dichiarazioni di Abbott sostiene, d'altra parte, che nostra politica dilatoria si risolve intero nostro danno ed a vantaggio totale arabi e che continuando così «questa specie di guerra» scoppierà fatalmente guerra santa tra gli arabi, ciò che deve preoccupare seriamente Francia, Inghilterra per ripercussione che può avere in Egitto, Tunisia.

Due Potenze hanno quindi insistito vigorosamente sull'Italia e Turchia per affrettare pace. Italia, nel suo interesse ed in quello degli altri, non può insistere sui termini di resa a discrezione, ma deve mostrarsi moderata. Nessuna persona pratica le domanda di abbandonare province per tanto tempo desiderate, ma la sua posizione qui vi sarà altrettanto forte, se consente fare pace in condizioni non umilianti per Turchia e non tali da suscitare violenta inimicizia islamismo. Questa odierna manifestazione dei giornali seri dimostra chiaramente preoccupazione per continuazione guerra, desiderio generale di vederla finita, vedute ragionevoli su soluzione conflitto. In pari tempo, confermano informazioni già da qualche tempo da me riferite circa impressione qui generalmente serpeggiante in senso non troppo favorevole nostra tattica dilatoria alla quale nel fondo vuole attribuirsi causa principale perdurante intransigenza turca.

757 1 T. Gab. 2191/85 del 2 aprile, non pubblicato. 2 Con T. Gab. 2202/39 del 2 aprile, non pubblicato, Grimani riferiva una certa preoccupazione inglese per le azioni italiane nel Mar Rosso. 758 1 Lettera segretissima, particolare del 4 aprile, non pubblicata.

759

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 507. Roma, 6 aprile 1912, ore 21.

L'incaricato d'affari a Pietroburgo1 ha saputo confidenzialmente dal signor Sazonoff circa la mediazione che egli ha intenzione di proporre alla Potenze di

2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra. 759 1 Cfr. n. 755.

fare un passo identico a quello fatto a Roma per sapere a quali condizioni la Sublime Porta accetterebbe una loro mediazione amichevole per ottenere la cessazione delle ostilità. L'incaricato d'affari ha potuto comprendere che il signor Sazonoff teme che la Turchia possa, fin da principio, fare la riserva che non può ammettere discussione sulla sua sovranità in Libia e siccome nel nostro promemoria è fatta menzione della nostra sovranità in Tripolitania e Cirenaica alcuni ambasciatori, riferendovisi, ne possono parlare alla Sublime Porta. In tal caso le trattative verrebbero necessariamente ad essere troncate. Se invece alle riserve iniziali e alle proteste del Governo ottomano su questo argomento gli ambasciatori sorvolassero abilmente la conversazione potrebbe continuare.

Informo di quanto precede l'E.V., perché riterrei molto utile che ella trovi possibilmente l'opportunità di fare intendere a codesto Governo come trattandosi di conversazioni non fra i soli Governi alleati, in vista di possibili indiscrezioni, importa evitare, per il dannoso effetto che potrebbe riceverne l'opinione pubblica italiana, che l'azione, a Costantinopoli dei rappresentanti delle Potenze alleate possa apparire meno favorevole all'Italia di quella dei rappresentati delle Potenze amiche.

760

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. 223. Roma, 7 aprile 1912.

Ti prego di restituirmi, cogli allegati, e colle eventuali modificazioni, l'annesso mio progetto di risposta a Salem. Mi pare che non convenga rompere i contatti e che la clausola, che per maggiore esattezza trascrivo, sebbene non facile a concretare in stipulazioni determinate, offra occasione propizia a scambio d'idee, che può forse anche condurre, per le oblique vie usuali della mentalità turca, a qualche conclusione utile.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AVVOCATO SALEM

L. Roma, .. . aprile 1912.

Je viens de recevoir v otre lettre du 21 , et je tiens à vous répondre en toute franchise.

Nous ne pouvons pas transiger sur la possession complète des deux provinces, non seulement pour toutes les raisons que vous connaissez, mais aussi parce qu'il ne faut pas laisser subsister aucune cause de litiges et de conflicts entre l'ltalie et la Turquie. Pour la

politique que nos intérets nous conseillent de suivre, politique d'appui constant à la Turquie pour sa consolidation et son intégrité en Europe, nous avons besoin de ne laisser survivre à la guerre aucune cause de dissentiments serieux avec elle.

C'est vous dire que nous pouvons discuter, avec le plus vif désir d'aboutir à une conclusion favorable de conditions correspondentes à l'intérét que nous aurons, après la guerre, de [...f de l'intégrité territoriale de la Turquie européenne. Du reste nous avons exprimé une idée analogue dans notre réponse à la démarche des pouissances pour la cessation des hostilités3 .

760 1 Non pubblicata.

761

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE 521. Roma, 8 aprile 1912, ore 16,30.

Mio telegramma Gabinetto n. 498 1 .

Il consiglio di Poincaré di occupare qualche isola, come mezzo di affrettare la pace, dovrebbe parere accettabile all'Austria ed alla Germania, perché mentre presenta poche probabilità di ripercussioni balcaniche, potrebbe offrire alle Potenze ed allo stesso Governo ottomano un mezzo opportuno per porre fine al conflitto.

Il Governo tedesco potrebbe, forse come idea sua, sentire se avremo gravi difficoltà, in proposito da parte dell'Austria e quali sarebbero le isole, per le quali le sue obbiezioni sarebbero minori. A me pare che si possa benissimo sostenere che l'articolo sette non si applichi alle isole asiatiche e non vedo quale interesse austriaco sia danneggiato e quale ripercussione balcanica sia da temere se occupassimo temporaneamente Mitilene o Rodi o Lemno o Scio o qualche altra. Mitilene fu occupata dalla Francia senza che alcuna ripercussione balcanica avvenisse.

Noi potremmo, per esempio, occupare simultaneamente o successivamente Rodi e Mitilene o altre isole, e dare alla Germania e ali' Austria formale assicurazione che non intendiamo tenere per noi alcuna isola ottomana, ma intendiamo restituirla alla Turchia alla fine della guerra purché tale assicurazione resti segreta e la Turchia possa al contrario temerne la perdita. Da informazioni attendibili ci risulta infatti che la Turchia per rassegnarsi a perdere la Libia vorrebbe la soddisfazione morale che le venga restituito qualche territorio da noi effettivamente occupato. Noi perciò occuperemmo qualche isola unjcamente per dar modo di restituirle un territorio. Tale occupazione inoltre avrebbe il vantaggio di diminuire la gravità delle ragioni che potrebbero costringere il R. Governo ad operazioni militari le cui conseguenze politiche, sebbene non siano oggi molto temibili, possono tuttavia preoccupare i nostri alleati mentre tali occupaziooni non possono che giovare ai fini pacifici loro, che sono pure i nostri. Il Governo tedesco nell'interesse della solidità della Triplice Alleanza e nello interesse della pace, dovrebbe affrettarsi a rimuovere qualunque eventuale obiezione da parte dell'Austria in proposito2 .

3 Per il seguito cfr. n. 815.

2 Per la risposta cfr. n. 762.

760 2 Parola illeggibile.

761 1 Il T. 498 del 5 aprile ritrasmette il n. 754.

762

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 472/81. Belino, 9 aprile 1912, ore 21,10 (per ore 22,35).

Telegramma di V.E. nn. 521 1 e 5242 . La conversazione di V.E. con Mérey produce a me pure l'impressione che il Gabinetto di Vienna preferisce avere con noi uno scambio diretto di schiarimenti anziché riceverli sotto la forma di consigli di Berlino, che malgrado ogni contraria spiegazione esso comprende essere da noi provocati. Alla stessa conclusione tendevano le cose dettami qui da Szogyeny, che le ho a suo tempo comunicato (al che deve anche aggiungersi che Tschirschky non è forse troppo adatto a trattare col tatto necessario una delicata intromissione di questo genere).

Se si entra in discorso con Vienna e se effettivamente si considera da noi il progetto delle isole, mi sembra che si potrebbe dire che per amichevole deferenza verso l'alleato, e per riguardo ai maggiori pericoli temuti da un'azione contro i Dardanelli, noi siamo disposti rinunziare per ora a questa azione ed a !imitarci a prendere impegno qualche isola più lontana in acque asiatiche.

Ricordo a questo proposito che Szogyeny nell'insistere meco sulla opportunità di un previo accordo in base all'articolo sette, e nel rilevare che questo si riferiva senz'altra distinzione alle isole «dell'Egeo», ammetteva che quelle più al sud, come per esempio Rodi e relativi gruppi, potrebbero forse considerarsi come fuori dell'Egeo. Quando alla abbiezione di Mérey che una nostra occupazione temporanea, potrebbe, nostro malgrado, prolungarsi indefinitamente, mi riferisco alla mia lettera particolare del due corrente3 , nella quale prevedendo appunto quell'osservazione, accennavo alla possibilità di fornire in proposito adeguate guarentigie. A cercare per queste una forma accettabile potrebbe contribuire l'amichevole concorso del Governo tedesco. Quanto a la Germania infatti, come risulta dalle riferite mie conversazioni con Kiderlen-Waechter e Zimmermann, non che dalle istruzioni effettivamente date a Tschirschky credo potermi ripromettere di ottenere tutto l'appoggio desiderabile sull'oggetto e sulla forma che mi sarà da V.E. indicata, quando una decisione sul da farsi sarà positivamente adottata.

762 1 Cfr. n. 761. 2 T. Gab. personale 524 dell'S aprile, non pubblicato.3 Non rinvenuta.

763

IL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DELLA MARINA, TOSTI, AL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, G. DE MARTINO

L. Roma, 9 aprile 1912.

Pregiomi rimettere qui accluso alla S.V. copia del telegramma n. 8476, in data odierna, trasmesso da questo Ministero ali' ammiraglio Re v el a Tobruk, in seguito alle verbali comunicazioni di V.S. et a fonogramma di ieri sera con preghiera di volersi compiacere comunicarlo a S.E. il ministro degli affari esteri.

ALLEGATO

IL MINISTRO DELLA MARINA, LEONARDI CATTOLICA, AL COMANDANTE DELLA II DIVISIONE DELLA II SQUADRA, THAON DI REVEL

T. 8476. Roma, 9 aprile 1912, ore 12.

Confermo disposizioni tassative escludere dal diritto di visita navi battenti bandiera francese.

764

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. RISERVATISSIMO 544. Roma, 10 aprile 1912, ore 20,30.

Prego telegrafarmi se e quali navi da guerra di codesto Stato si trovino attualmente nel Mare Egeo ed in quale località. Avverto che queste indagini debbono farsi da V.E., per via indiretta evitando qualsiasi richiesta diretta di codesta ambasciata e senza che si sappia che muovano da essa 1 .

764 1 Pansa con T. Gab. 503/84 del 13 aprile, riferiva che «Finora si è potuto solo accertare che lo stazionario "Lorelay" è ritornato a Costantinopoli e che l'incrociatore "Kolberg" travasi coll'"Hohenzollem" e la torpediniera "G.. 175"». Con T. Gab. 488/98 dell'Il aprile, non pubblicato, Imperiali riferiva che le navi che avrebbero potuto recarsi nell'Egeo sarebbero state la «Diana» e la «Minerva». Tittoni con T. Gab. 495/169 del 12 aprile, non pubblicato, riferiva che in Oriente si trovavano le seguenti navi: «Henry IV», «Amiral, Channer», che saranno rimpiazzate dal «Jean Bianche» e dal «Dugag Trinin». Della Torretta con T. Gab. segreto 496/88 del 12 aprile, non pubblicato, comunicava che la Russia nel Mediterraneo aveva le seguenti navi: la «Kivenez», !'«Aurora» e la «Lubzniza». Infine Avama riferiva con T. Gab. riservatissimo del 12 aprile, non pubblicato, che nessuna nave da guerra austro-ungarica si trovava nell'Egeo.

765

L'AMBASCIATORE A VIENNA AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 491/95. Vienna, Il aprile 1912, ore 17,15 1.

Telegramma di VE. Gabinetto 526 segreto2 . La formula proposta da Pansa non differisce gran che da quella che mi permisi sottoporre a V.E. con telegramma Gabinetto 78 segreto3 . Entrambe le formule subordinano il riconoscimento da parte degli alleati, dello statu quo in Tripolitania e Cirenaica contemplato dagli articoli 9 e lO del trattato di alleanza, l 'una alla cessazione delle ostilità tra Italia e Turchia, l'altra alla definizione del conflitto in qualunque modo esso avvenga. Alla formola però di Pansa, gli alleati potrebbero obiettare che la cessazione delle ostilità non significa veramente cessazione, bensì sospensione dello stato di guerra tra Italia e Turchia e se, alle Potenze non riuscisse in questo frattempo di stabilire tra i due belligeranti un modus vivendi tale, da far ritenere le ostilità come definitivamente cessate, esse dovrebbero necessariamente essere riprese. Per cui, durante il periodo di tempo che trascorrerebbe tra cessazione delle ostilità e lo stabilimento di quel compromesso, gli alleati non potendosi considerare come spogliati delle loro qualità di Potenze neutrali, non si crederebbero certo autorizzati a sottoscrivere ad una formula con cui addiverrebbero ad un riconoscimento dello statu qua nella Tripolitania e Cirenaica basato sulla legge italiana del 27 febbraio 1912 , il quale sarebbe incompatibile con quelle loro qualità stesse. Tale obiezione non mi sembra potrebbe essere addotta dagli alleati contro la formola da me proposta perché, colla definizione del conflitto tra Italia e Turchia alla quale è subordinato, in quella formola, il riconoscimento dello statu qua in Tripolitania e Cirenaica sulla base della legge italiana del 27 febbraio 1912, verrebbe a cessare in essi i doveri che loro incombono come Potenze neutrali onde non potrebbero più avere motivo plausibile a non sottoscrivere alla formola stessa. Tuttavia alla formala da me proposta si potrebbe osservare che non è da escludersi che il conflitto tra Italia e Turchia non possa essere definito mediante la conclusione della pace o per altra via, ciò che metterebbe gli alleati, per i motivi sopra esposti, nell'impossibilità di procedere al riconoscimento dello statu qua fissato dalla legge italiana suddetta. Per ovviare a ciò, si potrebbe sostituire la frase «definizione del conflitto» colla frase «cessazione dello stato di guerra» contro la quale non mi sembra che gli alleati possano sollevare le obiezioni stesse che avrebbero sollevato contro l'altra frase «cessazione delle ostilità». La nuova formola quindi potrebbe essere redatta nel modo seguente: «Il est bien entendu que le statu qua visé par !es articles neuf et dix du présent traité sera, en ce qui concerne la

765 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo. 2 T. Gab. segreto 526 del 9 aprile, non pubblicato con il quale si comunicava ad Avama la formula proposta da Pansa.

Cfr. n. 750.

802 Tripolitaine et la Cyrena"ique celui qui viendra s'y établir sur la base de la loi italienne du 27 février mille neuf cent douze, après la cessation de l'état de guerre actuellement existant entre l'ltalie et la Turquie».

766

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 7811219. Berlino, 11 aprile 1912 (per. il l 7).

Ho domandato a questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri che cosa vi fosse di vero nelle notizie recentemente pubblicate dai giornali circa una ripresa dei negoziati fra la Turchia e l'Inghilterra per la costruzione del tronco ferroviario al sud di Bagdad fino a Bassorah.

Il dottor Zimmermann mi confermò avere la Turchia proposto una partecipazione distribuita ugualmente, cioè in ragione del 25% per ciascuna, fra la Turchia stessa, la Germania, la Francia e l'Inghilterra, riservandosi la presidenza al rappresentante ottomano.

Questa proposizione, come si vede, arrecherebbe una modificazione alla combinazione in precedenza contemplata, cioè di una partecipazione a cinque, alla quale si sarebbe pure associata la Russia. Non so se la esclusione ora proposta di questa Potenza sia stata ammessa dal Gabinetto di Pietroburgo. Il dottor Zimmermann sembrava ritenere che ciò formasse oggetto di qualche transazione fra esso ed i governanti di Londra e Parigi.

L'Inghilterra infatti, accetterebbe il principio di una combinazione a quattro; ma esigerebbe per sé la presidenza.

Quanto alla Germania, il sottosegretario di Stato mi disse: che il Governo imperiale non si è finora compromesso nè per l'uno nè per l'altro progetto; che esso riserva pur sempre i diritti spettanti alla compagnia concessionaria tedesca sul tronco in questione, per il caso che l'accordo non si stabilisse sulle condizioni della sua eventuale intemazionalizzazione; che queste condizioni devono riuscire di gradimento della Germania e che essa non consentirà a rinunce dei propri interessi, senza adeguate guarentigie e proporzionali corrispettivi; che anche il progetto del 25 per cento con presidenza ottomana non sarebbe accettato senza qualche cautela e tanto meno poi quello della presidenza inglese, che evidentemente richiederebbe debite contro-concessioni da parte dell'Inghilterra. Il mio interlocutore non volle entrare in maggiori particolari. Mi lasciò comprendere però che questa della ferrovia di Bassorah è una delle questioni che formano attualmente oggetto dello scambio d'idee in corso a Londra, per un possibile componimento delle relazioni generali fra i due Paesi.

767

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1580. Roma, 12 aprile 1912, ore 3.

Suo telegramma n. 240 1• Nessuno meglio di V.E. è in grado di conoscere i leali ed amichevoli propositi del R. Governo verso l'Austria. V.E. sa meglio di ogni altro come sin dal primo giorno in cui io assunsi la carica di ministro degli esteri, mi proposi come uno dei fini principali della politica italiana quello di stringere sempre più gli amichevoli rapporti coll'Austria. Sono convinto che la nostra conquista della Libia contribuirà molto a questo risultato. Non esiste alcun accordo speciale colla Russia. Non credo si siano mai scambiate idee con essa sull'Austria. Se ne sono scambiate in passato, ma non recentemente né durante la guerra attuale sulla questione balcanica, ma sempre collo scopo esclusivo del mantenimento dello statu quo territoriale. Non è men vero però e credo non vi sia motivo di dissimularlo a codesto Governo che il contegno amichevole della Russia in questa grande prova nazionale è stato ed è molto apprezzato in Italia dal Paese e dal Governo e non può non influire durevolmente sui reciproci rapporti. Lo stesso è avvenuto, sta avvenendo ed avverrà nei rapporti tra Italia ed Austria in seguito a quanto il pubblico conosce, ed a quanto speriamo che si vedrà dell'attitudine dell'Austria verso di noi, con la considerazione in più che il nuovo assetto ed equilibrio del Mediterraneo crea tra Italia ed Austria una solidarietà d'interessi permanenti che mi pare si capisca sempre più in entrambi i Paesi. È superfluo aggiungere che VE. può servirsi di queste considerazioni nelle sue conversazioni con codesti circoli politici ed ove lo creda opportuno con Berchtold.

768

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. URGENTE 556. Roma, 12 aprile 1912, ore 19,50.

Personale di S.E. il ministro.

Per ragioni militari e politiche non possiamo più differire le nostre operazioni nell'Egeo ed è perciò necessario ed urgente che V.E. lo faccia subito sapere a Berchtold, informandolo di ciò a viva voce, e uniformando il suo linguaggio allo spirito ed ai criteri generali, ai quali, secondo i miei telegrammi Gabinetto nn. 524 1 e 5322 , pare disposto ad ispirarsi il Governo austro-ungarico.

A me pare che il linguaggio che, almeno nel primo colloquio con Berchtold,

V.E. dovrebbe tenere, dovrebbe essere quello che qui sotto le suggerisco. Se V.E. divide la mia opinione, pregola parlare subito con Berchtold: se V.E. crede che il linguaggio da me suggerito debba essere modificato, pregola telegrafarmi subito le modificazioni che propone, e le ragioni per cui le propone.

Il mio telegramma n. 536 segreto3 ed altri, nonché quelli di V.E. contengono argomenti convincenti in sostegno della nostra interpretazione dell'articolo 7.

V.E. può giudicare se sia necessaria tale discussione interpretativa, o se basterà attenersi presso a poco alle dichiarazioni seguenti: L'Italia, nello interesse stesso della pace, non può più differire le operazioni militari nello Egeo ed altrove, che hanno per unico scopo di affrettare e facilitare la pace.

Non soltanto a cagione dei suoi impegni con l'Austria-Ungheria, derivanti dal trattato e dagli accordi speciali, ma anche per la perfetta concordanza di interessi permanenti e di fini politici nei Balcani tra le due Potenze alleate ed amiche, che mirano entrambe al mantenimento dello statu quo territoriale in quella penisola, l 'Italia si propone di condurre le operazioni militari con tutte le cautele necessarie, per evitare che, per la coincidenza del luogo, del tempo e della situazione politica in cui venissero compiute, ne possano derivare alterazioni dello statu quo territoriale balcanico, le quali comprometterebbero interessi identici dell'Austria-Ungheria e deII'Italia.

Se qualcuna di tali operazioni dovrà essere l'occupazione temporanea di alcune isole, preferibilmente asiatiche, l'Italia assume verso l'Austria-Ungheria l'impegno di restituirle alla Turchia alla cessazione delle ostilità, purché tale impegno rimanga segreto, diversamente l'occupazione non raggiungerebbe il suo scopo, che è soltanto quello di affrettare e facilitare la pace, appunto perché metterebbe l'Italia in grado di avere qualche cosa da restituire alla Turchia.

Aggiungo per uso personale di V.E. che, per evitare deplorevoli malintesi, è necessario che V.E. veda subito Berchtold, e gli dica francamente che le operazioni che si potranno iniziare prima della sua risposta, saranno di quelle alle quali è prevedibile che l'Austria non abbia motivo di sollevare obbiezioni.

Pregola perciò metterlo in guardia contro le false notizie che potranno circolare in proposito poiché io comunicherò sempre senza indugio a V.E. le notizie vere.

2 T. Gab. personale 532 del 9 aprile, non pubblicato.

3 T. Gab. segreto 536 del l O aprile, non pubblicato.

767 1 Con T. 2372/240 dell'Il aprile, non pubblicato, A varna riferiva sull'articolo del Novoie Vremia circa un preteso accordo i taio-russo riguardante la questione balcanica ed in particolare l'Albania. La notizia fu poi smentita. Nei circoli politici austriaci la simpatia esistente tra Italia e Russia forma oggetto di svariati commenti.

768 1 T. Gab. personale 524 deii'S aprile, non pubblicato.

769

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 500/10 l. Londra, 12 aprile 1912, ore 23,20 (per. ore l del 13).

Grey, parlandomi oggi della proposta russa, alla quale mi ha detto avere aderito, non mi ha nascosto scetticismo sui risultati. Io gli ho risposto nei termini più volte adoperati con lui e Nicolson, chiaramente significandogli che a persuadere con dovuti mezzi Turchia, provvederemo noi. Gli ho ripetuto pure che, a parte questione annessione, sulla quale mai potremmo transigere, Potenze ci troveranno sempre accomodanti se si tratterà di trovare formola per salvare faccia Turchia. Lasciando da parte argomento della guerra che farà suo corso, gli ho detto che tra i motivi che mi rendevano gradita prossima gita in Italia uno dei principali era quello di potermi adoperare personalmente a rimuovere del tutto quel residuo d'impressione di sgradita sorpresa indubbiamente prodotta in Italia dal contegno piuttosto freddo per non dire peggio di una parte opinione pubblica inglese; contegno che se avesse perdurato avrebbe finito per avere perniciosa influenza sulla cinquantenaria amicizia non solo dei due Governi ma anche dei due popoli. Premesso che trovava molto migliorato linguaggio giornali inglesi a nostro riguardo, Grey ha detto che potevo senza esitazione assicurare a V.E. che la guerra non ha in alcun modo alterata tradizionale amicizia inglese per l'Italia che le notizie da me avantieri, segnalate a Nicolson sul preteso accordo anglo-turco erano maligne e stupide invenzioni che ugualmente perfidi erano stati tentativi dei giornali austro-germanici di far credere in Italia ad intenzioni poco amichevoli della Inghilterra a proposito della pretesa iniziativa per impedire nostra azione Dardanelli. Preoccupato, come era naturale per danni che al commercio inglese poteva derivare dallo sbarramento completo Dardanelli minacciato dai turchi, egli aveva solo cercato trovare il modo di impedire effettuazione siffatto provvedimento che avrebbe paralizzato commercio. Tuttavia non appena aveva saputo da V.E. e da me che noi, pur non prendendo impegni per l'avvenire, non avevamo per il momento alcun desiderio di iniziare azione Dardanelli, si era affrettato far cadere la cosa senza dare alcun affidamento alla Turchia. Ringraziato Grey delle sue amichevoli dichiarazioni, che non dubitavo sarebbero con piacere accolte da V.E. gli ho ripetuto che noi non chiediamo all'Inghilterra o ad altre Potenze assolutamente nulla, all'infuori del rispetto scrupoloso della neutralità se per porre termine ad una guerra che non può prolungarsi all'infinito ci vedremo costretti estendere nostra azione navale in altri punti. «Su questo punto», ha replicato Grey, «non posso che confermarvi quanto vi dissi precedentemente. Certamente noi non abbiamo alcuna intenzione uscire dalla neutralità ma io non posso prendere un impegno assoluto perché è mio dovere di preoccuparmi dell'eventulità di una lesione interessi inglesi». Chiestogli se poteva precisare natura tali interessi, ha risposto essi essere puramente commerciali.

770

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE E CONSOLARI

D. CIRCOLARE. Roma, 12 aprile 1912.

Perchè possa valersene nei modi e nei casi che riterrà più opportuni, le comunico le seguenti informazioni avute da buona fonte sulle attuali condizioni economiche della Turchia.

Prima della guerra italo-turca, quasi tutte le provincie dell'Impero ottomano, e specialmente la Macedonia e l'Albania, attraversavano già un'intensa crisi commerciale dovuta all'epidemia colerica, che da diversi mesi faceva strage, ed ai soliti disordini di carattere politico, ai quali l'anno scorso si era aggiunta l'insurrezione dei malissori in Albania.

È noto che, data la mancanza d'industrie in Turchia, i commercianti delle grandi città ottomane, come Costantinopoli, Salonicco, Smirne, Adrianopoli, Scutari, Janina, Beirut, eccetera fanno abitualmente i loro acquisti nei centri industriali europei, per poi rivendere la stessa merce a prezzi naturalmente più elevati ai negozianti delle piazze secondarie, che, salvo rare eccezioni, non hanno relazioni dirette coi produttori europei.

All'inizio delle ostilità, il commercio fra le principali piazze e quelle secondarie dell'interno del Paese trovavasi quasi paralizzato per le suesposte ragioni. Numerosi grossisti si lamentavano di non potere da qualche tempo, né incassare regolarmente i loro crediti, né effettuare nuove vendite, e, vedendo che i loro depositi rimanevano ricolmi, esitavano per misura di prudenza, a commettere nuove ordinazioni in Europa.

All'inizio della guerra la situazione commerciale e finanziaria, già assai grave, divenne critica, a tal punto che diverse spedizioni di merci dall'estero furono sospese, parte dietro richiesta delle stesse case committenti e parte per la prudenza dei fabbricanti, che chiedevano il pagamento anticipato, senza contare poi le ordinazioni in corso d'esecuzione presso le case italiane, le quali vennero tutte annullate in seguito all'aumento del dazio doganale al l 00 per cento per tutti i prodotti italiani eccettuato lo zolfo.

Attualmente tutto il Paese e specialmente le piazze dell'interno versano nelle più tristi condizioni: la miseria, i disordini di carattere nazionale, le lotte fra partiti politici e diverse epidemie devastano la Turchia. Numerose famiglie non musulmane, in vista della sempre probabile eventualità di vedere chiamato sotto le armi qualcuno dei loro, debbono pure pensare a procurarsi la somma di almeno cinquanta lire turche (fr. 1150) per il pagamento della tassa di esonerazione militare; e diversi piccoli commercianti e agricoltori, non potendo tenere tale somma permanentemente disponibile, preferiscono realizzare quanto possono e riparano all'estero abbandonando famiglia ed affari, ciò che contribuisce ad aggravare maggiormente le condizioni generali del Paese.

Nonostante tali critiche condizioni delle popolazioni, queste, oltre al regolare pagamento delle varie tasse, quasi sempre stabilite, specialmente quando trattasi di non musulmani, in modo illegale ed arbitrario, vengono continuamente sottoposte a diverse contribuzioni per le numerose sottoscrizioni nazionali ordinate dal Governo e dal Comitato Unione e Progresso, come quelle per la flotta, per la difesa della Tripolitania, per l'acquisto di areoplani, per la costruzione di strade, per l'impianto di telefoni, alle quali non è possibile sottrarsi senza incorrere in aperte rappresaglie da parte di zelanti funzionari governativi. Le sottoscrizioni, come quelle ad esempio per la difesa della Tripolitania, vengono spesso ripetute, e le stesse persone sono tenute ad obbedire tutte le volte che vengono invitate a contribuirvi.

Tali sono attualmente le condizioni del commercio e lo stato delle popolazioni in Turchia, mentre la situazione del tesoro turco, che è già rovinosa, tende ogni giorno di più a peggiorare in seguito alla miseria che regna nel Paese ed alle considerevoli spese, richieste dalla resistenza in Tripolitania. Le sottoscrizioni aperte in tutta la Turchia ed in tutto il mondo musulmano non possono assolutamente bastare a coprire nemmeno una piccola parte delle spese che al Governo ottomano costa la guerra di Libia. Tenendo poi conto della crisi commerciale e finanziaria e della conseguente diminuzione delle risorse dello Stato, specialmente degl'introiti doganali, che ora raggiungono appena il 60/65 per cento degli incassi medi dei mesi corrispondenti dell'anno scorso, si avrà una idea delle vere condizioni del tesoro ottomano.

Per quanto riguarda il commercio con l'Italia, è già noto che l'esportazione per la Turchia era, prima della guerra, di notevole importanza. Fra i numerosi articoli che i produttori e gli esportatori nazionali fornivano ai mercati turchi si possono citare i tessuti (greggi, tinti e stampati) e filati di cotone, i tessuti e filati di lana, di seta, di juta e di canapa, maglierie e calze, farine, caffè, pepe, riso, patate, castagne, agrumi, paste e conserve alimentari, candele, sapone, olio d'oliva, olì minerali, piombo, pallini da caccia, punte di Parigi, cuoi e pellame, zolfo, fiammiferi, bottiglie vuote, prodotti chimici e farmaceutici, acque minerali, marmi, mobili, spaghi e cordame, carta da scrivere, da sigarette e da imballo, registri, eccetera.

Tutti questi articoli, benché in minori proporzioni, vengono ora importati dagli altri Paesi che possono fornirli, ma con poca soddisfazione delle ditte importatrici, le quali avevano da molti anni stabilito diversi tipi di merce italiana, che ora dovrebbero sostituire con altri più cari e non conosciuti dal consumatore. Per cui i commercianti in Turchia attendono con viva impazienza la fine delle ostilità per avere il modo di riprendere i loro rapporti d'affari coi produttori ed esportatori italiani.

In Turchia le case commerciali turche rappresentano una piccola minoranza, mentre tutto il movimento degli affari trovasi nelle mani di altri elementi, i quali, compresi gli arabi mussulmani di Siria e Palestina, non potranno avere interesse ad ostacolare, a guerra finita, la ripresa del lavoro con l 'Italia; la minaccia quindi di un lungo boicottaggio, anche dopo la conclusione della pace, non deve essere presa in considerazione.

È piuttosto da prevedere che, non, appena sarà annunciata la fine delle ostilità, le fabbriche italiane saranno affollate di richieste. I nostri esportatori però dovrebbero sottomettere a un nuovo controllo la moralità e la situazione finanziaria, non soltanto dei nuovi, ma pure dei vecchi clienti, visto che in questi ultimi sei mesi parecchie case, considerate come serie e solvibili, si trovarono costrette a sospendere i pagamenti in seguito all'intensità della crisi; ed altre, pure note come buone firme, approfittarono dello stato di guerra fra l'Italia e la Turchia per non rispettare gl'impegni assunti verso case italiane, facendo assegnamento sulle ostilità verso di noi dei tribunali ottomani.

771

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

D. S.N. Roma. 15 aprile 1912.

Ho fatto rimettere personalmente ieri a questo ambasciatore di Austria-Ungheria, e oggi a questo ambasciatore di Germania -tornato stanotte a Roma dopo una breve assenza -il memoriale che riassume le considerazioni del R. Governo circa la formala proposta dai Governi alleati per il protocollo addizionale relativo agli articoli 9 e l O del trattato della Triplice Alleanza. Qui unito mi pregio trasmettere una copia di questo documento 1•

Come V.E. ne rileverà, in esso è stato tenuto conto di talune delle osservazioni e suggestioni da lei fatte in recenti telegrammi e lettere particolari. Di tutte non è stato possibile: e specialmente, per motivi di varia natura, alcuni dei quali si riferiscono anche alla politica interna del paese, si è creduto di dover mantenere intatta la formula primitivamente da noi progettata per quel protocollo addizionale. Ben inteso, però, come viene esplicitamente dichiarato nel memoriale, ciò non esclude la possibilità di ulteriori discussioni in proposito con i Governi alleati.

Nel pregare V.E. di volere segnarmi ricevuta telegraficamente del presente

lllVIO, ...

ALLEGATO

PROMEMORIA.

Les Gouvernements d'Italie, d'Allemagne et d'Autriche -Hongrie ayant décidé de renouveler le plus tot possible le traité de la Triple Alliance, au cours des pourparlers qui ont été entamés à cet effet, !es ambassadeurs d' Allemagne et d'Autriche-Hongrie ont bien voulu, au nom de leurs Gouvernements respectif, présenter au Gouvernement italien le project d'une formule à insérer dans un protocole additionnel, concernant !es arti cles 9 et l O de cet acte international.

Le Gouvernement royal a déya eu l'occasion d'exposer !es motifs pour lesquels, au lieu de la signature d'un protocole additionel, il lui eùt paru préférable de donner aux susdits arti cles 9 et l O une rédaction différente, répondant plus exactement aux altérations subies par l'état de choses qui y est visé. Tout en croyant fondée cette préference, le Gouvemement royal est cependant disposé à examiner dans l'esprit le plus amicai toute autre solution proposée par !es Gouvernements alliés; il a donc soumis à une étude approfondie la formule dont il a été dernièrement saisì et qui est ainsi conçue: «Ii est entendu que le statu-quo visé

par !es artici es 9 et l O du présent traité serait, pour la Tripolitaine et la Cyrénalque, ce lui existant à la date de l'entré en vigueur du traité».

Le Gouvemement royal a du constater tout d'abord que la situation actuelle de l'Italie, en ce qui concerne la Tripolitaine et la Cyrénalque, dans ses rapports avec !es autres Puissances, est de nature à rendre très difficile la rédaction d'une formule pouvant répondre aux objections éventuelles de chacune des trois parties contractantes. Le décret royal du 5 novembre 1911, devenu depuis una loi de I'Etat italien, ne saurait permettre au Gouvemement Royal de souscrire à une stipulation concemant la Tripolitaine et la Cyrénalque et faisant abstraction du principe, solennellement proclamé, de la souvraineté de l'Italie sur !es dites provinces.

Le Gouvemement royal a la ferme confiance que des changements se produiront bientòt dans la situation de fait des deux provinces africaines, lesquels rendront plus facile aux Gouvemements alliés l'acceptation d'une formule repondant aux interets de l'ltalie, et aux buts que l'Italie est irrévocablement décidéee à atteindre à tout prix. Il est cependant possible que, au cours des événements, la situation de fait des deux provinces ne soit pas encore entièrement conforme -à la date de l'entrée en viguer du nouveau traité -à ces interèts et à ces buts de I'Italie. Cette situation, tout en étant d'une nature essentiellement transitoire, recevrait dès lors une sanction définitive par la formule insérée dans le protocole additionnel. C'est là une éventualité qu'il importe d'éviter.

C'est pour ces motif que le Gouvemement royal croit dévoir soumettre à la haute appreciation des Gouvemements alliés, pour la formule en question, le texte suivant:

«Il est entendu que le statu-quo visé per !es arti cles 9 et l O du présent traité, en ce qui concerne la Tripolitaine et la Cyrénalque, est celui qui a été créé par la loi du Royame du 27 février 1912, étendant la souveranité de l 'Italie sur !es deux provinces».

Le Gouvemement royal est convaincu que par l'adoption d'une rédaction comme celle ci-dessus, il lui sera plus facile d'atteindre ce qui a été constamment et demeure toujours un des buts essentiel de sa politique. L'Italie attache le plus grand prix à pouvoir suivre sans interruptions et sans réserves, dans toutes !es questions intemationales et aussi dans !es questions se rapportant à la Méditerranée, une ligne de conduite en parfaite harmonie avec celle qui serait suivie par ses alliés, et de nature à écarter la possibilité de tout malentendu et de tout désaccord avec eux. Ce résultat ne saurait etre obtenu que par la création d'un état de choses assurant une protection efficace à la situation nouvellement établie par I'Italie dans le bassin de la Méditerranée : et la consécration d'une semblable protection dans un traité doit contribuer puissamment à consolider la Triple Alliance et rendre plus intimes !es rapports entre !es trois Pays alliés.

Pòur prévenir l'objection éventuelle que l'adoption de la formule proposée ci-dessus, impliquant de la part des Gouvemements de l'Allemagne et de l'Autriche-Hongrie la reconnaissance de la souveranité de I'Italie sur la Lybie, serait en contradiction avec !es dévoirs de la neutralité pendant la guerre actuelle, le Gouvemement royal se bome à faire remarquer que, le texte du noveau traité devant demeurer absolument secret, la formule dont il s'agit ne serait jamais rendue publique et qu'elle ne pourrait produire ses effets visibles que le jour où !es deux Puissances auraient procédé à un acte ultérieur affirmant leur volonté dans ce sens.

On pourrait repliquer, il est vrai, en alléguant la difficulté de maintenir le secret absolu au sujet de cet acte intemational. Le Gouvemement royal a la confiance que ce secret continucra à etre respecté comme il l'a été jusqu'ici, mais il se permet d'observer que !es inconvénients dérivant d'une divulgation éventuelle seraient beaucoup plus considérables si l'on adoptait la formule proposéc par l es Gouvemements alliés. Par so n acceptation, le Gouvemement royal se mettrait cn contradiction avec une loi votée par le Parlement italien et avec le sentiment unanime du pays et surtout il mettrait la Couronne, qui a apposé à cettc loi son auguste signature, dans une situation difficile vis-à-vis du Parlement et du pays; situations dont !es éléments hostiles au principe monarchique ne manqueraient pas de profiter d'autant plus qu'il s'agit d'une loi d'une importance absolument exceptionnelle au point de vue national et qui a été votée à l'unanimité par le Sénat et par tous !es partis monarchiques de la Chambre des députés. Un pareil contraste entre la volonté nationale et !es dispositions d'une convention intemationale, ne pourrait qu'influer aussi d'une manière défavorable sur !es sentiments du pays à l'égard du traité: tandis qu'il est de la plus haute importance que la Triple Alliance soit toujours plus profondement sentie et appréciée par le pays tout entier et que !es progrès considérables qui ont été heureusement réalisés dans ce sens, non seulement ne soient pas compromis, mais qu'il soient, par contre, consolidés et développés. Il faut ajouter que si, dans ses rapports avec !es Puissances alliées, l'Italie adhérait à passer outre à la loi proclamant sa souveraineté sur la Lybie et à régler ses relations intemationales au sujet de la Lybie comme si la dite loi n'existait pas, elle affaiblirait considérablement sa situation dans ses rapports avec !es autres Puissances non alliées, qui pourraient à plus forte raison demander aussi à rouvrir la discussion sur un point qui doit demeurer irrévocablement acquis: la souveraineté de I'Italie sur la Tripolitaine et la Cyréna!que. Aucune Puissance ne meconnaìt aujourd'hui qu'il est impossible à l'ltalie de déroger sous aucune forme au principe sanctionné parla loi du 27 février 1912: cette situation serait dangereusement atteinte par une convention intemationale mentionnant la Lybie sans reconnaìtre la souveraineté de l'ltalie.

Le Gouvemement royal a cru dévoir soumettre aux Gouvemements de l' Allemagne et de l'Autriche-Hongrie !es considérations qui précèdent, tout en se déclarant disposé à prendre en examen avec le plus vif désir d'une solution satisfaisante pour !es trois Puissances alliées, !es nouvelles propositions qui lui seraient comuniquées de leur part.

Le Gouvemement royal croit, finalement, devoir appeler l'attention des Gouvemements alliée sur l'opportunité de stipuler un protocole additionnel au nouveau traité de la Triple Alliance contenant !es accords secrets spéciaux existant actuellement entre l'ltalie et l'Autriche-Hongrie, et dont communication a été donnée, en son temps, au Gouvemement allemand, à savoir: l) l'accord concemant l'Albanie, consigné dans l'échange de notes Visconti Venosta -Goluchowski du 20 dicembre 1900-9 février 1901; 2) l'accord concemant le Sandjak de Novi-Bazar et l'interpretation de l'article 7 du traité, consigné dans l'échange de notes Guicciardini -Liitzov du 19 decembre 1909.

Le Gouvemement royal prie !es Gouvemements d'Allemagne et d'Autriche-Hongrie de lui faire connaìtre leur manière de voir à ce sujet.

771 1 Ed. in OeUa, vol. IV, n. 3437 e in GP, vol. XXX/II, n. 11265.

772

IL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, ORSINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 598/120. Budapest, 15 aprile 1912 (per. il 19).

Già altre volte nel corso dei mesi passati ho avuto occasione di accennare alle non floride condizioni di questo mercato finanziario. Queste condizioni invece di migliorare sono venute peggiorando così ché la gente d'affari sta passando presentemente in Budapest un quarto d'ora assai critico. La ragione immediata di questo stato di cose è la mancanza di denaro liquido, che già cominciò a farsi sentire nell'autunno scorso e che pesa non solo sulle imprese commerciali, ma anche sulla industria e sui piccoli e medi istituti bancari. Come facilmente può comprendersi data la tendenza naturale ad ascrivere ad azioni d'altri quello che spesso non è che conseguenza di una colpa o errore proprio. Il ritornello che si ascolta nei circoli finanziari, è che: la causa originaria di questa penuria di denaro è la guerra italaturca, la quale in considerazione dei pericoli europei che in sé cela ha provocato da parte della Francia il sollecito ritiro di molti milioni (circa 300) di capitali francesi investiti in titoli ipotecari e in azioni di società ungheresi. Ad un più attento e disinteressato esame questa spiegazione del male presente apparirà soltanto in parte giusta. La causa del male è invero il ritiro da questo mercato di molti milioni di capitali francesi. Ma questo ritiro era già anticipato molto prima dello scoppio della guerra italo-turca. Questo conflitto ha affrettato il movimento, ma esso venne originato da considerazioni politiche e da considerazioni d'interesse pratico. Sulle prime non è il caso di spendere molte parole, ancora è vivo il ricordo della polemica sorta al momento dell'ultimo imprestito ungherese conchiuso con l'aiuto della Germania, dopo il rifiuto incontrato a Parigi. Le seconde sono consigliate dal fatto che qui da qualche anno imperversa una pericolosa speculazione su tutti i titoli e si nota una certa tendenza a conchiudere affari superiori alle forze di cui questo mercato finanziario dispone. Ciò è confermato dall'allarme gettato ultimamente dal signor Pranger, segretario generale della Banca austro-ungarica, con il quale fa presente i pericoli che derivano da un'esagerata speculazione.

773

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE 579. Roma, 16 aprile 1912, ore 19,50.

Suo telegramma, Gabinetto n. l 03 1•

A me pare che V.E. dovrebbe dire a Berchtold che per debito di lealtà noi ripetiamo che non abbiamo mai accettato né accettiamo la interpretazione data da Aehrenthal, ed in parte da lui mantenuta, all'articolo 7, e che perciò noi non intendiamo affatto di prendere impegno di limitare per tutta la durata della guerra le nostre operazioni militari in conformità a quella interpretazione, visto anche che l'interesse ed il fine identici dell'Austria e dell'Italia, di mantenere lo statu quo territoriale balcanico, non sarebbero punto messi in pericolo dalle operazioni, di cui egli teme tanto le conseguenze.

Tuttavia per amicizia verso l'Austria-Ungheria e per non procurare a Berchtold personalmente difficoltà d'ordine interno, noi abbiamo dato per ora istruzioni alla flotta di non compiere operazioni, che abbiano per iscopo di attaccare coste ed isole europee.

Per procedere con molta prudenza e per i fini anzidetti, occuperemo prima di ogni altro le isole indicate dallo stesso Berchtold. Se ciò non raggiungerà lo scopo di indurre la Turchia a cedere, avremo con codesto Governo ulteriori conversazioni amichevoli.

Sarebbe opportuno che VE., nel corso della conversazione, accennasse alla intensificazione, per effetto della migliorata stagione, del contrabbando di guerra di tutti i porti asiatici ed europei dell'Egeo verso la Libia e alla necessità per noi di reprimerlo nell'Egeo stesso, che è più stretto, anziché lungo la estesa costa africana, in gran parte inaccessibile alle navi di pescagione non piccolissime. Ciò risponde al consiglio più volte datoci dall'Austria di intensificare la guerra in Libia, il che non può farsi con successo senza reprimere efficacemente il contrabbando.

Quanto ai maggiori schiarimenti che Berchtold le ha chiesto circa il nostro impegno che l'eventuale nostre occupazioni di isole saranno temporanee, a me pare che tale nostra esplicita ed impegnativa assicurazione, ed il nostro evidente interesse, dovrebbero parere sufficienti, ma se Berchtold desidera maggiori schiarimenti, voglia pregarlo di formulare in modo concreto il suo pensiero, e noi saremo pronti a rispondere con quello spirito di reciproca amicizia, fiducia e lealtà, al quale vogliamo che sempre più si ispirino i reciproci rapporti.

Se S.E. crede opportuno alcune modificazioni alle istruzioni contenute in questo telegramma, pregola telegrafarmele indicandomene le ragioni prima di parlarne a Berchtold2 .

773 1 Con T. Gab. segreto 519/103 del 15 aprile, non pubblicato, A varna riferiva la sua conversazione con Berchtold sulle eventuali operazioni italiane nell'Egeo.

774

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2485/254. Vienna, 16 aprile 1912, ore 20,50 (per. ore 23,15).

Telegramma di VE. n. 16191 . Abolizione carica aggiunto civile in Bosnia-Erzegovina ed accentramento di tutti i poteri politici-amministrativi e militari nelle mani del governatore generale sarebbe innanzi tutto da attribuire volontà personale generale Potiorek, che contrariamente ai suoi precedenti ha desiderato avere veri e propri poteri supremi in tutti i campi di azione nelle due provincie annesse. In Bosnia-Erzegovina, specie fra i mussulmani esiste convinzione che soltanto i militari possiedano energia necessaria per fare prosperare rapidamente paese. Naturalmente adottando provvedimento suddetto il Governo non deve aver ceduto solo a considerazioni amministrative locali ma deve avere pure tenuto conto delle grandi utilità che avrebbe avuto accentramento di ogni attribuzione nelle mani del capo militare delle due provincie, tenuto conto delle speciali condizioni militari della Bosnia-Erzegovina.

Tutto induce a ritenere che Austria-Ungheria sebbene non abbia mire imminenti di espansione crede suo dovere di essere pronta di fronte agli avvenimenti che

813 potrebbero prodursi nei Balcani per tutelare al caso i suoi interessi in quelle regioni. Nulla però porta a credere che attuale provvedimento debba considerarsi come indizio di operazioni imminenti o anche semplicemente di un cambiamento nell'attitudine sia militare che politica dell'Austria-Ungheria e Bosnia-Erzegovina.

Circa voci richiamo classi in Dalmazia, addetto militare mi riferisce essere giunta al suo orecchio notizia analoga anche per quanto riguarda Slavonia. Egli si riserva indagare attendibilità voci suddette. Osserva però finora che a partire dal 15 aprile sono chiamati sotto le armi in parecchi corpi di esercito, compreso quello di Ragusa, parte dei militari in congedo e della riserva di complemento pel periodo annuale di istruzione normale prescritto. Ritiene perciò che voci suddette siano state motivate da tale provvedimento del tutto normale.

773 2 Per la risposta cfr. n. 775.

774 1 Con. T. 1619 del 13 aprile, non pubblicato, di San Giuliano voleva conoscere l'opinione di Avama sull'accentramento di tutti i poteri del Governo della Bosnia-Erzegovina nelle mani del governatore generale Potiorek.

775

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 538/105. Vienna, 17 aprile 1912, ore 11,50 (per. ore 1,10 del 18).

Telegramma di VE. Gabinetto 579 1• Ho fatto oggi conoscere al conte di Berchtold in via confidenziale ed amichevole che noi non avevamo mai accettato né accettiamo l'interpretazione data da Aehrenthal ed in parte da lui mantenuta all'articolo 7 del trattato di alleanza e che non intendevamo affatto prendere impegni di limitare per tutta la durata della guerra nostre operazioni militari in conformità quella interpretazione. A questo proposito ho creduto ricordargli che in occasione della proposta del R. Governo relativa alla neutralizzazione parziale dell'Adriatico e dello Jonio io aveva dichiarato ad Aehrenthal che noi ci riservavamo piena ed intera libertà d'azione pel restante del mare e territori ottomani che di tale dichiarazione era fatto cenno nella notizia confidenziale da me rimessagli il 12 ottobre scorso 2 in cui si formulava la proposta stessa e che contro quella dichiarazione egli non aveva sollevato allora alcuna obiezione. Ho informato anche Berchtold che per amicizia per Austria-Ungheria e per non creargli personalmente difficoltà di ordine interno erano state per ora impartite istruzioni alla nostra flotta di non compiere operazioni intese ad attaccare coste ed isole europee ottomane e di occupare prima di ogni altro le isole indicate da lui stesso. Ma se ciò non raggiungesse lo scopo di indurre Turchia a cedere, VE. si riservava tenere col Governo imperiale e reale ulteriori amichevoli conversazioni.

Non ho mancato far cenno Berchtold di quanto VE. mi riferisce che io gli aveva già fatto rilevare nel precedente colloquio circa necessità in cui eravamo per ragioni indicate di reprimere nell'Egeo stesso contrabbando di guerra da porti asiatici ed europei dell'Egeo verso Libia comunicandogli in pari tempo le sue osservazioni

775 1 Cfr. n. 773. 2 Cfr. n. 345, nota 4.

in ordine agli schiarimenti da lui chiesti relativi all'impegno da assumersi da noi per eventuali nostre occupazioni di isole. Berchtold nel pregarmi di ringraziare V.E. per comunicazione amichevole fattagli ha aggiunto che era bene inteso che data la qualità dell'Austria-Ungheria di Potenza neutrale nostra conversazione era da considerarsi d'indole del tutto confidenziale e non impegnativa. Ho risposto che tale era pur significato delle conversazioni che V.E. mi aveva incaricato tener con lui. Proseguendo Berchtold mi ha detto che non era da escludere che nelle Delegazioni avrebbero potuto essergli rivolte delle interrogazioni circa nostre eventuali occupazioni delle isole da lui indicate e che sarebbe stato opportuno che in tal caso egli avesse potuto affermare aver il R. Governo assunto che tale occupazione non era che temporanea ed ha espresso quindi desiderio essere messo in grado fare all'evenienza una simile dichiarazione. Ho risposto che avrei comunicato desiderio suo a V.E. ma che doveva ricordargli quanto aveva detto nel precedente colloquio cioè che R. Governo era disposto prendere impegno suddetto verso Austria-Ungheria purché rimanesse segreto, diversamente occupazione non raggiungerebbe scopo che è solo quello affrettare e facilitare pace, appunto perché metterebbe Italia in grado di aver qualche cosa da restituire alla Turchia. Infine Berchtold mi ha pregato di chiamare in via confidenziale l'attenzione di V.E. sulla opportunità che vi sarebbe per noi di non effettuare eventuali operazioni contro isole di cui si tratta durante che sono in corso i negoziati tra Potenze e Sublime Porta per noto passo fatto ieri Costantinopoli. Tali operazioni fossero state eseguite nel frattempo esse avrebbero potuto indisporre Governo ottomano e modificare disposizioni che sembrerebbe avere e su cui riferisco con altro mio telegramma Gabinetto n. 1063 .

776

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 881/298. Il Cairo, 17 aprile 1912 1.

Da qualche tempo ha fatto ritorno in Egitto Abd el Aziz Musbasci, che per incarico di questa r. agenzia si era recato in Cirenaica allo scopo di adoperarvisi per indurre le tribù cui è legato da parentela a staccarsi da coloro che ci combattono ed accettare la nostra dominazione.

La missione non ha avuto l'effetto desiderato perché l'Abd el Aziz divenne sospetto ai comandanti turchi, in seguito a delazioni, e fu tenuto pressoché prigioniero da Enver bey. I particolari del viaggio sono contenuti nella relazione che accludo2 , ed il fatto stesso che il nostro messo non si è punto vantato in essa di

776 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 Non si pubblica.

aver ottenuti ipotetici successi può tenersi come una prova della sincerità delle di lui parole. Del resto era noto in Egitto che le sue intenzioni erano state scoperte; vari giornali ne hanno parlato, arrivando anzi al punto di riferire fosse stato ucciso.

L' Abd el Aziz asserisce di aver fatto quanto ha potuto e che le sue parole avrebbero avuto per effetto di impressionare assai gli arabi che potè avvicinare prima di giungere al campo situato avanti a Derna, ove Enver bey gli impedì ogni relazione coi suoi parenti. È fuor di dubbio ch'egli si sia recato sul posto e non può farglisi colpa se, per salvare la propria vita, ha stimato più prudente di mantenere il massimo riserbo.

Egli intanto mi ha chiesto un compenso, ed altrettanto fece l'Abaza bey che ce lo ha presentato. Ritengo da quanto han detto che con tre o quattromila franchi potrebbero accontentarsi tutti e due. Ho loro risposto che dato il poco successo avuto dalla missione non potevo impegnarmi di ottenere alcun compenso da R. Governo, ma si tratta di persone che a quanto sembra ci hanno servito fedelmente. L' Adb el Aziz in special modo ha arrischiato assai: egli ora non potrebbe più pensare di far ritorno in Cirenaica finché vi fossero dei turchi, ma si è offerto in avvenire, qualora lo si desideri, di recarsi a Derna per via mare e contribuire per avvicinare a noi con sincerità e fiducia le tribù dei dintorni.

Questo dovrebbe farsi naturalmente a pace conclusa e poiché ritengo che allora gioverà valerci di simili intermediari, come han fatto con tanto successo gli inglesi nel Sudan, riterrei fosse il caso di non scontentare né l' Abd el Aziz né il suo parente Abaza.

Attenderò pertanto le istruzioni di V.E. per la risposta definitiva da darsi ai due.

775 3 T. Gab. segreto n. 535/106 del 17 aprile, non pubblicato. Per la risposta cfr. n. 777.

777

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE 600. Roma, 18 aprile 1912, ore 18.

Suo telegramma Gabinetto n. l 05 1•

Mi ha fatto ottima impressione il carattere veramente amichevole e di reciproca fiducia, che ha avuto il suo colloquio con Berchtold, e probabilmente è opportuno che ella gli esprima questa impressione, nonché la mia convinzione che tale carattere prenderanno sempre più i rapporti tra i due paesi alleati.

La tacita adesione di Aehrenthal alla libertà di azione, che ci riservavamo nel pro-memoria di V.E. del 12 ottobre2 , ebbe influenza grande sulle decisioni del Governo, cosicché il successivo e tardivo mutamento di Aehrenthal ci ha creato gravi difficoltà d'ogni ordine, di cui ancora sentiamo gli effetti. Ciò crea al Governo austriaco speciali doveri verso di noi, e lascio a V.E. il decidere se, quando, e come,

777 1 Cfr. n. 775. 2 Cfr. n. 775, nota 2.

816 convenga che faccia notare a Berchtold questa circostanza, che già io ho fatto notare confidenzialmente più di una volta a Mérey, il quale non ha saputo rispondere.

Ripeto che siamo pronti a dare al Governo austriaco ampia assicurazione segreta sul carattere temporaneo della occupazione di isole, ma il dichiararlo alle Delegazioni, o il pubblicarlo in qualsiasi modo, farebbe mancare lo scopo dell'occupazione, perché, mentre toglierebbe al Governo ottomano il timore di perdere le isole occupate, gli toglierebbe anche il modo di far valere come un suo successo politico e come un compenso per la perdita della Libia, la restituzione delle dette isole. Se infatti la Turchia sapesse che l'occupazione è temporanea, e se perciò ne venisse meno lo sperato effetto, ciò renderebbe inevitabile qualcuna delle operazioni militari, che l'Austria desidera che non avvengano, e che anche noi, pur riservandocene il diritto, non abbiamo desiderio di compiere.

Quanto alla data della occupazione di queste isole, V.E. potrebbe forse far osservare a Berchtold che essa naturalmente dipende in gran parte da considerazioni d'ordine militare, dovendosi anche tener conto del fatto che ogni giorno la Turchia invia nuovi rinforzi nelle isole.

Sulla opportunità politica di anticipare o differire l'occupazione, non mancano considerazioni pro e contro. Pel differimento stanno le considerazioni esposte a V.E. da Berchtold: viceversa per la opportunità di affrettarla si può far osservare a Berchtold che, per facilitare la cessazione delle ostilità, la occupazione dovrebbe essere fatta prima della risposta della Turchia al passo delle Potenze, perché: l) i turchi cedono sempre più al timore che alle blandizie; 2) le disposizioni del Governo ottomano sembrano intransigenti; 3) le trattative diplomatiche delle Potenze colla Turchia possono essere facilitate dallo avere noi in mano qualche cosa da restituire.

Le comunico intanto il seguente telegramma da Parigi, e lascio V.E. giudice se convenga che ne faccia menzione nei suoi colloqui con Berchtold: «Schon mi ha detto ... nello Egeo» (come nel telegramma in arrivo Gabinetto 534/173)3 .

778

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2539/209. Parigi, 18 aprile 1912, ore 20,55 (per. ore 24).

Telegramma di V.E. 1674 1• Qui si è pienamente persuasi della necessità per l'Italia di estendere la guerra. Però si ha la fiducia che Italia eviterà azione contro

778 T. 1674 del 17 aprile, non pubblicato.

817 Salonicco, Smirne e Beirut, che danneggierebbe molti interessi europei e poco la Turchia, ed invece procederà alla successiva occupazione delle isole dell'Egeo, tenendo così in mano un pegno importante per le trattative di pace. Si crede qui che se Italia occupasse le isole e desse all'occupazione l'apparenza della nostra stabilità, l'effetto in Turchia sarebbe notevole. È anche opinione generale che l'Italia commetterebbe un errore che nuocerebbe al suo prestigio, e presso la Turchia, e presso le Potenze, se, mentre occupa le isole dell'Egeo, non spingesse, in pari tempo, l'azione militare in Tripolitania. A questo proposito devo riferire che ha fatto cattiva impressione una intervista di un militare italiano, riferita da alcuni giornali nostri, nella quale si diceva che l'occupazione della penisola Macabez rendeva ormai inutile quella di Zuara. Se non si procederà all'occupazione di Zuara e se si lascieranno fuggire le orde arabo-turche colà riunite, l'impressione qui, a torto od a ragione che sia, sarà sfavorevole a noi. Stamane già I'Humanité pubblica al riguardo delle frasi ironiche al nostro indirizzo.

777 3 Con T. Gab. segreto 5341173 del 17 aprile, non pubblicato, Tittoni comunicava che Schon gli aveva riferito che Pansa aveva fatto presente al Governo germanico l'occupazione italiana delle isole dell'E~eo. La Germania si dimostrava favorevole a questa operazione.

779

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2555/101. Londra, 19 aprile 1912, ore l, 19 (per. ore 18,30).

Rispondendo interrogazione rivoltagli jersera fine seduta Camera dei Comuni, cancelliere scacchiere ha detto ambasciatore di Inghilterra a Costantinopoli essere stato informato da ministro degli affari esteri ottomano che una squadra italiana aveva attaccato forti esterni Dardanelli e che azione continuava. Daily Telegraph in articolo di fondo con intonazione calma dice che «Se Italia, consigliata dai suoi governanti, trova un vantaggio positivo nel portare guerra vicino cuore Impero ottomano, non è nella competenza dei critici stranieri dirle no e che posizione Inghilterra in Egitto nonché circostanza essere Inghilterra potenza musulmana esigono Inghilterra mantenga stretta neutralità». Times è preoccupato, scontento e contrario estensione guerra acque Egeo, Siria: trova azione Dardanelli pericolosa, inopportuna come fu quella Beirut: dice non avrà altro effetto che sovraeccitare spirito bellicoso Turchia, aggravare difficoltà conclusione pace: dice Inghilterra ha motivo giustificare più forte protesta contro ogni ulteriore estensione area guerra, che continuerà mantenere neutralità, ma che ciò vuoi dire trascuranza proprii interessi: riafferma fortissima simpatia del giornale per aspirazioni italiane assicurarsi posizione in Libia, riesprime speranza manifestata pochi giorni fa che sarà fra non molto conclusa pace che dia italiani sostanziale soddisfazione senza offendere suscettibilità turchi: spunta una lancia a favore presente regime turco e insiste dire che dobbiamo avere calma, pazienza ed operare in Libia. Disgraziatamente Times manca in questo momento di un vero editore politico. Articolo odierno si risente questa deplorevole mancanza. Se Braham è costì, sarebbe opportuno VE. gli parlasse.

Morning Post è favorevole e scrive che Italia ha sempre desiderato considerare per quanto è possibile interessi e suscettibilità altre Potenze, ma non poteva consentire ad indefinitamente combattere con una mano legata; che, in ogni caso, è impossibile biasimare Italia per sua decisione, e che Italia può sentirsi di avere abbastanza lungamente tenuto in considerazione interessi altre Nazioni. Osserva che, avvenuta cessazione fuoco, lascierebbe credere si tratti soltanto di una dimostrazione.

Daily Chronicle Grafie sono naturalmente contrari ma senza eccessività di linguaggio. Altri giornali non commentano.

780

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. GAB. 609. Roma, 19 aprile 1912, ore 17, 45.

Personale di S.E. il ministro. Prego V.E. esprimersi subito con codesto Governo nei sensi seguenti.

La crociera della squadra, che ha fatto la dimostrazione innanzi ai Dardanelli ed ora in rotta per l'Italia, aveva i seguenti scopi: l) dimostrare la piena libertà d'azione bellica dell'Italia dissipando la pericolosa illusione della Turchia di essere invulnerabile; 2) confutare col fatto le vanterie del Governo ottomano tendenti a far credere alle popolazioni che la flotta turca è potente e la nostra debole e timida; 3) sgominare il contrabbando di guerra intensificatosi recentemente da tutti i porti dell'Egeo verso la Libia; 4) far sentire alla Turchia i danni della guerra; 5) cercare di attirare fuori del suo rifugio la flotta turca e distruggerla.

La nostra flotta, come già le dissi, non aveva ordine di attaccare i Dardanelli, riservandoci noi di usare questo mezzo soltanto in caso di necessità, ed infatti si limitò a rispondere al fuoco dei forti, specialmente della riva asiatica, ed è poi tornata in Italia per non dar pretesto alla Turchia di tener chiusi al commercio neutrale i Dardanelli senza pericolo imminente tanto più che, come si è visto in questo caso, basta un tempo brevissimo a collocare le mine.

781

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2567/259. Vienna, 19 aprile 1912, ore 23,30 (per. ore 4,30 del 20).

Commenti alla nostra azione Dardanelli. Neue Freie Presse dice che Italia sa di dare con questa azione schiaffo sul viso intera Europa mettendo repentaglio pace Balcani; si domanda a che servano promesse di V.E. conservare, rafforzare, nono

stante guerra statu quo Impero ottomano e se Italia non sente suo dovere di Grande Potenza di non abbandonare concerto europeo. Ritiene azione grave errore, guerra per Tripoli dovendo esser risolta a Tripoli; tributa grandissimi elogi truppe turco-arabe che difendono loro paese e considera che azione Dardanelli non affretterà fine guerra. Spera azione svoltasi ieri abbia solo scopo far pressione su Potenze; pur ritenendo che fallirebbe al suo scopo crede che anche se nostra flotta potesse giungere a Costantinopoli nonostante formidabili forti turchi Governo ottomano non firmerebbe pace se italiani cercassero sbarcarvi di fronte truppe turche determinate opporre formidabile resistenza Europa non potrebbe in alcun modo restare impassibile di fronte a tale lotta. Sorti Impero ottomano sono questione europea e nessuno deve permettersi trattarle a suo piacimento e ledere interessi che esorbitano dalla portata di una guerra coloniale. Impresa Tripoli riuscì sin qui solamente seccante e dannosa alle Potenze. Se dovesse peraltro divenire pericolosa, dovrebbe nonostante tutte le rivalità ed i diversi aggruppamenti farsi sentire il bisogno della concordia. Può darsi che Italia se ne renda conto ma che creda di costringere Potenze estendendo alla Europa campo azione far pressione sulla Porta. I turchi però sorridono a tale pensiero pronti come sono a difendersi e consapevoli che una sola sconfitta significherebbe scoppio incendio nei Balcani. Bombardamento di ieri può significare molto o poco se è ripetizione bombardamento Beirut. Moltissimo se flotta fosse decisa di battere un forte dopo l'altro e di forzare Dardanelli giungendo Bosforo. Ciò significherebbe risollevare questione degli stretti e potrebbe eccitare velleità popoli balcanici. Italia che ha una così gran parte suo esercito in Libia si troverebbe essa stessa di fronte avvenimenti che avrebbe nel suo interesse impedire, non già a favorire. Flotta italiana abbandonò Dardanelli ma non si può sapere se per sempre giacché buon senso mancò spesso in questa guerra in cui vennero commessi errori sopra errori il maggiore dei quali è forse l'odierno col quale Italia senza alcun utile si è ribellata ai desideri Europa. Zeit ritiene azione contro Dardanelli debba fare entrare guerra in fase decisiva. In mancanza notizie sicure ritiene essersi forse trattato semplice ricognizione ma grande numero navi riunite di fronte Dardanelli fanno considerare che sia in preparazione una seria azione militare di fronte note idee Governo turco; in Italia non si fanno illusioni di pace e mentre sultano invocava ieri benedizione cielo sopra combattenti turchi, gli italiani gli rispondevano a colpi di cannone deve escludersi trattarsi dimostrazione navale ed invece ritenere che la situazione generale poco buona e creata dalla guerra e crescente malumore della nazione abbiano spinto il Governo a osare alcunché di grande e decisivo. Può dunque trattarsi di forzare Dardanelli e in questo caso comincerà realmente ora la tragica serietà e terribile rischio della guerra. Momento storico può avere conseguenze internazionali gravissime essendo guerra stata trapiantata dall'Africa nel punto più delicato di Europa. Nessuno può prevedere conseguenze tale azione ed in tutte le cancellerie regna una grave preoccupazione. Flotta italiana che bombardò pure Samo rende malsicuro intero bacino mediterraneo e danneggia quindi commercio europeo. A questo pericolo si aggiunge complicazione diplomatica del contegno Russia che aspira ottenere libertà stretti per la quale si sarebbe assicurato consenso Inghilterra. Potenze europee devono tenere pronte tutte le loro forze militari. La guerra italo-turca fu sin da inizio un pericolo per pace europea. Austria-Ungheria è maggiormente in causa per sua posizione geografica e di alleata dell'Italia ed amica della Turchia. Giova sperare che di fronte gravi complicazioni esterne tacciano rivalità

interne Austria-Ungheria. Reichpost dice che è accaduto quanto doveva accadere e cioè che Italia cercasse raggiungere una buona volta scopo della guerra di abbattere nemico dettandogli condizioni che non vuole accettare altrimenti. Se Italia non vuole questa guerra tomi a scapito suo prestigio politico e militare e se bene ordinate finanze, deve cercare ferire nemico dove è vulnerabile e tale località e suo territorio europeo e soprattutto sua capitale. Forzamento Dardanelli metterebbe Turchia piedi vincitore. Flotta rappresenta in questo momento fortuna Italia, se dovesse essere sconfitta Italia subirebbe un'Adua navale. Comunque finisca questa operazione essa può suscitare gravi complicazioni. Non è improbabile che Italia siasi assicurata consenso Russia alla operazione stessa. Ad ogni modo è coraggio soldatesco quello che guida Italia contro i Dardanelli; politicamente tale attacco è più che un atto di coraggio, atto di audacia che pone tutto quanto sopra una sola carta; prossime ore porteranno gravi avvenimenti. La situazione grave delle condizioni politiche odierne, suona ammonimento anche per l'Austria-Ungheria. Neues Wiener Journal domanda indignato come mai Potenze poterono permettere attuazione simile azione e pretenderebbe che per salvaguardare interessi commerciali europei uscisse dalla neutralità prendendo posizione contro Italia costringendola limitare campo sue operazioni. Ciò corrisponderebbe anche interessi italiani, giacché flotta italiana potrebbe bensì entrare Dardanelli, ma non uscime. Nella edizione serale Neue Freie Presse dice sembra trattarsi semplice dimostrazione navale. Momento è certo stato scelto male facendolo coincidere con passo Potenze in favore pace, cosicché questa sarà resa ancora più difficile. Fremdenblatt pomeriggio constata esiguità forze italiane apparse Dardanelli, fa escludere che azione abbia voluto avere altro significato che quello dimostrativo e non crede neppure che nel momento attuale in cui Potenze esplicano loro azione in favore pace Italia avrebbe intrapreso passo che non potrebbe certo contribuire a favorire azione Potenze che già incontra gravi difficoltà. Zeit pomeriggio scrive che se azione italiana volle intimidire turchi, fallì suo scopo. Non ritiene probabile possa avere sopra Potenze maggiore influenza di quelle precedenti; operazione non può ritenersi gloriosa. Settanta colpi italiani cagionarono morte un soldato e un cavallo mentre turchi affondarono una nave italiana.

782

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 621. Roma, 20 aprile 1912, ore 21.

Ho conferito oggi con Mérey, il quale mi ha detto aver Pallavicini telegrafato a Berchtold che la nostra azione Dardanelli non ha prodotto sui circoli politici ottomani l'impressione da noi desiderata. Mi ha detto pure che da notizie anteriori a quel fatto risultava l'accenno a qualche tendenza meno intransigente per la pace nel Comitato Unione e Progresso.

Mi domandò se potevo dargli notizie sui movimenti della nostra seconda squadra e sulle intenzioni del Governo intorno a nuove operazioni navali. Io risposi nulla potergli dire sui futuri progetti del Governo senza aver prima uno scambio di idee col presidente del Consiglio e coi ministri competenti. Aggiunsi che credo, ma non ne sono certo, che la seconda squadra debba essere in tutto o in parte o rientrata o prossima a rientrare a Tobruk.

A sua domanda risposi non avere notizie ufficiali sui pretesi bombardamenti di Samos e Rodi.

A sua domanda gli confermai che dal rapporto radiotelegrafico dell'ammiraglio risulta che il fuoco fu aperto dai forti turchi ai Dardanelli e le nostre navi risposero. Questa circostanza pare al Mérey di qualche importanza.

lo non gli dissimulai la dolorosa delusione provata dal paese pel ritorno delle squadre senza aver compiuta una azione più a fondo e la fede assai diffusa nel paese che l'azione navale porrebbe fine alla guerra onde derivano sentimenti non desiderabili verso le Potenze alle quali si attribuiscono i maggiori impedimenti a tale aziOne.

Mérey mi chiese se esisteva un'accordo con la Russia per un'azione comune verso la Turchia, il che io naturalmente ho negato, perché realmente tale accordo non esiste. Gli ripetei però che apprezzavamo molto l'attitudine amichevole della Russia.

Mi chiese pure che cosa sapessi dei movimenti della flotta russa: io, com'è verità, gli risposi che non ho in proposito alcuna notizia. In compenso mi parve che egli non abbia preso molto sul tragico la nostra azione ai Dardanelli.

783

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

T. S.N. Massaua, 21 aprile 1912, ore 17,00 1.

Faccio seguito mio telegramma n. 490 l del 19 corrente e telegramma Cerrina

n. 725 del 16. Da pro-memoria dato da Idris a Salem e da conversazione con questi e con maestro Idris apparisce: l) Idris assicura che continua crescente affluire nuovi seguaci. 2) Si occuperà della tribù harb appena conquistato Yemen. 3) Afferma imam perde giornalmente seguaci che passano a Idris. 4) Idris ci ha inviato originale rapporto del suo emiro Mustafà che gli riferisce presa di Mahail con gravi perdite dei turchi alcuni dei quali riuscirono sottrarsi strage rifugiandosi Abha. 5) Idris assicura

822 preparare conquista Loheia Hodeida. 6) Idris assicura avere buone relazioni con popolazione Mecca Medina. 7) Capi tribù arabi avrebbero assicurato non permettere passaggio dei battaglioni che khedive informò destinati partire da Mecca verso l'Assir.

Idris domanda viveri, una batteria da 75, diecimila Wetterly dei quali ha provato efficacia, due sambuchi armati con equipaggio arabo.

Impressione Cerrina e mia è che Idris è sincero verso noi nell'affermare sua inimicizia contro turchi ma crediamo non bisogna illudersi attendere da lui azioni rapide e risolutive sia perché tale condotta guerra non è conforme usi e natura questa gente sia perché Idris teme della sua sorte dopo pace fra Italia e Turchia. Qualora R. Governo potesse assicurargli tener conto di lui in eventuali negoziati di pace o almeno che dopo pace può continuare a contare su attitudine benevola nostra e su segreto nostri aiuti credo potremo sperare più decisiva azione Idris. A questo proposito credo doveroso aggiungere che se con futura pace abbandoneremo Idris che ormai tutti arabi considerano nostro alleato non solo posizione nostra in Arabia sarà difficilissima ma saremo screditati in tutto il mondo musulmano arabo nel quale Idris è molto noto.

Crediamo posizione Idris in Arabia sia realmente buona e in via migliore il che viene confermato da r. console Aden al quale sono giunte notizie progressi Idris e diminuzione influenza iman Jahia. Devesi però andar cauti nell'accettare in tutti i loro dettagliati racconti successi Idris il quale deve naturalmente tendere ad esagerarli.

Con odierno telegramma V.E. ho cercato mettermi in grado soddisfare domanda Idris per Farina. Provvedo inviare entro questa settimana Wetterly e munizioni Mauser Martini. Provvedo [trovareF batteria 75 da inviare Idris e per la quale ho chiesto già V.E. voler ordinare sostituzione in Colonia Eritrea. Con Cerrina stiamo studiando per soddisfare domanda sambuchi che temo bisognerà comprare. Fin d'ora prego V.E. autorizzare questa spesa che potrebbe essere di circa 10.000 lire per due sambuchi.

Spero avrò notizie dirette dall'Yemen nella prima metà maggio. Spero aver trovato informatori da inviare in Gedda e al nord di Gedda.

Da incaricato d'affari Cairo ricevo ora comunicazione telegramma inviato V.E. circa notizia data da Mustafà e Namun. Credo esagerato timore circa ricevute che non vennero mai rilasciate da Idris ma dai suoi seguaci e in termini non compromettenti mentre Idris spontaneamente scrisse lettera da lui firmata per chiedere armi. È probabile che tutto ciò sia dettato da avidità lucro dei messi khediviali. Ma ad ogni modo salvo ordini contrari V.E. con prossimo viaggio Salem farò restituire Idris le varie ricevute3 .

783 2 Nel documento «travisare». 3 Per il seguito cfr. n. 793.

783 1 Il telegramma fu trasmesso da Asmara in pari data.

784

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE 626. Roma, 21 aprile 1912, ore 21,30.

Suoi telegrammi Gabinetto nn. l 09 e 1101• Nell'indicare a V.E. gli scopi della crociera nello alto Egeo avevo creduto superfluo indicare anche quell'uno, che ne fece determinare la data, che confidai ieri a Mérey e che V.E. può confidare a Berchtold. Da nostre informazioni era risultato che il giorno dell'apertura della Camera turca, la squadra ottomana sarebbe per qualche ora uscita dai Dardanelli in alto mare. Si sperava perciò di batterla senza scambiare cannonate coi forti. Fallito tale scopo, perché la squadra turca non uscì, il

R. Governo non prevedeva lo scambio di cannonate coi forti al quale l'ammiraglio telegrafa essere stato costretto per rispondere. Vista la necessaria concisione della radiotelegrafia ignoriamo ancora le ragioni di tale decisione dell'ammiraglio, il quale aveva istruzioni di non attaccare e non ha sostanzialmente attaccato né forti né coste né isole in tutta quella parte del mar Egeo dove si potevano temere ripercussioni balcaniche, che di fatto non si sono avverate. In ogni modo Berchtold deve comprendere che, dopo che, per qualsiasi motivo, quello scambio di cannonate era, contro le nostre previsioni ed intenzioni avvenuto, l'immediato richiamo di quella squadra da quelle acque in Italia, è stato da parte nostra un immenso sacrificio di amor proprio e di prestigio da noi fatto per amicizia verso l'Austria e anche per riguardo personale verso Berchtold. A conferma di ciò V.E. può fargli notare il linguaggio dei giornali citati nei suoi telegrammi nn. 263 2 e 265 3 .

Importa ora soprattutto evitare tutte quelle dichiarazioni e tutti quegli atti che possono incoraggiare la Turchia alla resistenza e indurla a credersi invulnerabile. È evidente che la Turchia non cederà mai se non deve sentire né temere danni di sorta dalla guerra, e che l'Italia non può rassegnarsi a un simile stato di cose, pure essendo vivamente desiderosa di procedere d'accordo con l'Austria, dalla quale si aspetta una attitudine non meno amichevole di quella della Germania e delle altre Potenze anche non alleate, che tutte in questa occasione si sono condotte nel modo più conforme ai nostri desideri ed interessi, comprese Inghilterra e Russia, benché le più danneggiate dalla temporanea chiusura dei Dardanelli. Intanto le istruzioni date alle rr. navi non sono in opposizione al punto di vista esposto da Berchtold nei recenti colloqui, sebbene noi non intendiamo con questo di accettare quel punto di vista.

Prego inoltre V.E. di mettere nuovamente in guardia Berchtold contro le notizie false, inesatte o esagerate sulle nostre operazioni navali che vengono da fonte turca o da altre fonti non attendibili, come per esempio quelle falsissime del bombardamento di Metri nel golfo di Enos e della presenza delle rr. navi presso Salonicco e Dedeagutch.

Le dichiarazioni che Berchtold vuoi fare alle Delegazioni sulle occupazioni temporanee potrebbero, nei termini da lui esposti, far mancare lo scopo delle dette occupazioni, perché darebbero alla Turchia la certezza della restituzione, e questa certezza potrebbe più tardi creare difficoltà allo stesso Governo ottomano, che non potrebbe più agli occhi delle popolazioni fare valere la restituzione come un suo successo diplomatico, e come un compenso per la perdita della Libia. Mi pare che tali inconvenienti si eviterebbero se nell'allusione allo statu quo territoriale, Berchtold aggiungesse la parola «europeo» o «balcanico». Ciò sarebbe anche più conforme al testo delle dichiarazioni da noi fatte al principio della guerra, alle quali egli vuole opportunamente riferirsi. Quanto alla data delle occupazioni, ripeto che deve tenersi conto delle esigenze militari, di quelle della repressione del contrabbando, delle condizioni del mare e del tempo, e perciò che il farle prima o dopo la risposta della Porta alle Potenze, possa influire sul tenore di quella risposta, il cui carattere più intransigente di ogni aspettazione risulta già dal discorso del sultano al Parlamento.

Mi pare, poi che in via confidenziale ed amichevole, e col tatto e l'abilità di cui ella ha dato tante prove in queste delicate circostanze, V.E. potrebbe a viva voce far notare a Berchtold che la certezza che l'Austria non ci avrebbe create difficoltà nello Egeo, ci spinse a pubblicare il 5 novembre il decreto di sovranità, e a dare contemporaneamente ordini alla flotta di operare subito in quel mare, dove, essendo allora la Turchia militarmente impreparata e moralmente depressa, in pochi giorni avremmo posto fine alla guerra. Lo stesso giorno 5 novembre Aehrenthal fece a V.E. le dichiarazioni che, giunte qui quando il decreto era già pubblicato, sconvolsero tutto il nostro piano d'azione, e furono la causa principale dei nostri grandi e lunghi sacrifici di denaro e di sangue e di tutta la situazione presente, nonché delle difficoltà che essa racchiude per tutti. Nonostante così gravi danni a noi inflitti dalla condotta dell'Austria, noi, tenendo nascosta, tale condotta abbiamo continuato a lavorare con successo al continuo miglioramento, non soltanto dei rapporti tra i due Governi, ma anche dei sentimenti del popolo italiano verso l'Austria, e confidiamo che l'Austria terrà conto di tutto ciò nell'interesse comune, suo e nostro, e cercherà di attenuare e non di aggravare le difficoltà interne ed esterne, militari e politiche, che, la sua condotta ci ha procurato.

Intanto le rr. navi rientreranno probabilmente domani o posdimani, alcune a Taranto ed altre a Tobruk. Sembra inoltre che il nemico continui ad organizzare contrabbando di guerra su vasta scala4 .

784 1 T. Gab. segreto 5741109 e T. Gab. segreto 5751110 del 21 aprile, non pubblicati. 2 Con T. 2602/263 del 21 aprile, non pubblicato, Avama riferiva che i giornali turchi esprimevano la loro gioia per il ritiro della flotta italiana. 3 Con T. 2603/265 del 21 aprile, non pubblicato, Avama riferisce su un articolo di un giornale austriaco con accuse molto violente contro l'Italia.

784 4 Per la risposta cfr. n. 790.

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L'INCARICATO D'AFFARI A TANGERI, DEPRETIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2635/35. Tangeri, 22 aprile 1912, ore 17,15 (per. ore 23).

Da posteriori notizie circa avvenimenti di Fez, risulterebbe che parecchi europei, fra i quali principalmente tedeschi, avrebbero avuto salva la vita per la loro qualità di non essere francesi. Maggiore strage fu commessa nel ghetto ove gli ammutinati non rispettarono le donne, uccisero e mutilarono gli uomini in numero che non si può precisare ma che si crede assai rilevante e fecero man bassa su mercanzie, denaro, gioielli eccetera. Oltre gli ufficiali istruttori francesi, sarebbero stati uccisi venticinque tra ufficiali e sottufficiali algerini. Non si parla più della partenza di Regnault il quale secondo un comunicato del giornale ufficiale francese locale sarebbe stato nominato residente generale provvisorio. Secondo lo stesso giornale il Governo francese avrebbe deciso di procedere alla nomina del residente definitivo anche prima della conclusione del negoziato colla Spagna. È opinione dei più che la rivolta di Fez è stata una sorpresa per Regnault e per l'elemento militare francese che credeva poter fare affidamento sulle truppe indigene comandate da ufficiali francesi nell'interno della città. L'esperienza ha ora dimostrato la necessità di cambiare sistema. Ci vorrà dunque tempo e numerose forze per condurre a termine quanto la Francia si era proposta di fare con troppa fretta al Marocco.

786

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 645. Roma, 22 aprile 1912.

Personale di S. E. il ministro.

Oggi Mérey è venuto a dirmi, senza fare un formale reclamo, che Berchtold era stato assai stupito della contraddizione tra le assicurazioni che gli erano state date il 17 corrente e il bombardamento dei Dardanelli l'indomani. Io gli ho risposto che la squadra si era limitata a rispondere al fuoco dei forti, e che le istruzioni di essa erano conformi alle dichiarazioni che gli erano state fatte. La conversazione, in modo amichevole e franco, si aggirò su tutta la situazione attuale e sui rapporti italoaustriaci, ed io insistei sempre sul concetto che bisogna che le due Potenze, nelle varie fasi della guerra, esaminino le operazioni militari in rapporto all'articolo settimo con spirito di reciproca amicizia. Egli fu sorpreso che io, come è verità, nulla ancora sapessi delle operazioni attribuite alle rr. navi a Samos, le quali egli giudica contrarie al principio del mantenimento dello statu quo territoriale. Sebbene io non consenta in questo giudizio, credo tuttavia che sarebbe stato preferibile che non si fosse bombardata la caserma di Samos, seppure questa operazione, per cui le rr. navi non avevano istruzioni, è stata realmente fatta. In ogni modo la conversazione fu cordiale.

787

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2651/66. Pietroburgo, 23 aprile 1912, ore 6,50 (per. ore 21,50).

Giornale Rossia organo ufficiale del Governo commenta oggi nostra azione mare Egeo in questi termini: la dimostrazione navale dell'Italia e esplorazione dei Dardanelli prova che a Costantinopoli non sono stati apprezzati come dovevano tentativi della Russia per far cessare ostilità. È evidente che operazioni militari sono un mezzo efficace per giungere pace perché feriscono Turchia e interessi dei neutri. A Costantinopoli a quanto pare sino all'ultimo momento si aveva certezza assoluta che Italia non si sarebbe decisa a ricorrere ad una misura così arrischiata. Turchia ora sa che la cosa è possibile e che le difficoltà non tratterranno Italia dal ripeterla perché una ulteriore inazione minaccerebbe suo Governo di serie complicazioni interne.

Governo ottomano passa momento critico; nemico è a pochi passi dalla capitale e grande parte della popolazione desidera in segreto successo squadra italiana. Italia perdendo la partita si troverebbe esposta a conseguenze spiacevoli; Europa si trova avanti gravi avvenimenti.

Novoie Vremja fa oggi la rassegna stampa estera e constata che i giornali dei paesi alleati sono quelli che gridano di più contro allargamento delle operazioni militari Italia. Combatte poi argomenti dei giornali tedeschi ed austriaci e qualifica di strana e paradossale la pretesa voler proibire Italia attaccare punti vitali Turchia. Dice Italia come grande Potenza non può fermarsi a mezza strada e se colpi inflitti Turchia in Africa non sono sufficienti per passività dell'organismo otto mano, Governo italiano non si arresterà avanti operazioni più attive in altre località. Pretesti austriaci, tedeschi contro operazioni italiane rimarranno senza risultato e non si capisce perché azione dei Dardanelli dovrebbe provocare complicazione balcaniche mancandone nesso. Se Serbia e Bulgaria si agiteranno in seguito bombardamento Dardanelli dovranno pensare le Potenze a calmarle; ma è inammissibile parlare proibizione azione militare nel mare Egeo; questa guerra dura da sei mesi.

Intonazione altri giornali è simile quelle del Novoie Vremja. In generale si accentua la grande preoccupazione per immensi danni derivanti commercio russo per chiusura Dardanelli. Tutta la colpa viene data però Turchia, nessun accenno contro noi. Si sostiene Turchia ha chiuso stretti senza ragione e solo per danneggiare Stati neutrali per trarre vantaggio da ciò. Da tutta la intonazione stampa si rileva che

vi è una grande aspettazione per prossima nostra azione militare ritenuta sicura e che se venisse a mancare ciò nuocerebbe immensamente senza dubbio nostro prestigio.

788

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2650/39. Bucarest, 23 aprile 1912, ore 8,50 (per. ore 23).

Ministro degli affari esteri mi ha detto che le notizie giunte al Governo rumeno non permettevano prevedere quale sarebbe stata risposta turca al passo delle Grandi Potenze. Tuttavia contegno di Assim bey coi rappresentanti esteri non gli sembrava escludere in modo assoluto ogni spirito di conciliazione da parte dei turchi. Infatti Assim non aveva tenuto linguaggio bellicoso ed aggressivo, ma si era limitato amare recriminazioni contro Grandi Potenze le quali mentre non avevano al principio guerra accolto domande della Turchia di richiamare Italia al rispetto dei trattati, ora, sia pure in forma riguardosa, agivano a Costantinopoli a favore pace. A questo contegno ministro degli affari esteri ottomano riferiva speranza pace accennata in fondo nota ufficiosa del Politic di cui nel mio rapporto 272 1 .

Il signor Maioresco ha aggiunto avere notizie pienamenti rassicuranti circa contegno pacifico e tranquillo Bulgaria e Grecia, ma teme che esse chiedano a suo tempo compensi per tale contegno. Egli ha concluso lamentando danni che derivano al commercio rumeno dalla chiusura stretti ed esprimendo speranza che vengano presto riaperti.

789

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 2 3 aprile 1912 (per. il 24).

Nell'accusare ricevimento del dispaccio ministeriale n. 16677/238 del 18 marzo

u.s. 1 contenente la relazione finale presentata dal capitano Citemi sulla missione per la delimitazione dei confini verso la Somalia, ho l'onore di informare V.E. che dopo

789 1 Non pubblicato.

828 averla attentamente esaminata sono perfettamente convinto che essa contiene tutti gli elementi necessari per dar modo alla r. legazione di Addis Abeba di intraprendere col Governo etiopico la discussione per la definitiva sistemazione della linea di confine itala-etiopico ad oriente di Dolo, ciò che mi accingerò io stesso a fare appena avrò raggiunto il mio posto.

788 1 R. 763/272 del 20 aprile, non pubblicato.

790

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 597/116. Vienna, 24 aprile 1912, ore 1,10 (per. ore 2,40).

Telegramma di V.E. Gabinetto 626 1 . Nel rappresentare oggi a Berchtold in via confidenziale gli inconvenienti che a parere di V.E. avrebbero potuto derivare dai termini della dichiarazione che sarebbe sua intenzione fare alle Delegazioni sulla nostra occupazione temporanea, gli ho fatto rilevare che si avrebbe potuto evitare tale inconveniente se nell'allusione allo statu quo territoriale egli avesse aggiunto la parola «europeo» o «balcanico» ciò che sarebbe stato anche più conforme al testo della dichiarazione fatta dal R. Governo all'inizio della guerra a cui voleva riferirsi. Berchtold mi ha detto che avrebbe riflettuto a quanto V.E. proponeva e mi avrebbe fatto conoscere sua decisione. Ho creduto allora dirgli come mia opinione personale che mi sembrava che sarebbe stato opportuno di seguire in questa circostanza la via già seguita dal conte di Aehrenthal in occasione delle dichiarazioni da fare ai Parlamenti della Monarchia dai Governi austriaco e ungherese circa conflitto turco-italiano il cui testo era stato preventivamente comunicato a V.E. da Mérey. Per cui, se non vi avesse obiezioni, egli avrebbe potuto mettersi in grado di sottomettere a V.E. il testo delle eventuali sue dichiarazioni alle Delegazioni perché ella potesse far conoscere suo avviso al riguardo. In tal modo si sarebbe eliminato ogni equivoco o malinteso. Berchtold mi ha risposto che conveniva meco in ciò e che mi avrebbe rimesso testo delle dichiarazioni non appena le avrebbe fissate per comunicarle a V.E.2.

Circa l'opportunità di eseguire l'occupazione temporanea di isole da parte nostre navi prima o dopo la risposta Sublime Porta al passo Potenze, Berchtold mi ha risposto che persisteva nell'avviso già manifestatomi, quantunque non si facesse illusioni circa disposizioni intransigenti della Sublime Porta. Non ho mancato di esporre pure in via confidenziale al Berchtold le considerazioni contenute

Cfr. n. 799.

nell'ultima parte del telegramma suddetto. Berchtold mi ha detto che non poteva che riferirsi a questo proposito a quanto mi aveva fatto conoscere poco innanzi e che ho comunicato a V.E. coll'altro mio telegramma odierno Gabinetto 115 segreto3 circa contegno Austria-Ungheria a nostro riguardo fino dall'inizio guerra circa interesse vitale della Monarchia mantenimento statu quo territoriale Balcani nonché gli obblighi che le incombevano in forza del trattato d'alleanza. Avendo approfittato di una propizia occasione e date le disposizioni favorevoli in cui sembrava trovarsi ho creduto addentrarmi maggiormente nella questione ed ho rilevato in via privata e confidenziale che, siccome la nostra crociera ai Dardanelli a quanto gli aveva osservato non aveva prodotto la ripercussione balcanica a cui egli sempre faceva allusione, era così da ritenersi in modo sicuro che una nostra occupazione delle isole dell'Egeo non avrebbe prodotto neppure tale effetto. Del resto occupazione di quelle isole per esempio di Militene, Lemnos, Samostrachi, eccetera erano considerate generalmente come solo corrispondenti alle esigenze del momento perché atto a non dar luogo a complicazioni nei Balcani. E tale occupazione che avrebbe potuto essere fatta sotto le condizioni già da me indicategli, oltre all'essere per noi un pegno importante per pace avrebbe potuto indurre Sublime Porta a cedere, ciò che avrebbe liberato Europa dall'incubo del conflitto attuale, la cui fine era desiderata da tutte le Potenze.

Ma Berchtold ha replicato che non poteva condividere mia maniera di vedere perché tale occupazione non avrebbe affatto indotto Sublime Porta a cedere, ma l'avrebbe fatta persistere vieppiù nella resistenza ad oltranza e, a tale riguardo, ha rilevato che, in una circostanza che non ricordava in quale epoca fosse avvenuta in cui si era trattato tra Potenze di procedere al ritiro degli ambasciatori da Costantinopoli, Sublime Porta aveva fatto intendere che essi potevano partire a loro beneplacito e che anzi avrebbero messo a disposizione loro le navi che erano in quel momento in partenza da Costantinopoli. La supposizione da me fatta non gli sembrava quindi corrispondere alla psicologia della mente musulmana. Forse, se noi avessimo portato guerra nel continente europeo, ciò avrebbe potuto produrre altro effetto. Ma, oltre all'opposizione che avremmo incontrato da parte Austria-Ungheria e delle altre Potenze, tale impresa non sarebbe stata nella nostra convenienza specialmente per difficoltà gravi che presentava.

Le conversazioni personali ed amichevoli avute col conte Berchtold sull 'ultimo punto che hanno avuto per scopo di indagare suo avviso, mi ha fatto constatare che, se egli è più disposto del conte di Aehrenthal a discutere nella forma suddetto argomento siffatto, egli però non è meno fermamente deciso che il suo predecessore a mantenere salda la dichiarazione fattaci sul suo punto di vista circa nostre operazioni contro coste europee ottomane e le isole dell'Egeo e contro Dardanelli.

790 1 Cfr. n. 784.

790 3 T. Gab. segreto 595/115 del 23 aprile, non pubblicato.

791

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 609/96. Berlino, 24 aprile 1912, ore 9,15 (per. ore 0,30 del 25).

Da questo Dipartimento estero mi fu comunicato il sunto telegrafico di Marschall della risposta ottomana al passo delle Potenze per la cessazione delle ostilità1 . La nota turca assai diffusa dopo aver ricordato l'offerta di concessione fatta all'Italia e dietro il rifiuto di questa la necessità per la Sublime Porta d'intraprendere lotta lunga e sanguinosa per difesa suoi diritti e suo territorio, dice che l'Italia parlando di conquista non aveva considerato che l'amputazione di uno dei membri della Turchia sarebbe per questa un suicidio. Aggiunge che dopo sette mesi di scarso successo, l'Italia deve aver acquistato la convinzione che un tale atto di desistenza provocherebbe una grave pertubazione della pace interna aggravando vieppiù la situazione internazionale. Se Italia insistesse sulla annessione giuridicamente nulla delle due province che non riesce a conquistare la soluzione del conflitto sarebbe impossibile. Il Governo turco desideroso di pace e per provare la sua deferenza alle Potenze accetta la mediazione ma dichiara fin d'ora, per evitare ogni malinteso, che non gli sarebbe possibile entrare in negoziati all'infuori del mantenimento effettivo ed integrale dei diritti di Sua Maestà il sultano con rinunzia da parte dell'Italia alla annessione delle due province ed assicurazione del ritiro delle sue truppe2 .

792

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. 3722. Roma, 24 aprile 1912, ore 14.

La divisione navale comandata da ammiraglio Presbitero ha occupato isola Stampalia chiamata anche Astropalia e vi ha stabilito base rifornimento per le navi.

Occupazione sull'isola che ha ancoraggi vasti e sicuri a nord e a sud permetterà azione più efficace per repressione contrabbando ...

791 1 Cfr. GP, vol. XXX/I, n. 11065. 2 Per la risposta cfr. n. 795.

793

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE, AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 929/312. Il Cairo, 24 aprile 1912 (per. il 7 maggio).

Con riferimento al mio telegramma di Gabinetto n. 50, in data 22 corrente1 , mi onoro di trasmettere qui unito alla E.V. una traduzione della lettera che l'Idrissi diriga al capo dei Senussi per informarlo degli aiuti datigli dall'Italia e dimostrargli che la nostra azione non è contraria all'interesse delle popolazioni arabo-musulmane.

Avevo sperato di poter avere una copia fotografica della lettera in questione, ma il Said Mustafà che l'ebbe in consegna dall'Idrissi e che dovrà portarla al destinatario non volle assolutamente separarsene, neppure per poco tempo, e d'altra parte non sarebbe stato prudente farla portar da lui stesso ad un fotografo. Il motivo di tanto riguardo è ben chiaro: si tratta di un documento che per il prestigio delle persone tra cui viene scambiato, per la sua importanza intrinseca e per il danno che arrecherebbe aii'Idrissi, qualora il pubblico ne venisse a conoscenza è gelosamente costodito dal temporaneo depositario. Tuttavia di fronte alle insistenze di Sua Altezza il Kedive, Said Mustafà ha acconsentito di fame una copia lui stesso e di consegnarcela. Il colonnello Elia si recò appositamente dal kedive in presenza del quale ne ebbe consegna dal Mustafà. Ho fatto accompagnare il colonnello dal professor Nallino, nel quale soltanto per varie ragioni potevo aver fiducia. Dovevo infatti valermi di persona sul cui riserbo potessi fare assegnamento, che avessa tanta conoscenza della lingua araba da poter collazionare la copia sul testo originale ( coè che fu fatto alla presenza stessa di Sua Altezza), che potesse esprimere un giudizio sull'autenticità del documento (mi era noto che il Nallino aveva vedute altre lettere dell'Idrissi e ne conosceva i sigilli), che infine fosse in grado di fame una esatta traduzione, di cui appunto è una copia quella che accludo.

Mi sembra che il tenore della lettera sia abbastanza esplicito, è anzi parere del kedive che la lettera stessa ci sia ancor più favorevole di quello che fosse il caso d'attendersi. Anche il professor Nallino è dello stesso avviso; tanto che ebbe a dirmi d'esserne stato sorpreso in quanto non è certo tra le consuetudini dei gran capi religiosi arabi scambiarsi lettere così precise e chiare.

Said Mustafa deve partir subito per portar la lettera al capo dei Senussi. Intanto

S.A. il Kedive ha rinnovate vive preghiere che sia la cosa in sé, sia la parte da lui avuta per condurla a termine vengano tenute segretissime. Gli si è dato su ciò ogni più ampia assicurazione, interpretando in questo certamente le intenzioni del R. Governo. Il passo fatto dali' Idrissi potrà più o meno contribuire a facilitare un nostro accordo col capo dei Senussi e la conseguente pacificazione della Cirenaica: nondimeno si

832 tratta del tentativo più serio che sia stato possibile di fare fino adesso. Della sua riuscita io sono particolarmente lieto anche pel fatto che l'aver avuta una simile lettera costituisce indubbiamente per noi un certo successo che dobbiamo principalmente all'aiuto prestatoci dal kedive. Esso costituisce la prova che Sua Altezza, se non altro in questa azione suli'Idrissi, e non è poca cosa, ha agito verso di noi con piena lealtà ed ha mantenute le sue promesse. Non mi ero dunque male apposto se ripetutamente, e fors'anche in contrasto con diffidenze pìu o meno palesi, ho sostenuto che nell'azione del kedive potevamo aver fiducia, se non altro in determinate questioni che potevano assumere un aspetto di comune interesse per noi e per il sovrano dell'Egitto.

Naturalmente, a norma delle istruzioni avute, corrispondo su questo argomento direttamente anche con S.E. il Presidente del Consiglio, cui mando copia della lettera di cui si tratta.

Sarò poi grato alla E.V. se vorrà farmi conoscere le eventuali decisioni del R. Governo per quel che riguarda qualche speciale espressione di ringraziamento da comunicarsi a S.A. il Kedive, che ne sarebbe certemente soddisfatto.

ALLEGATO

MUHAMMAD IBN ALI AL-IDRISI, AL CAPO DEI SENUSSI, AHMED ESH SHERIF

L. ... aprile 1912.

In nome di Dio clemente e misericordioso. Da parte di Mohammed ibn Idris all'essenza degli Jayyd, modello dei capi, luce fulgente della verità splendida, edifizio abbracciante le scienze e le cose utili, Sidi Ahmed El Scerif, figlio del dottore el Senussi, che Dio ci faccia godere (a lungo) della sua vita. Amen.

La salute eterna a voi, e la misericordia e le benedizioni di Dio. Vi siete compiaciuti di chiedere nostre notizie: lode a Dio per quello che ci elargisce di benefizi, e per quello che ci profonde di effluvi della sua generosità, efi1uvi non limitati ad un tempo piuttosto che ad un altro.

E noi chiediamo notizie vostre e ne siamo molto desiderosi.

Forse vi sono giunti i particolari dei perturbamenti che sono sorti fra noi ed i Turchi; poiché, quando essi deposero il sultano, furono istigati dal diavolo ad allontanare I'Islam ed a prendere come religione la libertà e la costituzione, profanando così la santità delle rivelazioni celesti con profanazione manifesta; ed essi credono ciò causa di progresso, e trovano tale progresso nello scacciare ed uccidere gli ulema e profanare le moschee ed i precetti di Dio. E ciò accadde in tempo in cui noi ci occupavamo di insegnare le cose della religione, ed in cui Dio aveva attirato a noi i cuori dei suoi adoratori, che da ogni parte si dirigevano a noi per disposizione ed aiuto di Dio. E noi allora non conoscevamo la verità sul conto dei turchi; sicché li trattammo con benefici dei quali non era giunta loro la menoma fragranza dal tempo in cui erano venuti nello Yemen: e ciò a motivo della venerazione infusa nei (nostri) cuori verso i sultani ottomani, giacché essi custodivano le (nostre) frontiere e proteggevano la religione. Pertanto assicurammo loro la via del telegrafo e tutte le strade e demmo loro diecimila pali per linee telegrafiche ed altre cose ancora. Nondimeno essi non cessarono dal tentare di farci male con le loro mani; e si appurò allora che la ragione del dissenso era il nostro attenerci alla legge religiosa (seria), la quale è contraria ai loro divisamenti. E grazie a Dio altissimo, tutte le volte che essi vollero sopraffarei, Dio li sopraffece, e tutte le volte che essi accesero il fuoco della guerra, Dio lo spense. E a metà dell'anno passato radunarono molte truppe contro un golfo distante da noi quattro ore; sicché scoppiò la guerra fra loro e fra i combattenti per la causa di Dio e non passò che pochissimo tempo quando dovettero volgere le spalle sbaragliati nel peggior modo, tanto che non se ne salvò se non una quantità trascurabile. E fu battaglia definitiva grazie a Dio, Signore dei mondi.

Poscia cominciarono a fare grandi preparativi; e mentre erano affaccendati in essi, ecco che per parte del (Dio) vero venne a sorprenderli una rivolta esterna; prevalsero su di loro valorosi servi di Dio, che minacciarono l'interno del Paese; e fu minaccia effettiva. (Questi valorosi) sono gli italiani. E dopo ciò i turchi si dispersero; e dopo che si erano fortificati in quelle fortezze, non trovarono se non dispersione ex perdite; e Iddio purgò di loro il Mar Rosso, e le faccende loro volsero alla rovescia. Tutto ciò per opera dell'Onnipotente. «Tale è la punizione del tuo Signore(= Iddio) quando egli punisce le città che agiscono iniquamente; certo la punizione sua è dolorosa e grave»2 Ed ora i nostri ikhwan (compagni, soci di confraternita), dopo che ne erano stati impediti, tornarono a girare con le loro navi per pescare le perle, ed a occuparsi degli interessi commerciali e delle altre cose proficue per gli indigeni.

Ed il Governo italiano li rispetta, e rispetta la bandiera degli ikhwan su cui sta scritto: «Non vi è altro Dio che Allah; Maometto e l'inviato di Allah».

Ci è giunta notizia che fra voi e questo Governo sono sorti perturbamenti: ma per quanto ci consta esso muove guerra ai turchi ed ai loro luoghi, non a voi e ai vostri luoghi; anzi vi onora e vi rispetta e rispetta le cose della religione. Se volete, dateci ragguagli dello stato delle cose, affinché discutiamo a tale riguardo il da farsi, se Dio vuole. In Dio confidiamo; egli è ottimo ausiliatore.

I migliori saluti a Voi ed a chi è con voi, e specialmente a Sidi Mohammed El Abid, e a tutti gli ikhwan ed ai figli di Sidi Al-Mabidi, ed a Sidi Mohammed et-Tawati, e Sidi Mohammed El Madani ed ai suoi figli, ed a Sidi Mohammed ibn Es-Sinni (?)3 , ed in genere a quanti degli ikhwan illustri si trovano costà.

793 1 T. 587/50, non pubblicato.

794

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB. SEGRETO 657. Roma, 25 aprile 1912, ore 2,15.

Barrère mi ha rinnovato oggi spontaneamente la smentita alla notizia della mobilitazione della flotta francese al momento dei noti incidenti. lo ho colto occasione per ripetergli che nessuno in Italia aveva creduto che per così piccola causa il Governo francese avesse voluto provocare una guerra europea incorrendo nel casus foederis della Triplice Alleanza. L'assicurai che non questa fiaba e in fondo neanche il ricordo degli incidenti turbolenti turberebbe la cordialità dei sentimenti della Nazione italiana verso la Francia se non fosse diffusa e profonda la impressione che la Francia non voglia applicare gli accordi itala-francesi del 1902 nello stesso spirito come noi li abbiamo sempre applicati.

Barrère mi disse che tale impressione è infondata. Io gli citai ad esempio il console francese a Tripoli che a differenza dei suoi colleghi, non seconda gli sforzi delle nostre autorità che cercano di evitare che per le

793 2 Nota del documento: «versetto l 04 della Sura Xl del Corano». 3 Il punto interrogativo è nel testo.

834 capitolazioni ed altro si producano situazioni in cui dall'una e dall'altra parte si sollevino questioni di principio, e le autorità nostre ed il console siano obbligati a mantenere il rispettivo punto di vista.

Barrère mi promise che ne informerà il suo Governo affinché siano date a quel console istruzioni concilianti.

795

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE, A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. 665. Roma, 25 aprile 1912, ore 18,35.

(Per tutti, meno Berlino). Il r. ambasciatore a Berlino telegrafa quanto segue:

«Da questo Dipartimento . . . ritiro delle sue truppe (come nel telegramma in arrivo, Gabinetto n. 609)»1• (Per Berlino solo). Telegramma di V.E., Gabinetto n. 962 . (Per tutti, compreso Berlino). V.E. vede dunque quanto sia ingiusta l'accusa

fatta all'Italia di avere colla legge di sovranità reso impossibile la pace, che alcuni, erroneamente, credevano si sarebbe fatta facilmente sulla base della sovranità nominale del sultano e della occupazione ed amministrazione italiana.

È chiaro oramai che anche senza quella legge la pace troverebbe oggi eguale ostacolo nella intransigenza turca.

La Turchia dunque è sola responsabile della continuazione della guerra.

Intanto l 'Italia, la cui piena ed intera sovranità sulla Libia è un fatto ormai irrevocabile, da un lato già la esercita con opere feconde di civiltà, la cui importanza è riconosciuta anche dagli stranieri meno benevoli, e dall'altro lato, pur essendo tuttora disposta a trattare sulle basi dal R. Governo indicate, ha senza indugio risposto alla tracotanza turca colla occupazione di Stampalia e colla brillante vittoria di Bu-Chemesc.

796

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE 668. Roma, 25 aprile 1912, ore 23,10.

Suo telegramma Gabinetto n. 1171 .

2 Cfr. n. 791.

Se è possibile, a me pare opportuno che V.E. eviti di parlare con Berchtold della interpretazione dell'articolo 7, e delle nostre eventuali operazioni navali, almeno sino a quando V.E. mi avrà telegrafato il suo autorevole parere sulle considerazioni seguenti, ed avrà avuto la mia risposta.

Austria ed Italia hanno espresso la loro divergente interpretazione dell'articolo 7; ognuno dei due Governi ha mantenuto la propria: l'Austria ci ha però fatto conoscere a quali nostre operazioni, ciò non ostante, essa non solleva obbiezioni. In pratica perciò, per le prime operazioni da compiere, iniziate con l'occupazione di Stampalia, non esiste dissenso tra i due Governi; ed è inutile, anzi dannoso, tornare a parlare, salvo che per concordare le dichiarazioni che Berchtold dovrà forse fare alle Delegazioni.

Se non saranno necessarie altre operazioni previste, secondo l'interpretazione austriaca, dell'articolo 7, non sarà neanche necessario tornare a discutere né l'interpretazione austriaca, né l'interpretazione italiana del predetto articolo.

Se invece noi stimeremo necessarie tali ulteriori operazioni, allora la via più pratica per giungere ad un accordo, anziché una discussione interpretativa, parmi l'esame amichevole delle conseguenze utili o nocive di tali operazioni pel conseguimento dei fini comuni delle due Potenze alleate, che sono i seguenti: l), affrettare nello interesse della quiete balcanica e della pace europea, la cessazione delle ostilità sulla sola base possibile, cioè la sovranità italiana piena ed intera dell'Italia sulla Libia; 2), evitare pericolose alterazioni dello statu qua territoriale balcanico.

Questo modus procedendi mi sembra migliore che l'accentuazione della discorde interpretazione dell'articolo 7, la quale, del resto, dovrebbe essere discussa tra tutti e tre gli alleati, poiché tutti e tre i firmatari del trattato sono interessati alla retta interpretazione d'una delle sue disposizioni fondamentali, che, quantunque in prima linea concerna soltanto l 'Italia e l'Austria, tuttavia per la sua grande importanza investe tutto lo spirito e tutta la solidità ed efficacia della Triplice Alleanza e della politica generale delle tre Potenze.

Le ricordo ad ogni buon fine (suo telegramma n. 657)2 che Aehrenthal non contestò che le coste asiatiche dell'Egeo sono fuori della sfera degli interessi politici dell'Austria-Ungheria. Mi pare evidente che ciò si applichi anche a Mitilene e Scio così vicine alle coste asiatiche.

Vi ha poi un'altro aspetto della questione, che, al momento opportuno, V.E. potrebbe far notare a Berchtold.

Anche se giustificato dalla lettera o dallo spirito dell'articolo 7, l'opposizione dell'Austria ad alcune nostre operazioni e, in via di fatto, per le sue conseguenze militari e politiche, se non una violazione della neutralità, certo almeno una interpetrazione ed applicazione della neutralità, che favorisce la Turchia e danneggia noi, e che è ben diversa da quella che si applica in tutte k altre gut>rre, e da quella che in questa stessa guerra applicano le altre Potenze. In quella vece, in tutti quei casi nei quali le regole della neutralità giovano alla Turchia, l'Austria le applica col massimo rigore, così che essa ha due criteri di neutralità, uno quando giova alla Turchia, ed uno del tutto diverso quando potrebbe giovare all'Italia. Per ragioni di equità e di legittima

compensazione, essa dovrebbe interpretare ed applicare in alcuni casi la neutralità in modo più favorevole all'Italia. Oggi essa applica due pesi e due misure. Diverse questioni, come il riconoscimento della nostra sovranità, lo svolgimento delle trattative di pace, ed altre, possono offrire all'Austria occasione di compensare il danno che ci fa la sua opposizione alla nostra piena libertà d'azione bellica. E' anche strano che né essa né la Germania, abbiano mai voluto rendere, non solo all'Italia ma anche alla Turchia, il servigio di vera amicizia, che consisterebbe nel far capire agli uomini, che governano la Turchia, anche in conversazioni non ufficiali, la vanità della loro illusione che l 'Italia possa mai cedere sulla questione della sovranità.

795 1 Cfr. n. 780.

796 1 T. Gab. segreto 671/117 del 24 aprile, non pubblicato.

796 2 Cfr. n. 794.

797

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 627/65. Costantinopoli, 25 aprile 1912 (per. ore 16,45 del 26) 1.

Questo ambasciatore di Russia ritiene che la nota della Sublime Porta non sia un rifiuto ma che la Sublime Porta voglia mantenere il contatto colle Potenze. La parola «préalable» che si trova nella risposta è dovuta, secondo lui, alla circostanza che la Turchia ha conosciuto il memoriale italiano, il che ha nociuto ai negoziatori per la mediazione. Egli ha fatto osservare al sottosegretatio di Stato per gli affari esteri, che consegnava la risposta, che, tra ammettere la mediazione e l'adoperare quella parola, vi era quasi contraddizione. Risulta a Giers che Pallavicini ha fatto la stessa osservazione. Mi ha detto pure che, secondo lui, se questa risposta è concepita in una forma dura, ciò è dovuta alla nostra dimostrazione navale ai Dardanelli che ha eccitato l'opinione pubblica, che il Governo è obbligato di seguire essendo troppo debole per dirigerla. Ha aggiunto che nel fondo la Sublime Porta non è stata malcontenta di questo attacco nella speranza che esso crei degli imbarazzi all'Italia e che metta quest'ultima di fronte all'Europa.

Circa all'azione navale nel Mar Egeo mi ha detto che bisogna distinguere i due effetti, cioè la ripercussione ed il pegno. Egli ritiene che ripercussione non ve ne sarà alcuna, sia che Italia occupi le isole dell'alto o del basso Mar Egeo. Per avere un effetto di ripercussione secondo ambasciatore di Russia occorre o forzare i Dardanelli o un successo più visibile in Tripolitania, dal quale i turchi-arabi escano battuti. Ma la prima ipotesi apra l'adito forse alla rivoluzione a Costantinopoli ed a complicazioni più gravi. Per l'effetto del pegno secondo ambasciatore di Russia è sufficiente un'azione nel basso Mare Egeo perché l'occupazione nell'alto Mar Egeo avrebbe gli stessi inconvenienti di un attacco ai Dardanelli, cioè la successiva chiu

837 sura degli stretti ed il rafforzarsi dell'opinione in Turchia che le Potenze metteranno un alt all'azione dell'Italia.

Ciò nel fondo è desiderato dalla Turchia e questo è il linguaggio di tutta la stampa. Ad ogni modo mi ha detto che la mediazione devesi fare e che egli si è espresso in questo senso col suo Governo. Mentre Marschall considera la risposta della Sublime Porta come un punto di vista ottomano, dal quale non si dipartirà assolutamente inconciliabile col punto di vista italiano.

Giers la considera come un punto di partenza. Ma ha detto infine che vi è qui la tendenza a mettere l'Italia di fronte all'Europa, perché i turchi si rendono conto che la mediazione, per quanto concepita in un senso strettamente neutrale, è però favorevole all'Italia, perché da un'azione navale nell'alto Mar Egeo a Lemnos, Tenedos e Imbro, che avrebbe per conseguenza immediata la chiusura degli stretti, questa tendenza prenderebbe maggior forza, e che la Turchia nel fondo non domanda di meglio che le Potenze mediatrici intervengano, ma questa volta non più in senso favorevole ali 'Italia.

797 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 26, ore 12,30.

798

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 624/18. Atene, 26 aprile 1912, ore 3 (per. ore 6,30).

Ho avuto oggi lungo colloquio col presidente del Consiglio. Venizelos mi ha detto che, nonostante gravi danni economici prodotti dalla chiusura Dardanelli, Grecia segue con viva simpatia nuova fase nostra azione e fa voti perché essa sia risolutiva. Egli non mi ha tuttavia dissimulato i suoi dubbi circa efficacia immediata nostra azione n eli 'Egeo eccettuandone beninteso passaggio Dardanelli. Occupazione isole, egli ha soggiunto, sarà sempre ritenuta dai turchi misura provvisoria senza gravi conseguenze future. Bisogna colpire Turchia con la minaccia di una perdita permanente e porla nell'alternativa di cedere subito o di sottostare a quella perdita. Italia può fare ciò minacciando occupare tre principali isole: Mitilene, Scio e Rodi per proclamarle autonome a somiglianza Samos. Se entro pochi giorni le proposte di pace dell'Italia non fossero accolte, minaccia dovrebbe avere seguito. Italia dovrebbe armare popolazioni cristiane e prendere tra due fuochi guarnigioni ritirate all'interno. Con la promessa garantita (?) 1 della autonomia sotto la protezione italiana, non vi ha dubbio che cristiani insorgerebbero. Appoggiati validamente nell'azione e assicurati contro ogni rappresaglia nell'avvenire, seguirebbero fedelmente direzione dei metropolitani opportunamente predisposta da autorità superiori. Venizelos ha osservato poi

838 che isole, figurando fra i domini asiatici dell'Impero ottomano, Italia non verrebbe meno alle sue note affermazioni relative Balcani e che non si urterebbe suscettibilità di alcuna Potenza.

Ho risposto che accoglievo, a semplice titolo personale, le idee da lui esposte e che personalmente le trovavo degne di serio esame. Non mi sono però astenuto dal manifestare a mia volta i dubbi seguenti: l) Quale accoglienza farebbero in generale Grandi Potenze alla proclamazione d'autonomia delle isole e particolarmente Inghilterra che vedrebbe alimentata agitazione autonomia [ ...]2 di Cipro accentuatasi in questa ultima settimana? 2) Avrebbe quella proclamazione un poco indiretta ripercussione sulla Bulgaria agognante all'autonomia macedone e presumibilmente gelosa di un vantaggio che verrebbe accordato all'ellenismo ? 3) Otterrebbe un tale avvenimento il desiderato effetto a Costantinopoli, ove ben si sa che il nuovo regime delle isole abbisognerebbe del suo consenso e di quello internazionale? Venizelos non ha partitamente risposto a tali mie domande, ma si è dimostrato che, di fronte al fatto compiuto, le Potenze non potrebbero che ratificare un regime conforme alla logica etnica, ai precedenti, alla volontà popolare e pur rispettante sovranità sultano. Quanto all'effetto su Costantinopoli, Venizelos ha insistito nel considerarlo quasi sicuro stante naturale apprensione della Sublime Porta per quanto riguarda ellenismo nell'Egeo. La presente nostra situazione internazionale e le vedute del R. Governo, non essendomi note che in parte non mi pronunzio sull'opportunità di una nostra decisione nel senso proposto dal signor Venizelos. Informo bensì, ad ogni modo, l'E.V. che mi sarebbe agevole riprendere con lui la conversazione su questo argomento3.

798 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

799

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 628/123. Vienna, 26 aprile 1912, ore 19,50 (per. ore 21,05).

Berchtold mi fece rimettere ieri sera dal segretario Hoyos testo tedesco della dichiarazione che sarebbe sua intenzione fare alle Delegazioni e di cui è cenno nel mio telegramma Gabinetto 110 segreto1• Pregai Hoyos di far conoscere Berchtold mi sarei recato oggi da lui per sottomettergli, a scanso di equivoco, testo in francese della dichiarazione stessa prima di trasmetterla a VE. Avendo Berchtold, che ho visto ora, approvato traduzione francese, ne trascrivo qui sotto testo. «Le Gouvernement italien a manifesté dès le commencement de la guerre avec la Turquie sa ferme

3 Per la risposta cfr. n. 800.

volontè de se conformer aussi à l'avenir à la base fondamentale de sa politique orientale, c'est-à-dire au maintien du statu quo dans les Balkans. Le contact maintenu depuis cette époque avec le Cabinet de Rome, me donne raison fondé de croire fermement qu'il n'y a lieu de craindre de la part de l'ltalie aucune menace pour la tranquillité de la péninsule balcanique et d'autant moins un changement dans les possessions de la Turquie».

Testo dichiarazione è, su per giù, conforme ai termini contenuti nel mio telegramma suddetto ed in essa è aggiunta, secondo desiderio di V.E., la parola «Balcanm.

Forse per rendere la seconda parte della dichiarazione più omogenea alla prima e per non pregiudicare questione delle eventuali nostre operazioni nell'Egeo, si potrebbe dire invece «possessions européennes» de la Turquie: «possessions balcaniques de la Turquie» avendo Berchtold interesse, prego V.E., volergli fare conoscere domani mattina se approva testo dichiarazioni. Sarei grato a VE. di telegrafarmi d'urgenza mettendomi in grado di comunicargli domattina stessa sua risposta al riguardo2 .

798 2 Gruppo indecifrato.

799 1 T. Gab. segreto 575/11 O del 21 aprile, non pubblicato.

800

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI

T. GAB. SEGRETO 681. Roma, 26 aprile 1912, ore 20,10.

Personale di S.E. il Ministro.

Suo telegramma Gabinetto 18 segreto1•

Fino a quando avremo deciso se occuperemo altre isole, oltre Stampalia già occupata, nonché quali convenga occupare e quando, a noi conviene evitare con cura tutto ciò che potrebbe far temere alle Potenze ed all'opinione pubblica europea che qualche occupazione nostra di isole possa avere le conseguenze politiche accennate da Veniselos a lei, e possa eccitare agitazioni e speranze tra gli elleni del Regno e dell'Impero ottomano e dare luogo a probabili complicazioni balcaniche od altro.

Se tali timori si concepissero in Europa ne potrebbero derivare ostacoli gravi alla nostra eventuale azione.

Sarebbe perciò necessario che delle nostre possibili occupazioni di isole ed operazioni navali nell'Egeo e dei loro possibili effetti si parlasse in Grecia ed in Oriente il meno possibile, e specialmente che si astenessero dal parlarne i giornali di Atene ed i corrispondenti di giornali italiani ed esteri.

Per la stessa ragione ella dovrebbe, almeno sino a nuove istruzioni, evitare di riparlare del delicato argomento con Veniselos, e, se egli gliene riparla, potrebbe dirgli di avermi riferito il suo colloquio, non per telegramma, ma con rapporto probabilmente non ancora giunto a Roma.

Se qualche isola sarà occupata, e dopo che sarà occupata decideremo allora la linea di condotta da seguire, e gradirò a suo tempo il parere così competente della S.V

799 2 La risposta definitiva fu data con T. Gab. urgente personale 689 del 27 aprile, non pubblicato, dopo che di San Giuliano ebbe conferito con Giolitti. Si decise di sostituire la parola «balcaniche» alla parola «europee».

800 1 Cfr. n. 798.

801

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETRBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2747/68. Pietroburgo, 2 7 aprile 1912, ore 18, 3 5 (per. ore 20,50).

Faccio seguito al mio telegramma 67 1• Ecco la traduzione letterale dei punti del discorso Sazonoff che ci riguardano.

Le nostre relazioni amichevoli coll'Italia, che hanno trovato chiara espressione nella visita di Racconigi, continuano a svilupparsi e raffozzarsi. La solidità di quelle relazioni è meglio che da ogni altra cosa garantita dall'uguaglianza dei punti di vista sulle cose balcaniche. L'Italia, come la Russia, considera con benevolenza lo sviluppo pacifico degli Stati balcanici. Nei mezzi di condurre la guerra abbiamo visto che l'Italia ha coscienza del pericolo di complicazioni balcaniche.

Difatti, l'Italia, fin all'ultimo tempo, ha limitato il campo delle sue azioni di guerra in luoghi lontani, mostrando chiaramente di fare in modo che gli interessi delle Potenze neutrali non fossero troppo sensibilmente toccati. Il bombardamento dei Dardanelli, non accompagnato da ulteriore azione militare, mostra che l 'Italia non ha cambiato simile attitudine, infatti la flotta italiana, dopo di avere occupato una isola dell'Arcipelago, è già ritornata in Italia. La decisione presa dalla Turchia di chiudere i Dardanelli reca danno ai nostri interessi commerciali. In questo senso l'ambasciatore di Russia a Costantinopoli ha fatto una dichiarazione alla Sublime Porta, riferendosi alla libertà di navigazione garantita dai trattati alle navi straniere neutrali. Abbiamo ragione di sperare che la libertà di navigazione sarà presto ristabilita. Gli avvenimenti di questi ultimi giorni hanno chiaramente dimostrata quanto facilmente la guerra italo-turca possa sensibilmente disturbare gli interessi delle Potenze e quanto sia perciò giustificata in previsione di complicazioni, l'iniziativa del Governo russo di rivolgersi alle Potenze interessate allo scopo di chiarire quei principii che potessero servire di base alla proposta di una mediazione. Le risposte date dall'Italia e dalla Turchia contengono due punti di vista opposti, in modo che l'azione delle Potenze non può avere conseguenze immediate. Per altro, vi è ragione

841 di credere che, raggiunta l'unità dei punti di vista sulla questione di principio del vantaggio di una mediazione per la pace europea e persuase dagli ultimi avvenimenti che una mediazione è desiderabile, le Potenze non cesseranno dallo scambio di idee col fine di rinnovare il loro tentativo pace, appena che sarà possibile.

Nei circoli politici e giornalistici, hanno prodotto profonda impressione il contrasto tra le calde espressioni del ministro degli affari esteri rispetto all'Italia e la sua estrema freddezza riguardo alla Turchia. Produsse poi ieri alla Duma grandissima impressione il fatto che il capo del partito dei cadetti, contrariamente ad ogni aspettativa, ha fatta una carica a fondo contro la Turchia e i Giovani Turchi, spingendo il Governo russo ad assumere un contegno più energico e quasi aggressivo verso la Turchia.

801 1 T. 2723/67 del 26 aprile, non pubblicato.

802

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 706. Roma, 29 aprile 1912, ore 19, 45.

Nell'odierno colloquio Jagow mi ha detto che anche in questi ultimi giorni il Governo tedesco, senza entrare nei particolari, ha raccomandato nuovamente al Governo austro-ungarico di evitare, nella questione della estensione delle nostre operazioni militari, tutto ciò che può turbare i buoni rapporti tra l'Italia e l'Austria-Ungheria.

803

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. PERSONALE URGENTE 700. Roma, 29 aprile 1912.

Suo telegramma Gabinetto n. 1261•

Sta bene.

Senza fare dichiarazioni a Berchtold, che in questo momento sarebbero pericolose, mi pare implicito che l'espressioni di lui si riferiscono, non già ad operazioni aventi carattere e scopo puramente militare o aventi il solo effetto politico di danneggiare la Turchia ed affrettare la pace, ma ad operazioni che, per la coincidenza

842 del tempo, del luogo e della situazione politica, abbiano fondata probabilità di dare ragione a rivolte o guerre nei Balcani, e mutamenti nello statu quo territoriale.

803 1 Con T. 641/126 del 28 aprile, non pubblicato, Avama riferiva di aver avuto una conversazione con Berchtold sulla sostituzione della parola «balcaniche» a quella «europee».

804

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA

T. GAB. SEGRETO 716. Roma, 30 aprile 1912, ore 17,40.

Mi risulta che questa ambasciata di Russia ha riferito o riferirà a codesto Governo che la Nazione italiana non transigerà mai sulla questione della piena sovranità politica in Libia e che, se i primi segni d'impazienza per la lunga durata della guerra che cominciano a manifestarsi, si diffonderanno, si formerà una corrente d'opinione pubblica irresistibile per spingere il R. Governo, non mai a cedere, bensì a compiere una azione militare a fondo colpendo la Turchia nei punti vitali qualunque ne siano le conseguenze.

Queste informazioni rispondono a verità, e sarebbe atto d'amicizia, non soltanto verso di noi, ma anche verso la Turchia, se, in amichevoli conversazioni con le sfere dirigenti ottomane, l'ambasciatore di Russia a Costantinopoli le comunicasse loro per disperdere le pericolose illusioni in proposito dei Giovani Turchi, le quali sono uno dei maggiori ostacoli alla pace.

Giudichi la E.V. se, quando e come sia opportuno che ella ne parli con Sazonoff.

805

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2800/298. Vienna, 30 aprile 1912, ore 20,30 (per. ore 1,10 del 1° maggio).

Berchtold fece oggi delegazioni ungheresi sua esposizione sopra politica estera Monarchia, ricordando innanzitutto opera suo predecessore e dichiarando volerne seguire orientamento politico. Continuò poscia: «Legami che ci uniscono Potenze alleate devono essere possibilmente rafforzati e rapporti con Stati amici sviluppati o divenire più cordiali. Sarà pertanto nostro compito seguire politica interessi legittimi la quale abbia presupposto scrupolosa lealtà verso nostri alleati ed amici e come fine raggiungimento conscio nostre giustificate aspirazioni. È nostra intenzione rimanere fedeli Triplice Alleanza, saldo fondamento del sistema degli Stati europei, che è stata provata dal tempo, dagli avvenimenti di rimanere fedeli alla sua lettera, fedeli al suo spirito, fedeli anche alla eccelsa idea di pace cui essa è chiamata a servire. Nostri rapporti con Germania sono inspirati sempre a più intima cordialità. Nel corso di decenni di alleanza rapporti stessi acquistarono la espressione di una solidarietà cosciente che trova la maggiore sua consacrazione nell'amicizia inalterabile due sovrani. Recente soggiorno, imperatore Guglielmo a Schonbrun ospite imperatore Francesco Giuseppe dimostrò nuovamente questo felice stato di cose, offrendo sovrani alleati occasione constatare, rafforzare, opera politica estera basata sopra tradizioni saldamente radicate pel raggiungimento scopi comuni. Ugualmente nostre relazioni con l'Italia portano inalterato marchio intimi rapporti alleanza. Calore tono con cui erano redatte condoglianze marchese di San Giuliano occasione morte mio predecessore è stata testimonianza alto valore attribuito a Roma ai leali sforzi conte Aehrenthal di inspirare maggiore fiducia possibile rapporto fra alleati. Non ho mancato rispondere cordialmente manifestazione uomo Stato italiano assicurandolo che col mutamento persone non era avvenuto alcun mutamento nostra politica. La lunga guerra delle nostra alleata non ha disgraziatamente trovato fine ancora. Nutriamo vivo desiderio possa presto cessare spargimento sangue. Con questo intendimento siamo pronti in avvenire, come in passato, aderire, nei limiti neutralità da noi osservata, qualsiasi azione che appaia atta condurre soddisfacente soluzione. Nostre relazioni con Russia devono essere oggetto cura premurosa.

Non sarà sfuggito loro che quando assunsi potere ebbe luogo uno scambio dispacci fra me ed uomini politici russi in cui venne manifestato desiderio volere agire parallelemente nello interesse pace. Queste intenzioni dominanti Vienna Pietroburgo sono state pure fatte note nel recente discorso Sazonoff alla Duma. Possiamo prendere atto con soddisfazione dichiarazioni ministro esteri russo essere pienamente convinti essere tal modo posto valido fondamento per amichevole ulteriori sviluppo reciproci rapporti».

Circa relazioni Francia disse non esistere conflitti interessi tra due Potenze ed osservò politica orientale della Repubblica essere conservativa come quella austroungarica, contribuisce quindi evitare complicazioni Balcani. Constatò con soddisfazione buone relazioni esistenti con Inghilterra, disse essere ormai svaniti malintesi sorti epoca annessione, espresse speranza punti contatto fra politica britannica austriaca siano giustamente apprezzati due Paesi.

«Interessi politica estera austro-ungarica stanno naturalmente nostre relazioni con Turchia. Da tempo remoto è stato un assioma nostra politica intrattenere relazioni buon vicinato con Impero ottomano e usare maggior cura per ottenere che complicazioni, che avessero eventualmente a sorgervi e che fossero atte comprometterlo, siano, per quanto possibile, limitate. Questa politica cui carattere eminentemente conservatore incontrò sempre approvazione tutti elementi interessati mantenimento pace, è ancora quella che costituisce linea direttiva nostre relazioni con Sublime Porta. Risulta dunque come conseguenza logica di tale concetto informatore nostro voto sincero possa presto essere composto conflitto svolgentesi attualmente coste tripolitane».

Disse Rumania essere fedele collaboratrice della Monarchia nella opera diplomatica mantenimento pace. Accennò trattati commercio con Montenegro, Serbia, Bulgaria, esprimendo sua soddisfazione per politica conservativa questo ultimo Regno, che è fattore importante pace balcanica. Augurarsi potersi presto conchiudere anche trattato commercio con Grecia.

«Tra principali questioni di discussione travasi sempre difficile problema trovare modo porre fine conflitto italo-turco. Passi fatti da principio dal mio predecessore a questo riguardo hanno trovato in massima le cinque Grandi Potenze neutrali consenzienti partecipare azione comune pacificatrice. Questa comunità propositi si è rilevata in forma concreta nel tentativo mediazione delle Potenze neutrali avvenuto recentemente iniziativa Gabinetto Pietroburgo, tentativo che ebbe accoglienza amichevole tanto Roma che Costantinopoli. Quantunque non possansi ritenere lievi divergenze delle pretese due parti belligeranti pure non devesi escludere speranza che riesca alle continue premure delle Potenze trovare finalmente soluzione onorevole per ambe le parti. Una tale soluzione parci corrispondente non solo interessi due Potenze belligeranti ma anche atta allontanare pericolo turbamenti pace penisola balcanica. Estensione azione flotta italiana mare Egeo conseguente chiusura Dardanelli diede luogo ultimamente non poche discussioni opinione pubblica. Non possiamo nasconderei che circostanze accompagnanti conflitto italo-turco sono tali da non sembrare, in certo qual modo, giustificate. Relativamente avvenimenti Egeo devesi tuttavia notare che Governo italiano fino inizio guerra manifestò fermo proposito attenersi anche in avvenire fermamente alla base sua politica orientale, cioè mantenimento statu quo Balcani. Contatto mantenuto allora in poi con Gabinetto Roma dammi fondato motivo ritenere fermamente che da parte Italia non siavi temere alcuna minaccia alla pace penisola Balcanica tanto meno un mutamento dei possedimenti della Turchia nei Balcani. Per quanto concerne tuttavia chiusura Dardanelli, abbiamo ritenuto attirare in via amichevole attenzione Porta sopra dannose conseguenze del provvedimento suddetto per nostra navigazione, esprimendo speranza tale misura venga revocata non appena abbia cessato esistere pericolo imminente per i Dardanelli. Abbiamo potuto constatare tale occasione che Porta rendesi conto danno notevole interessi neutri cagionato chiusura Dardanelli e propongasi, non appena circostanze permettano, provvedere riapertura stretti».

Dopo avere accennato soluzione questione Marocco, avvenimenti cinesi, situazione generale della politica estera che disse non essere in complesso cattiva, nonché alla fitta rete accordi intese tra Potenze appartenenti aggruppamenti omogenei od eterogenei che non poteva non complicare situazione internazionale, rilevò che «politica Monarchia è politica stabilità pace, intenta conservare quanto esiste, evitare complicazioni, sconvolgimenti. Questa politica deve servire nostri legittimi interessi tutelarli sempre ovunque. Non perseguiamo una politica di sconvolgimento, non abbiamo tendenze aggressive né idee espansione. Ci troviamo però geograficamente tra Stati militari continuamente rafforzanti loro armamenti non ammettenti ingerenze nelle loro decisioni».

Conchiude raccomandando votare crediti militari nello interesse morale Monarchia mantenimento pace.

806

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA

T. GAB. 728. Roma, l0 maggio 1912, ore 0,55.

Apprendo adesso che Grey avrebbe risposto ai rappresentanti degli interessi commerciali che telegraferà a Costantinopoli e a Roma per ottenere che le navi di commercio possano passare liberamente in modo permanente dall'Egeo al Mar Nero e viceversa.

È evidente che noi non possiamo rinunziare ai nostri diritti di belligeranti. Tale passo di Grey incoraggerà la Turchia a tener chiuso lo stretto.

L'unico modo di ottenere l'apertura è che appena avuta la nostra risposta conforme al nostro diritto di belligeranti, Grey faccia passi presso la sola Turchia appoggiando l'azione della Russia. In tale caso è indubbio che la Turchia cederà subito. Ripeto che il nostro diritto di belligeranti è perfettamente compatibile cogli interessi commerciali che Grey vuole tutelare perché la Turchia non ha diritto di chiudere lo stretto se non al momento di attacco iniziato.

Pregola parlare subito con codesto ministro degli affari esteri. (Per Londra soltanto). Sarebbe utilissimo che anche Benckerdoff vedesse subito Grey1•

807

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2806/117. Londra, 10 maggio 1912, ore 14,45 (per. ore 17,30).

Interrogato ieri alla Camera dei Comuni se Governo italiano aveva fatto sbarcare armi e munizioni sulla costa araba del Mar Rosso e se Governo britannico si proponeva provvedere impedire una generale distribuzione di armi alle tribù del sud Arabia, Grey ha risposto di non sapere che il Governo italiano abbia sbarcato armi, munizioni in quella costa; non constargli vi sia stata generale distribuzione armi nel sud Arabia, e non essergli giunta in proposito informazione che indichi necessità o costituisca base di passo qualsiasi al riguardo.

806 1 Per il seguito cfr. n. 808.

808

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA

T. GAB. SEGRETO 736. Roma, l° maggio 1912, ore 17, 15.

Confermo il mio telegramma Gabinetto n. 728 1 .

Il passo che Grey vorrebbe fare a Roma per la permanente libertà dello stretto e il fatto di averlo pubblicamente annunziato presentano gravissimi inconvenienti e pericoli: l) per la soluzione della questione dell'apertura dei Dardanelli; 2) per la pace italo-turca; 3) pei rapporti anglo-italiani.

Tali inconvenienti possono essere eliminati se Grey rinunzierà a fare detto passo a Roma, e possono essere attenuati e forse anche eliminati se, dopo averlo fatto e aver avuto nostra risposta conforme al nostro diritto, non vi insisterà, riconoscendo il nostro diritto, ed in quella voce appoggierà senz'altro i passi della Russia a Costantinopoli per l 'immediata e incondizionata apertura dello stretto.

Le ho già telegrafato le ragioni per cui questa soluzione è l'unica giusta.

Il passo a Roma: l) non affretterebbe ma ritarderebbe la riapertura dei Dardanelli perché incoraggierebbe la Turchia a resistere alle insistenze della Russia per la riapertura; 2) ritarderebbe e renderebbe più difficile la pace perché farebbe ritenere ai turchi inaccettabile la loro capitale e lo stretto2 produrrebbe in loro la impressione d'una vittoria diplomatica contro l'Italia, aumenterebbe il loro orgoglio e la loro intransigenza; 3) turberebbe durevolmente i rapporti anglo-italiani perché offenderebbe la dignità e gli interessi più vitali del nostro paese in questo grave momento politico e militare in cui la Nazione italiana è più suscettibile.

Pregola parlare subito con codesto ministro degli affari esteri. Per l'armistizio locale di pochi giorni le dirigo altro telegramma3 .

809

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 678/90. Pietroburgo, l° maggio 1912, ore 20, 15 (per. ore l,15 del 2).

Telegramma di V.E. Gabinetto 71 O1 e Gabinetto 728 2• Sassonoff mi ha detto che ieri questo ambasciatore d'Inghilterra era venuto a fargli formale proposta di un passo

Cfr. n. 806.

Così nel documento. 3 Per il seguito cfr. n. 812. 809 1 T. Gab. segreto 71 O del 30 aprile, non pubblicato.

Cfr. n. 806.

847 collettivo a Roma per ottenere un armistizio locale per un certo tempo onde riparare al grave danno che deriva al commercio neutrale per la chiusura degli stretti. Sassonoff dopo aver fatto rilevare all'ambasciatore d'Inghilterra che già altra volta gli aveva espresso il suo avviso di non poter in alcun modo agire sull'Italia aggiunse che sulla mia categorica dichiarazione che l'Italia non avrebbe consentito mai ad una limitazione qualsiasi delle sue operazioni militari e che il Governo italiano avrebbe considerato come atto poco amichevole ogni passo fatto in questo senso mi aveva formalmente e categoricamente promesso che il Governo russo non si sarebbe unito mai a delle azioni diplomatiche promosse da qualsiasi Potenza tendenti a questo fine. Stando così le cose ogni discussione era oziosa perché egli non avrebbe mai consentito né a questo né a simile proposta e consigliava anzi molto il Governo britannico di astenersi da qualunque passo in tal senso che avrebbe prodotto una disastrosa impressione sull'opinione pubblica italiana. L'ambasciatore d'Inghilterra aveva chiesto allora se il Gabinetto di Pietroburgo si asterrebbe anche nel caso l'Austria-Ungheria aderisse alla proposta inglese. Al che Sazonoff rispose categoricamente che dalla sua linea di condotta non si sarebbe mai allontanato. Dopo ciò Sazonoffha l'impressione che l'Inghilterra rinunzierà ad ogni ulteriore tentativo e non si deciderà da sola a fare alcun passo a Roma. Ho espresso a Sazonoff i nostri più vivi ringraziamenti per il suo atteggiamento leale amichevole ed energico. Ai miei ringraziamenti egli rispose che il suo atteggiamento era naturale perché essendo identici gli interessi rispettivi era naturale che lavorassimo insieme. Avendogli poi chiesto che cosa si proponeva di fare dopo il rifiuto della Turchia di aprire gli stretti, egli mi disse che aveva inviato alle Potenze una circolare con la quale invitava i diversi Gabinetti ad unirsi alla Russia per insistere presso la Sublime Porta nella domanda di aprire senza indugio i Dardanelli dimostrando che il Governo ottomano tentava un ricatto essendo a tutti noto che lo stretto può essere facilmente chiuso in caso di attacco ed essendo parimenti a tutti noto che la squadra italiana è a molte ore di distanza dai Dardanelli. Sazonoff ha poi telegrafato al suo ambasciatore a Londra perché confenni al Governo britannico quanto aveva detto all'ambasciatore a Pietroburgo.

810

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 680/89. Pietroburgo, l° maggio 1912, ore 20,16 (per. ore 0,40 del 2).

Facendo seguito al mio telegramma 70 1• Sazonoff mi disse che la sola parte della risposta turca che costituisce per lui una sorpresa, fu quella in cui si parla del ritiro delle truppe italiane dalla Libia.

81 O 1 T. Gab. 651/70 del 29 aprile, non pubblicato.

Egli considera tale condizione come assurda e pazza e che ha reso impossibile per il momento continuazione delle trattative. Gli chiesi che cosa si proponeva fare ora.

Mi disse avrebbe fatto conoscere alla Sublime Porta che la risposta data da lei non sarebbe stata comunicata all'Italia escludendo essa ogni possibilità discussione e che aveva inviato alle Potenze la circolare di cui mio telegramma 70, riservandosi poi riprendere iniziativa alla prima occasione favorevole. Gli ho chiesto quale, secondo il suo parere, poteva essere tale occasione. Ha risposto: quando avrete colpito bene Turchia. Domandai Sazonoff se egli, come autore della mediazione, non si sentisse offeso dalla risposta assurda e poco seria della Turchia e se non pensasse mostrare Costantinopoli suo giusto risentimento. Mi rispose che sarebbe disposto farlo, se non fosse solo e «se ci (fosse) una Europa» di faccia Turchia ma che disgraziatamente Europa era divisa e ogni Potenza solo preoccupata dei propri interessi particolari. In tale modo non era possibile raggiungere quella unanimità che in una momento potrebbe far cessare guerra. Riprendendo allora un argomento da me a più riprese toccato, gli dissi che se questa unanimità non esiste, si sarebbe potuta raggiungere per altra via con un atto energico e decisivo da parte della Russia, con procedere cioè al riconoscimento del fatto compiuto. Sazonoff mi rispose che aveva maturamente riflettuto a tutte le cose dettegli in proposito ed essersi ormai convinto che suo riconoscimento isolato non sarebbe stato certamente seguito da alcuna altra Potenza. «Sarebbe stato un colpo spada nell'acqua» dannoso Russia e di nessuna utilità pratica. Tutti i miei ragionamenti già più volte ripetutegli non lo hanno smosso da questa convinzione. Mi ha confermato, però, che egli sarebbe disposto prendere l'iniziativa di un immediato riconoscimento se sicuro essere seguito dalla Francia, ma sostiene che la Francia certamente non lo seguirebbe.

Mi confermò anche che non gli importerebbe, una volta che la Triplice Intesa avesse riconosciuto fatto compiuto, quale decisione sarebbero per prendere Germania e Austria-Ungheria.

811

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1225/552. Parigi, l° maggio 1912 (per. il 3).

Ho avuto un lungo colloquio col signor Courtellemont che ha viaggiato lungamente in tutti i Paesi musulmani d'Europa di Asia e d'Africa, che è uno dei pochi europei che è stato alla Mecca ed il solo europeo che è stato a Medina e quindi più di qualunque altro europeo conosce profondamente l'anima musulmana, specialmente araba.

Egli dice che gli arabi sono ingenui ed impressionabili, facili ad essere eccitati, facili a ritornare sulle loro impressioni, proclivi ad inchinarsi al più forte, pronti sempre ad andare contro la forza d'astuzia e d'inganno, pronti alla crudeltà quando è consigliata dai loro interessi e dalla loro religione.

Qualunque cosa si voglia ottenere da essi bisogna appoggiarla coll'autorità del Corano. Courtellemont si trovò a Giaffa quando scoppiarono colà i disordini contro la posta austro-ungarica. La folla eccitata, dopo aver gettato a mare i pacchi della posta voleva recarsi al consolato austriaco per massacrare il console. Allora un ufficiale turco gridò: «Silenzio! Tutti i buoni musulmani ascoltino». E quindi citò vari brani del Corano che inculcavano la misericordia ed il perdono e concluse dicendo che se volevano mostrarsi buoni musulmani rispettosi della legge di Maometto dovevano risparmiare il console austriaco che non aveva mai fatto loro alcun male.

La folla persuasa si disperse ed al console non fu torto un capello. Così la propaganda contro i francesi al Marocco è stata fatta mostrando alle masse musulmane che dove esse sono indipendenti ci sono dei capi musulmani ricchi e potenti, mentre nella vicina Algeria non ci sono capi musulmani né musulmani ricchi; ma i musulmani per guadagnare da vivere devono adattarsi a lavori vili facendo da lustrascarpe o da facchini. Questo ragionamento ha colpito le masse marocchine e le ha spinte alla rivolta contro i francesi. Questo lavoro di propaganda è stato fatto dai turchi con grande abilità presso gli arabi di Tripolitania e Cirenaica riunendoli tutti contro gli italiani. I turchi hanno mostrato di avere una profonda conoscenza dell'anima araba. Noi non avremmo potuto opporci a tale propaganda che per mezzo di emissari di religione musulmana, ovvero affermandoci e mostrandoci agli occhi degli arabi più forti di quel che le circostanze ci han consentito e proteggendoli meglio contro i turchi quando si sono mostrati disposti a venire con noi. Il fatto che la popolazione araba di Tripoli e Bengasi è soddisfatta del nostro dominio conta poco. La popolazione delle città sarà certamente con noi finché noi saremo in forza nelle città stesse ma essa nulla ha che fare colle popolazioni nomadi sulle quali noi non abbiamo presa. Queste odiavano i turchi ed è veramente una cosa meravigliosa quella che i turchi hanno fatto persuadendole a deporre tale odio e ad unirsi a loro per combatterci. Così la guerra di Tripolitania se non è una guerra santa nel senso letterale della parola, è una guerra a base di fanatismo religioso in guisa che oggi i musulmani di tutto il mondo desiderano la sconfitta degli italiani e fanno voti pel trionfo

delle armi turche. Però questo movimento islamico è contro tutte le Potenze europee che aspirano al dominio dei Paesi musulmani e quindi anche contro il protettorato francese in Marocco.

Courtellemont crede che la Francia al Marocco e l'Italia in Tripolitania dovranno per molti anni ancora superare gravi difficoltà e spendere ingenti somme, però per l'Italia le difficoltà sono maggiori e quindi maggiore sarà per essa la spesa.

812

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 742. Roma, 2 maggio 1912, ore l.

Oggi è venuto l'ambasciatore d'Inghilterra e mi ha comunicato copia delle seguenti istruzioni inviate dal suo Governo all'ambasciatore d'Inghilterra a Costantinopoli:

«Décision du Gouvernement ottoman de ne pas ouvrir passage dans le détroit est grave.

Cent-cinquante vaisseaux dont le plus grand nombre anglais (100.000 tonneaux) sont détenus. Armateurs ont déjà perdu environ Ls. 100.000 et délai leur coùte au moins Ls. 9000 par jour. Les chargements des blés en plus grande partie sont aptes à détérierer.

Des mesures de relief temporaire sont nécessaire pour prévenir à cette congestion et pour éviter pertes ultérieures sur vaisseaux et cargaisons.

Vous devez recommander avec insistence au Gouvernement ottoman d'ouvrir un passage, au moins comme mesure temporaire pour une période qui suffira à assurer l'entrée et la sortie des vaisseaux actuellement arrètés.

Laissant de còté le fait qu'une attaque immédiate contre les Dardanelles ne paraìt pas ètre probable la Turquie pourrait facilement en cas de danger fermer très rapidement le petit passage qui suffirait pour permettre à la navigation marchande d'ètre pilotée à travers le détroit.

Obtenez réponse avec le moindre délai possible en vue de la grande urgence de cette question». Egli poi in via confidenziale, mi comunicò la seguente traduzione d'un telegramma direttogli da sir Edward Grey:

«En portant à la connaissance du ministre des affaires éntrangères les instructions que nous avons données à notre ambassadeur à Costantinople, vous expliquerez à S.E. que si le Gouvernement italien pourrait faciliter le relief que nous cherchons à obtenir, en nous mettant à mème de dire au Gouvernement ottoman que pendant une période raisonnable quand le passage sera ouvert, pour l'entrée et pour la sortie des vaisseaux marchands, le détroit ne serait pas attaqué, son action serait vivement appréciée ici».

lo gli ho detto che non potevo dargli risposta senza aver prima conferito col presidente del Consiglio e col ministro della guerra e della marina, ed ho esposto tutte le obiezioni, a V.E. ben note, contro questa proposta, senza però escludere ogni speranza che il Governo italiano possa forse finire per accettarla, se risulterà non esservi altro mezzo di evitare tanti danni all'Europa.

Gli ho detto pure che, in ogni modo, prima di decidere se accettarla o no conveniva assicurarsi se fosse o no gradita alla Russia e se vi fosse modo di ottenere dalla Turchia la riapertura dello stretto senza condizioni, per non creare un precedente pericoloso contro l'interesse permanente della libertà degli stretti e dell'Europa intera.

Rodd replicò che si potrebbe dichiarare che tale concessione alla Turchia non costituisce un precedente e non pregiudica il principio.

Gli domandai se l'Inghilterra desidera che noi prendiamo un impegno di non attaccare per alcuni giorni lo stretto, o se le basta di essere autorizzata a dichiarare alla Turchia che essa sa che noi abbiamo l'intenzione di attaccarlo per il medesimo breve periodo.

Rodd rispose che crede che il suo Governo preferirebbe la prima di queste due formule, ma che forse potrà bastare la seconda.

La conversazione non condusse, né poteva condurre, ad un risultato definitivo, ma fu molto cordiale, e Rodd tenne molto a dichiarare che il Governo inglese si limitava a domandare le nostre intenzioni, e a far notare quanto saremmo, col nostro consenso, benemeriti della Nazione inglese e dell'Europa intera, aggiungendo che tale passo, non solo non implicava, ma escludeva, ogni tentativo di limitare, per tutta la durata della guerra, il teatro delle nostre operazioni militari.

Dopo Rodd ho ricevuto Mérey che mi lasciò copia del seguente telegramma di Berchtold1: «Le chargé d'affaire de S.M. britannique a été chargé de s'informer auprès de

S.E. le comte Berchtold, si le Gouvemement [impérial et royal serait prèt à s'associer avec le Gouvemement] de S.M. britannique en s'andressant au Gouvemement italien pour savoir si ce dernier serait disposé à donner des assurances de s'abstenir de toute attaque sur !es Dardanelles pendant une période suffisante pour mettre fin à la congestion dans le trafic amassè dans le détroit.

Sir E. Grey a adressé une interrogation pareille au Gouvemement russe puisque selon son information ce Gouvernement aurait déjà fait, ainsi que le Gouvernement imperia! et royal, des démarches à Costantinople (semblable à celle qu'à faite le Gouvemement de S. M. britannique) dans le but de faire ouvrir de nouveau les Dardanelles.

Dans le cas où le Gouvemement italien consentirait donner ces assurances, les trois Gouvemements pourraient ensuite inviter le Gouvernement ottoman à rouvrir le passage sans délai.

Dans le cas où les autorités ottomanes ouvriraient le détroit de leur propre iniziative dans le cours de la semaine, il ne serait naturellement pas nécessaire de faire aucune démarche a Rome».

Io risposi a Mérey press'a poco negli stessi termini che a Rodd.

Mérey, pur insistendo, più che Rodd, per una risposta non troppo ritardata, mi fece ben notare che non si tratta di una proposta austriaca, ma di una proposta inglese, alla quale l'Austria, almeno sin ora, non si è associata; ed aggiunse, come un amichevole e confidenziale consiglio di Berchtold, che noi produrremmo a favor nostro buona impressione in Europa, se facessimo spontaneamente l'offerta di tale breve sospensione di ostilità, senza aspettare che ci sia chiesta.

Io gli feci osservare che apprezzavo il consiglio amichevole, ma che mi pareva pregiudicato tanto dal passo di Rodd quanto dalle pubbliche dichiarazioni del Governo britannico.

812 1 Ed. in OeUA, vol. IV, n. 3502.

813

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. SEGRETO 743. Roma, 2 maggio 1912, ore 11,40.

Suo telegramma Gabinetto n. 1301•

Se sarà necessario aderire desiderio inglese per assicurare apertura Dardanelli, e se ciò non riesce sgradito alla Russia, è molto probabile che aderiremo, ma pare che non sarà necessario, perché Agenzia Stefani ora mi comunica decisione Governo turco di riaprirli e intanto Torretta mi telegrafa articolo Novoie Vremia che attacca Sazonoff pel caso che riapertura non facciasi senza condizioni e in virtù del solo diritto della Russia.

814

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO

T. RISERVATO 18951 . Roma, 3 maggio 1912, ore 13,50.

Prego telegrafarmi quale impressione abbia prodotta costà la soluzione data alla questione della chiusura dei Dardanelli. Gradirei conoscere anche in qual modo vien giudicato il contegno delle varie Potenze e come la Subblime Porta abbia apprezzato

il progetto ventilato a Londra di un armistizio temporaneo, cioè se in senso favorevole od ostile alla Turchia. Gradirei molto anche conoscere l'impressione di MarschalF.

813 1 Imperiali con T. Gab. segreto 6751130 del 2 maggio, non pubblicato, riferisce sulla comunicazione inglese circa la richiesta all'Italia di assicurare la Turchia che per due settimane navi italiane non avrebbero attaccato i Dardanelli.

814 1 Il telegramma fu trasmesso via Sofia.

815

L'AVVOCATO SALEM AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Costantinopoli, 4 maggio 1912.

J'ai eu l'occasion de donner connaissance à M.C. Pacha de la lettre que V.E. a bien voulu m'adresser le 22 avriil.

Le général m'a répété les raisons précedemment exposées et pour lesquelles il considère impossible pour la Turquie d'adopter le point de vue du Gouvemement italien tendant au maintien du décret d'annexion.

Le général m'a ajouté que les sentiments dominants dans les sphères gouvernementales et dans le pays tels qu'ils ont été exposé dans la réponse que la Sublime Porte a donné aux Puissances médiatrices.

Cette réponse démontre les difficultés qu'il y aurait à surmonter pour faire mème adopter les idées par moi esquissées dans la lettre précedente qui pourraient constituer une solution acceptable pour les deux pays.

Si ces idées pouvaient ètre cependant adoptées de part et d'autre, on pense qu'il ne saurait y avoir matière à conflit ultérieur e n tre l '!tali e et la Turquie, car la cession à faire serait effectuée sans prescrition aucune et le seui fait que les deux pays deviendraient limitrophes ne pourrait donner lieu à acune question ultérieure.

Dans cet entretien, j'ai eu l'impression que le général considère qu'un accord isolé entre la Turquie et l'Italie pour la Turquie européenne ne serait que d'une utilité relative et pourrait ètre de nature à éveiller des susceptibilités et peut-ètre l'hostilité d'autres Puissances.

Par contre, si j'ai bien compris, le général animé du désir d'assurer à la Turquie une ère de paix qui lui permette de se développer et de se régénérer, attache une réelle importance à savoir si le Gouvemement italien, de concert avec tel ou te! autre groupe de Puissances, serait à mème d'apporter à la Turquie des accords tendant à lui garantir pour l'avenir des appuis politiques d'un ordre plus généraJ2.

1 Non rinvenuta.

2 La risposta è con L. del 15 maggio, non pubblicata.

814 2 Per la risposta cfr. n. 81 7.

816

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO 766. Roma, 5 maggio 1912, ore 13,25.

Il Governo germanico si trova ora di fronte a due fatti nuovi nel conflitto italoturco e cioè la partenza di Marschall da Costantinopoli e la nostra occupazione di Rodi. V.E. potrebbe opportunamente far considerare a Kiderlen che queste circostanze offrono il destro alla Germania di assumere una parte più attiva in vista della soluzione del conflitto senza venir meno alla sua neutralità.

Con la partenza di Marschall, la diplomazia germanica acquista maggiore libertà d'azione in quanto da fonte sicurissima ci risulta che l'atteggiamento di Marschall era in gran parte determinato dal proponimento di evitare anche in apparenza un cambiamento nell'indirizzo tutto personale da lui assunto dopo il decreto del 5 novembre diventato ora legge, cambiamento che poteva risolversi in una diminuzione della sua personalità.

L'occupazione di Rodi, alla quale seguirà quella di Scarpanto ed a cui dovrebbero seguire altre occupazioni di isole ottomane, mette la Germania in grado di far valere il peso della sua influenza a Costantinopoli in vista di una soluzione, coll'intraprendere una azione intesa non solamente a favorire l'Italia, ma anche a favorire la Turchia, onde risparmiarle danni maggiori, i quali col passare del tempo diverrebbero sempre più, irreparabili.

La Germania eviterebbe così anche l'inconveniente di rendere maggiormente evidente la differenza delle posizioni assunte da essa e dalla Russia di fronte all'Italia.

Per rendere più efficace tale azione a scopo pacifico, è necessario che altre occupazioni seguano nel più breve termine possibile quelle di Stampalia, Rodi e Scarpanto.

Certamente le più efficaci come pegno per indurre la Turchia a cedere sarebbero Miti lene e Scio, ma se, nel momento attuale, ciò può dispiacere all'Austria, potremmo per ora, nella speranza che ciò possa bastare, !imitarci a quelle che trovansi a sud di Nikaria, tra cui Cos e Patmos, mentre ci gioverebbe forse assai occupare anche la suddetta piccola isola di Nikaria o Ikaria. Quest'ultima gioverebbe come base di operazioni contro quella considerevole parte del contrabbando di guerra che si dirige in Libia passando ad occidente di Creta, mentre le altre servirebbero, come Rodi, per affrettare e facilitare la pace.

Non essendo probabile alcuna ripercussione balcanica da tali operazioni, dirette ad abbreviare la guerra e ad evitare altre più sgradite alle Potenze neutrali, prego

V.E. ottenere che codesto Governo ci ajuti ad eliminare le eventuali obbiezioni del Governo austro-ungarico. Questo è da farsi con molto tatto e converrebbe che Tschirschky avesse istruzioni di conferire e mettersi d'accordo con Avarna prima di fare passi presso Berchtold.

Infatti da un Jato è vero che questi può risentirsi al quanto dell'ingerenza della Germania, ma è anche vero che resiste più difficilmente alla Germania che a noi, e che gli sarebbe più difficile di cedere alla Germania dopo che avesse opposto un rifiuto a noi.

Prego V.E. parlare subito a Kiderlen-Waechter tanto più che dai telegrammi di

V.E. risulta essere questi molto disposto appoggiarci nel rimuovere l'eventuale opposizione austriaca alla nostra libertà d'azione militare 1•

817

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 2933. Costantinopoli, 6 maggio 1912 (per. ore 030 dell' 8) l.

Rispondo telegramma n. 18952 riservato. Come ho riferito a V.E. col rapporto

n. 1733 , stampa locale si sforza di dimostrare che Sublime Porta ha fatto trionfare il suo punto di vista nella questione degli stretti e che tutte le Potenze hanno riconosciuto il suo diritto di chiuderli in tempo di guerra a tutte le navi mercantili. Nella realtà decisione della Sublime Porta è dovuta a vari fattori tra i quali la paura di suscitare le antipatie di tutte le Potenze ed il timore di una seconda nota russa di protesta. Indipendentemente da questi fattori Sublime Porta avrebbe però deciso riapertura degli stretti perché dallo stato di cose creato dalla chiusura essa pure soffriva non tanto economicamente perché il commercio è quasi tutto nelle mani dei neutri, quanto politicamente, perché nella pratica le comunicazioni tra Anatolia e Rumelia rimasero interrotte. È difficile indicare in qual modo viene giudicato il contegno delle varie Potenze, tanto i loro interessi sono qui intrecciati. Tendenza generale del momento è quella di considerare la Russia come neutra malevola, Inghilterra come molto amica e Austria come amica. Mi consta che progetto ventilato a Londra di un armistizio temporaneo è stato apprezzato dalla Sublime Porta in senso favorevole come tutto ciò che viene da parte dell'Inghilterra secondo la tendenza già riferita.

2 Cfr. n. 814.

3 R. 333/173 del 5 maggio, non pubblicato.

Sono dolente di non potere riferire impressione di Marschall, telegramma di

V.E. essendo giunto quarantotto ore dopo la sua partenza per quanto io abbia già riferito la parte attiva da lui presa alla riapertura degli stretti.

816 1 Pansa rispose con T. Gab. 720/106 del 6 maggio, non pubblicato, riferendo che in base alle comunicazioni da Vienna Berchtold non dovrebbe sollevare obiezioni contro l'occupazione di Rodi e delle isole adiacenti. Ha promesso inoltre di raccomandare a Tschirschky di tenersi in contatto con A varna.

817 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 7 maggio, alle ore 9,30.

818

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 777/449. Atene, 6 maggio 1912 (per. 1'11).

L'E.V. avra forse percorso nel Temps del primo corrente l'articolo di fondo intitolato L 'Hellénisme et l'action italienne dans la mer Egée ed avrà rilevato come il signor Tardieu o chi per esso, pur constatando le simpatie greche per l'Italia e pur esprimendosi in forma assai lusinghiera verso la rappresentanza diplomatica italiana in questo paese, conclude poi manifestando dei dubbi circa la conservazione di quelle simpatie, nell'attuale misura per lo meno, data la nostra azione nell'Egeo e le conseguenze che ne possono derivare per l'ellenismo.

Alle considerazioni del Temps su tale argomento hanno risposto direttamente o indirettamente vari giornali ateniesi ribattendole vigorosamente. Il Temps è male informato, dice il Kerì; i sentimenti dei greci verso i fratelli italiani non hanno subito alterazioni; ne è prova l'entusiasmo con cui fu accolta in Atene, l'azione della flotta italiana ai Dardanelli e quella che s'apparecchia per le isole. Circa le pretese inquietudini per la sorte delle popolazioni greche nell'Egeo, siamo certi che, al contrario, ognun di noi vedrà con piacere l'occupazione italiana, che non può destare sospetti, mirando esssa unicamente a por fine al conflitto e a far riconoscere l'annessione della Libia all'Italia. Quanto ai danni economici occasionati dalla chiusura dei Dardanelli, essi non possono addebitarsi all'Italia e in ogni modo essi sono comuni a tutte le Nazioni che avrebbero egual titolo per lamentarsene e non costituiscono un motivo di speciali doglianze da parte della Grecia. L'ufficiosa Patris si esprime nello stesso senso. La cordialità dei rapporti italo-greci, essa dice, anziché menomata non può risultar che accresciuta dall'azione italiana, la quale, sia pure provvisoriamente, sottrae al giogo ottomano isole cristiane e greche. Certamente il Governo ellenico non può disinteressarsi da quanto tocca la sorte futura di quelle popolazioni e i pericoli segnalati in proposito dal Temps non sono esagerati. Ciò che accadde a Samos e a Calimnos basta a giustificar le apprensioni per le vendette dei turchi dopo la partenza degli italiani. Ma non si può dubitare che l'equità e la generosità tradizionali degl'italiani non assicurino alle isole un'esistenza politica che le garantisca dalle temute rappresaglie del fanatismo dei turchi. Così pure l'Acropolis smentisce la stessa possibilità di un raffreddamento nelle relazioni di fiducia e di simpatia che esistono fra l'Italia e la Grecia. Nessuno può nemmeno immaginare che l'Italia prosegua scopi di conquista nella sua azione presente; verso il paese amico s'affisano

857 anzi gli sguardi pieni di speranza dell'ellenismo, che intravvede l'inizio di miglior era per la vita politica delle isole.

L'idea dell'autonomia delle isole alla fine della nostra occupazione trapela abbastanza dagli articoli surriferiti ed è in altri anche più chiaramente significata. Questo voto è ben naturale e difficilmente potrebbe venir soffocato. La stessa stampa ufficiosa non agirebbe saviamente tentando di arrestarne la manifestazione. Sono posizioni che si devono girare e non prendere di fronte. L'importante è che l'opinione pubblica non venga illusa circa la nostra attitudine e che non si diffonda all'estero l'impressione che noi incoraggiamo movimenti nazionalisti nelle isole. Ed in ciò ritengo che potremo riuscire anche senza che ne risultino raffredati i nostri rapporti con la Grecia, come sembra di crederlo il giornale parigino.

819

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, G. DE MARTINO

L. Costantinopoli, 7 maggio 1912 (per. l' 11).

Tutti i giornali odierni si occupano del nostro sbarco a Rodi; essi sono tutti concordi che quella operazione militare, per quanto dolorosa, era prevista e non influirà sulla decisione del Governo ottomano di resistere ad oltranza all'Italia.

È naturale che i giornali si esprimano in questo senso, il contrario farebbe anzi stupire; rimane a vedere se essi sono sinceri o se veramente il Governo ottomano rimane indifferente a tali nostre operazioni.

Il barone Marschall prima di partire mi ha parlato della nostra azione nel Mar Egeo ed ha espresso la speranza che l'occupazione delle isole sia completa e non limitata alle sole coste, onde i turchi non possano dire che non siamo capaci di avanzare se non siamo protetti dai cannoni della squadra e onde rialzare il nostro prestigio. Questa deve essere l'opinione del maggiore von Strempel, addetto militare di Germania, che stamane si è espresso nello stesso modo.

L'apprezzamento dell'ambasciatore al riguardo è quello che ho già riferito: egli non crede che le nostre occupazioni nel Mar Egeo saranno risolutive: è strano però che dato questo suo modo di vedere che mi ha tante volte ripetuto, egli sia rimasto sorpreso della nostra inazione dopo il 18 aprile, dicendomi sovente: «mais pourquoi vous n'occupez pas les ìles?» e che egli esprima la sua opinione sul modo in cui tali operazioni debbano svolgersi onde essere efficaci.

Il testo al quale ho alluso nella mia lettera del 4 è la Geografia Generale di Abdul Rahman Chéref, già preside del Liceo Galata Serai, due volte ministro della pubblica istruzione, attualmente senatore ed istoriografo dell'Impero. Nel suo libro egli mette dal punto di vista geografico ed amministrativo nell'Anatolia il vilayet dell'Arcipelago e dice che esso comprende le isole che sono nel Mare Egeo.

820

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 2968/128. Londra, 9 maggio 1912, ore 4,20 (per. ore 19, 15).

Jeri Nicolson mi ripetè quello che mi aveva detto Grey, cioè che qui non si sono ricevute dagli agenti britannici notizie di natura da inspirare preoccupazioni sulla situazione in Albania e Macedonia. Da qualche giorno anzi non sono giunti né da Costantinopoli né ad altri consolati rapporti al riguardo.

Colsi l'occasione per chiedere se e quale fondamento avesse notizia di fonte viennese circa constatata identità di vedute tra Inghilterra e Austria-Ungheria a proposito questione balcanica. Rispose Nicolson che tutte queste voci sono stupide ed assurde. Tra questo Governo e Governo austro-ungarico hanno certo luogo di tanto in tanto quelle comunicazioni normali che si scambiano anche con altri Governi per accertare fondamento notizie sulla situazione, ma la questione nel suo insieme non ha formato l'oggetto di alcun scambio di di vedute. Avendo io rilevato che dato, scopo e desiderio comune di conservare pace e statu quo nei Balcani tale scambio d'idee non avrebbe avuto nulla [ ...]l rispose Nicolson: «tutto ciò può essere, ma il fatto positivo è che la pretesa constatazione di vedute non ha avuto luogo e non se ne sente necessità».

821

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI

T. RISERVATISSIMO 1977. Roma, 9 maggio 1912, ore 21.

Mi viene riferito da fonte seria che codesto r. addetto militare tiene in conversazioni private propositi diretti ad incoraggiare l'annessione di Creta alla Grecia ed in genere le speranze dell'ellenismo profittando dell'indebolimento che alla Turchia proviene dalla guerra attuale. Qualora risulti esatta quanto precede, pregola invitare il

r. addetto militare ad astenersi da tali propositi che sono in opposizione colla politica del R. Governo e potrebbero far sorgere ostacoli diplomatici allo svolgimento delle nostre ulteriori operazioni militari nell'Egeo.

820 1 Gruppo indecifrato.

822

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 346/179. Costantino poli, 9 maggio 1912 (per. il 14).

Ho l'onore di esporre a V.E. il modo di vedere di questo ambasciatore di Russia sull'efficacia delle nostre operazioni navali nel Mar Egeo per condurre la Turchia alla pace, quale mi è risultato in una conversazione da me avuta stamane con lui, nella quale il signor de Giers ha pure parlato delle sue impressioni sull'ambiente politico locale e sul modo con cui gli attuali governanti ottomani giudicano la situazione.

Mentre in una delle prime conversazioni avute con me il signor de Giers si era mostrato partigiano, in linea generale, della politica del donnant donnant -come ho riferito a V.E. col mio telegramma del 24 aprile 1 -ieri mi disse aver dovuto riformare tale sua prima opinione e ritenere oggi che l'occupazione di una o più isole dell'Egeo da parte dell'Italia non possa servire di pegno nelle mani di questa per agevolare le trattative di pace.

L'ambasciatore mi ha detto di essersi fatto l'impressione che i turchi abbiano l'idea che l'Italia, colle sue operazioni nel Mar Egeo, faccia il loro gioco, perché essi pensano che la quistione dell'equilibrio nel bacino del Mediterraneo orientale interessa tanto le Potenze quanto la Turchia, sicché l'occupazione italiana nel Mar Egeo per quanto lunga non sarà mai definitiva; d'altra parte i turchi pensano che l'Italia con tali operazioni mostra di aver perso la pazienza, sicché si limiterà a Rodi ma occuperà altre isole ed allora l'Inghilterra si opporrà allo stabilimento degli italiani nel Mar Egeo.

«Ils sont convaincus que Londres les sauvera et ils vont jusqu'à penser à une guerre anglo-italienne».

Il signor de Giers ha aggiunto essersi fatto l'impressione che se l'Italia estende la sua occupazione a Metelino, la Sublime Porta ne «approfitterà» per chiudere nuovamente gli stretti, ne approfitterà «perché nel fondo essa non domanda di meglio che di poter prendere nuovamente tale misura, sperando così mettere l 'Italia di fronte alle Potenze, che ne limiterebbero allora la libertà d'azione».

L'ambasciatore ha conchiuso dicendomi che oggi egli, meglio rendendosi conto della mentalità locale, pensa che solo un successo decisivo delle armi italiane in Tripolitania potrebbe avere per effetto di rendere la Turchia conciliante; tale non è solamente l'impressione che egli ha ricavato dalle conversazioni da lui avute qui, ma

è anche quanto risulta dalle dichiarazioni da lui raccolte degli uomini politici ottomani, che, mentre dichiarano esplicitamente che le operazioni navali e le occupazioni italiane nel Mare Egeo ed anche altrove non influiranno per nulla sulle decisioni della Turchia, ammettono invece che una grande vittoria italiana in Tripolitania potrebbe risolvere la questione2 .

822 1 Non rinvenuto.

823

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, ZACCONE, AL COMANDANTE IN SECONDA DEL CORPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, BARATTIERI

Parigi, 10 maggio 1912 2 .

Mi sembra per noi particolarmente interessante lo studio delle cause che hanno contribuito a provocare nel Marocco la rivolta delle truppe sceriffiane.

È oramai opinione generale che fra tutte principalissima debba essere considerata quella di avere organizzato queste truppe in modo da accordare loro una apparente autonomia ed una apparente diretta dipendenza dal sultano. Da tale autonomia e dipendenza infatti non tardò ad avere origine un crescente antagonismo rispetto alle truppe francesi, ed a manifestarsi in quelle sceriffiane un centro, per così dire, legale di propaganda nazionalista. Fu questo un errore politico capitale, sul quale invano era stata richiamata da persone competenti e specialmente da ufficiali l'attenzione del Governo. Era naturale poi che la divulgazione di notizie così importanti e delicate quali quelle della proclamazione del protettorato e della partenza del sultano, fossero più che sufficienti per produrre gravi disordini in un ambiente già preparato ed eccitato e facilmente suggestionabile da parte dei tanti malcontenti che il nuovo regime aveva creato.

È però necessario ricordare che hanno certamente anche contribuito a provocare la rivolta due disposizioni molto inopportune emanate qualche giorno prima dal comando delle truppe sceriffiane, e cioè l'imposizione del porto dello zaino e la ritenuta giornaliera di un franco sulla paga da convertirsi in vitto che sarebbe fornito dall'amministrazione. Tali disposizioni furono accolte con evidente ostilità. La seconda specialmente era sommamente invisa perché il semplice gregario, retribuito con l ,50 al giorno, non poteva rassegnarsi a perdere i 2/3 della sua paga in cambio

2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

del vitto che si procurava abitualmente egli stesso con la spesa giornaliera di 25 o 30 centesimi. Per i soldati ammogliati poi la ritenuta portava come naturale conseguenza la miseria e la fame nella famiglia. Date le usanze locali e le depredazioni di ogni genere a cui gli indigeni sono generalmente soggetti da parte dei capi, le truppe furono logicamente portate a dare al fatto una pericolosa interpretazione. «Pare impossibile, mi disse il mio collega inglese, che uomini dotati di lunga esperienza coloniale, e che non dovevano completamente ignorare lo spirito di ribellione esistente nei reparti dipendenti perché si era già manifestata anteriormente con gravi incidenti, possano avere preso una simile determinazione. Non è necessario avere una profonda conoscenza della mentalità araba per indovinare che le truppe sceriffiane dovettero semplicemente credere che i loro ufficiali volessero derubarle trattenendo a loro profitto una parte della ritenuta fatta sulla paga.

Le truppe sceriffiane verranno sciolte; ma la Francia non intende affatto rinunciare agli ottimi elementi che con tanta facilità ed abbondanza si possono reclutare al Marocco e si riserva di riorganizzarli con altri criteri e con processo graduale. Essa non ha per questo che da eseguire l'esempio fornito dai vari tipi di truppe indigene che già possiede nelle numerose colonie, e che diedero sempre buoni risultati. In particolar modo le truppe algerine, che esistono già da più di mezzo secolo e che sono simili per razza e per religione a quelle che si possono reclutare nel Marocco, servirono sempre con fedeltà nelle varie circostanze di pace e di guerra in cui vennero impiegate, dando ai loro istruttori piena soddisfazione. Vari ufficiali francesi con cui ho avuto campo di parlare in proposito mi assicurarono concordemente che mai è avvenuto che le truppe indigene algerine si siano rivoltate. Solo in qualche rarissimo caso avvenne che in causa del loro carattere impressionabilissimo qualche piccolo riparto sia stato preso dal panico ed abbia abbandonato ufficiali e graduati francesi di fronte al nemico, ma anche in tali casi rarissimi si deve escludere che sia intervenuta la ribellione ed il tradimento. È bene però ricordare che le truppe algerine furono organizzate molto gradualmente e che anche ora si ha cura di mescolare le giovani reclute coi vecchi soldati di l O e più anni di servizio. Inoltre quasi tutti gli ufficiali, la J.•aggior parte dei sottufficiali e persino alcuni gregari coprenti cariche speciali sono francesi.

La France Militaire, in un articolo scritto recentemente da persona competente, sostiene la necessità di imitare l'Inghilterra, la quale nelle truppe indigene indiane si studia di mantenere le divisioni esistenti nella popolazione. E così nel riorganizzare le truppe marocchine non si dovrebbero mescolare le due razze principali araba e berbera, ma si dovrebbero formare interi reparti (reggimenti e battaglioni) tutti arabi o tutti berberi e possibilmente si dovrebbe anche nella formazione delle unità più piccole (compagnie e plotoni) raggruppare in unità diverse gli elementi provenienti da diverse tribù. Si suggerisce anche di istituire, sempre ad imitazione del! 'Inghilterra, in ogni compagnia il graduato indigeno informatore, una specie di maresciallo maggiore, direttamente responsabile del lealismo dei soldati, e tenuto ad informare immediatamente le superiori autorità quando il più piccolo sintomo si manifestasse in contrario. Nessuna scusa è accettata per attenuare la sua responsabilità, e meno di tutte quella di non aver saputo in tempo.

822 2 Annotazione di San Giuliano: «Inviare copia a Giolitti, Spingardi ed Imperiali facendo notare a quest'ultimo che sarebbe desiderabile che Governo inglese dissipasse le speranze turche dalla sua eventuale azione».

823 1 Trasmesso al Ministero degli esteri con nota 291 del 20 maggio.

824

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 822/464. Atene, 11 maggio 1912 (per. il 17).

Facendo seguito al mio rapporto in data di ieri 1 ho l'onore di riferire alla E.V. quanto segue.

Si ha da buona fonte che il prossimo passo delle Potenze per la cessazione delle ostilità sarà fatto in seguito ad una riunione degli ambasciatori a Costantinopoli. Le istruzioni necessarie sarebbero già state impartite ai rispettivi ambasciatori. L'iniziativa di questo nuovo passo sarebbe presa dall'Austria.

Si ha da fonte degna di fede che la risposta ufficiale del Governo britannico circa la questione Hoveit-Bagdad si riferirebbe anche alla soppressione delle capitolazioni ed all'aumento del 4 per cento dei dazi doganali.

Il Ministero della marina ha deciso di mettere all'asta la costruzione di un bacino navale nel golfo di Ismid, fra Deirmendere e Kesikli. Quel bacino servirà specialmente alle riparazioni ed alla pulitura delle navi di grandi dimensioni e delle future dreaudnoughts.

A proposito della visita dell' «Averoff» ad Alessandria il Silah scrive che secondo i giornali ateniesi quella visita è in relazione coi giuochi pan-egiziani, ma che la verità invece è che l' «Averoff» si è recato in Alessandria per aprirvi una sottoscrizione a favore della flotta.

Sono state già collocate le rotaie per una lunghezza di 35 chilometri sulla linea Soma-Panderma.

Il Tanin non crede che si renderà necessaria una seconda chiusura dei Dardanelli poiché se l'Italia avesse a cuore l'onore militare avrebbe continuato a qualunque costo l'attacco iniziato. Il bombardamento ai Dardanelli è stato il rintocco della campana da morto dell'Italia come Grande Potenza. Poiché l'Europa non impedisce l'estensione del campo delle ostilità, poiché noi non cessiamo da provocare gli italiani, che cosa aspettano dunque? Perché perdere tanto tempo e tanto denaro? Se avessero davvero qualche forza e qualche capacità militare, non dovrebbero essi tornare senza indugio ai Dardanelli e regolare la questione a qualunque costo? Ma noi non vediamo che i loro giornali. Essi non sanno fare la guerra che con la loro bocca e noi con quella dei loro cannoni. Finché l'Italia non avrà ritirato il decreto di annessione, una mediazione è assolutamente impossibile. È indubitabile che vi si rassegnerà presto o tardi ma noi auguriamo che aspetti ancora lungo tempo affinché sia maggiore la sua punizione.

Scrivono dali' Assir: 500 combattenti della famosa tribù di harb sono venuti a raggiungere l'esercito attaccante. La medesima tribù ha destinato 2.500 cammelli al trasporto delle forze ottomane. Questi combattenti sono sotto il comando di scerif Feidal bey, figlio dell'emiro della Mecca. Seid Idriss è in questo momento a Sabia. L'esercito di attacco è composto di 5 divisioni comandate rispettivamente da Sulaiman pascià, governatore e comandante dell'Assir, dal luogotenente dell'imam Yahia, da scerif Feidal bey, dal generale Mehmed Ali pascià, ex governatore generale dello lemen e dal generale di brigata Said bey. Quest'ultimo ha sotto i suoi ordini 4000 combattenti delle tribù di Zeramik. La disfatta completa di Said Idriss si considera imminente.

Un telegramma del comandante di Tripoli al Ministero della guerra, in data del 19 cmTente, dice che un aeroplano italiano ha lanciato 16 bombe nel campo di Beni Aden. Vi furono parecchi feriti ed uccisi. Il medesimo giorno un dirigibile lanciò 16 bombe ad Aziziah, e si ebbero anche diverse vittime.

Il comitato per la sottoscrizione nazionale annuncia che sono state mandate da Tripoli 1321 lire turche, risultato di una sottoscrizione a favore dell'aviazione militare.

Circa l'occupazione di Rodi il Tanin scrive: Questa commedia non può durare. L'opinione pubblica italiana, per quanto accecata, non è abbastanza sciocca per non tener conto dei giorni che passano. Per darle soddisfazione e calmare il suo nervosismo e la sua impazienza di fronte alla inazione della flotta bisogna fare qualchecosa. Si bombardò Rodi. Il bombardamento di Rodi non impressiona affatto i musulmani. Non soltanto Rodi, ma tutte le isole dell'arcipelago vorremmo veder occupate dagli italiani, ciò che li obbligherebbe a mandare 30 o 40 mila uomini, a stancare le navi e le truppe, ad esaurire le finanze, e li condurrebbe alla sconfitta ed al fallimento.

Gli avvenimenti politici cagionano a Beirut un serio disagio commerciale.

Contrariamente a quanto scrissero i giornali turchi circa un rimorchiatore affondato a Dardanelli, risulta da fonte cetta che non si trattava di un rimorchiatore, ma di una torpediniera con 4 ufficiali e 12 marinai2 •

Parlando dell'impressione favorevole prodotta in Europa dalla decisione della Porta di riaprire i Dardanelli, il Tanin dice che quest'atto del Governo ottomano considerato come una prova di moderazione, di circospezione e di sagacità che ha messo fine alla tensione di rapporti prodotta in questi ultimi tempi nel mondo politico. Teniamo a dichiarare che nonostante tutte le proteste della Russia, il Governo ottomano si riserva sempre ed interamente il diritto di chiudere a qualunque momento i Dardanelli davanti alle navi di commercio. Se ha riaperto lo stretto non è perché i trattati gli vietavano di opporsi al passaggio delle navi da guerra, ma per dar prova di arrendevolezza verso le Potenze neutrali. Un telegramma da Londra annunciava ieri che in risposta ad un'interrogazione presentata alla Camera dei Comuni, il rappresentante del Governo ha dichiarato che non esisteva alcun trattato che obbli

gasse la Sublime Porta ad aprire i Dardanelli. Ciò prova che i diritti del Governo ottomano in tale questione sono incontestabili. Infatti non diamo alcuna importanza alle strida dei giornali russi. -Il Tanin non crede che l'Italia tenti un secondo attacco ai Dardanelli ed obblighi la Turchia a richiuderli, sebbene, esso aggiunge, gli italiani dovrebbero rinnovare la loro agressione se avessero la menoma idea di ciò che si chiama prestigio militare.

Una lettera privata riferisce che recentemente gli arabi minacciarono di morte Enver bey e Feti bey perché non avevano il denaro necessario al pagamento del soldo giornaliero di due piastre per ogni soldato. Nella medesima lettera, che è scritta da un turco, si dice che la situazione dei turchi di fronte agli arabi è molto difficile perché sono ad ogni momento minacciati. Alcuni ufficiali hanno diretto una lettera risentita a Mahmoud Chevket Pascià per averli lasciati senza denaro e senza viveri 3 .

824 1 R. 807/459, non pubblicato.

824 2 Annotazione a margine dei precedenti tre paragrafi: «Alla Tribuna».

825

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID E PARIGI

T. 2034. Roma, 12 maggio 1912, ore 16,30.

Marocco. Il r. incaricato d'affari a Tangeri telegrafa quanto segue: «Secondo un telegramma giunto in questo momento (eccetera eccetera come nel telegramma

n. 3032)»1• (per Parigi soltanto). Chiamo l'attenzione di VE. su queste notizie la cui gravità non può sfuggire al Governo francese, anche per le possibili ripercussioni in Algeria e Tunisia. Se oggi le nostre difficoltà in Libia sono ancora maggiori che quelle della Francia in Marocco, tra non molto potrà accadere il contrario, non foss'altro per il fatto che in Libia la popolazione è meno numerosa e meno densa. In ogni modo, ciò crea tra Italia e Francia una solidarietà di interessi di fronte ai musulmani arabi che dovrebbe indurre Francia ad applicare meglio lo spirito degli accordi del 1902 e a facilitare ed affrettare coi mezzi a sua disposizione, tra cui col

creare ostacoli al rifornimento degli arabo-turchi, una soluzione definitiva a noi favorevole della attuale situazione in Tripolitania. Giudichi VE. se e come s1a possibile ed opportuo che ella parli in questo senso a Poincaré2 .

824 3 Annotazione a margine dell'intero paragrafo «Alla Tribuna». 825 1 Con T. 3032/49 dell'Il maggio, non pubblicato, Depretis riferiva sulla ritardata partenza per Rabat del sultano per motivi di sicurezza e sulle agitazioni a Marrakech e nel Uazzan. 2 Cfr. n. 830.

826

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO

T. UFF. COLONIALE RISERVATO 2069. Roma, 14 maggio 1912, ore 18,45.

Secondo riferisce Zunini, Mullah avrebbe mandato persona alla Mecca interessare noto Mohamed Saleh intervenire presso noi concludere accordo. Mohamed Saleh ha inviato persona Aden conferire con Abdalla Sceri per conoscere situazione. Zunini è d'avviso mandare Mulla persona che per ora parli solo nome Abdulla Sceri e Mohamed Saleh consigliando Mulla di consegnare a noi ostaggi importanti, di assicurare sua permanenza Illig, di accettare residente italiano con scorta eguale quella sua. Se Mulla facesse queste proposte si tratterebbe ufficialmente.

Non ho nessuna fede sincerità Mulla, che, come al solito, si rivolge ora a noi perché manca munizioni, derrate e denari. Egli non manterrebbe nessun patto né per Illig, né per scorta, renderebbe illusoria consegna ostaggi dando persone insignificanti. Pericoloso avere presso di lui nostro residente che come ostaggio sarebbe pericolo permanente trascinarci conflitto. Mezzo efficace sarebbe o disarmo o riduzione sensibile numero fucili, ma l'uno e l'altro di questi impossibile attuazione.

Con tutto ciò parmi opportuno non lasciar cadere apertura Mulla e pensare intanto a possibili basi accordo.

Prima, però, crederei opportuno informare Inghilterra che nell'interesse comune crediamo utile non respingere iniziativa Mulla chiedendo le idee del Governo britannico anche in vista speciale accordo fra due paesi. Sebbene, dopo desistenza, fin da ottobre 1909 dell'Inghilterra da accordo Pestalozza Illig, noi abbiamo libertà azione, nondimeno memore colloqui V.E. con Manning e Wingate, credo debba seguirsi questa via.

Trattandosi questione interessante Somalia Nord, desidero procedere strettamente accordo con VE. sui passi da farsi a Londra; e desidero che ella, dopo concordato ogni cosa con me, dia opportune istruzioni consolato Aden per eventuali trattative con Mulla.

Prego VE. esaminare e darmi suo apprezzato parere, sia su primo quanto su secondo punto e su ogni modalità 1•

827

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1011/280. Berlino, 15 maggio 1912 (per. il 25 ).

La destinazione del barone Marschall come ambasciatore a Londra è ora un fatto compiuto, essendo qui giunto ieri il gradimento del Governo britannico a quella

nomina. Come lo indicavano i miei telegrammi a cominciare da quello del 9 corrente', essa poteva ritenersi certa fin dalla chiamata del barone Marschall da Costantinopoli, ma fu decisa in modo formale solo dopo il convegno avuto il 12 a Carlsruhe, dove l'ambasciatore stesso si recò, insieme al cancelliere ed al segretario di Stato von Kiderlen, ad incontrare l'imperatore Guglielmo di ritorno da Corfù.

È raro che il semplice trasferimento di un ambasciatore abbia dato luogo a tanti e così vivi commenti come nel presente caso. Ciò si spiega col fatto che la questione dei rapporti fra la Germania e l'Inghilterra è divenuta sempre più la questione del giorno, non soltanto per le due Nazioni interessate ma per l'Europa intera; ed il cambio inaspettato del rappresentante tedesco a Londra, evidentemente dovuto ad una subitanea personale iniziativa sovrana, fa naturalmente presentire che si tratta di un serio tentativo per la modificazione di quei rapporti, del quale tanto la riuscita come l'insuccesso potrà avere conseguenze non indifferenti per la situazione politica generale.

Mi riferisco in proposito ai telegrammi che ebbi l'onore di dirigere a V.E. in seguito alle conversazioni da me avute con quel mio antico collega, durante i due giorni della sua dimora in Berlino2 . La presente situazione fra la Germania e l'Inghilterra, egli mi dichiarò, è «pericolosa ed assurda». Ed egli non mi nascose che l'imperatore era stato mosso dalla convinzione che specie negli ultimi tempi e durante la crisi marocchina, non si era fatto quanto si sarebbe potuto fare per mettere in chiaro le cose fra i due Governi. Nel parlare del signor von Kiderlen e del proprio predecessore a Londra il barone Marschall era trattenuto da un naturale sentimento di personale riguardo. Ma alludendo in specie agl'incidenti dello scorso luglio, egli non esitava a trovare incomprensibile che, dopo il colloquio avvenuto ai primi di quel mese fra sir E. Grey ed il conte Wolff-Metternich, si fosse potuto lasciare durante tre settimane il Governo inglese senza risposta e senza alcun schiarimento circa le vere intenzioni della Germania riguardo al Marocco. Fu quell'astensione inesplicabile che diede occasione al noto discorso di Mr Lloyd George ed ai deplorevoli suoi effetti; i quali si sarebbero dovuti evitare con esplicite istruzioni all'ambasciatore o, in difetto, con una opportuna iniziativa personale di questi. -Forse V.E. ricorderà ciò che in qualche mio precedente rapporto ho riferito sulla parte di responsabilità che di tanti malintesi anglo-tedeschi spetta fra altro ad un eccesso di riservatezza, propria degli attuali ministri dei due paesi e dei loro rappresentanti.

Se e fino a qual punto l'intervento del barone Marschall riuscirà a modificare questo stato di cose, a nessuno è dato prevedere. Egli si mostrò meco alquanto sturbato dal romore che intorno alla sua missione si stava menando dai giornali tedeschi ed inglesi. Le esagerate speranze degli uni provocano fatalmente le riserve e le diffidenze degli altri e non lieve imbarazzo sarà certamente arrecato al nuovo ambasciatore dai commenti prematuri ed indiscreti con i quali è da attendersi che sarà strombazzato dai giornali ogni suo atto o parola, al suo arrivo in Londra.

Circa il da farsi, il barone Marschall non entrò né poteva naturalmente entrare meco in alcun particolare, -tanto più, egli mi disse, che la sua nomina gli era giunta affatto inaspettata ed egli doveva riservarsi di considerare sul luogo la linea di condotta che gli converrebbe tenere a seconda delle circostanze. In generale però è sua idea adoperarsi anzitutto a prendere una posizione atta a dissipare gli equivoci ed a generare fiducia con una assoluta franchezza di linguaggio; che se gli riuscisse di creare così un'atmosfera più favorevole, egli ritiene che le questioni singole dovrebbero potersi risolvere con una ragionevole intesa. Prima fra queste è la questione degli armamenti navali, circa la quale a parer suo l'attuale cancelliere non avrebbe saputo resistere con sufficiente energia alle esigenze dell'ambasciatore Tirpitz e dei gruppi nazionalisti che lo sostengono. Parlando della missione Haldane egli osservò che meglio sarebbe stato mandare a Berlino un personaggio meno sospetto di simpatie tedesche. Egli si proponeva, arrivando in Inghilterra, di attaccare deliberatamente la discussione con Mr Churchill il quale, avendo mostrato la propria capacità di parlar chiaro, avrebbe certamente ammesso che altri parlassero a lui ugualmente senza ambagi. Per l'affare di Bagdad, il barone Marschall mi diceva che una volta create migliori disposizioni fra i due Governi, quella controversia non darebbe luogo a serie difficoltà. Gli inglesi, egli rilevò; continuano a manifestare un immaginario timore per l'eventualità che la influenza tedesca nella direzione di quella ferrovia si adoperi a farvi adottare tariffe od altre misure differenziali a pregiudizio del commercio britannico; ma per quanto egli avesse su ciò interrogato uomini politici, finanzieri e industriali inglesi, nessuno era stato mai capace di spiegargli in che potessero consistere tali misure, né in qual modo esse si sarebbero mai potute escogitare e tanto meno introdurre, contrariamente alle basi del regime ferroviario ottomano e con danno della compagnia assuntrice.

In complesso, ebbi l'impressione che pur rendendosi conto delle gravi difficoltà della sua nuova missione, il barone Marschall vi si accinge con molta buona volontà e con una tranquilla fiducia nelle proprie forze. Il suo maggior nemico sarà l'impazienza del pubblico dei due paesi che, chi in un senso e chi in un altro, troppo attende dall'opera sua e già gli attribuisce il proposito di sconvolgere l'esistente sistema di alleanze fra le Potenze, al che egli dichiara essere naturalmente ben lontano dal pensare. Un'altra delle sue preoccupazioni è quella degli interventi personali dell'imperatore, il quale, come egli mi diceva, riesce troppo spesso a «tagliare l'erba sotto ai piedi» ai suoi ministri ed ai suoi ambasciatori. Nel momento della nostra conversazione, il barone Marschall non aveva ancora veduto S.M. imperiale, e quindi non posso congetturare se questa lo avrà intrattenuto a Carlsruhe del vasto progetto al quale aveva fatto meco allusione, prima della sua partenza per Corfù, -nel senso cioè di un impegno di neutralità col quale egli vorrebbe vincolare l'Inghilterra insieme ad altre Potenze. Come l'ho riferito a suo tempo all'E.V., i termini nei quali me ne parlò l'imperatore lasciavano credere che quel disegno fosse ancora nello stadio di gestazione nella sua mente, -né potrei sapere se vi abbia preso forma più concreta durante gli ozii di Corfù.

Il barone Marschall, come già ne ho informato V.E., si reca ora dal Baden a Costantinopoli per chiudervi casa e di là egli avrebbe intenzione di passare direttamente al suo nuovo posto alla metà di giugno, senza fermarsi nuovamente a Berlino, -a meno di ordini o circostanze contrarie.

826 1 Cfr. n. 833.

827 1 T. Gab. 745/107, non pubblicato. 2 T. Gab. personale 746/108 del 9 maggio, T. Gab. 153/109 del IO maggio e T. Gab. segreto 770/ 110 del 15 maggio, non pubblicati.

828

IL MINISTRO A BUCAREST, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 905/319. Bucarest, 15 maggio 1912 (per. il 22).

Dalla conversazione che ho avuto ieri con questo signor presidente del Consiglio, ministro degli affari esteri, e che ho riassunto nel mio telegramma 45 1 , ho riportato l'impressione di un certo malcontento da parte del Governo rumeno verso il Governo ottomano.

Le buone relazioni colla Sublime Porta ed il mantenimento dello statu quo nella Turchia europea costituiscono bensì sempre uno dei capisaldi della politica rumena.

Ma da un lato l'anarchia che regna a Costantinopoli colla conseguente impossibilità di giungere ad alcun pratico risultato ogniqualvolta occorra trattare colà un affare e, dall'altro, i danni che il prolungarsi della guerra e specialmente la chiusura dei Dardanelli producono ai neutri in generale ed alla Rumania in particolare, hanno ormai raffreddato l'entusiasmo turco filo che aveva animato questo Stato dopo la visita del principe imperiale ottomano ed all'inizio della guerra italo-turca.

Il tempo è stato, come sempre, galantuomo e si è incaricato di dimostrare anche qui quanto infondata fosse la fiducia riposta nel vecchio Impero.

Il Governo rumeno vede, infatti, con crescente apprensione prolungarsi le ostilità, ch'esso teme possano avere una ripercussione nei Balcani, e comincia a trovare che, con un pò di condiscendenza, i turchi potrebbero porvi fine, evitando che l'occupazione italiana ridesti nelle isole dell'Egeo le aspirazioni panelleniche e che la guerra, in cui l'Impero è impegnato, incoraggi i moti rivoluzionari in Albania e Macedonia.

D'altra parte, se i danni arrecati al commercio rumeno e specialmente al commercio dei cereali dalla chiusura degli stretti non è stato molto, come ho riferito all'E.V. col mio rapporto n. 776/276 del 23 aprile u.s. 2 , la navigazione però se ne è risentita gravemente e chi dice navigazione, in Rumania, dice Governo, giacché tutta la marina a vapore rumena appartiene ai Servizi marittimi rumeni che sono governativi, -e sul bilancio dei Servizi marittimi dovrà pesare grandemente la forzata inazione di questi ultimi giorni.

Infine, a spiegare il malcontento di questo Governo, concorre la questione del trattato di commercio, che si trascina da anni senza giungere ad alcun risultato.

Malgrado le continue pressioni del Ministero degli affari esteri presso Rifaat bey e del signor Mishu presso Assim bey non vi è stato modo di addivenire alla conclusione di questo trattato da cui la Rumania attendeva notevoli vantaggi.

828 1 T. 3103/45 del 15 maggio, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

E la delusione è stata tanto maggiore in quanto il Governo rumeno credeva che il suo contegno particolarmente amichevole verso la Turchia, gli desse diritto a speciali riguardi.

Questo malcontento del Governo si riflette nel linguaggio della parte migliore della stampa rumena, la quale considera ora con maggiore equanimità il conflitto italo-turco.

Benché datino da pochi mesi, come sono lontani gli articoli del Tanin celebranti la fratellanza turco-rumena -articoli che questa stampa riproduceva con mal celata compiacenza!

829

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3153/257. Parigi, 16 maggio, ore 0,10 (per. ore 3,50).

La questione delle difficoltà di restituire puramente alla Turchia le isole dell'Egeo, dopo che per qualche tempo le popolazioni cristiane di quelle isole avranno goduto i benefici della libertà e della civiltà italiana, si va affermando ogni giorno di più. Oggi Romanos e Izwolsky ne hanno intrattenuto Poincaré, il quale ne ha parlato con me che ha visto dopo di loro. Poincaré ritiene che alla Italia non convenga che questa questione s'innesti su quella della Tripolitania, perché la renderà più complicata e quindi aumenteranno le difficoltà che impediscono la conclusione della pace. Ho risposto a Poincaré che l'Italia nulla ha fatto per suscitare artificiosamente questa nuova questione e nulla farà; ma se i turchi continueranno a lungo nella loro attitudine intransigente, la questione, indipendentemente dalla Italia, s'imporrà, senza dubbio, a tutta Europa alla quale le popolazioni cristiane si rivolgeranno per ottenere l'autonomia e non ricadere sotto il prepotente e corrotto dominio turco; quindi, la Turchia tardando a fare la pace, corre rischio di perdere non la sola Tripolitania e Cirenaica, ma anche le isole dell'Egeo.

830

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3155/259. Parigi, 16 maggio 1912, ore 0,15 (per. ore 3,50).

Telegramma di VE. n. 20341 . Tra gli uomini politici e giornalisti ci sono parecchi sinceramente convinti della solidarietà degli interessi francesi e italiani in

830 Cfr. n. 825.

870 Africa di fronte al fanatismo musulmano ed alla situazione al Marocco, che si presenta difficile e pericolosa, e che molti sono qui convinti che costerà alla Francia sacrifici non lievi di uomini e denaro. Però Poincaré ostenta al riguardo il maggior ottimismo. Nega che il movimento tunisino fosse diretto anche contro i francesi. Pretende che la rivolta di Fez fu dovuta a speciali ragioni di malcontento locale e null'altro. Sostiene che ora la situazione al Marocco è normale e dichiara di non avere al riguardo preoccupazioni di sorta. È vero che questo ottimismo convenzionale contrasta ai fatti e all'opinione di più, ma Poincaré persiste tenacemente in esso. Però oggi questi mi ha rinnovata la dichiarazione di simpatia per l'Italia e manifestato il desiderio di fare tutto ciò che non è incompatibile coi doveri di neutralità. Mi ha detto che sa che a Costantinopoli da qualcuno si parla di Conferenza per la pace tra Italia e Turchia. Capisce che ci sarebbero ragioni pro e contro. Però, a sua avviso, in una Conferenza, la Francia non essendo più tenuta alla neutralità, potrebbe schierarsi meglio dalla parte dell'Italia.

Io, non avendo mai parlato con V.E. della possibilità di una Conferenza e non avendo alcuna istruzione al riguardo, mi sono astenuto dal manifestare qualsiasi apprezzamento.

831

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. SEGRETO 818. Roma, 16 maggio 1912, ore 17.

Suo telegramma Gabinetto segreto personale senza numero 1•

L'idea espressa da V.E. può forse venire trasformata in modo da facilitare una soluzione pratica. Credo salvo maggiori indagini che si incontrerebbero difficoltà internazionali forse insormontabili al nostro possesso di isole in qualsiasi forma, e che la vicinanza con la Turchia presenterebbe inconvenienti e pericoli.

L'idea di V.E. si potrebbe forse modificare nel modo seguente. L'Italia, nello accordo pubblico e formale, lascerebbe alla Turchia la regione tra Salurn e Ras el Mehl con relativo hinterland, in modo però che Kufra rimanga in ogni caso a noi. Si darebbe così alla Turchia una soddisfazione morale, ma un temporaneo accordo segreto tra Italia, Turchia ed Inghilterra stabilirebbe che la regione lasciata alla Turchia sarà dalla Turchia, con apparente spontaneità, ceduta all'Egitto entro un brevissimo tempo da concordare. Per fare accettare tale soluzione dal Parlamento italiano e dal nostro Paese sarebbe necessario un corrispettivo d'ordine morale da cui risultasse che facciamo questo sacrificio nello scopo nobile e disinteressato di assicurare un beneficio alle popolazioni greche delle isole da noi occupate. Queste perciò rimarrebbero sotto la sovranità turca facendo loro condizioni analoghe a

quelle di Samos. La Turchia farebbe alla sua volta questo sacrifizio ottenendo in cambio la suddetta soddisfazione morale in Libia, mentre è probabile che se essa non accetterà tale soluzione, dovrà farlo egualmente, perché se la nostra occupazione delle isole si prolunga, diventa assai difficile che la autorità turca vi si ristabilisca puramente e semplicemente senza qualche garenzia per le popolazioni.

In corrispettivo della cessione del territorio sino a Ras el Mehl apparentemente alla Turchia ma realmente all'Egitto, l'Inghilterra riconoscerebbe senza altre condizioni la nostra sovranità sulla Libia.

Prima di decidere se convenga che V.E. comunichi a Marschall o a Nicolson o Grey tale idea, beninteso come idea personale di V.E. che ella ignora se sarebbe accettata dal R. Governo, gradirei conoscere il suo parere. Aggiungo che è molto probabile che il Paese ed il Parlamento non la accettino2 .

831 1 Non rinvenuto.

832

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 785/99. Pietroburgo, 17 maggio 1912, ore 7 (per. ore 20).

Telegramma di V.E. Gabinetto 822 1• Mi sembra fuori di dubbio che occupazione di Mitilene e Chio sia particolarmente indicata data importanza di esse e per colpo che ne verrebbe agli interessi finanziari turchi. Inoltre esse sono abbastanza lontane dai Dardanelli per potere dare alla Turchia nuovo pretesto alla chiusura stretti. Operazione militare non dovrebbe tardare per dare sempre più alla Turchia impressione dell'incalzare dell'energica nostra azione. Anche per quanto riguarda Samos divido pienamente parere di S.E. Tittoni e penso che Italia non dovrebbe lasciare immutata la presente situazione. Italia dovrebbe secondo il mio subordinato parere, rivolgersi senza indugio alla Francia, Russia e Inghilterra invitandole fare rispettare regime di Samos garantito dai trattati, dimostrando come non è ammissibile che si trovi a Samos una forte guarnigione turca godente privilegi di non essere attaccata dali 'Italia e che poi viceversa potrebbe, a momento dato, eludendo vigilanza delle nostre navi da guerra, passare in un'isola già da noi occupata o molestare in altro modo nostre operazioni militari. Se le Potenze riconosceranno che la Turchia [...]2 non ha diritto di tenere guarnigione a Samos la Turchia sarà obbligata a ritirarla e le avremo così inflitto l'umiliazione di cedere alla domanda di tre Potenze da noi provocata. Se poi Potenze Protettrici si disinteresseranno al regime di Samos noi allora avremo mani libere e potremo fare prigioniera la guarnigione acquistando nuovo pegno da farsi valere poi per condizioni pace che porranno fine alle ostilità.

2 Gruppo indecifrato.

In questa questione di Samos Russia naturalmente agirà d'accordo con Francia e Inghilterra ma credo poter affermare che in ogni caso Sazonoff sosterrà nostro punto di vista.

831 2 Cfr. n. 834.

832 1 T. Gab. segreto 822 del 17 maggio, non pubblicato.

833

IL GOVERNATORE DELLA SOMALIA, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 3198/86. Mogadiscio, 17 maggio 1912, ore 8,40 (per. ore 17,25).

Riscontro telegramma di VE. n. 20691 . Dirò chiaro preciso mio pensiero. Crederei errore non sanabile cercare come che sia ricondurre Mullah sue antiche sedi Illig, coltivando così un interesse inglese, non nostro certo. Conseguenza; noi allontaneremmo sultanati da noi e li indeboliremmo a nostre spese. Risorgerebbe allora situazione quale appunto era stata creata dalla convenzione di Illig, e poiché obblighi che Mullah assumerebbe verso noi non potrebbero essere ritenuti dai sultanati una efficace garanzia contro la sua azione ostile, ne potrebbe conseguire che sultani stessi, vincolati ed indeboliti da noi stessi nell'attuale loro difesa, finirebbero per stringere più validamente accordi con Mullah stesso. Il nostro interesse sta nel dissidio dei musulmani e non nell'accordo col Mullah di cui l'esperienza ci insegna quale fede possiamo avere, poiché la fedeltà loro sta appunto in ragione della minaccia che a loro viene. Il Mullah, più che una forza religiosa è una armata che vive e si sostiene con le guerre ed il ladroneggio, guerre che ad Illig dovrebbero necessariamente esercitarsi o contro sultani, turbando profondamente le regioni di confine, o con essi contro noi. Col console Piacentini avevo dato altro indirizzo cessando da vane trattative ed epistolari e stringendo invece a noi e rafforzando sultanati. Perciò avevano proposto creazione Commissariato Migiurtini sui luoghi stessi che tenesse maomettani (?)2 mercé azione politica. Invece nessuna decisione fu presa, né potrei ora rispondere che non si venisse col tempo ad alterare situazione difficilmente acquisita. È necessario si scelga una via e si segua. Io sono contrario a trattative col Mullah se non quando se ne mostri, per temporeggiare, la opportunità; sono assolutamente contrario ad un suo ritorno, da noi autorizzato e secondato, ad Illig; sono contrario a trattative in questo momento con l'Inghilterra che sola ne trarrebbe profitto; consiglio invece un'azione seguita, efficace coi sultanati con i mezzi ed organi da me proposti e non eseguiti. VE. è buon giudice, ma qualunque sia la sua decisione credo che non sia da approvare l'azione di un funzionario, appena arrivato, il quale con proposta simile alla presente, si dimostra ignaro della situazione dei precedenti. Per mio conto devo declinare la responsabilità di una direzione politica che mi sfugge, poiché il console, sopra un argomento che involge

833 Cfr. n. 826. 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

873 tutta la politica del protettorato e della colonia, non si crede in dovere di chiedere preventivamente il mio giudizio e le mie istruzioni.

834

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 781/156. Londra, 17 maggio 1912, ore 10,05 (per. ore 20,15).

Telegramma di V.E. Gabinetto 818 1 . Soluzione da me sottoposta a V.E. era subordinata alla conditio dine qua non della permanente occupazione da parte nostra dell'isola di Rodi. Quella condizione venendo a mancare, soluzione non presenterebbe più per noi alcun vantaggio materiale o morale. Modificazioni decreto annessione si può vittoriosamente giustificare dinanzi Parlamento ed al Paese soltanto se accompagnato dal corrispettivo di un nuovo e non spregevole acquisto. Quando invece corrispettivo dovesse unicamente consistere nella soddisfazione di migliorare popolazioni cristiane isole da noi occupate, temo anch'io come V.E. che Parlamento e Paese non se ne accontenterebbero. Mi sembra pure che anche di fronte all'estero soluzione potrebbe prestarsi ad essere interpretata come un sotterfugio cui siamo appigliati per necessità imprescindibili terminare guerra non trovandoci in grado materialmente o moralmente di sostenerne più a lungo onere. Tutto ciò, dopo le categoriche dichiarazioni da noi fatte, nuocerebbe prestigio nazionale o della combinazione il maggior vantaggio sarebbe per la Turchia. D'altra parte per i motivi esposti a voce, riterrei contrario nostri interessi prendere l'iniziativa di apertura per offrire, per quanto in forma velata, a questo Governo quella parte di territorio che sembra qui si desidera; delle due l'una: e la Turchia accetta questa od altra combinazione e in tal caso riconoscimento inglese non potrebbe più esserci plausibilmente negato, e la Turchia rifiuta ed è da prevedersi che questo Governo difficilmente potrebbe consentire riconoscimento dopo di avere più volte notificato intenzione di non separarsi dalle altre Potenze nel presente conflitto. Ma quando anche Inghilterra a questo si decidesse mediante compenso, gli inconvenienti sarebbero per noi maggiori del vantaggio, giacché verremmo a fornire alle altre Potenze plausibile pretesto per chiederci corrispettivo in cambio loro riconoscimento rinunzia capitolazioni eccetera. Inoltre riconoscimento inglese ottenuto a tal prezzo farebbe impressione sfavorevole su parecchi, e pubblico italiano, il quale è ignaro dei termini precisi dell'accordo, non mancherebbe di recriminare acremente contro Inghilterra che avrebbe apparenza di farsi in alcun modo pagare un supplemento per adempiere impegno contratto. Donde o necessità pel Governo di dare inutili spiegazioni al Parlamento, o risentimento del popolo italiano con pregiudizio manifesta cordialità

relazioni due Paesi. Per tutti questi motivi mi sembra qualora dalle indagini eseguite

V.E. acquistasse certezza che ostacoli a nostra occupazione permanente di Rodi siano realmente assolutamente «insormontabili» varrebbe meglio rinunciare alla soluzione in questione ed esaminarne altre che potrebbero essere o quella vagheggiata da Marschall sulla base del precedente di Crimea o quella del tributo religioso.

834 1 Cfr. n. 831.

835

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. 831. Roma, 18 maggio 1912, ore 11,30.

Ci pervengono da varie parti accenni alla possibilità che il conflitto italo-turco possa dar luogo ad una conferenza internazionale.

Premesso che noi non potremmo aderirvi altrimenti sia anticipatamente convenuto e dichiarato pubblicamente che alla condizione espressa che la soluzione del conflitto non può avvenire che sulla base della nostra sovranità piena e intera sulla Libia, prego V.E. farmi conoscere il suo apprezzato parere sui seguenti punti, beneinteso senza fame parola a codesto Governo. l) Se sia da prevedere che codesto Governo sia favorevole o contrario all'idea di una conferenza. 2) Quali interessi suoi proprii avrebbe eventualmente codesto Governo da propugnare in una conferenza. 3) Se ella ritiene che una conferenza sarebbe di danno o di vantaggio per la Turchia. 4) Se ella ritiene che a noi convenga oppur no una conferenza beninteso alla condizione espressa sopraccennata. 5) Quale attitudine ella ritiene a noi convenga di assumere sino da ora nel prevedibile conflitto di tendenze e d 'interessi fra le Potenze qualora l'idea di una conferenza prendesse consistenza 1•

836

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETO 832. Roma, 18 maggio 1912, ore 12,20.

Fo seguito al mio telegramma odierno Gabinetto n. 831 1•

836 1 Cfr. n. 835.

Tutti i precedenti storici e le più verosimili previsioni attuali farebbero ritenere che una eventuale conferenza internazionale riuscirebbe a danno della Turchia a spese della quale si risolverebbero varie questioni interessanti singole Potenze. Parrebbe naturale che di ciò debba essere persuaso prima di tutti il Governo ottomano. Ma suppongo che l'eventualità debba anche essere presa in seria considerazione dal Governo germanico per la sua politica tradizionale verso la Turchia e per l'imbarazzo in cui verrebbe a trovarsi in una conferenza internazionale fra la Nazione alleata e la Turchia che pretenderà metterne alla prova l'antica proclamata amicizia.

Queste considerazioni dovrebbero avere speciale efficacia sull'animo di Marschall. Sarebbe forse utile che VE. ne intrattenga Marschall come di sua iniziativa aggiungendo che noi non abbiamo ancora preso posizione di fronte agli accenni di una conferenza.

Eppertanto riferendomi a quanto le disse Marschall (suoi telegrammi 109 e 110)2 sulla opportunità di escludere l'azione collettiva delle Potenze, dovrebbero codesto Governo e Marschall esaminare se non è questo il momento che Marschall si presenti a Costantinopoli con un progetto di soluzione che nella forma e nella sostanza possa considerarsi dal Governo ottomano come atto a risparmiargli danni maggiori oltre la perdita della Libia. E danni maggiori probabilmente anche da una conferenza. Base delle trattative potrebbe essere l 'idea del canone a titolo religioso (suo telegramma n. l 09) stabilito con formula da noi accettabile.

Gli avvenimenti di Rodi, la nostra azione nell'Egeo non possono non avere anche influenza determinante nella situazione diplomatica.

835 1 Per il seguito cfr. n. 836. Per le risposte cfr. nn. 841, 844, 840, 848 e 864.

837

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1037/284. Berlino. 18 maggio 1912.

Ho l'onore di confermare a VE. i telegrammi che le ho diretti (n. l 08, l 09, 11 0) 1 per renderle conto delle conversazioni da me avute col barone Marschall durante il suo recente passaggio per Berlino, circa la nostra impresa di Tripolitania.

Sarebbe inutile il riandare qui i rimproveri mossi in Italia a quello ambasciatore, sia per l'asserita insufficienza della sua protezione degl'italiani in Turchia e sia per l'attribuitogli contegno di incoraggiamento alla resistenza della Sublime Porta. Su questi punti vi sono da un lato le impressioni delle notizie raccolte a Roma e vi sono dall'altro le recise denegazioni del barone Marschall, il quale dice aver fatto per le

876 colonie italiane quanto era umanamente possibile e, quanto ai turchi, non aver dato loro incoraggiamento di sorta, ma non aver potuto a meno di constatare, d'accordo con tutti i residenti europei di Costantinopoli, il fatto delle disposizioni colà effettivamente esistenti. Si tratta di una questione di apprezzamento su atti e parole difficili ad accertarsi e sui quali sarebbe ormai vano il discutere o recriminare.

Nel riandare gli eventi degli scorsi mesi il barone Marschall mi disse che all'inizio della guerra e durante tutto l'ottobre regnava nei circoli ufficiali della Sublime Porta una profonda depressione, sicché sarebbe stato possibile in quei momenti il far accettare un qualsiasi componimento che avesse soltanto salvato l'amor proprio del sultano e la sua dignità di fronte al mondo maomettano. Nel novembre, dopo il decreto d'annessione, da ognuno fu notato un completo mutamento nel senso della resistenza ad oltranza. Giacché da un lato, la rinuncia a qualsiasi ombra di sovranità su due provincie prettamente musulmane si presentava come cosa impossibile; e dall'altro si rianimarono le speranze di un'efficace difesa col concorso dell'elemento arabo; giacché quegli indigeni, dapprima inimicissimi dei turchi come rappresentanti dell'autorità e de li'odiata imposta, si erano rivoltati, per fanatismo religioso e per effetto di abili incitamenti, contro l'invasore straniero col risultato che la questione di T ripoli era diventata una questione de li'Islam, davanti alla quale il Governo anche volendolo non avrebbe potuto transigere senza commettere un suicidio; e tutti gli atti di ostilità da noi in seguito compiuti fuori della Tripolitania non avevano avuto altro effetto fuorché di inasprire gli animi e rendere più tenace quella intransigenza.

Non vi è in tutto ciò nulla di nuovo, riproduco tuttavia anche questa prima parte delle dichiarazioni del barone Marschall per rilevare come egli me le facesse con accento di seria convinzione ed esprimendo il suo rincrescimento per gli ostacoli che un tale stato di cose opponeva al ristabilimento della pace cui le istruzioni del suo Governo gli prescrivevano di adoperarsi e da esso pure vivamente desiderato.

Dopo che io ebbi dal canto mio esposto le circostanze che avevano motivato per lo passato la nostra condotta, si venne al più importante, che è l'avvenire. Alla mia domanda di ciò che secondo lui rimarrebbe a farsi, data la situazione qual è, il mio interlocutore confessò che pel momento egli non vedeva una via d'uscita dall'assoluto contrasto esistente fra le esigenze, delle due parti; contrasto che egli osservò essere stato messo in luce più di quanto era opportuno e necessario, dal recente passo delle Potenze a Roma e Costantinopoli. L'aver così dato occasione a formulare quelle opposte pretese in due documenti ufficiali resi di pubblica ragione, le aveva per così dire irrigidite, aggravando le difficoltà di un negoziato che, come tutti i negoziati, dovrebbe implicare una qualche reciproca concessione.

Sull'intervento collettivo degli ambasciatori il barone Marschall espresse poi, in massima, il suo convincimento che esso non poteva riuscire a nulla di pratico; giacché la Sublime Porta ha imparato per lunga esperienza che gli sforzi di cinque Gabinetti laboriosamente spesi nella preparazione di una qualunque formola di comunicato, non sono poi mai seguiti da atti positivi di coazione, pei quali manca e sempre mancherà il necessario accordo. E nel caso attuale, l'effetto di quel passo era stato tanto più negativo, per essere desso stato inspirato dalla Russia, considerato dai turchi come l'eterno nemico ereditario.

Anche queste però, io osservai, sono cose del passato. Vedeva egli qualche altro mezzo di soluzione? A questo il barone Marschall rispose dapprima in tuono piuttosto scoraggiato, ripetendo che veramente egli temeva che questa guerra dovesse trascinarsi ancora per un tempo indefinito, fino ad una graduale estinzione, determinata un giorno o l'altro da generale stanchezza. Egli soltanto accennò alle disposizioni della Sublime Porta a rinunciare eventualmente alla Tripolitania, quando le fosse lasciata una parte almeno della Cirenaica: soluzione questa che naturalmente escluse come assolutamente impraticabile.

Gli feci rilevare dal canto mio che posteriormente alla sua partenza da Costantinopoli, si era verificato un fatto nuovo, con la compiuta occupazione di Rodi ed altre isole, operazione questa che non poteva non aver prodotto un qualsiasi effetto sui governanti turchi. Da ciò, per vero, egli non si mostrava troppo persuaso, citando la calma, per lui stesso sorprendente, con la quale si era accolto a Costantinopoli il blocco dell'Arabia, l'attacco di Beirut e da ultimo ancora il bombardamento dei forti esteriori dei Dardanelli. Gli feci notare però che l'occupazione delle Sporadi potrebbe avere ben altre conseguenze; giacché se anche i turchi potevano speculare sulle difficoltà politiche di una presa di possesso permanente di quelle isole per parte dell'Italia, era da considerarsi l'eventualità che qualora la nostra occupazione si protraesse al di là di un certo termine, le popolazioni indigene cristiane non volessero poi più ammettere il ritorno delle guarnigioni e delle autorità ottomane, reclamando per esempio un regime analogo a quello della vicina Samos. Potrebbe allora nascere per Rodi un'altra questione di Creta, certamente con poco guadagno per la Sublime Porta. Questa prospettiva mi parve produsse nel barone Marschall una certa

o o

ImpressiOne.

Tornando sul! 'argomento delle possibili condizioni di pace, egli quindi mi domandò se mi risultasse dell'esistenza in Tripolitania o Cirenaica di una qualche autorità musulmana, in mano alla quale si potesse forse indurre il sultano a trasferire i propri poteri di sovranità e che fosse in posizione da accettarli, d'intesa col Governo italiano. È l'idea che come ella lo ricorderà, era stata già vagamente accennata dallo stesso barone Marschall in Costantinopoli, con referenza al caso precedente della Russia in Crimea: e mi pare che anche a VE., essa non tornasse sgradita. Non mi trovavo però in grado di rispondere alla fattami interrogazione, e mi limitai ad accennare che avevo udito parlare di qualche discendente rimasto a Tripoli dell'antica stirpe Karamanli, senza poter dire qual fosse la loro importanza. Vi sarebbero i Senussi: ma qual conto se ne potrebbe fare? A semplice titolo accademico, ricordo pure in quest'ordine d'idee, che quando nello scorso ottobre fu di passaggio per Berlino il principe Fuad, Sua Altezza che come sa V.E., è molto amico dell'Italia, mi aveva fatto cenno della eventualità che si presentasse ad un dato momento come utile una combinazione di quel genere, aggiungendo che in un tal caso egli si porrebbe volentieri a nostra disposizione. Ma su ciò non insisto.

Finalmente, dissi pure al barone Marschall essermi risultato che si era parlato a Londra fra sir Edward Grey ed il nostro ambasciatore della possibilità di dare una qualche soddisfazione al sultano, mediante l'offerta di un congruo tributo o canone a titolo religioso, da corrispondersi eventualmente sotto certe forme e condizioni da determinarsi: ed essere questa osservai, un'idea che mi pareva contenere un germe degno di essere coltivato. Il barone Marschall non lo contestò; ed anzi, dopo un istante di riflessione, egli aggiunse che si riservava arrivando a Londra, d'intrattenersene col marchese Imperiali. Al che risposi che se egli realmente riteneva esser quello un progetto da tentarsi, sarebbe stato bene che egli approfittasse del suo prossimo ritorno a Costantinopoli per cominciare a scandagliare colà il terreno e sentire se qualcosa si potesse iniziare in tal senso. E ciò egli mi promise di fare. Il ministro degli esteri e quello della guerra, egli conchiuse, e più ancora il gran vizir, desiderano certamente la pace; ma questa non dipende soltanto dalla loro volontà e, date le sue condizioni quali furono create dai fatti precedenti e resi ormai immutabili, vi si oppongono in Turchia gravissimi ostacoli intrinseci e reali, che veramente non si vede come si possano superare.

Dopo la partenza del barone Marschall ho avuto su quanto precede una privata conversazione col sottosegretario di Stato. Egli mi disse essergli stata rinnovata l'istruzione di applicarsi con ogni maggior zelo alla ricerca di un mezzo per ristabilire la pace, la cui riuscita per opera sua costituirebbe il più degno coronamento della missione da lui sostenuta durante quindici anni in Turchia. Nel breve termine che ormai rimane al soggiorno del barone Marschall in Costantinopoli, sarebbe però già molto che di quella pace egli giungesse a gettare le prime basi.

È da notarsi a questo riguardo che il carattere e la direttiva di un qualsiasi futuro negoziato si trovano ora alquanto modificate da quello che erano ancora recentemente, prima dell'occupazione di Rodi. Da un certo punto di vista, si può anzi dire che siamo con ciò entrati in una terza fase. La prima era quella del mese di ottobre, quando si sarebbe potuto cercare una pace formale con una pronta liquidazione dei nostri profitti, a base di protettorato, o simili. Nella seconda fase dal novembre scorso fino ad un mese fa, si era mirato ad una semplice cessazione delle ostilità, i cui termini essenziali potevano essere, da parte della Turchia il ritiro delle sue truppe dall'Africa e da parte nostra, come corrispettivo, la sospensione di ogni attacco o minaccia contro altre terre ottomane: specialità di un simile componimento era di prestarsi, volendolo, ad essere conchiuso per così dire tacitamente, in linea di fatto, e !asciandone al tempo l'ulteriore graduale sistemazione di diritto. Per diversi motivi sui quali sarebbe inutile l'estendersi, questo secondo metodo non poté però essere attuato. Non ultima fra le circostanze che mi disturbarono la preparazione, fu l'intervento delle Potenze, promosso con le più amichevoli intenzioni dall'iniziativa del signor Sazonoff, ma destinato fatalmente a rimanere infecondo. Checché sia di ciò, l'idea di quel modus vivendi quale lo si era immaginato e che, colla pazienza, poteva forse essere coltivato con qualche speranza di successo, viene ora ad essere eliminata dall'occupazione delle isole. Questa pone certamente in mano nostra un pegno di qualche valore; ma per ciò appunto noi non potremo più rinunciarvi contro un semplice impegno per esempio del ritiro delle truppe turche; e l'eventuale restituzione di quei territori dovrà necessariamente subordinarsi a negoziati ed accordi più solenni e formali che non sarebbero occorsi per assicurare l'esecuzione di quell'impegno. Egli è sotto questo aspetto che si può dire essere i progetti di trattative entrati ora in una terza fase diversa dalle due prime e che offrirà non poche difficoltà: giacché la restituzione delle isole non sarà sufficiente per procurarci dalla Turchia un pieno riconoscimento del decreto del 5 novembre e sarà forse più di quanto potremo dare in corrispettivo di un semplice ritiro di fatto delle sue truppe dall'Africa.

Si tratterà quindi di vedere se e quale via di mezzo sia possibile per una transazione, sulla base del canone religioso sovra menzionato, combinato ove vi fosse modo, colla cessione dei poteri del sultano ad un ente musulmano esistente od eventualmente da inventarsi in Tripolitania o Cirenaica. Sono combinazioni che richiedono una certa elasticità nella trattazione dei dettagli, unita però ad un concetto positivo della linea da seguirsi ed alla debita fermezza nell'aderirvi. Epperciò sarebbe necessario che codeste questioni venissero attentamente studiate dal R. Governo, in vista del caso che il barone Marschall riuscisse di aprire il varco ad un preliminare scambio d'idee in quel senso.

Mentre non mancherò dal canto mio di spingere con la debita cautela questo importante e delicato affare presso il dipartimento imperiale mi riservo di tenere V.E. informata delle notizie che in proposito gli perverranno da Costantinopoli.

PS. Secondo che mi fu detto a questo Ministero degli esteri, il nuovo ambasciatore barone von Wangenheim si recherà probabilmente da Atene direttamente a Costantinopoli, nella seconda metà di giugno. Non si conoscono però ancora esattamente le sue disposizioni.

836 2 T. Gab. 753/109 del l O maggio, T. Gab. segreto n. 770/11 O del 15 maggio, non pubblicati, ma cfr. n. 837.

837 1 T. Gab. personale 746/108. T. Gab. 753/109 e T. Gab. segreto 7701110 rispettivamente del 9, IO e 15 maggio, non pubblicati.

838

IL COLONNELLO ELIA AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO

T. RISERVATISSIMO 271 . Il Cairo, 19 maggio 1912, ore 11,25 (per ore 12,15).

S.A. il kedivè prima di partire fece comunicare a Grimani lettera testè pervenutagli direttamente dallo Sceik el Senussi.

In essa, fra le altre cose, è detto che l'islamismo è attaccato da ogni parte perché mussulmani hanno abbandonato pratiche vera religione. Che egli non intende prender alla lotta perché bisogna che si compia volontà di Dio. Che egli conta recarsi tomba fondatore setta senussi, cioè Giarabub, e che ritornerà metà giugno.

Ciò conferma voce diffusa intorno prossimo viaggio ed anche il carattere di questo per ora non ostile a noi. Messaggero portatore lettera di Idrissi si incontrerà pertanto Giarabub col Sceik Senussi.

838 1 Manca l'appunto di trasmissione al Ministero degli esteri.

839

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 794/100. Pietroburgo, 19 maggio 1912, ore 17,50 (per. ore 20,45).

Telegramma di V.E. Gabinetto 824 1 . Le notizie pervenute a V.E. che farebbero credere alla preparazione di qualche evento nei rapporti tra Russia e Turchia mi sembrano prive serio fondamento. Di vero vi è sola la preoccupazione e la paura della Turchia. Governo ottomano cominciò essere impressionatissimo dal richiamo Tcharikoff nel quale necessario provvedimento a Costantinopoli si volle vedere un atto di ostilità. Seguì poi ad accrescere l'allarme atteggiamento di Sazonoff nei riguardi guerra italo-turca, che si è andato sempre più affermando in modo favorevole all'Italia, tanto da far supporre a dei veri accordi e ad una azione combinata tra le due flotte per forzare Dardanelli. Nella questione di Urmia, di capitale importanza per Russia, Gabinetto di Pietroburgo minacciosamente impose sua volontà. Nella recente questione dei Dardanelli Sazonoff sostenne con massima energia suo punto di vista dell'obbligo della Turchia dell'apertura degli stretti, senza alcuna restrizione, ed il nostro di non dare affidamento alcuno per l'avvenire. In questa sua azione Sazonoff restò solo a combattere quasi contro tutta l'Europa. Ciò avrà certamente contribuito ad aumentare allarme in Turchia, ove, tra tanta deferenza che le mostrano le Potenze, non si arriva più concepire un atteggiamento energico a tutela dei propri interessi senza scorgervi dei piani reconditi. Tanto per Urmia che per apertura Dardanelli Russia è per ora pienamente soddisfatta per vittoria diplomatica riportata. Tra Russia e Turchia esistono al momento attuale due questioni pendenti: indennizzo per danni causati dalla chiusura Dardanelli, e la questione delle ferrovie nel bacino del Mar Nero. Prima questione, per quanto grave non pare dover portare serie conseguenze, visto che tutto induce credere che Russia si dispone a non sollevarla (mio telegramma 87)2 . La seconda potrebbe prendere piega pericolosa, Russia non intende affatto rinunziare a suo diritto, come mi disse lo stesso Sazonoff, ma al momento presente tale questione non è entrata nella fase acuta. Da quanto precede risulta chiaro che non vi è oggi alcuna questione pendente che possa dare appiglio al verificarsi di qualche evento. Occorrerebbe perciò un piano prestabilito di Sazonoff, al di fuori delle questioni pendenti, per giungere ad uno scopo che francamente non vedo. Mi tengo con Sazonoff nel più stretto contatto e posso affermare che di tutte le questioni conosco suo pensiero. Ieri l'altro appunto ho avuto con lui una lunga conversazione in cui toccammo tutte le questioni sia di politica generale che questioni speciali e (?)3 sicuramente se in lui vi fosse stato pensiero recondito

2 T. Gab. segreto 662/87 del 30 aprile, non pubblicato.

3 Il punto interrogativo è del decifratore.

della [ ... ]4 in modo vago ne avrei avuto conoscenza o semplicemente l'impressione. Sola questione che Russia avrebbe interesse risolvere è quella degli stretti ma a più riprese Sazonoff mi ha dichiarato che non vi pensa affatto a sollecitarla, e che anzi uno dei motivi richiamo Tcharikoff fu appunto l'averla sollevata in un momento ritenuto inopportuno. Tutta la politica Sazonoff è diretta con la ferma volontà di evitare complicazioni senza contare che anche considerazioni politica interna mi portano ad escludere possibilità di avvenimenti inattesi. Questo addetto militare mi ha assicurato poi che i movimenti della flotta e truppe non escono dalle misure ordinarie in tempo pace. Parmi perciò dover escludere possibilità cui accenna telegramma di VE. Solo pericolo consiste, secondo me, nell'atteggiamento dei Giovani Turchi che se si abbandonassero ad atti inconsulti in proposito di una questione qualsiasi, Russia certamente non sopporterebbe sopraffazione. Ma Russia crede evitare questo pericolo appunto con atteggiamento energico e con una certa intimidazione. Queste sono le mie impressioni desunte da fatti, e le possibili previsioni. Naturalmente non mancherò vigilare e riferire VE.

839 1 T. Gab. segreto 824 del 17 maggio, non pubblicato.

840

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 800/216. Parigi, 19 maggio 1912, ore 21,20 (per. ore 2 del 20).

Rispondo partitamente al telegramma di VE. 831 1• Io ritengo che nell' eventualità di una conferenza noi potremmo ottenere dalle Potenze che sia anticipatamente e confidenzialmente convenuto che questa abbia luogo sulla base della nostra sovranità piena ed intera sulla Libia ma non otterremmo mai che ciò sia dichiarato pubblicamente perché ciò impedirebbe alla Turchia di prendere parte alla conferenza, e perché le Potenze non vorrebbero apparire di andarvi colle mani legate, ciò che farebbe apparire inutile la riunione della conferenza stessa. Quanto agli altri tre punti, io penso: sul punto primo: che questo Governo sarebbe favorevole alla conferenza ed a riguardo mi riporto alle dichiarazioni che Poincaré mi fece il 15 corrente e che io riferii a VE.: con mio telegramma 2592 . Sul punto secondo: è convincimento di tutte le Potenze, anche di quelle a noi più favorevoli, che per avere la pace si debba trovare una formala che salvi l'amor proprio della Turchia poiché essa, benché oramai convinta della inevitabile perdita della Libia, non si rassegnerà mai a subire oltre tale perdita anche una umiliazione. Ora è evidente che in qualunque caso nella ricerca di tale formala, le Potenze saranno verso la Turchia un poco più condiscendenti di quello che noi in questo oggetto (?)3 . Sul terzo punto. Da quanto

2 Cfr. n. 830.

3 Il punto interrogativo è del decifratore.

ho detto circa il secondo punto consegue logicamente la risposta al punto. Se noi abbiamo o troveremo il modo di indurre la Turchia a far la pace e se in attesa di trovarlo il nostro Paese non si stancherà e le nostre finanze non si troveranno a disagio, a me pare che non ci convenga di andare ad una conferenza. Invece se col prolungarsi dello stato di guerra il paese dovesse stancarsi o le nostre finanze dovessero esaurirsi, potrebbe avvenire che la conferenza che oggi si presenta di dubbia utilità per noi, si presentasse per noi come una comoda via di uscita. Sul punto quarto. Colla Russia noi dovremmo procedere, come ora procediamo, facendo valere la identità dei nostri interessi in Oriente, assicurandola che essa troverà in noi all'occasione un contegno così favorevole per essa quale è quello che ora ha dimostrato, e occorrendo al momento decisivo impegnandoci anche di più per la questione dell'apertura degli stretti. Alla Germania ed Austria dovrà farsi comprendere che quando la loro attitudine nella conferenza non fosse a noi nettamente favorevole, al Governo non riuscirebbe facile far accettare dal Paese il rinnovamento della Triplice Alleanza. Alla Francia occorrerebbe chiedere il mantenimento degli impegni presi col nostro trattato segreto. Ciò, del resto, io ho chiesto più volte, e Poincaré come già partecipai a V.E. mi rispose che in una conferenza la Francia potrebbe più liberamente mettersi dalla nostra parte, poiché cessando lo stato di guerra cesserebbe per essa l'obbligo della neutralità. Però, se dovessi garantire a V.E. che su quanto Poincaré ha detto può farsi pieno affidamento, mi troverei alquanto perplesso. Credo ugualmente che sia difficile avere una preventiva sicurezza dell'attitudine inglese. Ad ogni modo però ripeto che pericolo per noi non ne vedrei in un'attitudine ostile delle Potenze che non credo possibile, ma soltanto in una loro eventuale pressione per ottenere da noi maggiori concessioni sulla formola che dovrebbe salvare l'amor proprio turco.

839 4 Gruppo indecifrato.

840 1 Cfr. n. 835.

841

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 798/112. Berlino, 19 maggio 1912, ore 23.

Telegramma di V.E. 831 1 , 8322 . Né Kiderlen, né Zimmermann, né Marschall non mi hanno mai parlato di conferenza, ben rendendosi conto che nessuna conferenza può utilmente tenersi se non quando tutte le Potenze interessate siano preventivamente intese sulle sue conclusioni sostanziali. Nel caso attuale sono troppo note ad ognuno le nostre condizioni sine qua non fino ad ora assolutamente incompatibili con quelle della Turchia, e del resto non è verosimile che la Turchia stessa desideri una conferenza. Se il Comitato fosse ben sicuro di teneme strettamente limitato il

841 1 Cfr. n. 835. 2 Cfr. n. 836.

programma alla sola questione della Tripolitania, esso potrebbe forse vedervi un mezzo per ottenere una qualche riduzione delle nostre esigenze essenziali e salvare la propria responsabilità verso il Paese, ma è molto più probabile che prevalga presso la Sublime Porta la convinzione che qualsiasi conferenza europea finisca sempre a suo danno. Non credo quindi, in conclusione che vi sia luogo a preoccupazioni di un simile progetto che, a parer mio, non potrebbe a noi convenire, al quale nessun pensa seriamente, e che all'occorrenza ci sarebbe facile il far cadere mediante la semplice dichiarazione delle nostre condizioni pregiudiziali.

842

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 796/149. Vienna, 20 maggio 1912, ore 12,20 (per. ore 1,50 del 21).

Telegrammi di V.E., Gabinetto 813 1 e 823 2 , segreti. Le notizie a V.E. trasmesse dal r. ministro a Cettigne appaiono a me pure singolari ed esse sono in contraddizione con quelle comunicatele da Squittì coll'altro telegramma segreto, Gabinetto

813. Che lo Stato Maggiore austro-ungarico abbia preveduto una nostra azione in Albania e fatti gli studi necessari in conseguenza, è più che probabile, anzi si può affermare essere ciò quasi certo. Ma sarebbe molto arrischiato di stabilire quali sarebbero le modalità delle operazioni che esso avrebbe progettato di fare eseguire in previsione eventualità nostra azione. Quanto ad una eventuale intesa tra Austria e Montenegro allo scopo di far passare attraverso il territorio del Regno un corpo d'esercito imperiale e reale, non avrei, per il momento almeno, alcun indizio che faccia supporre che essa sia per intervenire realmente fra i due Governi. Ma, a questo proposito, non posso non riferirmi a quanto feci conoscere all'E.V. colla mia anteriore corrispondenza telegrafica circa la politica che il Governo imperiale e reale intende seguire rispetto alla Albania e alla Macedonia. Questa politica è pel momento eminentemente pacifica e mira innanzi tutto al mantenimento dello stat\1 quo in quella regione. Né mi risulta che Berchtold abbia intenzione di modificarla e di accingersi ad avventure simili a quelle accennate nei telegrammi suddetti. Non è però da escludere in modo assoluto che re Nicola abbia fatto proposta al Governo imperiale e reale, in vista di una azione comune in Albania. V.E. ricorderà che proposta simile venne già fatta dal re Nicola in occasione delle ultime insurrezioni dei malissori al barone di Aehrenthal che la respinse e che mi pregò di informare l'E.V. per dimostrare la poca fiducia che potevasi riporre in Sua Maestà.

Aggiungo che, appena pervenutomi telegramma di V.E. Gabinetto 813, segreto, telegrafai ai rr. consoli generali in Fiume e Trieste per far controllare notizie che

842 1 T. Gab. segreto 813 del 15 maggio, non pubblicato. 2 T. Gab. segreto 823 del 17 maggio, non pubblicato.

piroscafi del Lloyd Austriaco e dell'Ungaro-Croata avessero ricevuto avviso tenersi pronti a qualunque chiamata.

Caccia Dominioni mi ha riferito che indagini compiute presso persone bene informate escluderebbero fondamento quelle notizie per ciò che riguarda vapori Ungaro-Croata e che non vi sarebbe per ora alcun indizio come sospensioni, mutamenti, itinerari, riparazioni navi eccetera che renda verosimili notizie stesse anche rispetto ad altre compagnie. Mi riservo telegrafare V.E. risposta Revel appena mi perverrà.

843

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 844. Roma, 20 maggio 1912, ore 17,35.

Suoi telegrammi nn. 150 e 151 Gabinetto1 .

La questione della eventuale occupazione di Mitilene non si pone per ora.

Sulla eventuale occupazione dell'isola di Chio mi riservo di telegrafarle tra qualche giorno.

L'occupazione dell'isola di Kos è però assolutamente indispensabile ed improrogabile, tanto per ragioni di prestigio, quanto per non guastare l'effetto, allo scopo della pace, della vittoria di Rodi, quanto anche per ragioni militari, perché l'esistenza di un grosso presidio turco a poco più di un'ora di navigazione da Stampalia può costituire un pericolo, e certo ci obbliga a tenere a Stampalia un presidio considerevole, e obbliga le navi a vigilanza faticosa. Se V.E. lo crede utile può parlame con Berchtold come di decisione intimamente e inseparabilmente connesse alla occupazione di Stampalia e Rodi. La designazione che Berchtold ci fece di Stampalia, Rodi, e Scarpanto, infatti deve intendersi secondo il suo spirito, cioè nel senso che Berchtold ritiene giustamente che occupazioni di isole in quelle regioni non possono presentare pericolo fondato di ripercussioni balcaniche. Tale pericolo esiste ancora meno per Kos che per Rodi, anche perché Kos non ha per l'ellenismo l'importanza che ha Rodi.

Pregola inviarmi il progetto di nota scritta desiderata da Berchtold. Credo superfluo ripetere che il nostro impegno deve rimanere segreto per non fare venir meno l'effetto delle occupazioni sulla Turchia.

È vero che in alcune piccole isole ci siamo limitati a portare via le autorità civili e militari turche, che organizzavano lo spionaggio e il contrabbando, senza !asciarvi autorità e forze militari nostre. Avevamo fatto così credendo che Berchtold lo preferisse, ma, visto che giustamente egli preferisce che le occupiamo, spediremo subito in quelle piccole isole alcuni carabinieri.

Kazos e Khalki più che come isole propriamente dette, vanno considerate come appendici di Rodi e Stampalia. In ogni modo le telegraferò elenco esatto isole occupate.

Le nostre autorità militari e navali hanno ricevuto istruzioni di non incoraggiare eventuale movimento separatista delle popolazioni greche dalla Turchia. Sinora non si hanno manifestazioni notevoli in questo senso2 .

843 1 T. Gab. segreto 797/150 e T. Gab. segreto 7991151 del 20 maggio, non pubblicati.

844

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 803/161. Londra, 20 maggio 1912, ore 17,45 (per. ore 23,45).

Telegramma di V.E. Gabinetto 831 1 . Premesso che la condizione da V.E. opportunamente comunicata, unica evidentemente che ci permetterebbe di partecipare conferenza, rende pochissimo probabile riunione conferenza stessa; rispondo alle domande rivoltemi: l) qui non mi è stato fatto alcun accenno alla contemplata eventualità, né allusione alcuna ho veduto finora nella stampa. Non posso quindi fornire che indicazioni congetturali. Mia impressione è che, se la conferenza appoggiata da tutte le Potenze, presentasse per l'adesione Italia e Turchia serie garanzie per cessazione conflitto, questo Governo, in base contegno assunto di stretta neutralità e di già con gli altri non dovrebbe avere motivo di vantaggiose obiezioni. 2) Non mi sembra allo stato attuale delle cose, che questo Governo abbia speciale interesse proprio da propugnare, non ritenendo io probabile che esso voglia cogliere l'occasione regolarsi in modo definitivo sua situazione in Egitto, perché ciò costituirebbe per Turchia e per mondo musulmano in generale nuova umiliazione destinata cagionare grave risentimento fra i suoi sudditi musulmani in generale. 3) La conferenza alle condizioni bene inteso da noi formulate non mi sembra potrebbe essere accettata dalla Turchia perché in tal caso si risolverebbe in una mascherata pressione delle Potenze su di essa. Ancora minore mi pare probabile adesione Turchia se programma dovesse oltre che soluzione conflitto italo-turco comprendere altre questioni quali Creta, Macedonia, Stretto eccetera. 4) In tesi generale io non ritengo conferenza confacente nostro interesse e nostra dignità. Se si limitasse al nostro conflitto accettandosi a priori nostre condizioni conferenza diventerebbe inutile perché Turchia quando si rassegnasse a cedere preferirebbe intendersi o direttamente con noi o sotto gli auspici di altre Potenze amiche. Se invece programma includesse altre questioni, conferenza potrebbe essere per noi dannosa, giacché sollevandosi qualche delicata questione, per esempio quella degli stretti, potremmo trovarci in imbarazzi nel prevedibile confronto tra gli interessi russi e quelli di altre Potenze, Austria

844 1 Cfr. n. 835.

Ungheria in primo luogo. 5) Una volta manifestate in modo esplicito e definitivo nostre condizioni, per quanto riguarda questione Libia, credo che a noi converrebbe astenerci dal prendere in un senso o nell'altro posizione in un eventuale conflitto di tendenze tra le varie Potenze. Per quanto riguarda poi altre questioni eventualmente sollevate nostro contegno non potrebbe naturalmente essere determinato se non dalle direttive generali, nostra politica sulla base degli obblighi derivanti dall'alleanza e dagli altri accordi speciali conclusi.

843 2 Per la risposta cfr. n. 850.

845

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 808/153. Vienna, 20 maggio 1912, ore 20 (per. ore 22,50).

Telegramma di V.E. 21041• Pericolo di cui Poincaré parlò a Tittoni, mi sembra esistere realmente, giacché l'occupazione da parte nostra delle isole Egeo non potrà non promuovere nelle popolazioni cristiane delle isole stesse l'aspirazione alla autonomia.

Siccome però noi sappiamo che, in seguito agli impegni assunti con AustriaUngheria, dovremmo -dopo cessazione delle ostilità -retrocedere le isole alla Turchia, sarebbe nell'interesse nostro di evitare qualsiasi atto che possa far accrescere in quelle popolazioni cristiane le aspirazioni suddette.

E, poiché tale sentimento potrebbe essere alimentato dai provvedimenti che fossimo per prendere col modificare per esempio radicalmente le istituzioni civili attualmente esistenti nelle isole e facendo godere le popolazioni dei benefici della libertà e civiltà italiana, a noi converebbe, una volta assicurato il possesso delle isole in modo da eliminare ogni sorpresa interna, e l'andamento loro amministrazione, di mantenerle sotto il governo militare giustificato dallo stato di guerra in cui ci troviamo.

È bensì vero che anche questo regime eccezionale sarà migliore di quello turco, ma esso dimostrerebbe almeno all'Europa che noi evitiamo con scrupolosa cura tutto ciò che possa suscitare artificiosamente la questione della autonomia delle isole.

La guerra attuale non ha per noi altro scopo che quello renderei padroni assoluti della Libia. A tale proposito ci siamo prefisso eliminare ogni cosa atta complicare situazione generale in Europa ed a provvedere in modo assoluto al mantenimento statu quo Balcani e Turchia europea. Però, per ottenere appunto che questo statu quo sia turbato, a noi conviene non sorga nemmeno indirettamente nelle popolazioni cristiane delle isole occupate sentimento autonomia, giacché esso potrebbe avere ripercussione su quelle del continente balcanico e di Creta e produrre conseguenza

887 di risollevare forse la intera questione d'Oriente, compromettendo nostri vitali interessi. Questi verrebbero infatti esposti, mentre noi siamo impegnati con gran parte del nostro esercito e colla flotta a conquistare la Libia ed a occupare isole Arcipelago, a quei danni irreparabili indicati nella mia lettere del 28 luglio scorso2 .

Questione quindi di cui Poincaré intrattenne r. ambasciatore a Parigi, merita tutta la nostra attenzione e noi dobbiamo adoperarci perché per causa nostra, o indipendentemente anche da noi, essa non si imponga all'Europa. Inconvenienti che ne potrebbero derivare non sarebbero totalmente a danno della Turchia, come sembra ritenere Imperiali (telegramma Gabinetto 830, segreto)\ ma pure a nostro grave danno.

845 1 T. 2104 del 16 maggio, non pubblicato.

846

IL CONSOLE GENERALE A CALCUTTA, SAINT-MARTIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 292/62. Simba, 20 maggio 1912.

In una conversazione avuta oggi col segretario di Stato pegli affari esteri sulla agitazione dei mussulmani in India, ho confermato le intenzioni del R. Governo di non ostacolare in alcun modo i pellegrinaggi alla Mecca.

Sir Henry Mac Mahon mi ha espresso le sue apprensioni pel fermento prodotto nei sudditi indiani di religione mussulmana dalle notizie della guerra italo-turca e della azione spiegata dalla Russia in Persia, ed ha rilevato che quei due governi amici creano al Governo anglo-indiano una situazione critica nei suoi rapporti coi sudditi mussulmani.

Egli ha gradito quella conferma specialmente in vista delle difficoltà che prevede sorgeranno, se la guerra si prolungherà, ad una epoca ulteriore che non ha saputo precisarmi, quando i pellegrini mussulmani dell'India e dell'Afganistan si imbarcheranno in gran numero nei porti indiani diretti alla Mecca; accennando anche alla loro ignoranza come causa dei temuti inconvenienti.

Avendomi fatto parola di recenti proteste formulate in un comizio di mussulmani per ostacoli che sarebbero stati frapposti ai loro pellegrinaggi, ho espresso il desiderio di essere informato di ogni difficoltà che eventualmente insorgesse in quei viaggi, all'oggetto di poterne riferire a V.E. per gli opportuni provvedimenti.

Sembra che si tratti essenzialmente del timore di certi pellegrini di imbarcarsi a Gedda nel viaggio di ritorno a causa della crociera delle navi italiane, mentre trattandosi di navi neutre adibite a quel servizio e specialmente di navi inglesi quel timore è del tutto infondato.

845 2 Non rinvenuta. 3 T. Gab. 830 del 18 maggio, non pubblicato.

Rilevo dai telegrammi di stasera che la sezione di Londra della Lega dei mussulmani di tutta l'India ha fatto vive rimostranze al Ministero degli esteri per l'estensione della guerra ai Dardanelli e per il blocco di certe località nel Mar Rosso, considerato da loro come una grave offesa; accennando alla eventualità della formazione di squadre di volontari in India per correre in aiuto della Turchia.

Seguirò con attenzione l'agitazione di questi mussulmani ed insisterò presso questo Ministero degli esteri perché vengano date esplicite assicurazioni ai pellegrni che non saranno in alcun modo molestati dal R. Governo nel loro viaggio alla Mecca.

847

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLA LEGAZIONE A SOFIA

T. GAB. 858. Roma, 21 maggio 1912, ore 16,45.

(Per Sofia). Per Garbasso.

(Per tutti). Occupate oramai tutte le isole del basso Egeo, pregola telegrafarmi il suo parere, e, senza interrogarli a nome del R. Governo, possibilmente anche quello dei circoli competenti di costà, sul punto seguente, cioè se, per indurre più presto la Turchia a cedere, sarebbe oggi più efficace l'occupazione dell'isola di Chio o quella dei punti della costa della Tripolitania e Cirenaica non ancora da noi occupati. La simultaneità di tali operazioni non pare possibile 1 .

848

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 816/l 03. Pietroburgo, 21 maggio 1912, ore 19,15 (per. ore 23,50).

Telegramma di V.E. Gabinetto 831 1• Idea di una conferenza per por fine al conflitto italo-turco, dato che ci si arrivi sotto certe condizioni non panni debba essere da noi in principio completamente esclusa senza averla prima sottoposta ad un attento esame. Una conferenza che avesse piena libertà di azione e decisione sarebbe per noi un serio pericolo e mai dovremmo accettarla. La sola conferenza per noi

848 1 Cfr. n. 835.

889 accettabile sarebbe quella che avesse come esclusivo movente e scopo l'aiutar Turchia ad uscire dalla presente situazione nel senso di farle accettare dalla Europa quella sola soluzione possibile che per considerazioni di politica interna e religiosa Governo ottomano, nonostante futuro e certo danno, dice di non poter accettare di propria volontà e come risultato guerra.

In questo senso conferenza sarebbe vantaggiosa Turchia e non nuocerebbe a noi. Ad una conferenza dunque che avesse sinceramente tale movente e tale scopo noi panni che in principio non avremmo ragione di opporci. Occorrerebbe però in modo assoluto che la conferenza fosse preceduta da trattative e precisi impegni fra noi e Potenze. Potenze dovrebbero darci assicurazione formale che nulla sarà fatto nella conferenza contro la lettera e spirito decreto 5 novembre e che appena lavoro di essa sarà finito procederanno al riconoscimento del nuovo stato di cose. Questi impegni sembrano non dovrebbero essere difficili ad attenersi perché ormai riconoscimento della nostra sovranità e del nostro possesso della Libia sono virtualmente acquisiti ed in una conferenza venendo meno alle Potenze obbligo della rigida neutralità dietro cui si sono trincerate, esse possono più facilmente far opera pace in maniera consona ai nostri diritti ed interessi. Inoltre, se idea della conferenza facesse strada nello spirito anzidetto, panni necessario dover fare tutto ciò che è possibile perché sia esclusa da essa la trattazione di ogni altra questione che tocca Turchia. Anzi sarei portato affermare che noi dovremmo mettere questo come condizione egualmente sine qua non insieme a quel riconoscimento nostra sovranità. Se altre questioni infatti dovessero essere portate alla conferenza, dati gli interessi che tutte le Potenze hanno nell'Impero ottomano, inevitabilmente verrebbero imprigionate nella questione dei compensi che si risolverebbe a tutto nostro danno essendo difficile, se non impossibile, ottenere in questo momento altri vantaggi oltre acquisto Libia. In ciò interesse Italia coincide perfettamente con quello Turchia stessa, ed infatti già corre voce che Governo ottomano accoglierebbe idea di una conferenza a condizione che essa si occupi esclusivamente del conflitto italaturco. Sotto questo rapporto, ad evitare che altre questioni siano messe sul tappeto, sembrami preferibile che, in luogo di una solenne conferenza, si arrivi ad una riunione degli ambasciatori ad una capitale, forse la stessa Costantinopoli.

Prevedo Russia sarebbe favorevole ad una conferenza come essa è pronta ad aderire a qualunque mezzo atto a porre fine presente conflitto.

Sono d'avviso anche che essa propugnerebbe idea escludere dalla conferenza ogni questione estranea alla conclusione della pace. Se le altre Potenze sono, come tutto induce a credere, veramente desiderose veder fine guerra e di voler mantenere statu quo balcanico, esse non dovrebbero avere difficoltà escludere dalla conferenza ogni altra questione.

Se queste mie considerazioni sono esatte, dato che Italia andrebbe conferenza, o meglio alla riunione degli ambasciatori alle due condizioni esposte, non vedo quale conflitto pericoloso di interessi e tendenze si possa determinare tra Potenze. Tutto si ridurrà alla ricerca di formule che non ledano amor patrio Turchia e che siano accettabili per noi e che non venga ad essa assegnato un compenso materiale sotto forma indennità beni demaniali o per scopi religiosi troppo elevati. Poincaré ha dichiarato S.E. Tittoni che in una conferenza Francia libera dei doveri neutralità avrebbe ricambiato all'Italia appoggio ricevuto Algeciras. Dell'attitudine Russia non è lecito dubitare.

Per quanto riguarda Inghilterra non ho dati per giudicare, ma sembrami che essa non potrebbe fare a meno di unirsi tendenze Pietroburgo e Parigi. Per quanto riguarda Berlino e Vienna sempre combattute tra doveri alleate e gravi interessi in Turchia, nella conferenza alla detta condizione, tolta ogni idea pressione e infrazione alla neutralità, parmi dovrebbero assumere atteggiamento da alleate e tale da escludere sgradevoli sorprese. Le nostre alleate dovrebbero capire che diversamente non sarebbe più possibile rinnovamento Triplice Alleanza. Non è molto tempo, in una conversazione avuta con Sazonoff sulla voce corsa dell'idea manifestatasi Costantinopoli di una conferenza, egli mi disse risultargli essere questa il più vivo desiderio Governo ottomano che già Bustani e poi Turkhan pascià ne avevano parlato a lui a più riprese e che lui aveva sempre risposto che Italia o avrebbe rifiutato conferenza o forse l'avrebbe accettata colla previa assicurazione del riconoscimento sua sovranità in Libia. Alla stessa occasione, Sazonoff mi disse che a più riprese gli era venuta idea di una conferenza, ma che, dopo maturo esame, riteneva più utile, pratica e sicura una più modesta riunione degli ambasciatori in una capitale europea. In una conferenza, secondo il mio parere, non desiderabile, in cui Potenze dovessero propugnare propri interessi, le domande prevedbili della Russia sono: questione degli stretti, trattamento dei cristiani di Macedonia, questione delle ferrovie del Mar Nero. Punto cinque del telegramma di VE. è il più difficile per chi come me non ha precisa conoscenza dei trattati e accordi speciali segreti esistenti. In linea generale, sembra che la nostra attitudine dovrebbe essere particolarmente [ ... ]2 ai tre punti di vista che meglio corrispondono ai nostri interessi nella politica orientale, cioè mantenimento statu quo, sviluppo degli Stati balcanici secondo principi nazionalità e consolidamento Turchia. In questa attitudine ci troveremo d'accordo con Potenze Triplice Intesa e forse colla Germania costituendo una maggioranza. Parmi infine che all'idea di una conferenza alla condizione su esposta si dovrebbe giungere solo quando ogni tentativo di riprendere mediazione tuttora esistente si sarà dimostrato di impossibile attuazione. Per esaurire argomento, VE. mi permetterà osservare che, ammessa idea conferenza nei termini sopra nominati, R. Governo dovrebbe evitare un nuovo pubblico accenno al decreto 5 (dicembre-sic), perché in questo caso Governo ottomano si crederebbe obbligato riperere solite dichiarazioni di impossibilità e si troverebbe allo stesso punto di prima. A noi preme giungere ad uno stato di fatto riguardo alla Turchia e ad uno stato di diritto con Potenze. Per giungere stato fatto con Turchia non è necessario un nuovo accenno al decreto sovranità, che, per essere ormai legge Stato, non ha più bisogno di nuova conferma che certamente nuocerebbe in ogni caso conclusione pace e renderebbe impossibile riunione conferenza.

847 1 Per le risposte da Londra e Sofia cfr. nn. 851 e 863.

848 2 Gruppo indecifrato.

849

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 831/219. Parigi, 21 maggio 1912 (per. il 23) 1.

Iersera ho avuto un colloquio di un'ora con Poincaré. Il discorso che egli mi ha tenuto mostra che, seriamente impressionato dalla situazione che le polemiche imprudenti dei giornali minacciano di creare nei rapporti della Francia colla Russia e coll'Italia, voglia ora veramente fare il possibile per scongiurarla.

Il linguaggio usato da lui e da tutta la stampa seria ha dato ad Iswolsky le soddisfazioni necessarie. Poincaré andrà a Pietroburgo in giugno. Louis lascerà il suo posto nell'estate. Poincaré mi ha confermato di avere offerto l'ambasciata di Pietroburgo a Deschanel che l'ha rifiutata. Ciò mostra che l'andata colà di Barrère, che lswolsky ritiene molto probabile, non è ancora decisa. D'altra parte ho saputo che Bourgeois, che molte personalità influenti desidererebbero alla presidenza della Repubblica, sarebbe disposto a !asciarla a Delcassé e se dovesse ritenere un pubblico ufficio, preferirebbe l'ambasciata di Roma. Poincaré mi ha lungamente parlato dei rapporti coll'Italia che vorrebbe tornassero quali erano prima degli ultimi incidenti che desidererebbe per sempre dimenticati.

Si è !agnato che nei due Paesi una parte della stampa tenga un linguaggio che alimenta i pettegolezzi ed i malintesi. Mi ha assicurato che fin dove può giungere la sua influenza cerca d'impedire ciò e prega noi di fare altrettanto in Italia. Venendo alla guerra tra Italia e Turchia mi ha detto che la Francia desidera vivamente la pace coll'appagamento dei desideri italiani. Però perché un'azione delle Potenze sia utile, occorre che ci sia un principio di disposizione pacifica da parte della Turchia. Ora al riguardo c'è ancora molta incertezza. Bompard gli telegrafa da Costantinopoli che la Turchia è più che mai decisa alla resistenza a qualunque costo. Invece Rifaat pascià è più proclive alla pace ed infatti è entrato a discutere con lui quale sarebbe la posizione degli arabi di Tripolitania quando le truppe turche la sgombrassero. Io ho risposto che sapevo che V.E. avrebbe accettato un'amnistia generale per gli arabi. Poincaré mi ha detto che ciò non basterebbe e che i soldati turchi non potrebbero lasciare la Tripolitania quando la partenza loro esponesse gli arabi, che continuassero a resistere all'Italia, ad essere trattati come ribelli e bisognerebbe che la Turchia avesse la certezza che noi tratteremmo come belligeranti gli arabi che continuassero a combattere. Poincaré mi ha pregato di richiamare l'attenzione dell'E.V. su questo punto al quale Rifaat pascià annette una grande importanza. Mi ha detto poi che Rifaat pascià ritiene indispensabile che l'Italia faccia concessioni che salvino l'amor proprio turco poiché altrimenti sarebbe certo lo scoppio di una rivoluzione in Turchia con conseguenze che devono dar a pensare a tutte le Potenze. Poincaré dice che

oramai tutte le Potenze sono d'accordo su ciò: che l'Italia non può ritirare il decreto d'annessone e la Turchia non può riconoscerlo. Se l'Italia avesse occupato una gran parte della Tripolitnaia ci sarebbe un formula semplicissima e cioè il riconoscimento dello statu quo di fatto, invece non avendone l'Italia occupata che una piccola parte e nulla mostrando che essa pensi ad estendere la sua occupazione, la difficoltà per la Turchia sta nell'abbandono della maggior parte del territorio che essa ancora detiene. È vero, però, che oggi l'Italia potrebbe offure il corrispettivo del quale prima non disponeva, e cioè la retrocessione delle isole dell'Egeo. Poincaré è partigiano deciso della conferenza. Dice che l 'Italia nulla avrebbe da temere, poiché essendo tutti d'accordo che il desiderio d'annessione non può essere ritirato, l'Italia non dovrebbe aver difficoltà che le Potenze cerchino una formula che permetta alla Turchia di abbandonare la Tripolitania. Poincaré poi mi ha confermato il suo punto di vista che importando la conferenza cessazione dello stato di guerra, la Francia non più astretta ai doveri della neutralità, potrebbe tenere liberamente verso l'Italia il contegno che questa tenne ad Algeciras verso la Francia. La sola riserva che ha fatto è che non potrebbe impegnare al riguardo le opinioni del suo successore nel caso egli dovesse lasciare il potere. Poincaré però mi ha detto che pel momento a Costantinopoli non si è affatto disposti ad accettare la conferenza e che Rifaat pascià gliene ha parlato per esplorare il terreno ma senza manifestare la sua opinione in proposito. Ho riferito ciò che mi ha detto Poincaré. Stimo inutile telegrafare le molte cose che io gli ho detto, poiché sono del tutto conformi a quanto in argomento VE. mi ha significato ed a quanto io ho esposto in più occasioni all'E.V.

849 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

850

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 817/158. Vienna, 22 maggio 1912, ore 0,45 (per. ore 6).

Telegramma di V.E. 8441 e 849 segreto 2 . Ho avuto oggi una lunga conversazione con Berchtold nella quale mi sono espresso con lui senso telegrammi suddetti. Gli ho fatto conoscere anzitutto le isole da noi fino ad ora occupate, come quelle da cui erano state tolte guarnigioni autorità ottomane, indicandogliene le ragioni nonché la decisione presa dal R. Governo in seguito alle osservazioni sulle quali mi aveva pregato chiamare attenzione di VE. di procedere immediatamente alla loro occupazione per mezzo di piccoli distaccamenti di truppe e di carabinieri e sistemando in essa tutti i servizi. Ho accennato alla occupazione della isola di Kos rappresentandogli come fosse urgente ed assolutamente indispensabile ed improrogabile per motivi

2 T. Gab. segreto 849 del 20 maggio, non pubblicato.

stessi esposti dall'E.V. Berchtold ha cominciato col ricordare che mi aveva indicato le isole contro la cui occupazione non avrebbe sollevato difficoltà perché non comprese nell'Egeo e non contemplate perciò dall'articolo settimo del trattato di alleanza. Ha manifestato quindi la sua sorpresa che noi avessimo deciso procedere occupazione di altre isole, le quali trovandosi nell'Egeo erano naturalmente contemplate dall'articolo suddetto. L'osservazione che aveva creduto fare circa le conseguenze pericolose che avrebbe potuto avere il fatto di lasciare delle isole senza autorità alcuna, non poteva certo autorizzarci a procedere alla loro occupazione. Egli non si capacitava veracità delle ragioni da me esposte e che ci avrebbero indotti a togliere le autorità ottomane da quelle isole, e molto meno comprendeva come noi potessimo procedere all'occupazione delle isole stesse dopo quanto ci aveva già fatto conoscere. Ho osservato al conte Berchtold che come aveva giustamente rilevato le isole in parola non potevano essere lasciate senza autorità alcuna. Egli non poteva certo pretendere che noi ci riconducessimo le autorità civili e militari ottomane. Era quindi naturale che per prevenire gli inconvenienti da lui segnalati, noi le occupassimo per installarvi nostre autorità e provvedere al necessario. E a questo proposito dovevo anzi informarlo che le nostre autorità militari, come quelle navali, avevano ricevuto istruzioni non incoraggiare movimento separatista popolazioni greche nelle isole, e fino ad ora alcun movimento notevole in proposito non era avvenuto. Ma Berchtold ha risposto che avendo noi tolte le autorità da quelle isole toccava a noi risolvere la questione. Questa però non poteva essere risolta nel senso di una nostra occupazione che era in opposizione alle dichiarazioni fatteci ed agli impegni da noi assunti. Ho soggiunto che si doveva pur considerare che le isole suddette non avrebbero potuto essere abbandonate a se stesse, ciò su cui egli conveniva del resto e che non era conveniente sotto ogni rispetto soprattutto per nostri interessi politici e militari, che esse fossero occupate di nuovo dalle autorità turche, cosa che avrebbe potuto effettuarsi facilmente data la loro vicinanza al continente asiatico. A più riprese gli avevo fatto conoscere che le nostre operazioni nell'Arcipelago, come occupazioni di isole, avevano per scopo di reprimere il contrabbando di guerra ed accelerare pace, scopo che avevamo comune coll'Austria-Ungheria. Io non credeva che egli avrebbe potuto indicare una soluzione diversa da quella che noi avevamo creduto dare alla questione, e che si imponeva oramai non solo a noi ma anche a lui stesso, di occupare le isole. D'altra parte l'occupazione di tali isole, che era già stata annunziata erroneamente da più giorni dalla stampa viennese, non aveva sollevato alcuna protesta o osservazione qualsiasi nell'opinione pubblica della Monarchia come egli mi aveva affermato per l'addietro. Né era il caso di parlare di ripercussioni balcaniche, queste non essendosi prodotte per quelle di Rodi, di Karpato e Stampalia, di maggior entità delle altre due che trovansi nelle stesse regioni, la cui occupazione del resto ci era stata da lui stesso indicata appunto perché non atta a presentare tale pericolo; ma il conte Berchtold ha replicato che non spettava a lui risolvere la questione che avevamo sollevata e che aveva anzi impedito colle sue dichiarazioni che fosse sollevata. Per parte sua non poteva che ripetermi ciò che aveva già detto essere occupazione di quell'isola contraria a quanto ci aveva affermato in modo formale, come agli impegni da noi assunti. A questo proposito ha aggiunto che secondo l'articolo settimo del trattato una occupazione temporanea o permanente da parte dell'Italia e dell'Austria

Ungheria nella regione dei Balcani e nelle coste ed isole dell'Adriatico e dell'Egeo non avrebbe potuto avvenire che dopo previo accordo tra le due Potenze basato sul principio di un compenso. Occupazione quindi per parte dell'Italia delle isole di cui si tratta e che si trovavano nell'Egeo avrebbe dato diritto all'Austria-Ungheria di chiedere un compenso.

Austria-Ungheria però non desiderava compensi ma avrebbe potuto rilevare la cosa all'occorrenza. Ho fatto osservare al conte Berchtold che non mi sembrava che articolo sette si potesse applicare al caso presente, giacché la necessità di previ accordi per eventuali occupazioni temporanee di cui era in esso cenno, era stipulata soltanto, sicome V.E. aveva già osservato nello scorso aprile al Mérey (telegramma di V.E. personale Gabinetto 524)3 , nel caso derivino da mutamenti dello statu quo territoriale nella Turchia europea o mirino a [produrli]4 . Del resto giusta quanto io aveva dichiarato al conte Aehrenthal e a lui stesso, noi non avevamo accettato mai né accettavamo l'interpretazione data dal Governo imperiale e reale all'articolo suddetto. Mi sembrava poi che interpretazione di un trattato internazionale non potesse essere unilaterale bensì doveva essere fatta d'accordo tra le due Potenze anzi tra le tre Potenze contraenti interessate al trattato stesso. Del resto, quantunque la nostra conversazione avesse carattere del tutto amichevole e confidenziale io non poteva addentrarmi con lui in una discussione circa interpretazione di un articolo del trattato della Triplice Alleanza che era di esclusiva competenza del R. Governo. Avendo constatato che nonostante i ripetuti sforzi da me fatti, mi era impossibile rimuovere Berchtold dal suo punto di vista, ho creduto fargli presente la spiacevole impressione che avrebbe potuto produrre sulla nostra opinione pubblica ove essa apprendesse che era l'Austria-Ungheria la nostra stessa alleata, che frapponeva ostacoli alla nostra legittima libertà d'azione, come i pericoli che avrebbero corso in tal caso i reciproci rapporti d'amicizia ed alleanza. Ed ho aggiunto che non credevo che egli avrebbe voluto assumersi la responsabilità di esporre quei rapporti stessi a sì grave cimento nel persistere nel suo punto di vista. Onde l'ho pregato di voler bene riflettere a quanto ero andato esponendogli, e egli ha chiesto di venirlo a vedere di nuovo domani per sentire la sua definitiva decisione, che mi auguravo sarebbe stata tale da eliminare i pericoli segnalatigli. Mi riservo di far conoscere domani al conte Berchtold il desiderio di V.E. che il progetto di nota scritta sia da lui stesso redatto per essere sottomesso all'esame di lei, ricordandogli che nostro impegno deve rimanere assolutamente segreto. Non mancherò pure di comunicargli il telegramma di

V.E. urgente Gabinetto 8565 pervenutomi dopo la visita da me fattagli.

Sebbene conte Berchtold abbia parlato in termini amichevoli, il tono fermo col quale si espresse mi lasciava poca speranza che egli possa darmi domani risposta

4 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

5 Con T. Gab. urgente 856 del 21 maggio di San Giuliano comunicava tra l'altro: «Mentre prevedevasi occupazione isola Kos tra alcuni giorni e preparavasi corpo spedizione, comandante forze navali seppe che guarnigione turca aveva evacuato l'isola riuscendo a salvarsi sul continente, ed essendosi una r. nave presentata dinanzi a Kos il Caimakan ed i pochi gendarmi rimasti si sono arresi. In seguito a ciò si è dato ordine di procedere subito alla occupazione».

diversa da quella datami oggi. La situazione creata dall'occupazione per parte nostra delle isole in parola, aggravate dal fatto che questa occupazione è avvenuta prima di aver interpellato in via confidenziale conte Berchtold, non ostante i ripetuti avvertimenti che, a discarico della mia responsabilità, mi ero permesso di dare, mi sembra oltremodo delicata. L'accenno fatto dal conte Berchtold al compenso che AustriaUngheria avrebbe diritto di domandare in virtù dell'articolo settimo del trattato di alleanza dopo la nostra occupazione delle isole suddette e che essa, pur non desiderando tale compenso, potrebbe rilevare la cosa all'occorrenza, non può non farci riflettere seriamente e deve renderei estremamente guardinghi nelle decisioni che fossimo per prendere circa ulteriori estensioni delle nostre operazioni navali nell'Egeo6.

850 1 Cfr. n. 843.

850 3 T. Gab. personale 524 dell'8 aprile, non pubblicato.

851

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 826/165. Londra, 22 maggio 1912, ore 10,05 (per. ore 3,15 del 23).

Telegramma di V.E. Gabinetto 858 1• Secondo che ho riferito precedentemente e secondo che mi è stato confermato da Rodd, qui si crede che operazioni nello Egeo non esercitano influenza sulle decisioni Turchia. Ciò non di meno sono sempre di subordinato parere che a noi convenga oramai occupare, senza indugio ulteriore, non solo Scio ma anche Mitilene. In caso contrario turchi diranno che le Potenze hanno arrestato nostre operazioni a che non abbiamo osato occupare isole meglio difese di Rodi. Così vantaggi ottenuti con il successo di Rodi e occupazione altre isole ci sfuggiranno.

Urgenza tali operazioni mi pare anche sufficientemente dimostrata dal linguaggio odierno Temps e di altri giornali francesi, i quali tendono, col sollevare in Europa apprensioni, a determinare in Europa corrente contraria quell'occupazione. Tale intenzione si deduce anche dalle notizie provenienti Costantinopoli nel senso che l'occupazione Mitilene potrebbe spingere Turchia chiudere nuovamente stretti. Credo che oramai ci convenga svolgere senza esitazione nostro intero programma nello Egeo fermandoci a Mitilene e lasciando [inF occupate Lemnos e Tenedos. Occupata Mitilene per sventare mene dei turchi e dei loro amici sarebbe opportuno forse dichiarare qui apertamente che non intendiamo assalire Dardanelli. Occupazione Scio, Mitilene potrebbe pure avere in seguito benefica conseguenza permetterei

851 1 Cfr. n. 847. 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

conservare Rodi. Motivo principale che mi ha spinto e mi spinge sostenere intensificazione azione Egeo non è tanto quello esercitare pressione su Turchia, quanto di porci al più presto in una posizione militare-diplomatica tale da consentirci attendere con [calma]2 e senza pregiudizio nostro, che la Turchia ceda, rimanendo così noi liberi affrettare o ritardare operazioni Libia come meglio ci converrà, visto che oramai quivi dobbiamo considerarci come in casa nostra. Non è poi detto che due nuovi nostri successi, come quello di Rodi debbano lasciare Turchia affatto indifferente. A prescindere da tutte queste considerazioni, occupazione isole mi pare ampliamente giustificata anche quale rappresaglia per espulsione di tutti italiani dal territorio ottomano.

850 6 Per la risposta cfr. n. 853.

852

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. 4471. Roma, 22 maggio 1912, ore 14,49.

Totale prigionieri presi a Rodi è trentaré ufficiali tra cui comandante in capo, e noventocinquanta soldati. Dispersi continuano a presentarsi.

Sono stati presi sei pezzi da montagna con munizioni, muletti e bardature, duecento casse cartucce e circa settecento fucili.

R. nave «Pegaso» intimò resa guarnigione isola Simi fece prigionieri gendanni e cmmacan.

R. nave «Napoli» presentatasi isola di Cos ha ricevuto la resa del caimacan, della gendarmeria e delle autorità civili turche.

853

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO URGENTE 871. Roma, 22 maggio 1912, ore 22.

Suo telegramma Gabinetto n. 1581 .

Premetto che se Berchtold ritiene che Stampalia non è compresa n eli 'Egeo e non è contemplata perciò dali' articolo settimo, le conseguenze logiche sono: l) che ciò si applica anche a Kos, Simi, Telos, Piscopi, Kalchi, Cazos, le quali ultime due non sono che appendici di Rodi e Scarpanto. 2) Che l'Austria non ha diritto a

897 chiederci per queste isole, e tanto meno per Rodi e Scarpanto, l'impegno di evacuarle a suo tempo, che nessuna Potenza ci ha chiesto, e che non può essere fondato su altra base che non sia l'articolo settimo.

Non dico questo per sottrarci a tale impegno.

Quantunque non si veda come un'occupazione temporanea possa dar luogo a compensi, che logicamente dovrebbero pure essere temporanei, tuttavia se l'Austria vuole entrare nella discussione degli eventuali reciproci compensi in previsione deile varie ipotesi, cui possono dar luogo le ulteriori fasi del conflitto italo-turco, le sue possibili ripercussioni e la sua soluzione, -tale discussione potrà essere utile se condurrà ad un accordo tra le due Potenze aiieate che sostituisca aiia più o meno amichevole neutralità un reciproco appoggio ed una cooperazione attiva tra Austria e Italia neiie quistioni che riguardano i loro rispettivi interessi più importanti. È sempre stato mio intento, fin da quando assunsi la direzione degli affari esteri, di giungere a questo accordo positivo e fattivo tra Italia e Austria.

Togliere daile isole, dovunque si trovino, le autorità ed i presidi turchi non è contrario alla nostra interpretazione dell'articolo settimo. Tuttavia le rr. navi hanno avuto ordine di non compiere queste operazioni che per isole a sud di Nikaria e Samos. AII'infuori di Stampalia, Scarpanto e Rodi, noi non avevamo interesse ad occupare le altre piccole isole che abbiamo occupate, ma soltanto ad aiiontaname i turchi. L'ordine di occuparle è stato dato, e certo a quest'ora eseguito, soltanto in seguito all'osservazione fatta a V.E. da Berchtold, e credendo di interpretare i desideri di lui, che mi sembravano chiari e logici perché la presenza di nostri funzionari e carabinieri in quelle isole è un mezzo d'impedire l'agitazione ellenica temuta da Berchtold, e perciò è un atto conforme allo spirito deii'articolo settimo ed a uno dei fini della Triplice Alleanza, che è il mantenimento dello statu quo territoriale balcanico. È interesse nostro quanto de II' Austria che questo non venga modificato, ma non è compatibile né coll'alleanza né coll'amicizia né colla neutralità che l'Austria inceppi la nostra libertà d'azione militare quando non mette in pericolo tale comune interesse. La astensione da alcune operazioni, militarmente e politicamente necessarie, ma ostacolate dall'Austria, non è possibile alla lunga senza che il vero motivo di tale astensione, cioè l'opposizione dell'Austria, finisca per essere nota, potendo in un dato momento anche il R. Governo trovarsi nella dolorosa necessità di dirlo. La conseguenza di ciò sarebbe l'impossibilità di rinnovare l'alleanza, e il fallimento dei lunghi reciproci sforzi di assidere su salde basi l'amicizia tra Italia e Austria, che niun grande interesse divide. Certo non vale la pena esporsi a così grave inconveniente per la temporanea occupazione di qualche misero scoglio isolato nell'Egeo, come Kalimo, Leros, Lipso e Patmos, o per qualche operazione militare necessaria per far sentire alla Turchia i danni deiia guerra e per evitare che l'opinione pubblica italiana spinga ad imprese maggiori. Per lo meno poi quando noi ci asteniamo da qualche operazione militare per riguardo ali' Austria, questa dovrebbe compensarci del danno che a noi ci deriva con un'azione più amichevole verso di noi nel campo diplomatico.

Vi ha contraddizione tra il non riconoscere ancora la nostra sovranità suiia Libia perché la Turchia è ancora in grado di resistere, e poi toglierei i mezzi di obbligarla a cedere. Vi ha contraddizione tra il lasciare espellere a migliaia gli italiani della Turchia, e poi pretendere che l'Italia rimanga indifferente alle sofferenze di tanti connazionali e non punisca la Turchia con un'azione militare su punti sensibili dell'Impero ottomano.

Ripeto poi a V.E. affinché ella ne faccia l'uso che crede nelle conversazioni con Berchtold ed, ove lo creda opportuno, con Tschirschky, quanto segue: l) che a noi interessava pei nostri fini, ben noti, occupare Rodi, Stampalia, Scarpanto e Kos; 2) che per Kos prevedevamo occuparlo verso il 25 o 26, cioè dopo che VE. avrebbe parlato con Berchtold, e l'occupazione fu anticipata dall'ammiraglio per le ragioni che le ho telegrafato2; 3) che per le piccole isole ci interessava solo Jevarne le guarnigioni ottomane, e si è dato ordine, certo a quest'ora eseguito, di occuparle soltanto in seguito alla osservazione fatta da Berchtold a VE., ma, salvo miglior esame, credo che probabilmente non sarebbe da parte nostra abbiezione a ]asciarle a se stesse senza autorità e guarnigioni, né ottomane né italiane.

La notizia del bombardamento di Chios data dal Times è falsa. Mérey oggi mi ha domandato se sono in vista altre occupazioni di isole. Ho risposto che certo non sono imminenti e che, se saranno necessarie, avremo prima uno scambio di idee coll'Austria.

Parlammo pure delle isole già occupate ed io mi sono limitato a spiegargli come si svolsero i fatti ed a sfiorare appena alcuni degli argomenti svolti in questo telegramma3 .

853 1 Cfr. n. 850.

854

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 825/159. Vienna, 23 maggio 1912, ore 3,10, (per. ore 5,35).

Ho visto oggi di nuovo Berchtold e gli ho chiesto in via confidenziale e confidenziale (sic) se nella decisione che aveva creduto prendere avesse tenuto conto delle considerazioni che, nell'interesse dei nostri rapporti d'amicizia e di alleanza, io gli aveva esposto nel colloquio di ieri 1• Berchtold mi ha detto che la decisione da noi presa di occupare le isole indicate nei telegrammi Gabinetto 842 2 e 8563 segreti non aveva potuto produrre su lui che una spiacevole impressione. Tale decisione era in opposizione non solo alle dichiarazioni fatteci in precedenza ma

3 Per il seguito cfr. n. 854.

2 T. Gab. segreto 842, del 20 maggio, non pubblicato.

3 Cfr. n. 850, nota 5.

899 anche agli impegni che avevamo assunto coll'articolo settimo del trattato d'alleanza riguardante le isole suddette nell'Egeo. Egli ne era stato tanto più spiacevolmente impressionato in quanto che la decisione occupare quelle isole era stata presa senza che ne fosse stato preventivamente interpellato. Siccome aveva dei doveri che gli incombevano in forza del trattato nonché l'obbligo di tutelare interessi della Monarchia egli avrebbe avuto il diritto domandare in base dell'articolo suddetto dei compensi per occupazione delle isole di cui si tratta.

In vista però delle considerazioni da me espostegli e per dimostrare il suo buon volere come il suo desiderio sincero di non mettere pel momento, e nella misura del possibile, ostacoli alla nostra libertà d'azione egli non avrebbe sollevato opposizione contro le occupazioni suddette e non si sarebbe prevalso in questa occasione del diritto a compensi che gli spettavano. Egli doveva però dichiarare in modo formale che se noi procedessimo all'occupazione ulteriore di isole nell'Egeo non sarebbe stato in grado di consentirvi a cagione delle gravi conseguenze che potrebbero risultame e nel !asciarci la piena responsabilità di queste eventuali occupazioni si sarebbe riservato il diritto ai compensi di cui potrebbe all'occorrenza prevalere. Ho risposto al conte Berchtold che non avrei mancato di riferire a VE. quanto mi aveva comunicato, ma che doveva intanto fargli rilevare che, se non limitava per ora nostra libertà d'azione, egli però veniva a !imitarla per l'avvenire impedendoci di procedere ad ulteriori occupazioni nell'Arcipelago.

Mi sembrava che il trattato d'alleanza dovesse essere interpretato secondo il suo spirito ed il suo fine.

Se l'Austria-Ungheria aveva ragione di volere che noi non approfittassimo della guerra per creare nei Balcani una situazione contraria agli interessi suoi ed a quelli dell'Europa, essa però non aveva il diritto né interesse di esporci a quelle operazioni che non avevano altro intento che accelerare sia direttamente che indirettamente la fine della guerra. Per cui invece discutere se una isola era o non compresa nell'Egeo se noi potevamo o meno bombardare un forte di quella isola conveniva considerare gli effetti politici probabili di tale operazione militare e regolare la nostra comune condotta.

Siccome gli avevo già osservato, in Italia si riteneva come amica ed alleata della Turchia e come non amica ed alleata dell'Italia quella Potenza che violando i doveri della neutralità in favore della Sublime Porta ci avesse impedito di servirei di tutti i mezzi che erano in nostro potere per obbligarla a cedere. Io non poteva quindi che chiamare di nuovo la sua attenzione sui gravi pericoli cui avrebbero potuto essere esposti i nostri rapporti di amicizia e di alleanza se avesse persistito nell'opporsi alla nostra libertà d'azione per l'avvenire.

Mi sembrava per contro che questi nostri rapporti che si erano tanto migliorati avrebbero dovuto risposare sulla reciproca fiducia e sulla reciproca considerazione dei rispettivi interessi che erano identici, entrambe le Potenze non avendo che uno scopo uguale di mantenere saldo statu quo nei Balcani. D'altra parte per ciò che riguardava l'interpretazione da lui data all'articolo settimo del trattato non potevo che riferirmi a quanto avevagli fatto notare ieri che sencondo la mia opinione personale le stesse stipulazioni di quell'articolo non potevano applicarsi al caso nostro. Onde non scorgevo quale diritto a compensi avrebbe potuto essere accampato dall'Austria-Ungheria per l'occupazione temporanea per parte nostra di isole dell'Egeo. Ma Berchtold ha replicato circa il primo punto che non credeva poter modificare suo modo di vedere già manifestatomi e confermato dalle dichiarazioni fattemi oggi e circa il secondo punto che non poteva condividere l'opinione da me espressa circa interpretazione dell'articolo settimo del trattato. Berchtold ha aggiunto che doveva del resto tener conto, rispetto a quanto mi aveva fatto conoscere, delle informazioni che gli pervenivano dai consoli imperiali e reali in Grecia e nelle varie parti della Turchia. Risultava da tali informazioni che in seguito ali' occupazione da parte nostra di isole dell'Egeo l'agitazione in favore delle aspirazioni elleniche cominciava a farsi strada tra quelle popolazioni greche. Credeva dover segnalare la cosa al R. Governo per metterlo in guardia contro le conseguenze che potevano derivare da simile agitazione. Se questa infatti avesse preso piede, e se avrebbe potuto avere un contraccolpo nelle popolazioni greche dei Balcani ed in Creta. Ho ricordato a questo proposito a Berchtold le istruzioni, già da me comunicategli ieri, impartite alle nostre autorità militari e navali di non incoraggiare alcun movimento separatista nelle popolazioni elleniche della Turchia. Del resto nessuna manifestazione notevole in tale senso erasi finora prodotta al riguardo. Berchtold mi ha detto infine che, corrispondendo al desiderio dell'E.V., avrebbe redatto progetto di nota scritta inviandola poi per sottometterla all'esame di lei.

Gli ho ripetuto che naturalmente nostro impegno doveva rimanere segreto per non compromettere effetti dell'occupazione sulla Turchia4 .

853 2 Cfr. n. 850, nota 5.

854 1 Cfr. n. 850.

855

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 3392/354. Vienna, 23 maggio 1912, ore 3,10 (per. ore 5,25).

Berchtold mi ha detto che ambasciatore di Austria-Ungheria a Costantinopoli non avevagli confermato notizia pubblicata da questa stampa che Sublime Porta avrebbe decretato espulsione di tutti i sudditi italiani dall'Impero ottomano. Gli risultava, però, in via indiretta, che non sarebbe stato possibile di effettuare tale espulsione in massa date le difficoltà che si sarebbero potute incontrare per eseguirla. Egli conosceva, del resto, quel provvedimento come poco opportuno e non certo atto ad avvantaggiare la Turchia.

Ho osservato come mia opinione personale che, se l'espulsione fosse stata realmente decretata ed eseguita, trattandosi di migliaia di sudditi italiani e di

ingenti interessi, sarebbe stato difficile al R. Governo non compiere qualche rappresaglia di carattere militare per dare soddisfazione al sentimento nazionale.

854 4 Per la risposta cfr. n. 858.

856

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 843/12. Cettigne, 23 maggio 1912, ore 6,50 (per. ore 12,10).

In una conversazione avuta iersera col re Nicola mi sono accertato che questo ministro d'Austria-Ungheria non gli ha fatto alcuna allusione circa la possibilità di trattative riguardo ali' Albania che si aprirebbero con Sua Maestà a Vienna in occasione della sua prossima visita. La mia impressione di ieri è stata che il re, informato da fonte russa che lo Stato Maggiore austriaco aveva contemplato il caso di una azione italiana in Albania e che si era preparato, qualora questa si fosse verificata, all'invio di truppe in quella regione, si era subito esaltato ed aveva dato troppo presto corpo alle ombre.

Egli si è detto che il Montenegro non potrebbe rimanere inattivo di fronte simile avvenimento. Perciò è divenuto ansioso di sapere se con l'Italia o con Austria-Ungheria avrebbe partecipato ad una occupazione del territorio albanese. Ora Sua Maestà ha già perduto gran parte della fiducia dimostrata l'altro giorno nell'annunziata imminente complicazione. Quando gli ho espresso in via affatto privata e personale il mio animo contrario alla credenza nelle intenzioni aggressive attribuite ali' Austria non mi ha contraddetto. Anzi ha finito col consentire nella seguente mia idea; come si afferma, condizione essenziale di un intervento armato dell'Austria in Albania è una azione militare dell'Italia nella regione; l'ipotesi di quell'intervento si esclude da per sé, perché l'Italia non ha mai e non pensa a portare le armi in Albania.

857

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 876. Roma, 23 maggio 1912, ore 18,33.

Garbasso comunica in data 21 : «Consiglio dei Ministri .. . però decisa (come nel telegramma m amvo

n. 3385)1».

Non so se la Turchia metterà realmente in pratica l'insano provvedimento ed ordinerà l'espulsione in massa di tutti gli italiani. Tuttavia la misura in cui esso è già stato adottato rende sempre più difficile al R. Governo di astenersi dal compiere certe operazioni militari, tanto più se la Germania e l'Austria, pur avendo assunto la protezione dei sudditi italiani e dei loro beni, nulla fanno per impedire che la Turchia li espella dal territorio ottomano. Questo stato di cose c[heF eccita in Italia l'opinione pubblica, può dar l[uogo af inconvenienti e pericoli che bisogna prevede[re. E perché]2 alla loro volta i due Governi alleati possano procedervi, prego la E.V. richiamare con amichevo[le franchezza dif linguaggio l'attenzione di codesto Gover[no sul pericolo] 2 derivante dall'espulsione di tante migli[ aia di nostrif connazionali che profughi, ammalati, impove[ riti giungono f nei nostri porti eccitando pietà per loro [indignazione f contro la Turchia, eccitazione contro il R. [Governo f per la sua moderazione nella guerra.

857 1 T. 3385 del 22 maggio, non pubblicato relativo all'espulsione degli italiani dall'Impero.

858

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 877. Roma, 23 maggio 1912, ore 19,30.

Suo telegramma Gabinetto n. 159 segreto 1 .

Pregola telegrafarmi il suo parere indicandomene le ragwm sm seguenti punti: l) se conviene prendere noi l 'iniziativa di parlare a Berchtold degli eventuali reciproci compensi ovvero attendere che egli ne riparli; 2) qualora il R. Governo decida di procedere all'occupazione temporanea di Chio in quali termini convenga parlarne a Berchtold e se con allusione ai compensi o pur no; 3) quali ella crede che possano essere i compensi che Berchtold chiederà, in quali ipotesi e con quali reciproci compensi ed accordi; 4) se V.E. crede possibile e suquali basi di sostituire all'attuale neutralità passiva una cooperazione attiva tra Italia e Austria nel conflitto attuale e nelle altre grandi questioni che interessano i due Paesi2 .

2 Per la risposta cfr. n. 868.

857 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

858 1 Cfr. n. 854.

859

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 852/162. Vienna, [24] maggio 1912, ore 10 (per. ore 2,50 del 25).

Telegramma di V.E. Gabinetto 858 1 . -Ho sempre creduto, sino dal momento in cui questione venne posta sul tappeto, che la occupazione di isole nell'Egeo, se può costituire per noi una specie di pegno per le future trattative di pace, non sia un mezzo efficace per indurre la Turchia a cedere. E questo continuo a credere anche attualmente; tale occupazione, anche se estesa a tutte le isole dell'Egeo, potrebbe creare certamente seri impicci, come un certo disagio economico alla Turchia ed essere anche considerato da essa come una umiliazione, ma è da dubitare che possa indurla a venire a patti con noi, a meno che altri eventi che vi si connettessero non la obbligassero a cedere.

E tale è pure, a quanto mi consta, l'opinione di questi circoli competenti. D'altra parte, dopo le recenti dichiarazioni fatte a me dal conte Berchtold, io non potrei consigliare l'occupazione dell'isola Chio che, oltre a metterei in aperto disaccordo coll'Austria-Ungheria, avrebbe le conseguenze accennate nel mio telegramma Gabinetto 160 segreto2 . A me pare quindi che a noi convenga di intensificare nostra azione in Tripolitania e Cirenaica, spingendo nostre operazioni militari colla maggior possibile alacrità per affermare vieppiù nostro possesso in quelle regioni, occupando punti della costa che non furono ancora occupati. Ciò potrà avere maggiore efficacia che la occupazione di Chio e di altre isole dell'Egeo ed evitare quindi le complicazioni che da essa potrebbero derivare.

860

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 848/163. Vienna, 24 maggio 1912 1.

Berchtold mi ha inviato iersera prima di partire Berlino, accompagnandolo da lettere particolari, lo schema della dichiarazione che noi dovremmo fare al Governo imperiale e reale per impegnarci a restituire alla Turchia, dopo la cessazione delle ostilità, le isole da noi occupate pregandomi di sottoporlo all'esame di V.E. -Schema suddetto è del seguente tenore: «Il est entendu que dans la pensée du Gouvemement

2 T. Gab. segreto 8531160 del 24 maggio non pubblicato ma sull'argomento cfr. n. 854.

italien l'occupation des ìles de Rhodes, Karpates et Stampalia ainsi que toute autre occupation d'ìles de la Mer Egée (Archipel) a un caractere purement provvisoire et qu'après la cessation des hostilités entre l'Italie et la Turquie le statu quo ante sera rétabli par la restitution des ìles à la Sublime Porte dont la souveraineté pleine et entière sera maintenue».

Mi sembra che l'ultima parte della dichiarazione, a cominciare dalle parole «dont la souveraineté ecc.» non abbia veramente ragione d'essere per noi obbligati alla pura e semplice restituzione delle isole occupate alla Sublime Porta. -V.E. giudicherà poi se nel testo della dichiarazione si debba far dell'obbligo per il Governo imperiale e reale di mantenere il segreto sul contenuto di essa . . . -Prego

V.E. di volermi mettere in grado di far conoscere al conte Berchtold se approva o meno i termini dichiarazione stessa.

859 1 Cfr. n. 847.

860 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

861

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1496/648. Parigi, 24 maggio 1912 (per. il 30).

Ho l'onore di rispondere al telegramma di V.E. Gabinetto dal n. 875 1•

Le giuste considerazioni di V.E. non solo furono da me fatte presenti al signor Poincaré, ma costituiscono la sostanza dei miei discorsi cogli uomini politici e giornalisti francesi quando mi parlano dei rapporti fra la Francia e l'Italia.

Però ho dovuto constatare che le nostre ragioni, benché evidenti, trovano difficile accesso alla mentalità francese. Infatti, quello che più colpisce nel profondo egoismo che ispira la politica della Francia è l'assoluta incoscienza da parte dei francesi dell'egoismo loro. In tutte le questioni è così naturale ed ingenuo per essi il tener conto unicamente ed esclusivamente degli interessi propri, prescindendo da quelli degli altri paesi, che io propendo a ritenere che ciò non dipende in essi da proposito deliberato di non vedere gli interessi degli altri, ma da un'alterazione della facoltà visiva, che non consente loro di vedere. Questa mia osservazione trova perfetto riscontro nell'attitudine della Francia verso la Spagna e l'Inghilterra per l'applicazione del trattato segreto del 1904 circa le zone d'influenza spagnuola e francese in Marocco.

È stupefacente l'unanimità colla quale questo Governo, questo mondo politico e questa stampa hanno affermato che chi commetteva una cattiva azione non era la Francia, che si rifiutava di mantere gli impegni presi in un trattato portante la sua

firma, ma la Spagna che pretendeva che quegli impegni fossero mantenuti. Non parlo degli incidenti con l'Italia a VE. purtroppo noti, ed ho telegraficamente riferito a VE. tutto il retroscena dell'ultimo incidente colla Russia, alla quale la stampa francese nella sua maggioranza ha contestato il diritto di avere in Oriente una politica propria non corrispondente agli interessi della finanza francese. E se questo linguaggio, che, preso sul serio, avrebbe annullato l'alleanza franco-russa è stato poi attenuato, si deve al fatto che dalla parte dell'ambasciatore lswolsky è sorto il timore che veramente dal pettegolezzo Iswolsky-Louis l'alleanza franco-russa potesse ricever danno e quindi si è attivamente adoperato perché non se ne parlasse più.

Questa politica egoista della Francia assolutamente non curante degli altri paesi ha compromesso i rapporti della Francia con la Spagna e coli 'Italia, ha minacciato di compromettere quelli con la Russia; e se anche coll'Inghilterra non è sorto un incidente si deve al fatto che il Governo inglese, continuando nella sua politica di remissività verso la Francia, si è prestata ad ottenere dalla Spagna una parziale rinunzia a quel trattato del 1904, del quale l 'Inghilterra si era resa garante verso la Spagna stessa.

Un 'ultima considerazione devo fare. È stato recentemente detto non solo da giornali francesi, ma anche da qualche giornale italiano che gli incidenti tra l'Italia e la Francia non sarebbero sorti, né altri potrebbero sorgere, se l'Italia non facesse parte della Triplice Alleanza. Ora tutti i recenti avvenimenti stanno a dimostrare che se l'Italia non facesse parte della Triplice Alleanza non potrebbe attendersi dalla Francia maggiori riguardi di quelli che essa ha dimostrato alla Russia, sua alleata, né maggiore considerazione dei nostri interessi di quella che la Francia ha dimostrato verso la Spagna, che politicamente ed economicamente ha sempre evoluto nell'orbita dell'influenza francese.

Ciò non toglie che noi si debba fare il possibile per mantenere i buoni rapporti colla Francia, alla quale ci legano tanti interessi, e VE. può esser certa della mia azione in questo senso, contemperata, beninteso, dal giusto sentimento d'indipendenza e di dignità della Nazione che ho l'onore di rappresentare. Però la nostra alleanza colle Potenze centrali non solo non è di ostacolo ai buoni rapporti colla Francia, ma forse io penso che sia un elemento essenziale per mantenerli tali, poiché dà a noi quella forza, che, isolati, non avremmo e che è condizione necessaria per avere la considerazione altrui.

861 1 Con T. Gab. segreto 875 del 23 maggio, non pubblicato, di San Giuliano precisava l'intenzione del Governo italiano di cooperare e di rendere sempre più cordiali i rapporti tra Italia e Francia.

862

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 904. Roma, 25 maggio 1912, ore 17,45.

Ho conferito oggi con Jagow al quale ho fatto notare che l'espulsione in massa degli italiani, collo spettacolo doloroso ed umiliante del loro esodo e del loro arrivo in Oriente ed in Italia, rende assolutamente indispensabile ed urgente un'azione

militare energica del Governo italiano, tanto per tutelare il suo prestigio in Oriente quanto per dare una pronta soddisfazione all'opinione pubblica italiana e dare così al

R. Governo la forza necessaria per moderarla e guidarla nelle fasi ulteriori della guerra e delle trattative.

Gli ho pure detto che tra le varie operazioni militari possibili quella che presenta i minori pericoli ed inconvenienti per le ripercussioni balcaniche e per gli interessi politici ed economici dell'Europa sembra l'occupazione temporanea dell'isola di Chio. Ho aggiunto che tale è il parere concorde dei rr. ambasciatori a Londra, Parigi e Pietroburgo che certo rispecchiano le vedute predominanti in quegli ambienti. Anche le nostre informazioni da Costantinopoli confermano che l'occupazione di Chio oggi influirebbe sulla pace, mentre una sosta nelle operazioni navali dopo la espulsione incoraggerebbe la Turchia alla resistenza e ritarderebbe la pace.

Gli ho finalmente esposto tutte le considerazioni per le quali converrebbe che il Governo tedesco profittasse del soggiorno di Berchtold a Berlino per rimuovere le eventuali opposizioni dell'Austria all'occupazione di Chio.

Jagow mi promise di telegrafare a Berlino, ma accennò ai pericoli di ulteriori occupazioni di isole a cagione del movimento dell'opinione pubblica italiana e greca contro il futuro ristabilimento della autorità ottomana ed alle suscettibilità dell' Austria verso ogni ingerenza tedesca in questa questione. Disse che in ogni modo la Germania non ci solleva alcun ostacolo1 .

863

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 874/94. Costantinopoli, 2 5 maggio 1912 (per. ore 1,55 del 27) l.

Risposta al telegramma 858 2• Ho già riferito a V. E. l 'opinione del Governo e quella della stampa sull'effetto delle nostre occupazioni nel Mar Egeo. Tutti tendono a far credere che tale occupazione sia inefficace, e che la guerra debba decidersi in Africa perché si sa che colà per ragioni di clima ed altre ragioni ci troviamo in condizioni difficili per riportare un successo decisivo.

D'altra parte è innegabile che il nostro successo a Rodi ha prodotto una grande impressione che non vi è stato modo nascondere. Il Governo ottomano oltre al soffrirne materialmente per il fatto di avere il nemico vittorioso vicino alla capitale, vede diminuito il suo prestigio di fronte alla popolazione alla quale, ha fatto credere di essere stato continuamente vittorioso e che le potenze

2 Cfr. n. 847.

907 impedirebbero all'Italia di venire nell'Egeo. Però qui non si è allarmati come si potrebbe supporre in Italia pel fatto della nostra occupazione di Rodi e delle isole minori, perché si pensa che è temporanea. Quindi se si potesse far credere, e ancora meglio dichiarare, che rimarremo nell'Egeo definitivamente, si otterrebbe un più grande effetto. Marschall convenne con me che se questa partecipazione si verificasse, l'impressione sarebbe grande. Infatti uno dei sogni della giovane Turchia è di trasformare l'Impero in potenza navale, se una potenza si stabilisse nell'Egeo definitivamente la Turchia come futura potenza navale sarebbe finita e dovrebbe rinunziare persino ad avere una flotta.

Ho pure riferito a V.E. come Marschall e Pallavicini avessero constatato ultimamente delle disposizioni più pacifiche negli uomini del governo. Weitz mi disse però che [ ... p disposizioni erano mutate in seguito occupazione di Rodi, che avendo eccitata l'opinione pubblica provocò l'espulsione sicchè oggi il governo è costretto ad essere più intransigente.

D'altra parte si fa strada l'opinione che lo [...]3 delle isole da noi occupate non verrà ristabilito a pace fatta nello statu quo ante e ciò non mancherà di produrre grande impressione.

Ritengo però che se ci fermiamo a Rodi qui si dirà che le potenze ci hanno impedito di andare innanzi. Se occupiamo i punti della costa in Africa non ancora occupati e se non avanziamo qui si dirà ancora che siamo assediati, tali occupazioni non saranno certamente risolutive perché previste e non costituiranno una pressione perché la Turchia non ne soffrirà.

Per quanto non ritengo assolutamente decisiva l'occupazine delle isole parmi che sia necessario occupare anche Chio e Mitilene, altrimenti si distrugge l'effetto morale già prodotto ed il successo di Rodi sarà dimenticato. Unico inconveniente la chiusura dei Dardanelli che probabilmente sarà decisa se occupiamo Mitilene e che si minaccia anche in caso di occupazione di Chio. Nel fondo i turchi la desiderano perché sperano crearci degli imbarazzi colle Potenze. In questo momento il Governo ottomano ha degli imbarazzi finanziari, è preoccupato dalla attitudine russa, della partenza di Marschall, della rivolta albanese, delle notizie del Yemen e si torna a parlare di crisi ministeriale. Di questo momento parmi bisogna profittare con procedere alla occupazione di Chio e Mitilene, lasciando credere e, se è possibile, dichiarando che le Potenze ci permettano di stabilirei definitivamente nell'Egeo e perlomeno dichiarando che, occupate tutte le isole, se la Turchia non cede continueremo la guerra non solo in Africa ma anche lungo la costa d'Asia e le terremo anche dopo la fine della guerra come pegno della indennità che reclameremo alla Turchia. A giudicare dall'effetto prodotto dall'occupazione di Rodi si può ritenere che questa nostra occupazione non avrà effetto immediato, ma se vengono rimandate a più tardi perderanno ancora della loro efficacia e si produrranno forse in un momento più propizio per la Turchia. Infine l'occupazione di Chio e Mitilene si raccomanda anche

per le sue conseguenze materiali perché la Turchia verrà così privata di un introito doganale molto importante.

862 1 Cfr. n. 866.

863 1 Il telegramma fu trasmesso da Sofia il 26 maggio, alle ore 23,30.

863 3 Gruppo indecifrato.

864

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 864/167. Vienna, 26 maggio 1912, ore 0,50 (per. ore 1,05).

Telegramma di V.E. 831 segreto'. Se noi potessimo come condizione espressa per aderire ad una conferenza, intesa regolare conflitto turco-italiano, che sia in precedenza convenuto e dichiarato pubblicamente che soluzione conflitto non possa avvenire che sulla base nostra sovranità piena sulla Tripolitania e Cirenaica, ciò impedirebbe in modo sicuro riunione conferenza stessa. Tale condizione non potrebbe infatti essere accolta, in primo luogo, dalle Potenze, perché pregiudicherebbe le decisioni che fossero per prendersi nella conferenza, la cui riunione sarebbe considerata come superflua non essendo esse in tal caso più in grado di esercitare compito che si prefiggono; quello cioè di conciliare nostri interessi con quelli della Turchia, trovando una formula tale da essere accettata da entrambe le parti; ed in secondo luogo dalla Turchia che dichiarerebbe che non è né potrebbe essere sua intenzione di cedere sua sovranità sulla Tripolitania. Però noi potremmo prima della riunione conferenza, mediante passo confidenziale presso Potenze, ottenere che nessuna decisione sia presa che possa infirmare in modo qualsiasi nostra legge 27 febbraio, nonché l'impegno che, dopo ultima conferenza, esse procedano al riconoscimento ufficiale della nostra piena ed intera sovranità in Tripolitania e Cirenaica. Rispondo ai quesiti postimi da V.E.: l) non mi risulta che idea conferenza per porre fine conflitto italo-turco sia stata sollevata in questi circoli politici, né di essa Berchtold mi fece mai accenno alcuno. Non potrei quindi dire quali siano le sue intime disposizioni al riguardo. Dubito però che la riunione conferenza possa essere gradita al Governo imperiale e reale per timore che possano sorgere in litigio, anche indirettamente questioni che potessero toccare interessi della Monarchia e interessi di altre Potenze e dar luogo quindi ad attriti che col far andare a monte conferenza stessa accrescerebbero il malessere della situazione presente generale internazionale. 2) Nell'andare alla conferenza scopo precipuo dell'Austria-Ungheria sarebbe quello di evitare in modo positivo di propugnare alcun suo particolare interesse per non dare occasione ad altre Potenze di seguire l 'esempio, sollevando questioni che quantunque potessero non riferirsi direttamente agli

interessi della Monarchia, fossero di natura da ferire amor proprio della Turchia, scuotere le basi dell'Impero ottomano. 3) Turchia non ignora che potenze, quantunque tendano a fini divergenti, hanno interesse precipuo di evitare ciò che possa indebolire il suo prestigio e che ogni loro sforzo è diretto [per contro F a consolidare regime attuale. Essa quindi non può dubitare che se conferenza si riunisse Potenze si adopererebbero, come giustamente osserva Tittoni, a trovare una formula che non leda il suo amor proprio e sarebbero quindi verso la Turchia un poco più condiscendenti che verso noi. Nonostante ciò alla Turchia converrebbe (sic) nelle circostanze presenti di partecipare ad una conferenza, nel timore che, sebbene il programma di essa fosse stato da lei approvato potessero essere sollevate e trattate questioni a lei sgradite che non potrebbe ammettere. D'altra parte Turchia non sembra sentire ancora il bisogno di venire a patti con noi perché ha sempre illusione che il prolungamento della guerra è più dannoso a noi, e che noi saremo costretti a lunga scadenza a desiderare la fine di essa ed a venire a migliori consigli. La Turchia non avrebbe forse difficoltà aderire conferenza se le circostanze in Tripolitania si modificassero, e se le nostre vittorie le facessero perdere illusioni attuali, e la persuadessero essere vana qualsiasi sua ulteriore resistenza. Per ciò che riguarda noi, non potremmo noi partecipare in alcun caso ad una conferenza che alle condizioni seguenti: A) che fossimo sicuri in seguito agli accordi stipulati con Potenze, di ottenere che nessuna decisione sarebbe da essa presa in modo da violare nostra legge del 27 febbraio; B) che le Potenze fossero per riconoscere questa legge dopo la chiusura della conferenza; C) che il programma di essa fosse fissato in modo tale da eliminare qualsiasi sorpresa ed impedire che sorgano questioni esorbitanti dal regolamento del nostro conflitto. Ma anche nel caso in cui noi riuscissimo a conseguire tale fine non credo che ci converrebbe aderire alla conferenza sul cui effetto pratico, nonostante favorevoli disposizioni delle Potenze a nostro riguardo, non potremmo farci soverchie illusioni, data la difficoltà in cui esse sarebbero di trovare nelle circostanze presenti una formula tale da essere accettata sia dali 'Italia che dalla Turchia.

Noi dobbiamo anzi temere le conseguenze che dalla conferenza potrebbero forse sorgere se essa dovesse deviare dalla sua via, ciò che non sarebbe da escludersi in modo positivo. Non si dimentichi del resto che annunzio di una conferenza internazionale potrebbe risvegliare le aspirazioni varie nazionalità dell'Impero ottomano come pure le pretese degli Stati balcanici, nella speranza che le Potenze colgano tale occasione per regolare le questioni pendenti, ciò che avrebbe per conseguenza di creare nella penisola balcanica, come nell'isola di Creta una agitazione malsana atta a complicare maggiormente la situazione. 4) Qualora il progetto di una conferenza fosse messo sul tappeto non sarebbe nel nostro interesse né conforme nostra dignità, mostrarci troppo favorevoli ad essa per non fare supporre essere stanchi guerra e di desiderare ad ogni costo la pace; potremmo bensì accettarla se riscuotesse il consenso

di tutte le Potenze, ma alle condizioni suddette. Per ciò che riguarda nostra attitudine nel caso dovesse veramente riunirsi, mi sembra che se noi avessimo in via confidenziale la promessa formale di tutte le Potenze che nessuna decisione sarebbe presa da esse in opposizione alla nostra legge del 27 febbraio, e che esse riconoscerebbero nostra sovranità in Libia alla fine conferenza, noi dovremmo adoperarci ad eliminare ad ogni costo gli eventuali conflitti di tendenze o di interessi, che fossero per sorgere tra Potenze stesse, e giovandoci dei nostri legami di alleanza colla Germania e con Austria-Ungheria, dei nostri stretti rapporti colla Russia, e delle cordiali relazioni coll'Inghilterra e la Francia, cercare di conciliarli in favore dei nostri interessi. Osservo che siccome la conferenza non potrebbe certo riunirsi se perdurasse lo stato di guerra tra Italia e la Turchia le Potenze dovrebbero trovare innanzi tutto un mezzo qualsiasi accettabile ad entrambi i belligeranti, che possa indurii a cessare le ostilità e ad accettare un armistizio. Alle difficoltà quindi da me accennate, che rendono poco probabile riunione della conferenza si aggiunge anche questa che sarebbe di una soluzione non molto agevole non sembrando che possano escogitarsi circa l'armistizio condizioni tali da essere da noi accettate.

864 1 Cfr. n. 835.

864 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

865

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 865/118. Berlino, 26 maggio 1912, ore 6,50 (per. ore 21,35).

Ho veduto ora Szogyeny il quale mi domandò se si voleva procedere all'occupazione di altre isole. Risposi che si trattava di Chio ma che desideravamo andare d'accordo col suo Governo e gli esposi tutti i motivi che giustificavano la nostra azione.

Szogyeny allora mi disse che ieri sera Kiderlen-Wachter (al quale Zimmermann aveva fatto la mia commissione) si era lungamente intrattenuto in proposito con Berchtold cercando in ispecie di rassicurarlo circa la temuta ripercussione nei Balcani. Dal linguaggio di Szogyeny ho rilevato in conclusione che quando Avama parlerà a Berchtold questi gli risponderà non volere insistere sulle fatte obiezioni ma lasciare che l 'Italia compia l'occupazione sotto la sua responsabilità mentre il Gabinetto di Vienna si riserverebbe dal canto suo libertà d'azione per il caso di una eventuale perturbazione che fosse conseguenza de nostri atti. Alla mia domanda di maggiori schiarimenti circa il significato di quella libertà d'azione, Szogyeny replicò confermando in termini assoluti che il suo Governo continua a non voler occupare «nemmeno un palmo di territorio» nei Balcani, ma che naturalmente esso doveva fare queJle riserve per ogni eventualità, ora impossibile a prevedersi. Circa i quesiti di cui nel telegramma di V. E. n. 881 1 ho l'impressione,

in seguito anche alla mia conversazione con Berchtold, che nell'alludere con Avarna ad eventuali «compensi» egli non abbia voluto riferire a veruno (?)2 suo progetto particolare, ma soltanto fare valere così in tesi generale la sua interpretazione dello articolo VII. A meno che egli stesso ne riparlasse, non credo per ciò che a noi giovi di toccare quel tasto, né riterrei prudente l'entrare ora con Vienna in una anticipata discussione circa vasti disegni, ai quali Berchtold non è certamente preparato, e la cui menzione da parte nostra riuscirebbe soltanto a destare sospetti ed a complicare pericolosamente la situazione. A noi conviene mantenere la questione della Tripolitania il più possibile distinta e separata da quelle dei Balcani, e del Mediterraneo, per escludere che, mercé la loro connessione, la nostra conquista africana ci venga computata come compenso di vantaggi da consentire ad altri su altro terreno. E per lo stesso motivo divido assolutamente il parere di Tittoni sulla necessità di escludere fin d'ora qualsiasi dubbio circa il nostro proposito di tenere Rodi e le altre isole come semplice pegno, per restituirle alla Turchia quando sarà assicurata la nostra posizione in Tripolitania. Per quanto concerne il Governo germanico la sua condotta anche in questa circostanza conferma quanto ho sempre riferito, della sua disposizione ad appagarci in ogni atto militare di coazione tendente ad affrettare la fine della guerra, ma è mio dovere di prevenire che se dimostrassimo l'intenzione d'estenderci anche nell'Arcipelago bisognerà prepararci alla sua opposizione.

865 1 T. Gab. 881 del 23 maggio, non pubblicato.

866

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 868/233. Parigi, 26 maggio 1912, ore 15,10 (per. ore 17,45).

Telegramma di V.E. 895 1• V.E. osserva giustamente che per conferenza vi sono gravi ragioni pro e contro. Ciò posto parmi prudente astenerci dal pronunziarsi e attendere se e quanto l'idea della conferenza prenderà forma più pratica e concreta. Per l'effetto morale sulla Turchia e sulle Potenze, le cui impressioni poi si ripercuotono in Turchia, pare a me che per tutto ciò che riguarda le condizioni della pace, la sorte futura delle isole dell'Egeo e la conferenza, non è male che la stampa italiana si mostri intransigente. Però parmi essenziale che il Governo non si impegni in alcuna guisa in negative (sic) intransigente e si riservi la più completa libertà d'azione e giudizio. La situazione internazionale è ancora molto incerta e essa nel momento in

866 1 T. Gab. segreto 895 del 24 maggio, non pubblicato.

cui dovrà trattarsi seriamente della pace non può prevedere quale sarà. Meglio quindi avere in ogni caso le mani libere e non essere legati da dichiarazioni o impegni che forse in seguito potrebbero risultare inopportuni.

865 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

867

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 871/235. Parigi, 26 maggio 1912, ore 20 (per. ore 23,55).

Telegramma di VE. 911 1 . Tra le comunicazioni di Avama e di VE. deve esservene qualcuna a me ignota poiché esaminati i telegrammi coi quali VE. mi trascrive quelli di Avama non ho trovato traccia di una speciale opposizione d eU' Austria-Ungheria all'occupazione di Chio, né delle conseguenze di cui Avama dice avere parlato a VE. in un suo telegramma 1602 • Dai documenti che io ho mi risulta quanto segue: dal l o marzo in poi: il 2 marzo3 Muller comunica ad Avama di avere detto all'ambasciatore di Turchia che non gli risultava affatto che l 'Italia avesse dichiarato che non procede ad operazioni militari nell'Egeo. Il 7 marzo4 Avama dichiara a Berchtold che l'Italia non prende alcun impegno di fare o non fare operazioni nell'Egeo, che non è' disposto a scambio di idee al riguardo, e che si riserva piena libertà. Berchtold risponde che si rende pienamente conto del punto di vista dell'Italia. Il 13 marzo5 , in un lungo telegramma sui Dardanelli, Avama dice, tra le altre cose, che una occupazione delle isole ottomane dell'Egeo sarebbe considerata da Berchtold come violazione dell'articolo 7 del trattato della Triplice Alleanza e quindi provocherebbe sue proteste e forse azione flotta. Per ciò Avama pur notando che queste sono sue supposizioni, non avendogli Berchtold nulla dichiarato in proposito, sconsiglia l'occupazione delle isole e declina ogni responsabilità. A domanda di schiarimenti di VE. Avama risponde il 16 marzo6 dicendo che le operazioni contro Dardanelli, o contro coste turche europee, o contro isole, sarebbero considerate dall'Austria alla stessa stregua, cioè come violazione della Triplice, che Berchtold non gli ha detto già esplicitamente ma che

2 T. Gab. segreto 853/160 del 24 maggio, non pubblicato.

3 T. Gab. segreto 272/157 del l o marzo, non pubblicato.

4 T. Gab. segreto 299/49 del 6 marzo, non pubblicato.

5 Cfr n. 711.

6 Cfr. n. 718.

fece fare a V.E. una comunicazione confidenziale da Mérey la quale suonava avvertimento di cui noi dovevamo tener conto. Avarna ripete che sconsiglia nel modo più assoluto le tre operazioni accennate a scarico della sua responsabilità. Qui può essere che vi sia una lacuna perché nulla mi è stato più comunicato circa intenzioni Austria fin dopo l'episodio di Kumkalessi e conseguente chiusura dei Dardanelli e fin dopo la occupazione delle isole del basso Egeo. Or bene né l 'uno né l'altro fatto ha dato luogo a osservazioni da parte dell'Austria. Anzi circa i Dardanelli Avarna informa in data del 27 aprile7 che Berchtold gli ha detto che come non poteva fare un passo verso la Turchia per non venire meno ai doveri della neutralità così non poteva farlo verso l'Italia; inoltre il 29 apriléA varna informa aver infatti Berchtold dichiarato di non aver avuto conferma intenzioni Inghilterra dirette ad ottenere astensione nostra da operazioni nell'Egeo, ma nulla aggiunge circa eventuali identiche intenzioni dell'Austria. Arriva la nostra occupazione delle isole dell'Egeo. Nulla V.E. mi comunica che dimostra malumore del Governo austro-ungarico o intenzione sua di muoverei osservazioni. Szécsen ne parla con me come di cosa naturalissima. Inoltre il 22 maggio9 V.E. mi comunica un telegramma di Avarna, il quale riferisce un lungo discorso di Berchtold circa le probabilità della pace. Non una parola sola vi è che denoti apprensione da parte di Berchtold della nostra occupazione delle isole. Lo stesso Avarna dice che nel colloquio che ha avuto carattere amichevole e confidenziale Berchtold si è mostrato animato dalle più favorevoli intenzioni a nostro riguardo. Dopo ciò le dichiarazioni di Avarna contro la occupazione dell'isola di Chio, di cui al telegramma di V.E. 911, mi riescono inesplicabili. Perché l'Austria che ha lasciato occupare Rodi e le isole circostanti senza fare osservazioni senza mostrarsene impensierita, si allarmerebbe improvvisamente per la occupazione di Chio? Su quali fatti o dichiarazioni di persona autorizzata si basa questo timore di Avarna? Se egli si riporta al suo telegramma del 13 marzo, non sono state le previsioni di questo smentite da quanto è stato posteriormente avvenuto? Vi sono forse altri telegrammi o comunicazioni che io non conosca? Insomma mi pare tutto ciò meriti chiarimenti e che su questo punto non debbano rimanere dubbi. Io credo indispensabile l'occupazione di Chio sia che non si tema nulla dali' Austria, sia che si tema fondatamente la sua opposizione. Nel primo caso l'occupazione dovrebbe farsi subito, nel secondo caso prima bisognerebbe venire subito coll'Austria ad una seria spiegazione. Ma rinunziare ad occupare Chio sarebbe arrestarsi a mezza strada e compromettere l'effetto che ci ripromettiamo di produrre sulla Turchia. Malgrado le ostentate contrarie dichiarazioni della Turchia, io credo che l'occupazione di Chio e

8 T. 2762/296 del 28 aprile, non pubblicato.

9 T. Gab. segreto 866 che ritrasmette anche il T. Gab. segreto 807/154 del 20 maggio, non pubblicato.

914 Mitilene arrecherebbe ad essa gravi danni morali e materiali. Quanto alle Potenze io sono convinto che ad esse una sola cosa prema, e cioè che nessuna isola dell'Egeo sarà da noi tenuta permanentemente ... e di ciò potremmo segretamente assicurarle.

867 1 T. Gab. segreto 911 del 25 maggio, non pubblicato che comunica il n. 859 e il T. Gab. segreto 910 del 15 maggio.

867 7 T. Gab. segreto 629/121 del 26 aprile, non pubblicato.

868

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 877/169. Vienna, 27 maggio 1912, ore 7,35 (per. ore 23,30).

Telegramma di V.E. 877 segreto 1 .

Rispondo ai quesiti di V.E. l) Per le considerazioni esposte nel mio telegramma urgente Gabinetto 160 segreto2 sarebbe oltremodo pericoloso per noi e dannoso per i nostri interessi di prendere iniziativa di parlare al Berchtold, durante nostro conflitto colla Turchia degli eventuali reciproci compensi. Ma se noi credessimo prendere iniziativa, Berchtold non potrebbe che rifiutare di discutere tale questione obiettando: a) che i doveri della neutralità non gli permettono di prestarci un appoggio o una cooperazione attiva qualsiasi nel presente conflitto; b) che Austria-Ungheria non ha alcuna velleità di fare ora né in avvenire alcun nuovo acquisto nei Balcani, che per contro è suo fermo proposito di non venire meno ai principi sanciti dal Trattato di alleanza di provvedere cioè al mantenimento dello statu quo nella penisola ed all'integrità dell'Impero ottomano i quali costituiscono pure la base fondamentale della sua politica orientale; c) che non è del resto necessario per Austria-Ungheria di trattare con noi la questione dei compensi per eventuali nostre occupazioni di isole dell'Egeo o in vista di altre eventualità future perché il diritto che le compete a compensi è sancito dall'articolo VII del Trattato e non ha bisogno di ricevere nuove sanzioni da ulteriori negoziati con noi. Non è da prevedersi, anzi è da escludersi in modo assoluto, che Berchtold prenda iniziativa di parlarci della questione suddetta. Ma se per caso ciò avvenisse, a noi spetta di troncare qualsiasi discussione a riguardo dichiarando che noi non ammettiamo l'arbitraria interpretazione che egli intende dare all'articolo VII suddetto e che non riconosciamo affatto nell'AustriaUngheria un diritto qualsiasi a compensi per le ulteriori occupazioni temporanee per parte nostra di isole dell'Egeo. Per ciò che riguarda il paragrafo a) osservo che all'obiezioni eventuali del conte Berchtold ivi accennate, si potrebbe rispondere rilevando che l'Austria-Ungheria sembra avere in ordine alla neutralità due pesi e

868 1 Cfr. n. 858. 2 T. Gab. segreto 853/160 del 24 maggio, non pubblicato ma sull'argomento cfr. n. 854.

due misure diverse sia che trattisi della Turchia o dell'Italia. Mentre essa applica col massimo favore le regole della neutralità nei casi in cui possa giovare alla Turchia, per contro segue verso Italia un altro sistema ostacolando sua libertà d'azione per occupazione di isole nell'Egeo che non ha altro scopo che di accelerare pace. 2) Se noi decidessimo di procedere occupazione di Chio non converrebbe per ragioni suddette nel parlare di essa al conte Berchtold far la menoma allusione a compensi qualsiasi. Ma se noi credessimo di parlargliene, Berchtold non potrebbe che riferirsi alla dichiarazione fattami e riprodotta nel mio telegramma Gabinetto 159 segreto3 ricordando che non sarebbe in grado di consentirvi e che ci lascierebbe piena e completa responsabilità di tale occupazione riservandosi il diritto a compensi che potrebbero essere graditi ali' Austria-Ungheria come venne già da me accennato nel mio telegramma Gabinetto 160 segreto. Ignoro quali possano essere le intenzioni del Berchtold circa i compensi che sarebbero sua intenzione di chiederci ed in quale ipotesi ed in quale eventualità questa ci potrebbe essere da lui chiesta. Rilevo però che stando alle stipulazioni dell'articolo VII del trattato egli non potrebbe domandarci compensi che se si verificassero le eventualità previste da quelle stipulazioni. L'avere sollevato però ora la questione dei compensi, a proposito delle nostre eventuali occupazioni temporanee di isole dell'Egeo, farebbe quasi supporre, come osservai, nel mio telegramma precitato, che cioè egli pensi di valersi del diritto a compensi da lui accampato quando la Monarchia dovesse per le circostanze previste dal nostro accordo segreto del 1909 procedere all'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar. Colla mia lettera particolare del 2 marzo 19104 feci conoscere che era forse da prevedere che il compenso che ci avrebbe attribuito l'Austria-Ungheria in tale occasione sarebbe la Tripolitania. A tale ragione infatti alluse Aehrentahl durante i negoziati per accordo segreto dicendo che noi avremmo potuto ricercare in altra parte dell'Impero ottomano; e tale mia supposizione mi sembra essere ora avvalorata dalla riserva formulata dal Berchtold. Questa potrebbe esserci ricordata ove noi facessimo ulteriori operazioni di isole nello Egeo il giorno in cui la Monarchia dovesse procedere alla occupazione Sangiaccato di Novi Bazar. In tale circostanza essa potrebbe dichiarare che siccome noi ci siamo già procurato coll'occupazione della Libia il compenso dovutoci spetta ora ali' Austria-Ungheria di compensarsi dal suo lato con l'occupazione del Sangiaccato di Novi Bazar. A più riprese io non mancai di mettere in guardia colla anteriore mia corrispondenza telegrafica il R. Governo contro tale pericolo e specialmente in occasione delle nostre operazioni nell'Adriatico ed in quel che era sua intenzione di fare nell'Egeo. Ove la supposizione suddetta, che noi non potremmo mai ammettere, si realizzasse realmente, sarebbe allora venuto il momento di rammentare al Governo Imperiale e reale gli impegni da esso assunti con la nota segreta del 30 giugno 19025 , di non ostacolare l'eventuale occupazione da parte nostra della Libia e nella quale non si fa menzione

4 Cfr. serie IV, vol. VNI, n. 150.

5 Cfr. serie Ili, vol. VI, nn. 617-618.

916 alcuna di compenso da attribuirsi all'Austria-Ungheria, per quell'occupazione. 4) Ho fatto già conoscere più sopra motivi per i quali non credo che potremmo ottenere nelle presenti circostanze che l'Austria-Ungheria possa decidersi a sostituire alla attuale neutralità passiva una cooperazione attiva tra noi e la Monarchia, no so per ciò che riguarda l'attuale conflitto, ma anche per altri punti di vista politici che interessano i due paesi che è nostro interesse, come già rappresentai col mio telegramma 160 segreto di non confondere colla questione della Libia6 .

868 3 Cfr. n. 854.

869

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 932. Roma, 2 7 maggio 1912, ore 20, 15.

Suo telegramma Gabinetto segreto n. 1631 . Il R. Governo desidererebbe che il progetto di nota scritta venisse modificato redigendolo nei termini seguenti:

«Il est entendu que, dans la pensée du Gouvemement italien, l'occupation, effectuée jusqu'à ce jour, ou qui pourrait s'effectuer dans la suite, des ìles de la Mer Egée (Archipel) a un caractère purement provisoire, et que les dites ìles seront restituées à la Turquie, après la cessation des hostilités entre l'Italie et la Turquie, et par conséquent après l'évacuation de la Tripolitaine et de la Cyrénai:que de la part des troupes et des officiers ottomans, et après que les Puissances auront reconnu l'état de choses crée dans c es provinces par la lo i i tali enne du 2 7 févrirer 1912.

Il est également entendu que la présente déclaration, qui découle des dispositions de l'article VII du Traité de la Triple Alliance, sera considérée par le Gouvemement austro-hongrois, ainsi que par le Gouvemement italien, comme strictement secrète et confidentielle: car, si elle ètait connue par la Turquie elle n'atteindrait pas le but commun aux deux Puissances, qui est de hàter et faciliter la paix».

Se V.E. crede che il testo sopra trascritto possa essere senza inconvenienti proposto a Berchtold, pregola, invece di mandarglielo, portarglielo, per aggiungere a viva voce le necessarie spiegazioni. Se V.E. crede che debba essere modificato, prima di presentarlo a Berchtold, pregola telegrafarmi le modificazioni che ella crede opportune indicandomene le ragioni.

Dopo le parole «cessation des hostilités» abbiamo per debito di lealtà e per evitare più tardi malintesi coli' Austria, determinato chiaramente il fine della occupazione provvisoria delle isole, che non possono essere da noi evacuate se non quando il detto fine sia raggiunto. Tale fine è notoriamente la nostra sovranità sulla Libia e lo sgombro degli ufficiali e soldati turchi.

869 1 Cfr. n. 860.

Preferiremmo la formola «restituire alla Turchia» anziché la formola «lo statu quo ante sia restabilito» perché questa può interpretarsi nel senso che escluda anticipatamente qualsiasi garenzia alle popolazioni delle isole contro eventuali rappresaglie turche. Noi preferiremmo che tale questione delle garanzie non sorga, perché non ci recherebbe alcun vantaggio, potrebbe rendere più difficile la pace e potrebbe complicare la situazione, ma se, per necessità di cose e per la lunga durata della guerra, la questione dovesse sorgere, noi potremmo forse in via di fatto cercare di eluderla o di sopirla, ma non potremmo anticipatamente assumere l'obbligo di opporci a qualsiasi proposta diretta ad evitare a quelle popolazioni rappresaglie crudeli, in cui sarebbero incorse per effetto della nostra occupazione provvisoria e delle loro manifestazioni contrarie al Governo ottomano e favorevoli a noi, che noi però cerchiamo con ogni sforzo di impedire. Tuttavia, se VE. crede che il proporre tale modificazione alla nota non sia opportuno, si potrebbe non insistere, tanto più che l'espressione «statu quo ante» è suscettibile d'interpretazione compatibile colle eventuali garanzie alle popolazioni2 .

868 6 Per la risposta cfr. n. 873.

870

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

D. RISERVATO PERSONALE S.N. Roma, 27 maggio 1912.

Per maggior garanzia di segretezza, anziché trasmetterle per telegrafo gli uniti telegrammi scambiati tra Imperiali e me 1 , ho preferito attendere il corriere, perché vorrei che costì non fossero conosciuti, né dal personale delJ'ambasciata, né da altri, ma esclusivamente da VE.

Noi abbiamo assunto l'impegno verso l'Austria di evacuare, a suo tempo, l'isola di Rodi, e manterremo il nostro impegno.

Bisogna, tuttavia, in una situazione internazionale così complicata, prevedere le più svariate ipotesi, e tra le altre vi potrebbe essere quella che l'Austria stessa, per avere un compenso e per affrettare la soluzione, avesse interesse a rendere permanente la nostra occupazione di Rodi. Ora, a me preme assai, senza che ella ne parli, fino a nuove istruzioni, con codesto Governo o con chicchessia, avere l'autorevole parere di V.E. anche su questa ipotesi. Certo è che trattenere Rodi potrebbe a noi facilitare la soluzione della questione di Tripoli perché renderebbe possibile le concessioni in Libia suggerite da Imperiali. Il consenso dell'Inghilterra forse si avrebbe; le altre Potenze, tranne l'Austria non solleverebbero, forse, obiezioni insuperabili.

Crede V.E. che il consenso dell'Austria si potrebbe avere con qualche compenso, e quale? Per esempio, rinunziando noi al compenso cui abbiamo diritto per l'eventuale rioccupazione del Sangiaccato di Novi-Bazar? E crede lei che un tale accordo coll'Austria sarebbe per noi conveniente ed utile? E approva V.E. nel suo complesso il progetto Imperiali? Credo che V.E. possa rispondere per telegrafo adoperando, invece delle parole «occupazione permanente di Rodi», le parole «idea di» Imperiali, mentre per tutto il resto del progetto di lui si adopererebbe l'espressione «progetto di» Imperiali2.

869 2 Per il seguito della questione cfr. n. 886.

870 1 T. Gab. segreto personale 774/151 del 14 maggio, T. Gab. segreto 784/159, T. Gab. personale segreto 833 del 18 maggio e T. Gab. 833 de119 maggio, non pubblicati. Per il T. Gab. segreto 818 e per il T. Gab. segreto 781/156 cfr. nn. 831 e 834.

871

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1118/306. Berlino, 2 7 maggio 1912 (per. il 1° giugno).

La visita che il conte Berchtold ha fatto a Berlino all'imperatore e ai ministri germanici seguendo le consuetudini di cortesia stabilite tra le due Potenze alleate, è stata brevissima: egli arrivò il venerdì mattina e ripartì ieri domenica mattina per Dresda, dove doveva essere ricevuto dal re di Sassonia.

Il conte Berchtold ebbe numerose conversazioni col signor von KiderlenWaechter e col signor von Bethmann-Hollweg e una udienza a Potsdam da S.M. l'imperatore che lo trattenne a colazione. Fu poi a pranzo dal cancelliere, dall'ambasciatore d'Austria-Ungheria e a colazione dal ministro degli affari esteri.

Della visita che mi fece in compagnia del conte Szogyeny, ho già riferito a V.E. con mio telegramma n. 1151•

Questo per la cronaca del soggiorno del ministro austriaco a Berlino.

Quanto al contenuto e alla portata dei colloquì che ebbero già luogo, credo poter dire che nulla aggiunsero alla intimità delle vedute esistenti fra i due Gabinetti. Mi risulta, però, che fu discusso se fosse il caso di fare uno speciale comunicato alla stampa, ma prevalse poi l'opinione che esso fosse superfluo; e che il saluto della Norddeutsche Allgemeine Zeitung ed il comunicato della medesima fossero sufficienti (vedi allegati)2 .

Anche gli altri giornali hanno salutato con simpatia il ministro austriaco, ma oltre alla cronaca del suo soggiorno, si sono in genere limitati a riportare l'articolo del giornale ufficioso.

Nelle interviste concesse dal conte Hoyos, segretario del ministro, a rappresentanti del Lokal Anzeiger del Berliner Tageblatt e della Vossische Zeitung, egli ha dichiarato che l'argomento delle conversazioni del ministro erano state le linee gene

2 Non si pubblicano.

rali della politica estera della Monarchia quali erano state esposte ultimamente alle delegazioni, tra cui la conservazione dello status quo nei Balcani. Ha espressamente aggiunto che non si era trattato di mediazione nel conflitto italo-turco.

S.M. l'Imperatore conferì al conte Berchtold l'Aquila Nera.

870 2 Per la risposta cfr. n. 890.

871 1 Si tratta in realtà del T. Gab. segreto 8651118, cfr. n. 865.

872

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1140/412. Il Cairo, 2 7 maggio 1912 (per. il 6 giugno).

Faccio seguito al telegramma di Gabinetto n. 61, del 5 corrente 1•

Con passati rapporti ho riferito ali 'E.V. che la nomina di lord Kitchener ad agente britannico fu interpretata da molti come una prova che l'Inghilterra si proponeva di modificare la sua posizione in Egitto -si è pure molto parlato in quell'epoca di un probabile aumento nel contingente delle forze di occupazione britanniche. Allora i propositi attribuiti al Governo di Londra si dicevano giustificati dal bisogno di ristabilire nell'Africa settentrionale l'equilibrio turbato dall'azione che la Francia stava per intraprendere nel Marocco, ma posteriormente altri fatti politici hanno prodotto nuove modificazioni alla situazione internazionale, in conseguenza della nostra guerra. Finché questa era ristretta alla conquista della Libia, l'Inghilterra poteva limitare le proprie preoccupazioni al fenomeno di solidarietà islamica così vivacemente manifestatosi tra i suoi sudditi musulmani -chè altrimenti la guerra le arrecava in Egitto qualche beneficio indiretto (aumentato valore delle regioni limitrofe, vantaggiosa delimitazione del confine occidentale). Più di una volta influenti personaggi inglesi di qui, civili e militari, non mi nascosero infatti qualche preccupazione per la lentezza della nostra penetrazione nella Libia, dove l'apparente impossibilità del nostro ingente corpo d'occupazione di vincere la resistenza della popolazione indigena, male armata e ritenuta ben poco preparata ad una valida azione, poteva far sorgere nella mente delle popolazioni maomettane, soggette ad altre Potenze, il convincimento che gli indigeni possedessero tuttora tanta energia militare e tanto entusiasmo per i vincoli religiosi ed etnici da potersi opporre eventualmente con successo ad un esercito europeo, per quanto forte e ben equipaggiato. Il diffondersi di simile credenza poteva costituir di certo un grave pericolo per il pacifico dominio delle Potenze occidentali sui paesi abitati da popolazioni musulmane -e tanto più grave il pericolo poteva sorgere per l'Inghilterra in Egitto, paese già sufficientemente evoluto e densamente popolato, dove le forze militari dell'occupazione ammontano a poche migliaia di uomini. Divenne perciò quasi necessario da parte delle autorità britanniche in Egitto assumere di fronte agli indigeni un contegno fermo e risoluto, ogniqualvolta il paese si fosse mostrato eccessivamente propenso a

violare la propria neutralità, o vi fosse stata una minaccia qualsiasi di turbamento per l'ordine pubblico; ma d'altra parte conciliante e tollerante di fronte alle platoniche manifestazioni di solidarietà verso i paesi limitrofi in lotta per la propria indipendenza. Si volle forse in tal modo evitare che si manifestasse anche in Egitto un movimento di carattere antieuropeo, lasciando tranquillamente diffondere nelle masse il convincimento che la nostra guerra non raccogliesse le simpatie ed il consenso indiscusso delle altre Potenze. Forse, e già l'ho segnalato in passati rapporti, non vi era estraneo il desiderio di creare un diversivo all'attenzione del pubblico, per procedere più sicuramente ad una intensificazione della dominazione inglese. La linea di condotta, che secondo ogni apparenza venne assunta con i temperamenti sovra indicati, non era facile, specialmente se da parte dell'Inghilterra non si voleva interrompere o turbare quelle relazioni di salda amicizia che da sì lungo tempo esistono col nostro paese. In ogni caso i risultati non ci furono sfavorevoli, in quanto le numerose nostre colonie han potuto continuare in Egitto una vita prosperosa ed indisturbata.

Ma intanto il risveglio innegabile della solidarietà tra i popoli musulmani doveva far pensare alla situazione strana in cui le forze d'occupazione inglesi si trovano in Egitto -poche come ho detto e di gran lunga inferiori per numero allo stesso esercito egiziano, che per quanto effettivamente tenuto agli ordini di ufficiali inglesi (quelli indigeni son lasciati a bella posta in una palese condizione d'inferiorità per quanto riguarda le attitudini al comando) potrebbe ali' evenienza far causa comune con una ribellione improvvisa. Come prima conseguenza degli insegnamenti e degli avvertimenti dati dalla nostra guerra, si parlò dunque con maggiore insistenza, della necessità di aumentare le forze di occupazione.

Le vicende della guerra condussero poi ad un fatto nuovo, la nostra occupazione delle principali isole egee -occupazione, me lo disse lo stesso lord Kitchener avant'ieri, «che ha mutata interamente la situazione politica». È impossibile dir oggi se in Inghilterra le operazioni della nostra flotta ed il trionfo del nostro esercito a Rodi sian considerati con apprensione più come prodromo di un'eventuale azione analoga sul continente, che per il turbamento determinato nell'equilibrio del Mediterraneo orientale ove le isole occupate dovessero restare permanentemente nelle nostre mani. Quest'ultima specialmente appare una preoccupazione abbastanza giustificata, quando si pensa che l 'Inghilterra ha così notevolmente ridotte le proprie forze navali nel Mediterraneo, e tanto maggiore nel caso che l'Italia dovesse rendersi padrona stabilmente oltreché d'un porto militare nella Libia anche di un'altra base per le proprie navi da guerra nell'Egeo.

Di questa eventualità sembra che l'opinione pubblica inglese siasi commossa in questi ultimi giorni e ne ha data conferma sabato la Reuter che cita in proposito un articolo del Times ed alcune dichiarazioni di lord Beresford. Da queste ultime appare di quale importanza per l'assetto delle forze britanniche nel Mediterraneo debba essere il convegno di Malta, dove Asquith, Churchill, Kitchener e Hamilton avviseranno ai provvedimenti necessari per parare ai temuti pericoli. Che l'Inghilterra qualche cosa intenda fare è tanto più probabile in quanto la Francia appare ingolfata nell'impresa marocchina, che ne assorbirà, per lungo tempo forse, forze notevoli, e sarebbe poco in grado pertanto di darle un aiuto effettivo nel caso di complicazioni mediterranee.

Ed intanto sembra fuor di dubbio che a Malta verrà deciso il rafforzamento dell'esercito d'occupazione inglese in Egitto. Si dice che questo dall'effettivo di 6000 uomini appena, sarebbe portato a 15-20-o 30.000 -perfino 50.000, secondo alcuni. Gli scopi di siffatto aumento (le cui cifre sembrano esagerate di fronte alla limitata potenzialità inglese) possono essere molteplici: porre in grado l'occupazione di resistere nel caso di movimenti rivoluzionari interni bene organizzati e favoriti dall'esterno, specialmente pel momento in cui l'Inghilterra, credesse necessario di modificare radicalmente lo stato politico del paese; -far dell'Egitto la base militare inglese nel Mediterraneo in luogo di Malta, soverchiamente esposta alle operazioni delle forze navali italiane appoggiate alla Sicilia ed alla Libia, per commetterle la difesa dell'Egitto, di Cipro e del Canale nella eventualità di una guerra; -fame il punto di partenza per un'azione offensiva contro i territori ottomani del Mar Rosso, della Siria e dell'Asia Minore, o contro la Libia stessa nel caso di una guerra in cui si trovassero di fronte all'Inghilterra, ed ai suoi alleati le Potenze della Triplice. Al detto aumento si è avuta cura di preparare l'opinione pubblica degli inglesi, e da qualche settimana vi ricorrono frequenti accenni.

Il risultato che, per quanto riguarda l'Egitto, è atteso dal convegno di Malta, fa oggetto qui delle conversazioni generali e di non pochi commenti nella stampa. Quella indigena è ormai ridotta a poca cosa, dopo le numerose soppressioni di giornali degli ultimi mesi; tuttavia gli organi nazionalisti non hanno perduta l'occasione di far sentire le proprie proteste. Il Lewa, particolarmente aspro, denuncia la nuova violazione di promesse fatte, di cui l'Inghilterra sta per rendersi colpevole, osserva che le truppe inglesi esistenti nel paese non hanno già esse nulla da fare e conclude: «Non è una buona ragione perché siamo obbligati a dare il nostro denaro ed il nostro sangue che gli inglesi desiderino rafforzare la loro posizione in Oriente; l'Egitto non è come Malta un possedimento britannico, ma uno stato privilegiato, sotto la sovranità dell'Impero Ottomano ...».

Maggior calma dimostra l'Ahram il quale si limita ad esprimere la speranza che l'aumento sia così lieve da non turbare le finanze del paese, già scosso dalle spese che occasionano le riforme necessarie all'Egitto ed al Sudan. Più parco ancora è l'Ahali, organo personale del presidente del Consiglio, il quale vi accenna come cosa pressoché sicura, come per prepararvi la pubblica opinione. Di questi due articoli accludo un riassunto2 .

Molto notevole, anche per larghezza di vedute, è l'articolo di fondo comparso sul Progrés, che pure accludo2 . L'importanza di quest'ultimo è tanto maggiore in quanto sono note le relazioni del suo proprietario con l'agenzia britannica e con vari elementi siriani, dimoranti in Egitto.

A titolo d'informazione, e per quanto me ne manchi del tutto la prova, dirò anche essersi qui diffusa la voce che al convegno di Malta possa parlarsi pure di una eventuale azione dell'Inghilterra per affrettare la conclusione della pace. Si pretende che l'Inghilterra, più di ogni altra Potenza, sia preoccupata della piega che la guerra va prendendo: da un lato le condizioni dell'Impero ottomano che diventano sempre

più precarie e possono condurre allo sfacelo in un momento nel quale lo Potenze della Triplice son più preparate a ritrarne un vantaggio, dall'altra il pericolo che i nuovi sacrifici fatti dall'Italia e le sue vittorie nell'Egeo debbano renderne permanenti le conquiste fatte in questo mare, con la conseguente ripercussione nell'Asia Minore e nella Siria, farebbero pensare al Governo britannico esser giunto il momento di far comprendere a Costantinopoli che un'ulteriore resistenza sarebbe inutile e dannosa. A meno che non vi discuta a Malta la possibilità di trarre un diretto profitto dalla situazione odierna, dalla debolezza in cui si trova l'Impero ottomano e dalle stesse conquiste che l'Italia ha fatte: non sarebbe la prima volta.

872 1 T. Gab. 861/61 in realtà del 25 maggio non pubblicato.

872 2 Non si pubblica.

873

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 941. Roma, 28 maggio 1912, ore 17,45.

Suoi telegrammi Gabinetto 169 1 e 1702 segreti.

Sono d'accordo con V.E. nelle considerazioni svolte nel telegramma n. 169.

Aggiungo che se la occupazione di isole è necessaria per conseguimento del fine della guerra l'Austria apponendovisi viola non soltanto i doveri della neutralità, ma anche gli impegni da essa assunti verso di noi colla nota del 30 giugno 19023 .

L'abbiezione che nel telegramma n. 170 V.E. fa alla occupazione di Chio è certamente grave. Il grado della sua gravità dipende però da due considerazioni, cioè il grado di probabilità di complicazioni balcaniche durante la guerra attuale e l'entità e natura degli eventuali compensi in favore dell'Austria.

La probabilità di complicazioni tali da costringere l'Austria ad occupare Novi Bazar o altri territori ottomani non sembra finora tale da preoccupare seriamente.

Dal tenore della conversazione che V.E. avrà con Berchtold sull'eventuale occupazione di Chio si potrà forse giudicar il grado d'importanza del pericolo dei compensi, sui quali il nostro linguaggio ed il nostro contegno debbono, per quanto si può giudicare finora, essere quelli che V.E. consiglia.

Dopo quella conversazione si vedrà se possiamo procedere senz'altro alla immediata occupazione di Chio. Intanto è bene che V.E. dica a Berchtold che noi abbiamo intenzione di farla e gliene esponga le ragioni. Tali ragioni, come risulta dai miei telegrammi a V.E., e da quelli di Garbasso e dei rr. ambasciatori a Londra,

2 Con T. Gab. segreto 875/170 del 27 maggio, A varna sottolineava tra l 'altro: «Mi pare che occupazione di Chio presenterebbe per noi difficoltà perchè, giusta, la dichiarazione del conte Berchtold: l) essa non potrebbe essere da noi fatta d'accordo con Austria-Ungheria la quale anzi non vi consentirebbe, onde non dovrebbe essere eseguita che sotto la nostra intera responsabilità; 2) per tale occupazione conte Berchtold si riserverebbe di accampare all'evenienza un diritto a compensi».

3 Cfr. serie III, vol. VI, nn. 617-618.

Parigi e Pietroburgo, che le ho comunicato, sono molto brevi, specialmente dopo la espulsione degli italiani e lo spettacolo doloroso ed umiliante cui essa ha dato luogo in Turchia ed in Italia e sotto la cui impressione non può una Grande Potenza europea rimanere inoperosa.

Una sosta oggi delle nostre operazioni nell'Egeo parrebbe e sarebbe una vittoria della Turchia contro di noi. La Turchia crederebbe e farebbe credere di averci initimiditi ed arrestati colla espulsione degli italiani, colla pressione delle altre Potenze e collo invio di rinforzi nelle isole. Ciò ritarderebbe la fine della guerra e danneggerebbe durevolmente il nostro prestigio in Oriente ed in Europa. Ciò inoltre provocherebbe nella opinione pubblica italiana una legittima irritazione che potrebbe avere gravi conseguenze interne ed estere.

Le operazioni possibili in questa stagione in Libia non basterebbero ad eliminare tali inconvenienti e pericoli.

Risulta invece dai telegrammi di Garbasso, comunicati a V.E. che l'azione nostra, svoltasi finora nell'Egeo, ha contribuito a rendere i turchi più disposti alla pace, sebbene essi affermino il contrario, e che un'altra grossa operazione più a settentrione, compiuta ora, gioverebbe ancora di più a questo scopo. D'altra parte V.E. giustamente osserva che all'infuori dell'occupazione di Chio non se ne vede altra.

Prego perciò VE. di far valere tutte le nostre ragioni presso Berchtold e cercare possibilmente d'indagare le conseguenze possibili dell'occupazione temporanea di Chio, che mi pare ormai difficile di evitare o prorogare.

Giudichi V.E. se sia o no opportuno che ella prenda accordi con Tschirschky.

873 1 Cfr. n. 868.

874

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1143/415. Il Cairo, 28 maggio 1912 (per. il 12 giugno).

Mi venne riferito da un siriano qui residente e confermato anche da fonte autorevolissima che la situazione in Siria va peggiorando di giorno in giorno. Il malcontento si sarebbe esteso dalle popolazione cristiane maronite, ai drusi e agli altri musulmani, trasformandosi in una larvata ribellione. Da quel che mi venne esposto le popolazioni di Beirut, dove il commercio fu quasi interamente distrutto, e del Libano non pagherebbero più tasse, non si farebbero più transazioni commerciali nell'interno, dove i produttori si rifiutano di cedere i raccolti e le merci se non contro pagamenti in denaro che i consumatori non sono assolutamente in grado di effettuare. Nel Libano si va manifestando una crescente agitazione contro l'attuale governatore, accusato di tirannide e di aver calpestati i diritti di quelle popolazioni: l'eco ne è pervenuta fino al Cairo dove un giornale (Le Journal du Caire, ritenuto organo dell'agenzia di Francia, il cui titolare è cognato del governatore del Libano) ha pubblicato un articolo violento contro quel governatore e dove un comitato libanese ha diretto un memoriale di protesta alle rappresentanze diplomatiche straniere.

Da vario tempo un libanese, funzionario del Governo egiziano insisteva per vedermi ed a mezzo di interposta persona mi aveva fatto sapere che desiderava intrattenermi sulla possibilità che avremmo di operare con successo uno sbarco a Beirut per occupare la città e il territorio libanese. Dapprima ho esitato perché, non conoscendo la persona che desiderava vedermi, temevo d'esserne eventualmente compromesso, poi ho pensato che, qualora da parte mia mi fossi mantenuto in prudente riserbo, potevo evitare una responsabilità qualsiasi, mentre forse conveniva perdere un'occasione di aver qualche notizia interessante.

Ho perciò ricevuto a due riprese ed anche in presenza del colonnello Elia il signor Ayoub Kemet, libanese, figlio di un agitatore politico del Libano, che compì i suoi studi in Francia e venne a rifugiarsi in Egitto dopo essere stato condannato a morte dall'antico regime. Il Kemet fu già prescelto da lord Cromer per eseguire la traduzione del proprio rapporto annuale in lingua francese; afferma di aver legati da allora rapporti molto amichevoli con quell'agente britannico, di averne spesso conosciuto il pensiero, almeno in relazione a determinati argomenti e di aver già sostenuto col di lui consenso, in una serie di articoli, pubblicati contemporaneamente sui giornali d'Egitto e sullo Spectator di Londra, la convenienza che l'Inghilterra avrebbe avuta nel procedere all'occupazione od alla neutralizzazione della Siria. L'Ayoub Kemet mi ha fatto l'impressione di essere persona intelligente, ma facile, come tutti gli orientali, agli entusiasmi e a crearsi delle illusioni, perciò quanto mi ha detto, per quanto non privo di interesse e di fondamento, va accolto con tal quale riserva.

Il Kemet premise anzitutto di non esser mosso da alcuna idea di lucro: egli né ora né mai chiederà compenso di alcun genere, perché ha in Egitto una posizione che assicura largamente a lui ed alla sua famiglia i mezzi di vita. Egli è stato spinto solamente dal desiderio di contribuire alla emancipazione dei suoi corregionali ed al risorgimento della Siria, che da troppi secoli langue sotto il giogo ottomano. Anni addietro, poco prima che scoppiasse il noto conflitto di Akaba, egli cercò di spingere l'Inghilterra a liberare la Siria, procurando a se stessa il vantaggio di coprir l'Egitto da ogni eventuale attacco. Nella serie di articoli sovracitati (giugno-luglio 1905) egli espose i pericoli che minacciavano la Gran Bretagna in Egitto, qualora compiuta la rete di ferrovie strategiche iniziata da Abdul Hamid, sotto la pressione degli organizzatori militari germanici, ingenti forze nemiche avessero potuto invadere l'Egitto attraverso il confine orientale: suggeriva adunque l'invasione inglese della Siria, sia per occuparla definitivamente, sia per neutralizzarla. I concetti esposti nello Spectator avrebbero fatto rumore in Inghilterra; del resto lord Cromer li avrebbe in linea generale approvati ed è probabile che la consigliata azione avrebbe avuto corso se invece di dare alla Turchia un tempo piuttosto lungo, per decidersi circa il confine di Akaba, l'Inghilterra le avesse presentato un ultimatum a brevissima scadenza, come ha fatto l'Italia l'anno scorso. Ora i tempi sono mutati e per quanto egli sia sempre un grande ammiratore dell'Inghilterra, il Kemet non ritiene che quella Potenza, troppo preoccupata della rivalità germanica, sia in grado di intraprendere altrove un'azione qualsiasi.

La Turchia, sin dall'inizio della guerra, e specialmente dopo la perdita delle isole egee, mostra o finge di ignorare la storia: essa dimentica cioè che nessuna Potenza stabilita sui territori attualmente occupati dall'Impero ottomano ha potuto conservarsi in esistenza dopo la perdita di quelle isole che formano il ponte di naturale collegamento tra le varie sue parti. Invece anche ora tale perdita cagiona una rottura nella compagine dell'Impero e la ripercussione ne viene risentita particolarmente nella Siria dove la vita è si può dire sospesa. Il Kemet dice che le popolazioni vi muoiono di fame e si domanda perché l 'Italia, anziché lasciarle morire, non si adopererebbe ad assicurarne l'indipendenza dal Governo turco, lo sviluppo delle energie latenti e delle risorse economiche ingenti. Egli si mostra convinto che un nostro sbarco a Beirut ed in alcuni punti della costa settentrionale lungo il Libano, purché condotto con segretezza e rapidità, darebbe al nostro esercito l'immediato possesso del Libano dal quale si dominerebbe la linea ferroviaria, intercettando completamente e stabilmente le relazioni tra l'Asia Minore da un lato e la Siria l'Hedjaz, ed i vilayets del Mar Rosso dall'altro. Il colonnello Elia riassume in una nota che accludo 1 i particolari dell'azione militare proposta; io mi limiterò a riferire le considerazioni politiche svolte dal mio interlocutore per cercare di dimostrare che una nostra azione nel Libano sarebbe bene accolta dalla popolazione; avrebbe successo ed efficacia e non sarebbe ostacolata dalle altre Potenze. Obbligati dalla miseria in cui sono tenuti, pur dimorando in una contrada tra le più fertili e ricche di miniere, o da questioni politiche ad emigrare raggiungono ovunque buone posizioni economiche e morali: ne è prova l'Egitto dove, dopo essersi stabiliti, ottengono facilmente alti gradi negli impieghi. La popolazione cristiana della Siria si divide in una grande maggioranza che vegeta nel paese od emigra in cerca di lavoro, ed una piccola minoranza intellettuale, che compie generalmente i propri studi in scuole francesi. Ambedue aspirano a liberarsi dal giogo turco e vedrebbero con piacere la propria annessione ad una Potenza occidentale. La minoranza colta nutre le maggiori simpatie per la Francia, successivamente per l'Inghilterra e quindi l'Italia: però ;,vendo solo in mira la propria liberazione accoglierebbe con favore marcato anche quella che le venisse a mezzo d eli 'Italia. La maggioranza è rimasta, per tradizione, di sentimenti italiani e su di essa sarebbe facile esercitare una pressione mediante il clero maronita universalmente ascoltato, che, ricevendone l'impulso da Roma potrebbe in pochi giorni prepararla ad accogliere e favorire una nostra eventuale occupazione, come a fornire un corpo di volontari numerosissimo. Sola condizione sarebbe quella di prendere l 'impegno di non riconsegnare il Libano alla Turchia o per lo meno di non farlo senza aver ottenuta l'assoluta autonomia della regione.

L'occupazione del Libano dovrebbe costituire una operazione a sé, non dovrebbe cioè prendersi come inizio di operazioni successive nell'interno, mentre

le regioni che vi si trovano dovrebbero finire necessariamente coll'accostarsi a quella marittima, tanto più che le stesse popolazioni musulmane e druse sarebbero stanche del dominio turco.

Per quanto riguarda le Potenze ecco quale ne sarebbe l'atteggiamento secondo i pronostici di Ayoub Kemet: la Francia, che già possedeva larga influenza in Siria, ha dimostrato da anni di disinteressarsi alla regione; è ingolfata ora nella conquista del Marocco ed abbandonerebbe il Mediterraneo orientale pel dominio del Mediterraneo occidentale, purché i suoi interessi materiali non venissero turbati. L'Inghilterra è troppo occupata delle sue questioni colla Germania e lungi dall'opporsi effettivamente alla nostra azione ne profitterebbe probabilmente per occupare a sua volta la Palestina, realizzando il programma di tutti coloro che si insediarono in Egitto, di salvaguardarsi cioè da ogni aggressione al lato più vulnerabile e meno difendibile. La Germania e l'Austria, come alleate, non dovrebbero sollevare difficoltà, specialmente se si offrissero loro dei compensi o si associassero in qualche modo alla inevitabile distruzione dell'Impero ottomano. La Russia sembra ora in pieno accordo con l'Italia e approfitterebbe della circostanza per prendersi a sua volta dei compensi, sia in Armenia, sia con l'apertura dei Dardanelli. In ogni caso ad operazione compiuta -e l'improvvisa rapidità dovrebbe esserne la caratteristica -porrebbe l'Europa di fronte ad un fatto compiuto ed in grande imbarazzo dato che un ostacolo frapposto all'Italia potrebbe originare complicazioni generali che ogni Potenza ha il massimo interesse di evitare.

Le conseguenze immediate dell'azione suggerita sarebbero: colpire efficacemente la Turchia, che si vedrebbe privata della Siria ed impossibilitata a mantenersi in relazione con l'Arabia, dove una rivoluzione non mancherebbe di estendersi in breve tempo; creare all'Italia uno stuolo di alleati tra i cristiani di Siria che ora nascondono i propri sentimenti per paura di rappresaglie da parte delle autorità turche, nelle cui mani sono senza difesa; rendere l 'Italia padrona di un territorio tra i più fertili e ricchi di miniere come di tesori archeologici (per le miniere una recente missione australiana avrebbe dichiarato (che vi sono i più ricchi giacimenti e per l'archeologia una missione germanica avrebbe offerto alla Turchia molti milioni contro concessioni di scavo). Anche qualora venisse deciso di non mantenere in seguito l'occupazione, per lasciare invece la Siria sotto un governo proprio, l'Italia, cui ne sarebbe dovuta la liberazione, vi conserverebbe una influenza preponderante. Il Kemet si offre, se richiesto, di recarsi in Italia per fornire maggiori ragguagli ed eventualmente di andare a Beirut per il lavoro preparatorio, pur sostenendo che questo potrebbe farsi assai più efficacemente a mezzo del clero maronita. Si offrì infine di pormi in relazione col locale vescovo maronita, il quale avrebbe confermato tutto quello che mi aveva esposto.

Per non dipartirmi dalla prudente linea di condotta che mi ero proposta, mi son limitato a dire per mio conto che trovavo le cose dettemi del massimo interesse anche dal punto di vista semplicemente informativo: che però l'agenzia non aveva mai avuta occasione di occuparsi delle questioni riguardanti la Siria e sovratutto ignorava interamente quali fossero i propositi del R. Governo e se in Italia si fosse neppur pensato all'eventualità di un attacco o dell'occupazione diretta di un territorio continentale appartenente all'Impero ottomano. Promisi tuttavia di riferire quanto precede all'E.V.

Ora effettivamente ignoro se una operazione del genere possa essersi pensata da parte nostra e tanto meno se sia possibile, sia per ragioni internazionali, sia per ragioni di difficoltà pratiche. Non spetta dunque a me esprimere un giudizio circa l'importanza delle cose che ho esposte: ma oltreché pel fatto dell'interesse generale che notizie simili possono sempre avere, mi parve necessario porne al corrente l'E.V. pel caso si decidesse di ricorrere a mezzi come quelli suggeriti dal signor Kemet, giacché questi potrebbe allora fornire, anche direttamente, maggiori ragguagli ed aiuti.

874 1 Non si pubblica.

875

IL CONSOLE GENERALE A CALCUTTA, SAINT-MARTIN, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

R. 300. Simba, 28 maggio 1912 1.

L'accenno fatto da questo segretario di Stato pegli affari esteri alla difficile situazione creata al Governo anglo-indiano dalla guerra italo-turca è la conseguenza del contrasto fra la tradizionale amicizia dell'Inghilterra verso l'Italia ed il suo interesse alla nostra attuale espansione nel Mediterraneo -da una parte -e dall'altra la convenienza che non venga menomato il prestigio della Turchia in ragione degli interessi rappresentati da 65 milioni di sudditi mussulmani in India e l'agitazione dei medesimi che tende a spingere il Governo ad assumere un'attitudine ostile ali' Italia.

Finora l'abilità della politica seguita da S.E. il viceré lord Hardinge ha evitato l'impopolarità che era a temersi dall'attitudine benevola dell'Inghilterra verso l'Italia, ma è dubbio se tale risultato sarà compatibile coll'eventuale prolungarsi della guerra.

La più larga libertà è stata lasciata ai mussulmani di organizzare comizi, di formulare proteste e di raccogliere fondi; anche quando l'agitazione traeva pretesto dalla falsa notizia del blocco di Gedda e di Yambo, ed in seguito da quella tendenziosa della pretesa intenzione del Governo italiano di effettuare quel blocco.

Sarebbe stato nostro interesse che fossero smentite fin dapprincipio quelle notizie con un comunicato ufficiale del Governo e fatti quei pretesti alle manifestazioni a noi ostili, ed in tal senso ho formulato una richiesta a questo Ministero degli esteri.

Ma la politica tradizionale di questo Governo di appoggiarsi ai mussulmani gli ha consigliato di seguire una via diversa; di lasciare cioè libero sfogo ai loro sentimenti, di far buon viso alle loro proteste e di atteggiarsi anche in questa circostanza a difensore della religione dell'Islam.

Il tenore del comunicato ufficiale apparso tardivamente nei giornali e già comunicato a VE. conferma questa linea di condotta che è meglio spiegata dal seguente brano del discorso pronunziato poco dopo da S.E. il viceré nel Consiglio del governatore generale: «Quando sembrava che fosse probabile che le ostilità fossero estese dalla flotta italiana a Gedda ed a Yambo, ho immediatamente attirato l'attenzione del Governo di Sua Maestà sulle serie apprensioni che sarebbero state causate in India da un attacco contro i porti che danno accesso alle città sante dell'Islam in relazione al traffico dei pellegrini; e delle rimostranze sono state fatte al Governo italiano dal segretario di Stato pegli affari esteri che ha ottenuto delle soddisfacenti assicurazioni in proposito».

Mi sono reso conto di queste speciali circostanze e mi sono astenuto dal chiedere l'autorizzazione di smentire direttamente quelle false notizie a mezzo della stampa, sia per non creare un precedente che per non ostacolare in alcun modo la politica seguita da questo Governo verso i mussulmani in questa delicata situazione.

P S.: Analogo rapporto dirigo al Ministero esteri a Roma.

875 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

876

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 890/248. Parigi, 29 maggio 1912, ore 22 (per. ore 23,50).

Poincaré mi ha parlato oggi dell'occupazione di Chio e Mitilene. Egli non solo ritiene tale occupazione perfettamente legittima, ma crede che noi non potremo fare a meno di occuparle affinché la nostra pressione sulla Turchia abbia il maggior peso possibile, specialmente dopo l'attitudine intransigente assunta ieri da essa. Però Poincaré crede che noi dovremmo dare alle Potenze l'assicurazione che non attacchiamo i Dardanelli. Con ciò mentre in fatto rinunzieremo ad una cosa che non è per noi né possibile né conveniente, le libereremmo da un incubo e acquisteremmo presso di esse un titolo di riconoscenza. Inoltre la rinunzia all'attacco dei Dardanelli ci permetterebbe di occupare anche Lesso e Imbro, così spogliare la Turchia di tutto l'arcipelago.

877

IL COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI 1

PROMEMORIA RISERVATISSIMO 5422 . Roma, 30 maggio 1912.

Scrivono, in data 24 e 25 corrente.

Malgrado tutte le smentite, si assicura che il primo dragomanno dell'ambasciata russa si è recato la sera del 23 corrente alla Porta ed ha presentato al ministro degli esteri turco una nota, accompagnata da una lista di negozianti russi, che reclamano un'indennità per le perdite subìte, in seguito alla chiusura dei Dardanelli.

Nonostante l'apparente impassibilità e le dichiarazioni degli uomini di Stato turchi, lo stato psicologico dei circoli governativi di Costantinopoli è molto depresso, da quando è incominciata l'occupazione delle isole, che ha prodotto un'impressione dolorosa. È certo che se l'azione navale dell'Italia nell'Egeo si rallentasse, i turchi riprenderebbero coraggio attribuendolo a debolezza militare e diplomatica de li'Italia stessa. «l colpi debbono succedersi con energia, perché i membri del Governo turco, che si oppongono alla pace, si decidano a cambiare opmwne».

Il Comitato Unione e Progresso si trova in difficile situazione: o vorrà continuare la stessa politica ed allora forse si avrà un Gabinetto sotto la presidenza di Hadgi Adii bey (ciò che è poco probabile), oppure, ciò che è quasi certo, esso abbandonerà il potere ed accetterà la condizioni di Hilmì pascià, che diverrebbe gran-visir. In questo caso, prima di lasciare il potere, pretenderebbe una garanzia, per la sicurezza personale dei suoi membri.

Recentemente è stata presentata al sultano una memoria di 6-7 generali senatori, nei quali il modo di procedere del Comitato e la maniera di dirigere gli affari dello Stato interni ed esterni sono qualificati come rovinosi per il paese.

Corre voce persistente a Costantinopoli che siano stati distribuiti dei fogli volanti contro il Comitato.

La situazione in Albania è molto grave. Si afferma che quattro battaglioni hanno fatto causa comune cogli insorti e che un altro battaglione ha rifiutato categoricamente di tirare sugli albanesi «loro fratelli».

Da fonte sicurissima si apprende che due treni speciali, carichi di artiglierie sono partiti da Haidar pascià a destinazione di Smirne.

La situazione dei turchi nello Jemen è pure molto critica. Le truppe, battute dall'Idrissi e decimate dalla fame e dalle malattie, non ricevono che radi e scarsi soccorsi per via di terra da Damasco.

Si conferma il ritorno della missione inviata da Izzet pascià all'Idrissi per trattare della sua sottomissione: tutti gli sforzi in quel senso riuscirono infruttuosi.

In una lettera privata dallo Jemen, si afferma che circa 2.000 italiani sono sbarcati a Gizan e che l'Idrissi, per ottenere il concorso delle tribù rimaste fedeli al Governo, le ha assicurate che gl'italiani sono mussulmani e quindi fratelli degli arabi e che fanno la guerra in Tripolitania, per soccorrere i senussi, che sono stati attaccati dai turchi. Però, fra le file degli insorti comincia a mietere vittime il vaiuolo.

Da parte sua, il valì dello Jemen ha riunito a Zehrè i capi delle tribù fedeli, per spingerli ad unirsi ai patriotti, inviati dall'iman Jahià contro l'Idrissi, e che trovansi attualmente concentrati nei pressi di Hudjur.

877 1 Fu inviato inoltre al primo aiutante di campo generale di S.M. il Re, al capo di Stato Maggiore d eli 'Esercito e ali 'ufficio coloniale. 2 Trasmesso al Ministero degli esteri con nota l O 19 del 31 maggio.

878

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 907/169. Londra, 31 maggio 1912, ore 2,30 (per. ore 17,30).

Telegramma di V.E. Gabinetto 960 1 . Suggerimento di Poincaré viene a confermare il remissivo parere, da me, verbalmente e per iscritto, sottoposto a V.E. e ultimamente col mio telegramma Gabinetto2 . Scopo Turchia è impedire nostra occupazione Chio e Mitilene dalla quale, checché dicasi in contrario, essa soffrirà diminuzione prestigio militare e politico, nonché perdita finanziaria, servendosi di un'arma senza dubbio possente, ossia minacciata chiusura stretti. Con questo provvedimento avente sicure conseguenze provocare irritazione contro noi in vari paesi e particolarmente qui, spera Turchia porci in imbarazzo e in una spiacevole posizione. Donde mi pare chiaro nostro interesse di sventare trama Turchia infliggendole nuove umiliazioni e strappandole, allo stesso tempo, arma di cui può servirsi a nostro pregiudizio. Modo migliore a tale scopo è, a mio

878 1 Il T. Gab. segreto 960 del 30 maggio ritrasmette il n. 876. 2 T. Gab. 783/158 del 18 maggio, non pubblicato.

avviso subordinato, la esplicita dichiarazione di non assalire Dardanelli. Con questa dichiarazione noi, rinunziando semplicemente ad una azione che non intendiamo compiere perché letale per nostri interessi presenti e futuri, facciamo gratuitamente un bel gesto che varrà da un lato a dimostrare nostra costante considerazione interessi neutri ed a distruggere dall'altro in modo tangibile leggenda, pur troppo accreditatasi all'estero che da lesi interessi dei neutri, noi speriamo azione più energica Potenze, per giungere pace. Dichiarazione anzidetta dovrebbe però, per essere a noi veramente utile, precedere occupazione due isole. In caso contrario Turchia avrebbe tempo ed agio di richiudere stretti e dinanzi prevedibile clamore stampa e Parlamento in Inghilterra e altrove, dichiarazione stessa non apparirebbe più come decisione da noi spontaneamente presa in correlazione col programma tracciato nell'Egeo, ma avrebbe invece aria di esserci stata più o meno richiesta, ciò che oltre renderla lesiva nostra dignità e quindi impossibile, le toglierebbe ogni valore pratico. In qualunque modo tenendo presente interesse speciale di questo Governo all'apertura stretti nonché ripetute dichiarazioni di Grey al riguardo, a me parrebbe sotto ogni aspetto consigliabile, prima di iniziare azione contro Chio e Mitilene, informarne in via amichevole questo Governo prevenendolo della nostra decisione circa Dardanelli ed autorizzandolo valersene presso Turchia che in tali condizioni non potrebbe più decentemente ricorrere ali' odiosa chiusura senza esporsi complicazioni. Analoga comunicazione si dovrebbe fare pure Russia. Come ho detto già nell'occupazione delle isole, specialmente di quelle più ricche e più importanti, io non vedo tanto un'arma potente per costringere Turchia pace quanto un mezzo che ci permetterà attendere in condizioni più vantaggiose, che Turchia rassegnata finalmente alla perdita Libia, si mostri più docile ai consigli (a pressioni non bisogna nemmeno pensare) delle Potenze amiche, accettando quel qualsiasi espediente che si finirà alla lunga per trovare allo scopo conciliare suo amor proprio con nostre esigenze. Occupazione mi sembra poi oggi più che mai doverosa, essendo essa unico mezzo a nostra disposizione di punire Turchia per iniqui suoi procedimenti contro italiani. Sotto tale punto di vista specialmente riterrei desiderabile occupazione non venisse possibilmente inviata non appena, siccome auguro, saremo riusciti vincere difficoltà che, a giudicarle dai telegrammi di Avarna, sembrerebbero doversi temere da parte dell'Austria-Ungheria e delle quali se (?? persistessero mi pare ovvio tenersi debito conto. Ad ogni buon fine m'importa da ultimo ripetere che occupazione eventuale di tutte le isole Arcipelago non può farci perdere di vista che un'azione vigorosa ed in Tripolitania ed un successo vera

mente risolutivo resta sempre mezzo più efficace e più sicuro per vincere resi

stenza Turchia e facilitare opera pacificatrice Potenze.

878 3 Il punto interrogativo è del decifratore. Il registro dell'ambasciata a Londra reca la parola «Ove».

879

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 971. Roma, l° giugno 1912, ore l.

Suo telegramma Gabinetto n. 175 segreto1 .

Se è vero che come dice Pallavicini, guerra non produce disagi gravi alla Turchia, è evidente che essa durerà indefinitamente visto che noi non cederemo mai sulla sovranità. Perciò le Potenze, che giustamente vedono nella lunga durata della guerra un pericolo e un danno per tutti, debbono riconoscere che non hanno diritto d'impedirci di far sentire in Turchia i danni e i disagi gravi della guerra.

Non avendo mai fatto sapere alla Turchia che noi non cederemo sulla questione della sovranità, Pallavicini contribuisce a mantenere la Turchia nella illusione e rende un cattivo servigio alla Turchia e all'Italia. Non si tratterebbe di dar consigli e tanto meno di far pressioni, ma solo d'informarla della verità.

Approvo il linguaggio di V.E. e spero che ella avrà occasione di rivedere Pallavicini prima che egli riparta.

880

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 918/171. Londra, 10 giugno 1912, ore 16,29 (per. ore 21,05).

Nel corso della conversazione di ieri Nicolson, in via privata e confidenziale, mi ha chiesto mie impressioni sullo stato attuale nostro conflitto e se io vedo possibilità pace. Risposi che purtroppo al momento attuale intransigenza turca non mi permette di abbandonarmi a rosee speranze. Ultime intenzioni Turchia relative separazione Cirenaica dalla Tripolitania mostrano chiaramente che Turchia si illude grossolanamente su irrevocabilità propositi non solo del Governo ma di tutta la Nazione. Dimostrano pure quanto fallaci siano pretesti dei turchi di non potere abbandonare arabi e quanto infondata tesi che prolungamento guerra sia dovuto al nostro decreto annessiOne.

Il mio convincimento, aggiunsi, è che, in questa guerra, vincerà chi avrà maggior tenacia. Noi mostreremo ai [turchi] 1 e al mondo di quanta tenacità

880 1 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

siamo capaci. E verrà pure giorno che turchi finiranno per persuadersi che nulla ci farà cedere. Intanto noi continueremo guerra anche all'infinito con la situazione militare in Libia, con le isole occupate e altre eventualmente da occupare ci troveremo in condizioni di poter aspettare tranquillamente e senz'alcun pericolo la resipiscenza turca, checché si voglia sostenere in contrario dai nostri avversari e dai loro numerosi amici inglesi e di altri paesi. Sul risultato opera platonica del consorzio Potenze sotto auspici della Russia dissi francamente che facevo assegnamento solo relativo, perché si vedeva chiaramente ormai quanto sgradita tale azione riesce Turchia. Per tutti questi motivi, io persistevo più che mai nel concetto più volte manifestatogli, cioè che sino da principio guerra, unico tentativo di mediazione ufficiale od ufficiosa presentante probabilità risultato pratico, sarebbe quello risultante in una azione comune anglo-germanica che mirasse persuadere Turchia intendersi sia direttamente con noi, sia per il tramite delle Potenze, sulla base di una formula concreta accettata previamente da noi che rimaniamo come prima disposti prestarci per salvare amor proprio Turchia, beninteso senza scapitare nostri interessi. Rispose Nicolson che dell'efficacia dell'azione collettiva Potenze anche lui dubitava, specie in vista del fatto che a Costantinopoli tradizionali diffidenze contro Russia si sono negli ultimi tempi maggiormente intensificate. Per il resto, concluse, staremo a sentire quello che diracci Marschall.

879 1 T. Gab. segreto 902/175 del 31 maggio, non pubblicato.

881

IL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA RISERVATA 9492. Roma, 1° giugno 1912 (per. il 3).

Nel restituire a cotesto Ministero l'annesso rapporto della r. legazione d'Italia in Bema, relativo a pubblicazioni svizzere circa i pericoli che alla difesa di quel territorio potrebbero derivare dal traforo dello Spluga (qui pervenuto per il tramite del Comando del Corpo di Stato Maggiore), lo scrivente pregiasi significare che la questione non è nuova, ed è sovente inasprita dalla stessa Svizzera coll'attribuire all'Italia mire aggressive che non ha, rievocando, come nell'articolo comunicato, giudizi che mancano ormai di qualsiasi valore, perché rimontano a un quarto di secolo fa.

Queste strane voci di mire conquistatrici dell'Italia non possono avere altro effetto che di creare in Svizzera un ambiente o~tile al nostro paese; e però sembra opportuno vengano smentite; ciò che solo cotesto Ministero potrebbe autorevolmente fare, ove convenisse con lo scrivente in quest'ordine di considerazioni.

882

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. 2420. Roma, 2 giugno 1912, ore 13,30.

Di fronte alle affermazioni contenute nel comunicato pubblicato nella stampa europea, col quale il Governo ottomano tenta giustificare l'espulsione in massa degli italiani dal territorio dell'Impero, siamo in grado di dichiarare quanto segue: l) non è vero che più migliaja di abitanti di Tripoli siano stati massacrati o deportati. In seguito alla rivolta dell'ottobre 1911 un certo numero di tripolini dovette essere giustiziato; un numero più considerevole, per indispensabile misura di sicurezza, essere trasportato in Italia. Di questi, molti hanno potuto già far ritorno in Tripolitania e Cirenaica; 2) non è vero che la flotta italiana abbia bombardato città aperte col pretesto di affondare alcune cannoniere disarmate. In tutti i bombardamenti eseguiti furono colpite soltanto navi, caserme o stabilimenti militari del nemico; 3) non è vero che da aeroplani e dirigibili siano state lanciate bombe su abitazioni borghesi e su ambulanze ottomane. Le bombe, il cui uso non è vietato dalle convenzioni vigenti, furono sempre lanciate su gruppi di nemici combattenti; 4) non è vero che una nave ospedale ottomana sia stata arbitrariamente arrestata. La nave «Kaiserie», per la quale il Governo italiano, aveva rilasciato il permesso di recarsi a Hodeida fu, a nonna delle convenzioni vigenti, regolarmente visitata dalle rr. navi. Tale visita avendo condotto alla constatazione che la nave non presentava nessuno dei requisiti voluti dalle convenzioni stessse ed era indubbiamente destinata a scopi di guerra, la nave fu tradotta e trattenuta a Massaua, ed il suo equipaggio, cui non poteva riconoscersi la qualità di personale sanitario, fatto prigioniero; 5) è vero che pochissimi funzionari e notabili di Rodi, membri noti e pericolosi del Comitato Unione e Progresso furono tradotti prigionieri. Ma ciò accadde, oltre che per misura temporanea di sicurezza, soltanto a titolo di rappresaglia consentita dal diritto internazionale, per la illecita e prolungata detenzione da parte della Turchia, dei membri della missione mineralogica italiana e di altri cittadini italiani in nessun rapporto colle operazioni di guerra; 6) non è vero che le autorità italiane abbiano imposto restrizioni alla libertà della popolazione musulmana e la abbia internata nei propri quartieri. Tutti gli abitanti di Rodi come delle altre isole occupate a qualunque religione appartenessero, furono trattati dalle autorità italiane con uguale benevolenza; nessun provvedimento preso che potesse menomamente nuocere popolazione musulmana nel libero esercizio professione o mestiere; una forte quantità di viveri fu consegnata al cadì per essere distribuita fra i musulmani poveri. In generale, il Governo italiano, pur non avendo ancora ratificato le convenzioni dell' Aja, si è sempre mantenuto fedele in tutto l'andamento della guerra, alle regole sancite da quegli atti internazionali.

A ciò basterebbe contrapporre gli atti inauditi di ferocia compiuti contro i soldati italiani dagli arabi rivoltati sotto il comando e dietro istigazione degli ufficiali

935 turchi: e i numerosi attentati, vessazioni ed angherie di cui furono vittime pacifici italiani in Turchia fino alla loro espulsione in massa dall'Impero.

883

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 926/185. Vienna, 3 giugno 1912, ore 10,30 (per. ore 3,55 del 4).

Telegramma di VE. Gabinetto 970 segreto 1• Accennando alla libertà d'azione che Berchtold si riserverebbe ove noi procedessimo ad ulteriori occupazioni di isole dell'Egeo P ansa osserva che se le temute conseguenze non si verificassero per effetto del presente conflitto, e se alla sua definizione si ristabilisse lo statu quo con la restituzione alla Turchia delle isole occupate, non si vede come AustriaUngheria potrebbe invocare quella libertà d'azione in un tempo avvenire pro bono pacis probabilmente assai lontano. A questo proposito rilevo che giusta quanto Berchtold mi fece comprendere nel colloquio del 31 maggio (mio telegramma Gabinetto 174 segreto)2 sarebbe sua intenzione di giovarsi di tale libertà d'azione non solo durante conflitto attuale, ove si producessero le conseguenze suddette, ma anche dopo la sua composizione, o in un periodo di tempo remoto, se sopravvivessero nei Balcani eventi tali da mettere a cimento gli interessi della Monarchia. Non altrimenti del resto si potrebbe intendere la riserva del Berchtold, perché nel suo pensiero essa implicherebbe, da parte d eli' Austria-Ungheria lo svincolamento da qualsia si impegno da essa assunto coll'articolo settimo del trattato, e coll'accordo segreto del 1909.

884

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 990. Roma, 3 giugno 1912, ore 22,25.

Suo telegramma Gabinetto n. l 79 1•

2 Si tratta in realtà del T. Gab. segreto 908/179 del 31 maggio, non pubblicato.

Il Governo si riserva di decidere se occuperà o non occuperà Chio ed, in qual momento.

L'articolo VII si riferisce ad occupazioni temporanee che abbiano per causa od effetto un mutamento dello statu quo territoriale in quelle regioni, e non si applica, perciò, secondo la nostra interpretazione, che è la sola equa e razionale, ad occupazioni provvisorie che hanno per fine la soluzione della questione di Tripoli.

In ogni modo dalla stessa dichiarazione di Berchtold e dal telegramma di V.E. Gabinetto 1842 risulta, e forse gioverà prenderne atto, che se noi non occupiamo Chio, l'Austria rimane legata verso di noi da una interpretazione dell'articolo VII, data da essa stessa in senso molto restrittivo della libertà d'azione delle due parti contraenti. Tale interpretazione restrittiva si applica a fortiori a qualsiasi eventuale azione de li'Austria la quale, a differenza della nostra, avrebbe per causa ed effetto quelli appunto che l'articolo VII nomina e prevede.

Sarà bene che nel suo colloquio con Berchtold V.E. faccia se lo crede opportuno, questa constatazione per nostra garanzia per l'avvenire e per evitare malintesi e diffidenze che rendano più difficile alle due Potenze alleate di seguire nelle questioni balcaniche quella politica concorde ed identica che è nei nostri desideri e nel comune interesse. Aggiungo confidenzialmente per V.E. che sarebbe ottima cosa se alla abilità di V.E. riuscisse di ottenere in proposito qualche cosa di scritto.

Intanto si deve pure constatare che non è esatto ciò che Berchtold le ha detto, cioè che anche altre Potenze si oppongono alle nostre ulteriori occupazioni di isole.

V.E. -può fargli osservare che dai telegrammi dei rr. ambasciatori a Parigi, Londra, Pietroburgo e Berlino, da me sempre comunicati a VE. risulta il contrario. V.E. -può anche fargli notare che non è nemmeno esatto che a noi tali ulteriori occupazioni di isole non gioverebbero, poiché invece risulta da tutte le nostre informazioni, da me comunicate a V.E. che l'occupazione immediata di Chio gioverebbe ad affrettare la pace, oltre le ragioni di prestigio ed altre a V.E. -ben note.

L'opposizione dunque è contraria ai nostri interessi ed al nostro prestigio, e ci viene soltanto dali' Austria la quale sostiene una interpretazione dell'articolo VII, da noi non mai accettata e che ha per unico effetto di favorire la Turchia a danno dell'Italia, con evidente e grave violazione della neutralità.

Il Governo ha fatto e farà il possibile per impedire che tale opposizione dell'Austria sia conosciuta in Italia, perché, se fosse conosciuta, renderebbe difficile la rinnovazione dell'alleanza o la renderebbe talmente impopolare di privarla in gran parte del suo valore pratico, poiché l'opinione pubblica italiana non potrebbe a meno di rilevare la grande differenza di contegno di tutte le altre Potenze da quella dell'Austria, la sola che col suo contegno abbia in modo serio ed efficace aiutato la Turchia; e comprometterebbe i progressi notevoli

finora ottenuti nell'opera diretta a stabilire sempre maggiore intimità, cordialità ed amicizia tra Italia e Austria.

Tale impressione sarebbe tanto più grave in quanto che nulla vi ha nell'azione diplomatica dell'Austria che possa cancellarla od attenuarla, e che compensando l'inceppamento alla nostra libertà d'azione militare, che è una violazione della neutralità, ristabilisca l'equilibrio tra la condotta dell'Austria verso di noi e quella verso la Turchia, in modo conforme al vero spirito di una neutralità veramente imparziale.

Aggiungo per uso esclusivo di VE. che il cattivo effetto che sui rapporti italoaustriaci eserciterà in Italia la nostra eventuale astensione da ulteriori operazioni nell'Egeo, (la quale sarà indubbiamente attribuita all'Austria) non può essere attenuata che mediante un atteggiamento politico più amichevole verso di noi da parte di entrambe le Potenze alleate. Non conviene certamente per ragioni di dignità che noi la chiediamo, ma non mancano a V.E, l'abilità e il tatto di far sì che tale necessità venga spontaneamente compresa da codesto Governo.

È chiaro pure che se non occuperemo Chio, e se nessun fatto diplomatico da parte dei nostri alleati verrà a compensare l'incoraggiamento che dalla nostra inazione verrà alla Turchia, nonché tutti gli altri inconvenienti che ne deriveranno, noi dovremo necessariamente escogitare ed attuare qualche altra azione che danneggi almeno egualmente la Turchia.

Se poi Berchtold crede che coll'inceppare la nostra libertà d'azione militare, noi saremo costretti ad essere più transigenti sulla questione della sovranità, è bene togliergli del tutto questa illusione. Su questo punto l'Italia non cederà mai qualunque sia la durata della guerra e qualunque ne siano le conseguenze. Qualunque Governo in Italia che consentisse ad accettare qualsiasi vestigio di dominio politico turco sulla Libia sarebbe immediatamente rovesciato.

Non è neanche da dissimulare a Berchtold che non sarà facile che i nostri sforzi di non far conoscere all'opinione pubblica italiana la sua opposizione alla occupazione di Chio, abbiano successo. Già ho comunicato a VE. un articolo del Times in proposito. Ed è in verità assai difficile spiegare all'opinione pubblica dell'Italia e di tutta l'Europa, la nostra inazione militare, specialmente dopo l'espulsione degli italiani, il palese invio di nuovi rinforzi turchi a Chio e le vanterie della stampa turca che sempre ripete che non oseremo attaccare quell'isola.

A me pare che VE. dovrebbe esprimersi a viva voce nei sensi suddetti con Berchtold. Qualora ella sia di diverso avviso, allora prima di parlargli, pregola telegrafarmi il suo parere indicandomene le ragioni. Non ho ancora avuto risposta da VE. circa il progetto di nota scritta che le comunicai col mio telegramma Gabinetto n. 9323 .

883 1 T. Gab. segreto 970 del 31 maggio, non pubblicato.

884 1 T. Gab. segreto 908/179 del 31 maggio, non pubblicato.

884 2 T. Gab. 923/184 del 2 giugno, non pubblicato.

884 3 Cfr. n. 869. Per il seguito cfr. n. 886.

885

L'ADDETTO MILITARE AD ATENE, MARRO, AL COMANDANTE IN SECONDA IL CORPO DI STATO MAGGIORE, BARATTIERI

R. RISERVATO 478/119 1 . Atene, 4 giugno 1912 2.

Sono qui giunti per prender parte alle grandi manovre elleniche, e provenienti da Costantinopoli, gli addetti militari di Inghilterra, Spagna, Rumania, Serbia, nonché un ufficiale bulgaro proveniente da Sofia. Gli addetti militari di Austria-Ungheria, e Bulgaria, benché accreditati anche ad Atene, sono rimasti per ordine dei propri Governi a Costantinopoli sembrando la situazione tale da non consigliare loro, anche un temporaneo allontanamento dalla capitale.

Ho parlato a lungo con i miei colleghi il cui giudizio è certamente importante essendosi essi (per l'eccezionalità della situazione) tenuti in questi ultimi tempi molto a contatto con le principali autorità politiche e militari di Costantinopoli.

Senza accennare in dettaglio quanto ognuno di essi mi ha detto, esprimo le loro

. . .

1mpress10m. La tenacia con cui la Turchia prosegue nella guerra (malgrado i danni evidenti che dalla guerra ad essa derivano), proviene (oltre che dalle difficoltà in cui si agitano i governanti per trovare una soluzione che soddisfi ad un tempo Italia e Turchia) primo, dalla poca conoscenza che delle nostre forze, dei nostri sentimenti, del nostro paese insomma ha il popolo ottomano; secondo, dagli aiuti, dai conforti di cui sono larghi, ai governanti stessi, gli ambasciatori, gli uomini politici, le autorità finanziarie, dei vari paesi di Europa; tutti intendono strappare qualche cosa alla Turchia, quindi vendono i loro sorrisi, i loro conforti; sorrisi e conforti che i turchi interpretano quale eccitamento alla lotta. Che i governanti turchi non abbiano conoscenza alcuna della situazione in cui si trova l'Italia, lo prova il fatto che in buona fede molti ritengono che procedendo ancora per qualche mese nelle ostilità, in Italia il popolo si ribellerà ai pesi della guerra, e scoppierà la rivoluzione. Due sere or sono l'addetto militare ottomano in Atene (che è pure annoverato tra i Giovani Turchi più intelligenti ed attivi) confidenzialmente annunciava ad un collega che aveva dati sicuri per credere che l'Italia, per ragioni finanziarie e politiche interne, non avrebbe potuto proseguire per molto tempo ancora nella lotta e che avrebbe finito per chiedere la pace rassegnandosi a tenere della Tripolitania solamente Tripoli e Homs, cedendo ai turchi la Cirenaica e tutto l'hinterland.

È straordinario che simili inverosimiglianze possano acquistare caratteri di verità in Turchia, ma tuttavia la cosa non cessa di essere vera.

Per quanto sta in me (sia con comunicazioni fatte a Costantinopoli, sia a mezzo di giornalisti locali) ho cercato di far comprendere che le voci di pochi italiani che a scopo politico parlano contro la guerra e ne lamentano le conseguenze, sono !ungi da rappresentare le opinioni della massa, ma è da prevedersi che anche alla voce della stampa e della verità la Turchia sarà sorda.

La situazione interna della Turchia si fa ogni giorno più difficile per le discordie che sono scoppiate e che minacciano di scoppiare tra gli stessi uomini del partito Unione e Progresso.

Molti ufficiali che facevano parte della detta associazione si sono ribellati o sono in via di ribellarsi; essi non hanno più fiducia nei metodi di governo, nella onestà, nella capacità dei Giovani Turchi, ed invocano qualcuno (che non sanno essi stessi precisare) che salvi il paese dalla rovina verso cui cammina. Ufficiali superiori, comandanti di corpo d'armata, tengono oggi un linguaggio molto severo a danno del partito che tiranneggia la Turchia.

Dall'aumentare più o meno rapido del numero dei ribelli dipenderanno i fatti avvenire. L'ammutinamento che ha avuto luogo tra gli ufficiali di marina può avere come apparente movente il malcontento per la inattività della flotta, ma nel fondo ha la sua ragione d'essere nel senso di generale sfiducia che esiste tra gli uomini di Costantinopoli che comandano e quelli di Nagora che obbediscono.

Effettivamente vi sono membri del Comitato Unione e Progresso, vi sono ufficiali di marina che di fronte alla crescente invasione italiana nelle isole vorrebbero agire con la flotta, ma è opinione generale che la flotta per ora non muoverà dal porto in cui si è ancorata col mandato di coadiuvare le batterie di terra in caso che la flotta italiana forzasse i Dardanelli.

Potrebbe ben darsi che più tardi e specialmente di fronte alla occupazione italiana di Metelino gli animi dei marinai turchi si eccitassero sino al punto di decidere l'uscita dai Dardanelli; ma tutti sono fin d'ora convinti che sarebbe una sublime pazzia ma pur sempre pazzia.

I governanti ottomani dichiarano di essere indifferenti alla occupazione per parte italiana delle isole dell'Egeo, (convinti come sono che l'Italia a fine guerra restituirà le isole occupate) ma in verità furono e sono molto scossi dell'avvenuto; intanto Mahmoud Chevket ha personalmente dichiarato agli addetti militari che in caso di occupazione di Chio avrebbe chiuso il porto di Smirne, in caso di occupazione di Militene i Dardanelli.

Se ciò sia o no una semplice minaccia è difficile dire, indubbiamente sia un fatto che l'altro sarebbero gravidi di conseguenze a danno della Turchia e quindi è poco probabile siano atti da compiere, (almeno che non si voglia con questi provocare un 'intervento europeo).

La situazione esterna come l'interna è giudicata dagli uomini di Governo ottomano sfavorevole. Essi sono molto diffidenti verso la Russia, lo sono in grado minore ma pur sempre diffidenti verso l'Austria, non sono sicurissimi della Germania, e non si sentono legati come vorrebbero ali 'Inghilterra.

La situazione militare (se la ribellione tra gli ufficiali non si estenderà) è tale da poter far fronte alla insurrezione albanese ed agli attacchi che gli italiani potrebbero fare in qualsiasi punto dell'Impero. A tutt'oggi si possono calcolare sotto le armi circa 350 mila uomini, ossia 100 mila più del numero ordinario. Di questi parte furono diretti in Albania, parte ai Dardanelli, Smirne.

Sul probabile modo con cui finirà la guerra, i Giovani Turchi esprimono le più strane idee. Alcuni (come l'addetto militare ottomano in Atene) credono che l'Italia finirà coll'accontentarsi di una parte della Tripolitania, lasciando alla Turchia la Cirenaica. Altri che la Tripolitania e la Cirenaica saranno dichiarate autonome dal Governo ottomano e lasciate a loro stesse, confidando che potranno per lungo tempo lottare per la propria indipendenza. Altri che le Potenze europee interverranno e che aggiusteranno le cose a danno della Turchia, con poca soddisfazione dell'Italia e a tutto vantaggio proprio. Altri non hanno idee sull'avvenire, non si preoccupano di averne e proseguono con una fiacchezza di facoltà conoscitive veramente sbalorditiva. La massa finalmente orgogliosamente e bestialmente seguita a parlare di guerra ad oltranza.

In conclusione: i Giovani Turchi delirano e credono di ragionare.

Qualsiasi atto pacifico per parte dell'Italia, qualsiasi ragionamento fatto direttamente (oppure con l'intermediario di altre Potenze) ai governanti ottomani e che abbia per iscopo di richiamare i turchi ad una chiara visione delle cose sarà vano.

Solamente fatti evidenti, clamorosi, quale l'invio a Costantinopoli di piroscafi pieni di musulmani raccolti nelle isole, solamente altre vittorie in Libia e nell'Egeo, altre occupazioni di isole e specialmente della ricca Metelino possono, se non convincere, almeno costernare i Giovani Turchi.

Sarà nella costernazione che questi correranno da errore in errore sino a trovare l'arma per suicidarsi.

885 1 Annotazione sul margine superiore del foglio «copia personale per il signor ministro De Martino». 2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

886

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 937/173. Vienna, 5 giugno 1912, ore 13 (per. ore 16,35).

Ripetizione mio telegramma Gabinetto 173 segreto, richiesto con telegramma di VE. Gabinetto 996 segreto 1: «Gabinetto 173, segreto. Telegramma di VE. Gabinetto 932, segreto2 .

886 1 T Gab. segreto 996 del 4 giugno, non pubblicato. 2 Cfr. n. 869.

Secondo il progetto di nota scritta redatta da V.E., la restituzione da parte nostra delle isole dell'Egeo alla Turchia dovrebbe dipendere da due condizioni: -l) dalla cessazione delle ostilità e dalla susseguente evacuazione della Tripolitania e Cirenaica da parte delle truppe e degli ufficiali ottomani; -2) dal riconoscimento per parte delle Potenze e dello stato di cose creato in quelle province dalla legge italiana 27 febbraio.

Dubito che Berchtold possa indursi accogliere la seconda di tali condizioni.

Potrebbe infatti obiettare: A) che allorché io gli diedi, conformemente alle istruzioni di V.E., l'assicurazione che Italia avrebbe restituito le isole alla Turchia alla cessazione delle ostilità, non feci cenno del riconoscimento per parte delle Potenze della nostra sovranità in Libia; B) che la restituzione delle isole stesse alla Turchia, alla cessazione delle ostilità, è la conseguenza degli impegni da noi assunti con l'articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza, di mantenere cioè lo statu quo territoriale in Oriente, onde quella restituzione non potrebbe essere subordinata alla condizione pure del riconoscimento per parte delle Potenze dello stato creato in Libia dalla legge italiana del 27 febbraio scorso, che è una questione del tutto distinta e che deve essere da noi trattata direttamente colle Potenze; C) che noi abbiamo sempre dichiarato di occupare temporaneamente le isole per avere in mano un pegno verso la Turchia da far valere in occasione della stipulazione della pace, ma noi non abbiamo mai detto che le isole costituissero pure un pegno di fronte alle Potenze per indurle al riconoscimento dello stato di cose creato in Libia dalla legge italiana suddetta.

Nel progetto di nota scritta si dice inoltre che la dichiarazione in essa contenuta scaturiva dalle disposizione dell'articolo VII del trattato della Triplice Alleanza.

Mi permetto osservare che, siccome il fatto della restituzione non è per se stesso che la risultante degli impegni da noi assunti con detto articolo, sarebbe superfluo di fame menzione. E tanto più opportuno poi mi parrebbe di non parlame per non dare forse appiglio a discussioni in proposito, data la grande disparità di vedute tra noi e Austria-Ungheria circa la interpretazione di quell'articolo.

Però ove V.E. avesse voluto far cenno di esso per ragioni speciali, come sarebbe ad esempio quella di far ben rilevare che l'impegno che noi assumiamo, concerne le isole soltanto che, secondo Berchtold, sono contemplate dall'articolo VII, perché comprese nell'Egeo, e non già in quelle al sud di Stampalia, che il ministro imperiale e reale non ritiene trovarsi nel mare stesso, in tal caso sarebbe conveniente di non modificare quella parte della nota scritta.

Per ciò che riguarda la formula «restituire alla Turchia», usata da V.E. invece di quella «lo statu quo ante sia restabilito» adoperata dal conte Berchtold, rilevo che l'atto della restituzione per parte nostra delle isole occupate alla Turchia costituisce per se stesso il ristabilimento dello statu quo ante, ed è a questo ristabilimento puro e semplice che noi ci siamo obbligati.

Non vedrei però inconvenienti ad inserire nel progetto di nota scritta di V.E. la formula del conte Berchtold «io statu quo ante sia ristabilito».

Ma è da prevedersi che se Berchtold non insisterà per far mantenere tale formala con la quale conclude il progetto della sua nota scritta, «cui sovranità ptena ed intera sarà integralmente mantenuta», adducendo che, siccome ci siamo impegnati coll'articolo VII del trattato ad impedire qualsiasi modificazione dello statu quo in Oriente, noi siamo tenuti ad adoperarci perché le isole rimangano sotto la piena ed intera sovranità della Turchia.

Per ciò che riguarda infine le garanzie per le popolazioni delle isole contro eventuali rappresaglie turche, non mi parrebbe il caso di sollevare, almeno per ora, la questione o di parlarne al conte Berchtold. Se tale questione sorgesse in avvenire, ciò che non è da escludersi in modo assoluto, qualora la guerra dovesse protrarsi a lungo, spetterà a tutte le Potenze di definirla, essendo esse interessate al pari di noi alla sorte delle popolazioni cristiane della Turchia, ed a mantenere intatto l'equilibrio attuale del Mediterraneo. Noi potremmo però, al momento della restituzione delle isole alla Turchia, richiamare la speciale attenzione delle Potenze su di ciò, ed adoperarci presso di esse con i mezzi morali, che sono in nostro potere, a favore di quelle popolazioni nel senso indicato da V.E.».

Ho già chiesto a questo ufficio telegrafico le indicazioni occorrenti ad avviare indagini presso l'ufficio telegrafico di Roma per accettare ragioni della mancata consegna mio telegramma suddetto3 .

887

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1196/445. Il Cairo, 5 giugno 1912 (per. il 13).

Mano a mano, nei miei telegrammi e rapporti, ho riferito alla E.V. apprezzamenti e giudizi di lord Kitchener sulla nostra guerra o sulle nostre operazioni militari, quali avevo occasione di rilevare nei nostri colloqui. Così pure son venuto illustrando, e mi lusingo di averlo fatto con sufficiente precisione e fedeltà, l'atteggiamento assunto da questo agente britannico nella questione che oggigiorno maggiormente ci interessa. Mi son formato da essi il concetto che se lord Kitchener si adopera perché abbiano esecuzione in Egitto le direttive prescrittegli dal suo Governo, anche quando in linea di stretto diritto gli sembrano scostarsi dalle norme vigenti del diritto di guerra, e che se in questo egli agisce con la consueta lealtà del popolo inglese, egli non sia personalmente animato da soverchia simpatia per la nostra causa.

Vi hanno forse al suo atteggiamento per così dire psichico giustificazioni di carattere sentimentale, in quanto egli probabilmente non dimentica di aver combattuto in giovinezza nelle file dei turchi; altre ve ne sono indubbiamente di carattere politico perché appartenendo egli per tradizione e convinzioni al partito conservatore ed unionista considera con molta preoccupazione e non senza rimpianto l'apparente

rinuncia del proprio paese al mantenimento di quella situazione preponderante che l'Inghilterra ha avuta per sì lungo tempo nel Mediterraneo, come lo sviluppo rigoglioso dell'Italia che per posizione geografica, doti del suo popolo e tradizioni sopite, ma non dimenticate, è oggi in grado, più d'ogni altra Potenza di gettar le basi d'un nuovo imperialismo, di una nuova influenza dominante in Oriente. Gli anni numerosi che lord Kitchener ha passati in questa terra africana, dove ha raccolti, giovane ancora, così meritati trionfi, la lunga convivenza con le popolazioni arabo-musulmane dell'Egitto e del Sudan ha lasciato certamente profonde traccie nell'animo di quest'agente britannico, traccie che si risolvono in una tendenza favorevole alle aspirazioni di queste popolazioni indigene. Non bisogna inoltre dimenticare che per lord Kitchener, cui sono profondamente note le condizioni dell'impero coloniale inglese africano ed indiano, destano serie preoccupazioni tutti quei fatti e quegli avvenimenti che possono avere una ripercussione sulle regioni dominate dal Regno Unito.

Ora poi l'occupazione nostra delle isole egee e quella nostra più efficace azione che ne può essere una conseguenza immediata, in un momento nel quale sembra che l'Inghilterra non sia troppo preparata ad affrontare la risoluzione dei problemi di politica orientale che possono derivarne, preparano forse una nuova situazione in Oriente, che si svilupperebbe probabilmente in modo sfavorevole al predominio inglese negli stessi paesi, come l'Egitto, dove esiste da lungo tempo.

Nel fatto se, come ho detto, lord Kitchener segue lealmente i desideri del proprio Governo per quel che riguarda la condotta dell'Egitto di fronte alla guerra, appare nondimeno che sotto certi aspetti egli cerca di trar profitto a nostro danno della situazione: intendo parlare per quanto si riferisce al confine occidentale dell'Egitto ed alle questioni di Sollum e Giarabub. Anche su questo ho sempre tenuta l'E.V al corrente di quanto mi riusciva conoscere: mai con lord Kitchener mi si è offerta l'occasione di parlare dei noti accordi segreti (che si riferiscono però soltanto a Sollum e non fan cenno di Giarabub) poiché, secondo le istruzioni di VE., attendevo sempre di sapere se ne avesse conoscenza, sicché del di lui pensiero a questo proposito non mi fu lecito che argomentare per manifestazioni indirette. Queste concordano tutte nel provarmi che questo agente britannico si prefigge di stabilire il confine dell'Egitto dal punto estremo della baia di Sollum (Ras el Melh) e con una direzione leggermente volta ad occidente in modo da comprendere Giarabub tra i territori egiziani. Nuova conferma di questa intenzione ebbe in questi giorni il colonnello Elia che si recò a visitare il Survey Department dove trovò che si stan preparando altre carte in tal senso e dove gli fu detto esplicitamente che corrispondevano al pensiero di questo agente britannico.

VE. avrà poi letto nel rapporto annuale di lord Kitchener, che le trasmetto col mio in data d'ieri n. 1177/43 P, quale accenno egli abbia fatto alla nostra guerra nel riferire sulle condizioni dell'Egitto al proprio Governo.

Inoltre pochi giorni addietro il Mokattam pubblicava alcune dichiarazioni che lord Kitchener avrebbe fatte in treno a certo Selim bey Tabet, un siriano che si è

distinto per manifestazioni di anti-italianità. Veramente il Mokattam le riferisce come udite da un proprio redattore dalla bocca del Tabet, sicché può darsi non corrispondano interamente al vero. Io ne feci cenno al signor Greg, che regge durante l'assenza del suo capo l'agenzia britannica, e n'ebbi in risposta che non si poteva prender sul serio la pubblicazione, che lord Kitchener non era certamente uomo da andar ad esprimere il proprio pensiero ad un giornalista od al primo venuto. Dal riassunto fedele di quanto pubblicò il Mokattam che estraggo da un giornale europeo di Cairo e che accludo2 , V.E. vedrà come varie delle cose che lord Kitchener avrebbe dette al Tabet non possano certamente considerarsi come benevole a nostro riguardo o come destinate a concedere tanto alla Turchia come ai suoi sostenitori in Egitto il conforto della sua simpatia. Ritengo anch'io che il Mokattam può aver mal riferito od esagerato; ne resta nondimento che si tratta di un giornale indigeno che è ritenuto ed è veramente, almeno fino ad un certo punto, l'organo ufficioso dell'occupazione e dell'agenzia britannica. Poiché nessuna smentita pubblica fu data alle sue parole, nel pubblico rimane l'impressione che, veri o no, tali siano i pensieri di lord Kitchener: ed i nostri avversari d'Egitto non possono che trame forza a perseverare nella loro azione a noi ostile.

Questa sera lord Kitchener farà ritorno da Malta, lo vedrò prossimamente e mi riservo di sentir da lui stesso qual sia il fondamento della pubblicazione fatta dal Mokattam. Ne riferirò più tardi all'E.V. ...

N.B. Segnalo a questo proposito un rapporto del colonnello Elia al capo di Stato Maggiore dell'esercito in data odierna n. 96 di cui sarebbe bene che V.E. avesse conoscenza3 .

886 3 Per la risposta cfr. n. 892.

887 1 Non rinvenuto.

888

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 943/113. Pietroburgo, 6 giugno 1912, ore 14,29 (per. ore 16,55).

Ho chiesto Sazonoff a che punto fosse lo scambio di vedute tra tre Gabinetti interessati in proposito Samos di cui telegramma di V.E. 19561• Egli mi disse aver avuto una comunicazione dal Gabinetto di Londra dalla quale risulta che Governo britannico intende considerare come integralmente in vigore statuto organico del 1832 e che perciò dev'essere ritenuta come illegale permanenza Samos della guarnigione turca. Governo britannico ha però osservato che ritiro guarnigione presenta nelle attuali condizioni delle difficoltà perché Potenze non potrebbero obbligare

3 Non pubblicato.

945 Turchia ritirarla ora mentre la flotta italiana potrebbe sp1arne partenza e farla pngromera.

Riprendendo allora mio concetto esposto a VE. col mio telegramma Gabinetto 992 e da VE. approvato, ho detto Sazonoff, come mia idea personale, che le difficoltà a cui alludeva Inghilterra potevano essere eliminate potendosi venire ad una intesa col Governo italiano. A me pare che noi potremmo dare assicurazioni e la (sic) guarnigione turca non sarà attaccata momento in cui lascerà Samos per recarsi in un punto della costa Asia Minore, bastandoci avere provocato richiamo che deve riuscire molto sgradevole Governo ottomano per più punti di vista. Sazonoff divide punto di vista inglese e avendo io dimostrato come non fosse ammissibile situazione privilegiata e la guarnigione Samos che mentre è da una parte inattacabile può dall'altra arrecarci danno e ci obbliga in ogni caso ad una attiva vigilanza perché non passi da Samos in altra isola vicina da noi occupata, approvò anche quanto gli ho detto a titolo personale. Stando così le cose vedrà VE. se è caso spingere nostra azione in questo senso. Dalle cose dettemi da Sazonoff ho potuto rilevare intanto che, contrariamente pensiero Izvolsky (telegramma di VE. 23 71 )3 il sollevare questione Samos non mette affatto n eli' imbarazzo Russia e dalla comunicazione inglese, di cui sopra, non si rileva che essa sia riuscita sgradita Londra.

887 2 Non si pubblica.

888 1 T. 1956 dell'8 maggio, non pubblicato.

889

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 2469. Roma, 7 giugno 1912, ore 2.

Questo ambasciatore di Germania, nel comunicarmi una nota diretta al suo Governo dal Governo ottomano, dichiarante che i sudditi italiani fatti prigionieri a Smirne sarebbero stati mantenuti in arresto per rappresaglia, finché noi avessimo trattenuto i funzionari civili e notabili turchi stati arrestati a Rodi, l'equipaggio del «Kaisserie» e Faik bey, soggiungeva che Kiderlen-Waechter sarebbe stato disposto ad intervenire per uno scambio fra i due belligeranti dei detenuti rispettivi non prigionieri di guerra, e chiedeva su quali basi noi avremmo a ciò acconsentito. Ho risposto proponendo il seguente modus procedendi, che risponde ali' ordine cronologico degli arresti: l) la Turchia rilascia la missione

3 Il T. 2371 del 30 maggio, non pubblicato, comunica tra l'altro il T. Gab. segreto 886/243 del 29 maggio, non pubblicato, in cui Tittoni riferisce che in un colloquio confidenziale con Iswolsky sulla questione di Samos questi sconsigliava di sollevarla perché sgradita alla Francia e all'Inghilterra e causa di imbarazzo per la Russia.

mineralogica italiana in Cirenaica; 2) l 'Italia rilascia i funzionari e notabili ottomani di Rodi e Faik bey; 3) la Turchia rilascia i marinai ed altri italiani detenuti a Smime.

L'equipaggio del «Kaisserie» non è compreso nello scambio, perché, essendo stato constatato il carattere militare della pretesa nave ospedale, gli uomini dell'equipaggio devono essere considerati come prigionieri di guerra.

Jagow ha trasmesso queste proposte al suo Governo.

Tanto per informazione di V.E.

888 2 Cfr. n. 832.

890

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 972/191. Vienna, 8 giugno 1912, ore 21,15 (per. ore 0,55 del 9).

Dispaccio riservato di V.E. 27 maggio1 .

«Progetto Imperiali». -Questo progetto mi sembra, potere in massima essere preso in considerazione, o ve l'attuazione dell' «idea Imperiali» non fosse per incontrare difficoltà da parte dell'Austria-Ungheria, perché -stando a quanto Marschall disse a Pansa e Pallavicini a me -esso verrebbe a soddisfare in parte ai desideri della Turchia e sarebbe quindi atto a facilitare la soluzione del conflitto attuale. E mi sembra pure che nostro Parlamento non dovrebbe avere difficoltà di procedere in tal caso alla modificazione legge 12 febbraio, questa modificazione potendo essere compensata dall' «idea Imperiali» o ve potesse bene inteso essere tradotta in atto.

«Idea Imperiali». -Se si fosse alla vigilia della liquidazione dell'Impero ottomano, Austria-Ungheria non avrebbe, credo, difficoltà a consentire a che noi attuassimo «idea suddetta», quale nostro compenso per occupazione a cui essa procederebbe del Sangiaccato di Novi Bazar.

Ma è da dubitarsi che Austria-Ungheria possa ammettere nel momento attuale l'attuazione dell'«idea stessa» dietro rinunzia da parte nostra al compenso a cui abbiamo diritto per quella sua futura ed eventuale rioccupazione.

Ad una domanda simile che le fosse da noi ora rivolta, Austria-Ungheria potrebbe forse rispondere: l) che «idea Imperiali» è in opposizione al principio in cui si basa il trattato della Triplice Alleanza, cioè dell'integrità dell'Impero ottomano, che entrambi gli alleati si sono obbligati a non intaccare: 2) che «idea stessa» costituisce parte del noto impegno da noi assunto, e del quale Austria-Ungheria non potrebbe entrare forse in discussione con noi circa questione

compensi per le eventualità contemplate dall'articolo VII del trattato d'alleanza e dell'accordo segreto del 1909, tale questione non essendo all'ordine del giorno e non potendo essere trattata che al momento in cui quelle eventualità fossero per prodursi.

In tal senso si espresse meco Aehrenthal (mia lettera particolare del 18 gennaio 191 0)2 quando gli parlai in via confidenziale, per ordine Guicciardini, della questione stessa allo scopo solo di completare accordo segreto suddetto.

Ma potrebbe darsi che Berchtold, sebbene segua nelle linee generali la politica del suo predecessore, abbia però sulla trattazione della questione dei compensi, idea diversa da lui. Sarebbe quindi il caso, che l'E.V. non vi vedesse inconvenienti, che io, conversando privatamente col conte Berchtold, faccia cadere discorso sulla questione stessa per conoscere se sarebbe disposto a trattare con noi circa attuazione in questo momento dell' «idea Imperiali» alle condizioni da lei indicate. E come entrata in materia potrei addurre che fu egli il primo (che) mise innanzi il diritto a compensi a favore dell'Austria-Ungheria per ulteriori nostre occupazioni di isole nell'Egeo e che di ciò Mérey parlò pure a VE.

Circa poi convenienza per noi di ottenere consenso dell'Austria-Ungheria all' «idea Imperiali» mediante nostra rinunzia al compenso dovutoci per futura ed eventuale sua rioccupazione del Sangiaccato, osservo che è opinione generale da noi che una avanzata della Monarchia nei Balcani debba comportare, di necessità assoluta, un compenso per Italia, il quale non potrebbe consistere in altro che in una rettifica del confine orientale colla cessione in nostro favore del Trentino. Per cui, se Austria-Ungheria, in seguito alle circostanze previste dal trattato e dall'accordo segreto, fosse costretta addivenire alla rioccupazione del Sangiaccato, e se dopo di essa il compenso di cui si tratta non ci fosse attribuito, la opinione pubblica non potrebbe non esserne sorpresa e vivamente irritata. Ed ove apprendesse le ragioni del mancato compenso, non potrebbe che condannare altamente quel Governo il quale, dubitando delle forze e del carattere della Nazione, avesse creduto, pur di accelerare soluzione conflitto con Turchia, di anteporre «idea Imperiali» ai veri interessi dell'Italia precludendo a questa la via alla realizzazione delle sue ambite aspirazioni nazionali.

Per quanto sia da supporsi che la realizzazione di questa nostra aspirazione non potrebbe non essere resa oltremodo difficile dall'opposizione che per effettuarla noi incontreremmo da parte di Austria-Ungheria quando sarà giunto per noi il momento di reclamare il desiderato compenso, tuttavia non mi sembra che R. Governo possa esimersi dal tenere in debito conto tale sentimento della nostra opinione pubblica. Ma prescindendo dall'opposizione che «idea Imperiali» potrebbe trovare da parte Austria-Ungheria «quell'idea» è però tale da sollevare per se stessa una grave questione internazionale nella quale sarebbero interessate tutte le altre Potenze e specialmente Inghilterra e Francia, sulle cui disposizioni non mi è lecito pronunziarmi non avendo a mia disposizione dati sufficienti al riguardo.

890 1 Cfr. n. 870.

890 2 Cfr. serie IV, vol. V-VI, n. 59.

891

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 972/129. Berlino, 8 giugno 1912, ore 21,28 (per. ore 23,25).

Ho avuto due conversazioni con Szogyeny e con Kiderlen circa la questione della occupazione delle isole, ma non potei che attenerne conferma degli intendimenti di Berchtold quali risultano dalla costui dichiarazione a Avarna. Entrambi ne ebbero comunicazione da Vienna in termini sostanzialmente identici a quelli riferiti a Avarna stesso, compresa la frase contraddittoria relativa al non volere Berchtold opporsi alle nostre eventuali ulteriori occupazioni, ma con riserva della propria libertà d'azione per l'avvenire. Ho bensì constatato tanto con Szogyeny quanto con Kiderlen che questa riserva non si applica allo stato di cose attuale risultante dalle occupazioni già compiute e ammesse. Szogyeny, in risposta alle mie ripetute osservazioni circa lo spirito dell'articolo VII, mi ha lasciato comprendere che egli personalmente non era contrario alla nostra interpretazione, rilevando perfino egli stesso che mediante la formale promessa di restituzione di quei territori non si tratterebbe nemmeno di una vera occupazione ma piuttosto di una semplice dimostrazione militare. (Prego VE. di non fare uso di queste manifestazioni affatto personali di Szogyeny). Egli però non può naturalmente contrastare i timori del suo ministro, il quale è sempre in viva apprensione per le possibili conseguenze di quelle operazioni in vicinanza di Smirne e dei Dardanelli e per il pericolo di una seconda questione di Creta che potrebbe renderei impossibile l'evacuazione; per questi motivi egli disse Berchtold crede dover insistere sulla interpretazione letterale del trattato né egli crede sarà possibile rimuovernelo.

Perciò Szogyeny, parlandomi in via del tutto amichevole, mi domandava in conclusione se il R. Governo non si lascerebbe [ ... ]1 ad attendere frattanto gli effetti delle già fatte occupazioni, i quali non dovrebbero mancare di farsi sentire a Costantinopoli. Nella mia conversazione con Kiderlen, questi si è richiamato al comunicato della Kolnische Zeitung che smentisce la supposta opposizione della Germania alle nostre occupazioni nell'Egeo. Ma quanto alle difficoltà di Berchtold, egli pure mi disse non vedere modo rimuoverle. Citandogli le notizie del Temps e degli altri giornali relative a quel veto, gli parlai della impressione da esse fatalmente prodotte in Italia e feci pure aperte allusioni alla difficoltà di firmare in tali condizioni il trattato di alleanza, al quale proposito mi espressi nel senso della prima parte del mio telegramma n. Gabinetto 1242 . Nulla di ciò fu contestato da Kiderlen il quale però

891 1 Gruppo indecifrato. 2 T. Gab. segreto 9301124 del 4 giugno, non pubblicato.

949 soltanto rispose che se noi si poteva andare d'accordo sulla interpretazione de li'articolo VII non rimarrebbe che a cambiarlo. Kiderlen poi chiamò la mia attenzione sull'odierno comunicato della Norddeutsche Allgemeine Zeitung concernente gli ultimi incidenti relativi alla protezione degli italiani in Turchia. Malgrado le spiegazioni che gli diedi egli non mi nascose il suo malcontento per non avere il R. Governo trovato una parola di risposta alle accuse mosse contro l'azione dei rappresentanti germanici esercitata in difficilissime congiunture a tutela delle nostre colonie. Egli aggiunse che il Governo imperiale aveva al principio della guerra assunto quella protezione malgrado imbarazzi da essa recatigli, ma che ora l'opinione pubblica in Germania cominciava a mostrare una qualche irritazione del poco conto che se ne fa in Italia e a domandare se non sarebbe il caso di cedere quell'incarico ad altri. Senza insistere su di una discussione che poteva diventare spiacevole, mi limitai a raccomandargli, secondo le istruzioni di V.E., che fosse garantita la libera partenza di tutti gli italiani desiderosi di lasciare la Turchia. Devo dire che, anche da altre persone, mi fu riferito che il risentimento per le accuse del pubblico tedesco elevato in Italia è, in effetti, assai vivace e più ancora che non apparisca dal linguaggio di questi giornali.

892

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 1032. Roma, 8 giugno 1912, ore 2 4.

Suo telegramma Gabinetto n. l 73 l.

Anzitutto per uso personale esclusivo di V.E. è bene che ella sappia che il Governo non ha affatto né lo scopo né la intenzione di tentare di conservare in tutto o in parte le isole, tranne forse il caso di combinazioni impreviste che, come per esempio l'idea di Imperiali, potessero verificarsi per forma di eventi e per

facilitare la pace.

Il Governo però è deciso a non evacuarle se non quando avrà conseguito il fine per il quale le ha occupate, cioè la soluzione della questione di Libia in conformità alla legge di sovranità del 27 febbraio, nonché o la pace formale con la Turchia o uno stato di cose equivalente alla pace, cioè il ristabilimento dei rapporti con la Turchia nello statu quo ante bellum. Questi due capisaldi

debbono tenersi presenti nella redazione della nota e nelle trattative in proposito con codesto Governo.

Premetto che non potremo mai né in alcun caso e ad alcun patto rinuziare alle parole «après l'évacuation de la Tripolitaine et de la Cyrénalque de la part des troupes et des officiers ottomans».

Osservo poi che le tre obbiezioni che, secondo VE. Berchtold potrebbe opporre alla condizione del riconoscimento delle Potenze, mi pare non abbiano valore, poiché lo scopo dell'occupazione delle isole è la soluzione della quistione di Libia, della quale soluzione è parte essenziale il riconoscimento delle Potenze, specialmente se, per facilitare la pace, noi rinunziamo al riconoscimento da parte della Turchia. Sopprimendo nella nostra nota la condizione relativa al riconoscimento delle Potenze, la conseguenza sarebbe che noi non potremmo consentire alla cessazione delle ostilità se non previo il riconoscimento da parte della Turchia, e per ciò si ritarderebbe tanto la cessazione delle ostilità quanto la restituzione delle isole.

Se VE. non ha parlato a Berchtold del riconoscimento egli è perché tale condizione era implicita e del resto non ha neanche detto a quali condizioni avremmo consentito alla cessazione delle ostilità.

Il Governo austro-ungarico era però già in possesso della nostra risposta del 15 marzo2 al passo delle Potenze per la cessazione delle ostilità, e in quella risposta abbiamo detto quanto segue: «la cessazione delle ostilità deve prima di tutto avere come base la sovranità piena ed intera dell'Italia sulla Tripolitania e Cirenaica, com'è stata solennemente proclamata con la legge del Regno del 27 febbraio 1912. Il riconoscimento di questa sovranità, una volta esplicitamente ammessa dalle Potenze, non sarebbe chiesto alla Turchia. Basterebbe ottenere la certezza della sua rinuncia pratica che sarebbe data in primo luogo dal ritiro definitivo di tutti i suoi ufficiali e di tutte le sue truppe dalle due Provincie».

Infatti nel mio telegramma Gabinetto n. 600 del 18 aprile3 è testualmente detto che avremmo restituito tutte le isole alla Turchia in compenso della perdita da parte sua della Libia. Dai telegrammi poi di VE. Gabinetto nn. l 054 , Il O e 15 J5 risulta che l'impegno preso da VE. fu in data del venti aprile e quindi non può in alcun modo interpretarsi che VE. lo abbia preso in termini opposti alle esplicite dichiarazioni del Governo ed alla essenza stessa della situazione.

Si potrebbe, però, sostituire alle parole: «après que le Puissances ... 27 février 1912» le parole: «Aussitòt que la réalisation des conditions indiquées dans la note i tali enne du 15 mars 1912 aux grand es Puissances aura été obtenue».

Prego perciò VE. di presentare il progetto di nota in conformità al nostro testo colla sostituzione qui sopra indicata.

3 Cfr. n. 777.

Cfr. n. 775. 5 T. Gab. segreto 575/110 de121 aprile e T. Gab. segreto 799/151 de120 maggio, non pubblicati.

La formula proposta da Berchtold che subordina la restituzione alla sola cessazione delle ostilità, non può essere da noi accettata. Tra gli altri inconvenienti essa avrebbe quello di rendere più difficile e forse ritardare tanto la cessazione delle ostilità quanto la restituzione delle isole, perché noi non potremmo consentire a restituire le isole se non quando avessimo interamente ottenuto il conseguimento del nostro fine insieme colla cessazione delle ostilità, e quindi, tra i vari metodi pei quali si può giungere a questa, verrebbero esclusi tutti quelli che suppongono la soluzione non simultanea, ma graduale e successiva delle varie difficoltà che si oppongono alla fine del conflitto.

L'allusione all'articolo settimo fu messa perché, anche per ragioni di dignità nostra, non si vede qual altro diritto avrebbe l'Austria a chiederci tale impegno se non potesse farlo derivare da un trattato, ma se V.E. crede preferibile sopprimere questo inciso faccia come meglio crede.

Quanto alle parole «le statu quo ante sera rétabli» io pur senza attribuirvi eccessiva importanza persisto a credere preferibilmente la formula da noi proposta perché quella di Berchtold accresce alquanto le probabilità che si sollevi la questione della definizione dello statu quo ante, se cioè sia lo statu quo di diritto costituito dal firmano, non mai abolito dal 1835 che accorda alcuni privilegi alle isole, oppure lo statu quo di fatto che esisteva più o meno abusivamente in alcune prima della nostra occupazwne.

Del resto dopo la risposta di Berchtold relativa a Chio, noi non abbiamo interesse a mostrarci arrendevoli nella redazione della nota6•

892 1 Cfr. n. 886.

892 2 Cfr. n. 717.

893

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 982/194. Vienna, 10 giugno 1912, ore 13,10 (per. ore 2,35 dell'11).

Telegramma di V. E. Gabinetto l 032, segreto 1• Ho rimesso oggi Berchtold progetto di nota in conformità al testo contenuto nell'anteriore telegramma di

V.E. Gabinetto 932 segreto2 con la sostituzione indicata nel telegramma suddetto. Dopo averlo scorso Berchtold mi ha detto che non comprendeva per quale ragione avessimo aggiunto nel nostro progetto le frasi relative all'evacuazione delle truppe ottomane dalla Libia ed alla realizzazione delle condizioni indicate nella nota del

2 Cfr. n. 869.

Berchtold ha preso nota di ciò e mi ha detto che vi avrebbe riflettuto. Inoltre Berchtold mi ha dimandato perché dal nostro progetto di nota fosse stato eliminato l'ultima frase con cui concludeva il progetto della sua che cominciava colle parole «le statu-quo ante serai retabli». Ho replicato che mi sembrava che l'atto della restituzione per parte nostra delle isole occupate alla Turchia costituiva per se stesso il ristabilimento dello statu quo ante e che era a questo ristabilimento puro e semplice che noi ci eravamo obbligati. Ma Berchtold ha soggiunto che al contrario era stato affermato da alcuni giornali (che) da parte nostra si sarebbe fatto intravedere alle popolazioni delle isole occupate la speranza autonomia. Mi sono affrettato a rispondere che siccome gli aveva già dichiarato tale notizia era assolutamente falsa e che le istituzioni delle nostre autorità militari e navali ingiungevano loro di non favorire in modo alcuno le aspirazioni d'autonomia di quelle popolazioni. Dopo avermi detto che non sollevava obiezioni contro ultima parte del progetto di nota dell'E.V. dalle parole «Il est également entendu que ecc. alle parole faciliter la paix». Ha soggiunto che esaminerebbe meglio testo progetto stesso e mi avrebbe quindi pregato di passare uno di questi giorni da lui per discutere insieme le modificazioni che avrebbe creduto introdurvi.

892 6 Per il seguito cfr. n. 895.

893 1 Cfr. n. 892.

952 15 marzo alle Potenze. Quanto alla prima frase doveva osservare che le ostilità avrebbero potuto cessare anche senza che le truppe turche avessero evacuato la Libia perché non avrebbero forse obbedito agli ordini del Governo ottomano e queste d'altra parte avrebbero potuto proclamare l'indipendenza della Libia senza ritirare le proprie truppe. Rispetto alla seconda non ricordava quali fossero le condizioni indicate nella nota suddetta. Ho risposto che noi non avremmo potuto mai accettare una formula che subordinasse la restituzione delle isole alla sola cessazione delle ostilità perché tale formula avrebbe reso più difficile e ritardata cessazione ostilità stessa come restituzione isole. E queste noi non avremmo potuto consentire a restituirle che quando avessimo conseguito interamente il nostro fine cioè il riconoscimento della nostra sovranità piena ed intera in Libia da parte delle Potenze. Per cui non potevamo rinunziare alle due condizioni inserite nel progetto di nota da me rimessagli. Nel dargli poi lettura di quella parte della nota del 15 marzo in risposta al passo delle Potenze per la cessazione delle ostilità riprodotta nel telegramma succitato di V.E. gli ho fatto noto che il riconoscimento della nostra sovranità era una conditio sine qua non dell'accettazione da parte nostra della cessazione delle ostilità. Berchtold senza pronunziarsi circa tale riconoscimento ha rilevato che redazione di quella parte del progetto di nota di V.E. avrebbe potuto dar luogo ad equivoci perché la parola «condizioni» poteva riferirsi pure alle condizioni di pace indicate, nella nota stessa del 15 marzo. Riteneva quindi che avrebbe dovuto essere redatta in modo diverso. Ho creduto dirgli come mia opinione personale che si sarebbe potuto forse sostituire la frase «aussitòt que la realisation des conditions» la quale a suo avviso poteva dar luogo ad equivoci colla frase «après que les Puissances aurant reconnu l'état de choeses creé dans ces provinces parla loi italienne du 27 fevrier 1912» che è la frase contenuta nel primitivo progetto di nota di V.E. (telegramma di V.E. Gabinetto 932 -segreto -).

894

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1237/459. Il Cairo, Il giugno 1912 (per. il 20).

S.A. il principe Fuad è partito venerdì scorso dall'Egitto per il consueto viaggio estivo ed autunnale, prima cioè che si fossero conosciuti, anche in sola via preliminare i risultati della missione da lui mandata mesi addietro a Kufra. Però il principe prima di lasciare il Cairo ha tenuto a mettermi al corrente di quanto precisamente aveva fatto, nonché delle sue speranze di successo, ed a prender meco accordi per il seguito della questione.

Il principe ha qui un uomo di sua assoluta fiducia, certo Amir Osman ebn Abdel-Hamid Al-Ambani Al-Karasci, al quale ha ricorso per trovare una persona disposta a recarsi dal capo senussi ed avente abbastanza autorità personale per poterne far accogliere i propri consigli. Fu così prescelto Mohamed Ben Abdalla Al'Olmo al-Uazzani Al-Idrissi Al Husni, un parente tanto del sceik Idrissi quanto del sceik Senussi, col quale ultimo si trovava già in diretta corrispondenza. Questo fatto risulta da una lettera che qui unisco in originale1 , diretta appunto dal capo dei senussi, al Mohamed Ben Abdalla per rispondere alle sollecitazioni fattegli da quest'ultimo di mettersi risolutamente a combattere gli italiani invasori della Libia. Il Senussi in un'epoca che corrisponde alla fine del mese di dicembre rispose con l'unita lettera dalla quale appare come, in quell'epoca almeno, il capo dei senussi manifestasse ad un suo intimo e parente l'assoluta intenzione di entrare risolutamente in lotta contro di noi e si dichiarasse in modo aperto contrario alla nostra occupazione. Detta lettera potrà servire a controllare l'autenticità di altre lettere del capo senussi in possesso del R. Governo ed anche il contenuto diverso che si troverebbe in lettere della stessa epoca che il Mohamed Ali Elui asserisce di aver ricevute.

Tornando a Mohamed Ben Abdalla il principe dice che questi, il quale, come lo dimostra la sua corrispondenza col Senussi, ci era assolutamente avverso come gli altri musulmani, si sarebbe poi lasciato convincere che l'interesse vero dei musulmani della Libia era quello di por termine ad una lotta il cui risultato non poteva esser dubbio e che avrebbe dovuto finire con l'occupazione definitiva dell'Italia, mentre più continuava e maggiore sarebbe stato il numero delle vittime

o delle perdite economiche per i fedeli seguaci di Maometto. Il principe perciò

iniziò la sua azione giustificandola dal punto di vista religioso, ciò che in lui, musulmano, è perfettamente naturale e forse più suscettibile di successo. Il messo, una volta persuaso della serietà degli argomenti adottigli, si dichiarò disposto ad andare personalmente dal Senussi per persuaderlo ad intervenire direttamente per la pacificazione della Libia assicurando che l'Italia sarebbe stata disposta a stringer con lui accordi speciali in garanzia della sua fede e degli interessi della sua setta. Il messo non sa esattamente chi gli ha affidata la sua missione, sa di esser l'inviato di un alto ed influente personaggio il quale si rende garante presso il Senussi della serietà delle offerte che gli si trasmettono.

Mohamed Ben Abdallah nel corso del viaggio ha scritto finora una volta sola ali' Amir Osman, da una località che si chiama Zauia Al-Beida (la bianca), dove sembra essersi recato dopo aver attraversati i campi turco arabi della Cirenaica, facendo cioè un lungo giro. Dalla Zauia il messo si dichiara diretto a Giarabub, dove si sarebbe incontrato col cugino, capo dei Senussi. Si ha così una nuova prova che anche le persone più in grado di conoscere il vero ritengono in modo fermo che il capo Senussi sia in viaggio per Giarabub. Ormai del resto pochi giorni mancano alla data che si è annunciata per il di lui arrivo (20-25 giugno) e poche settimane dopo si saprà anche in Egitto se è avvenuta o meno. Non mancherò di informare subito l'E.V. Il principe nel rimettermi le due lettere di cui si tratta (lo quella del capo dei Senussi al cugino Mohamed Ben Abdalla; 2° quella di Mohamed Ben Abdalla all' Amir Osman) 1 e che accludo ambedue, mi incaricò di rassicurare il R. Governo sul contenuto delle medesime che ci appare così ostile. Per quel che riguarda la prima si tratta della risposta data ad una lettera scritta dal messo per invitarlo a combatterci prima di esser entrato in relazione col principe ed essersi lasciato persuadere della inutilità della resistenza. La seconda, quella cioè in cui il messo dà conto della prima parte del proprio viaggio, non ha altro scopo fuorché questo e fu scritta appunto in modo da non destare alcun sospetto ove cadesse in mani altrui.

Io riferisco naturalmente quanto il principe mi ha incaricato di dire all'E.V. Per di più, il principe, pur senza voler dimostrare alcuna certezza o fiducia eccessiva, ha soggiunto che aveva grandi speranze di poterei essere seriamente utile e che desiderava sinceramente ciò avvenga per l'affetto che ha pel nostro paese e per i nostri sovrani.

L'assenza del principe dal Cairo può presentare serio inconveniente nel momento in cui giunga la risposta o si conosca l'esito della missione. Sua Altezza mi ha perciò posto in relazione col suo uomo di fiducia l'Amir Osman, il quale si indirizzerà a me direttamente ogni qual volta riceva una comunicazione qualsiasi od abbia da fame per suo conto. Per di più il principe mi disse che mi avrebbe fatto sempre conoscere il sito della sua dimora perché in caso di bisogno io possa telegrafargli, giacché è sempre disposto di rientrare per qualche settimana in Egitto, qualora la sua presenza vi sia opportuna per il buon esito di queste sue pratiche.

894 1 Non si pubblica.

895

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO l 003/197. Vienna, 13 giugno 1912, ore 0,30 (per. ore 2,40).

Berchtold mi ha pregato di passare oggi da lui per parlarmi del progetto di dichiarazione relativa restituzione isole Turchia. Egli mi ha detto di aver rilevato che la redazione della prima frase del suo progetto «l'occupation des ìles de Rhodes Karpates et Stampalia ainsi que toute autre occupation d'ìles de la mer Egée Archipel» era stata nel progetto di V.E. modificata e che frase stessa era stata sostituita colla frase «l'occupation effectuée jusqu'à ce jour ou qui pourrait s'effectuer dans la suite des ìles dans la mer Egée Archipel», egli non poteva accettare l'espressione «dans la suite» perché tale espressione avrebbe potuto essere interpretata come se il Governo imperiale e reale avesse consentito alle occupazioni ulteriori di isole per parte nostra, ciò che non sarebbe stato esatto. Berchtold ha obiettato inoltre di nuovo circa la cessazione delle ostilità e l'evacuazione della Tripolitania e Cirenaica delle truppe ed ufficiali ottomani che le ostilità avrebbero potuto cessare senza che le truppe turche avessero evacuata la Libia, sia che non obbedissero agli ordini del proprio Governo, sia che questo accordasse l'indipendenza di quelle provincie. Per cui la restituzione delle isole avrebbe potuto essere rinviata ad un tempo indeterminato. E nell'accennare a questo proposito alla questione delle aspirazioni elleniche risollevata da quelle occupazioni, come ai pericoli che una prolungazione di esse avrebbe tratto seco per la loro restituzione, ha osservato che, non solo dalla stampa estera, ma anche dai consoli imperiali e reali, risultava che le popolazioni delle isole occupate rivolgessero continue istanze al R. Governo ed alle autorità italiane per ottenere l'autonomia e garanzie per conseguirla. Ho detto al conte Berchtold che egli doveva convincersi che noi non avevamo affatto intenzione tenere definitivamente le isole o sollevare questione della loro autonomia: ciò potevo dichiarargli in modo formale. Egli quindi non doveva aver alcun dubbio o sospetto circa nostra intenzione al riguardo. Ma d'altra parte doveva pur convincersi [?]l che noi non avremmo potuto consentire a lasciare le isole prima di avere conseguito il fine pel quale le avevamo occupate, cioè quando la soluzione della questione della Libia fosse stata risolta in conformità alla legge 27 febbraio 1912 o in seguito alla pace formale colla Turchia, o ad uno stato di cose equivalente alla pace, cioè il ristabilimento dei rapporti colla Turchia nello statu quo ante bellum. Non poteva quindi che ripetergli quanto gli aveva detto nel precedente colloquio che noi non potevamo rinunziare in alcun caso e ad alcun patto alle parole «après la evacuation de la Tripolitaine et de la Cyrenai'que de la part des troupes et des officiers ottomans» come neppure all'altra frase che seguiva «et aussitòt que la realisation des conditions indiquées ecc.». Del resto quando si era trattato della restituzione delle isole io gli avevo affermato che

essa avrebbe avuto luogo in compenso della perdita della Libia per parte della Turchia e ci era poi impossibile specialmente dopo l'espulsione dei nostri connazionali di privarci del pegno delle isole che le condizioni suddette fossero assicurate. Ma il conte Berchtold ha osservato che nell'intrattenerlo dell'impegno del R. Governo io gli avevo parlato della sola condizione della cessazione delle ostilità senza far menzione ad un tempo dell'altra condizione dell'evacuazione dalla Libia delle truppe ottomane. Ho soggiunto che quest'ultima condizione era implicita, non potendo noi accettare di cessare ostilità che quando truppe e ufficiali turchi fossero partiti dalla Libia, giacché in caso diverso la cessazione delle ostilità sarebbe stata a vantaggio della Turchia e a danno nostro. Berchtold ha rilevato poi, per ciò che riguarda la frase «et aussitòt que la réalisation des conditions indiquées» che poteva darsi il caso che non tutte le potenze consentissero a riconoscere nostra sovranità in Libia. Se una di esse avesse rifiutato di aderirvi, la restituzione delle isole non sarebbe avvenuta, come non sarebbe stata effettuata neppure se noi ci fossimo accordati direttamente con la Turchia. Ho replicato che, siccome gli aveva detto prima, la pace che fosse da noi fatta direttamente con la Turchia sarebbe stata uno dei motivi per indurci a evacuare le isole che noi avremmo occupato. Al che Berchtold mi ha detto che le due frasi suddette, relative l'una all'evacuazione delle truppe ottomane dalla Libia, l'altra alla realizzazione delle condizioni indicate nella nota del 15 marzo alle Potenze, avrebbero potuto essere sostituite a suo avviso dalla frase seguente «et après le rétablissement des relations diplomatiques et commerciales entre Italie er la Turquie». Tale frase gli sembrava avere anzi una portata superiore alle frasi suddette. Berchtold ha aggiunto inoltre che teneva che fosse mantenuta nella dichiarazione la frase con cui concludeva suo progetto di nota a cominciare dalle parole «lo statu quo ante sera rètabli». Avendogli ricordato a tale riguardo le assicurazioni già fattegli nel colloquio precedente (mio telegramma gabinetto 194, segreto )2 Berchtold ha obiettato che, in forza del trattato Triplice Alleanza, noi eravamo obbligati a mantenere l'integrità della Turchia per cui eravamo tenuti a provvedere a che le isole che avremmo restituite restassero sotto la piena sovranità del sultano. Non dubitava quindi che V.E. non avrebbe avuto difficoltà a inserire nel progetto di nota la frase in questione. Quanto all'ultima frase del progetto di V. E., relativa al segreto dell'impegno Berchtold mi ha ripetuto che non sollevava alcuna obbiezione. Berchtold mi ha detto infine che Mérey avevagli telegrafato l'indomani del colloquio da me avuto con lui il l O corrente avergli V. E chiesto se sapesse la decisione da lui presa circa progetto di nota. Egli però non era stato in grado rispondere non essendo informato della decisione del progetto del proprio Governo e si era in certo modo !agnato di non essere tenuto al corrente della cosa. Per cui egli gli avrebbe fatto conoscere quanto mi aveva esposto perché dal suo lato ne intrattenesse V.E. Frase proposta da Berchtold in sostituzione di quella contenuta nel progetto di V.E. circa la quale ho evitato di pronunziarmi riservando il pensiero di V.E. mi sembra a prima vista degna di essere presa in considerazione3 .

3 Per il seguito della questione cfr. n. 897.

895 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

895 2 Cfr. n. 893.

896

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. l 022. Londra, 15 giugno 1912, ore 2,05 (per. ore 6,30).

Seguito mio telegramma Gabinetto 183 1 . Secondo punto: Situazione Balcani. Finora la si considera complicata, ma non tale da ispirare serie apprensioni. Questa impressione si è modificata recentissimamente in seguito informazioni ricevute di cui mi fu taciuta provenienza. Dalle medesime si avrebbe fondato motivo temere che la Russia da un lato fomenti agitazione in Macedonia e dall'altra spinge Bulgaria e Serbia contro la Turchia. Si ritiene anzi che esistano al riguardo impegni formali fra Impero e due Regni. Queste notizie hanno qui allarmato perché si prevede che l'Austria-Ungheria non appena avuto sentore di tale maneggio russo prenda qualche misura radicale, nel qual caso Russia che non è in grado opporsi ad essa seriamente finirebbe per subire una umiliazione peggiore di quella toccatale nel 1908, umiliazione cui sarebbe nella impossibilità sottrarla Francia e specialmente Inghilterra fermamente decisa a tenersi in seconda linea nelle questioni balcaniche. Donde prevedibile e poco piacevole conseguenza di delicata situazione nelle relazioni delle tre Potenze dell'Intesa. La scaltrezza del re Ferdinando e la nota sua avversione contro la guerra ispirano è vero qualche speranza che egli riesca, malgrado tutto, ad eludere impegno con la Russia. Non si stima prudente però fare troppo assegnamento sulle disposizioni personali del re sapendosi bene che la Russia ha in Bulgaria mezzi di azione tali da forzargli la mano ponendolo nella penosa alternativa o di fare la guerra o di esporsi gravissime complicazioni interne ed anche pericolo vita. A dissipare qualunque sospetto di una possibile nostra consapevolezza dei voluti intrighi manifestati grande sorpresa per le cose udite rilevando che da un telegramma ricevuto da Pietroburgo io aveva tratto impressione diametralmente opposta, nel senso cioè che Russia lavora con alacrità mantenimento tranquillità Balcani. Mi fu risposto che politica russa è troppo intricata, tortuosa, saltuaria per potervisi raccapezzare e che quindi, ora come in passato, è possibilissimo che proposito manifestato in buona fede da Sazonoff sia contrariato dalla azione di agenti segreti operanti in obbedienza agli ordini ricevuti da altro personaggio. Né si può contare sull'azione suprema dirigente dell'imperatore col quale ultima persona che gli parla finisce sempre per avere ragione. Avendogli io chiesto per qual motivo Inghilterra, che in questo momento ha così cordiali relazioni con la Russia, non le dà consigli di maggiore prudenza, mi fu risposto «perché non ce ne danno mai l'opportunità». Interlocutore concluse che il momento gli appare oltremodo delicato e che se il re Ferdinando non riesce svincolarsi situazione potrebbe ad un tratto diventare gravissima. Stante serietà e competenza interlocutore, ho creduto doveroso riferire parti

colareggiatamente colloquio. Non aggiungo osservazioni mie non avendo elementi apprezzare fondamento notizia ed impressione comunicatemi. Arrivo Marschall essendo imminente sarò grato V.E. volermi illuminare per linguaggio con lui.

896 1 Con T. Gab. personale segretissimo 1021/183 del 15 giugno non pubblicato, Imperiali precisava la posizione di Grey riguardo alla iniziativa russa per la pace italo-turca.

897

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. PER CORRIERE l 066. Roma, 16 giugno 1912, ore 12.

Telegramma di V.E. n. 197 Gabinetto 1•

Premetto, che la dichiarazione verbale fatta da V.E. al conte Berchtold doveva già costituire, nel pensiero nostro, una garanzia sufficiente per il Governo imperiale e reale del mantenimento da parte nostra dell'impegno assunto di restituire a guerra finita le isole occupate. Con tutto ciò, e senza troppo attardarci sulla prova di sfiducia che poteva ravvisarsi nella domanda di codesto Governo, noi abbiamo consentito a rilasciare una dichiarazione scritta in proposito, per manifestare una volta di più la lealtà dei nostri intendimenti e dei nostri amichevoli sentimenti verso la Potenza alleata. Ma, se una siffatta dichiarazione non potesse venir concordata in modo che sia in essa tenuto esplicito conto di ciò che costituisce il fine supremo della nostra azione guerresca, noi potremmo facilmente, e senza mancare a verun impegno, lasciar cadere il negoziato relativo, tenendoci paghi di quanto abbiamo già precedentemente dichiarato.

Ciò posto, osservo innanzi tutto che la nota sarebbe diretta da noi all'AustriaUngheria, e non dall'Austria-Ungheria a noi; e che perciò l'espressione «dans la suite» non significherebbe adesione dell'Austria a nostre eventuali ulteriori occupazioni. Tuttavia, si può cercare un'espressione che non significhi né adesione dell'Austria a occupazioni nostre, né rinunzia nostra a compierne. Credo però che occorra insistere nel non nominare le singole isole, ma dire soltanto «isole dell'Egeo», perché se alcune, come disse Berchtold, non sono nell'Egeo, vien meno per quelle il diritto dell'Austria di chiedere la restituzione, pur essendo noi disposti a farla.

In ogni caso, non è assolutamente possibile che noi ci impegnamo a evacuare le isole prima che i soldati ed ufficiali turchi abbiano sgombrato la Libia. Se il Governo ottomano non darà loro in segreto l'ordine di disobbedire, essi obbediranno; e obbediranno tanto più facilmente se sapranno che il loro sgombro è condizione essenziale per la restituzione delle isole, anzi ciò potrà meglio giustificare agli occhi degli arabi e di tutto il mondo musulmano il loro ritiro. E il Governo ottomano darà l'ordine di obbedire se così vorranno le Grandi Potenze, le quali lo vorranno se noi teniamo in pegno le isole. Non è nostro interesse né desiderio tenerle un giorno

di più di quanto occorre per conseguire il nostro fine; ma sarebbe ingenuo privarcene prima di averlo conseguito. In pratica, al momento della attuazione, si potranno forse trovare vari modi di affrettare l'evacuazione, ma non è possibile impegnarci anticipatamente a compierla prima del ritiro degli ufficiali e soldati turchi dalla Libia. E nemmeno prima del riconoscimento da parte delle Potenze della nostra sovranità sulla Libia. La frase proposta da Berchtold «après le rétablissement des relations diplomatiques et commerciales entre l'ltalie et la Turquie» si potrebbe forse accettare in sostituzione di quella «aussitòt que la réalisation des conditions indiquées etc. etc.»; ma non esclude la necessità di subordinare l'evoluzione delle isole alla doppia esplicita condizione del ritiro dei turchi dalla Libia e del riconoscimento delle Grandi Potenze, anche per non lasciar credere che da noi si possa mai consentire alla pace ed al ristabilimento delle relazioni colla Turchia a condizioni incompatibili colla nostra sovranità sulla Libia.

Quanto al timore di Berchtold che possa bastare il rifiuto di una Potenza a riconoscere la detta sovranità per non restituire le isole, osservo: l) che, se il dubbio di tal rifiuto ci fosse realmente esso sarebbe un motivo di più per trattenere le isole sino a quando quella Potenza si fosse decisa a riconoscere, poiché il desiderio di veder restituite le isole alla Turchia potrebbe appunto essere un motivo per indurre la Potenza a non persistere nel rifiuto, tanto più che questa Potenza potrebbe spiegare alla Turchia che si decida al riconoscimento nello scopo di affrettare la restituzione delle isole; 2) che una volta che l'Austria, che tra tutte le Grandi Potenze è in questa guerra la più favorevole alla Turchia, avrà riconosciuto la nostra sovranità sulla Libia, non ve n'è alcuna altra che potrà rifiutarsi, anzi è probabile che qualcuna precederà l'Austria, visto che la Francia è legata con noi da una speciale convenzione, e la Russia sarebbe pronta a riconoscere anche subito se fosse certa di essere seguita almeno da un'altra Potenza. La frase «après le rétablissement, etc.» in pratica non avrebbe effetto diverso da quella «aussitòt que la réalisation des conditions etc.», perché noi non consentiremo mai a far cessare le ostilità e a ristabilire le nostre relazioni colla Turchia, se non abbiamo ottenuto il ritiro dei turchi dalla Libia ed il riconoscimento delle Potenze. Dunque, tutte queste discussioni sulla redazione della nota hanno poca portata pratica, e se noi teniamo tanto ad un'espressione piuttosto che ad un'altra, è soprattutto per sentimento di lealtà e di sincerità verso la Potenza alleata.

È per lo stesso motivo che crediamo dover mantenere le nostre obiezioni contro la frase proposta da Berchtold: «le statu quo ante sera rétabili» con quel che segue. È certo che non saremo noi a sollevare la questione dell'autonomia delle isole, ma la forma proposta da Berchtold sembrerebbe voler escludere anche le eventuali garanzie da darsi agli abitanti delle isole per impedire possibili rappresaglie turche, e per assicurar loro l'esercizio di quei diritti e quei privilegi che furono loro altra volta accordati dalla Turchia e che hanno sanzione internazionale. Ma non è meno probabile che tale questione venga sollevata da altri, e in primo luogo dagli abitanti stessi; e noi non possiamo impegnarci ad opporci all'Europa se questa vorrà, come sembra giusto e umano quelle garanzie, né possiamo obbligarci a costringere colla forza quegli abitanti a sottomettersi alla Turchia. Non è nostro desiderio né nostro interesse che sorgano tali questioni le quali certo non faciliterebbero la soluzione della questione di Libia ma nel redigere la nota bisogna tener conto delle possibilità che nostro malgrado sorgano.

La nostra obiezione, più che alla frase stessa dello «statu quo ante», si riferisce al senso che le dà Berchtold: la frase, presa alla lettera, significherebbe statu quo ante legale, e ci obbligherebbe quindi a richiedere i privilegi delle isole, mentre, secondo l'interpretazione di Berchtold, ci obbligherebbe a tutto l'opposto. Meglio quindi la locuzione più semplice da noi proposta, che permetta di vedere come si svolgeranno gli eventi, e non ci obbliga né in un senso né nell'altro.

La dichiarazione di indipendenza della Libia, che potrebbe fare la Turchia, è una soluzione meritevole di essere esaminata. Ove, dopo tale esame, essa risultasse un modo opportuno di risolvere il conflitto, si potrebbe poi studiare il tempo, le modalità e i particolari del ritiro delle truppe turche dalla Libia, e delle nostre dalle isole; ma, neanche in questa ipotesi non ci è possibile impegnarci a restituirle prima che i turchi abbiano sgombrato la Libia, e le Potenze riconosciutovi la nostra sovranità.

In caso poi di un accordo diretto fra noi e la Turchia, il timore di Berchtold mi pare infondato, perché è evidente che la restituzione delle isole sarà parte essenziale di tale accordo.

Sono sempre lieto quando vedo Mérey; ma mi sembra che, per evitare equivoci, le conversazioni su questo argomento debbano continuare ad avere un'unica sede: Vienna e non Roma. Nel dirgli francamente ciò, mi propongo del resto di soggiungergli che, anche nella discussione sulla redazione della nota, noi non possiamo perdere di vista quello che è il fine essenziale e supremo della nostra azione, cioè lo stabilimento della nostra sovranità sulla Libia2•

897 1 Cfr. n. 895.

898

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, POLLIO, AL MINISTERO DELLA GUERRA

FOGLIO RISERVATO 3954. Roma, 17 giugno 1912 (per. il 19).

Per doverosa informazione trasmetto all'E.V. l'annesso rapporto del colonnello Elia, con preghiera di comunicarlo, dopo presane visione, al ministro degli affari esteri1 .

Al riguardo si crede opportuno di rappresentare che la questione della frontiera tra l'Egitto e la Tripolitania ha formato da tempo oggetto di attento esame da parte di questo Comando, il quale negli anni 1906 e 1907 più specialmente ebbe un'attiva corrispondenza sull'argomento col Ministero degli esteri.

Per quanto riguarda l'oasi di Giarabub non vi ha dubbio che essa dovesse a suo tempo considerarsi come turca. Infatti il rapporto del signor Romolo Tritonj già vice console in Bengasi, in data 9 dicembre 1906, fa rilevare che lo stesso capo dei

898 1 Non annesso.

961 senussi, quando risiedeva in quell'oasi, provocò dal sultano un iradè di esenzione nei riguardi delle zauie, e si rivolse alle autorità ottomane per ottenere l'arresto di alcuni beduini, i quali, presso l'oasi avevano ucciso un ricco marocchino recato si a visitare lo sceik in Giarabub. -Ciò prova evidentemente che, non solo in diritto, ma anche in fatto la Turchia esercitava il dominio su quell'oasi.

Anche Marsa Bardiah era assolutamente fuori dalla zona d'influenza angloegiziana, e se contestazioni varie vi furono per Sollum, non ne sono mai sorte per Bardi ah.

In tutto il carteggio che è in questi archivi si trova sempre accennato che la linea di confine tra la Cirenaica e l'Egitto parte dal fondo del golfo di Sollum, e, ciò, che è molto importante, in tal modo si trova tracciata quella linea nelle varie carte, e persino in quelle che comprendono in territorio egiziano l'oasi di Giarabub.

Il Ministero degli esteri, più sopra citato, con foglio n. 21943 del 23 aprile 1907 dava al riguardo a questo Comando le seguenti assicurazioni:

«Il R. Governo già da tempo ha date istruzioni al r. agente diplomatico al Cairo, per trattare con lord Cromer la questione della frontiera tra la Cirenaica e l'Egitto sulle seguenti basi, che comunico in via del tutto confidenziale a V.E.

Il confine tra l'Egitto e la Cirenaica, partendo dalla punta che determina ad oriente2 il golfo di Sollum, si dirigerà all'intersezione del 30° parallelo col 23° di longitudine est di Parigi (25° 20' di Greenwich), seguirà poi il 23° meridiano fino all'incrocio della frontiera settentrionale del Darfur, avvertendo ad ogni modo che il gruppo delle oasi di Siwa dovrà esser lasciato in territorio egiziano, mentre quelli di Giarabub e di Kufra dovranno essere attribuiti al territorio tripolino».

Questa comunicazione dovrebbe pienamente rassicurare sull'assegnazione alla Libia italiana di Giarabub e Marsa Bardiah, se le istruzioni date al r. agente diplomatico al Cairo avessero portato a suo tempo a un accordo concreto con le autorità anglo-egiziane, ciò che questo Comando ignora.

Si fa infine osservare che la dichiarazione di blocco della costa libica, comunicata alle Potenze e riconosciuta, sia pure tacitamente, dopo la rettifica fatta nei riguardi di Sollum, assegna come confine orientale sulla costa il meridiano 25° 11' est di Greenwich, e Marsa Bardiah si trova invece a 25° 7' E.G., ossia evidentemente nella zona di blocco.

Questo comando stima essere suo stretto dovere di rappresentare a V.E. che il Ministero degli esteri dovrebbe cercare di risolvere a nostro vantaggio tale impor-. tante questione, inquantoché, oltre a una violazione di un diritto indiscutibile, un'occupazione straniera di Giarabub e Marsa Bardiah sarebbe molto dannosa nei riguardi politici e militari: di Giarabub perché è la culla del senussismo, ed uno dei pochi punti di traffico della Cirenaica coi sultana ti deli'Africa centrale, e di M arsa Bardiah, perché, potendo ospitare navi per quanto di modesto tonnellaggio e siluranti, rappresenterebbe una insidia per Tobruk.

897 2 Per il seguito cfr. n. 904.

898 2 Annotazione nell'interlinea «occidente».

899

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. l 081. Roma, 18 giugno 1912, ore 20.

Da fonte bene informata mi si assicura che il khedive abbia incarico dal Governo otto mano di far passi presso il Governo britannico per ottenere: l) qualche passo in favore della pace; 2) maggiore indulgenza verso il contrabbando di guerra in Egitto; 3) che l'oasi di Giarabub resti all'Egitto.

Sarà bene che V.E. non si mostri informata di ciò con alcuno, neanche col khedive, ma vigili e mi tenga al corrente.

Avverto per sua notizia personale che il khedive per quanto costretto a dissimulare ha tenuto verso di noi un contegno molto amichevole nella questione del Yemen e ci ha reso servizi. Per cui qualora V.S. venga a trovarsi a contatto di Sua Altezza sarà bene ella gli dimostri ogni cortesia sempre nei limiti opportuni onde non destare diffidenze presso codesto Governo.

900

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 353/90. Cettigne, 18 giugno 1912 (per. il 26).

È ora a mia conoscenza che nel lungo colloquio avuto dal re Nicola col conte Berchtold recentemente a Vienna non furono trattate, come si andava dicendo, questioni politiche di carattere segreto, e tali da portare eventualmente ad accordi contrari ai nostri attuali interessi nella penisola dei Balcani.

Il discorso si aggirò dapprima sul movimento insurrezionale albanese; a proposito del quale il ministro austro-ungarico degli affari esteri ebbe a fare a Sua Maestà le medesime raccomandazioni già fatte dalla Russia e da noi, vale a dire di astenersi da ogni partecipazione od incoraggiamento alla rivolta, ed, in genere, da qualsiasi atto che possa turbare e compromettere la pace. Ed il re ha risposto confermando quanto aveva detto e proclamato per lo innanzi in tante occasioni, in privato ed in pubblico, di essere, cioè, fermo più che mai nel proposito di conservare le migliori relazioni con la Turchia. Ha aggiunto di aver provato coi fatti anche ultimamente la saldezza di tale sua decisione, rifiutando appoggio materiale e morale alle tribù finitime al suo Regno, che, nel] 'intento di sollevarsi, con insistenza lo invocavano.

Poi si toccarono vari argomenti, come la vecchia questione della frontiera dalla parte dell'Erzegovina (ma senza venire ad alcuna conclusione) la grandissima utilità della strada in costruzione che fra non molto tempo metterà in comunicazione Niksié con Risano, e principalmente il comune vantaggio di stringere vie (sic) maggiormente i legami d'indole economica, finanziaria e culturale tra la Monarchia ed il Montenegro. A questo riguardo fu espresso il reciproco desiderio di addivenire possibilmente a qualche nuovo accordo atto ad agevolare la vita materiale della popolazione montenegrina, nonché dello Stato, ma non si fece menzione di alcun particolare negozio, e tanto meno si venne a qualche intesa.

Pare, finalmente, che il conte Berchtold abbia attirato l'attenzione del re Nicola sulla necessità di accordare una maggiore e più efficace protezione agli interessi commerciali austriaci in Montenegro, se si ha in animo di attivarne i traffici, tali interessi essendo non di rado trascurati od anche avversati dalle autorità reali, quando alla tutela di essi le dette autorità sono chiamate.

Parlando con me della magnificenza e della cordialità con cui fu accolto alla Corte viennese, il re mi disse di aver rilevato con vivo compiacimento la grande simpatia che vi gode il principe Danilo. Persino l 'arciduca ereditario Francesco Ferdinando, che ha riputazione di non essere punto espansivo nei suoi giudizi, avrebbe manifestato a Sua Maestà i propri sentimenti di stima e di amicizia particolare per il principe ereditario del Montenegro.

La mia impressione è che questa visita potrà forse servire a dare maggiore sviluppo ed importanza alle relazioni commerciali tra l'Austria-Ungheria ed il Montenegro, ma non varrà ad alterare menomamente la politica estera di esso, che ha per cardini i numerosi vincoli che lo legano alla Russia. Questi sono vincoli antichi, resi abituali e quasi naturali dal tempo, essenziali ancora oggi alla sua vita, non invisi, nè sospetti al popolo, il quale non ne teme pericolo di vera e propria soggezione. Talvolta, è vero, se ne deplora con risentimento la forma rude e molesta, ma è, in gran parte, colpa di qualche organo del Governo moscovita difettoso di tatto, ché non sempre i russi si rendono conto della estrema delicatezza dei rapporti fra il massimo ed il minimo dei membri della grande famiglia slava, né della convenienza di accarezzare, all'occorrenza, l'amor proprio del più debole.

Se non che gli organi governativi mutano, e possono con essi mutare certi procedimenti, correggersi certi errori. Ad ogni modo, malumori superficiali e passeggieri della Corte ed anche di una piccola parte del popolo montenegrino verso la Russia, sdegni fugaci originati da vere e supposte mancanze rl.i riguardo, facilmente riparabili, non bastano ad allontanare il giovine Regno dal suo potente protettore del nord, e non basteranno, finché sarà sul trono l'attuale sovrano, a dargli un'altra orientazione politica.

Debbo fare, però, una riserva. Il giorno in cui l'Austria-Ungheria proponesse al re Nicola di associarsi ad essa in una azione bellica, che assicurerebbe al Montenegro un ingrandimento territoriale, quel giorno sì che, volente o nolente la Russia, egli si metterebbe sotto le ali del vicino, senza riguardo alle conseguenze.

901

L'ADDETTO MILITARE AD ATENE, MARRO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Atene, 19 giugno 1912.

Non so se valga la pena che ella legga i due qui uniti rapporti; l'uno riflette le idee del barone de Wangenheim, ambasciatore germanico a Costantinopoli, l'altro riproduce la mia subordinata opinione sulle conseguenze dell'azione nell'Egeo.

Comunque sia a lei li invio in via confidenziale; ne terrà conto o no secondo del suo illuminato giudizio.

ALLEGATO I

L'ADDETTO MILITARE AD ATENE, MARRO, AL COMANDANTE IN SECONDA IL CORPO DI STATO MAGGIORE, BARATTIERI

fOGLIO RISERVATO 498/116. Atene, 9 giugno 1912.

Il barone Wangenheim, ambasciatore germanico a Costantinopoli, dopo una permanenza di pochi giorni in detta città, è qui tornato.

In un'amichevole e privata conversazione che mi concesse espresse le seguenti idee che segnalo; codesto Comando saprà dargli il peso che meritano: «Tutti gli uomini politici con cui io parlai a Costantipoli della guerra mi tennero un linguaggio più malinconico che spavaldo; sono però tutti d'accordo nell'affermare che né il Governo attuale né altro Governo è in condizioni di firmare una pace che significasse perdita della Libia perché il popolo si ribellerebbe alla sua azione pacifica.

La guerra è certamente dannosissima alla Turchia, ma in questo momento più dannosa sarebbe la capitolazione del Governo ottomano di fronte alle pretese italiane.

Più che terre, il Governo di Costantinopoli deve salvare, di fronte ai governati e specialmente di fronte agli arabi, il suo prestigio, perciò non potrà cedere che a conquista materiale, realmente avvenuta, della Libia o per lo meno a sottomissione, pure avvenuta, dei principali capi arabi alla dominazione italiana.

La situazione finanziaria della Turchia è certamente triste, ma a tutt'oggi non è ancora allarmante.

Il Governo di Berlino, strettamente neutrale nella guerra italo-turca, considera l'Italia libera nelle sue azioni guerresche, e di vero l'imperatore di Germania (come consiglio a uomini politici italiani) ebbe a dire «Tapez, tapez fort»; è però ne li'interesse stesso dell'Italia di agire con molta prudenza allo scopo di non dare occasione ai turchi di richiudere i Dardanelli.

Nessuna guerra più dell'attuale tocca da vicino l'interesse di molte Potenze europee, nessuna guerra quindi è altrettanto pericolosa per le conseguenze che potrebbe seco portare.

La condotta dell'Inghilterra è poco chiara; l'intervento inglese potrebbe mutare la faccia degli avvenimenti, mettere in pericolo interessi mondiali e specialmente germanici, quindi un senso di generale inquietudine regna nei vari Gabinetti.

Nessun uomo politico può prevedere gli avvenimenti, quindi tutti sono titubanti nell'azione e nel consiglio.

Se l'Italia potesse e volesse dare all'Europa assicurazione che in nessun caso attaccherebbe i Dardanelli, e quindi disarmasse i turchi dell'arma con cui minacciano l'Europa (chiusura dei Dardanelli), allora potrebbe considerarsi completamente libera in ogni sua azione nell'alto Egeo che in altri punti del litorale dell'Asia Minore.

Una forte azione offensiva militare italiana, una vittoria clamorosa, sarebbe certamente il miglior mezzo per convincere i turchi della necessità di trovar modo per finire il conflitto, ma ciò è quasi impossibile; in Libia gli italiani commetterebbero un gravissimo errore se si lasciassero attrarre nell'interno; stando al mare, e data la tattica araba, non si potranno avere azioni risolutive; uno sbarco d'italiani in Asia Minore è egualmente sconsigliabile, e quindi è esclusa la possibilità di uno di quei fatti d'armi che impongono ad uno dei belligeranti la pace.

La chiusura dei Dardanelli, come altre complicazioni che potrebbero sorgere e che non è possibile prevedere, probabilmente implicherebbero un intervento europeo e quindi imposizione di cessazione d'ostilità per parte dei neutri; ma se la Turchia deve temer un simile fatto, altrettanto deve temerlo l'Italia; nessuno può prevedere le decisioni che sarebbero prese da un consesso europeo.

I governanti di Berlino, la Germania (malgrado la voce discorde di qualche giornale) serbano fedeltà all'alleanza con l'Italia, desiderano vedere quest'alleanza sempre più rafforzata, e di conseguenza s'augurano che l'Italia esca gloriosa dalla prova a cui si è accinta, però gravi interessi finanziari impediscono a chiunque rappresenti il Governo tedesco di prendere una parte troppo attiva a favore della propria alleata.

Egli, ambasciatore a Costantinopoli, non potrà che limitarsi a dare consigli di prudenza, di calma ed a favorire tutto ciò che potrà ricondurre la pace.

In conclusione.

È sperabile che Marschall a Londra trovi, d'accordo con l'Inghilterra, un intesa che favorisca la cessazione delle ostilità, ma per ora io non veggo le basi su cui si potrebbero gettare i preliminari di pace.

Allo stato attuale non rimane che continuare la guerra; infatti i turchi accumulano gente ove temono attacchi, e, per parte dell'Italia: «taper-e taper-fort» se è possibile senza far sorgere complicazioni che sarebbero talmente gravi da far considerare la questione della Libia quasi nulla di fronte alle medesime».

Per parte mia mi sono limitato a considerare. Che qualsiasi guerra implica danno dei neutri e che nell'apprezzazione di questi danni vi è tendenza ad esagerare. Osservai, che in tesi generale, è ben difficile che un belligerante limiti da se stesso i mezzi di offesa tanto più che limitazione dei mezzi implica prolungamento della lotta che è più dannosa di qualsiasi azione violenta ma di breve durata; la guerra è la guerra ossia despotismo che, di tanto in tanto, il mondo deve subire. Aggiunsi che l'Italia s'augura la pace, ma della pace non ha bisogno; alla pace non è pronta a sacrificare nulla del suo patrimonio morale. Ho cercato di delineare nelle sue linee generali le condizioni ed i sentimenti del nostro paese nonché d'insistere sul dovere che hanno gli amici d'Italia a Costantinopoli di dipingere l'Italia nella sua potenza finanziaria e militare quale realmente è e non quale la credono i Giovani Turchi. Io non so se il barone di Wangenheim ha parlato la voce della verità ad ogni modo debbo dire che le sue parole erano semplici ed austere (colle caratteristiche del vero).

ALLEGATO II

L'ADDETTO MILITARE AD ATENE, MARRO, AL COMANDANTE IN SECONDA IL CORPO DI STATO MAGGIORE, BARATTIERI

fOGLIO RISERVATO 518/126. Atene, 18 giugno 1912.

Mai come oggi le previsioni ed i fatti assieme accordano. Si era previsto che l'azione nell'Egeo avrebbe avuto un'eco grandissimo in Turchia, ed i fatti lo confermano nel modo più evidente.

È solamente dopo la conquista di Rodi, solamente dopo Psitos, dopo la cattura di l 000 soldati ottomani, che i governanti cominciarono a temere la azione italiana, ed i governati a dubitare delle vittorie a loro imbandite dal Comitato Unione e progresso.

È dal giorno in cui noi nell'Egeo abbiamo fatto affermazione di forza che cominciarono a Costantinopoli ordini e contrordini di mobilitazione, concentramenti di truppe, invii affrettati di soldati e di munizioni a Dardanelli, a Xeros, a Scalanova a Smime.

In Libia sono ultimamente avvenuti gloriosi fatti militari di un importanza grandissima, fatti che sono certamente destinati a portare più tardi benefici effetti, ma i fatti militari neli'Egeo hanno la loro conseguenza a scadenza più prossima, quasi immediata.

La Libia è troppo distante da Costantinopoli, i morti arabi non si contano, i vivi non hanno voce, la menzogna che fino ad ora ha artificialmente mantenuto la guerra è possibile, nell'Egeo le cose sono ben diverse: la verità non subisce artificio di veli, è luce evidente, parte del popolo ottomano la scopre e finisce con trame tutte le conseguenze di cui è piena.

Il buon senso che in Turchia come altrove «è giudizio senza riflessione sentito da tutto un popolo» comincia a bisbigliare che Rodi ed altre isole dell'Egeo sono isole definitivamente perdute. La stessa legge sacra islamica riconosce valida la conquista di terre fatta col sangue, e ciò che la legge sacra ammette, il popolo ammette.

Tutto ciò ha creato e crea a Costantinopoli una speciale irritazione contro l'incapacità, l'impreparazione dei Governanti, irritazione le cui conseguenze è difficile misurare.

Compresi di questo fatto gli uomini di Governo si sono gettati nell'azione: fare, fare per tranquillare il pubblico, per convincerlo che si prevede e si provvede, quindi richiamo di classi, invio di truppe al Caucaso al Bosforo, ai Dardanelli, Xeros, Smime, Scalanova. Esista

o non esista la ragione di quanto viene fatto poco importa; chi comanda più che a considerazioni di indole militare, obbedisce a ragioni di indole politico interno.

A giorni si dirà che la preparazione ottomana, lo spettacolo dato di armi ed armati ha arrestato la Russia minacciante al Caucaso, ha arrestato l'Italia minacciante alle coste dell' Asia minore; il popolo nella sua boagine [sic] crederà ancora; la fiducia tornerà, la barcollante baracca governativa si manterrà in equilibrio, la Turchia come in passato in mezzo a mille difficoltà, malamente procederà, ma pure procederà continuando a suo cd a nostro danno nella guerra.

Attendere che la questione finanziaria si faccia talmente triste per l'Impero ottomano da forzarlo alla pace, sarebbe troppo lunga attesa; a condizioni più o meno onerose, con rinuncie più o meno decorose, la Turchia troverà sempre denaro per rimediare alla situazione del momento; i suoi creditori non l'abbandoneranno, sia per sete di guadagni sempre maggiori, che per tema di perdere il già acquistato.

La situazione in Albania se non ora, più tardi (ultimato il raccolto) potrà farsi più minacciosa, ma non provocherà catastrofe; la Turchia o con soldati, o con concessioni (non dico risolverà l'ardua questione albanese) ma vi metterà una toppa.

Io non so se vi sia da fare fidanza su ciò che potrebbero imporre le Potenze europee per definire un conflitto a tutti dannoso, so però essere opinione di uomini eminenti che anche nel caso più favorevole di intervento le Potenze europee aggiusterebbero le cose forse a danno della Turchia, certamente con poca soddisfazione dell'Italia ed a tutto vantaggio dei neutri.

Se tutto ciò è vero, e se ragioni di alta politica non lo impediscono, pare evidente alla generalità delle persone, con cui io sono a contatto o in comunicazione per debito di ufficio, il vantaggio che ha l'Italia oltre che a continuare nella sua splendida azione offensiva in Libia a proseguire nell'Egeo in quella via che ha già portato tanti frutti.

Altre vittorie, altre occupazioni nell'Egeo sono destinate o a convincere o a costernare i turchi. Nel primo caso cesseranno di delirare come ora delirano; ragioneranno; scenderanno a patti. Nel secondo caso non riusciranno a frenare la loro costernazione; nella costernazione troveranno l 'arma per suicidarsi.

902

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Roma, 21 giugno 1912.

Il generale Ameglio mi ha inviato un riservato rapporto sulla situazione politica nelle isole dell'Egeo da noi occupate 1 . Te lo rimetto qui unito, con preghiera di cortese restituzione, acciòcché tu possa prendeme cognizione e favorirmi su di esso il tuo parere2•

ALLEGATO

IL COMANDANTE DEL CORPO D'OCCUPAZIONE, AMEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI3

R. RISERVATO 485. Rodi, 12 giugno 1912.

Pochi giorno dopo l'occupazione di Rodi, avuto sentore che si voleva fra i greci dell'isola conquistata promuovere un movimento che avrebbe preso forma in un memoriale o petizione alle Potenze, esponendo in questo documento il desiderio di ottenere una forma di autonomia sotto il protettorato dell'Italia, sembrandomi quello pericoloso per i nostri interessi e contrario alle istruzioni ricevute sul funzionamento degli affari civili, ho creduto di arrestarlo.

n. 11602 del 20 giugno. 2 Annotazione di San Giuliano: «Bollati. Parmi si possa rispondere in conformità alle note considerazioni e ai nostri impegni».

3 Questo rapporto fu inviato per conoscenza al ministro della guerra e al capo di Stato Maggiore del!' esercito.

Prima di tutto era pericoloso, a mio giudizio chiamare le Potenze in causa, dare loro un elemento qualsiasi per intervenire, riconoscere loro un diritto nella situazione degli affari nostri, quando già esse per semplici pressioni ufficiose pesano così fortemente nello svolgersi della guerra.

ln secondo luogo, cominciare, in una forma definitiva, con una richiesta di protettorato significava -a mio avviso -non solo tagliarci fuori ogni possibilità di possesso su una o più isole, ma probabilmente abbandonare il protettorato stesso.

Certo, la sistemazione definita sarà inevitabilmente frutto di lunghe e difficili trattative, ed è evidente che per portare a fine con qualche utilità qualsiasi trattativa bisogna cominciare col pretendere il più per ottenere il meno in modo da assicurare un largo spazio di concessioni; per ottenere il protettorato, ho pensato, bisognava far credere alla più ferma intenzione di possesso dell'isola, e così ho fatto nei riguardi dell'isola di Rodi e successivamente, delle altre isole, non appena potei inviarvi dei distaccamenti di fanteria e carabinieri.

È vero che vi sono isole sulle quali -dati i diritti tradizionali di autonomia che esse godono -il protettorato è l 'unica forma di governo possibile, ma ve ne ha altre come Rodi -che furono considerate come possesso assoluto.

E, per ciò, nelle istruzioni date da questo Comando ai comandanti di distaccamento si ripeterono quelle superiori a me impartite sul funzionamento degli affari civili avvertendo che il regime delle isole minori non dovesse differire da quello di Rodi se non per i privilegi di cui esse godevano prima della nostra occupazione e che -giusta le mie istruzioni dal Governo Metropolitano -vanno rispettati.

Ora, essendosi riferito dal comandante del Distaccamento di Calimno che ivi, come in altre iso lette, la popolazione ritiene erroneamente di aver conseguito un 'autonomia con facoltà di aumentare, modificare o diminuire tributi e dazi doganali, ho disposto immediatamente che per le ragioni su accennate, venga al più presto chiarito l'errore poiché è inamissibile che popolazioni coperte dalla nostra bandiera diano prova di tale disinvoltura, ineggiando anche alla Grecia (come riferisce il comandante il Distaccamento di Calimno ), saltando a piè pari l'autorità locale.

Non è in loro diritto di modificare, con la migliore intenzione e in momenti così delicati, la situazione generale in favore di un panellenismo, che vorrebbe sfruttare a suo vantaggio le nostre vittorie.

È vero che esso è stato ed è in questo momento con noi, ma non devesi, a mio avviso, né gli si dovrà permettere di giungere a manifestazioni contrarie ai nostri interessi.

Per tanto senza punto accennare ad alcuna intenzione del Governo metropolitano sull'avvenire delle isole conquistate-ho pure disposto che le popolazioni delle isole occupate si astengano, meno quelle che precedentemente l'occupazione la godevano, da atti che implichino un 'autonomia qualsiasi restino, per ora, ben paghi della acquistata libertà e siano riconoscenti di sapersi amministrati dall'Italia.

In conclusione -pur non accennando mai a sovranità italiana nelle isole conquistate, come da istruzioni ricevute -ho creduto di parlare e di agire, e parlo ed agisco come se ritenessi il possesso definitivo, affinché alle trattative, che seguiranno la guerra, potremo al caso farci pagare la rinuncia al possesso.

Se convenga -come io ritengo -indirizzare anche l'opinione pubblica in questa direzione per mezzo della stampa, non è compito di questo Comando, noto soltanto che in questo senso ne accenna la Stampa di Torino del 29 maggio.

Se, come credo, la direttiva che si segue nel Governo delle isole è conforme a quella voluta dalla metropoli, prego darmene assicurazione.

902 1 Copia dello stesso rapporto venne inviata agli esteri anche dal ministro della guerra con lettera

903

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1154/634. Atene, 22 giugno 1912 (per. il 26).

La nota commissione degli Egeopelaghiti d'Atene e Pireo si è oggi recata due volte alla r. legazione e non avendomivi trovato ha deposto alla mia porta il memoriale preannunciatomi nella prima sua comunicazione (mio rapporto del 7 corrente,

n. 563)1• Trasmetto qui unito a V.E. il testo francese del memoriale suddetto, le cui conclusioni sono la domanda in velata forma dell'annessione delle isole alla Grecia ed in forma esplicita, per il caso in cui l'annessione non fosse possibile, la «completa indipendenza ed autonomia delle isole dell'arcipelago sotto la forma di una loro federazione». Quanto ai rapporti fra i privilegi delle isole e i diritti del patriarcato, di cui era vagamente fatto cenno nella prima comunicazione, non ne trovo più traccia in quella oggi direttami.

Il memoriale non ha il carattere di circolare di quello precedente e si rivolge esclusivamente all'Italia con un accenno nel principio alle dichiarazioni e alla condotta incoraggianti da parte dei Comandi italiani di terra e di mare.

I giornali, senza far commenti, pubblicano soltanto la notizia che questa seconda comunicazione è destinata alla legazione d'Italia e che forse più tardi essa verrà indirizzata anche agli altri rappresentanti delle Grandi Potenze in Atene.

ALLEGATO

LA COMMISSIONE DEGLI EGEOPELAGHITI D'ATENE E P I REO, AL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI

L. Atene. 22 giugno 1912.

Ainsi qu'elle a eu l'honneur de vous l'annoncer dans son premier mémoire, la nombreuse colonie d'insulaires irrédimés de l'Archipel établis à Athènes et au Pirée vous soumet aujord'hui un exposé sur !es privilèges et immunités dont jouissaient ab antiquo !es lles Egéennes. Mais, avant d'aller plus loin, interprète fidèle des sentiments et des voeux des populations de ces lles purement grecques, elle prie VE. de transmettre à S.M. le Roi VictorEmmanuel, continuateur des glorieuses traditions de la Maison de Savoie, au Gouvemement royal, qui maintient haut !es principes libéraux de l'Italie, leur reconnaissance profonde pour !es déclarations et la conduite de la flotte et de l'arrnée i tali enne lors de l'occupation et après l'occupation des ìles.

Ces déclarations, cette attitude, nous inspirent la conviction que nous devons dès à présent attirer l'attention et la sollicitude de l'Italie sur le sort qui sera fait aux ìles Egéennes après la cessation des hostilités, afin que, dans le traité de paix, une clause spéciale soit

inserite réglant conformément aux principes libéraux de l'ltalie et à l'équité de la chrétienne Europe, le régime futur des ìles.

Aux iles irrédimées de l' Archipel, exclusivement peuplées d'Hellènes depuis la plus haute antiquité, le conquérant avait reconnu de vastes privilèges; aux unes, camme la Dodécannèse et Chios, pleine autonomie administrative; aux autres l'autonomie municipale des communautés helléniques. Ces privilèges étaient si larges, si étendus, que sous la souveraineté nominale des sultans, l 'autonomie était complète.

A maintes reprises l 'Europe a proclamé la légalité du régime autonome des il es. Après la proclamation en 1876 de la Constitution ottomane, elle lui a au Congrès de Berlin donné une sanction solennelle. Par l'art. 23 du traité de Berlin, elle a forcé la Turquie à doter toutes ses provinces européennes de règlements analogues au règlement organique de 1868 de l 'ìle de Crète, c'est-à-dire au régime découlant du pacte de Halépa, qui fut pour la première fois appliqué dans la plus grande ìle du groupe égéen dont nous faisons nous-mèmes partie. Ces règlements toutefois devaient s'adapter aux besoins locaux. Et afin qu'il ne put s'y glisser la moindre disposition contraire à ces besoins et aux conditions ethniques de chaque province, l'art. 23 stipula que !es règlements seraient élaborés par des commissions spéciales, au sein desquelles l 'élément indigène se trouverait largement représenté, et que la Porte, à laquelle seraient soumis les projets d'organisation, ne pourrait promulguer les actes destinés à les mettre en vigueur sans prendre l'avis d'une commission européenne.

Cette clause impérative du traité de Berlin le Gouvemement Ottoman a réussi jusqu'à présent à l'éluder complètement. Les ìles de l'Egée elles-mèmes ont été abandonnées à une intolérable administration.

Cependant il y a un demi-siècle à peine, l'autonomie administrative que la Porte vient d'octroyer aux musulmans de I'Yémen et à certains districts de I'Albanie, existait encore, pour des raisons fort naturelles, dans toutes les communautés grecques de l'Empire ottoman, plus large dans les ìles de I'Egée, plus large encore dans les Sporades orientales. Ce n'est qu'en 1866 que commèncerent les réprésailles des tures contre !es ìles irrédimées de l'Archipel. Irrévocablement décidée à fermer les oreilles aux protestations des insulaires camme aux représentations des Puissances, de 1866 à 1868, la Porte appliqua rigoureusement la loi assimilatrice sur les vilayets. Elle restreignit considérablement leur autonomie, usa de mesures oppressives, et travailla de telle façon que depuis quatre ans, la situation dans les ìles est devenue absolument intenable.

Les molestations de toute sorte, la persécution systématique et incessante des insulaires, les impòts oppressifs, la tendance constante du Gouvemement à détruire sous pretexte d'appliquer l'égalité devant la loi, les demières traces du régime autonome ont engendré une telle situation que !es insulaires se trouvent devant ce dilemme: s 'expatrier ou se jeter à corps perdu dans une lutte désespérée.

Malgré tant d' épreuves, déférant aux conseils de la sagesse et continuant à espérer en l'équité des Puissances les ìles Egéennes se sont abstenues jusqu'ici d'imiter l'exemple d'autres provinces de l'Empire ottoman qu'affligeaient les mèmes maux. Elles n'ont pas troublé l'ordre des choses existants.

Depuis 1830 elles se tiennent sur l'expectative. Depuis la fin des guerres de l'Indépendance hellénique, auxquelles elles ont toutes participé, \es unes par les armes les autres en partageant volontairement les sacrifices et les souffrances, sans ètre autorisées par \es Puissances Protectrices à suivre dans la liberté les Cyclades et !es Sporades orientales.

Malheureusement, cette réserve des Egéens, évitant de troubler l' ordre de choses établi, a été mal interprétée par les Puissances; elle a eu des résultats funestes pour les ìles de l' Archipel. On l es jugea par défaut au Congres de Berlin. Aucune Puissance ne se souvint d'elles pas mème l'homodoxe Russie qui s'était trouvée vis-à-vis des iles Egéennes pendant la guerre de 1769-1774 contre la Turquie, dans une situation comparable à celle de l'Italie actuellement; pas mème la Grande Puissance orthodoxe dont la sollicitude pour les chreétiens lors de la conclusion du traité de Koutchouk-Kalnardji n'avait pu les garantir contre d'atroces représailles. La Russie a oublié à Berlin jusqu'au second memorandum

(Mémorandum sur !es réformes en Turquie en faveur des populations chrétiennes. A. Choroff. Les réformes et la protection d es chrétiens en Turquie 1904.p. l 04 Li br. Plon) qu 'elle avait adressé en A 1867 aux Puissances et où elle parlai t avec un intéret particulier d es privilèges et des souffrances d es ìles de l'Archipel. Le marquis de Salisbury se vi t forcé de retirer sa proposition qui était la seule mesure susceptible d'assurer réellement et sincèrement la paix de l'Europe.

Le silence des Egéens, leur patience sont !es causes de l'abandon où l'Europe !es a laissés. Alors que par l'art. 23 du traité de Berlin puis par !es accords de Muerzsteg et de Reval, elle a stipulé des conditions spéciales en faveur des chrétiens de la Turquie d'Europe qui avaient des représentants spéciaux pour exposer leurs désiderata, elle s'est abstenue de rendre justice aux insulaires de l'Egée, elle n'a pas mème pris quelques mesures pour rétablir et garantir le régime privilégié don t ils jouissaient jusqu 'en 1869.

C'est pourquoi, aujourd'hui !es ìles de l'Egée demandent hautement à ne plus etre jugées une seconde fois par défaut. Aussi bien la question des ìles est indépendante du statu quo balkanique. Au début des hostilités l'Italie et !es autres Puissances ont déclaré, en effet, à plusieurs reprises que seui ce statu quo devait rester en dehors de l'évolution de la guerre. Elles ne se sont pas prononcées au sujet de nos lles, car, administrativement, l'Archipel relève de l'Asie et non de l'Europe. Aussi, en excluant la Turquie d'Europe des champs des opérations militaires, suivant la doctrine de Gortchakof adoptée par le Congrès de Berlin, elles n'ont pu exclure l es ìles de l'Egée. Cela consti tue un arret préjudiciel en leur faveur. Et elles peuvent, sur la base de cette doctrine, soutenir que le théàtre de la guerre ayant été transporté dans l'Archipel elles sont autorisées à poser devant !es Puissances la question de leur sort futur en invoquant leur équité et leur bienveillance.

Indépendamment de l'époque où se termineront !es hostilités la Commission permanente des insulaires de l' Archipel, se basant avant tout sur !es séculaires et imprescriptibles droits de la race grecque sur les ìles de l'Egée, dont l'hellénisme remante aux premiers temps de l'histoire, expriment la commune et inébranlable volonté de tous les insulaires et s'appuyant sur les titre officiels et le self-govemment dont le maintien pendant des siècles est une preuve de plus du caractère hellénique des ìles, elle fait appel aux glorieuscs traditions de l'Italie socur valeureuse de la Grèce, à l'équité des autres Puissances européennes. Elle !es prie respectueusement de prendre en sérieuse considération les demandes suivantes.

Premièrement. La réparation, à la fin de la guerre et à la signature du traité qui la suivra du tort immense qui a été fait au ìles après Navarin quand leur fut imposée la séparation de la Grèce leur mère-patrie.

Secondement. Si cette demande est considéréc par !es les Puissances camme susceptible de compromettre la paix européennes, les Egéens se résigneront le coeur brisé à cette nouvelle injustice. Mais ils demanderont au moins quc l'ltalie et !es autres Puissances garantissent, par un actc intemational la complète indépendance et autonomie d es ìles de l' Archipel sous forme d'une fédération de ces ìles.

Les insulaires accepteraient volontiers une épreuve de nature à démontrer le bien fondé de leurs demandes. Ils seraient heureux si un plébiscite tranchait la question des ìles Egéennes. Car ce plébiscite constituerait la preuve éclatante que ces ìles appartiennent à l'Etat avec !eque!, depuis des milliers d'années elles sont unies par la communauté de langue, de religion, de moeurs, de coutumes, de civilisation, et par !es mèmes aspirations helléniques.

C'est le cri qui jaillit de nos coeurs devant la liberté amenée dans nos ìles par la gioire italienne. Pas mème camme une hypothèse, pas meme camme une èventualité invraisemblable !es Egéons n'admettent qu'ils puissent revenir sous le joug execré des tures.

Le souffle vivifiant de la liberté, qui est arrivé jusqu'à eux à travers les lauriers italiens, les a plongés dans l'ivresse. Il a pénétré si profondément dans leurs àmes qu'ils ne peuvent plus accepter de nouveau le martyre. En ces heures critiques où se joue leur avenir et leur existence, un sentiment unique emplit leurs coeur: la soif de la liberté. Et ce sentiment est si vif qu'ils puiseront en lui la force de retenir la liberté pour toujours. Devant une perspective aussi terrible que leur retour à l'esclavage les Egéens, ils le sentent, se révolteront unis dans leur décision qu'aucun conseil, aucune violence n'auront la force de modifier ils tendront leurs poitrines, préférant cette fois mourir dans la liberté que continuer à vivre dans l'esclavage.

Par votre interemédiaire, M. le Ministre, nous soumettons ces demandes au Gouvemement italien, convaincus que dans l'esprit d'équité et de bienveillance qui les distingue, il répondra à notre appel.

Sur ce nous prions V.E. d'agréer avec l'expression de notre gratitude celle de notre parfaite considération.

903 1 R. 1023/563, non pubblicato.

904

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1047/203. Vienna, 23 giugno 1912, ore l,45 (per. ore 3,15).

Telegramma di V.E. Gabinetto 1087, segreto'.

Ho rimesso oggi a Berchtold testo dichiarazione di cui telegramma suddetto. Berchtold mi ha detto che accettava in massima dichiarazione ma doveva fare alcune riserve circa vari punti di essa. Anzitutto gli sembrava che avendo noi soppresso dopo la frase del suo progetto «dont la souveraineté pleine et entière ecc.» conveniva precisare meglio di quale statu quo si trattasse perché l'espressione pura e semplice «statu quo» sarebbe stata troppo vaga. Ho osservato che frase a cui aveva alluso era stata soppressa perché se, da un lato, poteva parere inutile, potrebbe, dall'altro, non essere scevra di pericoli, potendosi con essa sollevare implicitamente le questioni: se dello statu quo facevano o non parte i privilegi accordati dalla Turchia alle popolazioni delle isole e se tali privilegi erano o non compatibili con la sovranità piena o

Il est également entendu que la présente déclaration sera considérée par le Gouvemement austrohongrois, ainsi que par le Gouvemement italien, comme strictement secrète et confidentielle; car, si elle était connue parla Turquie, elle n'atteindrait pas le but commun aux deux Puissances, qui est de hàter et de faciliter la paix"».

973 intera della Turchia; questioni che era desiderio comune nostro e dell'Austria di eliminare se possibile. Inoltre dovevamo evitare qualsiasi espressione che potesse essere interpretata come un obbligo per noi di opporci a qualche eventuale garanzia in favore dei privilegi delle isole e contro eventuali rappresaglie della Turchia. Tali garanzie avrebbero potuto impedire infatti che si sollevasse questione dell'autonomia che non era certo nostro interesse di far sorgere l'occupazione delle isole dovendo servire al solo scopo di risolvere la questione della Libia e a non complicarla colle altre. Al che Berchtold ha replicato che si avrebbe potuto sciogliere questione collo specificare l'espressione suddetta, aggiungendo alle parole «statu quo» le parole «territoriale e politico». Accennando poi alle frasi «après la évacuation de la Trypolitaine et de la Cyréna'ique ecc. et après que les Grandes Puissances aurent reconnu ecc.». Berchtold ha ricordato le obiezioni addotte contro tali frasi nei precedenti colloqui (mio telegramma Gabinetto 197 segreto )2 . Dal mio lato gli ho ripetuto le osservazioni già fattegli in quel colloquio e gli ho dichiarato in modo formale che noi non potevamo transigere assolutamente sopra le due condizioni suddette, alle quali tenevamo fosse subordinata restituzione delle isole, che non poteva essere subordinata soltanto alla condizione da lui proposta «après le rétablissement des relations ecc.». Del resto questa frase non escludeva quella duplice condizione, giacché noi non potevamo accettare di ristabilire le relazioni diplomatiche o commerciali con la Turchia che dopo che truppe ottomane avessero evacuato la Libia e che nostra sovranità piena e intera sopra tale regione fosse stata riconosciuta dalle Potenze. La sua formala, se non fosse stata seguita da tali due condizioni, avrebbe potuto essere interpretata nel senso che ristabilimento delle relazioni possa aver luogo anche a condizioni diverse da quello da noi irremovibilmente voluto, cioè nostra sovranità sulla Libia, e che ci si possa domandare di sgombrare le isole prima che sia raggiunto lo scopo per quale sono state occupate. Quanto al dubbio da lui manifestatomi di nuovo che una Potenza si fosse rifiutata di riconoscere nostra sovranità, esso avrebbe potuto far ritardare restituzione delle isole, doveva rilevare, che se tale dubbio potesse esistere realmente, ciò sarebbe una ragione di più per noi trattenere le isole fino a che quella Potenza si fosse decisa a riconoscere nostra sovranità, perché il desiderio di vedere restituite le isole alla Turchia sarebbe un motivo di più per la Potenza stessa a non persistere nel suo rifiuto. Del resto non poteva comprendere come potesse mettere un simile dubbio dal momento che ammetteva che una tale Potenza non avrebbe potuto essere né l'Austria-Ungheria, né la Germania, né la Russia e che riconosceva che Inghilterra e Francia non avrebbero potuto non seguire loro esempio se potenze suddette avessero riconosciuto nostra sovranità in Libia. Ma dal modo come mi parlava mi sembrava che egli dubitasse forse che noi avremmo [finito (?)P un giorno per cedere sul principio della nostra sovranità. Egli mi aveva però dichiarato in precedenti colloqui che comprendeva che non potevamo ormai recedere da tale principio. Io supponevo quindi che avesse modificato il suo avviso in questi ultimi tempi e non mi spiegavo

3 Integrazione e punto interrogativo del decifratore.

per quali ragioni ciò fosse avvenuto. Ma il conte Berchtold si è affrettato a dirmi che non poteva che confermare quanto mi aveva fatto già conoscere essere egli persuaso che noi non potevamo più recedere dal principio suddetto e non aver affatto modificato le sue idee al riguardo. Però non poteva convenire meco sulla necessità di inserire nella dichiarazione la duplice condizione a cui noi volevamo subordinare la risoluzione (sic) delle isole, cioè l'evacuazione delle truppe ottomane dalla Libia ed il riconoscimento della nostra sovranità da parte delle Potenze. Tale riconoscimento giuridicamente sembrava non avesse nulla a che fare colla cessazione delle ostilità né riguardava la Turchia, bensì era una questione che ci spettava di trattare direttamente colle Potenze dopo la soluzione del nostro conflitto. Ho fatto notare al conte Berchtold che a più riprese gli aveva dichiarato e non poteva non dichiarargli di nuovo in modo esplicito che noi non potevamo ad alcun costo cessare le ostilità che alla condizione dell'evacuazione delle truppe ottomane dalla Libia e del riconooscimeto della nostra sovranità da parte delle Potenze. Questi due punti essenziali erano per noi della massima importanza e non avremmo mai potuto ammettere che di essi non si fosse fatta menzione nella dichiarazione. Del resto tali punti non potevano essere da lui ignorati perché chiaramente rappresentati nella nota del 15 marzo4 alle Potenze e contro di essi, che costituivano le condizioni a cui dichiaravano di subordinare la cessazione delle ostilità, egli non aveva mai mosso obiezioni. E non scorgevo per quali ragioni si soffermasse ora discutere sopra i detti punti già acquisiti e che noi tenevamo in modo irremovibile a che fossero inseriti nella dichiarazione per sentimento anche di lealtà e sincerità verso nostri alleati. Nonostante però gli sforzi da me fatti per far comprendere al conte Berchtold il buon fondamento delle ragioni espostogli in una conversazione di un'ora e mezza, non mi è sembrato che egli ne sia stato convinto. Però Berchtold mi ha detto che avrebbe procurato di trovare una formola intesa ad eliminare gli inconvenienti risultanti per la restituzione delle isole dal rifiuto di una delle Potenze di riconoscere la nostra sovranità in Libia e me l'avrebbe comunicata domani o dopodomani. Ho prevenuto Berchtold che, se in tale formola egli non avesse tenuto in debito conto le considerazioni da me espostegli circa due condizioni a cui noi volevamo che la restituzione delle isole fosse subordinata e che erano contenute nella dichiarazione di V.E. dopo la formala da lui proposta, noi non avremmo potuto accettarla. Berchtold ha aggiunto infine che gli sembrava conveniente, per meglio determinare la frase «après l'évacuation de la Tripolitaine et de la Cyréna"iique des troupes et des officiers ottomans» di aggiungere alle parole «troupes et officiers ottomans» la parola «reguliers (?)5».

Così se alcune delle truppe e degli ufficiali ottomani, disobbedendo agli ordini della Sublime Porta, fossero rimasti in Libia, le ostilità avrebbero dovuto nonostante ciò essere considerate come cessate, quelle truppe ed ufficiali essendosi messi fuori della legge e non potendo quindi essere ritenuti come facenti più parte dello esercito regolare turco.

5 Il punto interrogativo è del decifratore.

Ho risposto mia opinione personale che non credeva che noi avremmo potuto accettare di cessare ostilià se una parte delle truppe e degli ufficiali turchi, disobbedendo al suo Governo, rimanesse in Libia per continuare la guerra contro noi. Ma che non avrei mancato di riferire a VE. quanto mi aveva detto a questo proposito6 .

904 1 Con. T. Gab. segreto 1087 del 20 giugno, di San Giuliano comunicava tra l'altro: «La dichiarazione sarebbe dunque definitivamente così concepita: "Il est entendu que, dans la pensée du Gouvemement italien, l'occupation d'ìles de Rhodes, Karpatos et Stampalia, ainsi que toute autre occupation d'ìles de la Mer Egee (Archipel) a un caractère purement provisoire; et que le statu-quo ante sera retabli par la restitution des ìles à la Sublime Porte, après le rétablissement des relations diplomatiques et commerciai es entre I'Italie et la Turquie, et par consequent, après l 'evacuation de la Tripolitaine et de la Cyrenalque de la part des troupes et des officiers ottomans, et après que !es grandes Puissances aurent reconnu l'état de choses crée dans ces deux Provinces par la Loi ltalienne du 27 febrier l 912.

904 2 Cfr. n. 895.

904 4 Cfr. n. 717.

905

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1885/815. Parigi, 25 giugno 1912 (per. il 28).

Ho l'onore di trasmettere qui unito a V.E. una copia di un memorandum, firmato dal segretario Chedo Mizatovich, ex diplomatico serbo, e fatto in collaborazione con alcuni membri della «Peace Society», contenente le linee generali di un progetto di pace tra la Turchia e l'Italia.

Sembra che sulle basi di tale progetto si stia preparando un movimento nella stampa inglese.

ALLEGATO

MEMORANDUM CONFIDENZIALE. Londra, 7 giugno 1912.

MEMORANDUM ON THE LINES ON WHICH PEACE BETWEEN TURKEY AND ITALY COULD BE MADE

There are only two modes of proceeding to reach peace between Italy and Turkey: Either -l. to move the Arabs to negotiate direct with Italy on a fair basis, and thereby to come without further fighting in practical possession of Tripolitania and Cyraneica; Or -2. to approach, at the same time and in the same spirit, both Turckey and Italy, expressing to them the eamest d es ire and hope of the Public Opinion in the United States and in England that they should at once stop hostilities and conclude peace, and showing them that the peace could be concluded on the tines satistying the honour and interests of both

parties equalty. The second one is the only possible alternative. lt would be wise and fair to complete it by approaching at the same time, and in the same spirit, also the Arabs in the person of their leader El-Senoussi.

There are certain facts wich ought not and cannot be forgotten:

l. ltaly must have Tripolitanea and the Cyraneica in full sovereignity;

904 " Per il seguito cfr. n. 912.

2. -The pride of Turks ought to be calmed down, if not absolutely satisfied; 3. -The Turks cannot accept compensation in money. It would look as if they had sold the Tripolitan Arabs to ltaly. But they can honourably make arrangements to secure the religion and nationality of the Arabs, and by these arrangements make Italy pay something.

* * *

I leave to our American and English friends to express the fervi d desire of the peoples of the United States and England to see peace concluded. I will only, in what follows, indicate the draft of an eventual treaty of peace.

Article the first and the only one: Filled with mutuai admiration for the bravery of the armies hitherto opposed to each other, and remembering the ancient and durable friendship between Turkey and Italy, and wishing to continue and develope such friendship, both contracting parties declare:

peace is re-established between the ottoman Empire and the kingdom of Italy.

* * *

Such wording and such limitation to only one single artide of the Treaty of Peace, would evade ali the difficulties raised by natura! susceptibilities of both sides. But in execution of that Treaty a "Protocol additionel" will be added to the Treaty of Peace, in which further details will be precised.

First «protocol additionel»

Art. l. In execution of the Treaty of Peace, happily concluded this day between the two high contracting Powers, they have agreed on the following arrangements, which will be considered as the integrai parts of the Treaty itself, namely:

A., The Turkish Army will withdraw from the Tripolitania and Cyraneica within a month from the day of the conclusion of peace, the Italian army and authorities facilitating in a friendly manner the departure of the Turkish Army under full military honours.

B., The Turkish Govemment will exercise its influence with the Arabs to facilitate peaceable occupation of the Tripolitania and Cyraneica by the Italian Authorities.

C., The Italian Govemment engages formally to the following acts:

a. -To give protection and security to the exercise of the Mahammedan faith; b. -T o give protection and security to the nationality of the Arab population, and with that object to allow the establishment and facilitate the keeping up of the Arab National Schools, with a special Arab Committee in the Department of Education. c. -To provide at once a foundation Capitai of Ten Million francs, the interest of which will be used for the payment of teachers of the Arab Schools and of the priests and other servants of the Arab Mosques. d. -To provide for the support of the widows and orphans of the Arabs, fallen on the battlefield; e. -To issue the arder that of ali festival days the Turkish flag is to be raised, simultaneiously with the Italian flag, on all the existing forts in Tripolitania and Cyraneica, and that the Arabs are allowed to use the Standard with the Crescent on ali their Mosques.

f Exercising full military, civil and politica! power in Tripolitania and Cyraneica, the Italian Govemment will cause the financial Department of these two Provinces to remit annually to the Ottoman Govemment a sum of 500,000 francs representing the present net contribution of those Provinces to the Imperia! Treasury 1 .

Article II: The Protocol additionel is to be ratified at the same time when the Treaty of Peace, of which it forms a constituent2 part, is ratified.

* * *

No w in this draft the annexation of the Tripolitania and Cyraneica is not mentioned, n or is mentioned the formai abandonment of Sultan's rights. The Turkish pride is effectively spared so that, I believe, the Turks could accept such a treaty. ltaly does not abandon anything, and practically becomes the Mistress of those two Countries. No reproach could be made to the Turks that they have sold the Arabs to ltaly; on the contrary, they will win the gratitude of the Arabs by3 securing for them practical advantages.

The payment of a4 very moderate contribution ?5 every year to the Turkish Treasury, would soothe the pride of the Turks, and help the young Turkish Govemment to «save their face». Of course yet one «Protocol Additionel» should be added, stipulating the retum of the islands, occupied by the ltalians, to Turkey within a reasonable time.

906

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1318/486. Il Cairo, 26 giugno 1912 1.

Con riferimento al telegramma del conte Grimani in data 15 corrente n. 74 di Gabinetto2 al quale venne risposto da S.E. il presidente del Consiglio, mi onoro di qui unita trasmettere all'E.V., copia della corrispondenza da me diretta a S.E. il cavaliere Giolitti, in merito all'argomento a margine indicato (rapporti 1304 del 24-6-1912 e 1316 del 26-6-1912)3 .

2 La stessa mano dell'annotazione precedente corregge costituent depennando tive.

3 La stessa mano aggiunge «by».

4 La stessa mano aggiunge «a».

5 La stessa mano aggiunge «?».

2 T. Gab. 1027/74, non pubblicato.

3 «Proposta di intervento nell'Eggiaz.». Per il seguito cfr. n. 931.

ALLEGATO I

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, T A COLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

R. 1304. Il Cairo, 26 giugno 1912.

Conformemente a quanto preannunziavo a VE. col mio telegramma n. 1299 in data di ieri, ho l'onore, col presente che le sarà recapitato a cura del R. Ministero della guerra, al quale -non essendo conveniente attendere la valigia diplomatica di giovedì -lo dirigo sotto uno degli indirizzi di convenzione, indicatomi dal colonnello Elia, di riferire circa la nota proposta di un nostro intervento nell'Heggiaz per appoggiare la eventuale rivolta delle tribù arabe di quella regione contro il Governo turco.

I ripetuti, lunghi e minuziosi colloqui che, unitamente col colonnello Elia, ho avuto con la persona da cui la proposta è partita, sono consegnati nella relazione qui annessa che, a scanso di doppio inutile lavoro, venne redatta di comune accordo dal colonnello Elia, col quale l'affiatamento è completo e la collaborazione costante. Quanto in essa è contenuto è frutto di continuo scambio di vedute fra lui e me e rispecchia fedelmente le condizioni che ci siamo venuti formando nel comune lavoro. Non ho creduto di poter riassumere in modo efficace in un telegramma il materiale che sottopongo all'esame ed alla decisone di VE.

Sono riuscito a persaudere Mohammed bey della necessità che il R. Governo venga informato del suo progetto in tutti i suoi dettagli, ottenendo che egli si trattenga ancora alcuni giorni in Cairo, per darmi tempo di valermi per la presente comunicazione della forma epistolare. Debbo però pregare VE. di volermi far conoscere le sue istruzioni in via telegrafica.

Come VE. rileverà dalla relazione qui annessa, una difficoltà che assurge in questo caso ad importanza primaria, è quella della deficienza di vie di comunicazione coli 'Heggiaz, una volta partito di qui Mohammed bey. In quest'ordine di idee, nell'attesa della risposta di VE., sto adoperandomi per stabilire, giovandomi dell'esperienza del comandante Spagna, un piano di azione di cui informerò, appena possibile, VE.

VE. giudicherà, qualora decida di entrare nella via proposta da Mohammed bey, se non sia conveniente, farvi attivamente concorrere il Governo dell'Eritrea, non essendo difficile che le nostre relazioni coll'Heggiaz trovino più facile via pel tramite di Massaua che per quello dell'Egitto ed essendo del pari, nel prosieguo dell'azione, solo possibile di procurarsi la quantità e la qualità del numerario di cui avremo bisogno, nella nostra Colonia. Del pari, quando fosse giunto il momento di aver nelle mani il figlio del cadi, potrebbe verosimilmente sembrare più consigliabile di ricoverarlo a Massaua, anziché correre il rischio di fargli traversare il Canale ed in tale ipotesi, tutte le trattative che dovrebbero passare per le sue mani, dovrebbero svolgersi in quella città.

Il conte Grimani che ha assistito all'avviamento di questa pratica, che la conosce personalmente quasi in ogni dettaglio, potrà, trovandosi a Roma, fornire all'E.V. tutti quegli schiarimenti che saranno del caso e dare un autorevole parere al riguardo.

ALLEGATO II

RELAZIONE DEL COLONNELLO ELIA

Il Cairo, 22 giugno 1912.

Verso la fine di aprile dell'anno corrente, il reggente consolare in Suez, cavalier Deperais, comunicava al conte Grimani che una persona, che aveva attinenze col partito Giovane Turco e che ora risiede in Arabia, avrebbe desiderato conferire con lui per materia di altissima importanza e si sarebbe qui recato, ove il nostro rappresentante fosse stato disposto a riceverlo. Il conte Grimani annuì senz'altro: e, il giorno quindici corrente, con molte precauzioni per non essere veduto, la persona in questione si presentò alla r. agenzia. Ecco il riassunto di quanto egli ci disse (al conte Grimani, al marchese Tacoli che attualmente lo sostituisce ed a me) nei tre abboccamenti che abbiamo avuto con lui.

È un uomo sulla quarantina, di bell'aspetto militare, vestito all'europea; parla abbastanza bene il francese, ha l'aria intelligente e l'apparenza meno falsa di quanto abbiano generalmente questi intermediari. Dice chiamarsi Mohammed bey, esser nativo di Scutari di Albania. Apparteneva alla guardia albanese del sultano Abdul Hamid; quando questi fu detronizzato, egli venne retrocesso dal grado che aveva di dimbasci a quello di yusbasci. Officiato ad entrare nel partito Giovane Turco, aderì. Per motivi che non ha precisato, lasciò il servizio militare e circa sei mesi fa fu mandato a Yambo4 ., come impiegato a quell'ufficio di Sanità Marittima. lvi venne a contatto coll'elemento arabo delle città e di tribù dell'interno e si persuase della grande avversione loro al dominio turco e dell'unanime loro desiderio di essere essi i padroni a casa loro (aspirazioni analoghe a quelle di sceick Idrissi e dei suoi, di imam Yahia e dei suoi). Egli, e come albanese e come uomo disgustato del regime e dei procedimenti dei Giovani Turchi, deliberò di servire la loro causa: sia per creare fastidi ai turchi e facilitare così -indirettamente, il trionfo della causa albanese: sia per la speranza di migliorare la sua posizione, essendogli stato promesso dai capi tribù ed essenzialmente dal cadi, di cui dirò in appresso -che, una volta riusciti gli arabi nel loro intento, gli darebbero l'incarico di trattare i loro affari con l'estero. Un paio di mesi fa il Mohammed bey conobbe il comandante Spagna, italiano, imbarcato sopra uno dei battelli della Compagnia kediviale che fanno il servizio del Mar Rosso e si aprì con lui. Lo Spagna -che credo sia stato un tempo nella r. marina-parlò della cosa all'agente consolare di Suez, il qual mise, come ho detto, l 'albanese in rapporto con la r. agenzia.

Tutto quanto precede, lo sappiamo soltanto pel racconto di Mohammed bey, confermato -per la parte che lo riguarda -dal comandante Spagna, che fu appositamente qui chiamato.

Mohammed bey espone che, non appena seppe che il conte Grimani consentiva a riceverlo, chiese un congedo di due mesi e partì da Yambo, per via di terra, con una piccola carovana di veloci dromedarii e scorta dei suoi amici arabi. Dopo tre giorni di marcia forzata in direzione generale del nord, valicato l'aspro monte di Gebel Bust (quattro ore di salita e tre di discesa) pervenne ad una fertile conca, con acqua abbondante, dove era a campo Dahil -ul -el Cadi, uomo sulla sessantina, capo venerato da tutte le tribù deli'Heggiaz, la cui influenza si estende anche molto addentro nel Negid. La tribù alla quale appartiene el Cadi è quella dei Naza: quelle qui sotto enumerate gli sono però ligie ed obbedienti.

Ecco la lista delle tribù e dei loro capi e dei fucili di cui dispongono:

Tribù:

el Naza -Dipende direttamente da Dahil-ul-el-Cadi. -Dispone di 3,000 Martini.

Saiaida -Dipende dal figlio del cadi, che si chiama Ibn-Dahil-el-Cadi. Ha 15,000 Martini con abbondanti cartucce. Rifàa -Sceick Hussein-ben-Abl-Hassan. -8,000 Martini. Filuan -Sceick Feneirisch. -5,000 Martini. Hauebisch -La metà di questa tribù è per il cadi, l'altra metà gli è avversa. -6,000 Martini.

Arewa-Sceick El-Buschai Tani-5,000 Martini.

Marawil-Sceick Mussaed Walad Onin. 5,500 Martini. (Hanno diritto di pascolo fino ai confini del Negid) Posseggono inoltre 6,500 fucili di vecchio modello.

Achniadi-Sceick Salam-ibn-Rachid (della stessa famiglia di Ibn Rachid, ma avversa a lui). -6,000 Martini.

Faidi -Sceick El Buresi Aneva. -6,000 Martini.

Zanaida -Sceick Hamid El Zaidi (Yemenita. Questa tribù che ha parecchi sottocapi è venuta via dallo Yemen perché non voleva sottostare all'Ymam Yahia. 8,000 Martini. Banikal -Capo ? 500 vecchi fucili, 6,500 !ance. Barrahama -Sceick El Ayari Hassan, chiamato anche El Ayazi. È la tribù più potente e

la più temuta dal Governo; Ha più volte interrotta la ferrovia di Medina. 15,000 Mauser e Martini. Possiede anche molti revolvers. Il complesso di queste 12 tribù darebbe il formidabile totale di quasi 100,00 guerrieri con 90,000 fucili, nella massima parte Martini.

Al campo di Buat vi erano col cadi parecchie migliaia di uomini.

Il Cadi conferì lungamente con Mohammed bey. Gli disse voler egli riunire le popolazioni dell 'Heggiaz sotto un solo capo, preludendo questo alla costituzione di un Impero arabo definitivamente libero dai turchi: che egli coi suoi romperebbe in aperta ribellione contro il Governo ottomano e chiamerebbe a sé tutte le tribù, ma che avrebbe bisogno dell'aiuto dell'Italia per fornirgli delle armi, sopratutto delle munizioni e anche qualche cannone (egli avrebbe gente capace di servirsi dell'artiglieria: anche degli antichi allievi della Scuola di Pancaldo) vorrebbe anche del denaro, ma più tardi: specialmente per assicurarsi il concorso dei Barrahma. Ove il nostro Governo entrasse nell'ordine di idee di fornire questi aiuti onde fomentare anche nell'Heggiaz occidentale e settentrionale quelle difficoltà che i turchi esperimentano ora alla frontiera meridionale dell'Heggiaz coll'Assyr per l'azione di Sceick Idrissi, il procedimento che proporrebbe Mohammed bey sarebbe questo.

Egli partirebbe prossimamente, (cioè non appena avuta risposta da noi) per mare alla volta della Palestina; prenderebbe la ferrovia a Haifa fino alla stazione di Buat (che, dalle indicazioni datemi dista circa 90 kilometri a nord da Medina), donde rifarebbe (per recarsi a Yambo), il cammino-in senso inverso-percorso due mesi fa, rivisitando il cadi e gli altri capi influenti di tribù ed assicurandoli del nostro concorso.

Come prova tangibile delle nostre intenzioni «come entrata in materia», porterebbe qualche dono di non grande valore al cadi ad ai capi tribù.

Eccone la lista:

Per il cadi e per lo sceick dei Barrahma: Per ciascuno di essi una grande tenda un gran tappeto da preghiera, un mantello ornato, una sciabola decorata, una sella. Per le loro donne: Ornamenti pel capo, anelli da naso, orecchini, braccialetti. Per gli altri sceicks (8 in tutto), per ciascuno di essi: Un tappeto da preghiera di media grandezza, un mantello, una sciabola più semplice di quelle di sopra.

Per le donne analoghi ma meno ricchi ornamenti di quelli di cui sopra.

La spesa complessiva sarebbe di circa franchi 20 -25,00 per ora. Mohammed bey vorrebbe anche portare una somma, dice lui, non rilevante, ma che sarebbe sempre di circa 50,000 talleri al cadi, per lo sceick dei Barrahma. Persuase le tribù del nostro appoggio, non appena esse si sollevassero, egli verrebbe a Yambo insieme con un figlio del cadi: e con questo si imbarcherebbe su un battello della Kediviale per una destinazione qualunque. Il battello, che dovrebbe essere preventivamente combinato, sarebbe fermato fuori di Yambo da una nostra nave, la quale arresterebbe il figlio del cadi e Mohammed bey, portandoli poi a Massawa o ad un porto della Libia o in Italia, per poter addivenire, con Ibn-Dahil-el-Cadi, ad accordi definitivi intorno alle modalità ed alle entità dello sbarco delle armi e munizioni, al nostro concorso in denaro e all'eventuale aiuto che le rr. navi potrebbero dare all'azione degli arabi. Per quanto Mohammed bey ritiene, un punto di sbarco con fondali sufficienti e libero da contrasto per parte dei turchi, lo si troverebbe poco a sud di El-Weg (circa 300 chilometri a nord di Yambo ). Il figlio del cadi resterebbe con noi, oltreché per servire di tramite per gli accordi, anche come ostaggio, in prova della buona fede del padre. Una circostanza che Mohammed bey ci aveva taciuto nel primo colloquio e che ci disse ieri l'altro, è questa: che fra El Cadi, lo sceick dei Barrahma e certi capi di zauie senussite di Tripolitania correrebbero dei rapporti. Il Mohammed stesso avrebbe veduto due capi zauia tripolini imbarcarsi a Yambo reduci da colloqui avuti con capi tribù deli'Heggiaz. L'idea ultima di Dahil-ula-el-Cadi, espressagli previ i più solenni giuramenti, sarebbe, dice Mohamed bey, questa che, riuscendo impossibile agli arabi in Tripolitania d'impedire agli italiani d'impadronirsi del paese, buon numero di zauie senussite, abbandonato il pensiero di fondare un dominio arabo in Africa, passerebbero nel! 'Heggiaz, a sostenere i loro correligionari nell'insurrezione per liberarsi dei turchi. «Così», proseguiva Mohammed, «scoppiando una insurrezione, da voi aiutata, nell'Heggiaz, voi vedreste scomparirvi dinanzi le osti arabe che vi fronteggiano e che vi ostacoleranno ancora, per molti anni, la conquista del paese».

* * *

Abbiamo meditato e discusso parecchio, il conte Grimani, il marchese Tacoli (che lo sostituisce ora) ed io, intorno alle proposte sviluppateci dal Mohammed bey: il sunto delle quali fu, il 15 corrente, telegrafato al Ministero degli esteri. Le conclusioni alle quali sembra potersi addivenire, sono le seguenti:

l) Non abbiamo nessuna conoscenza di Mohammed bey (che potrebbe benissimo chiamarsi con qualunque altro nome, non essere albanese ed avere inventato tutta la sua storia. La conoscenza che ne ha il comandante Spagna è delle più sommarie; gli consta però che egli occupa funzioni di ufficiale di Sanità nel porto di Yambo.

2) È presumibile che tale impiego gli sia stato dato dal Comitato Unione e Progresso per mascherare un 'altra sua vera missione, cioè quella di sorvegliare le autorità ottomane di Yambo. È un metodo frequentemente adottato dai Giovani Turchi.

3) È anche ammissibile che la sua versione del suo odio pel partito Giovane Turco -al quale dovette accostarsi per ragioni personali, sia sincera (nell'ultimo colloquio Mohammed bei disse di appartenere ad un gruppo di persone che vorrebbero rovesciare l'attuale Governo e rimettere Abdul Hamid sul trono); e così la sua intenzione di servire le tribù de li'Heggiaz per scuoterne il giogo.

4) Non è certo da escludersi che egli, come tutti gli intermediarii, cerchi il profitto proprio, pecuniario, immediato e nell'avvenire. Però l'esser egli realmente stabilito a Yambo, l 'aver cercato di ottenere un colloquio col nostro rappresentante, l'aver compiuto un viaggio per terra, lungo, disagiato, non scevro di pericoli, sono circostanze che sembrano dare verosimiglianza al suo racconto: i regali che egli chiede pei capi, onde invogliarli a cominciare l'azione, rappresentano un certo valore, ma non sembrano tanto cospicui, né tanto facilmente negoziabili da indurre un avventuriero a partirsi da Yambo, architettando per due mesi tutto un romanzo, per venire ad estorceli, certo con dei rischi, all'agenzia d'Italia in Cairo.

5) Il Mohammed bey non si è mai contraddetto, né ha mai cercato di diminuire le difficoltà pratiche all'attuazione del suo progetto che gli abbiamo affacciate: difficoltà consistenti essenzialmente nella mancanza di legami, di organi di trasmissione fra noi e le tribù, fra noi e Yambo, una volta che egli sia partito. Il non averci egli già presentato un qualche «compare» quale potrebbe essersi procurato dal commissariato ottomano fa presumere che egli sia veramente qui ad insaputa e di nascosto dal Governo turco.

6) L'azione delle tribù in genere e la compartecipazione dei senussi di Libia al loro movimento, sono alquanto nebulose. È noto però che fra le tribù dell'Heggiaz e le zauie senussite dell'Africa settentrionale esistono rapporti. Zavil e marabuts senussiti esistono nell 'Heggiaz e n eli' Assyr, dove vivono venerati degli sceick che vantano discendenza diretta dal primo capo sensussi. Mohamrned bey ha ancora accennato ad una eventuale nuova insurrezione dei drusi dell'Hauran (quelli che già si ribellarono due anni fa) e promise di metterei in rapporto con un notabile di Kerak, il quale deve prossimamente venire al Cairo e che sarebbe quello che dovrebbe mettersi alla testa di questo movimento.

Non abbiamo qui alcuna persona abile e fidata che conosca quei paesi e che sia in grado di illuminarci intorno all'attendibilità dei dati e delle circostanze esposte da Mohammed bey. Son quelle, regioni non percorse da europei, neppure in tempi normali e colle quali la r. agenzia non ha mai avuto quelle relazioni che potrebbero procurarci ora qualche notizia.

Il non essere le tribù enumerateci da Mohammed bey partigiane dell'Idrissi, sembrerebbe, a prima vista, un argomento bastante a farci scartare la combinazione proposta; per non accrescere difficoltà a quel capo, da noi aiutato e che ora lavora di conserva con noi. Ma uno sguardo alla carta toglie la maggior parte del valore a questa riflessione. Infatti l'azione delle tribù dell'Heggiaz si svolgerebbe a nord della Mecca, sulla linea Yambo-Medina, ad ovest della ferrovia ed anche ad est, colla partecipazione di tribù del Negid ad esse affini -mentre l'attività di Idrissi è nell' Assyr, donde le sue forze insidiano la M ecc a. Una distanza di 3 a 400 chilometri almeno separa i due teatri di operazione. Le forze ottomane della Mecca e gli armati dello sceriffo fronteggiati a sud da Idrissi, sarebbero attaccati alle spalle e si vedrebbero le loro comunicazioni col nord tagliate dall'insurrezione di Dahil-ul-el-Cadi. Se anche i due capi insorti non sono d'accordo, poco importa, purché entrambi insidino il comune nemico, loro e nostro. Il creare in questo momento un nuovo focolare di insurrezione in Arabia, il minacciare fortemente la ferrovia -specie in quest'epoca in cui si avvicina il pellegrinaggio della Mecca -il portare un nuovo e grave colpo all'autorità del sultano, in quei paesi appunto dai quali come califfo egli trae la somma del suo prestigio religioso, paiono tali risultati da consigliare di non lasciar cadere le proposte che ci vengono fatte, anche se chi ce le formula è persona a noi ignota o quasi. Noi corriamo, è vero, il rischio di perdere i denari od i doni che si consegnerebbero, senza garanzia, a questa persona, ma è una delle alee della nostra presente situazione. Non siamo attrezzati con una rete di emissari e di informazioni procurate da un lungo e paziente lavoro del tempo di pace e che tanto ci servirebbero ora. Quegli stessi nostri pochissimi organi di informazione che abbiamo qui, non sono pienamente attendibili: delle regioni arabe del! 'Heggiaz non sanno nulla. Se quindi non vogliamo precluderei la possibilità di creare ai nostri nemici nuove e forse gravi complicazioni, credo non sia da trascurare di imbarcarci, con prudenza, in questa combinazione -mettere in moto la cosa, assicurando per ora le tribù che siamo disposti ad aiutarle, mandando per il momento i soli doni, riservandoci di spedire armi e denaro quando il figlio del cadi, sarà da noi -vedere allora come si mettono le cose. Tutto questo non ci può compromettere con l'Idrissi -tanto più che possiamo sempre limitare i nostri aiuti alle tribù, in modo da non renderle troppo munite. Al più arrischiamo a fondo perduto quella ventina di migliaia di franchi che ci costerà l'invio dei doni per mezzo di Mohammed bey.

In questo senso il marchese Tacoli si esprime col R. Ministero degli affari esteri.

* * *

Le notizie dateci sul paese da Mohammed bey sono piuttosto vaghe e le cifre alle quali ha accennato (gli armati delle tribù sovraccennate come i presidi turchi di cui dirò appresso) mi paiono un po' forti.

Dice che vi sono due battaglioni a Yambo, un presidio a El-Weg, 20,000 soldati turchi alla Mecca, altrettanti a Medina, dove la città viene guarnita da fortificazioni, altri 20 o 30 mila uomini sulla linea ferroviaria. Tutte le stazioni a sud di Medyn Salih, sono messe in assetto difensivo e presidiate, non vi è più nessun europeo in servizio della ferrovia a sud della detta stazione. A nord di essa invece fa servizio anche personale europeo. Le stazioni hanno piccoli distaccamenti, ma non sono preparate a difesa.

Lo sceriffo della Mecca, benché sostenuto dai turchi contro Idrissi, non nutrirebbe sentimenti turcofili. Le tribù percorse da Mohammed Bey sono -a quanto egli afferma -ignoranti ed isolate dal modo, ma intelligenti e guerriere. Hanno rapporti con qualche

mercante arabo di Yambo, che potrebbe fornire, mediante tratte solo qualche migliaio di talleri di Maria Teresa: la moneta che ha nel paese maggior corso. Lire sterline, lire turche e banconote turche vi sono accettate, ma con perdita.

Ho omesso di segnalare due circostanze: la prima che, secondo Mohamed bey, la poca amicizia che corre fra le tribù del! 'Heggiaz ed Idrissi non è da attribuirsi a divergenza di vedute per quanto riflette i turchi -da tutti ugualmente odiati -bensì dal fatto che Idrissi non è da quelle deli'Heggiaz considerato come avente alcun diritto ad aspirare al Califfato, né a supremazia religiosa, non essendo egli di famiglia Koreiscita, come lo sono invece parecchi de!l'Heggiaz.

L'altra, che non pare vi possa essere timore che le tribù deli'Heggiaz, una volta da noi aiutate, vadano ad ingrossare le file deli'Ymam Yahia, essendo questi di rito zeidita, profondamente diviso dal rito praticato nel! 'Heggiaz e ne li'Assir.

ALLEGATO III

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, T A COLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

R. 1316. Il Cairo, 26 giugno 1912.

Faccio seguito al mio rapporto n. 1299 del 23 decorso.

Ieri sera Mohammed bey è venuto nuovamente all'agenzia e, insieme col colonnello Elia, ho avuto con lui un nuovo colloquio. Il motivo precipuo della sua visita era il desiderio di farmi conoscere ciò che nei precedenti colloqui aveva dimenticato di esporre o su cui non aveva sufficentemente insistito, cioè che il cadi richiederebbe insistentemente, ad azione

iniziata, che il R. Governo lo fornisca di cannoni, che egli chiede in numero di dodici, a tiro rapido. Richiesto se gli costasse che il cadi potesse disporre di persone di quantità e qualità sufficiente per il maneggio di tanto e di delicato materiale -Mohammed bey rispose affermando che il cadi conta fra le sue file non pochi ufficiali di cultura militare moderna e perfettamente atti a formare un corpo di artiglieria. Obiettammo immediatamente, il colonnello Elia ed io circa l'ingente richiesta; Mohammed bey lasciò comprendere essere questo un massimo di richiesta che si potrebbe poi a suo tempo dibattere.

Sorse allora da parte nostra spontanea la richesta del come si possa far pervenire questo materiale, come tutto l'altro in genere, al cadi. Mohammed bey disse conoscere una località un poco al sud di El Weg, con ottimi fondali dove sarebbe facile alle nostre navi l'approccio e lo sbarco. Le armi verrebbero rimesse alle due tribù degli El Neza e dei Saisida che dipendono direttamente dal cadi e dal figlio di lui. Venne allora spontaneo di chiedere come avrebbe distribuito ed impiegato le armi il cadi, una volta che queste si trovassero presso di lui. Mohammed bey ci disse che le avrebbe distribuite fra i suoi seguaci ad eccezione dei Barrahma. Stretto di domande da noi, egli dichiarò che il cadi non è per il momento ancora sicuro di poter trascinare i Barrahma. Questi, che sono la più potente , la più bellicosa e la meglio armata delle tribù che ho nel primo rapporto enumerato, si mantengono tuttora in attitudine riservata. Il cadi attribuisce grandissima importanza all'atteggiamento futuro dei Barrahma, non essendo da escludere che i turchi per trascinarli dalla loro parte, largheggino in concessioni di ogni sorta. È perciò che nella lista dei doni che si dovrebbero inviare subito neli'Heggiaz, il capo dei Barrahma è trattato sempre di pari col cadi, mentre gli altri capi ricevono un trattamento più modesto. Per l'avvenire ancora, il cadi dice che converrà largheggiare di denaro coi Barrahma, mentre per me e per le tribù di cui è sicuro, si accontenterebbe di derrate e di munizioni.

L'importanza dei Barrahma si accresce ulteriormente per una altra circostanza. Mohammed bey ci affermò già che è generale il malcontento fra i Drusi dell 'Hauran. Egli stesso sarebbe in relazione, qui in Cairo, con un personaggio influente di Kerak che egli si propone di farci conoscere. (Ad insaputa di Mohammed bey o per altra via, lo stesso sceick El Atrasch, già prigioniero politico a Rodi e quindi liberato da noi nemico irreconciliabile dei turchi -ha chiesto di abboccarsi meco e lo vedrò una di queste sere). Ora i drusi, a quanto pare, non sarebbero alieni dal gettarsi essi stessi in aperta ribellione contro i turchi, contemporaneamente e parallelamente alle tribù dell'Heggiaz. Al dire di Mohammed bey, le stesse loro divergenze religiose non dovrebbero frapporre ostacolo ad una azione concorde. I Barrahma, però, che sono finitimi dei drusi, nelle rispettive zone di pascolo nel Negid, non nutrirebbero, però buoni sentimenti e sembrebbero anzi animati da rancore. Onde sempre maggiore l'importanza la necessità anzi, di guadagnare i Barrahma alla causa comune.

In altro ordine di idee, Mohammed bey ci informò di aver incontrato ed essersi abboccato in questi giorni con un inviato del cadi che si recherebbe presso il Senussi. Si sarebbe, a quanto pare, mantenuto in grande riserva circa la propria missione, ma il fatto stesso starebbe a provare l'esistenza di rapporti fra il Senussi e le tribù dell'Heggiaz. Mohammed bey insiste nella sua versione che il Senussi stesso o almeno un suo prossimo parente, intenda trapiantarsi nell'Heggiaz e lottarvi coi turchi. Infine Mohammed bey, cui non abbiamo mai nascosto la grande importanza che, segnatamente nel prossimo futuro, assume per il buon esito dell'impresa l'assicurarsi sicure e sollecite comunicazioni, ci disse aver appurato che mercanti di Yambo seguaci del cadi, mantengono rapporti intimi con mercanti di Massaua e che confida, tornato a Yambo, di poter stabilire un buon servizio di comunicazioni per quella trafila. Nell'attesa, ci concerteremo intanto con il comandante Spagna per assicurare le relazioni fra qui e Mohammed bey, ritornato nell'Heggiaz.

905 1 Annotazione marginale (di Tittoni?): «?».

906 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

906 4 Sta per Yembo.

907

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1319/487. Il Cairo, 26 giugno 1912 (per. il 3 luglio).

Pochi giorni fa è qm giunta una grande carovana proveniente da Kufra. I componenti di essi viaggiarono di conserva fino a Siwa, donde una parte venne qui direttamente mentre l'altra vi giunse obliquando per Farafra e Fayum. Scopo del viaggio è quello di esitare avorio e penne di struzzo che, causa la guerra, non possono già prendere la via di Bengasi. Essi sono latori dell'importante notizia che lo sceick el Senussi non si è mosso da Cufra. Egli spedì, è vero, alcuni suoi bagagli a Giarabub -circa una ventina di cammelli -ma non si mosse. A Giarabub attendono ancora i regali di Enver bey.

Ma la notizia stessa, che si è qui sparsa come una traccia di polvere, è, non dirò confermata, ma in modo favorevolissimo per noi, integrata, da una speciale missione, giunta qui insieme colla carovana, latrice di lettere dello stesso sceick el Senussi. Il dottor Insabato, che ne ha già riferito per suo conto telegraficamente a Roma,

985 m'informa infatti che emissari speciali del Gran Senussi hanno portato tre lettere, una diretta a Mohammed Ali Elui, le altre due da essere recapitate a Sua Maestà ed a

S.E. Giolitti. Il contenuto, benché chiuse, ne sarebbe noto. Il Senussi dichiara riconoscere la occupazione italiana della Cirenaica e della Tripolitania ed augura che l'Italia possa fare per quelle regioni ciò che i turchi non hanno saputo né voluto. Assicura aver mandato ordine a tutti i capi tribù da lui dipendenti perché cessino immediatamente dalle ostilità contro di noi. Questo, ripeto, mi è affermato dal dottor Insabato. I messi partiranno prossimamente per Roma col dottor Insabato e col Mohammed Elui.

Nel frattempo sono partiti alla volta di Giarabub i messi incaricati di consegnare al Senussi le lettere di S.A. il Kedive e dello sceick Idrissi, i noti, cioé, Ismail Ali (o Kahil), Saied Mustafa e Saied Manum. Alla loro partenza pare non fosse ancora certa la novella che il Senussi è rimasto a Kufra. Essi si espressero dicendo che se non trovassero il Senussi a Giarabub tornerebbero indietro non sentendosi di affrontare la traversata di Giarabub Kufra nella stagione estiva. L'avvicinarsi del Ramadan offrirà loro un nuovo destro di desistere dal viaggio.

Questa circostanza è da considerarsi da noi piuttosto come favorevole che come contraria. Sembra infatti che all'infuori della consegna delle lettere, la cui utilità appare ora singolarmente diminuita, essi fossero incaricati di una missione segreta del kedive, diretta ad indurre lo sceick Senussi a invocare l'alta sovranità dell'Egitto, inalberando la bandiera egiziana. Anche questa notizia, punto inverosimile del resto, mi viene fornita dal dottor Insabato. Essa è singolarmente convalidata da quelle che mi vengono da altre fonti, cioè che non appena messo piede in Cairo, i senussiti vennero immediatamente circondati di spie, attorniati da consiglieri e che si lavora attivissimamente per far propaganda presso di loro in favore di un riconoscimento più o meno lato della sovranità dell'Egitto. Specialmente zelante sarebbe il noto Abdallag Kahal, mercante di qui, venduto ai francesi ed agli inglesi, il quale starebbe raccogliendo ogni prova o indizio che fra l'Egitto Giarabub e Kufra siano esistiti in passato rapporti. Tale propaganda, quantunque i sentimenti del Senussi -la cui volontà è sola legge -appaiono oggidì a noi assai favorevoli, è nondimeno pericolosissima ai nostri interessi e convien far voti che le condizioni di fatto create dalla guerra scompaiano al più presto e che le carovane senussite riprendendo la consueta via di Bengasi, vengano sottratte alla sollecitazioni ed agli inviti di qui.

908

IL CONSOLE GENERALE MAISSA A HÙSEYIN HILMI PASCIÀ

L. RISERVATA. Roma, 26 giugno 1912.

Je suis arrivé ici samedi dernier après un très bon voyage. Je me suis arrèté quelques jours à Bukarest et à Sinaia; la Roumanie m'a fait l'impression d'un pays en plein progrès. A Budapest je me suis séparé de mon fils qui allait à Zurich, et je suis venu à Rome par la vie de Fiume-Ancona. J'ai été favorisé par la mer la plus calme, et la traversée, qui s'accomplit en une nuit, a été excellente; mais les petits bateaux qui font ce trajet laissent beau-coup à désirer.

J'ai été reçu dès mon arrivée par le marquis de San Giuliano, et je lui ai fait part des salutations dont vous aviez bien voulu me charger pour lui; il y a été trèssensible, et m'a chargé de vous dire qu'il garde aussi de son còté le meilleur souvenir personnel de v otre rencontre de l'été demier.

Dans différents entretiens que j'ai eu ici la conversation s'est naturellement portée sur la guerre et sur l'état d'esprit que j'avais laissé à Constantinople. J'ai dit que je ne pouvais exprimer que mon opinion personnelle car, depuis que la guerre avait éclaté, je n'avais eu ni avec Votre Altesse ni avec d'autres hommes d'Etat ottomans aucune conversation au sujet de Tripoli; que, autant que j'avais pu comprendre, !es tures étaient sous l'impression qu'on voulait leur imposer des conditions de paix déshonorantes, et que j'avais laissé à Constantinople la mème attittude résolue que je trouvais ici. On m'a fait remarquer alors que l'idée d'humilier la Turquie était tout-à-fait étrangère au Gouvemement du roi. Le souvenir de Tunis, !es changementes qui venaient de se produire au Maroc avaient obligé l'Italie à s'affirmer comme Puissance Méditerraéenne; on avait du réfléchir que la Turquie, manquant d'une flotte puissante, ne pouvait pas contribuer à assurer l'équilibre de la Méditerranée, et on s'était vu forcés à agir pour que cet équilibre ne put ètre modifié encore une fois à notre détriment.

Ce sont les causes principales de la guerre actuelle; elles n'empèchent pas qu'on ait conscience de la communauté d'intérèts qui nous unit en dehors de l'Afrique, et qui fai t desirer jusqu 'à présent une solution de la cri se permettant à la Turquie d' en sortir à so n honneur et sans affaiblissement de ses forces pour se dédier entièrement à la défense de ces intérèts. J'ai exprimé l'avis que la prolongation des hostilitès n'était pas conforme a cet intérèt commun des deux Etats, car elle pouvait faire surgir une situation dont les tiers seraient les seuls à profiter, et qu'une entente directe entre !es deux belligérants était la mieux indiquée pour parer à ce danger.

Ces entretiens m'ont laissé l'impression que, si on jugeait a Constantinople qu'un échange de vues confidentiel entre les deux Gouvemements pourrait ètre utile, o n serait ici disposé à s 'y prèter, et que toute communication du Gouvemement ottoman serait examinée avec le vif désir de concilier autant qu'il est possible le prestige du Khalifat avec nos intérèts et avec les engagements que le Gouvemement et le Parlement ont contractés envers le Pays. Le secret le plus absolu serait gardé sur ces pourparlers; inutile de vous dire que je serais heureux de donner mon concours à cette oeuvre d'apaisement.

Je resterai pour le moment à Rome; j'y attendrai que ma fille ait quitté Salonique pour la rejoindre. Si vous avez la bonté de me donner de vos nouvelles, je vous prie de m'adresser vos lettres à l'Hòtel Royal, Rome.

909

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 1125. Roma, 27 giugno 1912, ore 20,45.

Barrère oggi mi ha detto che crede che il Governo ottomano gradirebbe oggi una specie di pressione delle Potenze per indurla alla pace, in modo di potere giustificare l'abbandono della Libia agli occhi delle popolazioni, alle quali ha fatto credere tante vittorie turche.

Io ho risposto che tale è pure la mia opinione e che in attesa che sia possibile mettere d'accordo in questo senso l'Europa, intanto potrebbero gli ambasciatori a Costantinopoli tenere un linguaggio, almeno in via privata diverso da quello tenuto finora, che ha incoraggiato i turchi alla resistenza.

Barrère ha riconosciuto che ciò sarebbe desiderabile ed utile, e mi ha anche detto che Bompard tiene tale linguaggio, ma che in genere i diplomatici residenti a Costantinopoli sentono molto l'influenza dell'ambiente.

910

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. UFF. COLONIALE 5532. Roma, 28 giugno 1912, ore 13,15.

Nostra nave crociera presso Gizan mi notifica che presso Loheja ha avuto luogo combattimento tra turchi e seguaci dello sceicco Idriss con vittoria di questi. Turchi battuti hanno lasciato nelle mani sceicco circa cento prigionieri.

911

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, Dl SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA 439. Roma, 28 giugno 1912.

Mi è noto, al momento del nostro sbarco a Tripoli, furono rinvenuti varii documenti, di argomento sia militare che politico, formanti parte della corrispondenza fra le autorità locali turche e quella centrale a Costantinopoli.

Tra essi si trova un rapporto del muscir, che rispondeva ad istruzioni, ricevute da Costantinopoli, di armare le tribù.

In esso il muscir avrebbe affermato che temeva più gli arabi che un esercito straniero. Siccome interesserebbe assai a questo Ministero di conoscere esattamente il contenuto del rapporto in questione, ti sarei molto grato di volermelo comunicare 1•

912

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1077/2091. Vienna, 2 9 giugno 1912 2.

Telegramma di VE Gabinetto 1103, 1110 e 1122 segreti3 .

Mi sono espresso oggi col conte Berchtold nel senso delle istruzioni di VE. e nel valermi delle considerazioni contenute nei telegrammi suddetti gli ho esposto le ragioni per le quali non potevamo accettare l'aggiunta delle parole «politico e territoriale» alle parole «statu quo ante» e della parola «regolari» e «in attività» alla parola «soldati» ed «ufficiali ottomani», nè rinunziare per l'evacuazione delle isole alla condizione del riconoscimento da parte delle Grandi Potenze della nostra sovranità sulla Libia. Circa quest'ultimo punto ho tenuto al conte Berchtold un linguaggio identico a quello che sottoposi all'approvazione di VE. col mio telegramma Gabinetto 205, segreto4 . Per ciò che riguarda la prima delle aggiunte suddette, Berchtold mi ha detto che le informazioni che aveva non concordavano con quelle del R. Governo, perchè i privilegi accordati alle isole col firman 1835 erano aboliti da una legge detta «dei Vilayets» del 1859 per cui non si poteva affermare che quei privilegi vi funzionassero ora regolarmente. Non poteva d'altra parte consentire che alle parole «statu que ante» fosse aggiungo il solo aggettivo «territoriale», tale parola senza la parola «politico» potendo dare adito in avvenire a sollevare la questione dell'autonomia delle isole. Ho osservato che avevamo proposto tale aggiunta per uniformarci scrupolosamente alla locuzione adoperata nello articolo VII del trattato di alleanza, che dice «statu quo territoriale» e non mi sembrava che egli potesse domandarci di assumere obblighi maggiori di quelli derivanti dall'articolo suddetto, che era la sola base di diritto su cui si poteva fondare per chiederci una dichiarazione verbale o scritta. Ed egli doveva convincersi che noi non avessimo nè desiderio nè interesse, come gli avevo dichiarato, a sollevare la questione dell'autonomia delle isole, che non avrebbe potuto non complicare la soluzione del conflitto presente. Ma egli doveva pur comprendere come noi non

2 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

3 T. Gab. segreto Il 03 del 24 giugno, T. Gab. segreto Ili O del 25 giugno e T. Gab. segreto 1122 del 27 giugno, non pubblicati.

4 T. Gab. segreto 1053/205 del 24 giugno, non pubblicato.

989 potevamo obbligarci sino da oggi a prendere posizione in qualunque evento, o in qualunque ipotesi, contro qualsiasi proposta diretta a far rispettare i privilegi non aboliti mai in diritto e ad evitare che quelle popolazioni, in punizione di essersi mostrate benevole verso di noi, venissero sottoposte dai turchi a crudeli rappresaglie, che avrebbe potuto avere per naturale conseguenza di far sorgere appunto quella questione che egli desiderava evitare.

Ma Berchtold ha soggiunto che non dubitava affatto che noi non avessimo desiderio o interesse [di sollevareP la questione dell'autonomia delle isole. Egli doveva però premunirsi contro qualsiasi cosa che avesse potuto farla sorgere indipendentemente da noi e contrariamente alla nostra volontà e non poteva quindi consentire a che fosse soppressa la parola «politico» dopo le parole «statu quo territoriale».

Quanto all'aggiunta della parola «regolari» alla parola «soldati» e della parola «in attività» a quella «ufficiali ottomani», Berchtold mi ha detto che non poteva neppure consentire alla soppressione di quella aggiunta per le ragioni espostemi nel precedente colloquio. Con tale aggiunta egli non aveva avuto altro scopo che precisare meglio la situazione delle truppe ottomane che disobbedendo agli ordini del proprio governo, fossero rimaste in Libia. La loro presenza in detta regione non avrebbe potuto essere in tal caso un motivo per ritardare la restituzione delle isole, quelle truppe non potendo essere ritenute come facenti ancora parte dell'esercito ottomano. Ho fatto notare al conte Berchtold che non avremmo certo potuto evacuare le isole prima che le truppe ottomane avessero sgombrato la Libia pel solo fatto che la loro eventuale disobbedienza le avessero rese irregolari, perchè tale disobbedienza avrebbe potuto essere concordata col Governo ottomano. Come gli avevo dichiarato a più riprese noi non avevamo nè interesse nè desiderio di rimanere nelle isole più di quanto fosse stato necessario per conseguire nostro fine in Libia, perchè il continuare nostre occupazioni oltre il necessario avrebbe potuto procurarci molti fastidi e nessun vantaggio. Ma non potevamo impegnarci anticipatamente e in fin d'ora a sgombrare le isole prima del momento in cui tale sgombro fosse compatibile col conseguimento del fine, in vista del quale avevamo occupato le isole. Se avessimo acettata sua aggiunta, avremmo potuto cadere facilmente in un tranello della Turchia. Per cui noi credevamo che la formula dovesse rimanere tal quale era nel nostro progetto. Ciò non escludeva però che, in via di fatto il ritiro delle nostre truppe dalle isole avesse potuto forse precedere quello di una parte delle truppe turche dalla Libia, qualora risultasse che le cose procedevano in buona fede da parte del Governo ottomano e che non ci potessero derivare nè inconvenienti nè pericoli per lo scopo pel quale abbiamo occupato le isole. Nonostante le considerazioni suddette, Berchtold ha persistito nel suo parere e mi ha dichiarato che era dolente di non poter convenire su quanto avevagli esposto. Circa poi al riconoscimento della nostra sovranità in Libia, Berchtold, nel rispondere alle osservazioni da me espostegli contro la soppressione di quelle condizioni ha rilevato che se era bensì vero che la dichiarazione relativa all'impegno per la restituzione delle isole era

diretta dall'Italia all'Austria-Ungheria e non da quest'ultima all'Italia, egli, però, doveva prendeme atto, ma, se quelle condizioni fossero state contenute nella dichiarazione, non avrebbe potuto certo farlo senza mancare ai doveri di neutralità. Ha contestato poi di aver violato [questi doveri] 5 coll'opporsi alle nostre ulteriori occupazioni di isole nell'Egeo. Per contro sarebbe venuto meno a tali doveri se non si fosse opposto a quelle occupazioni, perchè avrebbe mancato alle stipulazioni del trattato Triplice Alleanza che era la base della nostra politica orientale. Per cui non poteva convenire con me neppure sopra tale punto nè consentire quindi alla inserzione nella disposizione della condizione relativa al riconoscimento nostra sovranità in Libia. A questo proposito Berchtold mi ha detto che, quantunque avesse serbato massimo segreto su nostra conversazione confidenziale relativa alle occupazioni sudette era stato oltremodo sorpreso di quanto aveva pubblicato il Temps circa l'argomento e supponeva che ciò fosse da attribuirsi a qualche indiscrezione della nostra diplomazia. Ho replicato che noi non potevamo essere responsabili delle pubblicazioni che avvenivano in giornali esteri e doveva dichiarargli che dal nostro Jato avevamo serbato lo stesso segreto che egli asseriva aver mantenuto Berchtold ha rilevato inoltre che noi credevamo si potesse ammettere che condizione del riconoscimento della nostra sovranità in Libia dovesse essere considerata come implicita quando io gli aveva parlato dell'impegno che noi assumevamo di restituire le isole dopo la cessazione ostilità. Ho osservato che egli non poteva ignorare condizione suddetta quando effettivamente lo aveva intrattenuto dell'impegno di cui si tratta perchè fin dal 25 marzo colla nostra nota notificata non solo a lui ma a tutte le Grandi Potenze avevamo dichiarato formalmente che cessazione delle ostilità doveva avere anzitutto per base il riconoscimento della nostra sovranità sulla Libia da parte delle Potenze stesse. Ho accennato infine in via amichevole e del tutto personale alla soluzione di cui nel telgramma di V.E. Gabinetto 1113 segreto6 secondo la quale la restituzione delle isole potrebbe essere subordinata al riconoscimento della nostra sovranità sulla Libia da parte dell'Austria-Ungheria e Germania nostre alleate invece del riconoscimento di tutte le Potenze. Ma Berchtold ha rilevato che non avrebbe potuto annuire a una tale condizione per stesse ragioni già addottemi perchè avrebbe con ciò violato i doveri di neutralità. Berchotld mi ha detto infine che, di fronte a difficoltà di poter concordare una formula relativa alla restituzione delle isole, gli sembrava più conveniente nell'interesse comune di non redigere alcuna dichiarazione ma di attenersi alla dichiarazione verbale fatta in nome dell'E.V. nel colloquio del 15 aprile (mio telegramma gabinetto 103 segreto)1 secondo la quale la restituzione delle isole sarebbe subordinata alla cessazione delle ostilità. A tale riguardo Berchtold ha osservato che questa dichiarazione era stata fatta in previsione della occupazione da parte nostra delle isole di Rodi, Scarpanto e Stampalia e che essa non poteva quindi che riflettere queste isole stesse, ma che noi avevamo di poi occupate altre isole di cui non ricordava il nome. Riferendosi alla dichiarazione che io gli aveva fatta in seguito a tali occupazioni nel colloquio del 22 marzo 8 (mio telegramma Gabinetto

7 Cfr. n. 773, nota l.

~ Recte maggio.

150, segreto )9 Berchtold ha aggiunto che o ve noi non restituissimo alla Turchia dopo la cessazione delle ostilità le isole in questione egli non potrebbe che riservarsi il diritto a compensi di cui mi aveva fatto menzione in quel colloquio. Già fin dal principio del nostro colloquio, che si è svolto in forma del tutto amichevole, io mi era accorto, da alcune parole sfuggite a Berchtold, che egli non era più disposto come prima a concordare con noi la dichiarazione in discorso. È da supporsi forse che egli sia venuto in tale determinazione in seguito colloquio avuto dalla E.V. con Mérey sugli argomenti suddetti e di cui il ministro imperiale e reale mi aveva detto avergli questi già telegrafato la sostanza10 .

911 1 Per la risposta cfr. n. 976.

912 1 Questo telegramma fu protocollato una seconda volta con il numero 1080.

912 5 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

912 6 T. Gab. segreto urgente 1113 del 26 giugno, non pubblicato.

913

IL PRIMO SEGRETARIO GARBASSO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 497/245. Costantinopoli, 29 giugno 1912 (per. il 4 luglio).

La rivolta albanese, il movimento degli ufficiali del Corpo d'Armata di Monastir costituiti in lega patriottica, la indocilità della Camera che, dato il modo con cui vennero fatte le elezioni, ha stupito il Comitato ed i gravissimi imbarazzi finanziari hanno dato credito alle insistenti voci di una crisi ministeriale.

Per quanto si tratti di mali cronici, non vi ha dubbio che essi siano la conseguenza diretta della guerra e soprattutto delle nostre operazioni nel Mar Egeo. L'imbarazzo finanziario è causato in gran parte dagli enormi preparativi militari fatti per parare un attacco italiano sul continente e per sedare la rivolta albanese. Questa, il movimento degli ufficiali del VI Corpo d'Armata ed in generale il malessere del Paese ed il malcontento contro il Comitato sono stati favoriti ed affrettati dalla nostra guerra e specialmente dalla nostra azione navale, che hanno screditato il Comitato ed il Partito Unione e Progresso cui oggi si possono rimproverare le stesse colpe che all'antico regime per avere compromessa -colla cieca ostinazione l'integrità dell'Impero. Il malcontento poi è pure vivissimo per l'estensione del servizio militare obbligatorio e per i progettati aumenti fiscali, specialmente sul temettù e sul sale, che sono impopolarissimi. Si è fatto credere dal Comitato qui, durante la campagna elettorale, che le truppe italiane erano continuamente battute, decimate dalle malattie, che l'evacuazione da parte nostra dei vilayet africani era imminente e che mai le Potenze avrebbero permesso all'Italia di estendere le operazioni nel Mar Egeo. Invece le vittorie di Zanzur e di Lebda, per quanto diminuite e travisate, ed i nostri successi nell'Egeo hanno mostrato alle popolazioni quale fon

10 Al riguardo cfr. anche OeUA, vol IV, n. 3596.

damento avessero i comunicati ufficiali del Governo sull'andamento della guerra e sugli ostacoli da parte dell'Europa alla nostra azione navale.

Occupata Rodi, unico sforzo del Governo e del Comitato fu di mostrare che la permanenza dell'Italia nel Mar Egeo non era che temporanea e che due potenze-la Francia e l'Inghilterra -avrebbero impedito un nostro stabilimento definitivo in quel mare.

Ho riferito a VE. le dichiarazioni di Mahmoud Chevket pascià al rappresentante di una Grande Potenza sui pretesi affidamenti dati da questo ambasciatore d'Inghilterra sul ritorno delle isole-a cose finite -all'antico regime. Ho motivo di credere che quel rappresentante fosse il marchese Pallavicini, perché egli dichiarò ad alcuni colleghi che, negli ultimi giorni, i Giovani Turchi erano nuovamente divenuti intransigenti. Non mi è possibile dire fino a qual punto le dichiarazioni Mahmoud Chevket rispondono alla verità, è però vero che da alcuni giorni la stampa esprime minor inquietudine sulla sorte delle isole; essa del resto, come ho già più volte riferito, ha sempre avuto la tendenza, e così pure il Governo, a considerare l'Inghilterra come un'amica che all'ultimo momento salverà il prestigio dell'Impero ottomano.

Ho pure riferito che mentre Assim bey si mostra tranquillo sulla sorte delle isole, il gran vizir teme ugualmente che un cambiamento nello statu quo ante dell'Arcipelago si verifichi sotto la forma per esempio di un governatore cristiano. Può essere che l'espressione di Mahmoud Checket pascià, già riferita, che cioè gli affidamenti inglesi sono subordinati al regolamento di alcune questioni tra i due Paesi, alluda anche alla condizione dell'istituzione di quel governatore. Sta pure il fatto che sir Gerard Lowther espresse la meraviglia che il Governo turco si mostri ora più intransigente, mentre dovrebbe essere più conciliante, aggiungendo che sovente i turchi col male interpretare aumentano le loro pretese. Credo che l 'interlocutore di sir Gerard fosse il marchese Pallavicini. Si dice qui che se quei affidamenti furono dati, come sembra vero, per quanto subordinati a delle condizioni che si ignorano e non definitivi, essi furono male interpretati dalla Sublime Porta e considerati come un incoraggiamento alla resistenza all'Italia, mentre sarebbero stati un suggerimento a desistere onde non correre pericoli più gravi.

E oltre di crisi si è pure parlato di pace. Il commendatore Volpi ha raccolto qui delle interessanti confessioni da parte di uomini autorizzati od influenti. Ho poi saputo che l'ex-gran vizir Kiamil pascià è pure guadagnato all'idea dell'autonomia dei vilayet africani, come base per i negoziati di pace.

In questa tendenza pacifista però sonvi due considerazioni da fare: la prima è che non esiste alcun uomo politico che abbia tale autorità da imporre la pace, anche se convinto che, per l'interesse superiore della Turchia, è necessario por fine alla guerra. Il solo uomo che avrebbe tale autorità e tale energia è Kiamil pascià; ma egli è troppo malvisto dal Comitato per poter ritornare col potere e d'altra parte non lo permetterebbe che alla condizione di governare senza di esso, il che condurrebbe ad un conflitto interno. La seconda è che, tranne rarissime eccezioni, gli uomini politici di qui sono troppo compromessi per osare assumere un'attitudine marcatamente pacifica, temendo di essere tacciati di tradimento e di esporsi a rappresaglie personali, sicché, posti in contatto cogli intransigenti del Comitato, diventano alla loro volta partigiani della resistenza ad oltranza.

Ne segue quindi che qualunque intesa è ancora lontana.

Anche in questi preliminari di negoziati per la pace, per quanto si debbano svolgere tra persone private, la Turchia porta i suoi sistemi abituali di dilazioni, sotterfugi e mancanza agli impegni presi, perché qui gli affari dello Stato e quelli delle concessioni si trattano colla stessa mala fede.

La crisi ministeriale pare ora scongiurata; la guerra e la pace, la questione albanese e quella finanziaria vi erano, dicesi, estranee. In presenza del movimento dell'ufficialità e per impedirne il dilagarsi, il Gabinetto di Said pascià-su consiglio di Mahmoud Chevket pascià-vuoi fare votare d'urgenza una legge che proibisca rigorosamente agli ufficiali di occuparsi di politica, ma alcuni membri del Gabinetto ed il Comitato vi sono contrari, temendo che quella legge non produca l'effetto contrario e non porti una scissione nell'esercito.

Intanto qualche diecina di ufficiali ribelli e qualche centinaio di soldati disertori (per quanto sintomi gravissimi del malcontento del Paese) hanno fatto passare in seconda linea la guerra coll'Italia. E questo perché sempre in Turchia si dimenticano i pericoli più gravi per le preoccupazioni del momento e si vive alla giornata, e così se domani qualche capo albanese farà atto di sottomissione e un anticipo di qualche milione verrà concesso alla Turchia, Governo e stampa proclameranno che il Paese è tranquillo e unito nella volontà di prolungare la resistenza ad oltranza. Però, per quanto questo sia il Paese delle sorprese, i sintomi del malcontento generale, dell'agitazione latente contro il Comitato e della instabilità della situazione interna sono tanti e gravi, che il domani si presenta molto incerto.

912 9 Cfr. n. 854.

914

IL REGGENTE LA LEGAZIONE AD ADDIS ABEBA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 306/66. Addis Abeba, 29 giugno 1912 (per. il 19 luglio).

In relazione al mio rapporto n. 35 del 20 aprile u.s. 1 , ho l'onore di riferire aii'E.V. che la pacificazione delle tribu ribelli degli anuaks ha dato luogo ad un serio incidente tra il Governo britannico ed il Governo etiopico.

Questo ministro d'Inghilterra aveva stabilito con questo Governo che le cannoniere anglo-egiziane che devono cooperare al disarmo degli sciangalla avrebbero risalito il fiume Pibor, che segna il confine tra il Sudan e l'Abissinia, ma in seguito a notizie pervenutegli che la navigazione di quel fiume era divenuta impossibile a causa delle alte erbe, il signor Thesiger chiese al Governo etiopico il permesso di far risalire invece alle cannoniere il fiume Ghelo, che è in territorio abissino.

Per molte settimane i ministri etiopici, che sono molto in sospetto per l'azione degli inglesi in quelle regioni, non astante le assicurazioni e gli impegni scritti del

signor Thesiger che tale operazione sarebbe stata solo temporanea, ostinatamente rifiutarono il richiesto permesso.

Finalmente, per pressione di lord Kitchener, il signor Thesiger presentò al Governo etiopico un ultimatum, dicendo che se il Governo etiopico non concedeva entro 24 ore l'autorizzazione, le cannoniere anglo-egiziane avrebbero risalito senz'altro il Ghelo.

Ed il Governo etiopico ha ceduto.

Un'altro incidente che ebbe luogo in quei giorni e che ancora non è stato risolto è stato causato dal fatto che il degiac Burrù ha condotto prigioniero in Addis Abeba un gran capo dei turcana che, secondo le affermazioni del signor Thesiger, risiederebbe a ben sette giorni dalla frontiera etiopica.

Ma, non ostante tutte le proteste e le minacce del ministro di Inghilterra, il Governo etiopico non gli ha ancora restituito il prigioniero.

Tutti questi incidenti hanno servito a creare una situazione piuttosto tesa tra questo Governo e la legazione d'Inghilterra ed un gran nervosismo nelle sfere abissine a causa delle continue false notizie che giungono di combattimenti con le truppe anglo-sudanesi.

La vicinanza di ligg Jasu alla frontiera sudanese è d'altra parte causa di continue preoccupazioni per questo ministro britannico.

914 1 Non pubblicato.

915

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 1164. Roma, 5 luglio 1912, ore 19.

L'ambasciatore di Spagna mi ha chiesto notizie della conferenza, e delle disposizioni della Turchia alla pace. Ho risposto che da qualche tempo i propositi bellicosi della Turchia sembrano scossi, e che nessuna proposta di conferenza ci è stata fatta, alla quale del resto non potremmo aderire senza ponderato esame del pro e contro, e soprattutto senza aver garanzie che l'esito della conferenza non sarà in contraddizione colla legge del 27 febbraio.

Egli mi chiese se persistevo nell'idea che affermò avergli io espressa qualche tempo fa, di un accordo fra le quattro Potenze mediterranee che hanno interessi nell'Africa del nord, cioè Italia, Inghilterra, Francia e Spagna. Io ho risposto che deve trattarsi di un malinteso, non avendo io parlato di un accordo, la cui opportunità o meno non potrebbe essere esaminata che in relazione alla situazione oggi imprevedibile che si formerà alla fine della guerra; bensì solamente della naturale solidarietà delle quattro Potenze di fronte al movimento musulmano ed arabo in Africa. Aggiunsi poi che l'occupazione del Marocco e della Libia non fa venir meno gli accordi franco-italiani del 1902, al cui spirito reciprocamente amichevole si deve, a mio parere, ispirare la trattazione e la soluzione delle questioni diverse fra i due Paesi, derivanti dal nostro possesso della Libia e dal possesso francese del Marocco.

916

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. GAB. RISERVATISSIMO 1831/583. Londra, 5 luglio 1912 (per. il 29).

Il corriere giunto ierisera, mi ha consegnato i due dispacci di V.E. 27 1 e 28 Gabinetto2 . Ho l'onore di rispondere brevemente ad essi in un unico rapporto trattandosi del medesimo argomento.

l) Sottoscrivo a piene mani alla proposta di S.E. il cavalier Tittoni relativa alla opportunità di trovar modo di raggiungere una intesa con l'Austria-Ungheria e la Russia allo scopo di ottenere che quelle due Potenze giusta il concetto manifestato da Mahmoud Chewket pascià garantiscano insieme all'Italia per un periodo da determinarsi l'integrità dell'Impero ottomano.

I vantaggi che per noi presenterebbe la realizzazione di tale idea sono incontestabili. Mentre da un lato si affretterebbe la conclusione della pace, si verrebbe a proclamare in modo ufficiale la concordata cooperazione effettiva delle tre Potenze aventi in Oriente interessi politici di maggiore importanza. Verrebbero per tal modo vantaggiati i nostri interessi presenti, ed efficacemente tutelati quelli futuri, col precludere ogni possibilità di spiacevoli sorprese e pericolose complicazioni. Siffatta combinazione ridondante a beneficio generale della tranquillità balcanica e quindi della pace europea non potrebbe non essere accolta con soddisfazione dalle altre tre Potenze, e segnatamente dall'Inghilterra, che, in questo momento ha più che mai un interesse primordiale ad evitare grosse complicazioni di natura a generare un conflitto armato nel Mediterraneo.

Della somma opportunità per non dire della necessità di far convergere la nostra azione diplomatica al raggiungimento di una intesa colla Russia e l'Austria-Ungheria per le questioni del Levante, io ebbi a convincermi fino dal 1904, primo anno del mio soggiorno a Costantinopoli, allorquando potei ahimé! toccare con mano il grave danno arrecato agli interessi italiani dalla cooperazione austrorussa, cui non solo non partecipava l'Italia, ma della quale, il conte Goluchowsky ed il barone Calice, d'infausta memoria, nulla tralasciavano per escluderci con tutti

916 1 Non rinvenuto. 2 D. Gab. 28 del 30 giugno, non pubblicato.

996 i mezzi. Per fortuna si riuscì allora grazie ad un cumulo di circostanze favorevoli delle quali la politica abilissima del Governo di Sua Maestà, seppe trarre il massimo frutto, a sventare gl'intrighi del barone Calice e del suo Governo, ed a ridare all'azione riformatrice in Macedonia quel carattere europeo che non avrebbe mai dovuto perdere. Ma l'esperienza del passato ci deve rendere molto guardinghi e consigliarci a fare il possibile perché simili combinazioni letali per i nostri interessi non abbiano più a ripetersi. E sull'argomento nulla ho più da aggiungere, perché non farei se non ripetere cose già dette. Rimane ora da vedere se da parte della Russia e segnatamente dell'Austria-Ungheria si sarebbe disposti ad entrare nell'ordine di idee suggerito dal r. ambasciatore a Parigi. Al riguardo è permesso conservare qualche dubbio, a giudicarlo almeno dalle osservazioni formulate da S.E. il duca Avarna in un telegramma dello scorso inverno gentilmente comunicatomi da

V.E. Comunque, il tentare, a mio remissivo parere, non potrebbe nuocere, specie in questo momento in cui l'intesa anzidetta, per le condizioni speciali in cui si presenterebbe, ossia, per l'interesse generale alla conclusione della pace, sarebbe meno agevole, a respingere.

Sulla possibilità del resto, e la convenienza di presentire le disposizioni dei due Gabinetti, i soli in grado di esprimere un parere in piena conoscenza di causa, sono naturalmente i rappresentanti del re a Vienna e Pietroburgo.

2) La combinazione Kiamil Pascià mi pare inaccettabile, o per lo meno non desiderabile. Essa lascerebbe una situazione incerta, precaria, uno stato di cose che non sarebbe né guerra né pace. Non soddisferebbe la nostra opinione pubblica che la considererebbe come un ripiego poco dignitoso. Non provvederebbe alla tutela dei nostri interessi politici nel resto dell'Impero, perché l'Italia, pel fatto di non avere ancora ristabilito le relazioni ufficiali con la Turchia, si troverebbe esclusa dal partecipare a qualche eventuale azione delle Potenze, qualora la medesima il che, data l'attuale situazione in Turchia, non è poi da escludersi in modo assoluto, si rendesse necessaria per eliminare gravi complicazioni e guai maggiori. D'altra parte la perdurante sospensione delle relazioni ufficiali impedirebbe il ritorno allo statu quo ante, per quanto concerne tutte le istituzioni italiane nell'Impero, di alcune delle quali -gli uffici postali ad esempio -potrebbe la sempre involuta ed artificiosa mentalità turca mirare forse, col rinviarne la riapertura, provocare l'abolizione definitiva. Vi sarebbe è vero a queste considerazioni da obbiettare che fino alla ripresa normale delle relazioni, le isole dell'Egeo rimarrebbero ancora in nostro potere. Ma la prolungazione indefinita dell'occupazione, cagionerebbe a mio avviso inconvenienti maggiori dei vantaggi, perché a parte le inevitabili discussioni con le Potenze per fissare lo status delle isole, verrebbe ad accrescersi nell'opinione pubblica italiana il sentimento contrario a quella restituzione che, per gl'impegni da noi presi con le Potenze alleate, sembra purtroppo presto o tardi destinata a divenire una ineluttabile necessità.

In conclusione a me pare, che la soluzione Kiamil Pascià dovrebbe per il momento essere messa da parte. Essa potrebbe tutt'al più essere presa in considerazione, quando, mutato il Governo in Turchia, apparisse in modo positivo ineccepibile l 'unica, assolutamente unica via per giungere alla pace.

Il che resta ancora da dimostrare, i turchi avendo ora già fatto un bel passo avanti nel dichiararsi disposti a riconoscere la sovranità de li'Italia su tutto il territorio già occupato in Tripolitania al pari che in Cirenaica.

917

L'AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA SOCIETA' COMMERCIALE D'ORIENTE, VOLPI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. ... 5 luglio 1912.

Le confermo il mio dispaccio di quest'oggi e rapidamente le riferisco degli ultimi dispacci scambiati fra ieri, questa notte, ed oggi, con Costantinopoli.

Ho detto che eravamo disposti ad accettare il giorno 12, che le persone che dovevano avere le conversazioni di Losanna erano ormai stabilite, e la composizione della missione immutabile perché mi pareva pericoloso lasciare discutere un tale argomento.

Mi telegrafarono stanotte che senz'altro era designato da parte turca a condurre le conversazioni S.A. Said Pascià senatore presso Consiglio di Stato e membro del Consiglio dei ministri in carica già presidente del partito Giovani turchi.

Non si capisce bene se sarà unico delegato od in aggiunta ai designati già, ma mi pare solo.

Da una lettera che ho rimesso, lei avrà visto che il Governo ed il Comitato tergiversavano nella nomina di membri la cui designazione fosse troppo indiziaria e musulmana e che vi era caccia al posto di delegato e quale portata abbia il fatto, che ora pare concreto, di nominare invece, a condurre delle conferenze, che si vuole abbiano carattere non ufficiale, un personaggio ufficialissimo membro responsabile del Governo, musulmano e di posizione sociale altissima, io me lo domando senza ancora bene spiegarmelo.

In ogni caso non mi pare il momento di discutere. Mi hanno chiesto i nomi dei delegati italiani e visto che i turchi non hanno taciuto, ho dovuto declinarli e ne fu preso atto. Fu promesso e chiesto segreto assoluto sui nomi. Salvo mutamenti dell'ultima ora Fusinato ed io saremo a Losanna la sera del l O e potremo dedicare l'Il a conferire con l'on. Bertolini, già preavvisato.

Ho incaricato a due fonti a Costantinopoli di trasmettermi notizie sui precedenti, moralità e carattere di Said Pascià che non conosco di persona, di sapere da chi sia accompagnato e quali sono state le idee da lui espresse o ventilate coi suoi colleghi del Governo. Mano a mano mi arriveranno tali notizie non mancherò di riferire.

918

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 7 luglio 1912.

Al generale Ameglio furono rinnovate le istruzioni circa la linea di condotta politica da seguire nelle isole occupate, secondo le vedute manifestate nella tua lettera del 22 giugno 1 , e nelle quali io pienamente convenni.

Mi perviene ora un rapporto col quale il generale Ameglio informa delle disposizioni da lui prese nei riguardi dei particolari privilegi che per antica consuetudine godeva il gruppo detto delle «Dodici Isole» ed invia un memorandum presentato dai rappresentanti dell'Isola di Simi su detta questione.

Ti rimetto questo memoriale insieme al rapporto, con preghiera di volerlo esaminare e di farmi conoscere il tuo avviso sulle deliberazioni che al riguardo converrà adottare2 .

ALLEGATO I

IL COMANDANTE IL CORPO D'OCCUPAZIONE, AMEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. 292. Rodi, 17 giugno 1912.

Mi onoro di far seguito al mio rapporto del 12 corrente circa la situazione politica delle isole minori occupate.

Ho già informato V.E. che molte di queste isole avevano ritenuto erroneamente di aver conquistato, mercè la nostra occupazione, una completa autonomia amministrativa. Calimno, ad esempio si era creduta autorizzata a nominare un primo sindaco, che avrebbe dovuto esercitare funzioni di Governatore e così pure autorizzata a costituire una gendarmeria locale, a nominare funzionarii, ad abolire o modificare i dazi doganali ed i tributi.

Per i motivi a cui ho accennato, nel mio precedente rapporto, ho ritenuto dover dissipare l'equivoco. Mandai dunque a prendere con una torpediniera e feci condurre a Rodi i sindaci di alcune di queste isole. Qui, feci loro comprendere che, mentre non v'era, e non poteva esservi, per ora, questione di un'autonomia, sarebbero stati fatti oggetto di uno studio accurato gli antichi privilegi che le loro isole vantano; aggiunsi però che una così complessa e grave questione non avrebbe potuto essere risolta in poco tempo e che, nel frattempo, il mio compito era quello di assicurare l'andamento dei pubblici servizi; che,quindi, avrei ripristinato l'amministrazione, quale essa si trovava alla vigilia della nostra occupazione, e che, di

2 Annotazione di San Giuliano: «Bollati. Mi rimetto a lei per la risposta che però mi pare dovrebbe essere che a noi conviene non compiere atti in contraddizione coi privilegi delle isole quando non siano richiesti da esigenze militari». Sulla base di queste istruzioni venne redatta la lettera 17/137 del 28 luglio, non pubblicata.

conseguenza, avrei anche riconosciuto fin da ora i privilegi delle isole, quali essi esistevano

negli ultimi tempi del Governo ottomano.

I sindaci riconobbero la giustezza delle mie osservazioni e partirono soddisfatti.

L'isola di Simi, intanto, che è la più importante delle isole privilegiate e quella che anche in passato ha sostenuto più vigorosamente i proprii privilegi, mi ha fatto tenere, secondo era stato precedentemente stabilito, un suo memorandum circa la questione dei privilegi ed io mi onoro trasmetterlo, qui unito, a codesto Ministero, per gli studi che VE. giudicherà di ordinare e le deliberazioni che riterrà di prendere al riguardo.

ALLEGATO II

LA COMUNITÀ DI SIMI, AL COMANDANTE IL CORPO D'OCCUPAZIONE, AMEGLIO

PROMEMORIA. Simi, 3 O maggio -12 giugno 1912.

Costituendo noi una delle popolazioni più importanti, che hanno avuto la fortuna di vedersi liberate da un giogo lungo e pesantissimo, mercè l'azione civilizzatrice della magnanima nazione italiana, siamo indotti a portare a conoscenza dello spettabile R. Governo d'Italia quanto segue, che è di grande interesse, relativamente alla nostra posizione privilegiata.

È noto che la maggioranza delle isole, in cui fu soppresso il dominio turco, appartengono alle 12 isole privilegiate -!caria, Patmos, Leros, Calimno, Astipalea, Nissiros,Tilos, Simi, Halki, Karpathos, Cassos e Castelloriso. Queste aride isole, alle quali il conquistatore di Rodi Suleiman il legislatore aveva concesso o meglio lasciato, lo stato privilegiato già in esse vigente, causa la spontanea loro sottomissione, godevano per molto tempo sotto il dominio turco di una completa autonomia e autogoverno.

Questo regime è stato sanzionato ripetutamente con una serie di firmani imperiali anche di altri sultani. Di essi esistono molti originali e copie nelle varie isole; la sola isola di Simi ne ha ricuperato nei suoi archivi sette originali ed una copia autentica. La caratteristica comune di questi firmani è, che essi si riferiscono al firmano primitivo del conquistatore Suleiman, e ripetono la frase che «le suddette isole pagano il proprio tributo a forfait rimangono libere sotto tutti i rapporti». I più importanti di essi sono i firmani del sultano Mehmet IV-(Regeb l 062), del sultano Osman III (Sabah 1168), di Abdul Hamit I -(Seval 1188), ed altri.

In virtù di questi titoli ufficiali, di cui la sanzione era corroborata dalla eccessiva, sterilità e siccità delle isole, riuscirono queste popolazioni, puramente greche, a conservarsi finoggi su questi aridi scogli, su cui fortunatamente nessun turco non ha mai pensato di stabilirsi.

Il primo colpo contro l'autogoverno delle isole fu dato nel 1869 con l'installazione del Caimacan. La resistenza degli abitanti ha avuto per effetto solo l'assicurazione della Inghilterra -che ha perorato per i loro diritti -che il provvedimento mirava semplicemente a un miglior Governo e non alla soppressione dei privilegi. Dopo alcuni anni il Governo ha cessato di imporre alle isole le dogane. Ma, convinto dell'ingiustizia, propose agli abitanti di non insistere alla resistenza prelevando i 3 degli 8 per cento che il Governo avrebbe percepito, i rimanenti 5 per cento dovendo servire per le paghe dei funzionari. La popolazione, però, fu irremovibile e, a mezzo di apposita commissione inviata a Costantinopoli, ottenne che il Consiglio di Stato con sentenza del 15 Rebbì-ul Evi! 1292 (1876) riconobbe il suo diritto e condonò ad essa tutti i proventi doganali. Malgrado ciò il Governo continuò d'allora in poi a riscuotere i dazi doganali lasciando agli abitanti i 3 degli 8 per cento, e, peggio ancora, continuò a dare finoggi tale quota non più in proporzione degli incassi, che coll'andar del tempo aumentavano bensì la quota parte del dividendo risultò il primo anno del! 'applicazione del provvedimento. Contro questa ingiustizia ed inganno gli isolani hanno sempre protestato.

Queste sono le due più importanti violazioni dell'autogoverno e dell'indipendenza finanziaria delle isole, che esse con le loro deboli forze non hanno potuto respingere. Nel senso della graduale delimitazione dei privilegi furono fatti a più riprese molti altri tentativi, che gli isolani, specie Simi e Calimnos, le più importanti, contro cui in principio i tentativi erano diretti -riuscirono più o meno a respingere con successo.

Citiamo ad esempio il tentativo d'impianto di Capitaneria di Porto e gli inesistenti sforzi, accompagnati spesso da violenza, per imporre la regia. Fortunatamente rimasero infruttuosi ed è noto che i capitani di porto non furono installati, ne la regia non ha mai funzionato, e, finoggi il tabacco è venduto liberamente a peso dai tabaccai.

Ma una analoga è avvenuta con la presenza nelle isole de funzionarii del Debito Pubblico. Essi sono semplicemente incaricati di vendere permessi per la pesca delle spugne -di cui sono obbligati a munirsi anche i sudditi esteri, e di smerciare le marche da bollo alle quali ci siamo per necessità sottoposti, affinché siano validi i nostri documenti. Gli abitanti dello isole, non hanno, però, permesso qualsiasi altra azione di questi funzionarii sopra altri punti dell'amministrazione.

Da quanto precede risulta che una continua lotta e questioni racchiudenti dei pericoli, venivano sollevate nelle isole, causa il mal volere e dolosità dei funzionarii turchi. Ma gli abitanti con resistenza ponderata e l'aiuto delle Potenze uscirono più o meno incolumi.

Maggiori successi i turchi hanno disgraziatamente avuto nelle isole minori e più deboli. Così si spiega la differenza relativa che si osserva oggi intorno all'aspetto esteriore, del loro regime privilegiato. Non reputiamo perciò giusto che tale stato di cose serva di «indicatore» per la estensione dei loro privilegi.

Appena proclamata la Costituzione gli abitanti si accorsero dei pericoli che essa racchiudeva per i loro privilegi, perciò si sono affrettati a dichiarare che si astenevano dalle elezioni e palesavano la ferma loro decisione di non sottomettersi al servizio militare.

I Giovani Turchi tentarono sin dal principio,col pretesto dell'uguaglianza derivante dallo Statuto, di conseguire quanto gli assolutisti non avevano ottenuto con la violenza. Ma, di fronte alla resistenza, degli abitanti e alla validità dei loro titoli, dovrebbero soprassedere alle prime loro decisioni e a tollerare finoggi la continuazione del loro regime privilegiato. In conseguenza di quanto sopra, ali 'atto della soppressione della sovranità turca, in tutte le isole privilegiate esistono i seguenti distintivi comuni.

Esse continuano a pagare il tributo loro a forfait non accettando la soppressione di esso, causa il reclutamento militare. Simi pagava 48875 32/40 piastre. Non hanno mai accettato la tassa della regia. I loro «demogeronti» concertano le funzioni di sindaco, di capitano di porto, di giudice di pace, di direttore del Catasto, di notaio e di ufficiale di Stato Civile. Non furono sottoposte a servizio militare. Sono padrone del territorio loro e delle terre nullius del Demanio turco non avendo nelle isole nemmeno un palmo di terra. Malgrado tutte le pressioni, hanno conservato la lingua greca nella corrispondenza ufficiale e nel Tribunale.

Se a ciò viene aggiunto quanto la selvaggia pressione e l'ingiustizia tolsero loro, l'estensione esatta del regime privilegiato delle isole, che rimane ora come sacro deposito nelle mani dei nostri benefattori e liberatori, i quali, non c'è dubbio, si serviranno di esso come punto di partenza per migliorare le sorti degli isolani in conformità della giustizia e delle loro intime operazioni.

918 1 Non pubblicata.

919

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB SEGRETO 1138/121. Pietroburgo, 8 luglio 1912, ore 18,35 (per. ore 19,45).

Sazonoff si è mostrato molto soddisfatto dei colloqui avuti con imperatore di Germania e col cancelliere. Mi ha detto che la intervista ebbe carattere «estremamente cordiale» e che in tutte le questioni toccate si è constatata una perfetta identità di intenti. Ha soggiunto che comunicato ufficiale (già diramato dall'Agenzia telegrafica e che trasmetto per posta ad ogni buon fine) 1 ritrae come forse nessun altro mai il contenuto, lo spirito e la forma dell'incontro dei due sovrani e loro ministri. Mi ha detto che dalle conversazioni avute ha rilevato vivo desiderio della Germania per la conclusione della pace. Mi fece rilevare però confidenzialmente che questo desiderio si mantiene in forma astratta. Trovò cancelliere contrario all'idea di una conferenza per porre fine alla guerra, idea per la quale anche Sazonoff ha poca simpatia.

Cancelliere invece è molto favorevole e crede alla probabilità di successo a trattative dirette tra Italia e Turchia. Sazonoff mi ha detto aver avuto di tali trattative qualche vago sentore ed ha dichiarato che da parte sua sarebbe felicissimo se tali trattative riuscissero. Cancelliere disse poi Sazonoff con evidente soddisfazione che la situazione creata dalla guerra italo-turca si era chiarita, nel senso che era ormai assodato che tutte le Potenze desiderano pace e che nessun pensa trarre partito dalle presenti circostanze per certi fini ed interessi particolari. Cancelliere attribuiva questo buon risultato all'iniziativa russa per la mediazione che aveva messo in contatto Gabinetti e provocato uno scambio d'idee.

Da tutte le cose dettemi da Sazonoff, sembra che intervista ha grande importanza dal punto di vista della politica generale, ma che però non è da aspettarsi che qualche cosa di preciso e di speciale ne possa uscire.

920

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1492/591. Vienna, 8 luglio 1912 (per. il 23).

Ho l'onore di segnare ricevimento e ringraziare V.E. del dispaccio del 30 giugno scorso, indicato in margine, pervenutomi per corriere 1•

920 1 D. 28, non pubblicato.

Nel comunicarli in copia il rapporto col quale il r. ambasciatore in Parigi le riferisce intorno ad un colloquio avuto coll'avvocato Salem2 , V.E. mi chiede di manifestarle il mio pensiero sulla opportunità suggerita da S.E. Tittoni di saggiare le disposizioni di Vienna e di Pietroburgo per un accordo a tre tendente ad assicurare, secondo il concetto di Mahmud Scetket pascià, l'integrità dell'Impero ottomano.

Circa un accordo relativo alle cose di Oriente in generale tra l'Italia, l'AustriaUngheria e la Russia, esposi già alla E.V. colla lettera particolare del 26 agosto 1911 3 e colla successiva mia corrispondenza telegrafica.

l) Le difficoltà quasi insormontabili che la stipulazione di un tale accordo incontrerebbe da parte dell'Austria-Ungheria e della Russia per la mancanza di una base accettabile da entrambe le Potenze e compatibile cogli obbiettivi diversi ai quali tende la loro politica nei Balcani, intesa, per la prima, ad espandersi nella penisola, ove ciò fosse richiesto dalla forza delle circostanze e dalla tutela dei propri interessi, per la seconda ad opporsi in modo assoluto ad una simile espansione.

2) Le ragioni per la quali a noi non converrebbe di servire di intermediario tra quelle due Potenze, per conciliare le rispettive divergenze ed agevolare conseguentemente la stipulazione dell'accordo suddetto, giacché se l'Austria-Ungheria e la Russia riuscissero ad intendersi, a noi non resterebbe che a subire la loro legge con grave jattura dei nostri interessi.

Ma l'accordo che si tratterebbe ora di stipulare non dovrebbe abbracciare le cose di Oriente in generale, bensì essere limitato ad uno scopo determinato, quello, cioé di garantire l 'integrità dell'Impero ottomano, ed essere ristretto ad un certo numero di anni.

Tale accordo non potrebbe sembrare, a prima vista, che di facile esecuzione, ed atto a riscuotere anche il consenso della Austria-Ungheria. Esso infatti non verrebbe che a sancire in modo formale il principio che l'Austria-Ungheria ha sempre propugnato, del mantenimento dell'integrità dell'Impero ottomano, il quale, insieme a quello dello statu quo territoriale nei Balcani, forma la base fondamentale della sua politica orientale e potrebbe poi costituire, in certo modo, premessa, quasi una specie di tregua alle rivalità esistenti tra la Monarchia e la Russia.

Se un tale accordo potesse realmente intervenire, esso, oltre ad essere vantaggioso ai nostri interessi, col facilitare forse la soluzione del conflitto italo-turco, potrebbe dare adito alle tre Potenze, colla rinnovazione dell'accordo stesso, alla sua scadenza, di concordarsi per la soluzione di tutti i problemi che concernono la penisola balcanica e contribuire così, in avvenire, alla pace generale in Europa.

Ma, non astante le considerazioni sopra esposte, non è da supporre che la stipulazione di un simile accordo, quantunque mirante al solo intento suddetto,

3 Non rinvenuta.

non sarebbe per incontrare da parte dell'Austria-Ungheria, difficoltà minori di quelle che solleverebbe un accordo per le cose di Oriente in generale.

Alla proposta di accordo siffatto l'Austria-Ungheria potrebbe obbiettare innanzi tutto che il fatto appunto che l'integrità dell'Impero ottomano è uno dei capi saldi della sua politica orientale, esclude la necessità per essa di impegnarsi, di fronte alla Turchia ad assicurarne il mantenimento, mediante un trattato internazionale, non potendo la Sublime Porta, per le formali dichiarazioni fattele a più riprese, dubitare menomamente delle sue intenzioni al riguardo.

E, per ciò che riguarda l'Italia e la Russia, l'Austria-Ungheria potrebbe osservare che non scorgerebbe neppure la necessità di stipulare con esse un accordo per l'intento suddetto, perchè, rispetto alla prima, gli impegni assunti coll'Italia nel trattato della Triplice Alleanza, obbligano già entrambe le Potenze a provvedeve al mantenimento dell'integrità dell'Impero ottomano, e dello statu quo nei Balcani, e quanto alla Russia, che identici impegni, quantunque non fondati sopra un trattato internazionale, risultano pure tra l'Austria-Ungheria e la Russia degli scambi di idee avvenuti in seguito alla ripresa delle loro relazioni normali dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina, questi avendo avuto sempre per base il mantenimento della integrità dell'Impero otto mano e dello sta tu quo nei Balcani.

D'altra parte perché un accordo inteso a garantire l'integrità dell'Impero ottomano potesse essere stipulato converrebbe che le tre Potenze si inducessero ad assumere impegni tali da rendere la garanzia stessa seria ed efficace.

Ma l'Austria-Ungheria non sarebbe certo in grado di assumere tali impegni perché questi potrebbero precluderle forse la via ad ogni espansione nei Balcani, che è il fine a cui fatalmente deve tendere la Monarchia.

Infatti se dopo averli assunti, sopravvissero nei Balcani eventi tali da mettere a grave [co mento ]4 l'esistenza della Turchia, se la frontiera orientale d eli' AustriaUngheria fosse conseguentemente da essi minacciata, il Governo imperiale e reale, mentre sarebbe obbligato per gli impegni suddetti ad adoperarsi da un lato, coll'Italia e la Russia ad impedire uno sfasciamento dell'Impero ottomano, si troverebbe dall'altro nella impossibilità assoluta di provvedere alla tutela dei propri interessi e di realizzare, ove la forza delle circostanze lo richiedesse, i fini della sua politica con grave danno dell'avvenire della Monarchia.

Ma, prescindendo da ciò, non si deve dimenticare infine che, sebbene le relazioni tra l'Austria-Ungheria e la Russia si sono alquanto migliorate, esse non riposano ancora sopra un piede amichevole.

Non sarebbe quindi giunto il momento in cui le due Potenze potrebbero essere disposte ad associare liberamente e senza esitazione la loro azione per uno scopo comune, coll'addivenire ad accordi, non solo per le cose di Oriente in generale, ma anche per garantire soltanto l'integrità dell'Impero Ottomano.

919 1 Non pubblicato.

920 2 Si tratta del R. 777 del 19 giugno, non allegato al dispaccio di cui alla nota l.

920 4 Sic.

921

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4468/181. Londra, 11 luglio 1912, ore 4 (per. ore 18,30).

N ella discussione di jeri sulla politica estera, debbo notare: l) silenzio assoluto serbato da deputati e, nella sua risposta, da Grey sulla nostra guerra; 2) dichiarazioni di Grey sulle intenzioni del Governo di mantenere nel Mediterraneo forze navali uguali a quelle di una sola Potenza per quanto non vi sia per il momento alcuna prospettiva di conflitto con alcuna Potenza e per quanto non risulti che alcuna Potenza mediterranea abbia intenzioni ostili contro Inghilterra; 3) le relazioni attuali con la Germania sono eccellenti; 4) base politica estera inglese rimane amicizia con la Francia e la Russia. Amicizia non esclude, però sincero compiacimento questo Governo per amichevoli relazioni della Francia e della Russia con altre Potenze. Ad eccezione soliti giornali radicali, dichiarazioni Grey incontrano in massima simpatia; stampa anche essa si astiene accennare nostra guerra salvo Morning post che coglie l'occasione situazione interna Turchia per consigliarle caldamente di venire a patti con Italia prima che Potenze si accingano ad intervenire.

922

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4466/354. Parigi, Il luglio 1912, ore 14,25 (per. ore 18).

La notizia del Daily Telegraph, circa una intesa tra Inghilterra, Francia Italia per garantire lo statu quo nel Mediterraneo ha fatto qui poca impressione.

I giornali che ne hanno parlato hanno detto che poteva costituire un programma per l'avvenire ma che, come notizia d'attualità, era prematura. Poincarè non mi ha detto nulla al riguardo. Conte Szécsen e Schon non hanno dato alcuna importanza alla notizia alla quale non credono nemmeno per l'avvenire poiché essi pensano che, se l'Italia avrà interesse a far parziali accordi per regolare in Africa il vicinato coll'Inghilterra e colla Francia, non avrà interesse ad un accordo per garantirle uno statu quo che nessuno minaccia. Essi, però, dati i rapporti di Wolff col Foreign Office credono che l'articolo abbia tradotto in realtà quelle che effettivamente sono le intenzioni del Governo inglese.

923

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 7711150. Pietroburgo, 11 luglio 1912 1.

Con il mio telegramma Gabinetto n. 121 2 ebbi già l'onore di informare l'E.V. delle cose dettemi dal signor Sassonoff a proposito del convegno dei sovrani di Russia e di Germania a Porto Baltico.

Su tre punti Sassonoff si è specialmente fermato e cioè sul carattere estremamente cordiale della visita, sulla identità di vedute dei due Governi constatata in tutte le questioni toccate, sulla influenza che il convegno poteva esercitare sulle direttive della politica estera russa, basata sempre sull'alleanza con la Francia e sull'intima intesa con l'Inghilterra. Ciò corrisponde perfettamente al comunicato ufficiale diramato dall'Agenzia telegrafica e di cui unisco qui una traduzione3 .

Il convegno ebbe carattere spiccatamente politico, e se la visita dell'imperatore di Germania fu la restituzione di quella fatta da Sua Maestà Nicola II a Potsdam ciò malgrado non fu ritenuto opportuno adoperare la solita formula di semplice visita di cortesia.

Ciò spiega forse in gran parte la nervosità ed i sospetti manifestatisi a Parigi, nervosità e sospetti che hanno costituito come il carattere fondamentale di questo convegno nei riguardi internazionali. Già da tempo, al primo annunzio della visita di Guglielmo nelle acque baltiche, il signor Poincaré fu fortemente impressionato, e

V.E. già conosce per averne io riferito telegraficamente, che il ministro degli esteri della Repubblica da quel momento cercò di avvicinarsi il più possibile alla Russia, e a questo scopo il signor Sassonoff attribuisce specialmente il mutato contegno del Gabinetto di Parigi verso l'Italia nei riguardi della guerra.

Pochi giorni prima del convegno il signor Louis, non so con quale pretesto, trovò modo di farsi ricevere da Sua Maestà Nicola II e, mi risulta, che ricevette dall'imperatore l'assicurazione che l'alleanza e l'amicizia con la Francia sarebbe continuata ad essere la base immutabile della politica russa. Lo stesso giorno poi del ritorno a Pietroburgo del signor Sassonoff dal Porto Baltico, lo stesso signor Louis volle a qualunque costo recarsi a visitare il ministro russo degli affari esteri e il presidente del Consiglio e fece pubblicare poi da tutti i giornali l'annunzio della «lunga conversazione» avuta con gli uomini di Stato russi.

Queste preoccupazioni francesi vanno anche spiegate con tutto l'atteggiamento preso dal signor Sassonoff nei suoi rapporti con il Gabinetto di Parigi in questi ultimi tempi, atteggiamento che ha dovuto finire col dare seriamente da pensare al signor Poincaré.

Cfr. n. 919. 3 Non si pubblica.

Sassonoff vuol fare la politica di sincera alleanza con la Francia, ma non si è lasciato trascinare nella politica del Poincaré, da lui considerata come contraria allo spirito dell'alleanza e della Triplice Intesa.

Tanto nella questione della mediazione per porre fine alla guerra italo-turca, quanto in quella del prestito cinese che in quella delle ferrovie del Mar Nero, Sassonoff non solo non ha trovato in Poincaré cooperazione, ma ostilità.

Tutto il malcontento di Pietroburgo si riassunse poi nell'incidente del richiamo di Louis che portò alla luce il disaccordo degli alleati. Sembra che dopo tutto ciò a Parigi si sia cambiata rotta e sia prevalsa la paura che Sassonoff disgustato del passato abbia cercato altro orientamento.

Ciò non corrisponde però affatto alla realtà delle cose. Il signor Sassonoff è stato amareggiato e disgustato della politica del Poincaré, ha reagito energicamente, ma solo allo scopo di ricondurre l'alleanza al suo vero spirito senza mai cercare altri orientamenti.

Parallelamente a ciò è anche però vero che tutta la politica di questo ministro degli affari esteri, quale si è delineata fin dall'inizio della sua assunzione al Ministero è stata diretta a migliorare i rapporti con la Germania e l'Austria, trovati da lui più che freddi in seguito alle vicende della crisi provocata dall'annessione della Bosnia-Erzegovina. E certamente questo convegno nel Porto Baltico ha marcato un sensibile passo avanti nel desiderato riavvicinamento degli Imperi finitimi che hanno tanti interessi in comune.

Non sarà inutile rimarcare che l'intimità russo-germanica, se è riconosciuta utile e desiderata dagli uomini politici ripugna in Russia al sentimento generale. Qui si nutre in fondo una viva antipatia per tutto ciò che è tedesco, e questo sentimento gererale viene a mettere un limite alla possibilità di troppo intimi e troppo cordiali rapporti.

Non è sfuggito a nessuno che la stampa e l'opinione pubblica si son mostrate molto fredde e riservate per questo incontro dei due sovrani. Questa ambasciata britannica ha dato al convegno la sua giusta interpretazione e non ha diviso l'agitazione di quella di Francia.

Rispetto agli interessi italiani mi sembra che possiamo salutare con compiacimento un sensibile miglioramento dei rapporti russo-germanici. Ciò potrà anche rispetto ali' Austria, facilitare il proseguimento dei rapporti cordiali così felicemente stabilitisi fra Italia e Russia.

923 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

924

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 413/102. Cettigne, 11 luglio 1912 (per. il 26).

Le notizie che giungono da varie parti sulla crescente gravità ed estensione del movimento di ribellione politico-militare in Turchia, sebbene siano spesso contradittorie fra loro ed incontrollabili, non cessano dal produrre qui grande impressione, segnatamente in vista delle conseguenze immediate che potrebbero nascere dalle numerose e continuate defezioni delle milizie ottomane nei riguardi della insurrezione albanese.

Il re Nicola è titubante nei suoi giudizi sulla portata e sull'esito finale degli ammutinamenti segnalati, e dice che non si è in possesso di dati certi e positivi per farsi un'idea della forza reale e dello spirito delle truppe ribelli al regime del comitato. Perciò egli si è tenuto circospetto e fedele alla presa deliberazione, conforme agli impegni assunti personalmente con lo czar e con l'imperatore d'Austria, di astenersi da ogni partecipazione alle agitazioni rivoluzionarie delle tribù limitrofe d'Albania.

Senonché scossa dagli ultimi avvenimenti la sua fede nel sicuro successo delle truppe turche nella repressione dei disordini rivoluzionari della vicina regione, egli non esclude più il caso d'inattese e più gravi, e prossime complicazioni, e comincia ad escogitare la via migliore di uscire, dato che queste seguissero, dal contegno passivo sino ad ora serbato.

Il primo passo, anzi, sarebbe già preparato. Sua Maestà prenderebbe occasione dal fatto che la Sublime Porta ritarda ad approvare e ratificare le conclusioni della commissione mista riunitasi recentemente a Cettigne per la rettificazione della frontiera turco-montenegrina. Intanto non si arrestano, direbbe il Governo montenegrino, gli attacchi quotidiani dei soldati turchi contro le pacifiche popolazioni di Velika, Polimja e Sekaular, dove uomini, donne e bambini sono uccisi, come pure il bestiame, da quelle medesime truppe destinate apparentemente al mantenimento dell'ordine in quelle località. E seguirebbe con le dichiarazioni che riassumo qui appresso: il Governo Reale sopporta già da diecine di anni un tale stato di cose intollerabile, ma ora ha perduto ogni speranza di porvi un termine mediante una intesa amichevole con la Turchia. Tutti i suoi sforzi in questo senso sono stati inani. Perciò è venuto nella decisione d'invocare l'intervento delle Grandi Potenze presso la Sublime Porta per persuaderla ad evacuare immediatamente i punti di territorio montenegrino ben conosciuti che si trovano attualmente occupati da truppe ottomarre.

Qualora la Sublime Porta non credesse di seguire il consiglio delle potenze, o le potenze si rifiutassero di darlo, il Governo montenegrino procederebbe senz'altro alla occupazione di alcuni punti del territorio ottomano, e li conserverebbe fino a tanto che la Turchia non restituisse al Montenegro i territori montenegrini indebitamente ed illegalmente occupati.

Con ciò il Governo reale non intenderebbe punto fare atto di guerra al finitimo Impero, ma prendere semplicemente un pegno ed esercitare una giusta rappresaglia allo scopo unico di ottenere il riconoscimento pratico di un suo sacrosanto ed inevitabile diritto.

Quanto precede sarebbe comunicato ai rappresentanti delle Grandi Potenze a Cettigne con nota identica, e con preghiera di informarne i rispettivi governi.

In varì colloqui avuti col re Nicola, ho cercato di dissuaderlo dal dare seguito a tale sua idea, ma finora senza riuscirvi. Non cesserò peraltro dall'insistere presso di lui col massimo impegno e con ogni argomento per dimostrargli, se mi sarà dato, la enorme responsabilità che assumerebbe toccando al territorio turco, il pericolo di un atto così temerario, dal quale egli non potrebbe mai ed in nessun caso ricevere altro

che danno materiale e morale, e col quale offenderebbe tutti i suoi amici, a cominciare dalla Russia.

Particolarmente inopportuno e grave sarebbe poi per noi ora il colpo di testa che medita il re Nicola, poiché non mancherebbero i soliti malevoli di propalare e far credere a mezzo della stampa che la mossa del Montenegro fosse suggerita ed incoraggiata dali 'Italia.

Il fondo della questione sta in ciò che il re vorrebbe profittare del momento critico in cui si trova la Turchia per ottenere una rettificazione del confine che non ha mai potuto ottenere finora. Ma mi pare che si sbagli se pensa realmente ad una rappresaglia come quella indicata per costringere la Sublime Porta a cedere. Il risultato della sua aggressione alla Turchia sarebbe certamente ed in ogni caso disastroso per il Montenegro, non scevro di pericoli per la stessa dinastia regnante, e specialmente contrario agli interessi dell'Italia. Tutte le Grandi Potenze ne sarebbero indignate, e tutte appoggerebbero la Turchia contro il Montenegro.

Con queste ed altre considerazioni mi sono permesso di combattere, in particolari conversazioni, la progettata azione, ma fino a ieri Sua Maestà si mostrava nei suoi propositi irremovibile. Se lo sia effettivamente o no, vedremo tra poco.

925

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA 1665. Roma, 12 luglio 1912.

Mi onoro di ringraziare l'E.V. della comunicazione, che ella si compiacque farmi colla sua nota n. 11645 (Div. Stato Maggiore Sez. l) del 21 giugno u.s. 1 , di un interessante rapporto del colonnello Elia, avente per oggetto; «l confini occidentali dell'Egitto e Lord Kitchener, le indicazioni in esso contenute sono ora confermate e completate in un rapporto del 25 giugno, del reggente la r. agenzia diplomatica al Cairo2 , del quale, alla mia volta, mi pregio qui trasmettere una copia a V.E.

Per noi la questione rimane sempre nei termini che ebbi ad esporre più volte confidenzialmente a codesto R. Ministero, fra gli altri colla nota del 23 aprile 1907 da lei ricordata. A norma degli accordi segreti intervenuti con uno scambio di note del dicembre di quell'anno, il Governo britannico ha dichiarato di considerare il Golfo di Solum come l'estremo limite occidentale del territorio egiziano, è quindi indubitato che il punto di Marsa Bardiah deve essere ritenuto come situato al di là della frontiera reclamata dall'Egitto. Aggiungo, e sempre in via strettamente confidenziale, che in una recentissima conversazione, il r. ambasciatore a Londra avendo interpellato sir Edward Grey sulle voci corse di una progettata occupazione di Bardia

925 1 Non pubblicata. 2 Non si pubblica.

1009 da parte dell'Egitto, il ministro britannico ebbe a dichiarare che era la prima volta che sentiva nominare sul serio quella località. E il marchese Imperiali soggiunge che lord Kitchener, al quale erano stati comunicati i limiti del confine convenuto cogli accordi sovra citati, non poteva avere in mente l'occupazione di una località che in quei limiti non era compresa.

Con tutto ciò, io non esito a dichiararmi favorevole alla proposta, messa innanzi da V.E., di una pronta affermazione di possesso da parte nostra del punto di Marsa Bardiah: affermazione che sarebbe infatti pienamente giustificata tanto dalla necessità di reprimere il contrabbando da quella parte, quanto dalla tacita acquiescenza data da tutte le Potenze al limite orientale fissato nella nostra dichiarazione di blocco delle coste libiche: acquiescenza che, per quanto riguarda l'Inghilterra, acquista tanto maggior valore, in quanto che essa aveva amichevolmente reclamato contro la nostra primitiva dichiarazione la quale, come V.E. ricorderà, aveva erroneamente fissato il limite orientale del nostro blocco a qualche minuto più all'est.

La difficoltà di attuare tale proposta può sorgere soltanto di fronte alla dichiarazione, fatta da V.E., di non potere, per ragioni d'indole militare, effettuare a Marsa Bardiah una occupazione permanente per parte di forze del R. Esercito o della R. Marina. Il diritto internazionale, infatti, non conosce forma alcuna, colla quale possa essere rappresentata di fronte ai terzi la affermazione di possesso di un territorio, se il segno visibile che vi si pone la bandiera nazionale non è in condizioni di esservi mantenuta a difesa contro qualunque attacco. Forse potrebbesi escogitare qualche espediente, che valesse a manifestare in modo indubbio e positivo il nostro proposito: per esempio, che una r. nave stazionasse per qualche tempo a Marsa Bardiah, che vi sbarcasse il proprio equipaggio, e che questo vi costruisse, in un punto dominante, un grosso blocco in macigno o in muratura collo stemma italiano. Sarò grato a V.E. di farmi conoscere il suo pensiero al riguardo.

Quanto a Giarabub, credo dover rettificare un'affermazione contenuta nella lettera precitata di V.E. È bensì vero che, negli scambi d'idee avvenuti coll'Inghilterra, noi avevamo chiesto dapprima che Giarabub fosse considerato come appartenente alla Cirenaica: ma il Governo britannico mentre ammetteva ciò per Kufra, si rifiutò ad ammetterlo per Giarabub, che a suo avviso, doveva essere considerato come appartenente all'Egitto. E a quanto risulta, l'Inghilterra non è disposta a cedere su questo punto.

926

IL DIRETTORE DELLA SOCIETA' COMMERCIALE D'ORIENTE A CONSTANTINOPOLI, NOGARA, AL DEPUTATO OTTOMANO CARASSO

L. Losanna, 13 luglio 1912.

Je vous confirme ma dépèche d'hier soir; «il a eu lieu la première conversation entre les deux parties: on prévoit que les négociations seront difficiles: notre impression est que !es instructions données à Said sont trop limitées et empéchent une large discussion sur la question. Télégraphiez Hotel Beuarivage Ouchy».

Avant de quitter Costantinople j'ai recontré un ami comun avec lequel j'ai eu une longue conversation. Je lui ai comuniqué le choix fait par le Gouvemement otoman, et il m'a fait observer que la personne n'avait pas l'habitude des négociations diplomatiques, habitude qui est nécessaire pour résoudre une Hìche si lourde et difficile comme celle qui nous occupe.

Le premier contact nous a demontré la verité de l'affirmation de notre ami.

De notre còté nous sommes toutefois enchantés de la courtoisie qui nous a été demontré par S.A. Said et nous avons confiance que peu apeu on pourra endiguer les conversations dans une voie bien définie.

Vous devez continuer tous vos efforts afin que ce contact obtenu il ne soit jamais rompu. De mon còté je ferai ici la mème chose. Mais je vous répéte qu' il faudrait renforcer votre còté par un conseiller ayant la culture et l'autorité nécessaires.

Une personne comme votre ami Nouradounghian serait très bien à sa piace ici; mais je doute fort que vous puissiez obtenir que ce Monsieur vient ici jusqu'à ce que l'actuel gran vizir reste au pouvoir.

Il me semble en conclusion que vous devez travailler dans le sens que ordres catégoriques soient donnés à votre délégué de ne pas abandonner pour n'importe quelle raison les conversations qu' il a commencés.

Graduellement vous devrez travailler afin que votre délégué soit renforcé par des appuis et des collaborateurs.

Naturellement votre travail doit ètre fait avec l'habilité et la diplomatie que vous possédez à un si haut dégré et ça sans que on puisse soupçonner que je vous ai renseigné sur ce qui se passe ici.

927

L'INTERPRETE PRESSO IL MINISTERO DEGLI ESTERI, FARES 1

AL ...

Roma, 14 luglio 1912.

Secondo le istruzioni di V.S. Ill.ma ho assistito ieri all'incontro di Mohammed Alì Elui bey col notabile arabo Haji Mansur Kekhia di Bengasi e qui appresso riassumo le impressioni che ho riportate dai discorsi scambiati fra i due seguaci senussiti.

Il vecchio Kehia ed il nipote Haji Mustafà hanno accolto a braccia aperte e con molta effusione Sayed Eloui con cui si sono baciati ed abbracciati ripetutamente manifestando i segni della massima compiacenza nel rivedere l'amico ed il compagno di fede.

Dopo il consueto scambio di complimenti e saluti Eloui bey è entrato subito in argomento ed ha tenuto con la sua parola loquace, molto loquace, al vecchio Mansur ed al nipote suo, un discorso in ordine alla nostra occupazione della Libia concepito presso a poco nei seguenti termini:

L'Italia per la sua posizione geografica rispetto alla Libia, pei suoi interessi generali nel Mediterraneo e per l'amore che nutre verso le popolazioni musulmane, da lunghi anni mirava ad occupare la Tripolitania e la Cirenaica non appena si sarebbe presentata l'occasione opportuna. Al possesso delle due province libiane agognavano altre Potenze come la Francia l'Inghilterra e la Germania, vuolsi che quest'ultima era già in trattative con la Turchia per la cessione della Libia stessa quando l'Italia si è decisa a procedere all'occupazione appunto per prevenire i passi della Germania.

L'Italia intende di portare in Libia la pace, la sicurezza, il benessere di tutti, la civiltà ed il progresso e come lo ha già dichiarato, conservare gli usi e costumi delle popolazioni musulmane e soprattutto rispettarne la religione. L'Eritrea e la Somalia italiana, oggi colonie tranquille e fiorenti sono prova evidente di quanto l 'Italia fa per migliorare le condizioni delle popolazioni soggette.

Eloui bey sostiene citando l'esempio della Francia e quello dell'Inghilterra che hanno sempre da lottare colle popolazioni musulmane ad esse soggette, che l'amministrazione italiana è la migliore sotto tutti i rapporti in quanto che essa ha saputo ispirare maggior fiducia massime nelle menti musulmane, dell'Eritrea e della Somalia dove si può dire che ha rialzato il prestigio della religione e dell'Islam. E in Libia sarà lo stesso aggiunse Eloui bey.

Tale è la fiducia dell'lslam nell'Italia che uno dei sommi ulema di El Azhar in Cairo eresse una moschea e la consacrò a memoria del re Umberto I ed oggi il sommo sacerdote, il capo supremo della Senussia, il gran santone e scerif Sidi Ahmed e suo fratello el Abed, oltre a mandare messi di fiducia scrivono delle lettere molto promettenti al R. Governo italiano e nello stesso tempo da Kufra emanano ordini alle zauie della Tripolitania e della Cirenaica di lavorare in favore degli italiani.

Eloui bey chiuse il suo discorso facendo appello al buon senso del vecchio Haji Mansur invitandolo non solo a dedicare i suoi sforzi alla causa italiana ma far sì che tutta la famiglia sua non escluso il figlio Ornar, si unisca a lui per lo stesso intento. Questo, finì per dire Elui bey, è il desiderio di sidi el Scerif!

Haji Mansur che seguì con molta attenzione le parole di Eloui bey, parve commosso e lieto di apprendere le cose dette, egli dice anzitutto che deve attribuire ad una, per così dire, divina ispirazione di Sidi Ahmed el Scerif il fatto di trovarsi riuniti a Roma, capitale d'Italia, lui, Eloui bey e gli altri di Bengasi e di Derna nonché i messi del gran santone, tutti uniti in comunanza di idee cioè quelle per servire l'Italia. Questo è il miglior augurio per l'avvenire delle nuove terre italiane.

Finisce per rinnovare i suoi sentimenti di gratitudine e di devozione al R. Governo, ciò che poi ripetè quando V.S. Ill.ma si è trovata presente.

Rinnova il voto di vedere eretta in Roma una moschea per uso dei figli musulmani d'Italia!

Mi pare che la visita di Eloui bey ha cacciato via gli ultimi scrupoli di Haji Mansur, qual ora ve ne fossero stati ancora, ed ora mi sembra che il vecchio arabo sia animato di sinceri intendimenti per lavorare con noi; il che, data la sua esperienza, la conoscenza di uomini e cose e l'ascendente che gode fra le popolazioni, può rendere ottimi servizi anche nella tarda età in cui si trova.

PS. -Oggi alle 14 condussi i notabili di Bengasi e di Derna nonché i due messi del santone Senussi che erano accompagnati da Eloui bey a visitare il palazzo reale del Quirinale.

L'impressione di tutti è indescrivibile, i vecchi arabi non facevano che ripetere: «questo è il palazzo di veri re».

I due messi erano addirittura sbalorditi e dicevano che gli accorreranno, arrivando a Kufra, due mesi di tempo per poter raccontare le meraviglie viste nel palazzo del re d'Italia il grande.

927 1 Trattandosi di un fascicolo di documenti della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'interno (del fondo Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana) è da supporre che il destinatario fosse uno dei funzionari incaricati da Giolitti di seguire la questione (Mercatelli?).

928

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 1215. Roma, 15 luglio 1912.

Telegramma di V.E. Gabinetto n. 223 1• Se non abbiamo creduto di informare finora nemmeno i Governi alleati di quelli che si vogliono chiamare i negoziati diretti fra l'Italia e la Turchia, si è perché questi negoziati non hanno alcun carattere formale: sono semplici scambi d'idee fra persone di fiducia dei due Governi, senza alcun mandato o veste ufficiale.

V.E. può confermare confidenzialmente a Berchtold che infatti gli onorevoli Bertolini e Fusinato, insieme col commendator Volpi, che già aveva sondato il terreno a Costantinopoli, si sono incontrati a Lausanne con Said-Halim Pascià, presidente del Consiglio di Stato e con un altro funzionario ottomano, del quale non ci risulta il nome. Dal primo convegno, che ha già avuto luogo, emerge che da parte turca si sono messe innanzi press' a poco le stesse idee che erano state enunciate da Assim a Wangenheim e da Said Pascià a Bompard, circa la differenza a farsi fra la parte della Libia occupata dalle nostre truppe e quella che non lo è ancora.

Delle modalità e dello scopo di questo incontro, Bollati aveva del resto già fatto qualche cenno a Mérey e a Jagow, che gliene avevano tenuto parola.

928 1 T. Gab. segreto 1175/223 del 15 luglio, non pubblicato.

929

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 769/148. Pietroburgo, 16 luglio 1912 1.

Con il dispaccio in margine indicato I'E.V. mi fa l'onore di chiedere il mio parere quanto all'opportunità suggerita da S.E. Tittoni di saggiare le disposizioni di Vienna e Pietroburgo per un accordo a tre tendente ad assicurare secondo il concetto di Mohamut Chewchet Pascià, l'integrità dell'Impero ottomano.

Qualora se ne presentasse l'opportunità, sulle istruzioni di V.E., non avrei difficoltà a tastare con la dovuta circospezione e prudenza, il terreno per conoscere le disposizioni del signor Sassonoff in proposito.

Quanto alle previsioni di riuscita di un accordo a tre occorre tenere conto di alcune difficoltà che bisognerebbe superare, alle quali qui sotto accenno. Se da una parte i rapporti italo-russi sono presentemente inspirati alla maggiore cordialità e confidenza, dall'altra i rapporti austro-russi non sembrano ancora tali da permettere la conclusione di un accordo qualsiasi, sia anche informato a quei principì che notoriamente costituiscono la base della politica dei due Imperi.

Si ha poi ragione di dubitare che la Russia aileata deila Francia e in rapporto di speciale intimità coll'Inghilterra voglia entrare solennemente in un accordo esclusivamente con due Potenze facenti parte della Triplice Alleanza.

In terzo luogo penso che la Russia, se è vero che desidera francamente il mantenimento dello statu quo nei Balcani e l'integrità dell'Impero ottomano, ed a questo concetto inspira la sua politica, non è men vero d'altra parte che il Gabinetto di Pietroburgo pone la massima cura a intrattenere i migliori rapporti con gli Stati balcanici ed a guadagnarsi la simpatia di tutti gli Stati del sud.

Un accordo solenne sottoscritto insieme all'Austria e tendente a rafforzare con impegno preciso e pubblico la Turchia, contro tutte le aspirazioni dello slavismo nuocerebbe agli interessi russi. La Russia può lavorare ogni giorno contro le aspirazioni del panslavismo, può anche conchiudere accordi più o meno segreti, ma diverso è il caso di un accordo di cui la Turchia menerebbe gran vanto e di cui si servirebbe ogni giorno per la sua politica di violenza e di turchismo nella Macedonia.

Questa mi appare come la maggiore difficoltà per il raggiungimento dell'ideato accordo a tre tendente al fine di cui sopra.

Vi è inoltre una ultima osservazione da fare: la Russia ha serie ragioni di lamentarsi della Turchia ed ha con essa, senza contare le minori, due questioni gravissime ancora pendenti: quella di Urmia (Persia) e quella delle ferrovie del Mar Nero.

Pochi giorni fa Sassonoff in una conversazione confidenzialissima avuta meco mi confidò che alle rimostranze di Turkhan pascià di essersi la Russia mostrata troppo amica dell'Italia egli Sassonoff aveva risposto passando in rassegna tutti i motivi che la Russia ha per essere amica dell'Italia, contrapponendovi quelli per cui ha da dolersi della Turchia, concludendo col dire che fino a quando la Turchia terrà un solo soldato in territorio persiano la Russia sarà sempre dalla parte dei nemici dell'Impero ottomano.

Ora è lecito domandarsi se con questo atteggiamento e con questo stato d'animo verso la Turchia e queste questioni importantissime da risolvere, la Russia vorrà venire anche prescindendo dalle suesposte considerazioni, ad un accordo con due sole Potenze che garantiscano alla Turchia la sua integrità limitanto così la sua libertà d'azione di cui ha bisogno per ridurre a ragione il Governo ottomano.

Dirò in ultimo che al momento dell'iniziativa russa per la mediazione, il signor Sassonoff, a proposito delle nostre proposte di pace, non mi nascose la sua poca simpatia per quel punto che riguardava precisamente gli accordi da prendere con le altre Potenze per garantire l'integrità della Turchia. Se si considera che trattavasi allora di tutte le Potenze deve dedursi che a più forte ragione l'avversione sarebbe ancora maggiore nel caso di un accordo limitato a due sole Potenze.

Queste sono le obbiezioni non lievi che mi si presentano esaminando la probabilità di riuscita se volessimo tentare l'accordo a tre accennato da S.E. Tittoni, obbiezioni fondate sulla conoscenza della politica degli interessi e dei sentimenti qui dominanti. Con ciò non voglio escludere ogni possibilità di riuscita. Sassonoff rivolge ogni suo sforzo alla conchiusione della pace sia per considerazioni di politica generale sia per la salvaguardia degli interessi russi nei Balcani, e non potrei fin d'ora escludere, per quanto mi sembri difficile, che al raggiungimento del fine che si propone non credesse a un momento dato di fare qualche sacrifizio.

929 1 Manca indicazione del giorno di arrivo.

930

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 576/159. Tedjriche, 16 luglio 1912 (per. il 29).

Ho avuto la conferma in via privata e confidenziale a questa legazione di Russia che le operazioni militari contro le tribù del Karadag sono spinte con grande energia e che esse non cesseranno sinché quelle popolazioni bellicose non saranno annichilite. Inoltre la Russia si propone di occupare permanentemente con forze sufficienti alcuni punti strategici della regione per impedire a quei nomadi di fruire dei pascoli con cui essi sostengono i loro grandi armenti. Il che in altri termini equivale all' occupazione militare pura e semplice della sezione orientale dell' Azerbaidjan. Le proteste del Governo persiano rimangono inascoltate.

Il mio cortese interlocutore mi faceva notare inoltre, sempre parlando delle aspirazioni della Russia, essere stata politica costante di questa nella menzionata provincia di ottenere l'allontanamento delle truppe turche dalle posizioni strategiche che esse vi occupano nel settore occidentale, onde possibilmente sostituirvi forze proprie. Mi diceva infine che non sarebbe affatto stupito se al termine della guerra i tal o-turca l 'Italia ottenendo il riconoscimento del pieno possesso della Tripolitania, altre Potenze non procurassero di conseguire per sé dei compensi citando fra gli esempi quello dell'annessione dell'Azerbaidjan da parte della Russia. Non saprei dire se tali manifestazioni rispondano ad una opinione personale del mio interlocutore o se effettivamente a Pietroburgo si pensi di profittare delle circostanze per affrettare il compimento di una non dubbia aspirazione russa, ma la questione mi sembra abbastanza interessante per astenermi dal riferire senz'altro a V.E. quanto mi è stato amichevolmente detto in proposito oggi stesso da persona che forse ha voluto essere sincera.

931

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1408/529. Ramleh (Alessandria), 17 luglio 1912 (per. il 27).

In conformità alle istruzioni contenute nel telegramma di Gabinetto n. 1173, del 7 corrente1 , il noto Mohamed bey venne informato da questa r. agenzia che il Governo di Sua Maestà non intendeva prenderne in considerazione le proposte. Naturalmente, pur senza entrare in minuti particolari, fu cercato di spiegare il rifiuto nel miglior modo poiché l'inviato delle tribù dell'Hedjaz era indubbiamente mosso dal desiderio di ottenere l'appoggio dell'Italia e si è trattenuto lungamente in Egitto a tutte sue spese e senza chiedere nulla per sé.

Si compiacque nell'apprendere che, malgrado il proprio rifiuto, il R. Governo era disposto ad inviare qualche dono allo sceik Dahel Cadi, perché in tal modo

avrebbe potuto dimostrargli di aver dato corso nel modo migliore alla missiOne segreta che gli era stata affidata. Egli richiese dunque, limitando moltissimo le prime domande, due tende ed alcuni regali di vesti e gioielli coi quali il cadi avrebbe potuto più facilmente accaparrarsi il concorso del capo della tribù Barahma. La spesa complessiva sarebbe stata appunto assai limitata.

Ma intanto mi pervenne una nota di S.E. il presidente dell'Consiglio il quale ancor più recisamente si rifiutava di iniziare trattative con le tribù dell'Hedjaz, ed esprimeva seri dubbi tanto sull'attendibilità delle notizie riferite circa il movimento che si preparerebbe in quella regione, quanto sulla stessa integrità personale del Mohamed bey. Per quanto abbia la convinzione che si trattasse di proposte sincere, per quanto poco opportune dal nostro punto di vista e relativamente agli accordi di fatto che ci legano all'Idrissi, ho stimato più consono alla volontà del R. Governo ridurre ancor più la domanda di doni fattami e mi son limitato a promettere al Mohamed bey l'invio delle due tende, che costeranno complessivamente poco più di un migliaio di franchi e che gli farò pervenire a Jambo2 per mezzo del capitano Spagna il quale vi si reca verso la fine di questo mese e di cui potremo valerci in seguito per una eventuale ripresa di trattative.

Il Mohamed bey si dimostrò assai spiacente che le speranze delle tribù venissero deluse, ma si persuase facilmente che era pieno diritto del R. Governo di accoglierne

o meno i desideri. Egli è ripartito subito, cioè fin da domenica scorsa, e si troverà a Jambo verso la fine del mese dove riceverà appunto le due tende.

931 1 Non pubblicato.

932

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, A BARDONECCHIA 1

L. Fiuggi, 19 luglio 1912.

Da stamane mi sento di nuovo male, più che per la gotta o la cura, per un rincrudimento del mio dolore per la perdita di quel figlio, che era mio figlio e mio padre al tempo stesso.

Nella nuova quistione dei Dardanelli, ciò che più importa per ora è che la prima impressione in Europa sia che la chiusura dello stretto è ingiustificata. Perciò è bene il dubbio sulla presenza o meno delle nostre torpediniere in quelle acque ed è necessario che l'Europa sappia che non avevan per iscopo d'attaccare i Dardanelli e di tentarne il passaggio, ma solo di vigilare ed attaccare le torpediniere turche che

932 1 ACS, Carte Giolitti. Ed. in Dalle Carte ... , doc. 79, p. 73.

1017 si sapeva volevano uscire per silurare le nostre navi. Se riusciamo a produrre questa impressione in Europa è probabile che o la Turchia non chiuderà i Dardanelli, o le ire dell'Europa si svolgeranno più contro di lei che contro di noi.

Converrà far altro? Non si può prevedere fin da ora. Ho voluto in un mio telegramma accennarti ad una sgradevole possibilità, non tanto perché oggi io la creda probabile, quanto per un po' d'esagerazione nella preveggenza dei casi possibili.

Certo si è che la Marina, al solito, non avrà eseguito le istruzioni, che erano di non lasciarsi vedere se la riuscita non sembrava molto probabile, e mi pare chiaro che, vedendo da lontano funzionare i riflettori non c'era motivo d'avvicinarsi e si poteva tornar indietro senza lasciarsi vedere. Ora bisogna evitare che indiscrezioni della Marina indeboliscano la nostra versione, e che almeno per un po' di tempo, essa non faccia giochi pericolosi, che senza un vantaggio corrispondente, possano peggiorare di nuovo la nostra migliorata situazione internazionale. Mi pare quindi che le si debba ordinare di non ripetere il tentativo fino a nuovo avviso.

Dico tutto ciò in base alle poche notizie che finora posseggo.

931 2 Sta per Jembo.

933

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON, ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, ATENE E SOFIA E ALL'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO

T. 2951. Roma, 20 luglio 1912, ore 23,50.

Mio telegramma odierno n. 2950 1 A meglio dimostrare quanto ingiustificata sarebbe chiusura dei Dardanelli in seguito alla ricognizione eseguita dalle nostre torpediniere comuncio a V.E. per norma di linguaggio seguente considerazione del

R. Ministero della marina. La chiusura dello stretto mediante mine non si può giustificare colla previsione di attacco di torpediniere in quanto le mine poste a circa tre metri di profondità non impediscono il passaggio di siluranti che hanno pescagione minore. Né si può giustificare coll'ipotesi di una azione delle grandi navi in quanto per chiudere il passo attualmente aperto basterebbero al massimo 40 o 50 minuti anche con personale poco addestrato mentre un tempo di gran lunga maggiore occorrerebbe ad una forza navale per ridurre al silenzio i forti esterni dei Dardanelli e per poter avanzare nello stretto.

Nessuna nave da guerra italiana si trova attualmente nell'alto Egeo.

V.E. (V.S.) vorrà opportunamente e secondo il bisogno valersi di questi argomenti e di quelli comunicati col citato telegramma per esercitare un'azione efficace

presso codesta stampa e codesto Governo allo scopo di impedire che si produca costà una prima impressione a noi contraria qualora il Governo ottomano decidesse la chiusura dello Stretto, la quale pertanto costituirebbe non già una necessità tecnica di difesa militare, ma un ricatto politico all'Europa mediante il danneggiamento inutile del commercio dei neutri.

933 1 T. 2950, non pubblicato.

934

IL PREFETTO MOSCONI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, A FIUGGI

L. Roma, 20 luglio 1912.

Circa azione Dardanelli di cui ho fatto testè comunicare a V.E. telegramma ammiraglio Viale, S.E. Leonardi Cattolica tenuto conto straordinaria importanza militare dell'operazione compiuta condiscende impossibilità che verità non trapeli da altre fonti, proporrebbe seguente comunicato:

«In seguito alle reiterate insistenti, informazioni pervenute al comando in capo delle forze navali, accennanti alla intenzione della flotta turca di tentare una sorpresa contro le nostre navi in Egeo, fu ordinato negli scorsi giorni di intensificare e spingere al nord linee di crociera delle nostre siluranti. Una squadriglia torpediniere, forse, inseguendo siluranti nemiche o per scopo di ricognizione, si spingeva con mirabile ardimento e con ordine perfetto entro i Dardanelli giungendo inosservata sin quasi a Cianah per circa 20 kilometri. Scoperta da numerosi proiettori e fatta segno di nutrito fuoco incrociato dai molti forti delle due sponde, nonchè dalla moschetteria e dalle mitragliere, si spingeva ancora avanti finché constatata che la squadra nemica era in piena efficienza difensiva e protetta da ostruzioni in cavo di acciaio decise ritirarsi constatando assoluta impossibilità di eseguire un attacco alle navi ancorate. Tale ritirata si eseguiva in ordine perfetto sotto il fuoco vivissimo di tutti i forti dei Dardanelli e delle navi ormai messe in allarme, e la squadriglia italiana al completo riguadagnava l'Egeo senza che le siluranti osassero neanche inseguirla. Grazie alla perizia marinaresca e militare, alle saggie disposizioni prese, e grazie anche alla scarsa precisione del tiro nemico le nostre torpediniere riuscirono assolutamente incolumi nel personale e nel materiale. In tal modo poteva compiersi una audacissimna ricognizione che ridonda ad onore della R. Marina ed è prova mirabile dell'abilità e dell'audacia dei comandanti, della disciplina e sangue freddo degli equipaggi».

Mentre mi riservo di sottoporlo al più presto S.E. presidente del Consiglio dei ministri, prego V.E. farmi conoscere se da sua parte lo creda opportuno nella forma proposta oppure ritenga preferibile una versione la quale pure accostandosi verità non faccia cenno esplicito della profonda incursione fatta nello stretto dalle nostre siluranti 1•

934 1 Per la risposta cfr. n. 935.

935

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PREFETTO MOSCONI

COMUNICAZIONE TELEFONICA. Roma, 20 luglio 1912, ore 10,50.

Mi rimetto al presidente del Consiglio 1 . Il comunicato mi pare inevitabile e ben redatto. Certo dal punto di vista delle possibili e varie difficoltà di politica estera, sarebbe stato preferibile non fare sapere che le nostre torpediniere entrarono nello stretto, ma ormai ciò mi pare impossibile, e d'altra parte la operazione militare è così brillante che il renderla pubblica giova al nostro prestigio.

Si potrebbero conciliare in parte queste opposte considerazioni pubblicando il comunicato, e, senza dare assicurazioni ufficiali per l'avvenire, producendo oggi stesso col linguaggio della stampa amica e con quello non ufficiale dei nostri ambasciatori2 la impressione all'estero che non è probabile che un tale tentativo si rinnovi e che esso ha dimostrato che la flotta turca è garentita da così efficaci difese che la chiusura dei Dardanelli non sarebbe giustificata.

Prego telegrafare o telefonare quanto sopra a Giolitti prima di pubblicare il comunicato.

936

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1964/649. Londra, 21 luglio 1912 (per. il 5 agosto).

Ho l'onore di rispondere al dispaccio di V.E. n. 306 del 24 giugno u.s. (Direzione degli affari coloniali) 1 .

Ho fatto presentire sir Edward Grey per sapere se sarebbe disposto ad un'azione presso il Governo francese per porre, se non termine, almeno un freno, un controllo al commercio delle armi e munizioni da Gibuti, con l 'impedire che detta difficoltà continui ad essere un emporio di quelle mercanzie. Non ho ancora avuta risposta.

Il Governo britannico soffre da questo illecito commercio quanto, e forse anzi, più di noi; ne soffre non solo nel Mar Rosso e nelle regioni adiacenti ma anche nel Golfo Persico, dove la Francia non cede una jota nel far valere tutti i benefizii che

2 T. 2950, pari data, non pubblicato. Per il comunicato cfr. n. 934.

1020 può derivare dalle sue convenzioni col sultano di Mascate. Malgrado ciò esso non ha creduto, o voluto, finora procedere a Parigi ad un'energica azione al riguardo.

Fa rimostranze; ne fece, a quanto mi fu detto anche poco tempo fa ma per ragioni di maggior peso, si contenta o deve contentarsi di risultati nulli o quasi. In queste condizioni è lecito intrattenere qualche dubbio sulla probabilità di una risposta affermativa alle aperture che ho fatte fare a sir Edward.

Il pericolo e gli inconvenienti derivanti agli interessi inglesi dal traffico delle armi tollerato dalla Francia nel suo possedimento di Gibuti sono noti al pubblico inglese da varie interpellanze avvenute nella Camera dei comuni. Ieri poi, la Agenzia Reuter, ha pubblicata la lunga e particolareggiata notice che qui acchiudo unitamente al commento fattole dalla Pali Mal! Gazette2 .

935 1 Risponde al n. 934.

936 1 Non pubblicato.

937

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4666. Berlino, 23 luglio 1912, ore 13,43 (per. ore 14,50).

(in cifra) R. addetto militare mi riferisce che operazione Dardanelli ha prodotto buona impressione in questi circoli militari. Nella stampa dal lato (?) 1 diffuso (?) 1 viene messo in dubbio opportunità della mossa ma anche i giornali a noi meno favorevoli giudicano con ammirazione azione marinaresca.

(in chiaro) Capitano di vascello a riposo von Pustau nella Tagliche Rundschau di stamani contrappone incomprensibile immobilità flotta turca con arditezza, flotta italiana. Egli dice entrata Dardanelli dominata centinaia cannoni e con ostruzioni di ogni genere dimostra non solo un coraggio sereno e non curante pericolo ma anche grande fiducia propria abilità marinaresca. Anche se non sono riusciti ad affondare navi turche italiani hanno raccolto preziose informazioni sulla difesa dei Dardanelli. Dippiù la flotta italiana ha potuto così dimostrare coi fatti che spirito d'intraprendente audacia animi i suoi equipaggi e che non è colpa sua se grandi battaglie sono mancate in questa strana, guerra. Anche altri scrittori si esprimono analogamente. Lokal Anzeiger ha telegramma privato da Costantinopoli secondo il quale si sarebbe colà molto meno affermativi circa preteso affondamento torpediniere italiane o sarebbe stata emessa ipotesi che forse navi viste affondare fossero sottomarini che in tal modo sfuggirono.

937 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

936 2 Non si pubblicano gli allegati.

938

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. RISERVATO 2980. Roma, 24 luglio 1912, ore 14,30.

Il telegramma di Depretis inserito nel mio telegramma n. 2935 1 fu comunicato verbalmente a Laroche da De Martino il quale gli osservò che noi manterremo le capitolazioni al Marocco finché e come la Francia le manterrà in Tripolitania. Laroche fece notare che vi è una differenza fra Tripolitania e Marocco causa lo stato di guerra fra noi e la Turchia che impone alla Francia obblighi speciali derivanti dalla neutralità, per cui la Francia non può procedere ad atti che implichino formalmente un riconosciemento della nostra sovranità. Aggiungo in via assolutamente confidenziale risultargli che il suo Governo si trova nelle stesse disposizioni nostre e che se noi facessimo sapere che siamo disposti a largheggiare al Marocco in materia di capitolazioni ugualmente farebbe la Francia in Tripolitania. Laroche concluse che avrebbe riferito il colloquio a Barrère il quale senza dubbio ne avrebbe parlato a Parigi dove prossimamente si recherà.

A me pare che converrebbe entrare nella via del reciproco largheggiare in Marocco e Tripolitania in fatto di capitolazioni purché non avvenga che la Francia ne profitti al Marocco e non ricambi in Tripolitania. Ad ovviare tale pericolo sarebbe in ogni caso necessario provvedere colle maggiori cautele. Le sarò grato di esprimermi il suo parere in proposito. Se V.E. è d'accordo, la autorizzo a trattare in quel senso col Governo francese, lasciando a lei di giudicare se conviene attendere l'arrivo costà di Barrère2 .

939

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1244/222. Londra, 27 luglio 1912, ore 1,35 (per. ore 17,05).

Telegramma di V.E. Gabinetto 12441• Dissi ieri Grey che, rendendomi ben conto delle gravissime difficoltà del momento capivo che il nuovo Ministero ottomano non può aver avuto ancora tempo ed agio di esaminare questione guerra e

2 Con T 4279 del 26 luglio Tittoni comunicava tra l'altro: La mia opinione è che questo Governo non ci contrasterà, in linea di diritto, la reciprocità tra la applicazione delle capitolazioni al Marocco e in Tripolitania, ma in linea di fatto, cercherà di prendersi al Marocco il più possibile e di concedere il meno possibile a noi a Tripoli.

1022 somma convenienza per la Turchia di concludere presto pace. Per tali motivi non rinnovavo precedente raccomandazione per consigli che riconoscevo potrebbero giungere ora prematuri. Tutto tende a lasciare prevedere che, non appena chiarito e consolidato nuovo Governo, Inghilterra si troverà in condizioni di esercitare in Turchia una influenza preponderante; confidavo quindi che, quando quel momento sarà venuto, non mancherà da parte di questo Governo [instantiF consigli in favore di una pace che i fatti dimostrano sempre più necessaria per interessi vitali dell'Impero e per la tranquillità generale. Nel frattempo però mi pareva, sotto ogni aspetto desiderabile il consigliare al nuovo Governo di mantenere massima riserva circa questione guerra per non vincolare con imprudenti dichiarazioni sua futura libertà d'azione. Rispose Grey essere convinto che il nuovo Ministero non può ancora occuparsi della guerra, costretto com'è, prima di ogni altro, a trovare il modo di superare grave crisi che sta ora attraversando Impero. Dalle informazioni qui giunte, sembra che Governo trovasi attualmente in una difficilissima posizione tra la Lega militare che reclama ad ogni costo dissoluzione Camera ed il Comitato, evidentemente ancora in forma, che minaccia rivoluzione se tale provvedimento viene adottato. Sul suggerimento da me dato, Grey, senza prendere impegno, si espresse in modo da !asciarmi impressione che lo riteneva opportuno ed adottabile. Dell'azione Dardanelli, Grey non fece nessuna menzione. Ministro di Bulgaria mi disse iersera risultagli da lettera particolare ricevuta da Sofia, che situazione interna Turchia è anche peggiore di quanto appare e che Gueschoff cominicia trovarsi in seri imbarazzi per calmare agitazione della Nazione bulgara, la quale spinge sempre più Governo a non lasciare sfuggire presente propizia occasione. Ministro avendo chiesto mio avviso, gli dissi non poteva se non ripetergli consigli di prudenza e moderazione, osservando che, con la Turchia, Bulgaria si sarebbe addossata grave responsabilità ed avrebbe fatto un salto nel buio.

938 1 T 2935 del 19 luglio non pubblicato.

939 1 TGab. segreto 1244 del 23 luglio, non pubblicato.

940

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1245/314. Parigi, 27 luglio 1912, ore 21.

Zia Bey non crede che il presente Gabinetto turco alle prese colle difficoltà interne potrà seriamente occuparsi della pace. Potrà far ciò futuro Gabinetto Kiamil se riuscirà a costituirsi fortemente ma non gli sarà facile trattare la pace a condizioni differenti da quelle poste dal Gabinetto Said. L'avvenire quindi e per ciò che riguarda la pace e perciò che riguarda la situazione interna della Turchia si presenta pieno di incertezza. Qui nei circoli finanziari e politici si fanno chiacchiere a pro

posito delle trattative segrete dirette tra Italia e Turchia. A queste chiacchiere l'inopportuno articolo del Messaggero ha dato nuova esca. Alcuni finanzieri mi hanno detto risultar loro che, nelle conversazioni segrete avvenute finora, la Turchia avrebbe chiesto all'Italia di garantire il grande prestito che dovrà fare dopo la pace. lo per non dare alle chiacchiere maggior alimento, ho declinato qualunque conversazione al riguardo.

939 2 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

941

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A ZANZIBAR, FRIGERIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 315 1. Zanzibar, 27 luglio 1912, ore 21 2.

Ho l'onore di rimettere acclusa all'E.V., copia della lettera di protesta che invio a Mr Clarke, agente diplomatico d'Inghilterra, di viva protesta per il prolungarsi indefinito del boicottaggio e dell'agitazione italofoba, che intensificandosi ha assunto ora forma ben più violenta, senza che queste autorità mostrino di voler intervenire almeno là dove sarebbe il loro intervento dovere di Stato neutrale ed ossequio ai trattati.

L'agente diplomatico d'Inghilterra mi ha sempre dato in seguito alle mie proteste buone promesse, pur trincerandosi dietro l'impossibilìtà sua di agire con pressione qualsiasi sulla coscienza religiosa dei mussulmani, ma in verità i provvedimenti che egli promise, specie riguardo alle pubblicazioni di articoli e libelli italofobi nei giornali locali, mai vennero messi in opera. Il signor Clarke si mostra sempre e volentieri all'oscuro di tutto, sin da quando nello scorso novembre avvennero le grandi pubbliche dimostrazioni, il di cui imminente effettuarsi gli venne appreso da questo consolato, e fin d'allora ha tenuto un contegno così, visibilmente favorevole alla popolazione mussulmana che gli agitatori ne trassero baldanza per estendere il boicottaggio contro questo consolato ed il nostro commercio, per calunniare e denunziare gli individui aventi con noi rapporti e che sono ora segnati dal disprezzo pubblico, per ricorrere perfino al sistema delle multe a carico di chi trasgredisse agli ordini loro. Ormai la situazione è tale che è diventata assolutamente impossibile agli italiani residenti in Zanzibar la minima manifestazione cammerciale, e cioè è tanto più strano in quanto che nelle vicine colonie inglesi germaniche la tranquillità a nostro riguardo mai subì la più lieve perturbazione, o se ciò avvenne, il contegno energico dello autorità locali riuscì a far ritornare quasi immantinente la calma e la normalità delle cose; così ad esempio in Kisimayu.

Da ciò risulta più palese ancora lo scorretto contegno del signor Clarke verso di noi, contegno, ho detto, di evidente favoritismo al riguardo dei nostri avversari, né

altrimenti si può definire la passività assoluta che è stata continuamente la sua linea di condotta anche di fronte ad articoli d'infame ingiuria all'Italia come quello che accludo del giornale arabo El Najah3 , e noti l'E.V. che in Zanzibar vige una censura molto severa né può credere il signor Clarke che libelli così violenti, letti da tutta la popolazione, non abbiano l'effetto sicuro di rinsaldare sempre più l'odio contro il nome italiano, come infatti è avvenuto in questi ultimi tempi.

Io sono assolutamente convinto che un contegno giustamente energico di queste autorità avrebbe impedito questa assurda e ormai grave agitazione; risulta all'evidenza dai fatti che espongo nella lettera all'agente diplomatico che, ove la popolazione non fosse sobillata od a volte obbligata con minacce e violenza, la calma sarebbe da lungo tempo ritornata: e non parlo che della popolazione araba ed indiana, che per quanto riguardo i swahili facchini di porto e barcaiuoli quali pur regolarmente ci negano i propri servizi, è notorio che ciò viene loro imposto dai capi sotto pena di licenziamento.

Intanto malgrado la mia energica protesta, edotto ormai dagli antecedenti, ho ragione di dubitare che la condotta dell'agente diplomatico d'Inghilterra abbia a mutare: già in miei precedenti rapporti mi ero di essa lagnato e fin dall'epoca degli incidenti avvenuti nel dicembre scorso, che provocarono la sospensione del servizio regolare dei nostri piroscafi con questo porto. Allora dopo un mio rapporto in proposito, venne interessata la nostra ambasciata in Londra, ma le si rispose che questo signor Clarke aveva preso tutti i provvedimenti possibili all'uopo. Tali provvedimenti, come già ebbi l'onore d'informare l'E.V., constarono nel mettere una guardia al Consolato e nel darmi a disposizione per poche ore una piccola imbarcazione: mentre il nostro piroscafo partiva senza aver potuto né caricare merce, né scaricarne tranne una piccola quantità che il malvolvere dei facchini del porto, lasciò affondare. Per di più l'agente di polizia indigena accusato di aver minacciato di morte gli uomini dell'agenzia della Società nazionale se non abbandonavano tosto il lavoro, venne semplicemente minacciato di licenziamento in caso che il fatto si fosse ripetuto; gli altri agenti accusati d'insolenze non vennero neppure sottoposti a giudizio disciplinare come l'E.V. venne da me informata, dopo questa prima esplosione d'italofobia la calma ritornò per lunghi mesi e sembrava che l'agitazione avesse ad assicurarsi di per se stessa ma da tre mesi circa, prima con isolate manifestazioni, poi con un succedersi molteplice di fatti tutti di rilevante gravità, l'antico stato di cose ritornò con maggiore veemenza ancora fino a ridurre a zero, come attualmente, il commercio esercitato dagli italiani qui residenti.

Faccio presente a V.E. il gravissimo e non improbabile pericolo che questa nuova agitazione, se non repressa a tempo, si estenda ora nella vicina colonia dell'Africa Orientale inglese dove gl'interessi italiani sono ben più considerevoli che non in Zanzibar e confido che mediante un'energica azione un ambiente normale e tranquillo ritorni in Zanzibar, con esso il rispetto della libertà di commercio ora in tutti i modi calpestata, che il diritto delle genti ed i nostri trattati con questo sultano ci dovrebbero garantire.

941 1 Non rinvenuto l'originale del documento si pubblica la copia dell'ambasciata a Londra priva degli allegati. 2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

941 3 Non si pubblica.

942

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO 1263. Roma, 29 luglio 1912, ore l.

I ministri della guerra e della marina per le seguenti ragioni tecnico-militari insistono per l'occupazione dell'isola di Nicaria: l) l 'Isola di N i caria costituisce una linea di copertura che si collega ad est con la neutrale Samos o con le coste dell'Asia Minore, ad ovest col gruppo delle Cicladi. 2) Gli specchi d'acqua interposti fra questi gruppi di isole sono di dimensioni limitate e quindi facili a sorvegliarsi; fra l'isola di Miconiso e Nicaria intercedono soli km. 40, fra Nicaria e Samos 18 km.; fra Simos e la costa dell'Asia minore 2 km. Fra le varie isole del gruppo delle Cicladi gli interposti canali non superano la larghezza di l O km. 3) Le nostre forze navali, dislocate lungo questa linea di facile sorveglianza e difesa, possono garantire col minimo delle forze la sicurezza dei presidi de li'Egeo meridionale, rimanendo quindi in buona parte disimpegnate dall'obbligo che loro incombe attualmente di battere lo specchio d'acqua a nord della linea suddetta. Ciò che è evidentemente vantaggioso non solo nei riguardi militari, ma anche in quelli internazionali, pur non potendo non prendere impegni in proposito. Non ostante tutte queste buone ragioni è evidente che noi non possiamo occupare Nicaria senza il consenso dell'Austria a cagione dell'articolo settimo e che non ci conviene chiedere tale consenso se non siamo sicuri di attenerlo. Prego quindi V.E. di telegrafarmi subito il suo parere e di farmi anche conoscere se crede di poter mandare costì il terreno non già ufficialmente ed a nome del R. Governo, bensì facendo cadere su questo argomento la conversazione con Berchtold in modo di assicurarsi se conviene o no fare poi qualche passo ufficiale 1 .

943

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1728/707. Vienna, 29 luglio 1912, (per. il 23 agosto).

Nel trasmettermi col dispaccio riservato, segnato in margine, copia di un memorandum steso dal signor Chedo Mijatovich 1 , in collaborazione con alcuni membri della Peace society contenente considerazione circa la conclusione della pace tra l'Italia e la Turchia, nonché un progetto di trattato inteso a tale scopo, V.E. manifesta il desiderio che io le comunichi il mio pensiero in proposito.

943 1 Cfr. allegato al n. 905.

I due modi di procedere che, secondo il memorandum, sarebbero i soli adatti per addivenire alla pace fra l'Italia e la Turchia non mi sembrano poter essere attuati in pratica, perchè non sarebbe da ammettere: l) che gli arabi siano per indursi, per ora almeno, a negoziare direttamente coll'Italia su di una base ragionevole per farle raggiungere il possesso della Tripolitania e della Cirenaica senza ulteriori combattimenti; 2) che le potenze, date le rispettive loro diffidenze ed il timore che hanno di compromettere i loro interessi nell'Impero ottomano, possano adoperarsi, come l'esperienza ci ha insegnato ad avvicinare contemporaneamente l'Italia e la Turchia per porre termine alle ostilità e concludere la pace.

Circa i tre fatti che il memorandum riconosce non doversi dimenticare per conseguire lo scopo che si prefigge, essi corrispondono, mi pare, alle nostre vedute e non potrebbero quindi non essere da noi accettati.

Infatti se noi non possiamo transigere ad alcun costo sul principio della nostra piena ed intera sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica, noi desideriamo tuttavia evitare di ferire l'amor proprio della Turchia e procurare anzi di soddisfarla, ove sia possibile, senza venir meno al principio suddetto.

D'altra parte noi non abbiamo avuto né abbiamo intenzione di fare colla Turchia un contratto di compra-vendita della Tripolitania e Cirenaica accordandole un compenso in denaro per entrare in possesso di quelle regioni, che abbiamo già conquistate in parte, colle nostre armi. Ma siamo disposti ad elargire alle popolazioni arabe quei benefici della civiltà, di cui non godono ancora; e tutte quelle franchigie consentite dalle nostre leggi.

Accennando alle linee fondamentali di un eventuale trattato di pace, il memorandum propone che esso consti di un articolo primo ed unico, col quale le parti contraenti dichiarerebbero che «la pace è ristabilita tra l 'Italia e la Turchia».

Non si indica però nel memorandum in che modo questa pace verrebbe ristabilita.

La prima condizione per addivenire a preliminari di pace consiste nella cessazione delle ostilità tra i due belligeranti.

Per ragioni ovvie e già da me esposte ripetutamente in altre circostanze, noi non potremmo ammettere che la cessazione delle ostilità sia preceduta da un armistizio. Le ostilità potrebbero esser da noi considerate come cessate del tutto nel caso soltanto che le truppe ottomane evacuassero completamente la Libia.

Per l'opposizione però che il ritiro delle proprie truppe dalla Libia incontrerebbe da parte della Turchia che lo ritiene lesivo del suo prestigio, la questione della cessazione delle ostilità sembra, per il momento, di una soluzione piuttosto difficile per non dire impossibile.

Il piano attribuito a Kiamil pascià (dispaccio Gabinetto n. 29 del 30 giugno scorso)2 , secondo il quale la Sublime Porta non invierebbe nessun soccorso nè di uomini, nè di denaro alle proprie truppe in Libia abbandonandole a loro stesse e libere di rimpatriare o rimanere, potrebbe forse agevolare, in certo modo, la definizione della questione.

Ma, siccome feci rilevare nel mio rapporto riservato n. 587 del 9 luglio ultimo 3 , data la malafede della Turchia noi non potremmo prendere in considerazione il piano suddetto che dopo avere ottenuto garanzie tali che ci assicurino che esso sarebbe in pratica, seguito realmente e ciò per non esporci a qualche sorpresa da parte sua.

Per l'esecuzione poi del trattato di pace il memorandum propone di farlo seguire da un protocollo addizionale nel quale verrebbero precisati i singoli particolari.

Al paragrafo A dell'articolo l di tale protocollo si stabilisce che le truppe turche sgombrerebbero la Tripolitania e la Cirenaica entro un mese dalla data della conclusione della pace e che l'esercito e le autorità ottomane faciliteranno in modo amichevole la partenza di quelle truppe concedendo loro i pieni onori militari.

Se la Turchia si decidesse a stipulare con noi un vero trattato di pace, mediante il quale ci cedesse la Libia in piena ed intera sovranità, od in altro modo che credesse più confacente al suo prestigio, la permanenza delle sue truppe in quella regione, dopo la conclusione della pace, sarebbe giustificata e potrebbe essere da noi ammessa.

Ma siccome la Sublime Porta non sembra disposta a consentire ad una simile cessione o a qualsiasi altro atto che potrebbe essere interpretato quale una rinunzia da parte sua al possesso della Tripolitania e Cirenaica non sarebbe certo il caso di parlare di quanto si stabilisce al paragrafo suddetto.

Altrettanto si potrebbe dire del paragrafo B, non essendo possibile per le regioni sopra esposte che la Turchia usi della sua influenza sopra gli arabi per agevolarci la pacifica occupazione della Libia.

Per ciò che riguarda gli impegni formali che l 'Italia dovrebbe assumere per gli atti specificati nei paragrafi successivi fino a quello D inclusivo, e relativi alla protezione del culto musulmano e della nazionalità araba, al mantenimento ed allo sviluppo delle scuole nazionali arabe ed al mantenimento delle vedove e degli orfani degli arabi caduti sul campo di battaglia, essi non potrebbero incontrare certo opposizione da parte nostra.

Infatti il primo degli atti suddetti trovasi già menzionato tra le nostre condizioni di pace formulate nella nota del 15 marzo scorso alle Grandi Potenze e quanto agli altri atti, essi costituiscono parte integrante del nostro diritto pubblico interno.

Ma noi non potremmo certo consentire alla condizione di cui al paragrafo E relativo all'innalzamento nei giorni festivi della bandiera turca, insieme a quella italiana, su tutti i forti esistenti in Tripolitania e Cirenaica perchè tale condizione costituirebbe, da parte nostra un riconoscimento della sovranità del sultano su quelle regioni. A questo proposito giova ricordare che se durante il periodo dell'occupazione della Bosnia-Erzegovina, l'Austria-Ungheria autorizzò l'innalzamento sui minareti della bandiera politica ottomana (rossa) quale riconoscimento della sovranità del sultano, il Governo imperiale e reale però, avvenuta l'annessione di quelle provincie alla Monarchia non permise che l'innalzamento sui minareti della bandiera

1028 religiosa ottomana (verde). E ciò soltanto potrebbe essera da nm ammesso senza alcuna difficoltà.

Infine al paragrafo F del protocollo addizionale suddetto si stabilisce che l'Italia rimetta annualmente al tesoro ottomano una somma di franchi 500.000 quale contributo netto della Tripolitania e Cirenaica. Un tale pagamento non potrebbe esser da noi consentito nella forma indicata, perchè potrebbe esser interpretato quale un tributo che il R. Governo paga al Governo ottomano pel possesso della Libia ed esso del resto sarebbe in contraddizione con quanto si afferma nella prima parte del memorandum, in cui si accenna ai fatti che non devonsi nè si possono dimenticare, che la Turchia, cioè, non può accettare alcun compenso in danaro.

Nella nota del 15 marzo scorso alle Grandi Potenze, relativa alle condizioni di pace, il R. Governo fece conoscere già gli obblighi finanziari che sarebbe disposto ad assumere di fronte alla Turchia, ove si addivenisse alla soluzione del conflitto. Altri obblighi finanziarii non potrebbero esser da noi assunti, qualora l'eventualità sudetta si verificasse.

In complesso gli autori del memorandum, come lo dimostrano alcune delle proposte ivi formulate, non sembrano essersi reso un conto esatto delle vere disposizioni dell'Italia e della Turchia.

Essi poi sono partiti dalla supposizione che la Turchia possa indursi, nelle circostante presenti a stipulare coli 'Italia un trattato formale di pace in cui le riconosca il diritto di esercitare in Libia «ogni potere civile, politico e militare» ciò che non sarebbe nelle intenzioni della Sublime Porta, almeno pel momento.

Inoltre, nel determinare le linee fondamentali dell'eventuale trattato di pace, il memorandum non si occupa della sua esecuzione che nei riguardi soltanto della Tripolitania e Cirenaica e non già nei riguardi dell'Impero ottomano in generale. Per cui omette di parlare del ristabilimento dello «Statu quo ante bellum» per i nostri diritti ed interessi neIl 'Impero stesso (capitolazioni, relazioni commerciali, uffici postali, scuole, ospedali eccetera).

Questo però è un punto di tale importanza che, ove soltanto la Turchia fosse disposta a darvi piena ed intera soddisfazione noi potremmo consentire a cessare le ostilità, giacchè, in caso diverso, esporremmo i nostri interessi nell'Impero ottomano a quelle gravi conseguenze da me segnalate nella lettera particolare del 16 gennaio scorso4 .

Ma se non si può sperare per ora di stipulare colla Sublime Porta, un vero trattato di pace, le disposizioni più concilianti di cui sarebbe animato il nuovo Gabinetto potrebbero forse offrire la possibilità di addivenire alla conclusione di un «modus vivendi» che ponga termine allo stato attuale di guerra.

La via che il R. Governo ha creduto ora di scegliere per far un simile tentativo entrando in conversazioni ufficiose ed indirette colla Turchia a mezzo di persone di sua fiducia, è indubbiamente la via che corrisponde più d'ogni altra alla nostra dignità ed è quella stessa che mi permisi di suggerire fino dal 17 novembre 1911,

con telegramma segreto, n. 6885 e con successivo telegramma segreto n. 724 del 25 delle stesso mese6.

Essa, col darci agio di conoscere meglio le intenzioni del Gabinetto attuale, potrebbe facilitare la ricerca d'una formula che, pur evitando di urtare i sentimenti della Turchia, implichi, senza dichiararlo esplicitamente la rinunzia, da parte sua, al possesso della Libia, in quella forma che giudicherà più confacente al prestigio e venga a definire, conseguentemente le due questioni essenziali della cessazione delle ostilità e della restitutio in integrum dei nostri diritti ed interessi nell'Impero ottomano.

942 1 Per la risposta cfr. n. 944.

943 2 Non pubblicato.

943 3 R. 1488/587, non pubblicato.

943 4 Non rinvenuta.

944

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1257/231. Vienna, 30 luglio 1912, ore 7,10 (per. ore 20,50).

Telegramma di V.E. Gabinetto 1263 segreto 1 . V. E. ricorderà che in, seguito allo annunzio da me dato a Berchtold il 21 maggio scorso dell'occupazione, da parte nostra, delle isole dell'Egeo dalle quali erano state tolte guarnigioni e autorità turche, ed alla intenzione del R. Governo di occupare eventualmente isola di Chio da me manifestatagli il 31 dello stesso mese, egli mi ha dichiarato nel modo più formale: quanto alla prima di quella enunciazione, che se noi avessimo proceduto ad ulteriori occupazioni di isole dell'Egeo, non avrebbe potuto consentirvi e nel !asciarci piena responsabilità per tali eventuali occupazioni si sarebbe riservato il diritto a compensi di cui potrebbe prevalersi alla evenienza (mio telegramma Gabinetto 159, segreto)2; rispetto alla seconda enunciazione, che se avessimo effettuata occupazione di Chio, noi l'avremmo compiuta sotto nostra responsabilità ed egli si sarebbe riservata piena libertà d'azione, secondo il corso degli eventi, equivalente, secondo interpretazione da lui stesso data a tale espressione, allo svincolo da qualsiasi impegno assunto dalla Monarchia con il trattato della Triplice Alleanza e con l'accordo segreto (mio telegramma Gabinetto 179, segreto)3 . Queste esplicite dichiarazioni che non hanno certo bisogno di commenti non possono, mi sembra, lasciare alcun dubbio sullo esito sfavorevole che avrebbero i passi che fossimo per fare presso Berchtold [anche ]4 in via del tutto personale per tastare il terreno anche e conoscere se sarebbe disposto a dare suo consenso ad una eventuale nostra occupazione di Nicaria. Non è infatti da supporre che, a una distanza di due mesi appena, Berchtold non essendo nel frat

6 Cfr. n. 475.

2 Cfr. n. 854.

3 T. Gab. segreto 908/179 del 31 maggio, non pubblicato.

4 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna.

tempo avvenuto alcun cambiamento nelle circostanze politiche, abbia potuto modificare suo punto di vista sulla questione. Tuttavia, qualora VE., nonostante le considerazioni che precedono, stimasse conveniente che io facessi un simile tentativo, io potrei entrare in materia con Berchtold accennando alle disposizioni che, secondo alcune informazioni, sarebbero attribuite alle popolazioni di Nicaria di scacciare autorità turche e di innalzare la bandiera greca (telegramma V.E. 3013)5 . Nel fargli rilevare gravi conseguenze che potrebbero derivare da questo fatto per lo svolgimento ulteriore delle aspirazioni elleniche alla autonomia e per la ripercussione che sarebbe per aversi sulle popolazioni delle altre isole dell'Egeo, gli farei conoscere che in tale eventualità noi potremmo, forse, trovarci, nostro malgrado, nella necessità di occupare isola suddetta. E siccome nel prendere questa decisione, noi avremmo avuto unicamente in vista di prevenire maggiori complicazioni [anche] 6 nelle isole da noi già occupate, ove ci siamo adoperati con successo ad attutire siffatte aspirazioni, io non dubitava che egli non avrebbe potuto non approvare tale decisione che sarebbe stata presa nello interesse stesso dell'Europa e della pace generale.

Dal modo come Berchtold si esprimerebbe, io potrei rendermi conto ancora più esatto delle sue disposizioni attuali e constatare quindi se convenga o non fare qualche passo ufficiale per ottenere suo consenso all'occupazione da parte nostra dell'isola suddetta.

943 5 T. segreto 7142/688 in realtà del 18 novembre, non pubblicato.

944 1 Cfr. n. 942.

945

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 2041/678. Londra, 30 luglio 1912 1.

Con altro mio rapporto 2 ho riferito a V.E. sulla recente discussione avvenuta nelle due Camere del Parlamento inglese a proposito dei crediti supplementari per la marina e per il Comitato di difesa imperiale.

Credo opportuno aggiungere in via riservata, alcune informazioni ed osservazioni sull'importante e delicato argomento.

Il dibattito parlamentare suaccennato è stato una novella e più tangibile dimostrazione del malessere, dell'irrequietezza, della nervosità qui generalmente prevalenti e che non possono di certo passare inosservati, per la ripercussione che hanno nelle relazioni della Gran Bretagna con l'estero, ed in modo speciale con la Germania.

6 Integrazione del decifratore.

2 Si tratta probabilmente del R. 2033/674 del 27 luglio non pubblicato.

Si verifica al momento presente in questo paese un fenomeno assai curioso. Il Governo per bocca del segretario di Stato per gli affari esteri, del primo ministro, del lord cancelliere dichiara e in modo solenne ed enfatico che le relazioni attuali anglotedesche sono «eccellenti», inspirate a fiducia, benevolenza, ad amicizia reciproca. L'ambasciatore di Germania per conto suo si affanna, da che è giunto a proclamare su tutti i toni, a chi vuoi saperlo, le intenzioni pacifiche ed amichevoli della Germania verso l'Inghilterra. Il linguaggio della stampa tedesca di quella inspirata almeno, si è sensibilmente addolcito. Conseguenza naturale di tutte queste manifestazioni da parte dei personaggi responsabili, dovrebbe essere un sentimento di maggiore tranquillità per il presente, di maggiore fiducia per il futuro. Si verifica invece proprio il contrario. Nelle conversazioni private, parlamentari, pubblicisti, militari, uomini di affari, si lasciano andare alle più fosche previsioni e parlano come se i più gravi avvenimenti dovessero scoppiare ad una più o meno imminente scadenza. E così si spiegano quelle notizie sensazionali che da un momento all'altro, senza alcun motivo si diffondono per i corridoi della Camera, ed inspirano allarme che poi alla prova dei fatti risulta ingiustificato. In un mio recente colloquio con sir.

E. Grey gli ho chiesto se poteva aiutarmi a spiegare questo fenomeno, la cui constatazione sovente mi tormenta e genera in me apprensioni sulla esattezza dei miei apprezzamenti sulla situazione, circa la quale, basandomi sulle esplicite dichiarazioni, private ed ufficiali di lui e di altri ministri, non mi è possibile di non dare al mio Governo una nota relativamente ottimistica. Mi rispose sir Edward che la nota da me data è giusta, visto che fra i Governi di Gran Brettagna e di Germania, le relazioni attuali sono realmente migliorate, e, qui ed a Berlino, discorrendosi degli affari di comune interesse con grande franchezza e mutua fiducia. Ciò non toglie, osservava il segretario di Stato, che l'esistenza della nervosità e del malessere da me constatati, è innegabile. Il motivo per cui the man in the street, che ignaro delle conversazioni e delle assicurazioni scambiate tra le Cancellerie giudica la situazione col semplice buon senso, si mostra inquieto e preoccupato è duplice. In primo luogo, per quante dichiarazioni si possano fare in Parlamento e fuori, sulle disposizioni pacifiche della Germania, nessuna arriverà mai a persuadere il grosso pubblico inglese che la potentissima marina tedesca non abbia per iscopo di distruggere quella supremazia, navale, alla quale l'Inghilterra non può rinunziare senza mettere a repentaglio la sua esistenza come Nazione.

«Se, per una mera ipotesi, la flotta germanica avesse la peggio in un combattimento con la nostra, il fatto costituirebbe per la Germania, di cui la potenza e l'efficenza sono principalmente basate sulla sua supremazia militare, un semplice incidente spiacevole, mentre per noi il fatto stesso sarebbe un'irreparabile jattura».

In secondo luogo, non è facile dissipare le preoccupazioni del pubblico, quando si ponga mente che ornmi la flotta tedesca è stabilmente mantenuta sul piede di guerra e che, per conseguenza, noi siamo costretti a fare altrettanto. La situazione delle due marine è paragonabile a quella di due eserciti di paesi limitrofi in pieno assetto di mobilitazione. ln una sola notte le due flotte potrebbero trovarsi pronte a combattere l'una contro l'altra. Se un incidente, per fortuna oggi imprevedibile, ma sempre possibile venisse a scoppiare, mancherebbe, a comporlo amichevolemente, quel tempo di cui, in caso di guerra terrestre, si può sempre disporre fino a quando la mobilitazione dei due eserciti non sia ultimata.

Ciò dicendo, concludeva il segretario di Stato, non intendo menomamente formulare neri prognostici, i quali, ripeto, non sarebbero in alcun modo giustificati dallo stato attuale delle nostre relazioni con la Germania sensibilmente migliorate. Ho voluto soltanto cercare di spiegarvi quello stato d'animo dell'opinione pubblica da voi segnalatomi.

Sulla gravità del fatto del trovarsi le due flotte in completo assetto di guerra, insisteva in modo più speciale sir Arthur Nicolson che nel fatto stesso ravvisava la causa principale dell'apprensione della grandissima maggioranza del popolo inglese. Dopo di avere accennato alla inutilità delle assicurazioni date usque ad nauseam dal barone Marschall sull'esagerazione di siffatte apprensioni, sir Arthur riassumeva così il suo pensiero: «Motivi reali e positivi di temere un conflitto oggi, per fortuna non esistono. Ma nessuno è in grado di assicurare se e fino a qual punto l'opinione pubblica inglese rimarrebbe calma in caso di un nuovo telegramma a Kruger, ovvero di un nuovo colpo di Agadim.

In termini ad un dipresso analoghi a quelli adoperati da sir Edward Grey, si esprimeva meco anche il signor Balfour col quale ebbi occasione di discorrere a lungo su questo argomento di attualità. Il signor Balfour però, per conto suo, si rifiuta a credere alla probabilità di un conflitto armato anglo-tedesco, che, per essere destinato a scatenare fatalmente una guerra europea, sarebbe un atto di somma insanità. Questo concetto mi diceva l'ex capo dell'opposizione, mi sono studiato di illustrare nel mio recente discorso alla Camera ma le mie vedute ottimistiche, purtroppo, non hanno incontrato favore presso i miei amici.

Dopo di avere fino a qui riassunto il punto di vista inglese, penso riescirà interessante per V.E. di conoscere il pensiero del mio collega di Germania. Il barone Marschall si è mostrato meco in complesso soddisfatto per le dichiarazioni del Governo, non senza però deplorare che il primo lord dell'Ammiragliato abbia creduto di esagerare considerevolmente pour les besoins de la cause nell'esposizione delle condizioni di efficenza della flotta tedesca e di persistere nel suo sistema poco giovevole allo sviluppo delle buone relazioni tra i due paesi di addentrarsi con ogni sorta di particolari in odiosi paragoni tra una marina e l 'altra. Questo sistema, rilevava il mio collega, è semplicemente assurdo e molto pericoloso. La Germania e la Russia sono due Stati limitrofi, hanno entrambe un potentissimo esercito, ma né nel Reichstag né nella Duma si è mai pensato a paragonarli punto per punto, quasi che essi dovessero dal giorno all'indomani entrare in campagna l'uno contro l'altro. Il barone Marschall spiega la nervosità attuale del popolo inglese che dà, secondo lui, in questo momento uno spettacolo stupefacente e ritenuto impossibile qualche anno addietro, con due cause: l) la ferita inferta all'orgoglio britannico daJia brutale constatazione che la tradizionale sua supremazia navale non è minacciata, ma già nel fatto compromessa, dallo sviluppo e dall'incremento della Marina tedesca. 2) Un vero e proprio «panico» per le conseguenze che da tale incremento possono derivare a danno degli interessi inglesi in caso di conflitto con la Germania. Il grosso pubblico, aggiungeva il barone Marschall, ritiene ancora che la Marina britannica sia in efficenza ed abilità marinaresca, ancora di gran lunga superiore a quella germanica. Coloro però che sanno o almeno dovrebbero sapere, non possono onestamente dissimularsi che la nostra marina è oggi se non in numero certo in schlagfertisgkeit, uguale se non superiore alla loro, e che unità per unità una nave tedesca vale quanto se non di più di una inglese. Volendo, pure alla peggior lettura ammettere che in una azione navale, noi si avesse la peggio, potete star pur sicuro, che per ogni nave nostra affondata o posta fuori combattimento, vi sarebbe una nave inglese in condizioni analoghe. E in tal caso è lecito arguire che la superiorità navale dell'Inghilterra di fronte alle Potenze marittime, si ridurrebbe a zero. Queste considerazioni delle quali non può certo disconoscersi il fondamento, conducono il barone Marschall ad escludere, per quanto è umanamente dato prevedere, ogni probabilità di un conflitto di cui la Germania non ha alcuna intenzione di prendere l'iniziativa, ad a provocare il quale l'Inghilterra dovrà pensare due o anche tre volte, prima di imbarcarsi in un'avventura che potrebbe riservarle qualche sgradita sorpresa. «A noi», -affermava S.E. «non passa nemmeno per il capo, di fare mosse subitanee di natura a provocare il corruccio dell'Inghilterra, ma ..... dato e non concesso il ripetersi di un nuovo colpo di Agadir, sull'opportunità del quale persisto a fare riserva, io sono a domandarsi se realmente l 'Inghilterra malgrado tutto il clamore ed il risentimento della stampa e della così detta opinione pubblica, arriverebbe fino al punto di dichiararci la guerra. Il barone Marschall pensa inoltre che questo nuovo "naval scare" sia da attribuirsi in parte all'ambizione personale ed al desiderio di popolarità del signor Winston Churchill, ed in parte alla tattica dell'opposizione che ha con entusiasmo afferrata una propizia occasione per dare addosso al Governo. A ristabilire la calma, ad eliminare sempre più le frizioni, provvederanno, col tempo, il buon senso del popolo inglese, e l'influenza del partito radicale, il solo che in questo momento di irrequietezza generale dia la prova di senno e ragionevolezza e si mostri cosciente dei rimedi necessari per purificare e risanare stabilmente l'attuale irrequieta e malsana atmosfera».

Su questo punto io mi permetto di dissentire dal barone Marschall, e non dubito che dissentirà anche V.E. conoscitore esperto di questo paese. La questione della supremazia navale inglese non è questione di partito: è questione eminentemente nazionale. Ciò è dimostrato ampiamente dalle dichiarazioni esplicite e dal contegno risoluto del presente Governo, che, nelle altre questioni più che liberale può dirsi, radicale addirittura. L'influenza dei radicali per il momento è nulla, per quanto concerne la politica estera che trova il consenso di quasi tutta la Camera. E se di tale affermazione occorresse una nuova prova, la si potrebbe facilmente trovare nel numero esiguo di deputati (39 in tutto) che dopo il discorso dell'onorevole Ponsonby, levato al cielo dal barone Marschall, come un discorso di vero uomo di Stato, hanno votato contro i crediti supplementari chiesti dal Governo per le spese della Marina.

Non mi pare prudente far troppo assegnamento sull'influenza preponderante del partito radicale, ora appunto, che per un cumulo di circostanze, vi sono multiformi indizi che lascerebbero adito a considerare come probabile il ritorno al potere, fra un anno o due, se non prima del partito conservatore.

Del pari mi sembra che l'ottimismo del barone Marschall vada oltre il segno, allorquando gli fa considerare come non impossibile un futuro rilassamento della presente intimità anglo-francese, ed un conseguente sgretolamento della Triplice Intesa, a favorire il quale, il miglior metodo a parere del collega è quello di astenersi scrupolosamente da qualsiasi tentativo diretto o indiretto per indurre l 'Inghilterra a modificare l'orientamento attuale della sua politica estera. Consento nell'opportunità della scelta del metodo, ma quanto al verificarsi del prognostico del barone Marschall, ritengo preferibile non avventurarmi in disquisizioni e congetture, a proposito di avvenimenti forse possibili in fututo, ma certo all'ora presente non offerenti alcuna probabilità di pratica realizzazione.

Da quanto le sono venuto fin qui riferendo ella potrà, signor ministro, rilevare che sulle relazioni presenti e future anglo-germaniche il barone Marschall, nutre, o quanto meno ostenta un ottimismo, assai più intenso di quello che si può scorgere dal linguaggio dei personaggi responsabili inglesi, ed in nessuna correlazione con la corrente prevalente nella pubblica opinione in questo paese. La differenza mi pare facilmente spiegabile. Il barone Marschall parla in sostanza come chi, avendo la coscienza della propria forza, si sente in grado di tirare diritto per la sua strada, quale che essa possa essere, senza preoccuparsi di possibili ostacoli sul suo cammino. Ma è proprio questa sicurezza che inspira apprensioni qui, dove, quello che si paventa non è già un'aggressione diretta della Germania, ma i propositi a torto od a ragione attribuitile di voler, contando sulla sua efficenza navale, raggiungere pacificamente alla realizzazione di apirazioni espansionistiche, anche se le medesime fossero lesive degli interessi britannici. Il che porrebbe questo Paese nella penosa alternativa o di incaricarsi con danno esiziale del proprio prestigio, o di opporvirsi senza però più trovarsi, come in passato, in condizioni di schiacciante superiorità. Dal parlare del barone Marschall s'intravede che gli propende per la seconda alternativa. Se vede giusto o s'inganna lo diranno gli avversari futuri. Preferisco quindi !imitarmi ad augurare nell'interesse della pace generale dell'Europa che l'alternativa suaccennata resti sempre allo stato di mera ipotesi.

Lo stesso barone Marschall tuttavia, malgrado l'ostentato ottimismo, non mi ha celato, in un momento di espansione, le sue preoccupazioni per le conseguenze funeste che fatalmente dovrà avere la continuazione di questa insensata gara di armamenti navali, gara che egli stesso riconosce, finirebbe per condurre ad una guerra. Questo suo modo di vedere, mi ha confidato, avere chiaramente manifestato a Berlino, avvertendo che la nervosità inglese, per quanto ingiustificata, esiste realmente, e che conviene quindi tenerne debito conto. Il barone Marschall non si è pronunziato sulle decisioni future del suo Governo, circa la presentazione o meno di un programma navale. A suo avviso le decisioni dell'ammiraglio tedesco dipenderanno dall'entità del programma che verosimilmente, sarà sottoposto nel prossimo anno a questo Parlamento. Se la proporzione si mantiene nei limiti di cinque a tre, è probabile che l'ammiraglio Tirpitz vero arbitro della situazione, si terrà pago di quello che ha ottenuto e non chiederà di più. Se tale limite verrà ecceduto sarà impossibile evitare la domanda di crediti per un corrispondente numero di navi tedesche.

Lasciando comunque da parte la rivalità marittima anglo-germanica come probabile causa di un conflitto diretto, il barone Marschall non dissimula nemmeno un sentimento di vaga apprensione, per la possibilità di un conflitto francogermanico, nel quale l'Inghilterra si crederebbe obbligata ad intervenire a fianco della Francia. Questa apprensione è motivata da quel certo esprit nouveau verificatosi in Francia, l'anno scorso in seguito alla controversia per il Marocco. L'accentuata combattività di quelle disposizioni francesi, segnalate anche da S.E. il senatore Tittoni, non sembrano al mio collega scomparse e neanche attenuate, come avrebbe ragionevolmente dovuto accadere, dopo l'accordo di cui, a suo parere, i vantaggi sono tutti per la Francia. Di questa combattività francese, di queste rinnovate aspirazioni «verso la revanche», che possono ad un dato momento costituire un serio pericolo per la pace il barone Marschall addossa in gran parte la responsabilità ali 'Inghilterra, che, con l 'intervenire in modo così teatrale, e con tono così minaccioso nella discussione che si svolgeva in modo relativamente tranquillo e sereno, tra Berlino e Parigi, ha fatto entrare nella testa dell'eccitabile Nazione francese, la convizione che ormai, grazie all'aiuto sicuro dell'Inghilterra, si avvicina il momento sospirato di tradurre in atto, con ogni probabilità di successo, le sue aspirazioni di rivincita.

Su questo punto il barone Marschall mi ha detto di avere parlato in modo chiaro ed esplicito al signor Asquith, a sir E. Grey ed a lord Haldane. Ai quali ha fatto rilevare, tra l'altro che la stampa inglese, col vezzo preso da qualche tempo dai critici militari -il nostro amico colonnello Repington in capite listae -di levare al cielo l'esercito francese e di criticare a sproposito, ed in ogni circostanza, quello tedesco, con lo studio evidente, di fame rilevare l'inferiorità di fronte alla rivale, rende un pessimo servizio alla causa della pace in generale, ed alla Francia in particolare, spingendola ad entrare in una via falsa in fondo alla quale essa potrebbe trovare una catastrofe. E su questo argomento il barone Marschall, parlandomi ben inteso in via strettamente segreta, mi ha detto cosa che mi ha assai colpito nel manifestarmi la sua personale convizione che <~amais la Russia marchera contre nous et en cas de conflit elle trouvera un pretexte quelconque pour se tenir à l'ecart, et se reserver le grand ròle d'arbitre supreme des déstinés d'Europe3».

Se e fino a qual punto sia fondata, e su quali elementi di fatto basata tale convlZlone, io naturalmente non so. Senza commenti mi limito quindi ad informame V.E.

La triste conclusione, che purtroppo si deve dedurre da tutto questo, mi pare sia quella che lo stato delle relazioni anglo-germaniche, ad onta delle dichiarazioni di questi ministri, rimanga stazionario, incerto e precario come prima. E tale sembra destinato a rimanere fino a quando perdurerà la causa primordiale che lo ha generato ed intensificato e reso ormai, senza dubbio alcuno pericoloso: la rivalità cioè, nella potenza navale. Altre cause di divergenza tra i due paesi o non esistono o sono facilmente eliminabili. Su questo punto debbo confessare di essermi al principio del mio soggiorno a Londra ingannato, ritenendo che la rivalità navale fosse solo una conseguenza, e che pertanto, migliorate le relazioni dei due paesi, la rivalità stessa si sarebbe andata gradatamente arrestando. Una maggiore esperienza di questo ambiente mi conduce invece a concludere, che, o la rivalità cesserà ciò che dipende interamente dalla Germania, ovvero si andrà fatalmente presto o tardi, anche a prescidere dalla volontà della Francia, incontro ad un conflitto, non potendosi la rivalità stessa spingere oltre un certo limite, senza produrre seria ripercussione nella situazione economica dei due paesi. Ed a tale conclusione non dubito, sarà giunta

V.E. anche prima di me.

Esaurito così il tema delle relazioni anglo-germaniche, non mi resta che ad aggiungere un rapido commento su di un argomento, per fortuna più simpatico, che ci riguarda da vicino, quello cioè delle relazioni itala-britanniche.

Gli accenni fatti all'Italia nelle due Camere del Parlamento, hanno confermato l 'impressioni da me precedentemente riferite sulle disposizioni qui prevalenti a nostro riguardo. Le dichiarazioni del primo ministro, di Winston Churchill, nei Comuni, e di lord Crewe e lord Haldane, nei lords, nulla lasciarono a desiderare dal punto di vista non solo di correttezza internazionale, ma anche di sincera cordialità. Il lord cancelliere andato anche più oltre dei suoi colleghi, quando, nel riaffermare l'amicizia dell'Inghilterra con le potenze mediterranee della Triplice, ha, alludendo evidentemente a noi, secondo che mi è stato confermato da sir Edward Grey, tracciato una leggera distinzione col dire che con una di esse l'Inghilterra era in termini almost of intimacy. Nelle due Camere, le dichiarazioni del Governo sono state sottolineate con unanimi approvazioni. D'altra parte il signor Bonar Law, che più di ogni altro oratore, ha creduto di mettere i punti sugli i, con l'accennare a possibilità di conflitto in cui l'Italia si troverebbe mescolata, si è affrettato a parlare anche lui in termini caldi della antica amicizia fra i due Paesi. L'allusione all'Italia del capo dell'opposizione ha avuto del resto, uno scopo puramente di tattica parlamentare, per appoggiare la tesi della necessità del mantenimento di adeguate forze navali nel Mediterraneo. Questo scopo mi è stato spiegato apertamente da sir Edward Grey, ed indirettamente da persone di fiducia dello stesso signor Bonar Law, appositamente venuta a vedermi. Il dubbio però sull'attegiamento dell'Italia in caso di conflitto anglo-germanico, non comincia meno ad insinuarsi, per quanto in modo superficialissimo. Esso, per il momento, è ancora quasi totalmente eliminato dall'impressione sempre permanente in questa opinione pubblica, circa le insanabili divergenze itala-austriache e l'irriducibile opposizione della Nazione italiana ad una eventuale cooperazione navale dei due Paesi contro la Francia, ed a fortiori contro l'Inghilterra. Il giorno però in cui si venisse a risapere che l'anzidetta cooperazione deve considerarsi come assicurata, mi sembra ovvio di prevedere che si parlerebbe assai meno della «tradizionale amicizia» ed assai più dell'urgenza di maggiori o più importanti provvedimenti navali nel Mediterraneo.

Intanto il desiderio che mi pare di scorgere in tutti, è quello del vagheggiato accordo, escludente il Mediterraneo da qualsiasi conflitto che potesse svolgersi altrove. L'accentuato compiacimento col quale la stampa odierna ha accolto la notizia del Pester Lloyd (già del resto smentita da un ufficioso vi ennese) di una possibile intesa, in tal senso, tra l'Austria-Ungheria e l'Inghilterra, sta a dimostrare quanto siffatta intesa con l'Austria-Ungheria, assai più dell'Italia considerata unita alla Germania sia qui caldeggiata, e quanto popolare diverrebbe dato, e, temo, non concesso, si riuscisse a concluderla. Insisto nuovamente su questo punto perchè, il constatato favore generale dell'opinione pubblica per simili accordi di cui sono ovvi i i vantaggi che ne trarrebbe l 'Inghilterra, mi spinge a ritenere sempre più probabile, alla fine della nostra guerra, qualche apertura da parte di questo Governo allo scopo di raggiungere l'intento.

Non vi ha dubbio che un accordo mediterraneo, quando vi partecipasse anche l'Austria, costituirebbe per noi una soluzione ideale. Ma è esso possibile? A rigor di logica, dovrebbe essere lecito di dubitarne. Difatti, o l'accordo si conclude tra l'Inghilterra da un lato, l'Italia e l'Austria-Ungheria dall'altro, ed allora costituirebbe una flagrante violazione della entente con la Francia, la cui flotta, una volta alle prese con quelle unite dell'Italia e dell'Austria-Ungheria, si troverebbe sotto ogni aspetto in condizioni di inferiorità o l'accordo comprende anche la Francia, ed in tal caso non si vede come si potrebbe farlo accettare alla terza alleata Germania, che si troverebbe di fronte alla poco gradita prospettiva di dover lottare n eli' Atlantico e nel Mare del Nord con tutte le riunite flotte franco-britanniche. Rimarrebbe, è vero, la terza ipotesi, del rinnovamento ed integramento e magari estensione degli accordi già esistenti tra l'India e l'Inghilterra e la Francia.

Ma sulla relazione o meno di tale ipotesi mi è impossibile di esprimere un giudizio. Solo il Governo di Sua Maestà trovasi in grado di valutarne la convenienza, in relazione al grado di consonanza di accordi siffatti, con le eventuali probabili modificazioni del nuovo trattato della Triplice Alleanza di cui la scadenza va sempre più avvicinandosi. Sul delicatissimo argomento non spetta quindi a me di dare suggerimenti e tanto meno consigli. Per il concetto però che mi sono formato degli interessi supremi della patria e per quella poca esperienza che ho potuto acquistare negli ultimi anni di partecipazione più diretta alle vicende della politica estera italiana oso soltanto esprimere la speranza che, entrati una volta nella via che a quegli interessi sarà ritenuta più confacente, si evitino per quanto è possibile accordi sussidiari e paralleli di natura a procurarci in futuro imbarazzi e difficoltà anche più serie di quelli in cui a volte ci siamo trovati e che per fortuna siamo riesciti a superare in passato.

944 5 T. 3013 del 27 luglio, non pubblicato.

945 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

945 3 Annotazione, presumibilmente, di Imperiali: «Come si sbagliava!! 17 ottobre 916».

946

IL CONSOLE A CANEA, BARTOLUCCI GODOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 638/173. Canea, 30 luglio 1912 (per. il 5 agosto).

La inutilità di ogni sforzo diretto ad agitare l 'isola allo scopo di fare un passo avanti verso l'annessione, pare abbia indotto un gruppo di cretesi a trasportare il campo della loro azione da Creta ed Atene, in Macedonia, nella speranza di render utili servigii alla causa nazionale col creare nuovi imbarazzi e difficoltà alla Turchia. Ignoro la importanza numerica di questo gruppo ma mi si assicura che vi appartengono uomini politici molto in vista nell'isola.

Un primo accenno alla formazione delle bande lo ebbi dai due capitani d'arme che si rivolsero a me per sapere se, noleggiando per conto loro un piroscafo, avrebbero corso il rischio di venir catturati dalle rr. navi in crociera nell'Egeo (mio telegramma n. 112 delli 6 corrente mese) 1 . Qualche giorno dopo un deputato all'assemblea rivoluzionaria mi fece ripetere, per mezzo di un notabile della nostra colonia, suo parente, la domanda formulata, questa volta, in modo da lasciar intravedere vagamente il desiderio di conoscere come l'Italia avrebbe accolto la spedizione, ma non fui in grado di approfondire il suo pensiero perchè la persona intermediaria lo ignorava. In seguito a questo passo ho indagato riservatamente per sapere cosa si pensava e quali preparativi si facevano al riguardo. Notizie più precise ho potuto avere ora da persona di mia fiducia amica dell'avvocato Papadopetro, uno degli organizzatori delle bande ed appartenente ai partiti più avanzati. L'avvocato Papadopetro ha assicurato il mio informatore che il corpo dei volontari potrebbe raggiungere il migliaia di armati; già alcuni di essi -questo mi consta da altra fonte -sono partiti alla spicciolata ed altri, più numerosi, si accingerebbero a partire a giorni. La difficoltà maggiore sarebbe quella di provvedere ai mezzi finanziari della spedizione, su questo punto, si fa, in parte assegnamento sul generale Limbritis il quale anche in Grecia si è occupato di simili organizzazioni. Della partecipazione del Limbritis a questo movimento già avevo avuto sentore, e per quanto, la sua qualità di membro del Governo cretese gli imponga la massima riservatezza non vi è ragione di dubitare che sia vero quanto asserisce l'avvocato Papadopetro che, cioè, egli, al momento opportuno non esiterebbe ad appoggiare apertamente le bande.

Lo stesso avvocato non ha nascosto al mio informatore, evidentemente allo scopo di far giungere fino a me la sue parole, il desiderio di conoscere se l'Italia sarebbe disposta ad appoggiare moralmente e materialmente la progettata spedizione cretese in Macedonia contro il comune nemico. Come era naturale mi sono astenuto dallo emettere qualsiasi opinione, sia pure personale, al riguardo sento però il dovere di comunicare a V.E. quanto precede, ad ogni buon fine.

946 1 T. 4390/112 non pubblicato.

947

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2032/673. Londra, 31 luglio 1912 (per. il 3 agosto).

Faccio seguito al mio rapporto n. 1964/649 del 21 corrente 1• Il signor Langley assistente sotto-segretario di Stato al Foreign Office che per mezzo del conte Manzoni avevo pregato di presentire sir Edward Grey circa l'azione presso il Governo francese accennata nel dispaccio di V.E. n. 306 del 26 giugno u.s. 2 e col quale poi avevo io stesso parlato della cosa, ha ora risposto colla lettera di cui unisco copia. In essa si comunica che le ultime informazioni ricevute al Foreign Office da Addis Abeba sulla questione dell'iilecito traffico delle armi da Gibuti, non fanno prevedere da parte del Governo francese una favorevole accoglienza ad una proposta di limitazione dei depositi di armi in quella località e si esprime l'avviso che sarebbe meglio che un suggerimento al riguardo fosse presentato a Parigi dall'incaricato d'affari di Francia in Addis Abeba il quale si mostra favorevole a porre tennine ali 'introduzione di armi in Abissinia. Il Foreign Office si è intanto rivolto al suo rappresentante in Abissinia per sapere se egli concorda in questo modo di vedere. La risposta non è negativa, come V.E. vede, ma, temo finirà per equivalervi. Forse V.E. potrebbe informare di tutto ciò il nostro rappresentante in Abissinia perché veda, se necessario, di assicurare una favorevole risposta da parte del signor Thesiger, e magari, una spinta al Foreign Office perché agisca esso direttamente a Parigi, salvo ad ottenere, indirettamente il concorso dello avviso del conte d' Apchier.

947 Cfr n. 936. 2 D. riservato, non pubblicato.

ALLEGATO

L'ASSISTENTE SOTTOSEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, LANGLEY, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MANZONI

You suggested a few days ago that one means of combatting the Armas Traffic in Abyssinia might be found in the limitation of the quantity of arms which might be warehoused at Ibuti at the same time.

From the latest information which we have from Adis Abeba it seems doubtful whether any suggestion of the kind would at present meet with a favorable reception from the French Government, but we think that i t would in any case come best from Count d' Apchier, who is an advocate of any measure which will put an end to the influw of arms into Abyssinia.

We are however consulting the British Minister at Adis Abeba about your suggestion, and will ascertain wheter he concurs in our view of the matter.

948

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 828/164. Pietroburgo, 2 agosto 1912 (per. il 6).

Mi è pervenuto il dispaccio di V.E. del 27 luglio n. 1521 con il quale ella mi trasmetteva un rapporto del commendator Gorrini2 , riguardante la provincia persiana dell' Azerbeidian in relazione al presente conflitto italo-turco, e mi ordinava di esaminarlo e comunicarle il mio parere circa i dati di fatto e gli apprezzamenti in esso contenuti.

Ho letto il rapporto del r. console a Trebisonda con vivo interesse, ed espongo qui appresso le mie idee in proposito. Osserverò in primo luogo che non è del tutto esatta l'affermazione che i giornali russi, anche ufficiosi, hanno pubblicata la notizia che la fine del conflitto italo-turco e la pace si farebbero a danno della Persia con la cessione cioè di una zona della provincia dell' Azerbeidan, cessione della quale prenderebbe l'iniziativa la Russia con l'assentimento della Germania. La notizia venne pubblicata prima all'estero, e i giornali russi la riprodussero poi e la commentarono nel solo modo possibile dal punto di vista degli interessi e delle aspirazioni russe. La notizia fu cioè qualificata di fantastica ed inverosimile, e ne fu presa occasione per invitare il Governo imperiale a vigilare e scongiurare il pericolo che la guerra italo-turca non dovesse finire con la soddisfazione dei due belligeranti e con il danno della Russia. L'additato compenso infatti da dare all'Impero ottomano, secondo le idee qui dominanti, non avrebbe a danno della Persia, ma a danno

948 1 Non pubblicato. 2 Non allegato al dispaccio di cui alla nota l.

della Russia. Tutti ormai sono abituati a considerare tutta la parte settentrionale della Persia come già appartenente alla Russia.

Rappresentò un primo e grande sacrificio per l'Impero l'avere consentito a una spartizione di sfere d'influenza in Persia con l'Inghilterra. Rappresentò un secondo grave sacrificio di cui ancora viene aspramente rimproverato il signor Sassonoff, l'aver consentito, in favore della Germania, al raccordo delle ferrovie persiane con quella di Bagdad. Altre modificazioni allo stato politico attuale della Persia, in favore di qualsiasi altra Potenza, e per qualsiasi altro scopo, non appaiono possibili, avendo già la Russia consentito a fin troppe concessioni nell'Impero dello scià, da tempo qui considerato, a torto od a ragione, come cadente tutto nella sfera di influenza russa. Osserverò inoltre che la politica tradizionale russa è stata sempre diretta a diminuire la potenza territoriale ottomana, e l 'Impero russo non ha fatto che avanzarsi sempre verso il sud, ricacciando indietro la Turchia. Perché ora consentirebbe ad un ingrandimento dell'Impero ottomano proprio al suo fianco rendendo più estesa la frontiera russo-turca?

Ragione non ultima dell'atteggiamento favorevole della Russia verso l'Italia è stata il compiacimento di vedere la Turchia diminuita, sarebbe quindi una contraddizione che la Russia finisse con il cooperare ad una combinazione avente per risultato un sacrificio da parte sua e un ingrandimento della Turchia sul continente, in compenso di possessi perduti in Africa che in fondo è indifferente per la Russia che appartengano o all'Italia o alla Turchia. E ciò in linea generale. In particolare poi bisogna fare altre osservazioni.

La zona persiana in discorso, e che contiene il lago di Urmia, è per la Russia di una importanza strategica enorme. V.E. avrà rilevato dalla mia precedente corrispondenza il peso che questo Governo dà alla questione di Urmia sempre pendente tra Russia e Turchia, questione che potrebbe anche a un momento dato degenerare in un conflitto armato, essendo la Russia fermamente decisa a non permettere assolutamente l'avanzata dei turchi in qualsiasi località diversa dai «punti contrastati tra Turchia e Persia». In tali condizioni è verosimile che la Russia per far giungere alla fine del conflitto italo-turco, anche a prescindere da altre considerazioni, sacrifichi i suoi gravissimi interessi strategici? La risposta non sembra dubbia: essa non lo farà mai.

Non è molto tempo che il signor Sassonoff mi confidava di aver detto a questo ambasciatore di Turchia: «fino a quando terrete un soldato nel territorio persiano noi saremo sempre dalla parte dei vostri nemici». Ciò valga a dimostrare la ferma volontà del Gabinetto di Pietroburgo a non permettere mai una avanzata della Turchia nel territorio in parola.

La Russia inoltre già da tempo ha iniziato nella provincia dell' Azerbeidan tutto un lavoro di penetrazione e di propaganda per mezzo di missioni ortodosse. Gli scrittori di cose politico-religiose negano che la provincia in discorso e specialmente i distretti di Urmia, Choi, e Selmas siano abitati da popolazioni esclusivamente musulmane. Si sostiene invece che la grande maggioranza della popolazione è cristiana, appartenente originariamente alla setta dei nestoriani, e passata poi man mano all'ortodossia russa. L'Urmia non è considerata più dai russi come paese straniero, ma più o meno come già russificata. Nell'Urmia e nel Selmas vi sono numerose missioni, un giornale l'Urmia ortodossa in due edizioni, una in lingua russa, l'altra in assiro. Il detto giornale ha una propria tipografia che stampa anche dizionari russo-assiri, libri di propaganda, etc., sotto la direzione del prete Nicola Rubin, uomo molto attivo e noto per le sue profonde conoscenze delle cose d'Oriente. In Urmia è capo delle missioni ortodosse un archimandrita (Sergio). Queste brevi notizie valgono a dimostrare come la Russia sviluppa tutto un programma di penetrazione nella regione, e come difficilmente consentirebbe ad abbandonarla. La stampa poi, quasi quotidianamente, invita il Governo imperiale a far scomparire in quella regione quanto vi si è infiltrato di turco.

Il commendator Gorrini afferma cosa giustissima quando dice che la Russia desidera veder composto il più presto il conflitto italo-turco, ma debbo fare le più ampie riserve, per le ragioni dette sopra, quanto alla possibilità che essa prenda l'iniziativa di cessioni territoriali di tutta o di parte della provincia dell' Azerbeidan, cessione che per le ragioni esposte non sarebbe a spese della Persia, ma a spese di se stessa. E francamente non vedo la ragione perché la Russia farebbe questo grave sacrificio.

Dirò in ultimo che la Russia ha rinuciato in favore dell'Inghilterra alla Persia meridionale, per riservarsi la parte settentrionale di essa; se si avverasse il passaggio alla Turchia del distretto sopra indicato, la Russia sottrarrebbe alla sua sfera d'influenza la parte strategicamente più importante, materialmente più ricca e più fertile, rompendo a tutto suo svantaggio l'equilibrio dell'avvenuta spartizione con l'Inghilterra dell'Impero dello scià.

Puossi panni, conchiudere che la notizia che ha formato oggetto del presente carteggio non esce dal numero delle tante che di questi tempi sorgono e tramontano nella stampa internazionale e che non meritato nessuna considerazione.

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IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. SEGRETO 1474/790. Atene, 2 agosto 1912, (per. il 6).

Fu qui per pochi giorni ed è oggi partito per Venezia a bordo dell' «Aufitrite», ove è ospite di S. M. il Re Giorgio, il signor Sverbeew, nuovo ambasciatore di Russia a Berlino.

Nei frequenti colloqui da me avuti con lui durante quest'ultimo suo soggiorno in Atene ho potuto constatare che il suo modo di considerare l'attuale situazione in Oriente era ispirato da un maggiore ottimismo di quello da lui nutrito prima della sua partenza, prima cioè del convegno di Baltisch Port. Parlando di quest'ultimo egli mi ha infatti a più riprese espresso la convinzione che una nuova e potente garanzia di pace era risultata dallo scambio d'idee dei due monarchi, senza che ne rimanesse adombrata, come l'avvenire lo proverà ancor meglio, qualsivoglia suscettibilità altrui.

Con tutto ciò il signor Sverbeew non mi ha dissimultato le sue apprensioni per la piega presa dalla rivolta albanese e per la riunione di forti contingenti austroungarici (più di 130.000 uomini) sulle frontiere della Serbia, del Sangiaccato di Novi Bazar e del Montenegro, sembrando al mio collega che il loro numero oltrepassasse di gran lunga gli eventuali bisogni della difesa. Egli però conveniva invece nella conclusione che le precauzioni militari austriache miravano ben più a produrre un'impressione morale sui vicini che a predisporre iniziative bellicose, contrastando queste cose con la volontà assolutamente pacifica dell'imperatore Francesco Giuseppe, col suo vivo desiderio di non veder ripetuto e in modo più grave il dissidio austro-russo del 1908, ed, in genere, con tutta la situazione internazionale divenuta oltre modo delicata.

Quanto alla pace italo-turca il mio interlocutore traendo argomento dalle precarie condizioni economiche e politiche della Turchia nonché dall'avvento di un Ministero indirettamente guidato da Kiamil pascià, mi manifestava la speraza che fra non molto potessero tradursi in alcunché di concreto le ancor vaghe e timide manifestazioni pacifiche del nuovo Governo ottomano. Gli sembrava infatti significativo il fatto -di cui aveva confidenzialissima notizia -che in una recente conversazione fra un rappresentante accreditato a Costantinopoli ed un rappresentante ottomano non si fosse più parlato della sovranità turca sulla Libia e si fossero escogitati espedienti intesi ad attenuare agli occhi dei musulmani con qualche parvenza di giustificazione il graduale abbandono di quelle province. Egli non pensava già certamente che detti espedienti potessero venire accolti da noi, ma traeva buon auspicio più che dai quattro punti accennati dal personaggio ottomano, dallo spirito transattivo da cui sembrava ora animata la Porta.

Meno aperto fu il signor Sverbeew, nonostante l'antica intimità delle nostre relazioni, in tutto ciò che riguardava le isole da noi occupate. Egli si è limitato a rilevare che trattasi di una duplice questione -morale e politica -che difficilmente potrà sottrarsi alla considerazione internazionale quand'anche non avesse luogo una Conferenza.

Nessuna preoccupazione nutrivasi in Russia per ora-mi disse il signor Sverbeewcirca il contegno e le disposizioni degli Stati balcanici, ma la gravità della crisi e il prolungarsi del nostro conflitto esigevano una costante vigilanza da parte delle Grandi Potenze. La Russia vedeva di buon occhio il riavvicinamento verificatosi fra la Grecia e la Bulgaria, ma non credeva alla imminenza di una vera e propria intesa fra loro. Anche ad un'intesa serbo-bulgara si prestava scarsa fede; ma notavasi una generale tendenza nei Governi balcanici al miglioramento dei reciproci loro rapporti.

Quanto alla propria missione in Germania il signor Sverbeew mi ha detto che si felicitava d'intraprenderla in circostanze particolarmente favorevoli allo sviluppo d'ottime relazioni fra i due Paesi e sentivasi lusingato dalla fiducia del suo Governo, ma che rimpiangeva profondamente di non aver ottenuto soddisfazione ali' antico e costante suo voto d'essere destinato presso la Corte di Roma.

950

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO PER POSTA 1288/230. Londra, 3 agosto 1912 (per. il 7) l.

Lowther, appena giunto a Londra, è venuto a vedermi. Riassumo sue impressioni. Turchia trovasi ora nuovamente in istato di rivoluzione. Ottanta per cento dell'esercito è contro il Comitato, il quale però non intende dichiararsi vinto e lavora energicamente, con attivissima propaganda fra i militari, per riguadagnare terreno perduto e rovesciare attuale Governo, avvenga che può. Situazione è quindi immutata ed è precaria all'estremo. In tali condizioni egli ha giudicato preferibile starsene lontano, per non essere chiamato a dare consigli od avere l'aria di prendere posizione in un senso o nell'altro. Le azioni della Germania già da mesi sensibilmente ribassate mentre aumenta sempre più corrente favorevole all'Inghilterra. Salvo gravissimi avvenimenti, sua intenzione sarebbe di non tornare a Costantinopoli prima di ottobre, epoca alla quale è da sperarsi situazione interna sarà più chiara. Linguaggio di Lowther, messo a raffronto con quello di Nicolson (mio telegramma, Gabinetto 226)2 , lascerebbe supporre che qui s'intenda applicare programma di Fitzmaurice, a suo tempo da me riferito, consistente nel conservare contegno di riservo, in attesa che Turchia si getti interamente e senza restrizione nelle mani inglesi. Circa guerra, ambasciatore mi ha manifestato vedute pienamente conformi a quelle di Graves. Mi ha detto che, a differenza di altri colleghi, egli ha -fin da principio -serbato mutismo assoluto, al punto che, assai sovente, da Assim e da altri ministri ha udito amaramente deplorare che, tanto da Londra, quanto dall'ambasciata inglese a Costantinopoli, Turchia non aveva udito nemmeno una parola di conforto o di incoraggiamento nella sua triste situazione. Il dare consigli al principio sarebbe stato, non solo vano, ma anche pericoloso, perché essi avrebbero accresciuto irritazione Giovani Turchi, che si trovavano in uno stato d'animo capace di resistere magari alle pressioni di tutta Europa, convinti come erano, perché ingannati da false informazioni, che condizioni economiche dell'Italia non le avrebbero permesso di resistere lungamente, e che quindi presente Gabinetto sarebbe stato sicuramente rovesciato e sostituito da altro più transigente. Alla stregua dei fatti, tale stato d'animo si era già da qualche tempo venuto mutando, oggi poi consigliare la pace sarebbe affatto superfluo, ogni persona seria e autorevole essendo convinta della necessità di terminare guerra. Tale convinzione è generata non già dal danno direttamente arrecato. Esso è minimo, sia per quantità più che esigua di soldati turchi attualmente rimasti in Libia, e sia per il fatto incontestabile che guerra costa pochissimo. Desiderio di pace proviene unicamente da considerazioni basate sui pericoli di

950 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo. 2 T. Gab. segreto 1256/226 del 29 luglio, non pubblicato.

indole interna e internazionale. Attuale Gabinetto poi conta personaggi caldi fautori della pace, primo fra essi ministro degli affari esteri, più di ogni altro capace, per sottigliezza sua intelligenza e per suoi sentimenti pacifici, di trovare quella formola conciliativa rimasta finora introvabile. Non è però questione di volere, ma di potere. A prescindere dalla impossibilità assoluta per Governo attuale, data sua instabilità e pericolosa situazione interna, di intavolare serie trattative di pace, Lowther riassume il suo pensiero nel seguente dilemma: o Italia si mostra più conciliante accettando una soluzione qualsiasi che permetta al Governo ottomano di spiegare alla Nazione che la sovranità del sultano, per quanto nominale, non è totalmente perduta; ovvero Italia dovrà decidersi a rendere più effettiva sua occupazione, avanzando verso l'interno. Lowther non scorge alcuna traccia di vera animosità contro di noi. Grandissima maggioranza del popolo, tranquillamente si limita a osservare che «la Libia non può essere abbandonata fino a che italiani continueranno a rimanere alla costa assediati dagli arabi specie in Cirenaica e sotto la protezione dei cannoni della flotta». Per reagire contro questa disposizione profondamente radicata nell'animo degli ottomani musulmani, occorrerebbe un Governo forte, padrone assoluto della situazione interna, in grado di imporre sua volontà a elementi militari. Tale Governo per ora è l ungi dall'esistere. Quando la situazione fosse in tal senso mutata Lowther ammette che consigli di Potenze amiche potrebbero riuscire utili, prima assolutamente no, perché nessun Governo oserebbe assumere responsabilità di consigliare una pace, che potrebbe avere per la Turchia conseguenze catastrofiche e generare gravissime complicazioni internazionali. Linguaggio di Lowther ha confermato impressioni già da me sottoposte a V.E. sui motivi della riserva di questo Governo. Osservo però che Lowther è già da un mese assente da Costantinopoli.

Anche Bourchier, che ho veduto ieri, la pensa esattamente come Lowther e Graves circa guerra e pace. Sulla situazione interna, sue vedute sono anche più pessimistiche. Nessuna persona seria, egli dice, è in grado di prevedere quello che accadrà o non accadrà in Turchia, a distanza di quindici giorni. Bourchier, a differenza di Graves, dubita che nuovo Governo riuscirà calmare agitazione albanesi, oramai delusi sulla serietà delle tante volte promesse concessioni che oggi giungerebbero, a sua avviso, tardive. Anche in Macedonia fuoco cova sotto la cenere, organizzazione interna lavorando alacremente a preparare nuova insurrezione. Se essa scoppiasse, Bourchier non crede possibile che Bulgaria perda, per la terza volta, propizia occasione, malgrado odio del re contro ogni avventura guerresca, disposizioni personali di Gueschoff poco favorevoli ai macedoni e naturale, intensa preoccupazione per contegno eventuale della Rumania. A Bourchier risulta in modo positivo che attualmente Bulgaria è, contrariamente alla credenza generale, in tutto e per tutto sotto la influenza russa. Egli quindi sostiene che nessuna fede meritino notizie di accordi segreti coll'Austria-Ungheria. Bourchier ha tenuto qui, al Comitato balcanico (?)3 una conferenza che non ha voluto, per prudenza, pubblicare. Egli continua a deplorare indifferenza inglese per questione d'Oriente, specie per quella balcanica, destinata -presto o tardi -diventare estremamente grave.

Circa Grecia, mi ha detto temere che Venizelos non potrà lungamente mantenere potere. Preoccupazione gli ispira il probabile ritorno dei soliti demagoghi che condurranno alla guerra con la Turchia. Bourchier deplora contegno Potenze Protettrici nella questione cretese, alla quale sarebbe oramai tempo di dare un indirizzo in senso più favorevole legittime aspirazioni elleniche. Circa isole da noi occupate, egli sostiene che Italia ha assunto un debito d'onore, che non dovrebbe permetterle di restituire puramente e semplicemente alla Turchia, abbandonandone abitanti alle rappresaglie, senza venir meno alle sue nobili tradizioni di Potenza civile e liberale. Secondo Bourchier, Italia dovrebbe, prima di restituire isole, adoperarsi colle Potenze per ottenere autonomia, sulla base degli antichi privilegi e sotto alta sovranità Turchia. Risposi sembrarmi prematuro discorrere al riguardo, R. Governo non avendo presa alcuna decisione, la quale -è chiaro -dipenderà principalmente dagli eventi della guerra. Sull'argomento sollevato alla Camera, nonché sulle dichiarazioni sibilline di Grey, riferisco con rapporto separato4 .

950 3 Il punto interrogativo è del decifratore.

951

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SCALEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1912.

Le considerazioni svolte da S.E. Tittoni nel telegramma n. 3 78 1 , possono essere, secondo il mio debole parere, facilmente contraddette dallo stato di diritto che diversifica la situazione della Francia in Marocco da quella dell'Italia in Tripolitania.

Mentre che il territorio della Libia, riguardo alle Potenze, fa parte ancora di uno Stato di guerra con l'Italia, per il possesso legittimo di quelle regioni, il territorio del Marocco è stato posto, con regolare trattato del sovrano di quell'Impero, sotto il protettorato della Francia e questo protettorato è stato dall'Italia ufficialmente riconosciuto2. Se il riconoscimento fosse stato ritardato, il Governo italiano avrebbe ancora la possibilità di una contestazione, che si potrebbe risolvere con una reciprocità di trattamento, ma -dopo il riconoscimento -non si può paragonare lo stato di guerra in Marocco con lo stato di guerra in Tripolitania. Nel territorio marocchino lo stato di guerra è una misura di polizia interna, mentre in quello della Libia è l'effetto di un conflitto armato fra due Potenze, conflitto che è stato dall'Italia debitamente notificato con la dichiarazione di guerra.

2 Annotazione in calce di San Giuliano: «Ii riconoscimento implica rinunzia alle capitolazioni che devono essere espressamente trattate e del resto non abbiamo riconosciuto il protettorato, ma l'accordo franco-tedesco».

Per raggiungere quindi l'obiettivo al quale vorrebbe arrivare il nostro ambasciatore a Parigi, non avrebbe dovuto aver luogo né la dichiarazione di guerra né il riconoscimento.

Temo quindi che, posta in questo terreno la grave questione, noi non potremo far trionfare la tesi sostenuta dall'ambasciatore. Si dovrebbe quindi, anziché mettere avanti una tesi di puro diritto, raggiungere una forma conciliativa di transazione, che permetta alla Francia di uscire dalla neutralità sopprimendo se non di diritto, di fatto, le capitolazioni in Libia, soppressione che politicamente equivarrebbe ad un riconoscimento di possesso e, quale compenso, potrebbe il Governo italiano largheggiare nelle richieste avanzate dalla Francia3 .

950 4 Non rinvenuto.

951 1 T. 4845/378 del 3 agosto, non pubblicato.

952

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, CATALANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1266/226. Narragansett Pier, R.I., 4 agosto 1912 (per. il 22).

Il Senato degli Stati Uniti nella sua seduta del 2 corrente, ha approvato con 51 voti contro 4 la seguente risoluzione concernente eventuali occupazioni straniere sul continente americano, proposta dal signor Lodge, senatore di Massachussetts:

«Dichiarasi -che quando un porto o qualsiasi altro punto del continente americano abbia una situazione geografica tale che la sua occupazione per scopi navali o militari possa costituire una minaccia per le vie di comunicazione o la sicurezza degli Stati Uniti, il Governo degli Stati Uniti non potrà vedere senza grave inquietudine («without grave concern») la presa di possesso di tale porto o località da parte d'una corporazione o di una società la quale per le sue relazioni con un altro Governo, non americano, verrebbe ad accordare praticamente a quel Governo un potere di controllo per scopi navali o militari ("practical power of contro! for naval or military purposes")».

Nella discussione che precedette l'adozione di tale risoluzione e che ebbe luogo in parte a porte chiuse, il signor Cummins, senatore di Iowa, chiese al senatore Lodge se il principio da lui proposto costituiva una estensione della dottrina di Monroe oppure soltanto che la risoluzione in parola si basava su un principio del diritto delle genti anteriore di data alla dottrina di Monroe e cioè che ogni Stato ha il diritto di provvedere alla propria sicurezza e per conseguenza, qualora ritenga che l'occupazione di una data località da parte d'una Potenza straniera possa minacciare la sua sicurezza, gli incombe non solo il diritto ma il dovere d'intervenire. Il senatore Lodge aggiunse che un esempio pratico dell'applicazione del suddetto principio del

1048 diritto internazionale si era verificato in occasione dell'occupazione del porto di Agadir da parte della Germania, la quale venne interpellata dall'Inghilterra come una minaccia per le sue vie di comunicazione col Mediterraneo. Il punto di vista inglese fu condiviso dalle altre Potenze, ed in tal modo l'occupazione germanica di Agadir venne ostacolata.

«Naturalmente -continuò il senatore Lodge -la stessa dottrina di Monroe non è che una estensione del principio su esposto del diritto internazionale ma, qualora tale dottrina non fosse mai stata enunciata, la presa di possesso di un porto, quale quello della Baia di Maddalena, renderebbe necessaria una dichiarazione analoga a quella da me proposta anche per provvedere al caso in cui una società privata agisse per conto di un Governo estero. Nella fattispecie è stato assodato, in seguito alle indagini compiute dalle nostre autorità, che nessun Governo straniero mira al possesso della Baia di Maddalena, ma in pari tempo si è potuto stabilire che i proprietari della concessione messicana, nella quale è compresa la Baia di Maddalena, avevano iniziato dei negoziati i quali, pur essendo rimasti finora allo stato di tentativo, avevano lo scopo di effettuare la vendita della Baia ad una corporazione creata od autorizzata da un Governo estero».

Il senatore Lodge fece inoltre rilevare che la risoluzione di cui sopra aveva scopi emintementi pacifici, poiché, col precisare già sin d'ora il contegno che il Governo avrebbe assunto in una data eventualità, evitava che si potesse verificare una situazione di cose tale da costringere un Governo estero a ritirarsi anche a costo d'umiliazione.

Il senatore Cummins, pur dichiarandosi favorevole al principio enunciato dal senatore Lodge, avrebbe desiderato che fosse maggiormente precisata l 'ultima parte della dichiarazione, per evitare che fossero ostacolate le concessioni a società puramente commerciali, e proseguendo in quell'ordine d'idee venne a proporre una modificazione che avrebbe sostituito alle parole «corporazione, società eccetera», il termine preciso «la presa di possesso da parte di qualsiasi Governo non americano per scopi militari o navali».

Dopo però una discussione a porte chiuse la modificazione proposta dal Cummins venne respinta senza voto nominale, e, come si è detto sopra, la risoluzione del Lodge venne adottata con 51 voti contro 4.

Mentre l'opinione pubblica americana, unicamente assorbita dalle imminenti elezioni presidenziali, ha accolto il voto del Senato con indifferenza, alcuni dei più autorevoli organi della stampa la criticano quale inutile ed intempestiva nel momento attuale. L'autorevole Sun di New York rileva che l'applicazione del principio stabilito dal Senato potrà dar luogo ad attriti ingiustificati, citando ad esempio di ciò le possibili concessioni di lavori portuali da parte dei Governi delle Repubbliche sud-americane a compagnie o capitalisti esteri le quali potrebbero cadere nel campo delle operazioni vietate dalla dichiarazione.

«Noi citeremo un esempio solo -scrive il Sun -. Il porto di La Guayra nel Venezuela è stato costruito da una compagnia inglese che possiede una concessione per 99 anni. Non costituisce ciò una facilitazione per la costruzione di una base navale britannica e quindi una questione da contemplarsi con grave inquietudine?».

951 3 Annotazione in calce di San Giuliano: «Che ne pensa di tutte queste considerazioni anche Ricci Busatti oltre a lei».

953

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. Costantinopoli, 4 agosto l 9 l 2.

Non mi è neancora stato possibile di sapere in modo preciso quali saranno le istruzioni per i nuovi delegati.

Tutto quello che posso dire ha un carattere frammentario, sono frasi sortite dalla bocca del mio interlocutore, il quale vuole lasciar capire ma non dire. Verrà però il momento, lo spero, che dirà chiaramente il suo pensiero ed allora lo telegraferò, mentre ora sembrami inopportuno un telegramma, tanto più che questa mia arriverà prima dei delegati otto mani. l) Il mio interlocutore ha affermato più volte che bisogna che i rappresentanti ottomani si immedesimino bene delle necessità nelle quali si trovano gli italiani, essendo inutile insistere per ottenere l'impossibile; ed egli si rende ben conto dell'importanza del nostro decreto 5 novembre. 2) Gli sforzi delle due parti devono essere rivolti ad intendersi sulla base, e le istruzioni saranno date in modo tale che in pochi giorni ci si dovrebbe intendere. 3) Trovata la base si farà domanda di un armistizio generale. 4) Durante questo armistizio una delegazione di arabo-turchi si dovrebbe recare in Cirenaica e Tripolitania a persuadere i combattenti di accettare la supremazia italiana.

Il mio interlocutore afferma che la pace fra l'Italia e la Turchia non può essere seria e duratura se la pace non è fatta in Libia.

Il Governo turco non potrebbe mantenere delle relazioni cordiali coll'Italia e garantire la sicurezza dei residenti italiani se una guerra sanguinosa continuasse regolarmente in Africa. Insomma mi pare evidente che si dovrebbe persuadere gli arabi a domandare essi stessi al Governo turco di essere lasciati liberi di intendersi con il Governo italiano.

Il mio interlocutore insiste perché non lo si obblighi a precipitare la partenza dei delegati, perché sarebbe difficile catechizzarli telegraficamente.

Ho poi toccato il tasto delicatissimo delle mie buone finanze.

Mi si domandò quali sarebbero le mie disponibilità, ed ho risposto che sono tutte quelle necessarie. Su questa via bisogna camminare con molta prudenza e fingere di non dare quello che si dà.

Mi si parlò che questa Consulta è senza fondi segreti per la stampa la quale deve essere nutrita per facilitare il compito del Governo. Ho promesso di concorrere io a formare questi fondi segreti.

Mi si è fatto capire che la delegazione che sarà inviata laggiù costerà. A lei fare le deduzioni! L'argomento ritornerà sul tappeto appena che i negoziatori partiranno e bisogna essere pronti per seguire le mie promesse, se sarò richiesto. Ma nulla sia fatto a mezzo enti locali; si faccia tutto via Parigi o Londra dove ora abbiamo amici fidati.

954

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. 48761184. Berlino, 5 agosto 1912, ore 13,45 (per. ore 16,55).

Telegramma VE. 3059 1• Non mi è riuscito qui di avere alcuna notizia circa aperture fatte dalla Turchia alla Romania. In questi circoli diplomatici si parla invece con insistenza di un ravvicinamento accentuato fra Grecia e Bulgaria. Questa voce non è [... ]2 senza destare qualche apprensione, quantunque si ritenga che, data l'opposizione di interessi di quei due Governi in Macedonia, riavvicinamento debba avere piuttosto uno scopo negativo e, cioè, probabilmente quello di adoprarsi perchè una eventuale autonomia albanese non assorba distretti della Macedonia e dell'Epiro. Forse è in seguito alle voci di questo riavvicinamento greco bulgaro che il Governo ottomano ha fatto aperture presso il Governo rumeno che da qualche tempo sembrava tendere a interessarsi molto meno della Macedonia e dell'[ ...f quei cutzo Valacchi. Di ciò però qui nessuno ha sentore.

955

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1283/185. Berlino, 5 agosto 1912, ore 13,45.

Notizia convenzione navale francese-russa ha qui prodotto più che altro sorpresa per essere venuta subito dopo incontro Port Baltico. Circoli ufficiali diffondono voce esserne stati preventivamente informati ed anche nella stampa si osserva che la nuova convenzione navale non può aggiungere molto all'allenza esistente, e si esprime supposizione che si tratti più che altro di una soddisfazione data alla Francia che aveva mostrato una certa inquietitudine per l'incontro dei due imperatori. Sotto questo ottimismo non manca però una certa apprensione pel fatto che si vede nella convenzione l'opera di Delcassé e si teme possa precorrere una intesa navale ingleserussa-francese. Se ciò avvenisse e specialmente se la Russia ottenesse apertura Dardanelli, situazione del Mediterraneo sarebbe radicalmente modificata a danno Potenze Triplice Alleanza e lascerebbe maggior libertà d'azione all'Inghilterra.

954 1 T. 3059 del 3 agosto, non pubblicato. 2 Gruppo indecifrato.

956

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. Costantinopoli, 6 agosto 1912.

Con un telegramma abbastanza lungo stamane le ho reso conto della mia conversazione col mio altro interlocutore 1•

Ho pure potuto stamane vedere il mio precedente intermediario2 , il quale si meraviglia che noi non si abbiano ricevuti i suoi telegrammi fra i quali l'ultimo avvertiva che io avrei potuto liberamente entrare a Costantinopoli! Evidentemente gli vennero intercettati.

Il Comitato Unione e Progresso, visto che nella stessa giornata d'ieri venivano indette le nuove elezioni, si è calmato e si prepara alla lotta elettorale. Nel frattempo i dirigenti desiderano che il Governo si sbarazzi delle questioni spinose e soprattutto della guerra coll'Italia.

Questo mio vecchio interlocutore3 afferma che anche se il Governo decidesse il ritiro delle truppe, tutti gli ufficiali resterebbero al loro posto per continuare la guerra sperando di farsi laggiù un piccolo regno indipendente. Quindi l 'Italia avrebbe ancora sulle spalle una guerra lunga e difficile.

Quanto all'idea dell'alto interlocutore4 d'inviare laggiù una missione pacificatrice, egli pensa che la Turchia non ha l'autorità voluta per la pacificazione e non troverebbe appoggio negli organi militari di laggiù.

Egli insiste sul quel pasticcio di autonomia che non è semplice né pratico, a meno che, egli aggiunse, l'Italia si accontenti della sovranità sua intera su tutta la costa all'infuori dell'hinterland, che sarebbe creato in provincia autonoma dalla Turchia e sotto controllo o protettorato italiano.

Questo interlocutore5 che sta con i piedi nelle due scarpe mi assicura che tanto dalla parte del Comitato, come da quello del Governo una tale soluzione sarebbe accettata.

Io non lo incoraggiai in questo senso ripetendogli che esiste un decreto 5 novembre che per ogni italiano è un dogma intangibile. Lo stesso discorso feci stamane all'alto interlocutoré raccomandandogli di non dimenticare il nostro assioma nel dare le sue istruzioni.

2 Come sopra: «(l'onorevole Carasso)».

3 Come sopra: «Carasso».

4 Come sopra: «del ministro degli esteri».

5 Come sopra: «Carasso».

6 Come sopra: «ministro».

Soltanto mi si è fatto il nome di uno dei negoziatori e non mi piacque: ho quindi lanciato un terzo amico presso il grande vecchio diplomatico 7 per neutralizzarne la nomina o per almeno metterlo in sottordine.

Tanto l'alto 8 che il precedente9 mi domandarono se le conversazioni non avrebbero potuto farsi a Costantinopoli, dove sarebbe più facile il contatto diretto e la soluzione delle difficoltà.

Risposi essere ciò impossibile le conversazioni dovendosi riprendere là dove vennero incominciate. Resta poi ai delegati una volta riuniti di intendersi su un'altra località.

Di fretta ...

956 1 Annotazione di altra mano nell'interlinea: «ministro degli esteri».

957

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1290/235. Londra, 7 agosto 1912, ore 3,30 (per. ore 18).

Alla fine colloquio ieri, mentre io gli auguravo buone vacanze, Grey mi disse scherzando: «A proposito, spero che nel frattempo voi non emanerete un decreto di annessione delle isole che avete occupate. Siffatta annessione solleverebbe una grossa questione, giacché, con la nervosità attualmente prevalente in Europa, l'acquisto di una nuova base navale da parte di una Grande Potenza mediterranea provocherebbe grande clamore e possibili complicazioni». Già, osservai io, da un pezzo giornali francesi hanno fatto un grande chiasso al riguardo. Rispose, non solo in Francia, ma anche in altri paesi la vostra annessione delle isole produrrebbe fermento: in Inghilterra, per esempio, opinione pubblica vi sarebbe molto «sensitivo» (5ic). Replicai essere io totalmente ignaro intenzione del Governo Sua maestà circa futura sorte isole. Mia impressione strettamente personale era però al momento nessun decreto annessione sia in gestazione. Aggiunsi che, poiché egli aveva menzionato tale argomento, io non credevo dovergli nascondere opinione mia personale circa difficoltà di un'eventuale restituzione pura e semplice delle isole alla Turchia; restituzione che, a mio avviso, non sarebbe stata consentanea col prestigio Italia di fronte alle popolazioni cristiane isole. Queste difficoltà, aggiunsi, sono state rilevate anche da molte persone in Inghilterra, che hanno in proposito attirato mia attenzione. Replicò Grey che sorte futura isole rientra nella competenza del concerto delle Potenze. A lui prospettiva di creare tante nuove piccole Creta riesce poco attraente. Ma comunque a tutto ciò vi sarà tempo a pensare, quando sarà stata trovata base

8 Come sopra: «il ministro degli esteri».

9 Come sopra: «Carasso».

accettabile intesa fra noi e Turchia. L'importante, per ora, è di evitare annessioni isole, visto che, con occupazione definitiva Libia, Italia avrà raggiunto completamente scopo prefissosi. Tutta questa conversazione ebbe carattere spiccatamente personale e amichevole, Grey avendo fra l'altro detto che non aveva voluto incaricare Rodd parlare a V.E. per evitare anche parvenza comunicazione ufficiale. Non arrivando a spiegarmi motivi che hanno indotto Grey a toccare jeri argomento sul quale noi non abbiamo ancora manifestato nostra intenzione mi viene sospetto che egli, prevedendo, forse per la prima volta, probabilità pace, abbia voluto metterei sull'avviso e farci, in via amichevole, capire convenienza per noi di non creare ostacoli alla pace stessa con un provvedimento che solleverebbe da parte delle Potenze sicure proteste cui Inghilterra sarebbe [costretta] 1 associarsi.

956 7 Come sopra: «Kiamil pacha».

958

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4928/228. Atene, 7 agosto 1912, ore 21,40 (per. ore 22,35).

Telegramma V.E. 30941• Politica riavvicinamento fra Grecia e Bulgaria data dall'avvento al potere di Venizelos. Conversazioni dirette eliminare molteplici cause dissidi fra i due Paesi furono iniziate parecchi mesi sono dal rappresentante ellenico a Sofia ove tuttora continuano. In questi ultimi tempi, si diffuse bensì la voce d'imminente intesa di carattere difensivo, ma, tale notizia ricorrendo periodicamente ogni qualvolta si aggrava situazione in Turchia, si è finito per credere trattarsi di un mezzo di pressione che i due Governi credono esercitare sulla Sublime Porta per ottenere soddisfazioni alle loro antiche domande. Questo ministro di Bulgaria ha assicurato ripetutamente me ed i miei colleghi di non avere mai avuto occasione trattare qui per qualsivoglia accordo, ma non ha escluso che a Sofia si continua esaminare le varie questioni suscettibili d'intesa con [ ...]2 concilianti ed amichevoli. È opinione di questi circoli politici che la Bulgaria, pur facendo buon viso ad ogni entratura di riavvicinamento degli Stati balcanici, non voglia pregiudicare le sue eventuali intese positive con coloro che effettivamente decideranno delle sorti balcaniche e non intende quindi impegnarsi a fondo con chi sarebbe suo naturale alleato anche senza alleanza. Ciò non toglie possibilità di accordi speciali in materia riguardante rapporti fra i due Stati, esclusene, però, questioni dipendenti dallo scisma.

2 Gruppo indecifrato.

957 1 Integrazione dal registro dei telegrammi dell'ambasciata a Londra.

958 1 T. 3094 del 6 agosto, non pubblicato.

959

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. Costantinopoli, 7 agosto 1912.

Ricevo sua 3 corrente. Le ho telegrafati ieri sera i punti essenziali della mia intervista coll'ambasciatore di Germania sembrandomi opportuno che giungessero prima di questa mia lettera.

Ho avuto l'impressione che da questa parte noi non avremo un concorso simpatico, l'ambasciatore essendo nell'ordine di idee che l'Italia debba accontentarsi di un regime simile a quello dell'Egitto contemperato a nostro favore dal possesso di due stazioni navali, l'una in Tripolitania e l'altra in Cirenaica, in assoluta proprietà.

Avendogli risposto che come italiano non poteva concepire una tale soluzione, che sarebbe in contraddizione col nostro decreto 5 novembre, egli aggiunse che questo non può avere che un valore, interno per noi e non nelle relazioni internazionali. Alla validità del decreto rispetto alle altre Potenze si oppone la Convenzione dell'Aia, la quale stabilisce che il cambio di sovranità non è valido che per il territorio effettivamente occupato e non per un territorio ideale.

D'accordo col direttore1 gli ho detto che nelle sfere turche ero stato bene accolto, che esse avevano intendimenti pacifici, che le conversazioni a Losanna erano state interrotte ma che io trovavo terreno favorevole alla ripresa di queste conversazioni.

Egli insistette sul punto che per essere conclusive le conversazioni dovrebbero aver luogo a Costantinopoli dove il contatto cogli ambienti turchi sarebbe più diretto, mentre per via di telegrammi non è facile dare istruzioni da qui colla mentalità turca.

Siccome io cerco di mettere nella testa di tutti che una soluzione non può trovarsi al di fuori del decreto 5 novembre, credo di non avere nell'ambasciatore di Germania una forza coadiuvante.

Stamane vidi il direttore, il quale mi convocò per stasera dopo il consiglio dei ministri per avere i nomi dei delegati e la data della loro partenza per Montreux da telegrafare. Mi assicura che questa volta tutto sarà definitivo.

Gli domandai quali fossero le istruzioni. Si mantenne sulla riserva affermando di avere prese in considerazione diverse soluzioni e di sperare che nella discussione coi delegati italiani le idee si elucideranno e qualche cosa ne risulterà di pratico.

Ma tra le linee ho compreso che noi abbiamo ragione di essere soddisfatti, il Governo turco volendo salvare la facciata della sovranità ottomana, se non su tutto il territorio almento su parte.

«D'altronde», disse, «solo una conferenza europea potrebbe sostituire legalmente nei rapporti internazionali la sovranità italiana a quella ottomana: e ciò per non essere in contraddizione coi trattati in vigore».

Il mio direttore 1 è stato molto sillabico.

Dunque mi pare che i pronostici del medesimo per una pronta soluzione del conflitto non siano per avverarsi? Ma io resterò a Costantinopoli durante le prime conversazioni e ricevendo sue impressioni ed istruzioni farò del mio meglio per smussare gli spigoli.

PS. L'ambasciatore di Germania raccomandò di non disprezzare i mezzi persuasivi che egli ritiene indispensabili perché l'operazione cominci senza troppi intoppi.

959 1 Sottolineato nel documento.

960

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1292/236. Londra, 8 agosto 1912, ore 15,32 (per. ore 21,30).

Telegramma di V.E. 3092 1• Non potei ieri rivedere Grey occupatissimo prima sua partenza. Dovetti quindi parlare con Mallet. Senza menzionare domanda rivoltami gli dissi avevo dimenticato intrattenere giorno innazi Grey della notizia dei due giornali viennesi che vedevo riprodotta nei nostri chiedendogli se potevo dichiararla, siccome supponevo, infondata. Mallet, dopo di avermi come al solito risposto nulla sapere, si allontanò dalla stanza e tornato poco dopo mi disse che effettivamente notizia qui passata inosservata era priva di fondamento, nessun accordo, nessuno scambio di vedute essendo intervenuto tra Inghilterra e Francia circa Egeo. «Naturalmente», aggiunse Mallet «voi conoscete già da tempo nostro desiderio vivissimo di non vedervi operare nelle vicinanze dei Dardanelli ed è ovvio pure che da noi si preferirebbe che voi non occupaste più altre isole». Replicai che, per quanto riguarda ulteriore occupazione di isole, le dichiarazioni a me fatte da Grey e Nicolson e quelle recentissime di Grey alla Camera ci riconoscevano nostro diritto di belligeranti a compiere tutte le operazioni militari ritenute necessarie. Pure escludendo in presenza di tanta categorica denegazione esistenze di speciali accordi franco-inglesi per l'Egeo, mi pare difficile, dopo tutto il chiasso fatto a suo tempo dai giornali francesi, supporre che tra Londra e Parigi non si sia discorso della questione, se non forse allo scopo di limitare nostra libertà d'azione, almeno per stabilire in principio atteggiamento in senso contrario nostra futura permanente occupazione isole. Al riguardo mi riferisco al mio telegramma Gabinetto 1672 ed al mio rapporto 529, 20 giugno 3 . Questa mia supposizione mi sembra confermata dalla chiara per quanto amichevole raccomandazione rivoltami da Grey ieri l'altro. A mio avviso subordinato converrebbe approfittare assenza Grey e Nicolson per non ritornare su anzidetta raccomandazione e non

2 T. Gab. segreto 849/167 del 24 maggio, non pubblicato.

3 R. segreto 1728/529, non pubblicato.

dare sulle nostre intenzioni future alcun affidamento che, non potendosi prevedere sviluppo ulteriore degli avvenimenti balcanici, potrebbe metterei più tardi in imbarazzi. L'astenerci dal proclamare annessione, cosa del resto cui non abbiamo mai pensato, dovrebbe bastare ad eliminare preoccupazioni di questo Governo o di altro.

960 1 Con T. 3092 del 6 agosto, non pubblicato, di San Giuliano riferiva sulla notizia di due giornali viennesi in merito ad un accordo franco-inglese per il mantenimento dello statu-quo nell'Egeo.

961

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 4984/567. Vienna, 9 agosto 1912, ore 8, 45 (per. ore 23,50).

Berchtold mi ha detto che gli incidenti avvenuti di recente alla frontiera turcomontenegrina nonché i fatti di Cocciana l'avevano preoccupato vivamente. Considerava ormai il primo incidente come esaurito, le truppe turche e montenegrine essendo rientrate nei propri territori ed una inchiesta essendo stata iniziata d'accordo tra i due Governi per constatare i fatti.

Quanto al ministro di Turchia a Cettigne, che sembrava avere agito contrariamente alle istruzioni avute, ignorava se avesse già lasciato quella residenza. Eragli stato affermato che egli appartenesse al partito dei Giovani Turchi e che si fosse perciò comportato in tal modo per opporsi ai desideri del Gabinetto attuale. Non aveva mancato di far dare al Goveno montenegrino le più insistenti raccomandazioni per evitare un conflitto con la Turchia e sapeva che altrettanto era stato fatto pure per il

R. Governo come dalle altre Potenze. Non credeva che il Montenegro, dopo le serie e reiterate raccomandazioni fattegli, specialmente da parte della Russia, avrebbe cercato dare origine altri incidenti quantunque quelli accaduti fossero da attribuirsi alla Turchia.

Per ciò che riguarda incidente di Cocciana Gueschoff e Daneff avevano dato al ministro d'Austria-Ungheria le maggiori assicurazioni che, nonostante l'agitazione prodotta in Bulgaria da quell'incidente, essi non si sarebbero dipartiti dal contegno pacifico che avevano tenuto finora e avrebbero evitato qualsiasi cosa che avesse potuto dar luogo ad un conflitto con la Turchia. Berchtold ha aggiunto che non era da dubitarsi che il Governo bulgaro sarebbe venuto meno a queste sue formali assicurazioni.

962

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB. SEGRETO 1293. Roma, 10 agosto 1912, ore 0,30.

Suo telegramma Gabinetto 317 1•

Faccio seguito al mio Gabinetto n. 12802 . V.E. può rispondere che la missione per pacificare gli arabi che Gabriele effendi vorrebbe mandare in Libia può avere effetti utili se va con istruzioni chiare e precise di consigliare gli arabi a sottomettersi alla sovranità italiana e se la Turchia si è facilmente convinta che questa è l'unica soluzione possibile del conflitto italo-turco.

L'Italia farebbe tutto ciò che è compatibile con tale soluzione per facilitare la pacificazione.

Per informazione personale di V.E. aggiungo poi che a noi sembra che l'aver ciò chiesto alla Francia prova le intenzioni pacifiche del Governo turco; e, che, d'altronde, a noi conviene dimostrare fiducia nella Francia3•

962 1 T. Gab. riservatissimo 1285/317 del 5 agosto, non pubblicato.

963

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1301/129. Pietroburgo, 10 agosto 1912, ore 17,50 (per. ore 1,25 dell' 11).

Ho potuto vedere iersera Sazonoff appena arrivato a Pietroburgo per ricevere Poincaré. Egli mi ha detto che si propone di parlare assai chiaramente al suo collega di Francia dell'importanza che il Governo russo attacca a intrattenere rapporti cordiali coll'Italia e del suo vivissimo desiderio di vedere ristabilite completamente amichevoli relazioni fra Italia e Francia; insisterà specialmente sul punto di vista che mentre la Triplice Alleanza è una garanzia pace per Europa e che perciò è sommamente desiderabile che continui a sussistere, nello stesso tempo è del massimo interesse per Potenze della Triplice Intesa di avvicinarsi il più possibile ali' Italia.

Ho ripetuto Sazonoff che R. Governo vivamente desidera ristabilire colla Francia rapporti francamente cordiali, ma che occorreva che Governo francese da parte sua facilitasse le cose e che perciò sarebbe stato molto utile che egli influisse seriamente su Poincaré in questo senso. Ho profittato dell'occasione per accennare contegno console francese a Tripoli ed agli incidenti sorti in Tripolitania e al Marocco per capitolazioni inspirandomi in ciò al contenuto telegramma di

V.E. Gabinetto 12861• Sazonoff mi ha chiesto allora spontaneamente se credeva utile che egli parlasse di ciò a Poincaré. Alla mia risposta affermativa promise che lo avrebbe fatto sicuramente e volentieri. Avendomi chiesto se, oltre a ciò, vi erano altri punti che egli avrebbe potuto toccare con Poincaré accennai all'oppor

3 Per il seguito cfr. n. 969.

1058 tunità insistere a che Governo francese applichi in tutto nella lettera2 e nello spirito gli accordi del 1902. Lo pregai inoltre di agire perché la Francia non dia denaro alla Turchia sotto nessuna forma. Sazonoff mi promise che avrebbe cercato influire in quel senso.

Gli ho chiesto poi se ed in che senso avrebbe parlato della guerra italo-turca. Sazonoff mi diede risposta alquanto evasiva, dalla quale rilevai che non aveva un programma ben definito. Mi disse che certamente se ne sarebbe parlato e che questo sarebbe stato argomento più scabroso a trattarsi non avendo egli dimenticato che la Russia non aveva trovato nel Governo alleato l'appoggio e la cooperazione che si aspettava per il fine che voleva raggiungere. Mi accennò poi, con amarezza, al rumore fatto ad arte in Francia per l'avvenuto scambio d'idee fra i due Stati Maggiori della marina (di ciò riferisco in altro telegramma)3 e che aveva suscitato seria apprensione in Germania. Non mancò poi di ripetermi suo malcontento per tutta la maniera di agire e di fare del Governo francese. Dallo stato d'animo del Sazonoff e dalle cose da lui dettemi, ho tratto impressione che questa visita si effettua in condizioni assai difficili e che con poca probabilità i gravi malumori potranno essere dissipati. Parlando, poi, della situazione in Albania e Macedonia Sazonoff mi confidò che si proponeva di esporre a Poincaré il seguente progetto.

Il Governo ottomano composto presentemente di uomini saggi si è messo sulla strada di trattative con gli albanesi di fare delle concessioni secondo i loro desiderata. Sazonoff ad evitare complicazioni si propone di promuovere una azione delle Potenze a Costantinopoli perché queste concessioni siano accordate esclusivamente agli albanesi ed evitare che vengano estese alle popolazioni slave finitime.

Parallelamente poi le Potenze dovrebbero, secondo il suo progetto, indurre Governo ottomano a fare delle concessioni in Macedonia e ad introdurvi certe riforme sui consigli e le indicazioni delle Potenze. Sazonoff crede che in questo modo popolazione macedone ricevendo le riforme dalla Turchia stessa smetterà di sperare e aspettare il benessere dal Governo di Sofia. Ciò dovrebbe, secondo lui, contribuire fortemente al mantenimento dello statu quo balcanico.

Sazonoff pare conti, per raggiungere lo scopo, sulla ragionevolezza dei ministri ottomani che presentemente sono al potere. Se Poincaré accetterà questo progetto, esso sarà comunicato a Londra e poi agli altri Governi e Sazonoff pensa che non gli mancherà l'adesione degli altri Gabinetti. Aggiunse che sperava che queste sue vedute incontrerebbero approvazione di V.E., osservando che, se, per ora, Italia non avrebbe potuto partecipare a tale azione a Costantinopoli la guerra prima o poi doveva finire e l'Italia avrebbe ripreso il suo posto accanto alle altre Potenze. Infine Sazonoff mi promise di informarmi dettagliatamente delle conversazioni che avrebbe avuto con Poincaré appena questi sarà partito.

3 T. Gab. 1300/130 del IO agosto, non pubblicato.

962 2 T. Gab. segreto 1280 del del 2 agosto, non pubblicato.

963 1 T. Gab. segreto 1286 del 7 agosto, non pubblicato.

963 2 Il documento reca per errore: «Letta».

964

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA RISERVATA 56783/1930. Roma, 10 agosto 1912 (per. il 13 ).

Mi pregio segnar ricevuta dei fogli n. 13968 e 14513, in data 26 1 e 292 luglio u.s., riguardanti la questione dei confini fra la Cirenaica e l'Egitto ed, in specie, la località di Marsa Bardia.

Nei fogli anzidetti V.E. mi conferma che, d'accordo con il Ministero della marina e con il capo di Stato Maggiore dell'esercito, rimane esclusa, per ragioni d'indole militare, la opportunità della effettiva occupazione permanente di quel territorio. La interpretazione in contrario che era stata da me data alla nota di VE.

n. 12962, del 6 luglio u.s. 3 , risulta, pertanto, errata, sicché la mia lettera del 23 dello stesso mese, n. 17774 , deve ritenersi come non avvenuta.

Esclusa la permanente occupazione militare, si presentano, per risolvere il delicato problema, come osserva V.E., due metodi: l) provocare esplicite dichiarazioni in proposito da lord Kitchener; 2) escogitare un procedere che rappresenti, di fronte terzi, la nostra affermazione di possesso.

La prima via, a mio avviso, non è, però, scevra di inconvenienti, ed, anzi, sarebbe forse pericolosa, come quella che, svolgendosi in relazione agli accordi segreti del 1907, potrebbe provocare sui medesimi una eventuale discussione; mentre a noi non conviene in alcun modo fare passo qualsiasi che possa, sia pure lontanamente, mettere in dubbio, ed infirmame il valore di questi accordi.

Rimane così a considerare quale altra via ci rimanga per rendere ostensibile, di fronte ai terzi, la nostra presa materiale di possesso del territorio di cui si tratta. Questo Ministero aveva proposto la costruzione di un blocco portante lo stemma dell'Italia, ma VE. mi rappresenta le obiezioni che si potrebbero addurre contro tale proposta: sia perché tale segno, che si usa solo per i confini, assumerebbe, in località non di confine, quale è quella in cui si costruirebbe, un significato insueto e, nelle cirostanze attuali, quasi di sfiducia contro l'Inghilterra; sia perché tale blocco non sarebbe in permanenza difendibile, per le stesse ragioni per cui non si può addivenire ad una permanente nostra occupazione dei luoghi.

Mentre riconosco la giustezza di tali osservazioni, non mi resta che associarmi alle conclusioni cui giunge V.E. che, per il momento, non rimanga da seguire altra via se non quella della già stabilita ed attuata sin qui; vale a dire, sorveglianza sul contrabbando, occupazione volante da parte di navi nostre, con eventuale discesa a

964 1 Non rinvenuto. 2 Non pubblicato.

Non rinvenuta. 4 L. 52969/1777 del 23 luglio, non pubblicata.

terra momentanea di nostri marinai, ed eventuale azione di fuoco dalle navi stesse contro gruppi armati che colà si presentassero.

965

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. Costantinopoli, 10 agosto 1912.

Il suo ultimo telegramma dell'8 corrente non mi è arrivato che ieri notte.

Come telegrafatole stamane i delegati sono partiti ieri coll'Orient Express.

Vedo dai giornali che si fa la caccia ai negoziatori, e non so come si potrà sfuggire all'indiscrezione dei giornalisti. Il primo dei delegati che fu prima consigliere a Parigi con Munir Pascià, poi ad Atene ed infine a Sofia è antico regime. Egli sarà controllato dal secondo che rappresenta piuttosto il nuovo regime. I delegati turchi non hanno istruzioni da plenipotenziarii, sono dei negoziatori ad referendum; è quindi a Costantinopoli il crogiuolo dove si fonderanno, e lei tenendomi informato potrò certo influenzare questi circoli; così spero. Essi devono insistere per la sovranità ottomana nelle località non occupate militarmente. Il ministro degli esteri al quale dissi che in Italia questo principio non può essere accolto, mi rispose che è una bella pretesa la nostra di voler dichiararci sovrani di queilo che non possediamo e che in un anno di sforzi militari non siamo stati capaci di prendere. Soltanto, egli dice, se fossimo militarmente dei vinti, potremmo accettare la teoria italiana. Se noi si dicesse che ailora ci teniamo le isole, forse si deciderà dalla parte ottomana; ma anche ciò è molto dubbio, perché i turchi sono troppo ammaestrati dai nostri competitori. Kiamil pascià fece ieri una visita aii'ambasciatore di Germania e credo che abbia fatto circa la guerra le dichiarazioni di cui sopra. Qui sono certamente preoccupati dal fatto che in Libia gli ordini pacifici del

Governo non saranno ascoltati da quei comandanti. Il problema è ben difficile! A mano a mano che sarò in possesso dei dettagli non mancherò di telegrafarli;

sono a Costantinopoli per questo scopo.

966

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5022/GAB. 321. Parigi, 11 agosto 1912, ore 11,36 (per. ore 16,40).

Risposta al telegramma n. 30921• Signor Paléologue mi ha assicurato che nessun accordo esiste fra Francia e Inghilterra per mantenimento statu quo nell'Egeo e non vede inconvenienti a che Governo italiano smentisca ufficiosamente notizia contraria apparsa nella stampa estera. Signor Paléologue ha aggiunto risultargli che Governo inglese è recisamente contrario idea della nostra occupazione definitiva delle isole.

Mi risulta, poi, da informazioni, che esiste, invece, un accordo fra Inghilterra, Francia e Russia per politica concorde in Oriente. L'accordo contempla le varie eventualità che potranno prodursi nei Balcani.

967

IL MINISTRO A TEHERAN, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 686/186. Tedjriche, 13 agosto 1912 (per. l '8 settembre).

In conformità delle istruzioni impartitemi col dispaccio riservato-urgente

n. 54082/44 di pos. 17, Div. III, Sez. II del 27 luglio u.s. 1 recomi a dovere di qui appresso esporre succintamente il mio subordinato parere circa i dati di fatto e gli apprezzamenti contenuti nello scritto allegato a quella comunicazione chiedendo venia al tempo stesso a V.E. se per tal guisa mi occorresse di ripetere cose già dette nei miei rapporti sull'oggetto in questione.

Mentre per i particolari rimando alle annotazioni che mi son permesso di fare in margine alla bozza di stampa qui allegata2 , mi è gradito manifestare a V.E. che i dati di fatto contenuti in quel rapporto sono in massima esatti dando così l'autore prova di speciale diligenza nell'osservazione degli avvenimenti che si sono svolti e si svolgono a tanta distanza da lui. Se non ché i suoi apprezzamenti per la non conoscenza profonda di certe circostanze importantissime od anche per una non adeguata valutazione delle medesime lo hanno condotto alla formulazione di una

1062 ipotesi il cui avveramento da quanto qui mi risulta, appare più che difficile, come si dice anche alla fine del suo scritto, d'impossibile realizzazione.

La notizia di una eventuale cessione dei distretti persiani di Khoi e Salmas alla Turchia a compenso della perdita della Tripolitania e Cirenaica onde porre termine alla guerra italo-turca, non isfuggì neppure a me, ma sufficientemente al corrente del sustrato e dei varii aspetti della situazione turco-russa in Arzebaidjan non le detti alcun valore. Se non erro essa fu lanciata dali' Eclaire di Parigi, riprodotta da qualche giornale italiano, commentata in senso tutt'altro che favorevole da periodici russi, epperciò di nessuna importanza se ufficiosi o no, senza contare che essa posta a raffronto della realtà dei fatti doveva, come è avvenuto, perdere ogni parvenza di eventuale realizzazione.

È vero che la comunanza di culto, direi però delle popolazioni dei due distretti in questione e non di tutto l' Azerbaidjan, con gli abitanti dell'Impero ottomano costituisce un non trascurabile coefficiente di attrazione di questo su quelli; nessun dubbio che la Persia non sarebbe assolutamente in grado di impedire lo smembramento, che se la Russia potesse ottenere qualche rilevante ed adeguato compenso (ma quale?) non vi si opporrebbe, che le aspirazioni della Turchia sulla regione di Urmia, anzi su tutto l' Azerbaidjan sono tradizionali e provate anche nel campo pratico d eli' azione per mezzo delle sue ostina te invasioni di parte del territorio persiano, che il passaggio dei due distretti -se bene non in modo esclusivo potrebbe in certo modo giovare commercialmente anche all'Italia, che alla Sublime Porta od al partito responsabile della guerra con I 'Italia potrebbe piacere la permutazione, quantunque loro difficile sarebbe rappresentarla come equa se ristretta a Salmas e Khoi, che la Russia desideri per alcuni rispetti la pace fra Italia e la Turchia, ma tutto ciò non giova in nessun modo a spostare rispetto alla Russia la questione dell' Azerbaidjan, dai termini in cui essa è inquadrata.

La Russia appunto e principalmente per la necessità di garantire i suoi possessi del Caucaso non ha mai permesso né mai permetterà alla Turchia di stabilirsi nell' Azerbaidjan, e poiché la permanente occupazione di Urmia ed in i specie dei distretti di Khoi e Salmas con le loro importanti posizioni strategiche costituisce un passo, seriamente temibile, per la realizzazione delle aspirazioni ambiziose ottomane, essa, la Russia, è decisa a forzare la Sublime Porta a sgomberare in definitiva non solo la regione di Urmia, ma la zona contestata della frontiera turco-persiana. Negli anni addietro, allorquando la Russia aveva altre preoccupazioni interne ed internazionali e quando la Turchia non aveva assunto ancora l'atteggiamento aggressivo degli ultimi tempi, quella si accontentava di sostenere in via blanda diplomaticamente le ragioni della Persia, ma fattasi la vertenza fra questa e la Sublime Porta più acuta per l'avanzare delle forze ottomane verso l'est profittando del disordine e delle crisi interna d eli 'Impero degli scià, la Russia inviava sue numerose truppe a Tabriz ed anche prima che scopiasse la guerra italo-turca, essa assunse un contegno decisamente energico per arrestare la sua rivale. Associatasi in ciò l'Inghilterra provocava l'invio sui luoghi di una commissione anglo-russa per rendersi esatto conto della situazione. Le risultanze dei rapporti di quei delegati confermando, anzi ponendo in luce anche più grave, le usurpazioni della Turchia, la Russia forzava Persia e Turchia a porsi d'accordo per dirimere la controversia di frontiera con mezzi arbitrali prima a Costantinopoli e poscia, occorrendo, all' Aja. La Sublime Porta che a malincuore aveva ceduto, si dette da fare dell'ostruzionismo nel corso dei negoziati onde frustrare gli sforzi della sua rivale, ed allora mentre secondata dall'Inghilterra la Russia esercitava enormi pressioni diplomatiche a Costantinopoli, spingeva le sue truppe sino nei distretti di Khoi e Salmas già occupati dai turchi. Il conflitto italaturco intanto si prolungava da varii mesi e non a torto la Russia deve aver ravvisato propizio il momento per ottenere il suo scopo perché col fare una visibile e rumorosa concentrazione di forze sulla frontiera del Caucaso e nel lasciar credere che essa si disponeva a ricorrere alle armi, ha costretto la rivale già impegnata in una seria lotta con noi a più miti consigli. In fatto mentre per un istante molti hanno creduto imminente la guerra -e le apparenze davano ad essi ragione -la Turchia evacuava in parte le posizioni avanzate e, come sembra, smetteva di fare a mezzo dei suoi delegati dell'ostruzionismo nella commissione mista sedente a Costantinopoli. Essendo stato fissato fra la Sublime Porta e la Persia a sei mesi la durata dei lavori di quel consesso prima che, in caso di mancato accordo, la vertenza sia deferita al giudizio arbitrale dell' Aja, mancano ancora tre mesi per tale rinvio, che come ho già rapportato a V.E. la Russia vuole evitare ad ogni costo ed a tale uopo, sempre assistita dall'Inghilterra, che anche nella circostanza rappresenta al tempo i stesso presso il Governo turco la parte di pacifico consigliere, accompagna la pressione militare con la coercizione diplomatica. Il suo fine adunque è ben determinato; in più di una circostanza -ed io mi sono fatto un dovere di riferirlo a V.E. -a questa legazione di Russia stessa mi è stato detto in conversazioni, per quanto private ed amichevoli essere per l'Impero degli Czar questione di suprema importanza ottenere che la Turchia si ritiri da tutta la regione di Urmia ed adiacenze lasciando il libero e legale possesso alla Persia che non può farle ombra, o meglio ancora per occuparla possibilmente esso medesimo. Non è Tabriz sola che la Russia vuole, ma tutto l'Azerbaidjan e si tenga presente che senza le posizioni strategiche dell'ovest di questa provincia non solo non è concepibile la conquista ed il possesso di essa, ma, come ho già detto, lo stesso Caucaso è minacciato. Ed è perciò che la Russia occupa con le sue truppe Tabriz senza alcuna intenzione per ora di !asciarla.

Ma mettendo da parte le ipotesi e le argomentazioni pur fondate su indizi e prove abbastanza evidenti, mi è altresì d'uopo far notare a V.E. che parlando di recente accademicamente, anche prima che mi giungesse il dispaccio cui mi riferisco, con questo ministro di Russia della notizia pubblicata dai giornali circa cessione dei due menzionati distretti alla Turchia, egli la qualificò un'utopia, aggiungendomi confidenzialmente, ma senza mostrarsene convinto, che tutto al più la Russia pur di ottenere la definizione della vertenza di frontiera turco-persiana lungo l'Azerbaidjan secondo i suoi desiderata non si sarebbe opposta a secondare un compenso ai diritti colà accampati dalla Turchia con una modificazione della linea di confine del basso Kurdistan. Se siano già in corso trattative a tale proposito io ignoro, ma posso peraltro aggiungere che secondo quanto mi ha detto oggi stesso questo incaricato di affari di Austria-Ungheria, in via affatto riservata, il signor Sazonoff avrebbe di recente dichiarato all'imperiale e reale ambasciatore in Pietroburgo che la Russia non potrebbe assolutamente consentire che la Turchia rimanesse e si stabilisse nelle vicinanze di Urmia. Questa è adunque un'altra non indifferente conferma della tesi da me sostenuta in contraddizione della notizia pubblicata da alcuni giornali e che tuttavia mi fa pensare all'altra da me tempo addietro riferita a semplice titolo di cronaca e pure apparsa in certi periodici russi più fiduciosi riguardo ad essa, della eventuale annessione dell' Azerbaidjan da parte della Russia alla fine della guerra i tal o-turca. Considerata infine l'urgenza e l'importanza che ha per noi la questione dal punto di vista della presente fase del nostro conflitto con l 'Impero ottomano ho creduto mio dovere di manifestare nel breve telegramma n. 16 di oggi3 il mio non esitante avviso m proposito, generato da fatti e circostanze non isfuggite qui alla mia osservazione.

966 1 Cfr. n. 960, nota l. 967 1 Non pubblicato. 2 Non si pubblica. Si tratta del R. di Gorrini del 3 luglio, non pubblicato sulla notizia che alla fine del conflitto itala-turco, la Persia dovrebbe cedere i distretti di Salmas e Choi all'Impero ottomano.

968

IL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI, AL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE, A COSTANTINOPOLI, NOGARA

L. Caux, 13 agosto 1912.

Primo colloquio negoziatori avanzarono tre proposte, due base divisione territorio, terza regime simile Tunisia. Noi consegnammo proposta su base convenzione militare ritiro truppe contemporaneo truppe isole Africa, regolamento ogni questione rappresentante sultano Tripoli senza parlare riconoscimento sovranità. Telegrafarono ministro1• Scriviamo.

969

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI

T. GAB 1307. Roma, 14 agosto 1912, ore 17,35.

Mio telegramma Gabinetto 1293 1• Laroche ebbe comunicazione da Parigi di quanto codesta ambasciata fece sapere a codesto Ministero degli affari esteri in conformità al telegramma citato ed osservò a De Martino che la formula usata dal

R. Governo poteva far supporre alla Sublime Porta che noi mettiamo come condi

zione all'invio della missione turca in Tripolitania il riconoscimento implicito della sovranità italiana per parte del Governo ottomano.

De Martino attirò l'attenzione di Laroche sul pericolo che la missione ritornasse poi in Europa recando voti artificiosamente carpiti alle tribù arabe nel senso che queste facessero della sovranità nominale turca una condizione per la cessazione delle ostilità, ciò che contrariamente alle intenzioni del Governo francese avrebbe complicato le cose anziché facilitare la soluzione la quale non poteva aver luogo su altra base che non la sovranità italiana.

Laroche in via personale convenne della esistenza di questo pericolo. In seguito a scambio d'idee con Laroche, De Martino da me autorizzato, gli ha fatto stamane la seguente comunicazione che egli telegrafò al suo Governo: noi domandiamo soltanto al Governo francese, che si è amichevolmente offerto come intermediario, di assicurarsi prima di accordare il passaggio alla missione che questa ha ben per scopo di pacificare gli arabi e indagare i loro desideri per la cessazione delle ostilità, restando però inteso che la missione ricercherà solamente i desideri degli arabi relativi agli usi e privilegi locali e che essa s'impegna ad evitare tutto ciò che potrebbe sollevare la questione della sovranità la quale concerne esclusivamente i due Governi.

Nel confermare quanto precede a codesto Governo VE. può aggiungere che noi gli siamo grati del suo amichevole interessamento.

967 3 T. 5084/16 del 14 agosto, non pubblicato.

968 1 Non rinvenuto l'originale si tratta presumibilmente di una trascrizione del Comitato per la documentazione dell'opera d eli 'Italia in Africa.

969 1 Cfr. n. 962.

970

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. RISERVATO 3220. Roma, 14 agosto 1912, ore 22,20.

Ambasciatore d'Austria-Ungheria ha informato De Martino che Berchtold ha diretto agli ambasciatori un telegramma corcolare nel senso seguente.

L'attuale Ministero turco sembra consolidarsi e dimostra intenzioni serie di pacificare l'Albania. Occorre però tener conto di certe correnti che si manifestano nei popoli balcanici, le quali, se spinte all'estremo, potrebbero anche minacciare lo statu quo. I popoli balcanici temono, infatti, che la Sublime Porta intenda concedere l'autonomia all'Albania ciò che importerebbe una delimitazione territoriale di quelle regioni. E temono che tale delimitazione possa risultare a detrimento delle altre nazionalità della Macedonia, co !l'attribuire ali' Albania territori che essi rivendicano dal punto di vista etnico. La Bulgaria, la Grecia e la Serbia manifestano intenzione di voler prevenire questa eventualità.

Il Governo austriaco non condivide questa impressione degli Stati balcanici. Esso ha invece ragione di ritenere che la Sublime Porta intende abbandonare il sistema di centralizzazione dei Giovani Turchi e seguire una politica favorevole alle varie nazionalità. Quanto all'Albania la Sublime Porta non pensa ad accordarle l'autonomia né si occupa di delimitare quella regione. Si tratterebbe solamente di concessioni per la conservazione di antichi privilegi e pel riconoscimento della lingua albanese. Pertanto tali concessioni non offendono le altre nazionalità dei popoli balcanici.

Il Governo austriaco è d'avviso che i popoli balcanici dovrebbero considerare con favore e non ostacolare una tale politica di decentramento che è conciliabile colle loro aspirazioni legittime e che tende ad un trattamento individuale delle singole nazionalità.

Ora il Governo austriaco desidera entrare in scambio d'idee cogli altri Gabinetti per conoscere: l) se essi sono disposti ad agire presso la Sublime Porta allo scopo di incoraggiarla in queste nuove direttive di decentramento; 2) se essi sono disposti a consigliare agli Stati balcanici di lasciare, nel loro proprio interesse, al Governo turco la possibilità di inaugurare questo nuovo sistema riguardo il trattamento individuale delle varie nazionalità, evitando tutto ciò che potrebbe disturbare il funzionamento.

Farò pervenire quanto prima una risposta a questo ambasciatore d'Austria 1 .

971

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1532/592. Ram/eh (Alessandria), 14 agosto 1912 1.

S.A. il Kedive, giunto in Egitto nel pomeriggio di avant'ieri, mi ha fatto chiamare ieri di urgenza insieme al colonnello Ella nella sua villa di Montazah ed appena ci ebbe ricevuti disse di aver avuto la sera prima un telegramma da Siwa che gli annunciava l'avvenuto arrivo di Sidi Ahmed el Senussi a Giarabub. Sua Altezza mi richiese di telegrafare tosto siffatta notizia al R. Governo, ciò che feci col telegramma n. 88 di Gabinetto2 •

Data la distanza che separa Giarabub da Siwa (due giornate di carovaniera e mancanza di comunicazioni telegrafiche) è a presumersi che il capo dei Senussi sia giunto in quell'oasi il 10 o 11 corrente: ma l'arrivo doveva esserne noto in precedenza, almeno nei campi turchi in Cirenaica, se Enver bey ha già potuto far chiedere a Sidi Ahmed un colloquio ed informarne questo alto commissario ottomano. Reuf pascià infatti subito dopo l'arrivo del kedive l'informò che Enver bey gli aveva telegrafato d'aver saputo che il capo dei Senussi era giunto a Giarabub e di avergli

2 T. Gab. 1309/88 del 13 agosto, non pubblicato.

chiesto di recarsi a Zauia el Beida dove avrebbero potuto incontrarsi e conferire. Il capo Senussi gli fece rispondere che non avrebbe avuto difficoltà di recarsi nella località suggerita, qualora avesse avuta la certezza di non essere molestato dalle pattuglie del Governo egiziano. Reuf pascià chiese appunto al kedive di fargli avere delle assicurazioni in proposito.

Il Governo egiziano si propone di rispondere all'alto commissario ottomano che non esiste sul suo territorio alcuna località denominata Zauia el Beida e che non ha pertanto da dare alcuna assicurazione. Ma anche a questa risposta fu soprasseduto per desiderio del signor Cheetham, reggente di quest'agenzia britannica il quale disse di aver telegrafato a Londra dell'avvenuto arrivo, del passo fatto da Enver bey e di quello di Reuf pascià per averne istruzioni sulla linea di condotta da tenere.

Il kedive mi disse che ignorava completamente quali fossero attualmente i sentimenti di Sidi Ahmed el Senussi a nostro riguardo, ma che pensava non ci fossero decisamente ostili. Lo desumeva dal fatto che l'aver mostrato timore di difficoltà da parte di pattuglie egiziane nel viaggio da Giarabub a Zauia el Beida, località che si trova ad occidente di Derna, presso alla costa (dalle carte geografiche appare situata ad una ventina di chilometri da questa), aveva tutto l'aspetto di essere una scappatoia per non accogliere l'invito del comandante turco. Sua Altezza osservò inoltre che a Giarabub il capo dei Senussi aveva certamente trovato il Saied Mustafa, latore della lettera di Idrissi.

È anche da tener presente che Sidi Ahmed el Senussi deve pure aver ricevuto il messo del principe Fuad, del quale, per quanto mi riguarda non ho più avuta notizia dopo la partenza del principe. Non so dove questi si trovi attualmente, ma V.E. ha modo di conoscerne l'attuale residenza parmi sarebbe opportuno dargli notizia dell'arrivo del capo Senussi a Giarabub.

Vi hanno poi i messi mandati dal dottor Insabato e da Mohamed Ali Elui, ma sui risultati che questi hanno ottenuto sono egualmente del tutto all'oscuro.

La improvvisa notizia dell'arrivo di Sidi Ahmed, mentre tutti lo ritenevano sempre a Kufra, è avvenimento di grandissima importanza che per noi può avere le maggiori conseguenze, in bene od in male, e che in ogni caso potrà servire in breve volger di tempo a farci conoscere quali veramente sono i sentimenti del Senussi verso di noi. L'invito di Enver bey si comprende facilmente e si comprende pure che quel comandante turco abbia suggerita per l'incontro una località abbastanza prossima alla propria residenza, anziché recarsi a Giarabub personalmente. È probabile infatti che Enver bey, pur desiderando di influire sull'animo del Senussi per vincerne le incertezze ed ottenere che si dichiari avverso alla nostra occupazione, non osi allontanarsi troppo dalle forze che si è raccolte intorno. Forse, oltre i possibili timori per la propria sicurezza personale, Enver bey spera di poter persuadere il capo Senussi della bontà della causa turca appunto col dargli modo di conoscere le forze di cui dispone; forse egli pensa anche di scontare l'importanza dell'arrivo di Sidi Ahmed in un sito tanto vicino alla costa per rianimare lo zelo dei combattenti arabo-turchi.

La scusa trovata dal Senussi per non aderire, almeno per il momento all'invito, può darsi sia, come presume il kedive, un indice di sentimenti non sfavorevoli

1068 ali 'Italia, ma può anche essere una nuova prova di quella cura che il Senussi ha sempre avuta di tenersi lontano da ogni contatto con le autorità legali del Paese, siano esse turche od italiane.

Più difficile ancora, almeno qui a me, in un momento in cui lord Kitchener è assente, è sapere quale atteggiamento vorrà assumere il Governo britannico, ora che Sidi Ahmed el Senussi è giunto in un'oasi di cui si pretende l'appartenenza all'Egitto. Il concorso dell'Inghilterra per ottenere che l'arrivo del Senussi non si risolva in un danno certo per noi potrebbe ottenersi a Londra soltanto. Ma poiché dovran passare varie settimane prima che giungano da Siwa notizie particolareggiate sull'arrivo e sull'atteggiamento di Sidi Ahmed è da ricordare che lo stesso Governo inglese può voler attendere qualche informazione più esatta prima di prendere una decisione qualsiasi.

Direttamente questa agenzia non ha avuto mai modo di occuparsi della questione concernente i Senussi. Delle missioni mandate al loro capo, quella di cui ebbe maggiori notizie fu quella inviata dal kedive per consegnare la lettera di Idrissi: poco seppe di quelle del principe Fuad: nulla di quelle del dott. Insabato. Questi è ora assente ed il Mohamed Ali Elui, che si afferma tornato da qualche giorno al Cairo, non viene mai in agenzia. Anche per questi ultimi, del resto, se quanto mi dicevano in passato era esatto, la venuta del capo dei Senussi deve esser stata una sorpresa.

In occasione dei colloqui avuti nel luglio scorso con V.E., ricordo di aver accennato anche alla probabile venuta di Sidi Ahmed a Giarabub, ricordando che qualora avvenisse vi si sarebbero forse potuto allacciare, col concorso del Governo britannico, relazioni dirette. Non so se questa eventualità sia stata poi tenuta presente e studiata, date le affermazioni della missione Insabato che il Senussi non si sarebbe mosso da Kufra. Invece il di lui arrivo ne li'oasi rende anche di maggiore attualità la questione del possesso della medesima, che gli inglesi rivendicano per l'Egitto, cosa che al Senussi non potrà di certo piacere e potrà invece influire sui di lui rapporti con l'Italia3 .

970 1 Per le risposte da Parigi e da Pietroburgo cfr. nn. 975 e 978. Vienna e Berlino risposero rispettivamente con T. 5124/594 del 15 agosto e T. 51541197 del 16 agosto, non pubblicati. La risposta da Londra non è stata rinvenuta nel registro dei telegrammi.

971 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

972

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1534/593. Ram/eh (Alessandria), 14 agosto 1912 (per. il 27).

Nel corso di una udienza avuta ieri a Montazah, S.A. il Kedive, appena tornato dall'Europa per passare in Egitto il mese di Ramadan, mi disse che durante il suo

1069 soggiorno a Costantinopoli il sultano lo aveva pregato di adoperarsi a Londra per veder di ottenerne l'appoggio in vista di una eventuale conclusione di pace con l 'Italia. Il kedive rispose che per potersi assumere un siffatto incarico avrebbe dovuto conoscere in modo esatto lo stato delle cose, perché altrimenti ogni suo passo poteva esser inutile, se non dannoso. Il sultano ne convenne ed autorizzò il kedive a parlarne col gran vizir, il quale in apparenza promise al kedive di fornirgli tutte le basi necessarie per le sue trattative, ma in fatto non lo mise affatto al corrente della situazione, in modo che Sua Altezza espresse chiaramente l'intenzione di non occuparsi di quanto il sultano gli aveva detto.

Giunto a Londra tuttavia, dove il kedive ebbe le migliori accoglienze, re Giorgio lo intrattenne naturalmente anche della guerra che tocca così da vicino gli interessi del Vice Reame e del Mediterraneo. Il re disse al kedive che l'Inghilterra era animata da molta simpatia ed amicizia per l'Impero ottomano, ma che aveva eguali sentimenti anche per l'Italia. Anzi il fatto che l'Italia appartiene alla Triplice Alleanza consigliava al Governo britannico di coltivarne in modo particolare l 'amicizia. «Tanto più ora», il re avrebbe detto, «che l'Italia per colpa della Turchia è diventata padrona di un così lungo tratto di costa neli'Africa mediterranea, da dove anche con poche forze navali potrebbe arrecare i maggiori danni ali'Inghilterra e chiuderle le comunicazioni tra Malta ed il Canale di Suez».

Sua Maestà britannica avrebbe inoltre soggiunto che la guerra mossa alla Turchia aveva avute gravi conseguenze internazionali, specialmente in seguito all'occupazione delle isole egee; e che la situazione sarebbe diventata più complicata ancora qualora il Governo italiano avesse fatto qualche atto inteso a dimostrare l'intendimento di conservare, in tutto od in parte, le isole stesse e specialmente se avesse cominciato a fortificarle, perché in tal caso la posizione dell'Inghilterra nel Mediterraneo sarebbe diventata ancor più pericolosa. Re Giorgio avrebbe concluso che un simile atto da parte dell'Italia avrebbe mutato radicalmente l'equilibrio del Mediterraneo ai danni della Gran Bretagna ed in favore della Triplice, non escludendo la possibilità che il Governo italiano vi sia spinto dalle sua alleate che forse aspirano a dei compensi nell'Egeo stesso per avervi a loro volta delle basi navali.

Più esplicito ancora fu col kedive il ministro Churchill, il quale disse chiaramente, che di fronte alla mutata situazione mediterranea l 'Inghilterra aveva dovuto pensare alla difesa propria e dei propri possedimenti, decidendo di creare una stazione navale in Egitto.

S.A. il kedive disse che mi riferiva quanto precede per mia conoscenza personale, asserendo di averne tenuta parola con S.M. il Re, Nostro Augusto Sovrano, in occasione di una visita fattagli al ritorno da Londra. Del suo incontro col nostro sovrano il kedive mi parlò apertamente in presenza del colonnello Elia, rinnovando le sue proteste di affetto e di devozione per Sua Maestà per l'Italia.

971 3 Per il seguito cfr. n. 983.

973

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1535/594. Ramleh (Alessandria), 14 agosto 1912 (per. il 27).

S.A. il Kedive mi disse ieri che durante un suo recente soggiorno in !svizzera vi aveva saputo dell'arrivo di un suo parente, Said Halim, allora presidente del Consiglio di Stato ottomano; e siccome questi, pur essendo nella stessa città, evitava di trovarsi con lui o di fargli sapere del suo arrivo, il kedive era venuto in sospetto che si trattasse di qualche maneggio a suo danno verso il Governo inglese. Più tardi invece il kedive ebbe la convinzione che Said Halim stava trattando con dei messi ufficiali od ufficiosi del Governo italiano in vista di concretare delle condizioni di pace tra l 'Italia e la Turchia.

Risposi a Sua Altezza che dei colloqui di Said Halim con personaggi italiani si era parlato molto in tutta la stampa europea, ma che in Italia si era smentita l'esistenza delle accennate trattative.

Continuando a parlare su questo argomento della pace Sua Altezza mi disse ancora che la riteneva ben più difficile per il Gabinetto ottomano attuale, che non per il precedente. Il Ministero di Muktar pascià è composto di uomini ben più onesti dei loro predecessori e più consci della grave situazione che il Paese sta attraversando; i ministri, individualmente, sono quasi tutti desiderosi di veder cessare la guerra, ma si trovano di fronte a questioni di politica interna ed estera tanto serie da render ben difficile la conclusione della pace. Muktar pascià ed i suoi colleghi intendono naturalmente dare ali 'Impero un governo vitale che possa salvare il Paese dalla rovina cui gli altri l'avevano avviato e tra le insidie dei loro avversari del Comitato Unione e Progresso, tra i movimenti rivoluzionari delle varie nazionalità, che hanno grande ripercussione nelle relazioni della Turchia con altri Paesi e specialmente con gli Stati balcanici, essi non possono, anche volendolo, occuparsi di addivenire ad una pace che può ottenersi solo con la perdita delle province africane, dando così in mano ai loro oppositori, un'arma per renderli malvisti alla popolazione e provocarne la caduta.

Condivido pienamente l'opinione del kedive che ora, assai meno che con un Gabinetto giovane turco puro, più accessibile anche ad argomenti di interesse personale, sia possibile al nostro Paese di addivenire ad una pace che non sia imposta con mezzi coercitivi efficaci.

974

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 5151/394. Parigi, 16 agosto 1912, ore 21,35 (per ore 24).

Accordo tra Bulgaria e Serbia.

Paléologue, che è stato a lungo a Sofia, esclude, nel modo più assoluto, che sia intervenuto un accordo positivo tra Serbia e Bulgaria, oltre la intesa vaga e puramente difensiva che si crede esistere. Certi rapporti tra i due Governi sono migliori e divenuti più intimi; però, secondo Paléologue, il re Ferdinando non tiene la Serbia in alcun conto e non addiverrà a accordi che con una Grande Potenza o l'Austria o la Russia, secondo più gli converrà. Del resto, l'Austria avrebbe già assicurato a re Ferdinando che, dovendosi procedere alla delimitazione dell'Albania, questa avrebbe luogo a spese dei distretti reclamati dai serbi che vi sarebbero inclusi, mentre sarebbero esclusi i distretti reclamati dai bulgari. Io, poi, ricordo che il compianto Milovanovich ha più volte tentato di stringere accordi colla Bulgaria sulla base di divisione della Macedonia e che la Bulgaria si è sempre rifiutata di riconoscere espressamente delle zone d'influenze serbe.

975

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 5152/396. Parigi, 16 agosto 1912, ore 21,35 (per ore 24).

Telegramma di V.E. 32201• Qui, in generale, mossa di Berchtold è giudicata molto abile. L'Austria riprende la protezione delle popolazioni cristiane della Macedonia, che erano state abbandonate dall'Inghilterra e dalla Russia e offre agli Stati balcanici un compenso al loro contegno di inazione per non turbare lo statu quo; essa prende così il primo posto nelle questioni balcaniche, pur chiedendo il concorso de li 'Europa.

Si osserva, inoltre, che la proposta Berchtold è redatta in termini tali che nessuna Potenza potrà rifiutare di associarsi ad essa. È dubbio che faccia impressione ugualmente buona alla Turchia, la quale vede riformare il concerto europeo per imporle le riforme in Macedonia. Però era evidente che a ciò si doveva venire, dopo che i Giovani Turchi avevano commessi a danno della popolazione cristiana di Macedonia arbitri, violenze e crudeltà peggiori di quelle del regime hamidiano.

975 1 Cfr. n. 970.

976

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, MIRABELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA 16543. Roma, 16 agosto 1912 (per. il 19).

In risposta al foglio ufficioso di S.E. il marchese di San Giuliano, n. 439 del 28 giugno 1912 1 questo Ministero pregiasi comunicare a codesto il risultato delle ricerche fatte a Tripoli del documento indicato nel foglio sopraddetto.

Il Comando del Corpo d'occupazione della Libia ne fece iniziare subito le ricerche ed attualmente le fa proseguire. Fin'oggi però sono restate infruttuose, sia perché tutti i documenti sono stati raccolti ed accumulati disordinatamente in parecchi cameroni del castello.

Il Comando del Corpo d'occupazione non potendo trasmettere il documento ha però fomite alcune utili informazioni che si partecipano a codesto Ministero perché si ritengono in relazione col documento fin'oggi inutilmente ricercato.

Che i turchi abbiano sempre diffidato degli arabi è risaputo. Come esempio di tale diffidenza si può citare il fatto che nel 1897, quando, in un momento di panico per un nostro sbarco a Tripoli, si distribuì agli indigeni una parte dei fucili tenuti nei depositi, non si dettero le munizioni. Il valì di allora ebbe a dire che non se ne fidava.

Il muscir cui si allude nel foglio n. 439 di S.E. il ministro degli affari esteri, è probabilmente Regeb pacià, che fu poi anche valì e che mori appena fu nominato ministro della guerra nel primo Gabinetto dei Giovani Turchi.

Egli, albanese, si sa che diffidava degli arabi e li disprezzava ed era perciò contrario alla secolare istituzione dei quaraglia e a quella recente delle milizie a piedi. Nel 1902, quando era solo comandante delle truppe, unitamente al valì Hafiz pascià dimostrò a Costantinopoli la convenienza per l'erario di sopprimere l'esenzione dalle tasse per i quaraglia e l'inutilità delle milizie a piedi, perché, diceva, nulla di buono v'era da aspettarsi da quella accozzaglia.

Dimostrata la convenienza di abolire le milizie indigene e la necessità di difendere il Paese da una occupazione italiana, sempre temuta, il Regeb proponeva la costituzione di una seconda divisione regolare e la proclamazione dell'obbligo generale al servizio militare, che non vigeva ancora per la Tripolitania.

Il Regeb era tenuto in grandissimo conto, e, come turco era veramente un uomo superiore, il migliore che abbia governato la Tripolitania; tuttavia delle due proposte solo la seconda fu attuata. La soppressione dei quaraglia e la proclamazione dell'obbligo al servizio generale militare diedero luogo a rivolte e a spargimento di sangue.

Dopo il Regeb si successero altri valì ed altri comandanti di truppe di mediocre valore, finché nel 1910 fu nominato valì il muscir Ibrahim Pascià. Costui, conscio

1073 delle nubi che la sua politica italofoba addensava sulla Tripolitania, chiese al Governo centrale rinforzi di truppe regolari, armi munizioni; ma poiché nulla arrivava, poche settimane prima del bombardamento la locale sezione del Comitato unione e progresso inviò telegraficamente una masbata (sic) a Costantinopoli per sollecitare almeno l'invio d'armi e di munizioni da distribuire agli indigeni.

Fu questo appello che determinò la venuta del «Derna».

Con l'occasione il Comando del Corpo d'occupazione ha segnalata la deficienza di esperti e coscenziosi traduttori di turco, dei quali ha molto bisogno. Questo Ministero fa del suo meglio per rispondere alle giuste richieste di quel Comando ed intanto prega codesto di volergli segnalare le persone idonee allo scopo, qualora ne avesse in vista e disposte ad assumere l'incarico.

976 1 Cfr. n. 911.

977

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. RISERVATISSIMO 3255. Roma, 18 agosto 1912, ore 18,15.

L'incaricato d'affari di Francia mi ha comunicato quanto segue: «Sin dal principio del 1912 la flotta italiana ha bombardato a più riprese Cheik Said. A questo proposito il Governo francese si riferisce alle conversazioni che ebbero luogo in dicembre 1911 tra il signor Barrére e il marchese di San Giuliano il quale aveva dichiarato non volere pregiudicare i diritti eventuali della Francia sulla costa d'Arabia. Benché non sia nella sua intenzione di far valere attualmente quei diritti, il Governo francese che aveva apprezzato l'amichevole correttezza del Governo italiano si riferisce a tale dichiarazione».

Gli ho risposto: che si tratta di operazioni di carattere esclusivamente militare e che non intendiamo affatto contestare i diritti che la Francia può avere in Cheik Said.

978

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5180/GAB. 134. Pietroburgo, 18 agosto 1912, ore 20,25 (per. ore 22,30).

Telegramma di V.E. 32201 .

Ho chiesto a Sazonoff maniera di vedere a proposito proposta di Berchtold. Egli mi rispose che mi avrebbe, in via confidenziale e per mio esclusivo uso personale, manifestato chiaramente il suo pensiero che è il seguente: cominciò con il fare un'aspra critica alla proposta austriaca qualificandola d'ingenua e mancante di serio contenuto. Mi disse poi che, a suo modo di vedere, essa rappresentava un vano tentativo per ottenere a tutto vantaggio dell'Austria l'autonomia dell'Albania ed una delle solite manifestazioni del Gabinetto di Vienna per mettere l'Austria sempre in prima linea per le questioni riguardanti l'Albania.

Aggiunse indi che siccome nella circolare l'Austria non si atteggia a protettrice degli slavi ma solo degli albanesi e contiene una esplicita affermazione del mantenimento dello statu quo balcanico, la Russia non aveva ragione di dolersi di questo passo di Berchtold ma cionondimeno per diverse ragioni non crede di potere aderire in tutto al punto di vista di Vienna.

Sazonoff mi ha confidato di avere già da un pezzo messo in guardia il Governo ottomano contro i pericoli cui andrebbe incontro la Turchia accordando la autonomia all'Albania e procedendo ad una delimitazione territoriale di quella regione e di avere ricevuto da Costantinopoli notizie precise e categoriche secondo le quali risulta che, se il Governo ottomano è disposto a fare delle concessioni agli albanesi, esclude in modo assoluto ogni idea di autonomia e di delimitazione della regione.

Stando così le cose l'idea lanciata dal Gabinetto di Vienna secondo Sazonoff si riduce a questi due punti: concessioni per gli albanesi, nulla per le popolazioni macedoni, azione delle Potenze presso gli Stati balcanici perché assistano a ciò tranquillamente. Ora Sazonoff sostiene che le popolazioni macedoni reclamerebbero ad ogni costo un trattamento simile a quello fatto all'Albania ed è assurdo pretendere che le Potenze possano calmare Stati balcanici e le popolazioni cristiane invitandole a non chiedere nulla ed a dichiararsi soddisfatte «della semplice tendenza decentralizzatrice manifestatasi ora a Costantinopoli». Sazonoff ritiene tutto ciò ingenuo e anche pericoloso perché in sostanza gli albanesi otterrebbero certo concessioni con l'appoggio delle Potenze perché si sono messi in aperta rivolta e le popolazioni cristiane sarebbero spinte anche verso la rivoluzione per ottenere altrettanto.

Per tutte queste considerazioni Sazonoff pensa che la Russia potrebbe aderire al primo punto della circolare di incoraggiare cioé il Governo ottomano nella tendenza decentralizzatrice in generale, ma non crede di potere aderire al secondo punto specialmente ora dopo i fatti di Cocciana che hanno chiaramente dimostrato in quale triste condizione si trovano popolazioni di cristiani di Macedonia che hanno effettivamente bisogno di più umano trattamento. Sazonoff mi ha detto poi che aveva già fatto a quest'ambasciata d'Austria-Ungheria le sue obbiezioni alla proposta di Berchtold !asciandogli comprendere quale fosse il suo pensiero in proposito. Aggiunse di aver detto a Thurn che nonostante che la proposta del Gabinetto di Vienna non gli sembrava pratica, constatava con soddisfazione che la circolare era ispirata al concetto del mantenimento dello statu quo e evitare complicazioni nei Balcani: terreno questo nel quale Austria e Russia dovevano sempre camminare (?)2 per continuare e rafforzare i buoni rapporti fra i due Gabinetti.

Ha concluso dicendo che per il momento non darà nessuna risposta ufficiale volendo prima intendersi con gli altri Gabinetti, ma escluse in ogni modo la possibilità per la Russia di fare presso i Governi balcanici i passi nel senso indicato dalla circolare del conte Berchtold3 .

978 1 Cfr. n. 970.

978 2 Il punto interrogativo è del decifratore.

979

IL VICE CONSOLE LORI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 615/310. Costantinopoli, 19 agosto 1912 (per. il 24).

In questi ultimi tempi ho avuto notizia più d'una volta e ne ho anche riferito nei miei telegrammi di dichiarazioni in senso pacifico fatte da personaggi ufficiali turchi. Così alcuni giorni fa Gabriel effendi Noradunghian manifestava all'ambasciatore di Francia il suo proposito di trovare un mezzo per indurre gli arabi della Libia a cessare la resistenza; qualche giorno dopo il ministro della guerra, Nazim Pascià, diceva all'addetto militare francese che «la pace si farà ben presto»; ultimamente Gazi Mouhtar stesso diceva al signor Laboulinière, delegato francese al Debito Pubblico ottomano, che il Governo è deciso a fare la pace.

Non si può fare a meno, però, di rilevare la coincidenza fra queste dichiarazioni, fatte a dei francesi, e gli sforzi che, proprio in questi giorni, il Governo ottomano fa sul mercato di Parigi, per trovare denari.

In realtà, si ritiene che l'attuale Governo abbia migliori disposizioni del precedente Gabinetto. La questione essenziale, però, è sempre quella della sovranità sulle due province africane: e su questo punto non si ha finora nessun indizio che il Gabinetto Moukhtar sia rassegnato a fare il gran passo che il Gabinetto Said aveva così ostinatamente rifiutato di fare. Corre voce, anzi, in ambienti bene informati che, da qualche tempo, Kiamil pascià si mostri propenso, assai più che qualche mese fa, all'idea di esigere la sovranità, sia pure nominale, del sultano su una parte, almeno della Libia: e l'influenza di Kiamil pascià è grande in seno al Gabinetto.

Secondo quanto si può arguire da certi loro discorsi, le illusioni che i turchi si farebbero circa alla possibilità di arrivare ad una soluzione del genere ora accennato troverebbero alimento, secondo loro, anche nella situazione politica e militare della Cirenaica: essi trovano che la situazione militare colà è rimasta stazionaria dal principio della guerra e, d'altra parte, quelle popolazioni arabe si manterrebbero fedeli ad Enver bey e ai suoi ufficiali in modo da far bene sperare anche per il seguito della resistenza.

978 3 Per il seguito cfr. n. 984.

980

IL DIRETTORE DELLA SOCIETA' COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. Costantinopoli, 19 agosto 1912.

Ho ricevuto sua pregiata 13 corrente cogli allegati delle proposte scambiatesi. Come già scrittole io ho l'impressione che il loro memorandum sarà preso in seria considerazione, malgrado che esso sia tanto lontano dalle idee turche. Ma bisognerà bene che modifichino le loro idee!

All'ambasciata di Germania però pensano che la Turchia, senza una pressione collettiva delle Potenze, non si deciderà alla pace. Nella conversazione avuta ieri con Nouradonghian ho avuto l'impressione che i vecchi turchi siano molti ostinati, pazzescamente ostinati.

Avendomi egli detto che i circoli politici erano irritati per l'attitudine del Montenegro e della Bulgaria, nonché per i propositi dell'Austria, gli risposi che necessità tecniche e diplomatiche consigliavano la pace immediata cogli italiani. Ma egli affermò essere questa una deduzione mia e non simile a quella che fanno i turchi! Questi dichiarano che se deve scoppiare un'altra guerra tanto vale non fare la pace coll'Italia. In una parola nel Governo vi è molto nervosismo e, lasciato da noi tranquillo in Europa e nell'Egeo, poco si preoccupa della guerra in Libia, anzi amerebbe lasciare ai suoi successori questo problema da sciogliere e probabilmente la domanda di un armistizio tenderebbe a questo scopo.

Ho preso nota che venne respinto in modo categorico.

Nouradonghian mi disse poi che alcuni trovarono inopportuna la mia presenza e l'autorizzazione a telegrammi cifrati. Tanto per sua norma e per il caso che l'amico mi domandasse il cifrario.

Ormai l'esistenza di negoziati privati è nota urbi et orbi. Questa notorietà nuoce forse? Io non credo, perché, se i negoziati naufragheranno, si saprà che la Turchia fu intransigente.

lo sono sicuro che se il loro memorandum fosse comunicato anche agli ambasciatori, nessuno potrebbe dire che noi imponiamo alla Turchia condizioni inaccettabili.

I turchi in generale si affrettano a dire a tutti i diplomatici specie ai francesi che a breve termine si farà la pace ma è tutta una manovra per allontanare ogni consiglio delle Potenze e per poter ottenere dai francesi del denaro.

Invece è certo che la tenacità dei vecchi, tipo Kiamil, non è vinta. All'ambasciata tedesca si sussurra che l'Inghilterra abbia intenzione di cedere Cipro alla Turchia per avere dei vantaggi nel Golfo Persico. Questa proposta secondo l'ambasciatore tedesco sarebbe avanzata se la questione delle isole dell'Egeo venisse sollevata. Il Gabinetto turco non sa mettersi a posto e consolidarsi per la questione interna. Il nuovo titolare degli interni pare dimissionario. lo vedrò stasera o domattina il ministro degli esteri.

981

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO S.N. Berlino, 20 agosto 1912 (per. il 23).

Con i miei telegrammi Gabinetto 194 e 200 1 non ho mancato di riferire a V. E. come questo Governo abbia atteso colla maggiore tranquillità i possibili risultati della visita del signor Poincaré a Pietroburgo. Tranquillità fondata evidentemente sui buoni rapporti esistenti fra i due Imperi, consolidata dalla cordialità dell'incontro di Baltischport, e ancora più dalle dichiarazioni fatte dal signor Sazonoff all'ambasciatore di Germania a Pietroburgo nel senso di escludere la possibilità di qualunque nuovo patto

o intesa politica, navale o altra, volta a danno della Germania o dei suoi interessi.

Le esagerazioni della stampa francese che all'indomani della mal celata apprensione e del chiaro dispetto dimostrato per l'incontro di Baltischport, volevano far credere all'imminenza di nuove intese franco-russe o anche anglo-franco-russe che avrebbero minacciato la Germania, furono qui accolte con una indifferenza, una moderazione veramente notevole in un popolo ed una stampa che per solito sono assai suscettibili. Certamente vi fu una parola d'ordine venuta dal Governo in senso rassicurante, ma del fatto che questa attitudine sia stata così generale anche in giornali d'opposizione è mestieri cercare la spiegazione in una causa più generale: e questa è che la persuasione esistente nel Governo esiste anche in tutta l'opinione pubblica.

Non si crede qui che in Russia possa prevalere una tendenza politica contro la Germania. Si crede che la Russia sia intenta solo a proseguire la realizzazione dei suoi interessi che si reputano non siano affatto in contraddizione cogli interessi germanici. E si crede che le avances che essa fa ogni tanto alla Francia si devono attribuire piuttosto ai secondi fini di sfruttarne il mercato finanziario che a scopi politici attuali.

Una prova di questa quasi unanimità di pensare si ha nel Berliner Tageblatt il foglio frondeur per eccellenza. Il signor Teodoro Wolff che, con tutti i suoi difetti, è certo uno dei più abili giornalisti di Berlino e buon conoscitore della politica estera per averla oltre che da qui per molti anni osservata e studiata da Parigi, mentre non perde occasione di attaccare il cancelliere e il signor von Kiderlen-Waechter suoi acerrimi nemici, non lo ha fatto questa volta, ma si è limitato in un articolo del suo Berliner Tageblatt intitolato Chi è il più sciocco dei tre a dimostrare che in questa gara della Francia, dell'Inghilterra e della Germania per cattivarsi le simpatie e l'amicizia della Russia, questa sola trae tutti i profitti proseguendo indisturbata per la sua via .... con i fondi che le offrono le altre. Egli poi conchiude che la più sciocca sembra l'Inghilterra che sacrifica la Persia e l'Estremo Oriente, si lascia staccare l'alleato Giappone e finirà forse coll'apertura dei Dardanelli a tagliarsi la via delle

Indie (Ricordo incidentalmente che parlandomi di questo articolo Zimmermann mi disse scherzando che Wolff fra i corteggiatori della Russia aveva dimenticato l 'Italia!).

Se così ben disposti erano già e Governo e opinione pubblica si comprende facilmente come le dichiarazioni di personaggi russi e gli articoli di quei giornali che hanno cercato di gettare acqua fredda sui focosi entusiasmi con cui la stampa francese aveva accolto la notizia della convenzione marittima e commentato il viaggio di Poincaré fecero qui molto piacere. E ne derivò la generale persuasione che si era trattato probabilmente di creare più che altro un successo politico personale a Poincaré e di dissipare nell'opinione pubblica francese l'inquietudine che vi potesse essere rimasta dopo l'incontro di Baltischport per prepararla a qualche nuovo prestito russo.

E così si arrivò al comunicato ufficiale. Anche questo è stato accolto con soddisfazione. Si è osservato intanto che in esso nulla vi è che possa anche lontanamente confermare tutto ciò che da Parigi era stato previsto ed annunciato. Quanto alla sua cordialità, al suo stesso fraseggiare si è rilevato che esso è molto simile al comunicato pubblicato all'indomani di Baltischport. È vero che nella larghezza e nella indeterminatezza delle frasi usate si possono comprendere le più svariate combinazioni pubbliche: ma lo stesso si sarebbe potuto dire dell'altro comunicato. Per cui la stimmung qui è e rimane buona e si accolgono con sorridente scetticismo gli sforzi di ermeneutica delle gazzette di Parigi che tra le righe del comunicato leggono molte cose.

Con ciò non intendo però dire che qui si ritiene che proprio nulla si sia concluso, questo no: si ritiene che nulla si sia concluso di nuovo che possa essere a danno della Germania. E così per esempio si crede probabile che sia stata fatta qualche intesa per una possibile cooperazione delle due flotte, che sarebbe naturale se i due eserciti avessero un giorno da combattere un nemico comune. Così pure si ritiene come più che probabile che la Francia si sia inpegnata ad appoggiare più o meno incondizionatamente la politica russa in Estremo Oriente e a non sviluppare le sue eventuali concessioni ferroviarie in Anatolia in modo da danneggiare interessi militari o commerciali della Russia.

Quanto alla questione dei Dardanelli si dubita qui molto nelle sfere governative e nei circoli diplomatici che la Russia possa essere tratta ora a sollevarla: si considera infatti che tale questione potrebbe riuscire fatale alla Triplice Intesa perché non si può credere che l'Inghilterra vi aderirebbe. Su questa questione dei Dardanelli la stampa di Berlino si è sbizzarrita a fare le più fantastiche congetture: di alcuni di questi articoli ho dato notizia a V.E. nella rivista della stampa.

Non mi rimane che da accennare anche in questa occasione ad un argomento che ha già formato più volte oggetto della mia corrispondenza con V.E.: quello dei servizi della nostra stampa all'estero. I giornali francesi hanno accuratamente pubblicato solo quelle notizie e segnalato quei rarissimi articoli della stampa tedesca che potevano far credere ad un'inquietudine in Germania per l'incontro di Poincaré con Sazonoff, cercando di creare così in Francia una impressione che non rispondeva alla realtà delle cose. La nostra stampa ha avuto qualche più esatta informazione direttamente da Berlino, ma scarsa, ed è quasi interamente mancata da Pietroburgo notizia delle dichiarazioni ufficiose e dei numerosi articoli di giornale che criticavano l'esagerazione francese. E ciò perché il grosso delle notizie veniva sempre da Parigi. Basta ricordare che un giornale come il Corriere della Sera aveva come corrispondenza particolare da Pietroburgo quella del Matin!

Non credo sia necessario di spendere molte parole per dimostrare quanto una simile preparazione della nostra opinione pubblica possa rendere più difficile il giusto apprezzamento della savia politica del R. Governo.

981 1 T. Gab. segreto 1315/194 del 14 agosto e T. Gab. 1327/200 del 17 agosto, non pubblicati.

982

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. PERSONALE S.N. Vienna, 20 agosto 1912 (per. il 26).

Con riferimento al mio telegramma odierno Gabinetto 245 segreto', ho l'onore di trasmettere qui unita, all'E.V. una memoria stesa, dietro mio incarico, dal cavalier Cantalupi, relativamente al quesito ch'ella si è compiaciuta pormi col suo telegramma indicato in margine2 , per conoscere come il Governo imperiale e reale sia riuscito ad evitare praticamente l'intromissione e l'esigenza della Turchia nell'amministrazione della Bosnia-Erzegovina, per quanto abbia garantito che non sarà frapposto ostacolo alcuno ai rapporti dei maomettani coi loro capi spirituali.

ALLEGATO

Memoria.

La costituzione religiosa dei musulmani nella Bosnia e dell'Erzegovina è rimasta dopo l'annessione (1908) quella medesima che era prima dell'occupazione (1878). Gli hodschas (maestri di religione, o in genere, come diremmo noi, persone ufficialmente rivestite di carattere sacerdotale) costituiscono una curia la quale elegge i quattro membri che formano il consiglio, o, traducendo letteralmente, riunione (medschlis) degli ulema.

Questo medschlis propone una tema, scegliendo nella quale l'imperatore nomina il capo degli ulema (reis el ulema), che poi, a norma dell'articolo 4 della convenzione 2 febbraio 1909 fra l'Austria-Ungheria e la Porta, riceve l'investitura dallo scheick-ul-Islam di Costantinopoli. Trattandosi di ufficio puramente religioso, l'investitura non potrebbe esser data dal sovrano temporale. Così succede anche per i vescovi cattolici e per i vescovi e metropoliti scismatici, che sono pure di nomina imperiale.

Il territorio religioso dipendente dal zeis-el ulema è diviso in sei circoli, ed alla testa di ogni circolo sta un muflì, che sarebbe come una specie di parroco. Per l'amministrazione dei beni ecclesiastici (vakuf), c'è a Sarajevo un'assemblea (Vakuf mearif) presieduta dal zeis-el ulema. Siccome poi, i beni vakufs si trovano dispersi in tutto il territorio delle due province, alla loro amministrazione immediata provvedono cinquantaquattro commissioni distrettuali.

Si rileva da ciò che le materie di cui sono chiamate ad occuparsi le autorità religiose musulmane in Bosnia e nell'Erzegovina si dividono in due categorie: quelle propriamente

982 1 T. Gab. segreto 1344/245, non pubblicato. 2 T. Gab. segreto 1315 del 16 agosto, non pubblicato.

religiose e quelle amministrative temporali. Per le seconde si è adottato un sistema simile a quello che valeva per il patrimonio della chiesa nazionale serba, vale a dire gestione degli interessati sotto la vigilanza e il controllo dell'autorità politica.

Per i musulmani sono rappresentati nel vakuf mearif, non soltanto coloro che rivestono comunque un carattere religioso, ma tutti gli altri membri della comunità, anche per la difficoltà di distinguere, secondo il diritto maomettano, il privato dalla persona che ha carattere religioso. Per quanto riguarda, invece, il governo patrimoniale della chiesa serba, ci è stato il mese scorso un rivolgimento, provocato da una ordinanza reale ungherese, che ha escluso da quel governo gli elementi laici, con la ragione, non detta in modo espresso, ma evidente, che questi elementi tendevano a valersi dei redditi patrimoniali anche per fini di politica nazionalista. Il che prova che, se qualche cosa di simile avesse a succedere anche da parte dell'amministrazione dei vakufs musulmani, l'ordinamento amministrativo di questi potrebbe venir subito mutato con ordinanza del Governo, senza che lo Sceick-ul-Islamato avesse a metterei bocca, trattandosi di materia temporale.

Quanto ai rapporti di ordine religioso, abbiamo le disposizioni dell'articolo 2 della convenzione 21 aprile 1879 e quelle dell'articolo 4 della convenzione 26 febbraio 1909. Il primo dice: «la libertà e l'esercizio esteriore di tutti i culti esistenti in Bosnia e nell'Erzegovine vengono garantiti a tutti gli abitanti che colà si trovino stabiliti o di passaggio. In modo particolare viene assicurata ai maomettani la piena libertà nei loro rapporti coi loro capi spirituali». Il secondo dice: «la libertà e l'esercizio esteriore del culto vengono come finora assicurati ai maomettani che si trovino stabiliti o di passaggio in Bosnia e nel! 'Erzegovina .... ai rapporti dei maomettani coi loro capi superiori spirituali non viene frapposto nessun ostacolo. Questi ultimi (capi spirituali) rimangono, come finora sottoposti allo sceick-ul-islamato di Costantinopoli, che accorda l'investitura al zeis-el-ulema».

Fra le disposizioni del 1879 e quelle del 1909 è osservabile una differenza, forse casuale, forse voluta. Quelle del 1879 parlano di piena libertà dei rapporti fra i maomettani ed i loro capi spirituali. Ma quali capi spirituali? I capi del luogo o quelli di Costantinopoli? Non è detto, e si possono intendere tutte e due le cose insieme. Però le disposizioni del 1909 distinguono, in quanto prima stabiliscono che non sarà frapposto alcun ostacolo ai rapporti fra i musulmani e i loro capi spirituali, poi aggiungono che questi capi spirituali e deve dunque intendersi i locali rimangono subordinati allo sceick-ul-islamato di Costantinopoli. Altra differenza, anche essa o casuale o voluta, è questa: che mentre la convenzione del 1879 dice: «in modo particolare viene assicurata ai maomettani la piena libertà di rapporti coi loro capi spirituali», la convenzione del 1909 si accontenta di dire che a questi rapporti non sarà frapposto alcun ostacolo. Ma, evidentemente, si intende sempre parlare dei rapporti fra i musulmani e i loro capi religiosi locali. La dicitura adottata nel 1909 esclude implicitamente la possibilità di rapporti diretti fra i musulmani delle due province e l'autorità religiosa suprema di Costantinopoli. Di rapporti con questa autorità religiosa suprema essa non ne prevede che da parte delle autorità religiose locali. Per conseguenza rapporti ufficiali, non liberi e confidenziali.

Il sultano, come califfo, non è ricordato, tanto nella convenzione del 1879 quando in quella del 1909, che per i diritti onorifici, specialmente per il diritto che si faccia il suo nome nelle preghiere pubbliche e che venga fissata la bandiera ottomana sui minareti.

Questa separazione dei diritti effettivi e pratici dai diritti onorifici risponde alla costituzione dello sceik-ul-islamato nel quale è di fatto venuta col tempo a concentrarsi tutta l'autorità religiosa del califfato. E dico sceik-ul-islamato, e non sceik-ul-islam, perché non si tratta di un'autorità personale, ma di un'autorità collegiale. Questa stessa autorità religiosa collegiale è però molto limitata, visto che la religione musulmana non ha più dogmi in formazione, non possiede un sistema aperto di canoni e non conosce una gerarchia uniforme come quella del cattolicismo. Infatti, le varie comunità musulmane, quantunque mirino tutte, più o meno, alla sublimità del califfato, hanno costituzioni proprie, diverse all'infinito.

Dato però tutto questo, ne consegue pure che pochissimo esteso può essere il campo delle questioni sulle quali il Zeis-ul-Ulema di Serajevo ha bisogno di comunicare con lo sceik-ul-Islam di Costantinopoli. Neanche in materia disciplinare è necessario che queste comunicazioni avvengano, poiché la materia disciplinare locale dipende tutta prima dallo stesso zeis-el ilema e poi dal medschlis.

In quanto i rapporti fra le comunità religiose musulmane delle due province da una parte e il zeis-el-ulema e il medschlis dall'altra possono toccare l'ordine pubblico, è necessario ricordare che tutto quanto riguarda il culto in Bosnia e nell'Erzegovina dipende dalla sezione terza del Governo provinciale (Landesregierung) di Serajevo. A questa sezione spettano sulle amministrazioni di tutti i culti i diritti ed i doveri di vigilanza che dipendono sia dalle leggi speciali delle due province, sia dalle leggi generali dello Stato. Accanto poi a questa vigilanza normale pubblica vi è la vigilanza di polizia, la quale può esercitarsi in cento maniere diverse, che vanno dalla violazione, se è necessario, del segreto postale ali 'assoldamento di fiduciari. È certo che il Governo di Serajevo sa sempre che cosa si discuta nel medschlis, che cosa faccia il reis-el Ulema e che cosa vadano a fare di quando in quando certi messaggeri a Costantinopoli. Certo è però che mai successe il caso che un intervento fosse necessario, anche perché i musulmani delle due province sono pienamente rassegnati al loro destino e perchè Turchia non ha mai tentato di sobillarli, meno nel breve periodo della resistenza ali' occupazione.

È fuor di dubbio che tutto dipende da condizioni particolari, molto più che da disposizioni di leggi o di regolamenti. Se la Turchia non si rassegnerà davvero, nell'intimo suo, e non soltanto nelle parole d'un trattato o di una convenzione di pace, alla perdita della Tripolitania e della Cirenaica, la libertà di rapporti che noi garantiremo alle comunità religiose ed ai loro capi locali, come fra questi e Costantinopoli darà certo la tentazione di abusarne a scopo d'intrighi politici, perché, pur dopo la pace od un qualunque modus vivendi, diverso sarà il valore di posizione nostro rispetto alla Turchia da quello dell'Austria-Ungheria. Ma non rimarrà da risolvere che un problema di polizia quotidiana: di vigilanza e polizia di danaro. Di turchi e di arabi che si vendono o si affittano volontieri se ne trovano sempre. Non si tratta che di vigilare su di essi.

983

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1567/612. Ramleh (Alessandria), 21 agosto 1912 (per. il 2 settembre).

A seguito del rapporto in data 14 corrente, n. 1532/5921 , mi onoro di trasmetter qui accluso alla E.V. copia del rapporto n. 1566 che ho spedito oggi a S.E. il Presidente del Consiglio sull'argomento indicato a margine2 .

983 Cfr. n. 971.

«Arrivo a Giarabub di Sidi Ahmed el Senussi».

ALLEGATO

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

R. RISERVATO 1566. Ram/eh (Alessandria), 21 agosto 1912.

Faccio seguito al rapporto n. 1533, in data 14 corrente, relativo alle notizie comunicatemi da S.A. il Kedive circa l'arrivo di Sidi Ahmed el Senussi a Giarabub. Il dottor Insabato, al quale d'ordine di V.E. ho partecipate dette informazioni se ne mostrò assai sorpreso, tanto da porne in dubbio l'esattezza. Ad ogni modo egli convenne subito nella necessità di mandare sul posto persona di sua fiducia per verificare se il capo dei Senussi è veramente giunto ed assodare, in quanto sia possibile, da quali disposizioni è animato a nostro riguardo.

La sorpresa del dottor Insabato si comprende in quanto non riesce facile spiegarsi per qual motivo Sidi Ahmed avrebbe tenuto interamente ali' oscuro delle proprie mosse Mohamed Ali Elui, al quale avrebbe invece comunicate altre sue decisioni di non minore importanza. Ieri al Cairo, dove ebbi un nuovo abboccamento col dottor Insabato, questi mi disse che persone appena arrivate da Giarabub nulla sapevano dell'avvenuto arrivo, ma a conti fatti si trovò che erano partite prima che l'arrivo stesso potesse verificarsi. Circa i dubbi espressi dal detto dottore, poiché non è possibile supporre che il kedive abbia detta cosa assolutamente non vera, rimane quello che possa trattarsi di una nuova invenzione di Enver bey, ma la cosa mi sembra poco probabile, giacché, invece di circondare di assoluto mistero, come vien fatto, il passo di Reuf pascià verso il Governo egiziano, trattandosi di impressionare la pubblica opinione, si sarebbe cercato di darvi la massima pubblicità.

Invece anche da altre fonti mi son pervenute notizie che danno piena verosimiglianza alle informazioni di Sua Altezza.

Si trova attualmente in Alessandria certo Abu Seid, capo beduino di Bengasi, mandato qui da quel nostro Comando a traverso l'interno con la missione di tentare il distacco di alcune tribù dalle forze turche. Abu Seid mi disse spontaneamente che attendeva di giorno in giorno la notizia dell'arrivo di Sidi Ahmed el Senussi a Giarabub per mandargli un suo messo allo scopo di indagarne le intenzioni. Per non perder tempo ho annunciato l'arrivo ad Abu Seid, il quale ha fatto tosto partire un inviato, al quale, d'accordo col colonnello Elia, ho anticipate le spese di viaggio. Si avrà così modo di esercitare un controllo su quanto potrà riferire il messo di lnsabato.

Un altro confidente, certo Issa Musrati, che da mesi esercita con alcuni beduini la sorveglianza lungo il confine della Cirenaica per segnalare a quelle autorità inglesi gli eventuali passaggi di contrabbando, mi ha pure confermato l'arrivo del Senussi con un seguito di oltre 600 persone e pensa lui stesso di partire alla volta di Giarabub, per cercar notizie.

Ieri al Cairo mi sono abboccato con certo Osman pascià, creatura del principe Fuad e da questi presentatomi per conoscere i risultati della missione che il principe ha mandata al Senussi. Osman pascià mi disse che il messo del principe aveva scritta tempo addietro una lettera al proprio fratello in Cairo per annunciargli che sarebbe giunto tra breve, in viaggio di ritorno, a Giarabub, insieme al capo dei Senussi.

Infine lo stesso dottor Insabato ha saputo da un fratello del Saied Mustafa, latore a Sidi Ahmed della lettera di Idrissi, che il Saied si apprestava ad incontrare il capo Senussi a Giarabub.

Da quanto mi sembra risultare da tutte queste informazioni che provengono da persone che non han tra loro alcune relazione, credo che sull'avvenuto arrivo non possano aversi dubbi. Nulla invece ho potuto ancor sapere circa lo stato d'animo del Senussi, ma dato il silenzio che il commissariato ottomano mantiene intorno al medesimo, mentre in passato ha tanto parlato delle sue mosse verso la costa e contro di noi, è probabile che non abbia ad essere troppo favorevole alla causa turca. Del resto non è da farsi troppe illusioni: assai difficilmente si potrà conoscere il pensiero di quel capo religioso, il quale, come è suo costume, non vorrà troppo compromettersi, né in nostro favore, né col dichiararsi decisamente avverso alla nostra occupazione3

984

IL SEGRETARIO GENERALE, AGLI ESTERI, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 21 agosto 1912.

Kroupensky mi ha rimesso oggi, in via confidenziale il qui unito promemoria che riassume i pourparlers intervenuti fra Vienna e Pietroburgo intorno alla proposta Berchtold. Mi sembra che confermi ciò che ha telegrafato Torretta 1 .

Osservo soltanto che stando all'ultima frase di esso, il Governo austro-ungarico avrebbe ammesso negli accordi del 1910 con Pietroburgo, il principio del «developpement pacifique des peuples balcaniques».

O perché allora non l'ha mai voluto ammettere con noi?

A meno che non faccia la distinzione fra «peuples» e «Etats».

Kroupensky mi ha pure detto, da informazioni confidenziali ricevute personalmente da Costantinopoli, risultare che tutti i ministri turchi sono animati dal più vivo desiderio di conchiudere al più presto la pace, e ciò a condizioni accettabili per l 'Italia. Bisogna vedere se si rendono conto esattamente quali siano queste condizioni accettabili.

Ho visto pure Jagow e Mérey, che non mi dissero nulla di particolare. Quest'ultimo mi confermò soltanto le notizie relative alla venuta di Berchtold, aggiungendo che per ora debbono essere tenute segretissime.

E mi diede poi un'altra lieta notizia: che parte domani sera in congedo e non ritornerà che alla fine di ottobre!

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE DI RUSSIA A ROMA, KRUPENSKY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L'ambassadeur d'Autriche-Hongrie à St. Pétersbourg a remis au ministre des affaires étrangères un pro-memoria dans !eque] le Cabinet de Vienne propose aux Puissances de proceder à un échange de vues concemant la situation dans les Balcans.

L'intention du Gouvemement ottoman d'accorder aux albanais certains privilèges trouve un accueil favorable auprès Cabinet de Vienne qui considère que !es autres nationalités de la

984 1 Cfr. n. 978.

Turquie d'Europe auraient dù, de leur còté, se réjouir de ce premier pas de décentralisation administrative que ces nationalités elles-mèmes pourraient obtenir ensuite. Néanmoins, la Grèce, la Bulgarie et mème la Serbie sont prètes à considerer !es concessions faites aux Albanais comme une menace aux intérèts des autres nationalités, et !es dispositions d'esprit en Bulgarie sont telles qu'elles pourraient créer des difficultés sérieuses à la politique pacifique du Cabinet de Ghechow.

Le Gouvemement austro-hongrois propose, par conséquent, d'un un còté, d'appuyer par des conseils amicaux !es intentions de la Porte de procéder à cette nouvelle politique intérieure, et d'un autre còté, de faire de novelles démarches auprès des Etats balcaniques dans le but de leur indiquer qu'une pareille politique de la Porte correspond aux intérets de leurs nationaux en Turquie, et que !es Etats balcaniques devraient par conséquent s'abstenir de toute action qui pourrait menacer la tranquillité dans !es Balcans et empècher l'application de cette politique.

Reconnaissant l'opportunité des susdits conseils principes d'une large autonomie locale,

M. Sazonow a répondu à l'ambassadeur d' Autriche-Hongrie que ces conseils ne devraient pas porter un caractére de représentation collectives, désagréables au Gouvemement turc. Quant aux démarches à faire dans !es capitales balcaniques, le ministre croit, qu'après des conseils réitérés de prudence, donnés demièrement aux Etats balcaniques, ces démarches n'auraient, selon nous, aucune valeur pratique et pourraient mème, dans certaines occasions, amener à des résultats contraires et affaiblir la position des Gouvemements respectifs. Par conséquent, cette partie de la proposition du Cabinet de Vienne exigerait un examen particulièrement attentif.

Le ministre a exprimé, ensuite, sa satisfaction que le Cabinet de Vienne continuait à rester, quant aux affaires balcaniques, sur le mème terrain où il s'etait placé en 1910, d'un accord avec le Gouvemement impérial, c'est à dire, sur le terrain de la pacification des Balcans et du maintien du statu quo dans la Péninsule, basé sur !es principes du développement pacifique des peuples balcaniques.

983 3 Per il seguito cfr. n. l O 16.

985

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 21 agosto 1912.

Sulla questione dell'invio di una missione turca in Tripolitania, Laroche mi ha fatto oggi, in via confidenzialissima, la comunicazione seguente:

«M. -Bompard a fait sa démarche. Gabriel Effendi a répondu qu' il ne pourrait ètre question de l'envoi d'une mission tant que l'entente ne serait pas intervenue sur les bases de la paix. Le Gouvemement ottoman n'avisera aux moyens de faire cesser les hostilités en Afrique que si les pourparlers de Suisse aboutissaient à un accord de principe. Il demanderait alors un certain delai qui serait sans doute utilisé pour l'envoi d'une mission pacificatrice en Tripolitaine. Le grand vizir s'attend à d'importantes concessions de l 'Italie, sans quoi une entente serait impossible: Kiamil Pacha est du mème avis. M. -Bompard n'a pas révélé à la connaissance du Gouvemement italien».

Tutto ciò non mi pare molto incoraggiante. Ho detto a Laroche repetita juvant che se per importanti concessioni de li'Italia i turchi intendevano qualsiasi cosa che si

riferisse alla sovranità, certo l'entente sarebbe impossibile. Laroche faceva osservare che di sovranità non si parlava...

986

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLA LEGAZIONE A CETTIGNE

T. 3319. Roma, 22 agosto 1912, ore 20,30.

Questa ambasciata d'Austria-Ungheria mi comunica che il ministro imperiale e reale a Cettigne, vista la gravità estrema del momento attuale, ha chiesto al proprio Governo l'autorizzazione di fare, insieme col suo collega di Russia, un passo energico e risoluto presso il Governo ed il re del Montenegro, per evitare il pericolo, che sembra loro imminente di una guerra colla Turchia. Tenuto conto deli'urgenza, il Governo austro-ungarico, senza attendere l'esito degli scambi d'idee iniziati colle altre grandi Potenze, ha creduto dover accordare tale autorizzazione al barone Giesl. Il Governo austro-ungarico ha nello stesso tempo incaricato l'ambasciatore imperiale e reale a Costantinopoli di ripetere al Governo ottomano i consigli di moderazione e di prudenza che aveva già precedentemente ricevuto istruzione di rivolgergli (per le ambasciate: vedi mio telegramma n. 3271)1• L'ambasciata d'Austria-Ungheria ha espresso, a nome del suo Governo, la fiducia che anche il Governo del re avrebbe agito nello stesso senso a Cettigne.

987

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5323/124. Cettigne, 24 agosto 1912, ore 17 (per. ore 12 del 25).

Mio telegramma n. 123 1•

Mi sono recato stamane dal re Nicola per fargli le medesime raccomandazioni che gli erano state fatte tra ieri sera e stamane stessa dai miei colleghi di Russia per il primo e poi di Austria-Ungheria, Germania Francia ed Inghilterra.

1086 Sua Maestà mi ha risposto nei medesimi termini adoperati col ministro di Russia e cogli altri. Ha smentito anzitutto categoricamente notizia data dai turchi della presa di Berana dai montenegrini e la presenza di questi ultimi sul territorio ottomano.

Dopo avermi parlato della eccitazione regnante in Montenegro in seguito agli ultimi incidenti di frontiera, ha accennato alla difficoltà di dominarla sino a che le Potenze non gli daranno un attestato visibile della loro benevolenza accogliendo la sua domanda d'intervenire presso la Sublime Porta allo scopo di regolare questione frontiera la quale assieme alla situazione economica precaria del Regno peserà sul Paese finché essa esisterà.

Il re mi ha assicurato nel modo più perentorio essere pronto, come sempre, conformarsi ai consigli delle Potenze ed essere assolutamente estraneo all'idea di provocare la Turchia e di turbare la pace europea. Di ciò ha dato prova prendendo senza indugio misure necessarie calmare spirito del suo paese e rinnovare simultaneamente ordini precisi alle autorità competenti evitare accuratamente ogni conflitto con le truppe imperiali o la popolazione turca della frontiera.

Ha finalmente espresso speranza che le Potenze useranno tutta la loro influenza a Costantinopoli per calmare apprensioni della Sublime Porta e raccomandare prendere misure di precauzione per evitare ulteriori conflitti al confine difficilmente evitabili finché si troveranno fortini e trinceramenti turchi sul territorio montenegrino.

986 1 T. confidenziale 3271 del 19 agosto, non pubblicato.

987 1 Con T. 5299/123 del 23 agosto, non pubblicato, Squitti riferiva in merito ai passi dei ministri russo, austro-ungarico e tedesco presso il re Nicola per raccomandargli di astenersi da iniziative che potessero compromettere la pace con la Turchia.

988

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 1338. Roma, 24 agosto 1912, ore 17,20.

V.E. sa che sono ricominciate in Svizzera le conversazioni tra persone non munite di mandato ufficiale per avviare verso la pace tra Italia e Turchia. Risulta da nostre informazioni sicure che il principale ostacolo alla riuscita è il fatto che non sia ancora penetrata nella mente dei dirigenti ottomani e del corpo diplomatico residente a Costantinopoli la convinzione che l'Italia, se anche volesse, non potrebbe mai, a nessun costo, con qualunque Ministero e qualunque ne siano le conseguenze, transigere sulla sua sovranità piena ed intera su tutta la Tripolitania e su tutta la Cirenaica; e non lo potrebbe né ora, né mai in avvenire. Fin dal 15 marzo abbiamo detto che non è necessario il formale riconoscimento da parte della Turchia, ma che basterà quello indispensabile delle Potenze. Su tutto il resto siamo ancora oggi disposti ad essere molto concilianti. Il nostro desiderio di contribuire ad evitare complicazioni in Europa non limita però affatto la nostra libertà d'azione bellica. Ripeto tutto ciò per uso personale di V.E. e per norma eventuale di linguaggio. Qualora poi V.E. non ci esprima parere opposto, indicandomene le ragioni crederei utile che, non in forma ufficiale e in modo da non produrre l'impressione che il R.

Governo ha fretta di conchiudere la pace, V.E. trovasse il mezzo, in conversazioni verbale private di far comprendere a codesto ministro degli a±Iari esteri quanto gioverebbe alla causa della pace il far conoscere a titolo di amichevole informazione, al Governo ottomano e al rappresentante di codesto Governo a Costantinopoli la irrevocabile risoluzione di tutta unanime la Nazione italiana nella questione della sovranità1•

989

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1905. Vienna, 24 agosto 1912 (per. il 12 settembre).

Come feci conoscere a V.E. con mio telegramma n. 5921 la Neue Freie Presse ed il Neues Wiener Tageblatt resero qui nota il 15 corrente la proposta che il conte Berchtold rivolse il 14 corrente, a mezzo dei rispettivi rappresentanti austro-ungarici, alle Grandi Potenze di procedere ad uno scambio di idee per conoscere se fossero disposte di fronte alla situazione in Turchia a far dei passi tanto presso la Sublime Porta, quanto presso i vari Stati balcanici, per incoraggiare la prima a perseverare nell'opera di decentramento intrapreso e consigliare i secondi di lasciare alla Turchia la possibilità di effettuare i provvedimenti che intendeva di prendere in favore delle varie nazionalità, evitando di intralciare dal canto loro tale opera o di produrre attriti tali da turbare la pace nei Balcani.

Tale proposta che fu commentata in senso incondizionatamente favorevole dai due giornali suddetti formò invece oggetto di critiche per parte di taluni altri giornali di qui, specialmente della Zeit, la quale rilevò che vi era una contraddizione tra il punto di vista esposto nel momento attuale dal conte Berchtold, il quale ritiene si debba incoraggiare la Turchia nell'opera di decentralizzazione da essa intrapresa e quello esposto nel 1903 alle Delegazioni dal conte Goluchowski. Quest'ultimo dichiarava infatti che il pensiero di un raggruppamento dei cosiddetti vilayet macedoni in una provincia autonoma era stato escluso dal programma concordato a Mùrsteg giacché se esso vi fosse stato compreso sarebbe stata compromessa la integrità della Turchia e l'equilibrio fra gli Stati Balcanici. Il giornale si domandava poi in che consista la differenza fra l'azione di decentralizzazione, che ora si vuole incoraggiare la Turchia ad attuare, e l'autonomia dei vilayet macedoni che nove anni or sono si dichiarò di volere escludere dal programma di riforme perché sarebbe riuscita esiziale alla Turchia stessa.

989 1 T. 5111/592 del 15 agosto, non pubblicato

Per confutare gli erronei commenti a cui aveva dato luogo la proposta del conte Berchtold tanto in questa stampa, quanto in quella estera, la Wiener Allgemeine Zeitung, che spesso rispecchia le vedute del Ballplatz, ha creduto di precisare gli scopi dell'azione suggerita dal ministro imperiale e reale e nel suo numero del 19 corrente li ha enumerati raggruppandoli nei seguenti sette punti:

l) rafforzare il regime attuale in Turchia e quindi l 'Impero otto mano stesso. Il Governo che è al potere è animato dall'intenzione di sciogliere le questioni delle varie nazionalità dell'Impero in modo tale da soddisfare le aspirazioni dei sudditi ottomani non turchi.

2) L'azione del conte Berchtold non significa un ritorno ad una politica di intervento siccome fu esercitata durante l'antico regime dalle Potenze di fronte alla Turchia. Tutto all'opposto si deve evitare di esercitare qualsiasi influenza o qualsiasi pressione sul Governo turco, il Governo ottomano dev'essere incoraggiato a proseguire sulla via già prescelta ed esso deve a tale uopo trovare presso le Potenze un appoggio affinché non sia costretto a retrocedere innanzi all'opposizione dei suoi avversari i quali desiderano una politica accentratrice.

3) Il conte Berchtold non si propone di sottoporre alle Potenze un programma ragguagliato e invece i consigli da impartirsi alla Turchia nella forma più amichevole devono essere concordati fra le Potenze per mezzo di reciproche conversazioni.

4) Non è previsto che da queste conversazioni abbia a risultare un congresso od una conferenza europea, giacché una tale forma potrebbe risvegliare il dubbio che si propenda ad un ritorno alla politica di intervento.

5) Per mezzo di questa conversazione delle Potenze che ha pure lo scopo, come si è visto, di rendere giustizia alle legittime aspirazioni dei sudditi ottomani non turchi, si renderà più agevole al Governo bulgaro di perseverare nell'attitudine così corretta sin qui tenuta e di opporsi al dilagare di correnti bellicose che serpeggiano in una parte dell'opinione pubblica bulgara.

6) In ugual modo si potrà con un tale procedimento per parte dell'Europa ottenere un ristagno del movimento in Albania.

7) Occorre peraltro tener sempre presente che l'azione del conte Berchtold si inspira fermamente al principio fondamentale dello statu quo in Turchia e non mira in alcun modo a far sì, che possano sorgere nei Balcani altri Stati.

Riassumendo, l'azione del conte Berchtold tende possibilmente a raggiungere il risultato di rafforzare da un lato la Turchia e di allontanare dall'altro le cagioni del continuo malcontento dei sudditi ottomani non turchi. Anche in questo secondo fine è insito un rafforzamento della Turchia poiché si spera in tal modo di porre fine all'irredentismo delle nazionalità non turche dell'Impero.

Da più tempo si lamentava in questi circoli politici che in presenza della grave situazione che andava delineandosi nel vicino Oriente il conte Berchtold rimanesse inattivo e non facesse sentire la sua parola. Lo si accusava quindi di non prendere abbastanza a cuore gli interessi della Monarchia minacciata dall'insurrezione albanese e, nell'incitarlo a provvedere alla loro tutela si dichiarava che l'Austria-Ungheria, che per la sua vicinanza agli Stati balcanici era la Potenza più interessata agli eventi che si producevano nella penisola, non poteva permettere che alcuna decisione fosse presa in proposito senza il suo intervento diretto.

In tal senso si pronunziava la Neue Freie Presse con varii articoli pubblicati sull'insurrezione albanese e dal suo lato la Reichspost si chiedeva perché il conte Berchtold non si inducesse ad approfittare della situazione presente per aumentare il prestigio della Monarchia nel vicino Oriente in generale ed in Albania in particolare.

Il silenzio del conte Berchtold era tanto più rilevante in quanto che erano avvenuti nel frattempo il convegno tra l'imperatore Guglielmo e lo zar Nicola a Baltischport, nonché la visita del signor Poincaré a Pietroburgo nei quali si affermava essere state prese risoluzioni in ordine alle questioni orientali.

Questo insieme di circostanze non potè non produrre una certa influenza sul conte Berchtold, siccome mi risulta anche da quanto mi è stato confidato in via riservata da persona sua intima, e l'avrebbe quindi indotto a prendere iniziativa della proposta in discorso.

Con tale proposta il conte Berchtold ha voluto evidentemente affermare, in primo luogo, di fronte all'Europa, che l'Austria-Ungheria per i maggiori interessi, che ha nei Balcani, era la Potenza senza il cui intervento non si poteva, né si doveva discutere questioni riguardanti la penisola, né prendere risoluzioni in ordine alla medesima di fronte agli Stati balcanici, specie di fronte alla Albania, che la Monarchia, seguendo la tradizionale sua politica, non mancava di provvedere al benessere ed all'avvenire di quegli Stati come di quelle popolazioni.

In secondo luogo, il conte Berchtold ha voluto prevenire che altre Potenze ed anzitutto la Russia, potessero prendere nel momento attuale un'iniziativa qualsiasi circa gli affari balcanici, ciò che sarebbe stato considerato da questa opinione pubblica come una diminuzione della situazione della Monarchia nel vicino Oriente. E non è infine da escludere che anche altre ragioni di indole non politica abbiano spinto il conte Berchtold, che è di sua indole piuttosto vanitoso, a prendere la iniziativa suddetta per mettersi in vista e procurare di ottenere un successo personale.

Senza entrare ad esaminare il merito della proposta del conte Berchtold è da domandarsi però se nel formularla egli non si sia discostato in certo modo dalla linea di condotta seguita dal suo predecessore di fronte agli affari balcanici specialmente nell'ultimo periodo del suo Ministero cioè dopo l'avvento al potere del nuovo regime a Costantinopoli.

Il conte di Aehrenthal, siccome mi affermò a più riprese, ebbe sempre in mira di evitare ogni iniziativa che potesse produrre sulla Sublime Porta l 'impressione di una specie di ingerenza nei suoi affari interni considerando, che, se tali procedimenti erano possibili sotto il regime hamidiano, non si addicevano nel momento attuale non solo per non urtare le suscettibilità dei Giovani Turchi, danneggiando così gli interessi della Monarchia nell'Impero, ma anche per non frapporre ostacoli al consolidamento del nuovo regime. Egli era d'avviso che le Potenze dovessero limitarsi soltanto a dare individualmente alla Sublime Porta consigli amichevoli in forma del tutto discreta per indurla a non usare verso popolazioni albanesi come verso le altre popolazioni macedoni provvedimenti eccessivi, ma di cercare invece di entrare in rapporti diretti con essi accordando loro quelle concessioni compatibili colla costituzione e la unità d eli 'Impero.

E tanto più credeva che le Potenze dovessero adoprarsi in tal senso che riteneva che il pericolo che avrebbe potuto scuotere la compagine della Turchia non risiedeva veramente nell'Albania, né in altre parti della Macedonia e neppure negli Stati balcanici, bensì a Costantinopoli nel Governo stesso ottomano, il cui indebolimento avrebbe potuto avere gravi conseguenze per la tranquillità della penisola.

Né egli credette modificare tale sua linea di condotta in occasione dell'insurrezione dei malissori, avvenuta l'anno scorso, nonostante gli attacchi vivaci rivoltigli da questa stampa clericale, che gli rimproverava il suo riserbo e lo spingeva a prendere decisamente posizione per gli albanesi specie per quelli di religione cattolica.

V.E. ricorderà infatti che il conte di Aehrenthal, che era piuttosto preoccupato dei pericoli, che avrebbero potuto risultare dal prolungamento dell'insurrezione, come del contraccolpo che produceva nel Montenegro e negli altri Stati balcanici non giudicò prudente di prendere alcuna iniziativa nel senso delle proposte del conte Berchtold, quantunque la situazione della penisola non fosse allora dissimile a quella creata dai recenti eventi.

Anzi egli rifiutò di dare la sua adesione alle suggestioni dei Gabinetti di Londra e di Pietroburgo, intese a far passi a Costantinopoli per indurre la Sublime Porta ad elargire concessioni agli albanesi osservando (miei telegrammi n. 277 e

22 63

289 del e del luglio 1911) che l'azione delle Potenze doveva consistere soltanto nel dare consigli alla Sublime Porta ed al Montenegro, alla prima di mostrarsi moderata e conciliante verso gli insorti albanesi ed al secondo, di mantenere strettamente neutralità.

988 1 Per il seguito cfr. nn. 990 e 993.

990

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1359/336. Parigi, 25 agosto 1912, ore 15,07 (per. ore 18,55).

Telegramma di V.E. 1338 1• Con mio telegramma 333 2 già riferii a V.E. aver io detto chiaramente a Poincaré essere assolutamente impossibile che l'Italia faccia concessioni anche di mera forma circa sovranità politica. Però è bene che V.E. sappia come Poincaré, e molti qui con lui, comprendono essere ora all'Italia impossibile di fare concessioni di forma circa la sovranità politica e fanno colpa ali' Italia di essersi volontariamente posta nella posizione di non poter fare quelle concessioni di forma che assicurerebbero la pace immediatamente senza togliere nulla all'effettivo dominio dell'Italia sulla Libia. Nell'ultimo colloquio che ebbi con Poincaré mi fece un lungo discorso per dimostrarmi che la Francia è molto più soddisfatta del protettorato in

3 T. 3168, non pubblicato.

2 T. Gab. segreto 1355/333 del 23 agosto, non pubblicato.

1091 Tunisia che del dominio diretto in Algeria e che se al Marocco non avessero un sultano le difficoltà che incontra sarebbero molto più gravi. Poincaré aggiunse che, poiché l'Italia dovrà dare agl'indigeni uno o più capi musulmani, non vedeva perché l'Italia non potesse consentire che la prima volta fossero nominati dal sultano e poi in seguito dall'Italia senza che il sultano dovesse più entrarci. Poincaré espresse la convinzione che se l'Italia non fosse stata contraria a questa proposta egli l'avrebbe fatta accettare dalla Turchia. Come già telegrafai, io, senza discutere le ragioni teoriche, opposi a Poincaré l'impossibilità di fatto e così la conversazione terminò. Non credetti allora riferire a V.E. tutto ciò che aveva detto Poincaré, poiché non poteva avere alcuna pratica conseguenza, data l'irrevocabile decisione del Governo italiano di non fare alcuna concessione in quel campo. Ora però, dopo il telegramma di V.E., credo utile informarla del discorso di Poincaré che rappresenta non solo un pensiero suo, ma anche di molti altri uomini politici. Tuttavia profitterò di una prossima occasione per ritornare sull'argomento nel senso e colle cautele desiderate da V.E.

989 2 T. 3080/277, non pubblicato.

990 1 Cfr. n. 988.

991

IL DIRETTORE DELLA SOCIETA' COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. 13. Costantinopoli, 26 agosto 1912.

Ebbi suo telegramma di sabato al quale risposi brevemente ieri.

Spero che oggi partano nuove istruzioni per i delegati costì: dico, spero, perché l'arcangelo nella conversazione avuta con lui ieri mi disse essere grave l'imbarazzo suo di far prendere delle decisioni in un momento in cui è in vista un rimaneggiamento importante del Gabinetto. E ciò è tanto più imbarazzante in quanto che ciascuno tiene dentro di sé la sua opinione nella speranza che sia l'altro il primo ad emetterla.

Nella causerie avuta ieri l'arcangelo volle avere la mia personale opinione sul questionario seguente, il quale mi ha rivelato quanto bizantinamente incerta sia la sua attitudine.

Le sue domande non devono essere conosciute da loro e ne feci promessa: l) Se la Turchia domandasse i buoni uffici del!' Inghilterra nel conflitto, cosa ne penserebbe l 'Italia? Ho risposto che il desiderio di intese dirette da parte dell'Italia dimostra chiaramente la sua intenzione di sfuggire alla mediazicne di una Potenza.

2) Se un membro del Gabinetto attuale si recasse direttamente a vedere il padrone1 l'intesa sarebbe più facile? Ho risposto che Caux è2 l'apparecchio ricevitore del telefono del padrone3 (ma forse questa proposta l'arcangelo cerca un modo

991 1 «Padrone» depennato; aggiunta di altra mano nell'interlinea: «presidente del Consiglio». 2 Aggiunta di altra mano nell'interlinea «il solo».

indiretto per far dire a un collega suo, l 'Italia non cede sulla questione del suo decreto). 3) In una combinazione qualunque l'Italia, come indennità alla Turchia, non potrebbe cedere un paio delle migliori sue unità navali? Ho risposto che mi pareva difficile, ma che al momento opportuno per accontentare la Turchia si poteva trovare una formula4 .

4) Non si potrebbe fare un modus vivendi qualunque riservando la questione della sovranità a più tardi e lasciare che in una conferenza europea questa spinosa questione sia risolta? La Turchia si impegnerebbe a non fare opposizione al riconoscimento della nostra sovranità per avere l'appoggio dell'Italia in altre questioni politiche ed economiche.

Ho risposto; ma allora saremo m guerra per degli anm ancora, se si sta ad aspettare una conferenza.

L'arcangelo dice che se potesse apportare alla Turchia l'indipendenza economica come contropartita della cessione intera della Tripolitania, sarebbe un grande successo. Per indipendenza economica intende la libertà di fare trattati di commercio.

Da quanto le riferisco lei vede come bizantinamente si divaghi!

Mi comunicò che le nuove istruzioni ai delegati non saranno fatte note a me da lui non per diffidenza, ma per evitare diversa interpretazione e quindi confusione nelle trattative.

So però che a persona sua intima ha detto che l 'Italia non cederà e che direttamente o indirettamente la Turchia, se vuole fare la pace, dovrà riconoscere il decreto 5 novembre.

Nel pomeriggio sono andato a Prinkipo per vedere C.5 ed avere notizie sulla politica interna.

Talaat è rientrato avantieri a Costantinopoli ed ha preso contatto cogli uomini del Governo, il quale sta negoziandosi il concorso del Comitato nello svolgimento del suo programma.

Queste negoziazioni ritarderanno di una settimana il rimaneggiamento del Gabinetto. Il Comitato garantisce la tregua al Gabinetto se questo manterrà al suo posto i valì del precedente Gabinetto. Tutta la questione si aggira intorno a questo punto. Si prevede il ritiro di Kiamil, il quale avrebbe dichiarato di non volere assumere il potere prima che la pace sia stata fatta coli 'Italia. Per sua norma il Comitato ha dato carta bianca al Gabinetto per fare la pace; espresse però il desiderio che invece di riconoscere il decreto direttamente o indirettamente si ricorra al mezzo studiato antecedentemente di dichiarare l 'indipendenza della Libia.

Ma mi si dice che il Gabinetto non è molto favorevole a questa soluzione.

C.5 divagò divagò bizantinamente nell'alta politica.

Tutti farebbero la pace (Governo e Comitato) riconoscendo il decreto 5 novembre e con un trattato simile a quello fatto coll'Austria per la Bosnia e l'Erzego-vina, se l'Italia concorresse direttamente sola o col concorso combinato della Germania a

991 4 Aggiunta di altra mano: parola illeggibile.

«Carassm>?

ricostituire la flotta turca, a fare cioé della Turchia a breve data6 una potenza navale; la Turchia impegnandosi a metterla alla disposizione dell'Italia. lo ho capito che la Turchia vorrebbe far parte della Triplice per validamente opporsi all'Intesa.

Questo apporto giustificherebbe il sacrificio della Libia da parte della Turchia.

Eccole tutta la cronaca di ieri.

PS. Bisogna faccia un'aggiunta che spiegherà meglio la idea di fare della Turchia una potenza navale e farla entrare nella Triplice.

La finanza tedesca (H .. -)1 ha già tastato il terreno nel senso di vincolare la Turchia per il rinnovamento di tutta la sua flotta promettendo in contraccambio tutto il suo appoggio politico ed un'intesa in questo senso. La detta finanza aggiunse che a raggiungere questo scopo è necessario fare presto la pace coll'Italia; che questa sarà chiamata dalla Germania a fare parte della combinazione e che si spera, una volta assicuratosi il concorso dell'Italia di convincere anche l'Austria a entrare nella combinazione. La detta finanza vuole che sia data soddisfazione all'Inghilterra nella questione del Golfo Persico per non creare conflitti colla medesima. Essa ha presentito uomini politici turchi e il comitato. C. 8 consiglierebbe di approfittare di queste informazioni e di dare al Governo turco un affidamento sul concorso italiano nel senso da me indicato. Allora l'accettazione del nostro programma di pace sarebbe immediatamente accettato.

991 3 «Padrone» depennato; aggiunta di altra mano nell'interlinea: «in Roma».

992

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MARTIN FRANKLIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1970/584. Berlino, 2 7 agosto 1912 (per. il 30).

Mi è stato in questi giorni confermato ciò che annunziavo a VE. col mio rapporto numero 490 del 25 luglio u.s. 1 , che cioè il cancelliere dell'Impero andrà al principio del mese di settembre in Moravia a rendere al conte di Berchtold, nel suo castello di Buchlau, la visita fatta da questi a Berlino.

Sarà questa una nuova dimostrazione dei cordiali rapporti esistenti fra i due paesi: due altre se ne sono aggiunte in questi giorni: una, nell'annuale festeggiamento per parte dell'imperatore di Germania del genetliaco dell'imperatore Francesco Giuseppe; l'altra, nell'accoglienza fatta dall'opinione pubblica germanica alla proposta del conte Berchtold2•

7 «Hilg»'? A riguardo cfr. n. 996.

g Aggiunta in calce di Nogara: «i mezzi finanziarii per lo scopo a cercarsi ulteriormente ed a condizioni a debattere (sic)».

2 Cfr. n. 970.

Per la festa dell'Augusto alleato l 'imperatore Guglielmo diede al castello di Wilhelmshohe la solita colazione di gala, alla quale intervennero il signor von Kiderlen-Waechter e l'ambasciatore di Austria-Ungheria col consigliere e gli addetti militari e navali dell'ambasciata. Il conte Szogyeny tornò per questo espressamente dall'Ungheria. L'imperatore pronunziò un brindisi di cui V.E. troverà qui unito il testo inneggiando al «fedele amico, saldo alleato e commilitone».

Quanto alla proposta del conte Berchtold si può dire che essa ha avuto in Germania una accoglienza simpatica da parte di quasi tutta la stampa.

Come riferii a V.E. con i miei telegrammi, alla Wilhelmstrasse non se ne è entusiasti: si crede che difficilmente essa possa condurre ad un risultato pratico e si teme che all'infuori di altre possibili più gravi complicazioni possa far sorgere ancora maggior malumore in Turchia contro le potenze della Triplice. Di più questo Governo fu in certo modo preso di sorpresa dalla iniziativa e ciò non deve esser stato interamente di suo gradimento, per quanto possa essere derivato dalla necessità di affrettarsi per non essere prevenuti da una iniziativa analoga franco-russa.

Comunque di questo intimo pensare del Governo imperiale nel pubblico non è trapelato che poco o niente. L'ufficiosa Nord Allgemeine Zeitung disse subito che la proposta di Berchtold era stata accolta in Germania con amichevole premura ifreundliches Entgegenkommen ). E tutti i giornali si espressero in questo senso: alcuni con molto calore, altri con moderazione. I meno favorevoli furono i giornali turcofili come per esempio l'autorevole Frankjùrter Zeitung che, pure accogliendo la proposta con simpatia, si espresse nel senso di desiderare maggiori schiarimenti. Ma, ripeto, la nota generale fu simpatica, anzi cordiale, al punto che non si mancò di spingere questa attitudine favorevole al ministro della Monarchia alleata fino al punto di commentare con una certa asprezza le critiche ed i dubbi avanzati da giornali francesi, inglesi e russi e anche da qualche giornale italiano.

Il Temps avendo risposto a queste critiche affermando che l'attitudine della stampa parigina era stata in massima favorevole alla proposta del conte Berchtold, la Koelnische Zeitung pubblica stamane sotto forma di telegramma da Berlino (che accludo )3 un comunicato semi-ufficioso. Questo telegramma dice che si potrebbe facilmente dimostrare come realmente buona parte della stampa francese si era dimostrata poco favorevole, ma che è preferibile dedurre dall'attitudine del Temps che essa ora pensa diversamente. Il telegramma continua traendone buoni auspici per le relazioni tra tutte le Potenze, mentre alcuni sembravano da principio considerare certo un contrapporsi di un gruppo di Potenze contro l'altro. Questo non ha ragione di essere perché è comune alla Triplice Intesa e alla Triplice Alleanza il desiderio di pace. Non si può davvero considerare saggia una politica che consista nel prendere posizione contro un altro Stato solo per spirito di contraddizione e per indisporlo. Il telegramma intitolato Concordia (Einigkeit) finisce dicendo: «di Triplice Alleanza e di Triplice Intesa si è questi ultimi tempi parlato a sufficienza. Se si parlasse, o meglio ancora, si agisse, una buona volta, come Europa?».

991 6 Aggiunta in calce di Nogara: «i mezzi finanziarii per lo scopo a cercarsi ulteriormente ed a condizioni a debattere (sic)».

992 1 R. 1691/490, non pubblicato.

992 3 Non si pubblicano gli allegati.

993

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO ]370/245. Londra, 28 agosto 1912, ore 14,30 (per. ore 18,40).

Grey mi ha incaricato ringraziare VE. per cortese comunicazione da me fattagli, per tramite Mallet, circa ripresa conversazione pace. Ho profittato propizia occasione per parlargli, a titolo strettamente personale e confidenziale, nel senso telegramma di

V.E. 1338, Gabinetto 1• Ho detto sembrarmi, da notizia letta giornali, che in Turchia non si sia ancora bene capito che sulla questione sovranità su tutta Libia mai e poi mai cederemo, essendo ciò contrario volontà unanime Nazione, mentre, per tutto il resto, siamo ancora disposti ad incontrare turchi a mezza via. Nell'interesse della pace ho quindi soggiunto parevami sommamente desiderabile che questa nostra irrevocabile decisione venga chiaramente spiegata al Governo ottomano dai rappresentanti esteri Costantinopoli, allo scopo di non alimentare speranze, illusioni assolutamente irrealizzabili. Ho osservato che agli attuali governanti non può sfuggire né il vantaggio di assicurarsi sincera amicizia di una Nazione che ha per base sua politica, e lo ha proprio ora dimostrato coi fatti, il mantenimento dell'integrità dell'Impero, né pericolo cui si esporrebbe Turchia qualora, fallite, per la sua intransigenza, iniziate trattative, Italia, spinta dalla irresistibile volontà della Nazione, si vedesse costretta spingere fino in fondo la sua azione guerresca alla libertà della quale non ha mai rinunziato. Ha replicato Grey sembrargli che la nostra decisione sulla questione della sovranità sia ormai troppo notoria per lasciare adito a dubbi sulla sua irrevocabilità. Per parte sua riconosco e ammetto impossibilità in cui ci troviamo di transigere su quel punto. Dei particolari delle conversazioni iniziate nulla sapeva. Gli risultava solo, in modo positivo, che attuale Governo ottomano desidera sinceramente giungere pace, purché essa non provochi gravi complicazioni interne. Ho risposto attuale Governo trovarsi, a suo avviso, in condizioni specialmente favorevoli per concludere pace, suo compito essendo appunto quello di liquidare penosa situazione derivata errori comessi dai suoi avversari.

Grey ha osservato al riguardo che attuale Governo può appena considerarsi «in schiavitù», sia per le modificazioni successive verificatesi in seno Gabinetto, sia per essere la sua attività stata finora assorbita dagli affari albanesi, dal conflitto col Montenegro, incidente di Cocciana eccetera. Linguaggio Grey mi indurrebbe a credere che egli non abbia dissimulato a Costantinopoli manifestatomi convincimento sulla impossibilità di qualsiasi nostra transazione sulla questione sovranità.

Mi è sembrato pure che egli ascoltasse con compiacimento quanto io gli dissi circa disposizioni concilianti da cui Governo di Sua Maestà è tuttora animato per tutto il resto.

993 1 Cfr. n. 988.

994

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1617/626. Ramleh (Alessandria), 28 agosto 1912 1.

Con riferimento al precedente rapporto in data 21 corrente, n. 1567/6122 , mi onoro di informare la E.V. che il signor Greg, primo segretario di questa agenzia britannica, col quale ho conferito a proposito della venuta di Sidi Ahmed el Senussi a Giarabub, mi disse di non averne ancora avuta la conferma, osservando che in questo paese permane sempre per molto tempo uno stato di incertezza anche sugli avvenimenti più importanti.

Il confidente Issa Musrati continua da parte sua ad assicurare che il capo dei Senussi è giunto ed in una recente visita da lui fatta al colonnello Elia ha detto che si apprestava a mandare persone di sua fiducia a Giarabub per averne precise notizie. Il signor Greg mi riferì inoltre d'esser a conoscenza di un passo fatto dalla nostra ambasciata in Londra presso sir Edward Grey allo scopo di ottenere che il Governo britannico si adoperi per impedire che il capo dei Senussi abbia a dichiararcisi palesemente contrario. Greg soggiunse che personalmente non credeva probabile una dichiarazione esplicita di ostilità da parte di quel capo religioso, ma che in ogni caso riuscirebbe assai difficile alle autorità inglesi agire nel senso da noi chiesto e sovratutto di farlo con successo.

Copia del presente rapporto fu spedita anche a S.E. il presidente del Consiglio.

995

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 3457. Roma, 31 agosto 1912, ore 23,15.

Questo incaricato d'affari d'Austria-Ungheria mi ha fatto oggi la seguente comunicazione verbale da parte del conte Berchtold:

«Tutti i Gabinetti hanno risposto alla mia proposta del 13 agosto1: la Germania e l'Italia vi hanno aderito, quest'ultima naturalmente colla riserva impostale dal suo stato di guerra colla Turchia; la Russia ha espresso la riserva che siano evitati passi collettivi; l'Inghilterra ha fatto una accoglienza simpatica dichiarando di

2 Cfr. n. 983.

1097 essere pronta ad entrare in uno scambio di idee; la Francia ha risposto che, nel caso che la Sublime Porta facesse di sua iniziativa concessioni agli albanesi, sarebbe disposta a discutere circa i modi di consigliare alla Turchia di estendere queste concessioni a greci, bulgari e serbi. Per precisare il carattere ed il fine della mia proposta, ed ovviare ai malintesi che ho notati nella stampa, debbo anzitutto accentuare che non sono stato affatto ispirato dall'idea di assicurare all'Austria una parte direttiva nelle questioni d'Oriente, e meno ancora in una conferenza, per la quale la situazione attuale non offre alcuna piattaforma. La mia proposta era ispirata dal desiderio di S.M. Imperiale e Reale di veder mantenuta la pace, dall'interesse della Monarchia al mantenimento dello statu quo balcanico, e dalla nostra benevolenza tradizionale verso i Paesi balcanici, di cui abbiamo in ogni tempo e in modo uguale verso tutti desiderato lo sviluppo pacifico. Per quanto riguarda il modus procedenti d'accordo cogli altri Gabinetti e specialmente col russo, io attribuisco grande importanza a non offendere la suscettibilità e a non destare le diffidenze della Sublime Porta, poiché qualsiasi passo equivalente a tentativi di tutela sul Governo ottomano non potrebbe che rendergli più difficile il suo compito, e ci allontanerebbe dal nostro scopo. Non penso perciò a passi collettivi né a Costantinopoli né nelle altre capitali balcaniche, e credo che il metodo recentemente applicato a Cettigne basterà ampiamente.

Oggi non si può più trattare (e questa è la vera portata della mia proposta) che di dimostrare per mezzo di una unanime manifestazione che, dopo l'insuccesso del regime giovane turco, l'Europa spera che il cambiamento prodotto nell'opinione pubblica ottomana e le direttive nuove che esso ha ispirate alla politica della Sublime Porta riusciranno a mantenere la pace nei Balcani. Non si tratta di provocare iniziative dalla Turchia ma di dare appoggio morale alle iniziative da essa spontaneamente prese. Le riserve della risposta del Governo francese sono divenute oramai senza oggetto, poiché le concessioni fatte agli albanesi sono state ufficialmente pubblicate, ed il gran vizir ha informato il nostro ambasciatore a Costantinopoli che esse saranno estese alle altre nazionalità della Rumelia. Questo, e gli effetti calmanti dei passi delle Potenze a Cettigne, rappresentano già un successo apprezzabile della loro unanimità.

Secondo le nostre informazioni, il fatto della mia iniziativa e l'accoglienza favorevole trovata presso i Governi balcanici hanno rafforzato la posizione di questi ultimi di fronte all'effervescenza della loro opinione pubblica. E, per l'avvenire, penso che bisogna incoraggiare la Porta nella tendenza che la sua politica debba giovare alle popolazioni balcaniche e specialmente offrir loro la possibilità di partecipare alla vita politica. A questo proposito cito come esempio il rinnovamento del Parlamento ottomano con metodi imparziali, e l'applicazione dei medesimi principi alla costituzione dei consigli generali dei vilayets. Gli abusi elettorali sono stati la causa principale del malcontento generale in Turchia. I turchi e le popolazioni balcaniche hanno interesse a che la loro rappresentanza corrisponda alle loro rispettive proporzioni etniche. Per l'Europa e per gli Stati balcanici è importantissimo che la Porta profitti delle nuove elezioni per dimostrare ad oculos i benefici del nuovo indirizzo seguito a Costantinopoli a tutti gli elementi della popolazione che finora non erano rappresentati nei due primi Parlamenti ottomani. In questo modo le nazionalità balcaniche vedrebbero la possibilità di far prevalere con mezzi legali i desideri che finora hanno cercato di far valere con mezzi rivoluzionari. È da esaminare se non convenga dare alla Porta consigli amichevoli, dati individualmente dagli ambasciatori, nel senso della imparzialità delle elezioni. Per gli Stati balcanici i passi dovrebbero adattarsi alle condizioni del momento, quindi per ora non sarebbero necessari».

Ambr6zy mi ha chiesto che cosa rispondere. Ho risposto che, essendo in guerra colla Turchia, non possiamo naturalmente darle consigli; ma che desideriamo noi pure lo statu quo, e che credo anch'io che la Turchia dovrebbe adottare nel suo interesse la politica consigliata da Berchtold, e non quella di ottomanizzazione dei Giovani Turchi. So però che la Turchia non ama che ciò le sia consigliato da Potenze estere. Quanto ai Governi balcanici, le mie informazioni confermano che essi desiderano la pace e che resistono alla effervescenza dell'opinione pubblica dei loro Paesi.

994 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

995 1 Cfr. n. 970.

996

IL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, STRINGHER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. RISERVATA. Roma, 31 agosto 1912.

Ringrazio l'E.V. per le comunicazioni fattemi con le stimate note di Gabinetto in data 3, 5, 9, 19 e 30 corrente.

Da informazioni da me assunte in merito a quanto formava oggetto del rapporto del r. ambasciatore in Londra, annesso in copia alla suddetta sua del 19 corrente1 , mi risulterebbe intanto che il barone Hilg è effettivamente sconosciuto e che nessun gruppo internazionale si sarebbe formato per prestare denari in questo momento alla Turchia.

Per quanto riguarda la Piazza di Londra si esclude che quel mercato sia suscettibile nelle presenti condizioni di concedere nuovi crediti alla Turchia.

Come già è noto a V.E. la Banca Imperiale Ottomana aveva tentato qualche tempo fa di collocare Lst. 2.500.000 in buoni del tesoro turco 7 per cento a 12 mesi; per metà tentò il collocamento a Londra dove non le riuscì di collocare se non qualcosa meno di Lst. 250.000. Sull'altra metà che aveva tentato di collocare a Parigi sarebbe riuscito per circa Lst. 600.000; quindi anche a Parigi si vede che l'assorbimento è tutt'altro che facile.

Qualcheduno colà ritiene che le recenti voci di prestiti possono riferirsi ad un progetto di un prestito di Fcs. 60.000.000 che sarebbe da emettere dopo la conclusione della pace destinato a costruzioni ferroviarie accaparrate da capitali francesi e specialmente della linea Samsoun-Sivas.

Ora si suppone che la Banca Imperiale Ottomana possa avere fatto qualche anticipazione sul prodotto di questo ultimo prestito.

Quanto a Berlino, escluso dunque l'esistenza di un gruppo capitanato da un barone Hilg, mi si scrive da Parigi che soltanto il gruppo della Deutsche Banque potrebbe essere suscettibile di fare delle anticipazioni alla Turchia, ma non risulta per altro che ne abbia fatto.

Comunque aspetto da Berlino ulteriori informazioni.

996 1 Non rinvenuta.

997

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1760/925. Atene, l° settembre 1912 (per. il 6).

Siccome ne informai telegraficamente V.E., la propaganda bellicosa degli stambulovisti assecondata da tutte le associazione nazionaliste in Bulgaria ha provocato in Atene una certa nervosità, essendo qui convinzione generale -e, del resto, giustificata -che in caso di conflitto turco-bulgaro la Grecia, pur essa, entrerebbe in campagna. Tale nervosità acuita dalle notizie sulle rivendicazioni albanesi nel vilaiet di Janina e sul disordine dominante in Macedonia era giunta a creare la voce di affrettati preparativi militari e perfino di mobilitazione cui si sarebbe accinto il Governo.

Sebben persuaso che simile voce non avesse consistenza ho voluto attingere notizie in proposito a fonti indubbiamente bene informate. Mi fu risposto che il Governo ellenico non crede ad un mutamento di politica in Bulgaria fino a che il signor Ghesciof rimarrà a capo del Governo. Esistono bensì in quello Stato partiti che credono venuto il momento di agire per l'autonomia della Macedonia, ma l 'intesa austro-rumena tempestivamente sottolineata dalla recente visita del conte Berchtold a Sinaia, non può a meno d'impressionare anche i più bellicosi. D'altro canto nessun incoraggiamento vien dato ai bulgari dalla Russia, la quale spiega anzi una continua azione tranquillizzatrice. Nessuna Potenza vuole in quest'ora complicazioni e chi le provocasse ne assumerebbe tutta la responsabilità morale e materiale. I bulgari sono dotati di troppo spirito pratico per abbandonarsi ad avventure in simili condizioni. Quanto poi al pericolo che il Gabinetto Ghesciof venga soverchiato, pochi vi credono. La Camera è chiusa e una crisi provocata dal Parlamento non è possibile. Le spontanee dimissioni del Governo di fronte alle agitazioni della piazza non sono prevedibili; disordini non vi furono, né vi saranno e il Gabinetto ha tutto l'appoggio della Corona. Può ben darsi che la Bulgaria sappia trarre profitto dalla pressione che sta esercitando ed arresti, per esempio, l'esecuzione di alcune promesse fatte dalla Porta agli albanesi, ma l'uso dell'esercito sarà soltanto per premere e non per combattere. È assiomatico, concludeva il mio interlocutore, che la Grecia non si esponga da sola ad un cimento contro il finitimo Impero; essa potrebbe agire soltanto qualora agisse la Bulgaria; ma poiché quest'eventualità è ben !ungi dal realizzarsi, nessuna persona cognita del vero stato delle cose può credere alla guerra. Ciò non toglie tuttavia che, com'è suo dovere, il Governo ellenico provveda a poco a poco a discentrare verso i confini la sua artiglieria e ad aver pronto il materiale che un'eventuale campagna potrebbe richiedere.

Ho ogni motivo per ritenere che le suesposte considerazioni e conclusioni siano conformi al modo di vedere del signor Venizelos. Una nota più vivace -sempre però per produrre impressione e non per effettivi bellicosi proposti ti -vien fatto d 'udire dalla bocca del ministro degli affari esteri, il quale rappresenta nel Gabinetto l'elemento nazionalista di vecchio e un pò usato stampo e deve talvolta essere ricondotto sulla via della realtà dal presidente del Consiglio.

998

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1662/638. Ramleh (Alessandria), 4 settembre 1912 1.

A seguito del mio telegramma odierno n. 98 di Gabinetto2 , mi onoro confermare alla E.V. che Cheik el Zafer è tornato da una quindicina di giorni da Costantinopoli. Disse che aveva prolungata la propria assenza oltre il periodo di tempo che aveva divisato per esser stato malato, del che naturalmente non avea mezzo alcuno per darci avviso. Mi ha esibite cinque lettere del capo della setta Medania, che come è noto risiede nella capitale ottomana, il quale si rivolge con esse a varie tribù della Cirenaica ed i singoli capi delle medesime (ne accludo un elenco dedotto dalle lettere stesse) e fa loro invito di riconoscere come suo rappresentante il latore e di seguirne le istruzioni.

Cheik el Zafer, che continua a professarsi nostro amico e si dice sempre disposto a lavorare in nostro favore, si propone ora di dar esecuzione al vecchio progetto che lo indusse a lasciar Bengasi con la raccomandazione di quel nostro Comando, di recarsi cioè nell'interno della Cirenaica per farvi propaganda in favor nostro ed organizzare la razzia delle carovane che vi portano ogni sorta di viveri e forniture dall'Egitto. Egli ritiene ora di non aver motivo di temere per la propria vita, sia per l'autorità conferitagli dalle lettere del capo Medania sia perché sarà raccomandato alle tribù che già salvarono certo Abu Zeid notabile di Bengasi, inviato lui pure da quel Comando nell'interno ed ora stabilito in Alessandria dove si è posto subito al servizio del R. Governo. Naturalmente, oltre all'autorità morale conferita dalle lettere, Cheik el Zafer fa assegnamento sui mezzi finanziari fornitigli dall'Italia.

Il progetto di Cheik el Zafer consiste dunque in due azioni distinte: indurre i capi delle tribù della Cirenaica a rilasciargli una dichiarazione in cui si impegnano ad accogliere la nostra sovranità ed una parte di essi a recarsi in Egitto per conferire con

998 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo. 2 T. Gab. 1387/98, non pubblicato.

questa agenzia diplomatica circa i mezzi pratici di far cessare le ostilità; secondariamente indurre una o più tribù dedite al brigantaggio, ovvero un certo numero di predoni organizzati ad impossessarsi delle carovane provenienti in Libia a traverso il confine orientale. La prima parte del progetto fu suggerita anche ad Abu Zeid da un notabile di TripolP che gli scrisse in proposito una lettera trasmessa da quel Comando al r. consolato in Alessandria. Cheik el Zafer ha calcolato che per l'esecuzione del suo progetto sarebbe necessaria una somma di cento venticinque mila franchi. Egli agirebbe in Cirenaica sulle tribù aderenti alla setta Medania e su quelle amiche di Abu Zeid, il quale per ora non potrebbe accompagnarlo dati i pericoli che tuttora lo minacciano (recentemente i turchi fecero arrestare per rappresaglia contro di lui un suo fratello che si trovava al campo loro).

Cheik el Zafer ed Abu Zeid si mostrano fiduciosi di successo ed affermano di volersi adoperare seriamente ed efficacemente in nostro favore, secondo gli impegni che presero rispettivamente col Comando di Bengasi e più tardi con questa r. agenzia. Il loro progetto, la cui esecuzione resterebbe adossata al primo dei due soltanto, importa secondo la richiesta fattami una forte spesa, che consiglia di ponderarlo. In caso di successo risulterebbero di certo denari bene spesi, ma bisogna tener presenti le gravi difficoltà dell'esecuzione, anche se si ha piena fede negli emissari. Oggi nell'interno della Libia la resistenza si prolunga per più cause di cui le principali sono il convincimento della nostra impotenza di penetrar nell'interno ed i lauti guadagni che la guerra arreca ai beduini. Da un lato pertanto ogni emissario che vada a far propaganda italiana nell'interno è destinato a scarso successo, a meno che non disponga di mezzi morali o materiali sufficienti a vincere la credulità degli indigeni o ad eccitarne la cupidigia. Ma da un altro lato bisogna tener presente, che, almeno nelle condizioni attuali, una penetrazione notevole nell'interno della Libia non appar possibile se non si rompe l'accordo tra i turchi e gli arabi e non si riesce ad assicurarsi, per il momento dell'avanzata, la cooperazione o per lo meno l'astensione dai combattimenti d 'una parte di questi ultimi. Perciò ben opportunemente il R. Governo mi aveva già incaricato tempo addietro di studiar se non fosse possibile organizzare la razzia delle carovane ed i varii Comandi in Cirenaica rinnovavano in tal senso varie premure al colonnello Elia. Cheik el Zafer, il quale naturalmente ignorava questi precedenti, è ora il primo che si sia offerto per un'azione di tal genere.

La scelta dei messi per operazioni consimili è delle meno agevoli, mancando sempre la certezza, anche relativa, che si tratti di una offerta d'aiuto sincera: per di più chi fa l'offerta può illudersi del proprio potere e del proprio ascendente. Io non potrei certamente far di più che esporre, come ho fatto, alla E.V. quali sono i progetti dello Cheik e riferire quanto chiede per potervi dar corso. Decidere se accoglierne o meno i servigi non può dipendere da questo ufficio. Ho cercato più che fosse possibile di farmi chiarire le intenzioni di Cheik el Zafer, di farmi spiegare come contasse svolgere la propria azione, ma non ne ottenni né numerosi, né importanti particolari: è chiaro del resto ch'egli non possa dire a priori come potrà svolgersi un'azione del genere di quella che si propone.

Non mi sarebbe neppur possibile esprimere un giudizio completo sulla fede da concedergli. Tanto Cheik el Zafer, quanto Mohamed Abu Zeid sono persone con le quali sono entrato in relazione per la conoscenza che ne aveva il nostro Comando di Bengasi, dove essi hanno tuttora famiglia ed aderenti dai quali chi è sul posto soltanto può trarre elementi per giudicare l'entità del rischio in cui si incorre. Personalmente sono in grado di dire che ambedue si mostrarono e dichiararono sempre pieni di amicizia per noi; per quanto riguarda Mohamed Abu Zeid vi ha inoltre il fatto che è notoriamente oggetto di sospetti per parte dei nostri nemici, tanto che non osa accompagnare Cheik el Zafer. Infine è da tener presente un'ultima considerazione, che cioè nessuno fuori di questi due si è offerto o si offre per iniziare un tentativo la cui convenienza (nella parte specialmente che riguarda la razzia delle carovane) fu da tanto tempo evidente anche per il Governo e per il Comando della nostra spedizione.

Attenderò di conoscere dall'E.V. se il R. Governo intenda di accogliere la proposta di Sceik el Zafer ed a tal proposito, per completare le necessarie informazioni sull'attendibilità da accordarsi alle proteste di amicizia sue e di Mohamed Abu Zeid, mi permetto suggerire che venga interrogato, come più competente, il Comando militare di Bengasi, al quale trasmetto, ad ogni buon fine, una copia di questo rapporto. Sarò poi grato alla E.V. se vorrà farmi conoscere a suo tempo le sue decisioni mediante telegramma, perché Sceik Zafer avrebbe l'intenzione di partire tra una quindicina di giorni e trattiene qui a tale scopo alcuni beduini di Cirenaica che vorrebbe a compagni nel suo viaggio4 .

998 3 Annotazione in calce di mano di Grimani: «Ahmed Dia ed Din al Muntasim.

999

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 1706/654. Ramleh (Alessandria), 4 settembre 1912 1.

Avant'ieri, subito dopo i consueti ricevimenti per la chiusura del mese di ramadan, S.A. il Kedive ha preso imbarco sovra un postale del Lloyd austriaco per ritornarsene in Europa. Questa nuova assenza dall'Egitto del sovrano è normale, essa è anzi quest'anno giustificata dal fatto che Sua Altezza ha deciso di portare i propri figli in !svizzera per far loro seguire colà dei corsi di studio. Siccome il kedive tornerà in Egitto parecchie settimane dopo lord Kitchener, la di lui partenza ha, se mai, nei riguardi sovratutto della politica interna un significato negativo, in quanto non è presumibile che le molte questioni dibattute negli ultimi mesi circa più

999 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

o meno palesi innovazioni alle condizioni del paese possano risolversi prima che egli abbia riprese le redini del Governo.

Sua Altezza si è ora trattenuta qui un mese appena, durante il quale, salvo nei ricevimenti ufficiali, non ho avuta occasione di avvicinarla che una sol volta e con telegrammi e rapporti della metà dello scorso agosto ho riferito le varie fasi e gli argomenti di quel mio colloquio. Dopo di allora, al contrario di quanto usava fare nell'inverno scorso, il kedive non ha più chiesto di vedere né me, né il colonnello Elia: una sol volta egli ha mandato a quest'ultimo un lungo memoriale scritto da un ufficiale tedesco che si trova al campo turco in Cirenaica e che conteneva notizie abbastanza interessanti, per quanto ormai di data piuttosto remota.

Non credo di dover attribuire il mutato atteggiamento di Sua Altezza ad un raffreddamento dei suoi sentimenti amichevoli per l'Italia, ma più che tutto alla mancanza di notizie da riferirei ed anche alle numerose o straordinarie occupazioni cui Sua Altezza ha dovuto attendere durante il mese di ramadan, sia per le consuete cerimonie di carattere religioso, che per i noti avvenimenti di complotti, manifesti rivoluzionari eccetera circa ai quali ho riferito con particolari rapporti. Infatti la solerzia dimostrata dal kedive nel farci conoscere tanto tempo prima d'ogni altra fonte d'informazioni l'arrivo di Sidi Ahmed el Senussi nelle regioni più vicine al campo della guerra e nel mandarci, appena lo ricevette il rapporto dell'ufficiale tedesco, cui ho accennato, prova che all'occasione Sua Altezza non ha mancato di assecondarci, come in passato.

Tuttavia non posso nascondere all'E.V. di aver rilevato nel kedive assai minore entusiasmo che prima non dimostrasse e di non poterne cercar le cause solamente nelle preoccupazioni d'ordine interno che Sua Altezza ha certamente accresciuto in questi tempi non facili per il suo governo. Ho avuta l'impressione che non vi fosse estranea una tal quale persuasione che il suo aiuto non potesse esserci che di poca utilità, ed i suoi consigli scarsamenti accetti, almeno nel senso che si tentasse di seguirli in qualche maniera.

Il kedive, in passato, si era occupato di due argomenti in modo principale: le operazioni militari in Cirenaica e la ribellione dell'Idrissi. Per quanto riguarda il primo punto la situazione è ora alquanto mutata; non avvengono più, almeno col consenso delle autorità locali e sovratutto di quelle inglesi, quei numerosi passaggi verso il campo della guerra di ufficiali turchi e di aiuti più spiccatamente di carattere guerresco che avevan luogo nei primi tempi. Per le notizie sull'interno della Cirenaica, sia dal punto di vista dell'entità delle forze turco-arabe che da quello dei sentimenti delle tribù indigene, Sua Altezza ci aveva offerto fin dai primi mesi di mandar sul posto un suo ufficiale e l'offerta fu allora declinata col pretesto che le notizie, anche se esatte, sarebbero sempre giunte troppo tardi, mentre ora, dopo un intero anno dall'inizio della guerra, mi consta che il nostro servizio d'informazioni in Cirenaica non dà praticamente alcun risultato e si ricorre ora al Cairo, malgrado le difficoltà ed i ritardi della distanza per aver notizie, in qualunque modo ed a qualunque prezzo possano aversi. Il kedive ha sempre sostenuto, ed assai giustamente, che una delle cose per noi più dannose era l'invio a traverso l'Egitto di viveri per il campo turco e gli arabi combattenti, e poiché non potevamo chiedere a questo Governo di impedirlo egli ci aveva suggerita l'occupazione di un punto sulla costa vicino al confine egiziano, da dove si sarebbero potute disturbare le carovane ed impedire o per lo meno render più difficili i rifornimenti; ma anche di questo consiglio non si è potuto tener conto. Il kedive pensa ora certamente non esser necessario che egli ci segnali di volta in volta tutto quello che la nostra lunga inazione in Cirenaica ha permesso o meglio permette di far pervenire ai nostri avversari. Un giorno, recatosi al Mariut insieme all'ingegner Lasciac, Sua Altezza gli fece rilevare la grande quantità di colli accumulati nelle stazioni della linea in attesa delle carovane e gli disse scherzosamente che avrebbe voluto portar colà me ed il colonnello Elia per fotografarci in mezzo agli innumerevoli sacchi di derrate.

Per quanto riguarda la ribellione dell'Idrissi, il kedive non mi disse una sola parola spontaneamente e lasciò cader la questione quando venne accennata. Sua Altezza non si è neppure occupata di facilitare il viaggio della famiglia di Idrissi, che questi richiamava presso di sé verso la fine di giugno, come è noto a V.E. Ora questo abbandono, almeno apparente, di una questione già così cara a Sua Altezza può dipendere da più cause. Da un lato la sua azione può creargli dei pericoli, perché ormai conosciuta (ne parla in un recente articolo sul Siècle il capo nazionalista egiziano Mohamed bey Farid), e non sarei meravigliato se il Governo di Costantinopoli o forse più quello di Londra gli avessero dati avvertimenti di maggior prudenza. Per di più, anche in questa faccenda, il kedive non ha forse trovato da parte nostra tutto il concorso che si attendeva. Fin dall'inizio infatti, ed allo scopo di conformarvi la sua azione, il kedive mi aveva chiesto di esser tenuto al corrente dei progressi di ldrissi, delle sue condizioni, delle sue intenzioni. Per qualche tempo fui in grado di corrispondere alla domanda, ricevendo io stesso in proposito notizie dal Governo dell'Eritrea; poi l'invio di tali notizie, d'ordine del R. Governo, mi venne sospeso e da allora ho rilevato nel kedive un sempre minor interessamento alla questione, ciò che si spiega abbastanza facilmente, non potendo egli di certo agire alla cieca. È probabile e naturale che a cosa avviata non ci sia stato più bisogno dell'opera del kedive o dei suoi emissari, io infatti mi propongo soltanto di riferire a

V.E. le mie impressioni sull'atteggiamento presente del kedive, anche per evitare eventuali sorprese qualora in avvenire si stimasse opportuno di valersi nuovamente della di lui cooperazione.

Non credo invece che il kedive ci serbi rancore per i noti fatti di Rodi; egli ne fu di certo amareggiato, ma si è reso conto delle difficoltà della situazione ed è sicuro delle intenzioni del R. Governo, ma nondimeno gli permane l'impressione che le forme usate non sian state del tutto corrispondenti alla di lui posizione ed alle circostanze.

Aggiungerò infine che, prima di partire, Sua Altezza mi ha fatto chiedere un lascia-passare per sé ed uno per il suo seguito a traverso il nostro confine: è perciò quasi sicuro che Sua Altezza, recandosi in !svizzera o ritornando in Egitto, passerà per l'Italia. Ho cercato di sapere l'epoca, ma il gran maestro del Palazzo mi disse che non la conosceva lui stesso e che ad ogni modo il kedive avrebbe viaggiato nel più stretto incognito.

998 4 Per il seguito cfr. n. l O 11.

1000

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

L. [Costantinopoli], 4 settembre 1912.

Ebbi sue lettere n. 13 e n. 14 ed ebbi stamane il telegramma di ieri sera in perfetta regola per l'interpretazione. Ieri sera fui lungamente col ministro degli esteri, il quale mi lesse il telegramma dei delegati sulla proposta dell'autonomia. A me ha lasciato l'impressione di non essere abbastanza chiaro, e la stessa impressione aveva il ministro degli esteri. Questi mi volle spiegare come secondo lui il meccanismo doveva funzionare e glielo riferisco, quantunque prossimi telegrammi possano rendere superflua la lettera.

Un iradè del sultano che sarà, come d'abitudine, indirizzato al rappresentante, scelto come capo delle provincie autonome, trasferirà nella persona di questi tutti i suoi poteri sovrani all'infuori della sovranità. L'Italia riprenderà questi poteri dal rappresentante con un atto a parte.

Dichiarai categoricamente che questa forma d'autonomia non poteva rispondere ai desiderata italiani perché in primo luogo necessitava da parte nostra un atto che è contrario al nostro decreto, l'Italia non potendo acquistare i diritti sovrani da un terzo. In secondo luogo la forma predetta lascerebbe sussistere le capitolazioni in Libia, ciò che è pure contrario al decreto nostro.

Il ministro degli esteri obbiettò che la parola autonomia implica necessariamente tutto quanto sopradetto, ma che l'Italia non dovrebbe avere nessuna difficoltà ad accettarla.

Io ho insistito perché modifichi il suo punto di vista dichiarando che l'autonomia con tutti i diritti politici sovrani è concessa alla popolazione della Libia, il rappresentante non dovendo essere investito dei poteri sovrani, ma essere soltanto il simbolo del legame fra la Libia e la Turchia.

Il ministro obbietta che una tale forma lederebbe l'articolo I della costituzione ottomana, e ciò nessun governo lo può fare, come il Governo italiano non vuole intaccare il suo decreto legge.

Il ministro manifestò il desiderio che un delegato venisse a Costantinopoli per discutere questioni giuridiche e teoriche. Oggi vi è Consiglio dei ministri e la questione della autonomia è all'ordine del gwrno.

Stasera saprò il risultato.

Il ministro è molto titubante, avendo Kiamil pascià contrario nel Gabinetto ad una formula che non sia quella similare all'Egitto. I grossi mezzi non hanno neancora tutto il peso che dovrebbero avere; ma devo dire che il soggetto sfugge alla discussione dell'impegno definitivo.

Se oggi il Consiglio non lo chiuderà in un cerchio, sarà più malleabile.

Il presidente del Senato, come già annunciato, trova che la base dell'autonomia è terreno adatto all'intesa definitiva. Egli desidera che sia adottata nel regola

mento del conflitto italo-turco una soluzione tale, che né il mondo islamico, né il mondo arabo abbiano ragione di diminuire la loro simpatia all'Impero ottomano. Queste due forze potrebbero rivoltarsi contro la Turchia con danno irreparabile del suoi prestigio. Secondo lui ciò è sicuramente evitato col mantenimento della sovranità nominale del sultano.

Agli occhi di Ferid pascià poi la questione araba assume un carattere famigliare date le sue relazioni col kedivé d'Egitto. Questi si trova in una situazione sgradevole presso il suo popolo a causa della guerra, ed il partito Giovane Turco gli rimprovera la sua freddezza per la Turchia, dicesi anzi che la sua vita sia minacciata. Se la Turchia sarà obbligata a cedere sulla questione della sovranità, molta della colpa sarà fatta cadere dagli arabi sul kedivé, che ostacolò coll'Inghilterra le operazioni di guerra della Turchia.

PS. Non bisogna cercare nelle mie lettere la continuità di criterii. La politica qui è una duna mobile di sabbia tripolina.

1001

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1

T. Pera, 5 settembre 1912, ore 23,58 (per. ore 10,58 del 6).

Vostra regola oggi il mm1stro degli esteri parlando con personaggio politico avrebbe dichiarato riconoscere che la autonomia proposta non è conforme desiderio Italia, ma che devesi assolutamente evitare rottura negoziazioni perché di grave pregiudizio per la Turchia nelle attuali gravi difficoltà internazionali e finanziarie; quindi tutto ben considerato vostra ulteriore sarebbe pressione necessaria.

1002

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TANGERI, DEPRETIS

T. 3552. Roma, 9 settembre 1912, ore 20,35.

Affinché ella possa meglio apprezzare lo spirito delle istruzioni inviatele e confermatele coi miei telegrammi 3513 e 35421 , aggiungo che, non avendo il R.

1001 1 Il telegramma è indirizzato a Joel, presidente della Banca Commerciale Italiana, ma con tutta probabilità è destinato a Volpi. Questa corrispondenza è, infatti, conservata tra le Carte Volpi ed inoltre è certo invece che dalle lettere di Joel a Volpi che il primo si trovasse altrove.

1002 1 T. 3513 del 6 settembre e T. 3542 dell'8 settembre, non pubblicati.

Governo fin qui formalmente riconosciuto il protettorato francese sul Marocco, occorre che codesta r. legazione si astenga con cura da ogni atto che, in contrasto con tale situazione di fatto, possa implicare, come che sia, un indiretto riconoscimento per parte nostra.

Faccio pieno assegnamento, del resto, sul tatto e l'avvedutezza della S.V. perché nel conformarsi a queste mie istruzioni ella eviti del pari accuratamente che il suo contegno possa urtare la suscettibilità di codeste autorità francesi.

1003

IL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1 , AL DIRETTORE DELLA SOCIETA COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA

Ouchy, 11 settembre 1912, ore 13,30.

Abbiamo ieri comunicato delegati ottomani con riserva secondarie modificazioni seguenti basi soluzione conflitto. La Turchia con firmano indirizzato alle popolazioni indigene concederebbe alle due provincie africane la più larga autonomia nominandovi funzionario per la protezione interessi ottomani il cui nome resta in discussione escludendo titolo valì. Secondo seguirebbe immediatamente un decreto reale per il trattamento popolazioni indigene che conterrebbe riconoscimento detto funzionario come rappresentante religioso e tutore specifici interessi ottomani come debito pubblico, dogane eccetera. Funzionari religiosi sarebbero nominati dal califfo. Naturalmente nomina questi funzionari tutti dovrebbe ottenere gradimento Governo italiano in forma da stabilirsi. Loro stipendio sarebbe pagato su proventi locali. Terzo un firmano ulteriore dovrebbe dare garanzie per la popolazione delle isole. Quarto un atto bilaterale pubblico stabilirebbe la cessazione delle ostilità, il richiamo delle rispettive truppe, il regolamento questioni accessorie e secondarie. Testo di tutti questi atti e loro successivo svolgimento dovrebbe risultare dalla sottoscrizione di un accordo preliminare segreto. Queste sono basi fondamentali cui linee essenziali non possono essere mutate rappresentando massimo concessioni italiane. Sarebbe inopportuno ella precisasse come definitivi dettagli essendo ancora riservato ulteriore esame Governo italiano. Faccia presentire che rifiuto anche parziale suesposte basi potrebbe portare pubblica rottura trattative. Necessario ottenere adesione entro sabato dovendo Bertolini conferire lunedì Roma con Giolitti.

1003 1 Cfr. n. 1001, nota l. 2 Non rinvenuto l'originale si tratta presumibilmente di una trascrizione del Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa.

1004

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CERRUTI

T. GAB. SEGRETO URGENTE 1373. Vallombrosa, Il settembre 1912, ore 20,40.

Pregola comunicare confidenzialmente e verbalmente a codesto Governo che le conversazioni di Losanna si aggirano ora sul modo di arrivare alla pace sulla base della nostra piena ed intera sovranità sulla Libia per mezzo di un modus procendendi atto a salvaguardare I' amor proprio della Turchia. Questa dovrebbe con suo atto unilaterale dichiarare la autonomia della Libia mentre l'Italia con altro atto unilaterale accorderebbe agli arabi condizioni vantaggiose. Disinteressatasi così la Turchia praticamente della Libia si potrebbe concludere la pace tra la Turchia e I 'Italia, la quale provvederebbe poi a regolare con mezzi pacifici o bellici la situazione in Libia verso gli arabi. Naturalmente tale soluzione è possibile qualora il R. Governo sia sicuro del riconoscimento della sovranità italiana sulla Libia da parte delle Grandi Potenze e qualora il Governo turco non formuli tale suo atto unilaterale in modo da rendere poi più difficile a se stesso la rassegnazione all'inevitabile. I delegati turchi hanno telegrafato a Costantinopoli chiedendo istruzioni ed è perciò indispensabile che codesto Governo si affretti a dare alla Sublime Porta il consiglio di non persistere in una inutile intransigenza. Pregola affrettarsi ad ottenere questo passo rimettendomi al tatto di lei sul modo di compierlo senza produrre l'erronea impressione che l'Italia abbia fretta di conchiudere la pace.

1005

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1407/262. Vienna, 12 settembre 1912 1.

Telegramma di V.E. Gabinetto 1373, segreto2 . Ho comunicato confidenzialmente e verbalmente a Berchtold stadio attuale conversazioni di Losanna, quale è esposto nel telegramma di V.E. suddetto. Egli mi ha pregato di ringraziare V.E. per tale comunicazione e ha aggiunto che segue col più vivo interesse le conversazioni per la pace. Alla sua richiesta se i negoziati fossero tuttora privati, risposi di ritenerli tali.

1005 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo.

Cfr. n. l 004.

Cercando di esprimermi in modo da non produrre su lui impressione che Italia abbia fretta di concludere la pace, lo intrattenni poi sulla opportunità che vi sarebbe di dare alla Sublime Porta amichevole consiglio affinché essa non persistesse in una inutile intransigenza e perché nel dare istruzioni ai suoi delegati, il Governo ottomano eviti di rendere poi più difficile a se stessa la rassegnazione all'inevitabile e gli domandai se egli non sarebbe disposto a far dare consigli in tal senso alla Sublime Porta.

Berchtold mi rispose che, siccome aveva già detto al duca Avarna varie volte, egli credeva che il dare simili consigli a Costantinopoli sarebbe stato un atto non del tutto conforme ai doveri della neutralità. Ed aggiunse che poiché, d'altra parte, la Turchia non gli aveva, sino ad ora, fatto alcuna comunicazione relativa alle conversazioni di Losanna, egli temeva che, se in conseguenza facesse cenno alla Sublime Porta della opportunità per essa di non perseverare in un'inutile intransigenza, la Turchia potrebbe, forse, rispondergli di non comprendere perché si interessasse ad una questione che non riguardava affatto l'Austria-Ungheria.

Osservai, dal canto mio, che egli aveva però detto ugualmente al duca Avarna di non avere difficoltà far conoscere a Pallavicini che Italia era irremovibile nella questione della sovranità piena ed intera sulla Libia, lasciandolo giudice di far ciò comprendere al Governo ottomano a titolo di amichevole informazione (telegramma del duca Avarna Gabinetto 256)3 .

E gli chiesi se non ritenesse il momento presente propizio per far dare alla Sublime Porta quell'amichevole avvertimento aggiungendo pure l'altro di cui gli avevo parlato oggi. Conte Berchtold convenne di aver detto quanto sopra al r. ambasciatore, ma osservò che sino ad ora Pallavicini, che per sua natura non pareva molto propenso a fare quel passo presso la Sublime Porta, non aveva trovato ancora un'occasione propizia per parlare nel senso da noi desiderato. Era però certo che, se la Turchia si fosse decisa di parlargli delle conversazioni in corso, egli avrebbe colto l'occasione, sino ad ora invano attesa, per esprimersi nel senso suddetto. Aggiunse che egli avrebbe del resto subito informato Pallavicini di quanto avevagli detto, ripetendogli che lo lasciava giudice di far comprendere eventualmente alla Sublime Porta l'interesse che essa avrebbe avuto a non persistere in una inutile intransigenza.

Per quanto si riferisce al riconoscimento della sovranità italiana sulla Libia da parte Grandi Potenze, conte Berchtold mi disse che esso dipendeva unicamente dalla risoluzione del conflitto colla Turchia. Osservò poi che la comunicazione fattagli non accennava né alla restituzione delle isole, né alle altre molteplici questioni di cui dovrà trattare trattato di pace e notò che egli, a giudicare da quanto andava scrivendo Cirmeni nella Neue Freie Presse, credeva che le trattative fossero molto pù avanzate. Gli risposi che ero convinto che V.E. lo teneva informato esattamente giusto vero stato delle trattative e che ella non mi aveva fatto parola né delle isole né di alcun'altra questione, oltre a quelle di cui gli avevo parlato.

l 005 3 T. Gab. segreto 1375/256 del 28 agosto, non pubblicato.

1006

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2113/627. Berlino, 13 settembre 1912 (per. il 18).

«La dimora di due giorni che il signor von Bethmann-Hollweg ha fatto presso il conte Berchtold, ha fornito agli uomini di Stato dirigenti delle due Potenze alleate l' opportunità di esaurienti conversazioni politiche, nelle quali vennero discusse tutte le questioni attualmente pendenti dalla loro politica estera generale, specie riguardo al vicino Oriente. Una perfetta reciproca intesa su tutti i punti venne fra loro nuovamente stabilita».

Sono questi i termini del comunicato ufficioso col quale i Governi di Vienna e Berlino hanno dato contezza al pubblico dei risultati della visita fatta nella scorsa settimana dal cancelliere germanico al ministro degli esteri austro-ungarico nella sua residenza di Buchlau. Il signor von Bethmann-Hollweg essendo tornato lunedì a Berlino, mi sono recato ieri a visitarlo. Lo trovai molto soddisfatto del suo viaggio e generalmente fiducioso nell'andamento pacifico degli affari per quanto non immune da qualche preoccupazione circa quelli della Turchia che egli mi confermò avere formato oggetto dei suoi colloqui col conte Berchtold. Avendo io accennato alle critiche dei giornali tedeschi che avevano dimostrato una certa disillusione per la eccessiva sobrietà del comunicato più sopra riprodotto, il cancelliere mi disse che sarebbe veramente stato impossibile il redigerlo altrimenti; egli ed il conte Berchtold avevano anzi da prima pensato di nulla pubblicare, perché realmente a Buchlau si era discorso di tutto senza che nulla ne risultasse di particolare all'infuori della constatazione dei comuni identici intendimenti dei due Governi; ma per dare qualche alimento alla esigente curiosità del pubblico, si erano poi decisi ad adottare quella formola che per quanto anodina, e anzi appunto perché anodina, rappresenta la realtà.

Chiesi al signor von Bethmann-Hollweg se egli potesse dirmi qualcosa di più positivo riguardo alle recenti proposte del conte Berchtold per una azione diplomatica delle Potenze nella questione delle riforme in Macedonia. Anche su questo punto mi accorsi però che le conversazioni di Buchlau non hanno dovuto uscire dalle generalità alquanto vaghe che fino dal principio hanno caratterizzato quelle proposte. Il cancelliere mi disse infatti avergli il conte Berchtold comunicato una specie di memorandum nel quale esse erano spiegate nel senso di escludere qualsiasi pressione ed ingerenza dell'Europa tale da tornare sgradevole alla Turchia, ma allo scopo più che altro di facilitare alla Turchia stessa la pacificazione di quella provincia, pur mantenendo fra i Gabinetti un costante contatto ed un amichevole scambio di idee circa i mezzi opportuni a conseguirla. Da quanto mi accennò il cancelliere dei termini di quel promemoria, compresi trattarsi del documento stesso a VE. comunicato dall'ambasciatore austro-ungarico in Roma, del quale ella si era compiaciuta di darmi visione nel giorno appunto del mio ultimo passaggio costì. Non v'è dunque in tutto questo nulla che a VE. non sia già noto. Il cancelliere, a quanto egli mi disse, si era dichiarato col conte Berchtold perfettamente d'accordo in principio sulle sue idee, pur !asciandomi

abbastanza indovinare i suoi dubbi circa l'effetto pratico che è lecito aspettarne. Questa impressione fu da me riportata, del resto, anche più chiaramente da un colloquio avuto sullo stesso argomento col signor von Kiderlen-Waechter.

Dei motivi che hanno indotto il conte Berchtold a quel suo passo si danno qui diverse spiegazioni. La meno benevola è quella che gli attribuisce lo scopo di non lasciarsi prendere la mano da sospettati accordi franco-russi su di una questione rispetto alla quale l'Austria-Ungheria intende conservare a sé il primo posto. Altri però interpretano più semplicemente la cosa, nel senso che a Vienna si è stati per un istante realmente allarmati dalla attitudine della Bulgaria e che il conte Berchtold abbia voluto col rievocare l'interesse dell'Europa a pro delle attese riforme, produrre un effetto calmante sull'attuale agitazione e fornire un appoggio morale alle influenze pacifiche che pur sempre predominano nei consigli del re Ferdinando. Checché sia di ciò, ho potuto constatare dal mio arrivo in questi giorni a Berlino che le inquietudini recentemente manifestatesi nella stampa europea per la situazione in Macedonia e in Albania, non sono interamente divise da queste sfere governative dove si continua a dimostrare buona fiducia nel mantenimento di quell'ordine relativo che può in ogni tempo attendersi nelle provincie ottomane d'Europa. Questa fiducia sarebbe senza dubbio assai rinfrancata il giorno in cui, cessate le ostilità con l 'Italia, fosse eliminata la ripercussione che l'attuale stato di guerra inevitabilmente produce, coll'indebolire vieppiù la Turchia ed incoraggiare tutte le aspirazioni ad essa nemiche. Alludendo a ciò, il cancelliere e con esso il signor von KiderlenWaechter, si dimostrarono molto desiderosi di contribuire per quanto sia possibile al progresso dei tentativi di accordo attualmente in corso sulla questione della Tripolitania. Ma per ciò debbo riferirmi a quanto ho comunicato a V.E. coi miei telegrammi di ieri e stamane 1 .

1007

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, E AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI

NOTA 1. Roma, 16 settembre 1912.

Ti invio qui accluso copia di un promemoria compilato e consegnato da questa ambasciata di Francia. Il signor Laroche ha aggiunto poi verbalmente al capo di Gabinetto che da Parigi veniva segnalata l'opportunità che le truppe italiane occupassero la via carovaniera non

l 006 1 T. Gab. 1403/207 d eli' 11 settembre e T. Gab. segreto 1406/208 del 12 settembre, non pubblicati. l 007 1 Inviate rispettivamente con note nn. 816 e 587.

ancora occupata verso il confine tumsmo perché ciò faciliterebbe assai l'opera di sorveglianza contro il contrabbando intrapresa dalle autorità francesi.

ALLEGATO

PROMEMORIA. Roma, 14 settembre 1912.

Le chef de l'annexe de Ben Gardane a signalé recemment au délégué à la Résidence Générale qu'il avait appris que des marchandises avaient été débarquées clandestinement sur le littoral tunisien près de la frontière et qu'elles avaient pu ètre chargées par une caravane tripolitaine ayant franchi la dite frontière dans la nuit du l er au 2 septembre. En rapprochant ce compte-rendu d'indications données par le consul général d'ltalie ou recueillies par différents agents du Gouvemement tunisien, M. Dobler fut amené à penser qu'il s'agissait de munitions de guerre chargées probablement en mer sur des voiliers faisant ostensiblement le cabotage de la cote tunisienne.

Le capitaine Bourgoin, chef de l'annexe de Zarzis, fut envoyé immédiatement dans la région d'Alhouet-el-Gouma pour enquèter. Les constatations faites par c et officier ont établi qu'il s'agissait d'un chargement de munitions débarqué par trois voiliers à ElKenef. Elles ont également établi la culpabilité du chaouch commandant le poste de cette région. Averti dès le premier septembre de la présence de la caravane dans le voisinage de la frontière, c et indigène n' en a pas référé à l' officier commandant à Ben Gardane, et il a aidé à l'enlèvement de la con tre bande en éloignant du littoral l es patrouilles qui en exercent la surveillance permanente. Le chaouch a été immédiatement relevé de ses fonctions, en attendant !es autres sanctions qui ne manqueront pas d'ètre prises contre lui.

La caravane qui a importé !es munitions était sous la protection de quatre cents goumiers tripolitains, de gendarmes tures et au moins d'un officier turc; cette force aurait violé délibérément la frontière française. Ce fait, ainsi que l'aide ouvertement prètée par les autorités militaires turques à ce coup de main, a motivé une protestation énergique que l'ambassadeur de la République à Constantinople a été invité à formuler auprès de la Porte.

En portant, d'ordre de son Gouvemement, ce qui précéde à la connaissance du Ministère royal des affaires étrangères, l'ambassade de France croit devoir faire remarquer que les graves fautes professionnelles don t s'est rendu coupable le chaouch d'Allouet-el-Gounna sont purement individuelles et que la répression immédiate dont elles ont été l'objet témoigne de la conscience avec laquelle depuis le début de la guerre et malgré les difficultes de sa tàche, le Gouvemement français s'est appliqué à observer scrupuleusement !es règles de la neutralité.

Le chargé d'affaires de France a reçu à cette occasion l'instruction de renouveler au Gouvemement royal l'assurance que !es autorités françaises sont résolues à ne tolérer aucun acte qui puisse, directement au indirectement, contribuer à favoriser l'introduction de la contrebande de guerre sur le territoire tripolitain. A cet effet, le président du Conseil, ministre des affaires étrangères a attiré l'attention du ministre de l'intérieur sur la nécessité de continuer à exercer, surtout à Marseille, avec une particulière vigilange une surveillance continue sur le mouvement des marchandises à destination des ports ayant des relations avec la Tripolitaine. La saisie du vapeur chargée de cartouches et de fusils qui vient d'ètre opérée près de l'ìle Kerkennah en constitue une nouvelle preuve toute récente. D'autre part, certaines indications ayant donné lieu de penser qu'un effort considérable est tenté en ce moment pour réapprovisionner en munitions l'armée turco-arabe de Tripolitaine, le délégué à la résidence générale a demandé à l'amiral Amelot de maintenir dans !es parages des Bibans deux torpilleurs qui resteront affectés à la surveillance de cette région.

1008

IL COMANDANTE DEL CORPO D'OCCUPAZIONE, D'AMEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI 1

R. RISERVATISSIMO PERSONALE 1527. Rodi, 18 settembre 1912 2.

Nei miei precedenti rapporti sulla situazione politica delle isole riferii obbiettivamente su quanto riflette le condizioni dello spirito pubblico, ed in particolare modo sulle aspirazioni predominanti delle popolazioni sottoposte al nostro Governo.

L'esperienza di questi mesi trascorsi alla direzione degli affari militari nonché politici, l'amoroso e costante studio onde rendermi esatto conto della precedente situazione delle isole e delle modificazioni apparenti e sostanziali cui la nostra occupazione ha dato luogo; la conoscenza di fatti e di uomini che inquadrano la vita materiale e morale delle popolazioni, mi consigliano di sottoporre all'illuminato giudizio di V.E. il mio pensiero, per quel che può valere sulla nostra eventuale e futura azione politica e militare nell'Egeo.

La maggioranza della popolazione essendo greca, il clero ne dirigie e ne guida i moti, gli impulsi, i sentimenti.

È d'uopo ricordare che, durante i lunghi anni della dominazione ottomana, il clero fu il depositario di tutte le idealità patriottiche, conservando intatto il patrimonio di tradizioni e di classicismo -che si integra nella speudo unità etnica e storica di tutti gli elleni, siano essi abitanti dell'Ellade propriamente detta nonché delle isole

o dell'Asia Minore -la religione e la politica si fusero in una unità inscindibile ed anche oggi l'una non è disgiunta dall'altra.

Il clero ci accolse con chiare manifestazioni di giubilo, poiché il nostro intervento armato, le nostre vittorie, significavano la liberazione dall'odiato giogo turco; ma non perciò credette rinunciare,o quanto meno deviare da una linea, al programma secolare dell'unità ellenica.

Così è, anche quando l'entusiasmo era maggiore per cui gli impulsi provocati dalla gratitudine avrebbero potuto suggerire propositi generosi e manifestazioni di solidarietà piena e concreta verso la nazione liberatrice, non accennò ad alcuna idea che potesse suonare annessione al nostro Paese, sì bene accarezzò la speranza in una forma di autonomia delle isole sotto la nostra temporanea protezione come avviamento all'unità ellenica.

Né trascurò di accorrere alle prime difese contro la nostra influenza: all'atto dell'occupazione delle isole, il patriarca di Costantinopoli si affrettò a coprire le vacanze nelle quattro sedi vescovili di Rodi, Scarpanto, Calimno e Cos. Fu indub

l 008 1 Per conoscenza fu inviato anche al ministro degli esteri, di San Giuliano, al ministro della guerra, Spingardi e al capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Pollio. 2 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

biamente questa una misura preventiva nella tema che la nostra azione politica su popolazioni facilmente suggestionabili avesse potuto nuocere al programma panellenico affezionandoci l'elemento rurale.

La spiegazione del concetto che si ha qui dell'autonomia servirà ad illuminare il lavoro che, palese o nascosto, ad Atene o nelle isole stesse a mezzo di giornali o di singole manifestazioni individuali tenderebbe ad intralciare i nostri passi a ledere i nostri interessi, sfruttando egoisticamente i sacrifici che la guerra ci ha imposto; come del resto ebbi ad accennare all'E.V. nel mio rapporto n. 485 R. in data 12 giugno 19123 .

La popolazione greca delle isole è composta dalla massa amorfa e primitiva che si affida completamente al clero, e dalla classe intelligente e cosciente che ha convinzioni proprie basate sull'esperienza vissuta e sulla conoscenza delle attitudini e delle capacità amministrative dei greci stessi.

Il clero, e con esso la parte meno eletta della popolazione urbana vagheggia dunque una forma di governo autonomo, sotto la protezione di una grande potenza, che potrebbe ben essere l'Italia, con l'esclusione netta e precisa di qualsiasi intervento diretto nell'amministrazione delle isole. In altre parole la potenza protettrice dovrebbe assumersi incarichi negativi e principalmente quello della difesa contro eventuali minacce esterne, senza usufruire di alcun vantaggio che possa derivare dalla cointeressenza nell'amministrazione.

Il clero, in altre parole, teme che un intervento diretto nell'amministrazione da parte nostra si tradurrebbe in una corrente migratoria di elementi latini, o meglio italiani che, in un tempo non lontano, sostituirebbero il nucleo preponderante della popolazione. Preponderante non solo per numero, ma per le energie e le intelligenti laboriosità che indubbiamente saprebbero spiegare.

La E.V. ben comprende come simile disegno non sia per nulla conveniente ai nostri interessi, e come esso dimostri l 'insufficiente senso pratico che regola e dirige il programma del partito che si è prefisso di attuarlo.

La parte intelligente ed eletta della popolazione greca è invece consapevole della inettitudine dei greci stessi al governo della pubblica cosa. Ogni greco è per sua natura un politicante di mestiere; nei circoli locali si vive di politica, di discussioni, da cui esula la chiara visione degli interessi altrui anche quando tale interessi traggono la propria ragione da sacrifici di sangue e denaro, com'è il caso nostro.

Ciascuno ha qui un'idea personale da far trionfare, interessi leciti ed illeciti da difendere e giustificare, onde l'incoerenza amministrativa che si è riscontrata in tutti gli organismi pubblici essenzialmente locali.

Gli elementi migliori comprendono quindi la necessità che per un tempo indefinito fino a quando cioè non sia rifatta la educazione dello spirito e dell'intelletto della popolazione, il Governo debba essere posto in mano ferma, adusata alle responsabilità, cosciente della propria forza per la difesa interna ed esterna. Essi sono

l 008 3 Non pubblicato.

convinti che sotto l'egida e la protezione diretta di un grande paese, le energie latenti di questa terra, fin qui barbaramente sfruttata, troverebbero mezzo di svilupparsi.

Questa la situazione di fatto che si manifesta con sintomi più o meno palesi e sensibili, i quali però non sfuggono a chi con animo sereno e con intendimenti obiettivi siasi proposto di renderne conto esatto.

Di fronte a questa situazione locale sono i nostri interessi, per cui s'impone lo studio e la ricerca della formula che più e meglio risponda ad una soluzione concreta e plausibile in relazione ai fattori in discorso.

Conviene a noi l'annessione pura e semplice?

Sono convinto che l'annessione non possa entrare nel nostro programma politico, poiché a parte le contestazioni internazionali, cui darebbe certamente luogo, è in contrasto con i nostri interessi.

L'annessione di terre che per la situazione geografica sono così eccentriche rispetto all'Italia si tradurrebbe in una notevole distrazione di forze e di energie vive, il cui impiego non ripagherebbe nella giusta misura quanto è ragionevole pretendere. E, d'altro canto, ci impegnerebbe in una lotta con gli elementi locali per vincere secolari pregiudizi di razza e di religione, cozzando contro viete abitudini mentali, costringendoci ad una lotta politica interna con la maggioranza della popolazione greca, alla quale non mancherebbero gli incoraggiamenti sentimentali della fucina di politicanti e mestatori di Atene.

In ultima analisi, noi ci proporremmo un còmpito sia pure civilissimo, perché inspirato al desiderio di aprire nuove vie all'attività nazionale fondendola alla prosperità avvenire di queste terre, ma che ci procurerebbe l'odiosità non solo degli elleni ma di tutti i filellenici sentimentali sparsi per il mondo e che purtroppo non fanno difetto neanche nel nostro paese.

Scartata l'idea dell'annessione resta l'autonomia.

Ma, evidentemente, non è possibile accogliere la tesi semplicista sostenuta dal clero greco e le aspirazioni dei politicanti ateniesi per i quali le Grandi Potenze devono ancora pagare alla Grecia tutto ed intero il tributo di riconoscenza per la civiltà classica che dalle sponde dell'Egeo mosse ad illuminare l'Europa occidentale.

A mio avviso, l'autonomia non esclude una sovranità formale da concedersi al sultano, mentre il Governo effettivo delle isole dovrebbe essere affidato ad un consiglio con a capo un governatore italiano; consiglio i cui delegati sarebbero per metà italiani e per l'altra metà tratti dagli elementi locali in misura proporzionale alle razze ed alle religioni.

Questa, secondo me, la forma amministrativa più conveniente ai nostri interessi ed alle giuste aspirazioni della parte migliore della popolazione, la quale, saviamente diretta, aiutata, confortata dalla nostra protezione, concorrerebbe certamente alla prosperità delle isole ed al graduale incivilimento della parte più numerosa e meno evoluta della popolazione.

Resta infine da esaminare la questione se ci convenga comprendere sotto la nostra protezione tutte le isole occupate ovvero limitarsi soltanto a quelle che per la loro importanza rappresenterebbero per noi una diretta utilità.

Poiché non mi nascondo che, anche quando st nuscisse a comporre i nostri interessi in armonia con quelli degli isolani, non cesserebbero perciò le gelosie delle altre Nazioni, onde continuerebbe l'armeggio delle influenze esterne, provocato da interessi lesi o da amor proprio nazionale insoddisfatto.

Penso, quindi, che a noi converrebbe conservare le due isole di Rodi e Stampalia: Rodi, quale la più importante fra quelle occupate e dove le nostre armi ebbero buona fortuna; Stampalia come ottima base navale. Il resto delle isole potrebbe costituire il premio di cointeressanza da offrire alle altre Grandi Potenze.

Quale che possa essere il criterio direttivo delle trattative da condurre per ottenere un risultato concreto esula dalla mia competenza il discuterne: certo si è che riuscendo ad attrarre le altre Potenza nell'orbita del concetto dell'autonomia mista ed assegnando a ciascuna potenza una parte delle isole, la sicurezza del nostro possesso sarebbe accresciuta di mille cubiti, né avremmo più a temere la sorda guerra che molto probabilmente ci verrebbe mossa dall'elemento ellenico nel caso che fossimo soli a reggere le sorti di tutte le isole occupate.

* * *

Qui perdura la tranquillità, né è a temere alcuna sorpresa.

Ignoro quali siano le intenzioni del R. Governo per il caso che la pace non coroni questo anno di guerra: certo è che lo scacchiere dell'Egeo, in una ripresa delle operazioni, rappresenta il punto vulnerabile e decisivo della campagna contro la Turchia.

È mio convincimento, tratto dalla conoscenza locale e dalle informazioni che affluiscono da tutte le parti, che se il conflitto dovesse ancora prolungarsi, basterebbe intensificare l'azione della nostra flotta verso le coste dell'Asia Minore, paralizzando i traffici, incutendo il timore che deriva dai nostri maggiori mezzi bellici per far piegare l'avversario alla nostra volontà.

Oramai le popolazioni turche sono coscienti della vanità della continuazione della lotta, e sperimentate ai danni che derivano da una lunga guerra.

Le illusioni su probabili vittorie delle armi turche sulle nostre si sono dileguate, né annebbiano più la visione della realtà dei fatti. In tutti è un desiderio di pace, contro il quale il partito dei facinorosi non ha mezzi per reagire.

È da sperare quindi che le trattative -se pur sono avviate -abbiano risultati felici, e che perciò anche il nostro paese possa raccogliersi e ripigliare la via, che le sue singolari energie gli additano per l'avvenire.

Ma è pur vero che conviene prepararsi alle ipotesi meno favorevoli onde essere in misura per farvi fronte.

Poiché una eventuale ripresa dell'azione nell'Egeo non può scindersi dalla situazione generale creata dalla guerra in Libia, l'E.V. mi conceda di esporre al proposito alcune mie considerazioni dettate unitamente dal grande amore per il bene e la grandezza del nostro Paese.

Sebbene il mio grado non comporti l'autorità di suggerimenti sulla condotta generale delle operazioni, pur nondimanco l'esperienza dei lunghi anni trascorsi in Eritrea nonché in distaccamenti lontani, la costante applicazione ai problemi di indole coloniali, mi sono di conforto dando adito alla speranza che in nessun caso mi si taccierà di presunzione.

Fin dal principio della guerra prevalse il concetto della successiva occupazione dei centri principali della costa, con che si veniva all'effettiva occupazione del litorale separando l'interno dai punti di transito e di sbocco lungo il mare.

Gli elementi di fatto, scaturiti dalle condizioni dell'ambiente, con il loro intervento imposero forse modificazioni non lievi ai progetti elaborati in antecedenza: ma il concetto della concquista (sic) della costa oramai pienamente attuato, secondo me era da preferirsi agli altri anche quando elementi nuovi di giudizio non fossero intervenuti.

L'occupazione della costa equivale infatti alla virtuale concquista (sic) della Libia: padroni dei maggiori centri abitati e di transito che si affacciano sul mare, possiamo considerarci arbitri della concquista (sic) dell'interno senza perciò che sia necessario !asciarci immediatamente trascinare in spedizioni lontane dalla nostra base naturale, che comportano una preparazione laboriosa per i mezzi logistici occorrenti e di dubbia efficacia in quanto al risultato cui si tende.

Non ripeterò all'E.V. gli elementi geografici militari e di conoscenza di ambiente, che mi inducono ad affermare questo concetto, la mia intenzione essendo quella di esporre sinteticamente quanto mi sembra essere più conveniente ai nostri interessi perché la concquista (sic) dell'interno non ci debba costare sacrifici in uomini ed in denaro superiore al rendimento effettivo ottenibile.

Gli obbiettivi che si possono avere nelle guerre coloniali sono di tre specie:

l) un esercito avversario convenientemente organizzato;

2) un centro politico morale o religioso, la cui concquista (sic) equivalga, per ragioni di influenza al possesso della colonia tutta; 3) le bande armate. Il terzo caso è il nostro. Oggi c poi, quindi, a pace conseguita, la nostra linea di condotta dovrebbe esclusivamente attenersi al seguente programma militare:

l) Sbarazzare i centri della costa di tutti gli elementi infidi, togliendo così il mezzo all'avversario di essere continuamente informato di quanto si opera da noi. Fin qui credo che non siasi a ciò provveduto per insufficente conoscenza

dell'ambiente locale.

2) Creare il deserto per una zona relativamente profonda tra la costa e l'interno onde costituire una vera soluzione di continuità tra noi e gli indigeni ribelli, togliendo loro qualsiasi mezzo di comunicazione e traffico col litorale.

3) Provvedere subito e col maggiore impiego di mezzi di quanto non siasi fatto ancora all'organizzazione delle forze indigene per tenere a bada le bande avversane.

4) Attendere quindi e dar tempo alla soluzione per la conquista dell'interno mercé le relazioni che mano mano sorgeranno spontanee perché imposte dalla necessità di vita tra le nostre truppe indigene e le bande nemiche.

Fatalmente, per forza delle cose, noi saremo condotti ali 'interno dagli stessi indigeni, allorché questi abbiano compreso i vantaggi che derivano dalla sottomissione al nostro Governo come avvenne in Eritrea dopo dieci anni dali' occupazione della costa.

Qualsiasi puntata verso l'interno nelle condizioni attuali non colpirà mai il cuore dell'avversario, per cui non deciderebbe definitivamente della lotta. Si tradurrebbe invece in un impiego enorme di forze e di mezzi col rischio forse di vedere intiepidirsi l'entusiasmo con cui furono accolte e seguite le felici iniziative del Governo di VE. da parte della Nazione, la quale è probabile che, commisurando i sacrifici con lo scopo che si vorrebbe raggiungere, non scorgerebbe la giusta proporzione.

A mio avviso, l'occupazione sia di Garian che di Merg, avrebbe in ogni caso la medesima influenza sulla situazione generale di quella che altra volta generò l'occupazione di Saati rispetto a Massaua: poca cosa invero, se il rischio ed il sacrificio dovessero essere grandi, e quali del resto le condizioni del problema impongono.

Non citai teorie ne osai dilungarmi sui fattori analitici che lungamente studiati mi fecero arrivare alle su esposte conclusioni per non abusare della bontà dell'E.V. e per amore di brevità, sebbene l'argomento ammetta una trattazione vasta e profonda; ed avrei taciuto, se più forte della volontà non avesse parlato in me la voce del dovere di patriota, di soldato e di fedele servitore del mio re.

1009

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 5748/250. Londra, 19 settembre 1912, ore 7,45 (per. ore 23,10).

Mio telegramma 245 1 . Anche ambasciatore di Russia ritiene che non esistono accordi navali franco-britannici. A parte riluttanza tradizionale inglese a vincolare libertà d'azione, tali accordi a seconda conte Benckendorff servirebbero solo creare imbarazzi al Governo quando fosse chiamato, come probabilmente avverrà presto, a dare spiegazioni al Parlamento. Nel fatto poi essi sono inutili perché fino a quando non saranno mutate attuali disposizioni di questo Governo e della grande maggiorana del Parlamento è ovvio prevedere che accordo si concluderebbe automaticamente in 24 ore qualora Germania dichiarasse guerra alla Francia. Incaricato d'affari germanico mi ha detto avere motivo di credere i commenti della stampa francese abbiano prodotto impressione meno che gradita anche nei circoli notoriamente francofili che li hanno giudicati inopportuni e poco abili perché di natura a

l 009 1 T. riservato 5701/245 del 17 settembre, non pubblicato.

provocare sicuramente in Parlamento interrogazioni e discussioni che sarebbe stato meglio evitare.

1010

IL MINISTRO A SOFIA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2283/336. Sofia, l9 settembre 1912 (per. il 28).

Ieri, dopo parecchio tempo in cui un suo lutto personale mi aveva impedito di vederlo, ho avuto un lungo colloquio col signor Ghescioff sulla situazione politica attuale. Gli ho chiesto, affettando meraviglia, che cosa significassero questi rumori di guerra che mi pervenivano da varie parti. Ai politicanti ed ai giornalisti mi era lecito di non prestare troppa attenzione, ma quando simili insinuazioni mi giungevano da alte autorità militari, non potevo evidentemente del tutto disinteressarmene. Il Ghescioff mi rispose che effettivamente l'agitazione cresceva e diventava irresistibile e che il Governo bulgaro non poteva non dolersi che le Potenze gli chiedessero di sacrificare le tendenze più nobili del Paese ad una pace che pace vera non poteva chiamarsi, vista la pericolosa condizione in cui trovavansi i sudditi bulgari nella Macedonia e le agitazioni continue che ne derivavano agli Stati balcanici. Poiché, aggiungeva, ciò che ci impressiona non è tanto l'agitazione nel nostro esercito e nel nostro paese, quanto le notizie che ci giungono dalla Grecia, dalla Serbia e dal Montenegro indicanti che in quegli Stati regna una effervescenza anche maggiore che non in Bulgaria. «E voi comprenderete», concludeva, «che se quegli Stati si muovono non è possibile per noi di restare immobili ed indifferenti».

Io gli risposi severamente presso a poco così: ciò che adunque voi, o almeno vostri organi giornalistici, i vostri miltari, i vostri amici e nemici politici ci annunziate è un'azione congiunta di quattro Stati contro la Turchia. Ma innanzi tutto siete voi ben sicuro di dire la verità quando mi affermate che l'agitazione della Bulgaria è tale che non potete oramai più contenerla? Non credete voi invece che se gli uomini politici, i giornalisti ed i militari, che in ogni Paese liberamente e costituzionalmente organizzato debbono essere i servitori e non i padroni della pubblica opinione, la pubblica opinione bulgara sana, solida, pacifica ed ottima intenditrice del proprio interesse riprenderebbe il disopra e metterebbe in piena luce l'insanità della impresa che voi mi assicurate essa voglia sforzarsi a compiere. Poiché voglio anche ammettere per vero ciò che voi mi asserite dell'aumento di eccitazione che vi giunge dagli altri paesi balcanici: sebbene io potrei rispondervi che da tutti i rapporti che ricevo risulterebbe invece che essi si eccitano alla eccitazione bulgara ed attendono da voi il segno per la mossa fatale. Ma dato anche che abbiate ragione e che i quattro Stati spinti da una molla irresistibile, e di comune accordo e con piena armonia di metodi e di intenti muovano la guerra al turco, che cosa sperate voi da una simile azione? Credete voi potervi assicurare la neutralità delle Grandi Potenze nel conflitto? E data anche questa poco verosimile ipotesi e dato che battiate la Turchia ed occupiate a voi quattro la Macedonia credete voi di potervela ripartire senza venire a lotte sanguinose e fratricide fra di voi? Voi mi risponderete, ed avete già risposto ad altri, che l'azione degli Stati balcanici ha di mira non già la conquista e la ripartizione della Macedonia, ma l'imposizione alla Turchia di un regime autonomo per la Macedonia. A ciò io replico che lo status dei cristiani in Macedonia è di competenza delle Grandi Potenze. Se esse al momento attuale non sono in grado con tutta la loro forza e la loro influenza di assicurarlo in un modo soddisfacente, e senza porre a repentaglio la pace europea, come volete esserne capaci voi con azioni guerresche di dubbia possibilità e di esito ancor più dubbio?

A queste ed altrettali mie osservazioni il Ghescioff dimostrò un certo imbarazzo che, se ne avessi avuto bisogno, mi avrebbe provato ancora una volta che tutto questo deplorevole rumore che si fa intorno alle intenzioni bellicose della Bulgaria, è sprovvisto di base in quanto che Governo, esercito e paese pronunziando ad ogni minuto la parola «guerra balcanica» non sanno o non vogliono rendersi conto esattamente di ciò che possa significare simile parola. Dopo cercato di ribattere alcune delle mie obbiezioni, il Ghescioff concluse: «Ma in sostanza se gli altri Stati balcanici non muovono non muoveremo neppure noi». Al che io soggiunsi che questa sua frase era per ora la migliore possibile garanzia di pace.

Rivolsi allora al Ghescioff alcune speciali domande di cui registro qui sotto le risposte.

Il Governo bulgaro ben lungi dall'avere interrotto i suoi rapporti colla Turchia, come hanno asserito alcuni giornali, è in continui negoziati con esso per regolare i varii incidenti di questi ultimi tempi, sebbene con scarso risultato dati i sistemi dilatorii turchi.

Il Governo bulgaro non ha mai pensato ad indirizzare alle Potenze note o memorandum ben rendendosi conto che esso non ha status per parlare ufficialmente alle Potenze della condizioni della Macedonia.

Questi rappresentanti di Francia, Russia e Gran Bretagna sono successivamente andati a trovare il Ghescioff e gli hanno semplicemente detto che i loro rispettivi Governi contavano sulla saggezza e prudenza del Governo bulgaro per evitare ogni complicazione e per il mantenimento della pace.

Dai rappresentanti germanico ed austro-ungarico non gli era pervenuta nessuna comunicazione del genere, e di ciò il Ghescioff si mostrava particolarmente soddisfatto.

Le proposte Berchtold parevano al Governo bulgaro vaghe, inadeguate e poco esplicite. Però esso le considerava come meglio che nulla in quanto che dimostravano almeno che le Grandi Potenze non si disinteressavano in principio degli affari macedoni.

Se da questa mia lunga e forse confusa esposizione di uno dei rari colloqui che sulla presente situazione ho creduto di tenere col Ghescioff (rari perché in generale reputo inutile anzi nocivo lo intrattenermi troppo frequentemente di politica con questi infantili uomini di Stato), V. E. mi permette di dedurre una conclusione, dirò che io reputo sommamente fuori di luogo l'importanza eccessiva che da molte cancellerie e da molte ambasciate si vuoi dare alla politica bulgara. Non astante qualche progresso materiale e morale (assai minori di quanto nelle numerose feste di quest'anno si è voluto dire, ma pure innegabile) la Bulgaria è un piccolo Paese e come tale la sua politica, il suo esercito, la sua potenzialità sono piccole cose. L'esagerarne l'importanza, il far credere ad ogni istante che la Bulgaria tiene in mano le chiavi della pace e della guerra, non può che fuorviare il sano criterio politico e forse distogliere l'attenzione dall'azione di elementi ben più attivi ed efficaci nella politica balcanica.

1011

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 19 settembre 1912.

Rispondo all'ultima tua circa l'azione che lo scieik El Zafer el Madani di Bengasi si proporrebbe di condurre nell'hinterland cirenaico con l'appoggio di lettere del preteso capo della tarika Madanita residente a Costantinopoli 1•

Questi evidentemente tende a farsi riconoscere nella Tripolitania e nella Cirenaica per il vero capo della Madania ed a fare del suo parente di Bengasi, che, altrimenti non avrebbe importanza, un suo procuratore in Libia. Sarebbe cosa pericolosa se riuscisse perché farebbe dipendere le zauie dei madaniti esistenti specialmente in Tripolitania e in Fezzan da Costantinopoli, mentre a noi preme che dipendano da un capo residente nel nostro territorio quale quello esistente in Tripoli i cui diritti alla direzione della tarika sono certo maggiori di quelli del pretendente di Costantinopoli.

Rimango quindi d'avviso, e sono lieto che tu convenga meco che il detto El Zafer di Bengasi debba essere consigliato a ritornare senz'altro a Bengasi.

1012

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. UFF. COLONIALE 7574. Roma, 22 settembre 1912, ore 10,00.

Ieri generale Ragni si è impadronito dell'oasi di Zanzur dopo un aspro combattimento durato dieci ore. Le nostre truppe bivaccano sulle posizioni conquistate con grande valore. Le nostre perdite si calcolano circa duecento fra morti feriti. Quelle del nemico sono ingenti ma non ancora precisate.

1011 1 Non rinvenuta ma cfr. n. 998. Per il seguito cfr. n. 1024.

1013

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 1424. Roma, 22 settembre 1912, ore 19, 05.

Ambr6zy è venuto a comunicarmi che, con dispaccio circolare alle Potenze firmatarie del trattato di Berlino, il Governo russo ha proposto che per evitare la guerra tra la Bulgaria e la Turchia si faccia un passo a Costantinopoli per consigliare l 'introduzione urgente di riforme in Macedonia.

Berchtold è disposto ad associarsi a questa iniziativa in quanto sia compatibile coi principii fondamentali della sua politica tendente al mantenimento dello statu quo, e col suo desiderio, diviso del resto da tutte le Potenze, di aver riguardo alla suscettibilità della Turchia.

Per conseguenza Pallavicini è stato incaricato di attirare l'attenzione della Sublime Porta sul fatto che la eccitazione crescente, che si manifesta in varie parte della Turchia, deve essere attribuita in gran parte a deplorevoli passi falsi delle autorità ottomane. I fatti di Kotsciana sono un'illustrazione di questa tesi. Sarebbe interesse della Turchia prendere spontaneamente provvedimenti idonei a pacificare gli spiriti, come un'organizzazione imparziale delle elezioni, misure per assicurare la vita e le proprietà degli abitanti; programma che probabilmente risponde alle intenzioni della Porta e risponderebbe certamente ai desideri delle nazionalità. Lo stretto adempimento delle promesse che essa ha fatto potrebbe scongiurare il pericolo. L'azione calmante sui governi degli Stati balcanici, che Berchtold si propone, non avrebbe probabilità di successo se la Porta non manifestasse in modo evidente e palpabile la sua intenzione di soddisfare i desideri delle sue popolazioni malcontente. L'iniziativa del conte Berchtold non potrà produrre effetto sui governi balcanici finché la Turchia non farà dichiarazioni positive sulle sue intenzioni relative alle nazionalità.

Fin qui le istruzioni date da Berchtold a Pallavicini. In via confidenziale Ambr6zy mi ha detto che è stato incaricato di aggiungere che l'idea di fare allusione all'opportunità d'elezioni imparziali (idea simpaticamente accolta da tutte le Potenze), è stata specialmente menzionata nelle suddette istruzioni a Pallavicini, per facilitare la continuazione dello scambio d'idee tra i Gabinetti, la cui unanimità constatata su questo punto ha, secondo l'avviso di Berchtold, la più alta importanza per lo scopo di eliminare il pericolo d 'una guerra nella penisola balcanica. Io ho risposto che ancora non ho avuto la comunicazione russa, e che, essendo in guerra con la Tuchia, l'Italia non può fare passi presso la Sublime Porta, ma che trovo sagge le considerazioni e le istruzioni di Berchtold, che corrispondono, a mio giudizio, anche al modo di vedere del Governo russo.

1014

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5826/637. Vienna, 24 settembre 1912, ore 21 (per. ore 23,30).

Discorso Berchtold. Premesso che recente discorso alle delegazioni lo esonera ripetere basi fondamentali politica estera Monarchia che permangono le medesime, Berchtold dichiarò voler dare brevi spiegazioni sopra più importanti avvenimenti internazionali dei tempi recenti e posizione assunta da Austria-Ungheria di fronte ad essi. «Se la guerra italo-turca non è ancora giunta a termine sono però da alcun tempo in corso trattative di carattere privato fra negoziatori delle due parti contedenti, le quali dovrebbero aver giovato causa pace. Noi, che fin da principio abbiamo manifestato nostro vivo interesse per qualunque azione che potesse giovare pace, possiamo soltanto sperare che difficoltà che pare siano sorte momentaneamente abbiano ad essere di natura transitoria. Prescindendo dalla soddisfazione che produrrebbe da noi per se stessa fine guerra fra Potenza alleata ed altra amica, devesi tenere in particolar modo conto della circostanza che col cessare delle complicazioni estere dovrebbe essere più facile por termine crisi interna Turchia». Venendo parlare avvenimenti balcanici, rivolta albanese, conflitto turco-montenegrino, eccitazione-bulgara, per fatti Cocciana, scontri fra greci ed albanesi, Berchtold disse che di fronte tali avvenimenti aveva stimato fare sua proposta alle Potenze. Questa mirava dare per mezzo di un consenso unanime delle Potenze sulla base mantenimento statu quo nei Balcani, tempo alla Turchia per realizzare politica da essa inaugurata ed instaurare ordine sue possessioni europee. Ove apparisse opportuno avrebbero dovuto darsi amichevoli consigli in tal senso alla Turchia. Potenze risposero tutte approvando proposta e con ciò fu stabilito contatto fra di esse e creata valida garanzia per prevenire misura possibile soluzione violenta crisi balcanica. Gabinetto russo, al pari austriaco, è seriamente desideroso assicurare mantenimento pace. Errerebbe chi considerasse totalmente svaniti pericoli nei Balcani. Situazione poco soddisfacente provincie europee turche, produsse ripercussioni negli Stati confinanti, che impensieriscono e posero uomini dirigenti Stati stessi di fronte difficile compito. Augurasi che questi si adopereranno a trattenerli dal seguire impulso elementi irresponsabili, e che d'altro canto Turchia rendasi conto serietà situazione e trovi modo prevenire pericolo complicazioni come farebbero sperare notizie pervenute al riguardo, secondo cui Governo turco procurerebbe accordare necessarie garanzie varie nazionalità. Nega che Aehrenthal abbia favorito comitato Unione e Progresso e rileva come interessi austro-ungarici non sono legati alcun partito, ma mirino mantenimento integrità Turchia suo consolidamento interno. Per tanto, sforzi uomini di Stato ottomani conciliare aspirazioni diverse nazionalità con esigenze politica ottomana troveranno appoggio Monarchia. Austria-Ungheria è confortata in questa politica dalla certezza che corrisponde modo vedere suoi alleati. Rileva che potè constatare ciò negli scambi vedute con Bethmann-Hollweg che dimostrarono essere politica austro-ungarica e germanica rispetto Oriente eminentemente conservatrice.

«Prossimo mese sarammi data occasione presentarmi S.M. il Re Vittorio Emanuele, avere scambio vedute marchese San Giuliano. Questa visita presentazione al monarca alleato Nostro Sovrano, corrisponde consuetudine, osservata mio predecessore, alla quale associomi tanto più volentieri, in quanto che rapporti fra Gabinetti Vienna e Roma non potranno che guadagnare ancora in chiarezza fiducia da intesa personale fra dirigenti politica estera due Paesi». Visita in Romania lo convinse che questo Stato persegue sua politica tradizionale, inspirata mantenimento pace. Nonostante fermo volere Grandi Potenze mantenere pace, situazione internazionale non è punto tranquillante. Continui lampeggiamenti nei Balcani sono indizio accresciuta elettricità in atmosfera politica ed essi non riescono rischiarare oscurità problemi insoluti. Diplomazia sta in guardia per impedire probabilità conflitti minacciare e soffocare sull'inizio pericolo incendio balcanico. Poiché Monarchia è per sua situazione geografica vicina fuoco, e poiché son in giuoco suoi grandi interessi, potrà guardare in faccia avvenire con sereno coraggio, solo se sarà forte per terra e per mare.

1015

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5825/638. Vienna, 24 settembre 1912, ore 21 (per. ore 23).

Ricevendo Delegazioni, imperatore pronunciò allocuzione in cui constatò carattere amichevole relazioni tutte Potenze. Disse che basandosi sull'intima alleanza provata da molti anni con Germania e Italia, politica estera Monarchia sarà come per passato guidata pensiero tutelare interesse Monarchia cooperando mantenimento pace. «Con viva simpatia seguiamo sforzi uomini italiani e turchi per trovare a mezzo dirette conversazioni non impegnative, una base di pace onorevole per entrambe le parti. Considerando situazione poco chiara vicino Oriente, mio Governo ha preso iniziativa di scambio vedute fra Potenze che hanno dimostrato unanime desiderio vedere conservati pace e statu quo Balcani». Sua Maestà constatò, poi, maggior potenzialità esercito in seguito nuova legge militare ed annunciò che ministro guerra si limiterà, considerando situazione finanziaria Monarchia, chiedere quest'anno stretti fondi necessari. Disse che, grazie fondi votati per Marina, questa sarà in grado corrispondere crescenti bisogni tutela interessi economici Monarchia. Rispondendo allocuzione imperiale, presidente Delegazioni ungherese disse che Ungheria desidera mantenimento Triplice Alleanza, pegno pace europea. Constatò, con rammarico, perdurare guerra fra alleata Italia ed amica tradizionale Turchia, che influisce sui rapporti economici Europa intera e specialmente Monarchia facendo temere sorgere nuove difficili preoccupanti questioni. Lodò iniziativa Berchotld con sua proposta augurando che Turchia stessa riconosca poter cercare e trovare nella Monarchia benevolenza tradizionale e disinteressata.

Presidente Delegazione austriaca disse che mediante fedeltà alleanza e perseveranza linea condotta politica estera sin qui seguita, pace, sembra secondo umane previsioni, assicurata per lungo tempo ancora, ed augurò che possa essere esaudito desiderio sovrano circa mantenimento pace.

1016

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1758/676. Ramleh (Alessandria), 25 settembre 1912 1.

Per notizia deli'E.V. mi onoro di trasmetter! e qui accluso copia di un rapporto che ho diretto in data d'oggi a S.E. il Presidente del Consiglio, sub n. 1757 e relativamente all'argomento indicato a margine.

ALLEGATO

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1757. Ram/eh (Alessandria). 25 settembre 1912 1•

Circa l'arrivo del Senussi a Giarabub, presunta meta del di lui viaggio, non mi è ancor possibile di fornire esatte informazioni.

La stampa locale continua intanto ad occuparsi dell'arrivo di quel capo religioso nelle località più prossime al campo della guerra ed i giornali turcofili continuano a ripetere che il di lui accordo con Enver bey è completo e che la sua presenza è destinata a palesare il carattere religioso e nazionale della resistenza in Libia. Siffatte notizie son però accolte ormai con un senso di scarsa crudeltà, troppo sovente ormai essendosi annunciato l'intervento attivo ed ufficiale del Senussi nelle operazioni di guerra. In generale si opina che Sidi Ahmed el Senussi farà ritorno a Kufra senza essersi compromesso, giusta la sua abitudine, con nessuna delle due parti, pronto ad accordarsi con quella che rimanesse infine padrona della Libia e fidente in ogni caso nella lontananza della sua residenza abituale che gli costituisce una difesa pratica di prim'ordine.

Giorni or sono, essendomi recato all'oasi di Kharga, vi ho saputo che un parente Sidi Ahmed el Senussi, del quale è il rappresentante nell'oasi di Dakhla, era passato colà di recente per venirsene in Egitto e proseguire quindi per Giarabub, chiamatovi dal suo capo. Il dottor Insabato al quale ho creduto bene di riferire la notizia da me raccolta mi disse che conosceva il Senussi di Dakhla, che questi effettivamente era venuto al Cairo dove si era abboccato con Mohamed Ali Elui ed aveva detto a quest'ultimo che era stato incaricato da Sidi Ahmed di recarsi dal kedive e di lamentarsi con questi per le false notizie pubblicate dalla stampa egiziana sul conto dei Senussi e sul di lui preteso intervento attivo nelle

1016 1 Manca l'indicazione del giorno di arrivo.

operazioni di guerra, mentre a tutti i musulmani era noto che egli era di carattere assolutamente pacifico. Non so se siffatta commissione sia stata eseguita poiché il Senussi di Dakhla avrebbe dovuto parlame con Sua Altezza al ricevimento di ramadan.

Il dottor Insabato, che suppongo riferisca direttamente tutte queste cose aii'E.V. mi ha detto che l'arrivo del capo Senussi a Giarabub gli era stato annunciato e che avrebbe avuto luogo il 7 corrente, ma non so se poi ne abbia avuta conferma.

A tal proposito, poiché il Mohamed Ali Elui a varie riprese anche prima che la campagna di Libia fosse cominciata, mi aveva parlato dell'obbligo in cui si sarebbe trovato di recarsi a Giarabub per incontrarsi col capo dei Senussi, qualora questi avesse data esecuzione al suo proposito di recarvisi, ho chiesto al dottor Insabato se l'incontro stesso sarebbe avvenuto. N'ebbi in risposta che nulla era stato deciso e per parte mia ritengo che il Mohamed Ali esiterà molto prima di esporsi ai pericoli di vario genere nei quali potrebbe incorrere sia durante un viaggio faticoso, sia in seguito ad un vero e proprio convengo col capo dei Senussi, dal quale dovrebbero effettivamente risultare quali sono i veri sentimenti del medesimo a nostro riguardo ed il reale risultato pratico ottenuto dal Mohamed stesso2 .

1017

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETISSIMO 1474/356. Parigi, 26 settembre 1912, ore 0,53 (per. ore 3,25).

Kedive stamane ha espresso vivo desiderio vedermi. Per evitare giornalisti io mi sono recato presso principe Fuad, dove egli è venuto poco dopo. Mi ha prima esposto in un lungo preambolo tutto ciò che, secondo lui, egli ha fatto nell'interesse dell'Italia e quindi mi ha esposto il suo piano che è quello da me telegrafato ieri a V.E.1• Avendo io ripetuto che in attesa delle istruzioni di V.E. dovevo insistere perché questo punto di partenza delle trattative dovesse essere l'illimitata sovranità italiana in Libia, kedive e principe Fuad mi hanno replicato che Said bey, al quale avevano ciò detto, aveva risposto che, non solo egli, ma tutti gli uomini seri in Turchia erano più che persuasi di ciò e che solo era fino a ora mancato il coraggio di riconoscere tale ineluttabile postulato. Dopo ricevuto telegramma di

V.E. n. 14432, ho riparlato col principe Fuad col quale siamo rimasti d'accordo che egli si occuperà con Said bey solo dello abbandono da parte Turchia di qualunque pretesa circa la sovranità lasciando ai negoziatori di Losanna la trattazione delle altre questioni. Però principe Fuad porrà condizione a Said che pace sia fatta prima delle elezioni turche e è opinione che se il negoziato di Losanna dovesse continuare a zoppicare converrebbe all'Italia di prendere l'iniziativa della rottura per dimostrare ai turchi che noi teniamo alla pace fino a un certo punto e salvo a riprendere

IO 16 2 Per il seguito cfr. n.l042. 1017 1 T. Gab. segreto 1460/355 del 24 settembre, non pubblicato. 2 T. Gab. segreto personale 1443 del 25 settembre, non pubblicato.

il negoziato sotto altra forma. Principe Fuad conosce a fondo Said che dice persona spregevole ma da tenersi (sic), malgrado ciò, in gran conto per la grande, indiscutibile influenza che esercità sul padre Kiamil. Principe Fuad dice che Kiamil e Nazim prenderanno denaro e che egli si offre volentieri di trattare pel loro compenso segreto da sborsare a pace fatta risparmiando a noi di trattare la cosa per mezzo di altri intermediari. Quanto a Said dice che bisognerà dargli qualche cosa anche prima, ma si tratterà solo di migliaia di lire. La Jeni Gazette, organo di Kiamil, è pagata dall'Inghilterra, la quale se volesse potrebbe esercitare su Kiamil un'azione decisiva.

1018

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5882/140. Cettigne, 27 settembre 1912, ore 7,25 (per. ore 12,25).

Il re Nicola mi ha onorato poco fa di un vtstta. Egli mi ha detto, fra l'altro, essere deciso più che mai, malgrado tutte le raccomandazioni delle Potenze in senso contrario, di varcare prossimamente la frontiera, perché le più disastrose conseguenze che da questo passo potrebbero derivare sarebbero sempre minori della permanenza del Montenegro nella sua attuale situazione. Ha soggiunto che la Bulgaria si mostra sempre maggiormente propensa alla guerra e con la Serbia egli sta per concludere una convenzione militare. I delegati da ambedue le parti si incontrerebbero all'uopo in Svizzera tra qualche giorno.

Siccome mi trovavo di avere già espresso a Sua Maestà il mio personale pensiero riguardo alle sue intenzioni bellicose, secondo il mio telegramma n. 14 Gabinetto 1 , così avendo ricevuto telegramma di V. E. n. 3 709 2 , ho colto l'occasione per insistere sulle medesime cose ufficialmente, adoperando il linguaggio da V.E. dettatomi con detto telegramma. Il re mi ha risposto che non cambierà per nulla il suo piano e che, ad ogni modo, alla Bulgaria le Potenze debbono rivolgersi e non al Montenegro per raccomandare la pace.

Non ostante tutto quanto precede io esito ancora a credere che il Montenegro si impegnerà in una così pericolosa avventura. Ma se da una parte le Potenze non gli daranno altro che consigli e dall'altra la Turchia, irritata dal suo contegno lo provocherà, un conflitto tra loro non si potrà forse evitare.

1018 1 Con T. Gab. segreto 1463/14 del 24 settembre, non pubblicato, Squitti faceva osservare al re Nicola i pericoli di una guerra con la Turchia contraria alla volontà delle Grandi Potenze. 2 Di Sangiuliano con T. 3709 del 24 settembre non pubblicato, dava istruzioni di insistere a nome del Governo italiano presso il Montenegro di usare prudenza e moderazione.

1019

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2929/798. Londra, 27 settembre 1912 (per. il 21 ottobre).

Faccio seguito al mio rapporto n. 724 del 26 agosto u.s. 1 per comunicare a V.E. le informazioni raccolte in ossequio al suo dispaccio n. 346 del 16 luglio u.s. (Div.

3. Sez. 2.)2. Il personaggio il cui intervento al Congresso della Organizzazione Territoriale Israelitica tenutosi in Vienna poteva, secondo le informazioni di quella r. ambasciata, indurre a credere che l'antico progetto di colonizzazione della Cirenaica con emigranti ebrei russi e rumeni potesse essere nuovamente preso in considerazione nei circoli filosemitici inglesi, mi risulta essere lo stesso signor Zangwill, da me menzionato nel suaccennato rapporto. Nel congresso, egli fece la storia delle trattative corse in passato col governatore turco di Tripoli, Redjeb Pascià, che caldeggiava il progetto «anche perché prevedeva i disegni dell'Italia sul vilayet». Non fu però né la morte di Redjeb, né la sopravvenuta rivoluzione turca, a far tramontare le trattative; bensì la convinzione acquistata dopo gli studi fatti, che la Cirenaica offriva «bensì eccellenti condizioni igieniche», ma era «troppo sprovvista d'acqua» per gli scopi proposti. Il mio informatore mi ha assicurato che l'Organizzazione considera come inoppugnabile il rapporto redatto dopo lunghi studi dal professor Gregory, dell'Università di Glasgow, che è un'autorità in materia geologica, e sulla cui base essa concluse ilio tempore, di abbandonare completamente il piano. L'occupazione italiana -malgrado le eccezionali garanzie che essa offrirebbe dal punto di vista religioso non varrà certo a modificare le vedute della Jewish Territorial Organisation (sic) nei cui circoli è radicato il convincimento che l'Italia stessa, cui la conquista si è imposta per alte ragioni politiche, non troverà convenienza in tempo prossimo a iniziare gli enormi lavori che richiederebbe la trasformazione delle condizioni del terreno. Riproduco questo apprezzamento a titolo di curiosità avvertendo che naturalmente l'informatore è stato lasciato nelle sue idee. Oltre a ciò egli ha fatto cenno dei numerosi progetti che vengono attualmente considerati dalla Jewish Territorial Organisation (sic) -colonizzazione dell'Angola, della Mesopotamia eccetera, eccetera -nel trattare i quali essa incontra gravi ostacoli nel dissentimento dell'organizzazione sionistica propriamente detta, la

quale -a differenza della Jewish Territorial Organisation (sic) -vorrebbe tener conto della tradizionale aspirazione religiosa del ritorno in Palestina.

l O 19 1 Non pubblicato. 2 D. 51334/346, non pubblicato.

Tutto questo fa assolutamente escludere l'esistenza di disegni per la Libia. Ciò nonostante l'informatore mi ha promesso di tenermi eventualmente al corrente di qualsiasi futura contingenza che potesse interessarci.

Mi onoro accludere una copia del rapporto del professar Gregory e della Commissione inviata in Libia nel 1908 dalla Jewish Territorial Organisation3 (sic).

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IL COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE AL MINISTRO DELLA GUERRA, SPINGARDI 1

PROMEMORIA RISERVATISSIMO 10252 . Roma, 28 settembre 1912.

Da persona molto competente e ben informata si ricevono le seguenti considerazioni e riflessioni circa le trattative per indurre le tribù tripoline alla sottomissione.

Le pratiche per ottenere la sottomissione dei capi tribù della Tripolitania al nostro dominio durano da un pezzo. Se ne sono occupati uffici vari e persone di nazionalità, religione e condizione diversa, la maggior parte delle quali perspicaci e fidate. Cospicue somme di denaro furono spese e molte vie furono tentate; eppure di tutti questi sforzi il solo risultato è stato la sottomissione, dopo la nostra occupazione di Zuara, del vecchio Abdallah ben Sciaabane che non riesce ad ottenere che altri segua il suo esempio. Degli altri capi, chi non risponde, chi consegna l'emissario ai turchi, chi scrive lettere inconcludenti, chi si barcamena fra il sì ed il no.

Pare dunque che questo scarso successo dipenda non dalla inabilità delle persone inpegnatevisi, ma dal non essere giunto il momento di trattare e dallo spostamento delle basi delle trattative.

L'arabo (e meno ancora il berbero) non si sottomette se non quando si occupa o si minaccia efficacemente il suoi territorio; vinto o minacciato da forze preponderanti, si piega e chiede l'amaro per salvare i raccolti ed il bestiame; ma non rimane sottomesso che in quanto si senta sorvegliato e protetto contro le tribù vicine ancora in armi. Quando invece di costringerlo all'amaro gli si offrono patti, è portato a disprezzare un nemico che preferisce la diplomazia alle armi, che parla lui invece di far parlare la polvere.

La nostra esperienza libica va ad aggiungersi alle lunghe esperienze francesi in Algeria e presentemente al Marocco. Vi sono poi, nelle condizioni speciali di questa nuova guerra, delle circostanze che rendono più difficili le sottomissioni. Anzitutto l'azione dei turchi che tengono più o meno raccolte le tribù nemiche; le sorvegliano una col mezzo delle altre; neutralizzano le cattive volontà; uniscono in un

1019 3 Non si pubblicano gli allegati. l 020 1 Inviato anche al primo aiutante di campo del re, al capo di Stato Maggiore dell'Esercito e all'Ufficio coloniale. 2 Trasmesso dall'Ufficio del capo di Stato Maggiore dell'Esercito al Ministero degli esteri con Nota riservatissima 2587 del 30 settembre.

solo intento le forze esercitano un'azione di diplomazia e di polizia, penosa, costante, ma efficace. È probabile che la tribù che volesse sottomettersi sarebbe immediatamente attaccata dalle altre e costretta a riparare nelle nostre linee perdendo ogni suo avere.

Poi il lucro che la guerra attuale frutta ai capi. È noto che essi ricevono in blocco le paghe per la rispettiva mehalla. I turchi chiudono gli occhi sulla differenza fra la forza a ruolo e la forza effettiva; non si curano di sapere se gli uomini ricevano effettivamente l'intera paga. I capi tribù realizzano quindi ingenti guadagni che cesserebbero se passassero nel nostro campo. Ed anche il volgo delle tribù trova il suo tornaconto nelle distribuzioni di viveri, nelle paghe sia pure falcidiate e nella condotta delle carovane.

Nei primi giorni della guerra si cercava persuadere gli arabi di sottomettersi spontaneamente agli italiani; avrebbero così ottenute condizioni migliori di quelle spettanti a vinti che avrebbero dovuto subire la legge del vincitore. Ora si sente dire che alla cessazione delle ostilità, la Turchia restituirebbe agli arabi la loro libertà, !asciamoli liberi di trattare col Governo italiano. In sostanza, sono due derivazioni di uno stesso concetto, che cioè gli arabi di Libia non siano popolazioni da trasferirsi da un dominio all'altro, una nazione che debba avere voce in capitolo pei propri destini. Diffuso questo concetto fra i capi, si capisce che essi non siano propensi a dedizioni premature. Probabilmente, il lavorio di Suleyman Baroni e dello sceik Suf (gebelini entrambi) è inteso ad evitare dedizioni isolate, ma a conservare l'unione araba fino al momento dei negoziati fra arabi ed italiani.

Durante quei negoziati è facile prevedere che gli interessi dei miti sottomessi della prima ora peseranno di meno delle domande dei fieri capi tribù che si presenteranno a trattare colle tribù ancora in armi, ben fomite di munizioni abbandonate dalle truppe turche.

Occorre appena notare che questo concetto della nazionalità araba colla quale si dovrebbe venire a patti una volta cessato il dominio turco è pericoloso e gravido di conseguenze dannose. Alla lotta contro il dominio del sultano succederebbe per noi la lotta contro un emiro Baroni od un emiro Suf o contro un Gran Senusso.

Da ultimo (e qui è meno questione di principio che di metodo) forse ha nociuto al buon esito delle trattative la molteplicità delle azioni esercitate sui capi arabi. Questi, sentendosi incitati e consigliati alla sottomissione da emissari provenienti da più parti, finiscono per credersi persone d'importanza e ritardano la loro sottomissione in attesa delle offerte migliori. La domanda insistente di un determinato genere commerciale ha per effetto di rendere sostenuti i venditori e di rincarare il prezzo della merce troppo ricercata.

Nello stesso ordine di idee, venne fuori più volte in luce il concetto di organizzare bande di predoni (o dgisc) che agissero sulle vie carovaniere del nemico, predassero le carovane e scompigliassero per tal modo il vettovagliamento dell'esercito turco-arabo. Orbene, mentre l'attuazione di tale concetto è molto difficile, l'effetto morale e politico ne sarebbe forse pernicioso.

Se è difficile entrare in rapporti con capi che sono noti ed hanno una residenza quasi stabile, ben più difficile allo stato attuale delle cose sarebbe cercare organizzatori eventuali di dgisc e persuaderli ed eseguire razzie.

Le razzie poi sono un fenomeno naturale e non vi è bisogno di spingere gli arabi nomadi a farle; se non le fanno, è segno che non ne vedono la convenienza o la possibilità.

ll31

È soprattutto da tenere presente che noi guerreggiamo in Libia coll'intendimento di stabilirvi il nostro dominio e la pace romana. Non parrebbe quindi politico per lo scarso vantaggio di catturare qualche carovana destinata ad una misera tribù (quelle che contengono armi e munizioni e denaro sono quasi sempre scortate ed affidate a me hall e), per quello scarso vantaggio, di organizzare un brigantaggio che fra qualche mese dovremmo reprimere; trattare oggi con masnadieri che dovremmo fare impiccare domani, perché vorrano seguitare a fare l'arte che abbiamo insegnata loro.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1491/282. Londra, 30 settembre 1912, ore 22,50 (per. ore 7,50 del l° ottobre).

Riassumo colloquio con Sazonoff: l) riconoscimento. V.E. può stare sicuro che egli non solo non solleverà difficoltà, ma, qualora sorgessero, «spingerà attivamente la ruota» per rimuoverle. Per quanto Sazonoff non vi abbia esplicitamente accennato, anzi abbia detto di non prevedere difficoltà, ho avuto l'impressione che, nel fondo suo pensiero, esista una qualche vaga apprensione per eventuale ostacolo sollevato non da qui, ma dalla Francia.

A Tittoni riuscirà agevole verificare, senza menzionarmi, fondamento o meno di questa mia impressione. 2) Consigli alla Turchia. Sazonoff mi ha promesso avrebbe dichiarato oggi stesso a Tewfic pascià che, al momento presente, considera interesse primordiale Turchia di fare al più preso pace, ponendo termine ad una guerra, di cui tutte le Potenze hanno ormai abbastanza. Tutti i suoi sforzi per indurre Grey a dire una parola in tal senso a Costantinopoli sono riusciti infruttuosi. Grey, trinceratosi nel solito argomento della necessità assoluta in cui trovasi Inghilterra di tener conto sentimenti suoi sudditi musulmani, gli ha detto non vedere al momento presente modo di dare in tal senso consigli al Governo ottomano. Grey ha pure aggiunto che avendo motivo di bene sperare nel favorevole risultato delle trattative dirette fra i due belligeranti, non ravvisava utilità siffatto consiglio. Questa risposta ha dato a Sazonoff occasione di rilevare che la ristrettezza di vedute di Grey uguaglia sua estrema lealtà.

A parte la riserva per quanto riguarda i consigli alla Turchia, Sazonoff ha potuto facilmente constatare dai colloqui avuti col re, con Grey e con Nicolson, che non solo guerra non ha esercitato alcuna influenza nefasta nelle amichevoli disposizioni di questo Governo a nostro riguardo, ma che invece si desidera caldamente qui che rimanga immutata tradizionale cordialità anglo-italiana. Il re poi ha particolarmente insistito sulla sua personale ammirazione e affezione per il Nostro Augusto Sovrano, sentimenti questi, ha aggiunto Sazonoff, pienamente divisi da imperatore di Russia. 3) Affari balcanici. Situazione appare a Sazonoff indubbiamente grave. Nei colloqui avuti con Grey si sono trovati in pieno accordo nel riconoscere necessità di adoperarsi strenuamente per prevenire anzitutto conflitto turco-bulgaro e per localizzarlo ed impedire, qualora divenisse inevitabile, che esso coinvolga altre grandi Potenze.

Intanto, d'accordo con Grey, sono state spedite ai rappresentanti Inghilterra e Russia a Costantinopoli, nonché a Belgrado e Sofia istruzioni di sconsigliare energicamente mobilitazione serbo-bulgara e di indurre Governo ottomano a non avvicinare alla frontiera truppe già mobilizzate. In seguito a semi-assicurazioni venutegli Berlino, Sazonoff ha ormai quasi certezza che, in caso di conflitto, Austria, non solo non interverrebbe militarmente, ma agirebbe in pieno accordo con altre potenze, Berchtold, dal canto suo, avendogli inviato in questi giorni ultimi molti cordiali messaggi, Sazonoff ritiene poter fare affidamento sulla sua lealtà e sulle disposizioni sinceramente pacifiche dell'imperatore, mentre, dall'altra parte, non può non tener conto del fatto che nuova legge militare non è ancora un fatto compiuto. Ciò stante ed in presenza della suprema necessità mantenere accordo fra tutte le Grandi Potenze ad evitare calamità guerra europea, Sazonoff ritiene sarebbe addirittura fuori di luogo da parte sua il lasciar dominarsi da inutili risentimenti, ricordi di passate frizioni. A questo proposito Sazonoff ha menzionato probabilità di un'azione comune dell'Austria-Ungheria e della Russia «Potenze più direttamente interessate» Costantinopoli, altre capitali balcaniche, per raccomandare al Governo ottomano pronta introduzione efficaci riforme ed esercitare dall'altra pressione sugli Stati balcanici perché si mantengano tranquilli. Avendo io manifestato una certa sorpresa per questa novità e rilevato ad un tempo che fra le Potenze più direttamente interessate si trovava anche l'Italia, egli ha risposto: «io credo bene voi avete l'Adriatico ed io non lo dimentico, ma voi, trovandovi ora in stato di guerra con la Turchia non potreste intervenire e sareste rappresentati dall'Austria-Ungheria. Del resto non si tratterebbe mai di un nuovo programma di Miirzsteg perché tutti i passi sarebbero prima concretati fra le Potenze e l'Austria e la Russia agirebbero soltanto come mandatarie e portavoci dei due gruppi Triplice Alleanza e Triplice Intesa. Nulla peraltro è deciso, si tratta ancora di una vaga idea che non emana comunque da noi e circa la quale nessuno scambio di vedute ha ancora avuto luogo fra Bercholtd e me. Ad una mia domanda per sapere se combinazione era stata suggerita da questo Governo, Sazonoff ha replicato: non a Londra, ma un poco da Berlino e moltissimo da Parigi. Non sfuggirà a V.E. importanza di questa probabile azione austro-russa che a me, non nascondo, hanno fatto cattiva impressione sopratutto per la rievocazione della qualifica di Potenze più direttamente interessate attribuita soltanto ali' Austria ed alla Russia per quanto temperata da quella di mandatarie dei due gruppi delle Grandi Potenze. Al riguardo non posso che riferirmi ai miei telegrammi Gabinetto del 27 settembre 1911 Gabinetto n. 634 1e 432•

4) Persia. I due Governi si sono perfettamente intesi su di una politica comune tendente rinforzare il più possibile vacillante Governo persiano. A tale scopo Sazonoff ha proposto e Grey ha accettato di chiamare al potere come gran vizir Sahad el Dowel energico e intelligente per quanto corrotto all'eccesso. Si cercherà pure di dare denaro al Governo persiano. Sazonoff ha all'uopo conferito con lord Revelstoke, capo della Casa Baring, col quale conferirà di nuovo a Parigi.

1021 1 T. Gab. personale 8406/634, in realtà del 27 dicembre 1911, non pubblicato. 2 T. Gab. particolare segreto 202/43, in realtà del 9 febbraio 1912, non pubblicato.

5) Relazioni generali anglo-russe. Si è constato necessità di mantenerne e svilupparne sempre più cordialità. Re Giorgio, nel congedare Sazonoff, lo ha incaricato dire in suo nome all'imperatore che può contare sull'Inghilterra in qualunque emergenza. Nello stesso senso si è espresso Grey aggiungendo che in Russia non si deve prestare alcuna attenzione alle sterili querimonie dei radicali. Bonar Law, chiamato anche lui a Balmoral, ha dichiarato a Sazonoff che politica estera è il solo punto nel quale opposizione si trova perfettamente d'accordo con Grey. A proposito di Bonar La w, Sazonoff mi ha detto non giudicarlo tutto insieme all'altezza della posizione eminente di capo partito conservatore. Sazonoff partirà mercoledì mattina per Parigi. Secondo le istruzioni di V.E. comunico presente telegramma a Tittoni cui rivolgo per mia tranquillità preghiera di controllare per conto suo esattezza del mio resoconto sul colloquio con Sazonoff.

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IL VICE CONSOLE LORI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 693/358. Costantinopoli, 30 settembre 1912 (per. il 6 ottobre).

Una persona che ho riscontrato generalmente ben informata su certe questioni e prudente sulle sue affermazioni, mi informa che il sionismo, il quale negli avvenimenti di questo Paese durante gli ultimi anni ha avuto una parte tanto più importante quanto meno palese, si va staccando dai Giovani Turchi per avvicinarsi a Kiamil pascià. Il vecchio uomo di stato lavora attivamente a questo scopo: e tra breve -è sempre il mio informatore che parla -un signor Jacobson 1 , israelita di origine russa o tedesca, direttore quaggiù della Anglo-Levantin Bank e capo influente del partito sionista in Turchia, farà un giro in Russia e nel resto dell'Europa per fare cambiare l'intonazione della stampa israelita -o avente aderenze israelite in armonia colle nuove vedute.

Non mi è possibile alcun controllo di queste informazioni. Se esse sono esatte, dovremmo averne fra non molto la conferma nell'atteggiamento di certi giornali europei, specialmente russi (esempio il Rete h) e tedeschi.

Questa nuova orientazione del sionismo -ove si ponga mente a certi retroscena della vita politica turca dopo il 1908 -sarebbe un fatto di capitale importanza: una delle sue conseguenze sarebbe anche che l'alta finanza israelita, presso la quale il Comitato Unione e Progresso cerca di organizzare il boicottaggio dell'attuale Governo, si schiererebbe invece dalla parte di questo e rifiuterebbe al Comitato quell'appoggio, senza del quale poche speranze gli resterebbero di poter riprendere giammai il potere.

La persona che mi ha dato queste informazioni mi ha vivamente raccomandato che ne sia fatto uso strettamente confidenziale e che non vengano neppure comunicate alle ambasciate straniere a Roma.

l 022 1 Il documento reca per errore Jacobron.

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IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1

T. Pera, 1° ottobre 1912, ore 23,45 (per. ore 15 del 2).

Mobilitazione generale stata decisa oggi. Ministro esteri dissemi questa sera che sembra venuto momento per persuadere tutti necessità di concludere pace con Italia. Tosto ricevuto telegramma ministro agricoltura su risultato colloquio Giolitti sarà convocato Consiglio ministri straordinario per decidere definitivamente. Data la situazione gravissima, Balcani, ministro esteri molto scettico circa risposta Giolitti. Però secondo mia impressione, se Italia accordasse Turchia suo appoggio diplomatico nelle attuali gravi difficoltà se nella forma più segreta facesse soltanto promessa studiare accordo Turchia mezzi adatti per garantire irruenza reciproca statu quo Balcani, vostre condizioni pace sarebbero accettate anche questione araba passerà seconda linea. Mancando quanto precede oppure contemporaneamente pottrebbesi offrire somma conveniente per esempio 4 milioni lire turche che Turchia nelle attuali condizioni finanziarie accetterebbe concludendo pace. Ma vostra offerta non deve essere valida che pochi giorni determinati. Telegrafate vostra decisione2 .

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

NOTA. Roma, l° ottobre 1912.

Ho letto il dispaccio n. 1455 del conte Grimani1 , relativo alla missione in Cirenaica invocata dallo sceick El Zafer di Bengasi, e non vi trovo ragioni per recedere dalle conclusioni già prese e nelle quali tu hai consentito2 .

La confratemità o tarika dei madaniti alla quale il suddetto sceicco appartiene, si rannoda a quella dei sadalia fondata tra la fine del XIII ed il principio del XIV secolo dal sufita Hassan Alì el Sadeli, dalla quale, però, oggi si deve considerare assolutamente indipendente, sebbene, per comodo di propaganda, sogliano i madaniti, in certi paesi, ricorrere al vecchio nome.

1023 1 Cfr. n. 1001, nota l.

2 Per la risposta cfr. l 028.

l 024 1 Non rinvenuto.

2 Sull'argomento cfr. n. 1011.

Nella catena più accettata dei sadalia, sidi Mohammed Zafer ben Hamza el Madani occupa il numero trenta, ed il numero trentuno è tenuto da sidi Hamza ben Ahmed el Madani.

Sidi Mohammed ben Hamza el Madani, originario, dicesi, di Medina, si stabilì nel 1820 in Tripolitania e vi fondò la zauia madre della nuova confraternita in Mesrata, dove è sepolto.

Suo figlio, scaick Mohammed Zafer el Madani, diventato uno dei consiglieri intimi di Abdul Hamid, diede alla confraternita un contenuto politico, e ne diresse l'azione, a tenore della politica panislamica dell'Impero, di cui diventò uno dei migliori agenti.

La Madania, però, non raggiunse mai quel numero di stabilimenti che la posizione del capo poteva far sperare, ma ha esercitato lo stesso una grande influenza in molte regioni dell'Impero, nell'Africa settentrionale, in specie dove più o meno apertamente, contrapposta alla Senussia.

Lasciando da parte le zauie che la Madania conta nella Turchia europea, nell'Heggiaz, in Algeria, Tunisia e Marocco sono, nella Libia, oltre alla zauia di Misrata che contava oltre mille adepti ed è diretta da un nipote del fondatore, sceick Mohammed ben Ahmed el Madani, quella di Tripoli retta da un figlio del fondatore il quale possiede diplomi autografi del padre che lo creano suo successore o kalifa della Madania, altre a Gharian, a Mesellata, a Gadames, a Ghat, nel Fezzan, nel Wadai e nel Bornu.

Nella Cirenaica sono due zauie, una a Bengasi ed una sulla strada di Merg, una terza è tra Agerdabrà e Sert.

La famiglia di Bengasi, alla quale appartiene lo sceicco, deriva dal dodicesimo figlio del fondatore Sayed el Beshir che rimase a lungo in Bengasi alla testa della zauia locale, di quella sulla strada di Merg a sette ore da Bengasi e di quella fra Agordabia e Sert, nel golfo della gran Sirti. I suoi figli sono Sayed Oberd Dafer, Sayed Dafer (Grimani) Sayed Mohammed Rescid Dafer e Sayed Mohammed Dafer, primi cugini del capo della zauia di Tripoli, tutti nipoti, ex filio, del fondatore.

Ma il fondatore aveva anche una figlia prediletta, sposata al discepolo suo prediletto, che, dicono, era stato da lui prescelto a suo kalifa. Il figlio di questa figlia, sidi Mohammed ben Abdalla Zafer, vive a Briaz presso Tantah, ed ha stipulato con noi un accordo per il caso che egli riuscisse a far trionfare i suoi diritti al Khaliffato.

Abbiamo adunque tre pretendenti alla direzione della Tarika Madanita.

l) Sidi Ibrahim, figlio di Mohammed Zafer, il noto consigliere di Abdul Hamid; 2) Sayed Zafer di Tripoli figlio del fondatore della Tarika; 3) Sidi Mohammed ben Abdallah Zafer el Madani nipote, ex filia, del fon

datore.

Ora lo Sayed Zafer, di cui al dispaccio Grimani, avrebbe riconosciuto i diritti del primo alla direzione della Madania e, reduce da Costantinopoli, con lettere di sidi Ibrahim e col nostro denaro, sotto pretesto di lavorare per noi, vorrebbe farsi riconoscere quale rappresentante del capo della confraternita in Cirenaica.

Ora, se si considera che i luoghi santi della confraternita sono in Tripolitania, che il membro della famiglia il quale ha maggiori diritti alla direzione vive in Tripoli d'accordo con noi, non si capisce perché noi dovremmo facilitare la propaganda a favore di un capo che vive a Costantinopoli fuori della nostra influenza e soggetto all'influenza dei nostri nemici.

Ancora se si considera la poca consistenza che ha la Madania in Cirenaica, e la molta importanza che vi hanno i senussi non si capisce perché noi dovremmo farci patrocinatori, affidandogli la nostra rappresentanza, di un madanita, eccitando le gelosie dei senussiti.

Seguendo questa politica, e posto anche che il capo di Costantinopoli fosse a noi favorevole, noi, per assisterlo nella sua propaganda, riusciremmo a questo risultato di metterei contro i senussiti in Cirenaica e i madaniti in Tripolitania, cioè la totalità dei senussiti e la gran maggioranza dei Madaniti, per favorire le mire d'indipendenza di un membro secondario della Madania di Bengasi, che non ha importanza né per sé né per le zauie che, riuscendo nel suo intento, potrebbe rappresentare.

Ciò nell'ipotesi che il Sayed Zafer fosse sincero, e che fosse sincero il suo mandante di Costantinopoli, la qual cosa molto difficilmente si può credere.

Per queste ragioni, se lo Sayed Zafer è dalla nostra parte, per non crearci imbarazzi, deve rassegnarsi a tornare a Bengasi, di dove forse, sarebbe stata prudenza non farlo uscire. Difatti l'unico risultato ottenuto è stato quello di metterlo in contatto col pretendente di Costantinopoli, e di fame un suo fautore in Libia3 .

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5978/261. Londra, 2 ottobre 1912, ore 0,06 (per. ore 7,35).

Nicolson mi ha detto che questi rappresentanti di Bulgaria, Serbia e Grecia presentatisi successivamente oggi gli hanno comunicato decisione presa dai rispettivi governi di mobilitare tutte le loro forze a scopo difensivo in seguito mobilitazione turca. Comunicazione greca menziona che provvedimento è stato preso dal Governo ellenico d'accordo con altri Stati balcanici. Nicolson ha risposto che in presenza di questa grave decisione presa contrariamente agli insistenti consigli delle Potenze egli non poteva che limitarsi a prender atto della comunicazione fattagli. A titolo opinione personale Nicolson mi ha detto non arrivava a vedere come si potrebbe da parte delle Potenze impedire conflitto di cui probabilità appare sempre maggiore. Egli non vede da parte delle Potenze possibilità di esercitare sulla Turchia pressione

1024 3 Per il seguito cfr. n. 1068.

tale da indurla senza pericolo di rivolgimenti interni consentire all'applicazione di riforme efficaci sostanziali di natura a dare adeguata soddisfazione agli Stati Balcanici e tenerli così tranquilli. Per parte nostra ha concluso credo che non diremo più nulla a Costantinopoli. Agli Stati balcanici abbiamo già parlato con sufficiente chiarezza non dissimulando loro serie conseguenze cui si espongono col lanciarsi in così pericolosa avventura. Nicolson ha concluso che allo stato attuale delle cose non rimaneva che a adoperarsi affinché conflitto, qualora venga effettivamente a scoppiare, non si estenda. Anche lui al pari di Sazonoff sembrava riporre fiducia nelle buone e pacifiche disposizioni di cui sembra animato il Governo austro-ungarico. Incaricato d'affari di Serbia, pur insistendo su scopi unicamente difensivi decisione presa dal proprio Governo mi ha lasciato chiaramente comprendere sua impressione personale molto pessimista. Egli ritiene conflitto inevitabile a meno di un energico intervento delle Potenze per ottenere dal Governo ottomano riforme radicali atte a porre una buona volta termine alla intollerabile situazione in cui trovansi popolazioni cristiane Turchia europea. In tali termini mi ha detto essersi espresso jeri con Sazonoff che gli dava notizie poco prima comunicategli da questo ambasciatore di Turchia del pronto invio di una commissione per attuare riforme già decretate dal Governo ottomano.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 5996/710. Vienna, 2 ottobre 1912, ore 10,10 (per. ore 23,45).

Telegramma di V.E. 38001•

Parlandomi della mobilitazione degli eserciti dei vari Stati balcanici Berchtold mi ha detto che considerava tale provvedimento come una specie di pressione che quegli Stati avevano voluto esercitare presso le Potenze per indurle ad agire con

energia a Costantinopoli a fine di obbligare la Sublime Porta ad applicare realmente le riforme in Macedonia.

A questo proposito ha osservato che quel provvedimento, che aveva aggravato oltremodo la situazione nella penisola balcanica, era stato tanto più inopportuno che la Sublime Porta, in seguito alle istanze delle Potenze, si era messa a studiare seriamente le riforme ed era disposta ad applicarle alle varie nazionalità della Macedonia. Berchtold ha accennato quindi al passo fatto ieri presso lui da questo ambasciatore di Russia, di cui il barone Ambr6zy ha dato oggi comunicazione a V.E., ed alle istruzioni da lui trasmesse in conseguenza a Pallavicini ed ai rappresentanti

1026 1 T. 3800 del 2 ottobre, non pubblicato.

imperiali e reali presso i Governi balcanici, e mi ha detto che a tali istruzioni non sarebbe stato dato seguito che se tutti i rappresentanti delle Grandi Potenze fossero stati muniti di analoghe istruzioni. Nell'interesse della pace egli aveva creduto di proporre ieri al Gabinetto di Berlino di fare passi presso la Sublime Porta per ottenere da essa la dichiarazione che la mobilitazione del suo esercito non aveva alcuno scopo aggressivo e che non era sua intenzione di attaccare Stati balcanici. Se Gabinetto di Berlino avesse consentito in tale proposta egli l'avrebbe fatta anche alle altre Potenze. Un passo indentico avrebbe dovuto essere fatto altresì a suo avviso presso gli Stati balcanici per ottenere da loro una dichiarazione identica.

Il momento attuale, in cui gli eserciti degli Stati balcanici si trovano [in armi]2, non gli sembrava certo opportuno per chiedere alla Sublime Porta di dare l'assicurazione che avrebbe applicato realmente le riforme in Macedonia. E a questo proposito ha rilevato che la mobilitazione decretata dagli Stati balcanici, collo eccitare vieppiù le popolazioni degli Stati balcanici, non aveva potuto che aumentare le esigenze loro come quelle dei rispettivi Governi in fatto di riforme e che era da supporre che questi avrebbero accampato ora pretese maggiori di quelle che avevano messe prima innanzi. La situazione gli sembrava sommamente grave. Più tempo passava, più probabile sarebbe divenuto il pericolo di conflitto, perché gli Stati balcanici non avrebbero potuto sopportare a lungo andare le spese che imponeva il mantenimento dei loro eserciti su piede di guerra. Ma non scorgeva per ora modo di ovviare ad un conflitto. Credeva che il migliore mezzo fosse quello di dichiarare di nuovo agli Stati balcanici ciò che l'Austria-Ungheria e la Russia avevano già fatto loro comprendere, cioè che essi non avrebbero ritratto alcun vantaggio da una guerra e che non potevano sperare di conseguire un acquisto di territorio anche se fossero stati vittoriosi. Berchtold ha concluso che se non si avesse potuto ovviare al pericolo, non rimaneva alle Potenze che adoperarsi per localizzare la guerra. Berchtold mi ha detto infine che Governo imperiale e reale non aveva preso per ora alcun provvedimento militare di precauzione alle sua frontiera orientale.

1027

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1

T. Pera, 2 ottobre 1912, ore 15 (per. ore 22,21).

Ho veduto ambasciatore di Germania il quale crede che nostra pace essere questione di pochi giorni, sembrandogli Turchia obbligata dalle circostanze concludere

1026 2 Integrazione del decifratore. Il registro dei telegrammi dell'ambasciata a Vienna reca le seguenti parole: «di fronte a quello ottomano».

1027 1 Cfr. n. 1001, nota l.

1139 con rapidità. Egli adoperasi in tutti i modi per affrettare questa conclusione, ma se intervento Potenze per pacificare Balcani sorprendesse Italia ancora in guerra con Turchia, rapidità pace sarebbe sicuramente protratta; quindi ha raccomandato azione energica e rapida. Attendo istruzioni precise circa redazione firmano riguardo proposta presidente onorario e proposta ieri sera offerta somma. Riguardo scelta rappresentante sultano, se mio convincimento ha valore qualunque non devesi richiedere notabile arabo ma notabile turco. Notabile turco saprà che la Turchia sarà nostra collaboratrice fedele e nello stesso tempo sarà buon elemento per nostre relazioni politiche con Turchia. Nostro ambasciatore a Costantinopoli potrebbe sempre ottenere che Turchia mandi al suo rappresentante ordini conformi nostri desideri.

1028

IL MEMBRO DELLA DELEG~ZIONE A OUCHY, VOLPI 1, AL DIRETTORE DELLA SOCIETA COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA

T. Ouchy, 3 ottobre 1912, ore l.

Ministro agricoltura persuaso inutilità ha rinunciato abboccamento Giolitti, e qui resta cooperando negazioni pur escludendo assumere veste negoziatore. Quanto Balcani gli abbiamo dichiarato nome Giolitti che appena firmato accordo Italia coopererà efficacemente mantenimento statu quo.

Odierna conferenza con Rechid e delegati abbiamo nome Giolitti consegnato nota scritta per dichiarare che se entro dieci ottobre non è firmato accordo preliminare segreto, Italia romperà negoziati e noi partiremo da Losanna. Abbiamo consegnato testo detto accordo che è traduzione francese di quello a lei spedito con seguenti varianti. Negli articoli primo, terzo e quarto bisogna sostituire tre ad otto giorni; nell'articolo quinto trattato pubblico è sostituito forma più pratica nomina superarbitro.

Abbiamo 27 settembre spedito detta traduzione francese. Se ella non ancora ricevette, presenti immediatamente ministro esteri traduzione da lei fatta, riservandosi sostituirla nostro testo. Siamo d'accordo delegati che ella farà tale presentazione che avrà pertanto carattere ufficiale. Telegrafi appena fatta presentazione.

Non possiamo ammettere denominazione tributo ma soltanto obbligo pagare annualità conforme articolo dieci trattato pubblico. Non riterremmo opportuno partecipazione rappresentante sultano commissione. Impossibile sotto qualsiasi forma pagamento sussidio finanziario Turchia.

Ricevuti telegrammi 53 e 542 . Testo firmano da lei comunicatoci per lettera sarebbe per noi assai conveniente.

1028 1 Cfr. n. 1001. nota l. 2 Cfr. nn. 1023 e 1027.

1029

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1531/136. Pietroburgo, 4 ottobre 1912, ore 20,25 (per. ore 23,50).

Ecco il mio parere sul contenuto del telegramma di V. E. Gabinetto 1468 1: Riconoscimento. V.E. ha certamente presente come risulti da tutta la mia precedente corrispondenza che Sazonoff è stato il primo a convincersi che la Libia era perduta per la Turchia, che l'Italia non avrebbe mai ceduto sulla questione della sovranità e che era anche disposta a prendere l'iniziativa del riconoscimento, se sicura di essser seguita da un'altra Potenza. Non ho quindi dubitato che, conclusa la pace con la Turchia, potessero sorgere da parte del Governo russo difficoltà per il riconoscimento.

V.E. conosce anche tutti gli sforzi costantemente fatti da Sazonoff presso i Gabinetti di Parigi e Londra per renderli più equanimi e favorevoli a noi. È dunque acquisito che anche al momento opportuno, se mai ve ne sarà il bisogno, Sazonoff cercherà di influire presso quei Gabinetti per regolare questione riconoscimento secondo nostri interessi.

Affari balcanici. V.E. è stata da me egualmente edotta che Sazonoff si è sempre sforzato di cancellare, per quanto le circostanze glielo permettono, il risentimento qui esistente verso l'Austria-Ungheria dalla crisi del 1908 e che i rapporti austro-russi sono ora improntati a maggior fiducia.

Appare però ipotesi per lo meno molto rischiata il supporre ogni rancore e diffidenza svanita che si possa tornare in questo momento all'antica stretta intesa austro-russa per la politica balcanica, e che si possa tornare agli antichi accordi che fecero già così cattiva prova e dai quali la Russia è uscita danneggiata da troppo poco tempo perché si possa decidere a ritornarvi. Ciò però non esclude che il Governo russo, desideroso anche per necessità di politica interna di evitare complicazioni, non cerchi di agire nelle presenti circostanze in perfetto accordo con l'Austria. Da ciò però francamente non vedo sorgere un pericolo per l'Italia perché, per ora almeno e per un certo tempo ancora, tutto sembra doversi ridurre al desiderio di risolvere la presente crisi evitando maggiori complicazioni e sulla base del mantenimento dello statu quo territoriale balcanico. L'espressione adoperata da Sazonoff «di azione comune dell'Austria e Russia Potenze più direttamente interessate», se appare impropria nella forma e dobbiamo fare tutto il possibile perché non entri nell'uso, non mi allarma quanto al contenuto. E ciò non solo per le cose su esposte, ma anche perché credo di conoscere il pensiero di Sazonoff e mi risulta che egli è convinto che anche noi siamo direttamente interessati ed in tutta la politica balcanica egli conta sempre sulla nostra azione accanto a quella russa per farla coincidere con quella dell'Austria se possibile e dirigerla contro «i comuni nemici» se l'Austria si

l 029 1 T. Gab. segreto 1468 del l o ottobre ritrasmette il n. l 021.

staccasse dal principio dello statu quo. È evidente che lo stato di guerra come dato di fatto, ci toglie la possibilità di agire a Costantinopoli e di spiegare una efficace azione nella presente crisi e però Sazonoff [ ... ]2 e conta sulla nostra cooperazione ma non mi saprei spiegare in lui un cambiamento radicale così repentino tranne che non sia il risultato del suo viaggio, ciò che mi pare poco probabile. Del resto non mancherò di assicurarmi di ciò non appena Sazonoff sarà ritornato e di vigilare e riferire a V.E.

1030

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1

T. Pera, 6 ottobre 1912, ore 8,45 (per. ore 5,40 del 7).

Questa mattina ebbi lunga discussione col mmtstro degli esteri controllando insieme testo accordo segreto con telegrammi delegati. Sembra esistere accordo completo su articolo l, 2, 3, testo firmano e decreto reale, debito pubblico mentre coordinato nel senso convenuto. Circa articolo 4 attendo risposta telegrafica su testo iradè. Impossibile ottenere più che promesse generiche. Articolo l trattato stato accettato.

Secondo paragrafo articolo 2 trattato stabilisce evacuazione isole appena Turchia [. ..]2 riprenderne possesso e sgombero truppe Africa entro un mese dato ordine. Governo turco declina ogni responsabilità per ufficiali soldati rifiutassero partire, considerandoli però dimissionari, non avendo possibilità materiale per fare eseguire ordine. Articolo addizionale accordo segreto stipulerà massimo di due mesi per sgombero isole e loro contemporanea riconsegna Turchia.

Articolo 3 relativo prigionieri stato accettato con clausola escludente rimborso spese. Articolo 4 stato accettato salvo paragrafo Idris stato sostituito da nuovo articolo accordo segreto come si è convenuto.

Articolo 5 stato accettato.

Per articolo 6 relativo dogane, ministro esteri esige testo integrale corrispondente trattato Bosnia.

Articolo 7 relativo posta stato accettato quantunque preferirebbe redazione corrispondente articolo Bosnia.

Articolo 8 relativo capitolazioni ministro esteri esige redazione Bosnia.

Articolo 9 stato soppresso e sostituito da lettera impegnativa che sarà rilasciata dai delegati.

l 029 2 Gruppo indecifrato.

1030 1 Cfr. n. 1001, nota l.

2 Gruppo indecifrato.

Articolo l O modificato adattando somma globale.

Altro articolo introdotto conforme articolo 3 Bosnia.

Articolo 6 accordo segreto stato accettato.

Per articolo 7 ministro esteri esige stabilire pubblicazione accordo segreto soltanto dopo ottenuto reciproco consenso.

Accordo segreto deve contenere articolo addizionale seguente: Italia si impegna accordare eterno appoggio Turchia per regolamento e soluzione questione Balcani per il meglio interesse ottomano, e mantenere statu quo Balcani e Mediterraneo. Ministro esteri non insisterà su Mediterraneo.

È soppressa qualunque menzione decreto sovranità Italia. Firmano, iradè, decreto reale e trattato pubblico saranno allegati accordo segreto invece di essere inseriti nel testo. Testo dopo approvato Consiglio ministri sarà portato costà da corriere di Gabinetto martedì prossimo.

Raccomando massima longanimità questione testo accordo, iradè isole e pagamento indennità, perché situazione ministro esteri molto scossa; sua sostituzione potrebbe fare naufragare tutto.

1031

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETO PERSONALE 1517. Roma, 6 ottobre 1912, ore 14,30.

Prego V.E. di confidare a viva voce e con promessa di massima segretezza a codesto ministro degli affari esteri, lo stato attuale delle trattative per la pace tra Italia e Turchia.

L'accordo segreto che i delegati dei due Paesi hanno stabilito ad Ouchy, e che il Governo italiano è disposto ad approvare, deve essere firmato entro il giorno lO corrente, che potrebbe per difficoltà di comunicazioni con Costantinopoli, essere ritardato sino a non oltre il dodici. Scorgo questo termine improrogabile, senza che l'accordo segreto sia firmato, l'Italia riprenderà le operazioni militari e navali anche fuori della Libia.

L'accordo segreto stabilisce che il sultano con suo atto unilaterale accorderà alla Libia la più larga autonomia nominando un rappresentante che non potrà avere titolo di valì. Il Governo italiano subito dopo emanerà un decreto reale in esecuzione della legge che proclamò la piena ed intera sovranità italiana sulla Libia, che verrà in quel decreto espressamente nominata. Il detto decreto conterrà alcune disposizioni in favore degli arabi, ed ammetterà un rappresentante nominato dal sultano, e pagato dall'Italia, per la tutela degli interessi religiosi e di quegli interessi ottomani che potrebbero ancora sussistere dopo la legge italiana del 27 febbraio.

Un altro firmano del sultano accorderà guarentigie ed amnistia agli abitanti delle isole dell'Egeo.

Emanati questi atti unilaterali delle due parti, un trattato pubblico ristabilirà la pace e lo statu quo ante per le capitolazioni ed il resto. Nel trattato pubblico la Turchia si obbligherà a far sgombrare dai suoi funzionari civili e militari, ufficiali e soldati, la Libia, e l'Italia alla sua volta si obbligherà a sgombrare le isole dell'Egeo appena lo sgombro degli ufficiali, soldati e funzionari ottomani della Libia, sarà compiuto. Il trattato pubblico conterrà anche clausole sul debito pubblico, ed altre di secondaria importanza.

Reputo superfluo di ripetere che l'Italia non accetterà né esaminerà né discuterà alcuna eventuale proposta di modificazione a tali patti che rappresentano per noi il massimo delle concessioni possibili. Entro il termine anzidetto la Turchia dovrà accettare o respingere.

Codesto Governo farà opera utile ad entrambi i belligeranti se vorrà fare qualche passo a Costantinopoli per fare comprendere al Governo ottomano che l'ora degli indugi e delle tergiversazioni è finita.

(per Vìenna soltanto) È superfluo fare notare a V.E. quanto gioverebbe ai rapporti tra Italia e Austria, e quanta simpatia verso l'Austria si provocherebbe nell'opinione pubblica italiana se la prima Potenza a riconoscere pubblicamente la nostra sovranità sulla Libia fosse l 'Austria. Giudichi V. E. se crede opportuno dirlo a Berchtold.

1032

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, CETTIGNE E SOFIA

T. 3897. Roma, 6 ottobre 1912, ore 23.

L'incaricato d'affari di Francia è venuto a presentarmi l'ultima formula concordata tra Poincaré e Sazonoff in seguito alle osservazioni del Governo austro-ungarico, delle quali si è tenuto conto.

La formula è la seguente: «Les Gouvernements russe et austro-hongrois déclareront aux États balkaniques: l) que les Puissances réprouvent énergiquement toute mesure susceptible d'amener la rupture de la paix; 2) que s'appuyant sur l'artide 23 du Traité de Berlin elles prendront en main, dans l'intérèt des populations, la réalisation des réformes dans l'administration de la Turquie d'Europe, étant entendu que ces réformes ne porteront aucune atteinte à la souverainité de

S.M. Impériale le Sultan et à l'intégrité territoriale de l'Empire ottoman: cette déclaration réserve d'ailleurs la liberté des Puissances pour l'étude collective et ultériure des réformes; 3) que, si la guerre vient néammoins à éclater entre les États balkaniques et l'Empire ottoman, elles n'admettront, à l'issue du conflit, aucune modification au sta tu quo territorial dans la Turquie d 'Europe. Les Puissances feront collectivement, auprés de la Sublime Parte, les démarches dérivant de la précédente déclaration» 1•

Laroche ha aggiunto a nome del suo Governo che l'accordo è ormai completo tra la Russia, l'Austria-Ungheria e la Francia sulla nuova redazione proposta e l'adesione della Germania non è dubbia, poiché aveva già aderito alla prima formula. L'accordo è pure completo sulla procedura, cioè passo austro-russo in nome dell'Europa presso gli Stati balcanici, e passo collettivo delle Potenze a Costantinopoli.

Laroche mi ha domandato di aderire a nome del Governo italiano ed io ho risposto che aderiremo anche noi se tutte le altre Potenze aderiscono, ma se qualcuna solleva qualche obbiezione ci riserviamo di esaminarla per vedere se merita che se ne tenga conto.

1033

PROMEMORIA DEL COMANDO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCIT01

RISERVATISSIMO. Roma, 6 ottobre 1912.

Promemoria circa i provvedimenti che eventualmente converrà prendere all'atto della firma della pace con la Turchia nei riguardi:

l) della cessazione delle ostilità;

2) del ritiro dalla Libia dei regolari turchi.

l) Cessazione delle ostilità

La partecipazione della conclusione della pace e gli ordini per la cessaz10ne delle ostilità dovranno essere naturalmente inviati dal Governo ottomano ai comandanti degli eserciti arabo-turchi in Tripolitania ed in Cirenaica. Occorrerà però stabilire, d'accordo col Governo ottomano la data di tale cessazione delle ostilità, tenendo conto del tempo occorrente perché la detta partecipazione ed ordini possano giungere ai combattenti arabo-turchi.

Tale data sarà quella stessa in cui i nostri comandanti in Libia dovranno rendere di pubblica ragione la conclusione della pace e gli ordini per la cessazione delle ostilità.

Giova peraltro notare che probabilmente la Turchia nel trattato di pace non assumerà l'obbligo di imporre all'esercito turco-arabo la cessazione delle ostilità ma assumerà soltanto l'impegno di staccare dai combattenti l'elemento turco, e

l 032 1 Cfr. DSI, vol. II, n. 484. 1033 1 L'appunto di trasmissione al Ministero degli esteri non è stato rinvenuto.

ritirarlo dalla Libia. Ciò potrebbe portare ad una temporanea sospensione d'armi pel tempo occorrente ai turchi per disimpegnarsi dagli arabi e rimpatriare, ma potrebbe anche darsi che i turchi, pure obbedendo agli ordini del proprio Governo e staccandosi dagli arabi, trovassero modo di aizzarli contro di noi, e spingerli ad intensificare senza tregua le offese per dimostrare all'Europa che sono proprio gli arabi che non vogliono accettare la nostra dominazione. Inoltre potrebbe anche avvenire che i comandanti turchi, apprendendo coi loro solleciti mezzi d'informazione la notizia della conclusione della pace, volessero, prima di ricevere gli ordini dal loro Governo, tentare contro di noi gli ultimi attacchi, sacrificando gli arabi della cui vita essi poco si curano, per arrecare a noi i maggiori possibili danni.

Tenendo conto di tali considerazioni, sembra che a noi convenga oltre che a tenerci pronti più che mai ad ogni eventualità, cercare di chiarire con la maggiore possibile sollecitudine le intenzioni dei comandanti nemici, e ciò si potrebbe ottenere comunicando loro direttamente la notizia della conclusione della pace, ed invitandoli a sospendere le ostilità in attesa degli ordini del loro Governo. Se essi aderiranno si otterrà l'intento in un senso e si eviterà un eventuale inutile spargimento di sangue; se non aderiranno, si otterrà l'intento nell'altro senso perché si paleserà l'animo loro.

Tale comunicazione dovrebbe essere fatta da ciascuno dei nostri comandanti delle varie località occupate, da Tobruk a Ferua, ai comandanti nemici che hanno rispettivamente di fronte, a mezzo di parlamentari. Siccome peraltro gli usi ed i costumi di guerra del nemico non sono tali da dare sufficiente affidamento circa l'incolumità dei parlamentari stessi, si potrebbe far precedere l'invio dei parlamentari dall'invio di una lettera da affidarsi a qualcuno dei prigionieri di guerra, lettera nella quale si dovrebbe far cenno dell'intenzione di dare a mezzo di un parlamentano la notizia ufficiale della conclusione della pace e prendere accordi per la sospensione delle ostilità, e si dovrebbe invitare il comandante nemico ad inviare anche esso un suo parlamentano ad incontrare il nostro ad una data ora ed in una data località a metà distanza fra i due campi nemici.

Qualora si ritenesse opportuna l'attuazione di tale proposta, si potrebbero scegliere subito fra i prigionieri di Caserta quelli più adatti per essere destinati quali latori della detta lettera, ed inviarli senz'altro nelle località da noi occupate, per tenerli pronti alla conclusione della pace, salvo che non si trovino persone adatte sul posto.

2) Ritiro completo dei regolari turchi dalla Libia

Siccome il ritiro completo dei regolari turchi dalla Libia è una delle principali condizioni del trattato di pace, sarebbe desiderabile che nel trattato stesso fossero ben determinate le necessarie garanzie per assicurare la esatta attuazione di tale condizione. Qualora peraltro il trattato rimandasse la questione a successivi accordi, occorrerebbe stabilire tali garanzie, ed una di esse potrebbe essere, per esempio, il mantenimento della occupazione delle isole dell'Egeo fino a che il ritiro non fosse completo e che risultasse in modo indubbio tale.

Circa le modalità per il ritiro dei regolari turchi, occorre portare l'attenzione sui due modi come esso potrebbe avvenire, e cioè: a) attraverso la zona costiera da noi occupata, per effettuare l'imbarco nei porti o rade della costa libica; b) attraverso i territori neutri dell'Egitto e della Tunisia.

a) Nel primo caso bisognerebbe assolutamente escludere che l'imbarco potesse avvenire su qualche punto della costa libica che non fosse effettivamente da noi occupato, come Bomba, Ziliten, Zavia, eccetera, perché se ciò servirebbe ad evitare ogni contatto tra le nostre truppe e quelle turche, servirebbe pure di argomento a chi volesse sostenere che i turchi non erano stati tagliati completamente dal mare.

Dovendosi effettuare l'imbarco nei porti o rade da noi effettivamente occupati in Tripolitania e Cirenaica, la determinazione di essi ed il fissare le modalità per farli raggiungere dalle truppe turche dovrebbero essere lasciati rispettivamente ai nostri due comandanti in capo, i quali dovranno prendere gli accordi necessari coi comandanti delle truppe stesse, per tener conto anche della possibilità, di cui i giornali turchi ed altre personalità ottomane hanno ripetutamente fatto cenno, che cioè gli arabi, vedendosi abbandonati dai turchi, abbiano a rivolgersi contro di essi.

L'imbarco in uno dei nostri porti o rade presenterebbe il vantaggio di poter meglio controllare l'effettivo ritiro dei regolari turchi; siccome però sarebbe ad essi indubbiamente concesso di conservare le armi (ed anzi sarebbe nel nostro interesse autorizzarli a portare con loro le armi distribuite agli arabi) e siccome non si potranno loro negare gli onori militari, quale effetto ciò potrebbe produrre sulla mentalità araba, specialmente nelle città dove avrebbe luogo l'imbarco? È ben noto a Tripoli fra le nostre truppe la frase che corre sulla bocca degli arabi: «Italiano bono, ma turco forte», e converrebbe evitare forse l'occasione di confermare tale credenza.

b) Nel secondo caso, e cioè quello del ritiro dei regolari turchi attraverso l'Egitto e la Tunisia, la cosa sarebbe per noi molto molto più semplice, ed, in relazione a quanto si è detto innanzi, più conveniente. È vero che mancherebbe il controllo diretto ed immediato, ma si potrebbe egualmente effettuare un efficace controllo nei porti dell'Egitto e della Tunisia a mezzo dei nostri agenti, che potrebbero essere convenientemente aumentati.

Tanto nel primo quanto nel secondo caso, sarà necessario determinare una linea innanzi alle nostre posizioni che in nessun caso gli arabi in armi potrebbero oltrepassare senza essere trattati secondo gli usi ed i costumi della guerra. Anche sotto il punto di vista di tale misura di sicurezza, presenterebbe maggiore semplicità e convenienza il secondo caso che il primo.

Avvenuto il ritiro del grosso delle truppe turche, occorrerà poi assicurarsi con tutti i mezzi possibili, ed in particolar modo con informatori ben pagati, che non ne siano rimasti in Libia fra gli arabi in armi, e solo quando ciò sarà stato ben constatato si potrà rinunziare alle garanzie di cui innanzi si è fatto cenno.

1034

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 3909. Roma, 7 ottobre 1912, ore 22.

Mi riferisco al mio telegramma n. 38971• A quanto mi comunica questo incaricato d'affari di Francia, la risposta del Gabinetto di Londra contiene i punti seguenti:

l) il Governo britannico non credendo possibile un passo collettivo delle Potenze presso la Sublime Porta, l'ultimo paragrafo della formola proposta dovrebbe essere così concepito: «Les Puissances feront, auprès de la Porte, !es démarches dérivant de la précédente déclaratiom>.

Il Governo britannico accetta, però, che il passo a Costantinopoli sia concordato e identico. 2) Esso Governo britannico propone che tale passo concertato e identico abbia luogo nelle condizioni seguenti.

Le Potenze informerebbero la Porta che prendono atto dell'intenzione pubblicamente annunziata dal Governo ottomano di introdurre riforme, e che esse discuteranno immediatamente colla Porta, nello spirito dell'miicolo 23 del Trattato di Berlino e della legge del 1880, le riforme che comporta l'amministrazione della Turchia europea, nonché i provvedimenti atti ad assicurare l'attuazione nell'interesse delle popolazioni, rimanendo inteso che queste riforme non recheranno offesa all'integrità territoriale dello Impero ottomano.

Sazonoff e Poincaré pensano che questa formola è accettabile, e che il passo dovrebbe essere fatto al più presto possibile a Costantinopoli.

Laroche avendomi chiesto l'avviso del R. Governo in proposito, ho risposto: «nessuna obiezione da parte mia».

Dal complesso di queste risposte inglesi Laroche desume che l 'Inghilterra accetta che l'espressione: «prendre en main» sia adoperata nel parlare agli Stati balcanici, ma non nel parlare alla Porta.

1035

IL CONSOLE GENERALE ANIELLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. l. Roma, 7 ottobre 1912.

Per il momento in cui potranno iniziarsi le trattative ufficiali di pace colla Turchia, credo opportuno sottomettere all'esame di V.E. alcune considerazioni sug

l 034 1 Cfr. n. l 032.

geritemi dali' esperienza personale e da fatti interessanti i miei amministrati che sono venuti nel frattempo a mia cognizione, e che, come quelli che non conoscono questioni essenzialmente politiche, potrebbe darsi che sfuggissero allo studio dei nostri negoziatori.

Non vi ha dubbio che nel futuro trattato di pace si stabilirà, almeno pel presente, il ritorno puro e semplice al regime capitolare. Questa clausola, però, se formulata con tale espressione generica od altra equivalente, non credo sarà sufficiente ad evitare più tardi spiacevoli contestazioni a danno dei nostri connazionali, dato il tradizionale istinto cavilloso delle autorità turche, specialmente in fatto di osservanza delle capitolazioni.

Come è noto, dopo l'apertura delle ostilità, il Governo turco ha adottato (almeno se sono esatti i reclami pervenutimi da vari miei amministrati, vittime di queste rappresaglie) varie misure inique, oltre quella dell'espulsione dei nostri connazionali:

l) Si sono andate esumando vecchie sentenze di tribunali ottomani contro rr. sudditi, che le rr. autorità consolari non avevano mai voluto riconoscere (impedendone così l'esecuzione) e sono state eseguite, confiscando i beni dei condannati così pure, si è dato corso a processi penali e civili, in cui erano interessati dei rr. sudditi, pronunciando condanne in sfavore di questi, condanne che, presumibilmente, si pretenderà di eseguire al ritorno degli espulsi.

2) È stato dichiarato con iradé che i beni delle successioni di italiani, apertesi durante lo stato di guerra, sono devoluti soltanto agli eredi ottomani o, in mancanza di questi, al fisco imperiale.

3) Si sono fatte pagare ai nostri connazionali tutte le tasse da cui erano esenti pel passato, percependo anche gli arretrati: e si continua ancora a riscuoterle pei beni stabili di proprietà italiana, facendole pagare, in assenza dei proprietari, dai locatarii.

4) Sono stati licenziati i funzionari, impiegati e operai italiani che prestavano servizio presso le amministrazioni pubbliche, imprese, società, eccetera ottomane. Queste due ultime rappresaglie sono, del resto, ormai più che note.

Ora, riterrei prudente, per non dire necessario, che, ad ovviare la possibilità di interpretazioni equivoche da parte delle autorità turche, fosse nel futuro trattato tassativamente stipulato:

«a) che tutte le sentenze pronunciate durante lo stato di guerra da tribunali ottomani contro sudditi italiani sono nulle e non avvenute; che i beni confiscati in base ad esse, o in forza di altre anteriori mai riconosciute dalle rr. autorità consolari, debbono essere restituiti ai proprietari legittimi.

b) che debbono essere restituiti ai legittimi eredi italiani i beni appartenuti a successioni di italiani, a parte durante la guerra, che, in forza della sopra citata disposizione, sono entrati in possesso di sudditi ottomani o del Tesoro ottomano.

c) che vengano rimborsate le tasse finora percepite a titolo di rappresaglia sui nostri connazionali, contrariamente al regime capitolare.

d) che, infine, vengano riassunti m servizio tutti i funzionari, impiegati ed operai italiani, licenziati in seguito alla guerra».

Sopra un altro punto, poi, panni conveniente richiamare l'attenzione di V.E., per ogni eventualità, ed è quello del possibile boicottaggio del commercio italiano nei porti turchi.

Fui testimonio, a Beirut, per più di un anno di questa guerra sleale usata contro l'Austria-Ungheria, specialmente per opera dei maonieri (sic) del porto, che paralizzò per sé lungo tempo il commercio di quella nazione in Oriente. Ricordo che alle ripetute energiche rimostranze del console austro-ungarico e dell'imperiale e reale ambasciata a Costantinopoli, le autorità turche rispondevano dando le più ampie assicurazioni che avrebbero provveduto, ma finivano poi col confessare (certamente non in buona fede) che si trovavano impotenti di fronte all'irritazione patriottica della popolazione.

Non so se ugual giuoco sarà ancora tentato anche, a pace fatta, contro l'Italia, di cui (specialmente a Beirut) credo si debba temere ormai abbastanza la voce; ma non sarebbe male, conoscendo le arti dei nostri avversari, prendere, possibilmente, nel trattato qualche garanzia per accertarci «che il Governo turco risponda di qualsiasi pregiudizio possa venire al commercio italiano per opera collettiva di privati».

Ed ora un 'ultima osservazione, sebbene non concerna le trattative di pace. Io credo che, al ristabilirsi delle normali relazioni diplomatiche e consolari colla Turchia, convenga dare ai nostri agenti consolari nell'Impero il titolo di vice console: è una questione puramente formale, ma essenziale, specialmente adesso, pel nostro prestigio.

Finora, infatti, accade che, siccome tutte le Potenze (tranne, se non erro, la Spagna e il Portogallo) danno ai loro agenti consolari onorari in Turchia il titolo di vice console, i nostri sono dalle autorità locali ritenuti di un grado inferiore ai loro colleghi delle altre Nazioni, e, nelle cerimonie pubbliche ufficiali, sul rappresentante d'Italia hanno sempre la precedenza quelli degli altri Stati. È facile comprendere qu;.tle effetto nocivo pel nostro prestigio abbia agli occhi degli indigeni, ignari di questioni di cerimoniale, questa inferiorità di trattamento, e tale effetto sarebbe ancor più grave dopo la guerra, prestandosi, per le masse ignoranti, ad interpretazioni erronee, mentre, all'incontro, ben altra impressione farebbe il vedere, dopo la guerra, il nostro agente alzato al grado degli altri e come questi trattato. So che la questione fu già altre volte esaminata, senza poterla risolvere, ostandovi, a quanto pare, l'attuale ordinamento consolare; ma, di fronte all'interesse politico presente del provvedimento, riterrei non si debba esitare ad adottarlo.

Chiedo venia a V.E. se mi sono permesso intrattenerla su questioni, alcune delle quali si saranno già affacciate alla sua mente; ma io penso che, in questo momento, sia dovere di quanti possono pel loro ufficio o la loro competenza fornire, anche nel loro piccolo, gli elementi per una completa visione della situazione, di non indugiare a farlo, anche a costo di ripetere cose già note o di cadere in qualche errore di apprezzamento.

1036

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6152/155. Cettigne, 8 ottobre 1912, ore 5,30 (per. ore 2 del 9).

Ministri russo e austro-ungarico hanno fatto stamane al re Nicola ed al Governo montenegrino la seguente identica comunicazione, dichiarando, in pari tempo, che vi avevano aderito le altre Grandi Potenze: l) le Potenze disapprovano energicamente tutte le misure suscettibili di portare rottura pace; 2) appoggiandosi sull'articolo 23 Trattato di Berlino, esse prendono in mano, nell'interesse delle popolazioni, applicazione riforme nell'amministrazione della Turchia d'Europa, essendo inteso che queste riforme non rechino pregiudizio alla sovranità del sultano e all'integrità territoriale dell'Impero ottomano; 3) se, nondimeno, scoppierà la guerra tra gli Stati balcanici e la Turchia, esse non ammetteranno alla fine del conflitto alcuna modificazione dello statu quo.

Le Potenze faranno presso la Sublime Porta i passi derivanti dalla precedente dichiarazione.

Sua Maestà ha risposto essere dolente che l'intervento delle Potenze arrivi un poco tardi, poiché già da due mesi attende invano una risposta alla nota del Governo montenegrino con cui sollecitava tale risposta.

Ha poi soggiunto che, in questo momento, la situazione del suo Regno è tale che, anche se i suoi alleati si staccassero da lui, lo stato d'animo del suo popolo l'obbligherebbe ad entrare in azione. Tale è stata la parte essenziale della risposta. Trasmetterò testo controprogetto per posta.

1037

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1585/300. Londra, 8 ottobre 1912, ore l0,12 (per. ore 13,20).

Grey mi ha oggi letto telegramma da Costantinopoli annunziante avvenuta dichiarazione di guerra del Montenegro alla Turchia. Grey suppone che mossa di re Nicola deve essere stata concertata con governi alleati per dare ad essi agio rispondere ai rappresentanti austriaco e russo che loro passo giunge tardivo, non potendo più essi separare loro causa da quella governo alleato. Grey ha aggiunto che avvenimento, pure cagionandogli profondo rammarico, non lo sorprende. Gli ho risposto esser anch'io meno sorpreso di lui visto che fin da tre settimane contrariamente vedute ottimistiche di Cambon, avevo attirato sua attenzione sulla gravità situazione balcanica e sull'influenza indubbiamente benefica che ad alleviarla avrebbe esercitato pronta conclusione pace con Italia. Grey ha risposto che, se Governo ottomano non ha fatto finora pace, motivo vero è che non poteva assolutamente farla senza provocare serie agitazioni interne. Gli risulta però che ormai Governo ottomano è disposto a porre termine guerra e che negoziati con noi hanno preso piega favorevole. Grey ha rilevato pure non esservi alcun dubbio che ormai interesse Turchia è al più presto concludere pace con noi. Nicolson al quale ho poi domandato donde Grey aveva queste informazioni mi ha confidato che da quanto aveva detto ieri Tewfik pascià conclusione pace con noi si dovrebbe, salvo avvenimenti imprevisti, considerare come prossima. Ho risposto auguravo di cuore che questa impressione sia presto confermata. Ritenendo per esperienza, però, turchi capaci qualsiasi bestialità, crederò conclusa pace solo quando V.E. me ne dà annunzio. Se la Turchia, ho soggiunto, continua tergiversare e lascia passare termine da noi fissato, se ne avrà amaramente, a pentire, perché Nazione italiana non è stanca guerra, al punto che Governo del re è già fatto segno vivaci attacchi da parte della stampa che gli rimprovera soverchia remissività.

Avendo Nicolson lasciato intravvedere qualche apprensione per nuovi ostacoli eventualmente da noi sollevati gli ho risposto che se Turchia accetta integralmente condizioni da noi imposte Governo è forte abbastanza per imporre pace al paese; ed a calmare poi risentimento dissenzienti Regno, contribuirà efficacemente pronto riconoscimento nostra sovranità da parte delle Potenze.

A questo riguardo ho detto a Nicolson che mi sarebbe assai caro se la prima Potenza a dare esempio fosse Inghilterra la quale con questo atto, conforme del resto agli accordi con noi, gioverebbe ai suoi interessi che le consigliano fare possibile per dissipare quel sentimento di freddezza prevalente senza alcun dubbio nell'opinione pubblica italiana a riguardo Inghilterra. Nicolson ha avuto aria apprezzare mio suggerimento avendomi detto che ne avrebbe subito parlato con Grey. A proposito di manifestazione di una parte nostra stampa contro politica del Governo Grey ha osservato sembrargli quel malcontento affatto irragionevole e ingiustificato.

1038

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI

LI. Costantinopoli, 8 ottobre 1912.

Se devo credere a tutte le informazioni raccolte negli ambienti turchi e diplomatici, la caduta di questo Gabinetto è inevitabile a meno che non faccia subito la dichiarazione di guerra ai Paesi balcanici.

1038 1 Non rinvenuto l'originale; si tratta di una trascrizione presumibilmente del Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa.

Il ministro degli esteri, mi si dice, concludendo la pace mette in pericolo la sua stessa vita. Ieri sera furovi dimostrazioni ostili davanti alla sua casa, e certamente in queste condizioni non accetterà nessuna parola del trattato coll'Italia prima che sia stato approvato dal Consiglio dei ministri e sanzionato da iradè, per mettere la sua responsabilità al sicuro, perché qualunque cosa facesse diversamente potrebbe partarlo davanti all'Alta corte per tradimento.

Sono estremamente pessimista: ho lavorato accanitamente in questi giorni per raggiungere un'intesa e me la vedo sfuggire. Sono le pene di Tantalo!

Se l'Italia, date le complicazioni internazionali attuali ha bisogno assoluto della pace, non bisogna guardare per il sottile, e firmare. Questo Governo è nell'impossibilità assoluta di agire con libertà di giudizio.

Avevo intenzione di scriverle un lungo rapporto per questo corriere, ma non vi sono riuscito, tutte le complicazioni attuali avendo assorbito il mio tempo, perfino due notti consecutive.

Il telegrafo deve supplire quantunque molto imperfettamente a tutto.

1039

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1584/382 1 . Parigi, 9 ottobre 1912, ore 1,20 (per. ore 5).

La notizia della dichiarazione di guerra del Montenegro produce grande impressione perché vociferasi temersi che sia seguita da quella Bulgaria. Stancioff dichiara di non aver notizie da Sofia e di non essere in grado di far previsioni.

Qui tutti pensano che, se la Bulgaria dichiarerà la guerra alla Turchia l'Italia non potrà far la pace, per avanzate che siano le trattative. Si ritiene infatti che se alla pace, alle condizioni che erano state pubblicate, si erano dichiarati contrari i soli nazionalisti, all'abbandono delle popolazioni balcaniche, dopo che si sono impegnate in una guerra, si dichiarerà contraria la gran maggioranza della opinione pubblica italiana, non tanto per sentimentalismo, quanto per calcolo degli interessi italiani, non volendo che l 'Italia perda qualunque influenza nei Balcani, dove il suo nome sarebbe designato all'odio e al disprezzo delle popolazioni cristiane. Quest'opinione è così generale che perfino conte Szécsen e Schon riconoscono che all'Italia è molto difficile fare la pace dopo che i montenegrini e i bulgari hanno passato la frontiera. Essi biasimano giustamente la cecità della Turchia la quale, quando ebbe notizia della mobilitazione balcanica, avrebbe dovuto far la pace con l'Italia in quarantotto ore. Del resto quest'ambasciatore di Turchia non crede alla conclusione della pace a Ouchy e la stessa incredulità ha manifestato il noto senatore El Bustani che si trova da qualche giorno a Parigi.

l 039 Il numero dell'ambasciata è errato.

1040

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1591/3251 . Parigi, 9 ottobre 1912, ore 21,15 (per. ore 23,30).

Telegramma di VE. 15462 .

Quanto dice VE. è giustissimo. La nostra azione contro la Turchia, che sarebbe di dubbia efficacia se essa non fosse in guerra con Stati balcanici può invece dare ad essa un colpo fatale se bulgari serbi e greci dichiareranno la guerra. Di ciò Poncaré è pienamente persuaso, e anzi oggi ha detto ciò con molta energia a Rifaat pascià insistendo sul grave errore che la Turchia ha commesso non firmando la pace, appena ha avuto notizia della mobilitazione balcanica, e esortandola a far ciò subito e prima che l'esercito bulgano passasse la frontiera. Con grande meraviglia di Poincaré Rifaat non solo non ha dimostrato alcuna premura per la pace, ma ha soggiunto che crede che il suo Governo non potrà firmarla perché l'esercito e la Lega militare non vogliono che si dica che la Turchia ha fatto la pace coll'Italia per paura [ ...]3 della Bulgaria. Sicché secondo la tesi paradossale di Rifaat pascià e della Lega militare la guerra balcanica, non solo non indurrebbe la Turchia a far la pace, ma al contrario l'indurrebbe a non farla. Poincaré non ha mancato di far rilevare a Rifaat pascià che la Turchia fa con ciò un gioco pericoloso che potrebbe anche costarle caro.

1041

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 2329/975. Vienna, 9 ottobre 1912 (per. il 2 novembre).

La Delegazione austriaca tenne ieri la seconda seduta plenaria per discutere il bilancio degli affari esteri e per primo prese la parola il delegato Tusar, socialista czeco, che polemizzando col principe Schwarzemberg negò qualsiasi fiducia nell'opera di Berchtold e della diplomazia in generale, giacché grazie ad essa, la Turchia vien mantenuta artificiosamente in vita da tanti anni solo per soddisfare gli interessi capitalistici e le gelosie delle Grandi Potenze. Soggiunse che se l'Austria-Ungheria sente realmente di essere una Grande Potenza non dovrebbe davvero temer un ingran

1040 1 Il numero dell'ambasciata è errato.

2 Con T. Gab. 1546 del 9 ottobre non pubblicato, di San Giuliano comunicava che essendo iniziata la guerra nei Balcani cessava il motivo per cui Poincaré poteva credere impossibili le operazioni militari italiane in Europa ed inefficaci quelle in Asia.

3 Gruppo indecifrato.

dimento territoriale della Serbia nel Sangiaccato e procurare invece di essere forte e ricca mettendo ordine in casa propria. Protestò infine contro i pretesi nuovi crediti militari che il Governo vuoi richiedere al Paese.

Il delegato progressista tedesco, dottor Lecher, trattò i torbidi balcanici dal punto di vista dell'umanità in generale, senza preoccuparsi della religione cui appartengono i popoli oppressi, per concludere che sarebbe ingiustificato un intervento dell'Austria nel conflitto in nome della tutela dei cattolici.

Il delegato Glany esprime la sua piena fiducia per la politica pacifista del conte Berchtold. Parlando della guerra italo-turca affermò che la Tripolitania era già perduta virtualmente per la Turchia sin da quando l'Inghilterra occupò l'Egitto e la Turchia indebolì la sua flotta. L'Italia arriverà indubbiamente colle sue prospere finanze e coll'intelligente attività dei suoi abitanti a rendere di nuovo fiorente la Tripolitania. Facendo astrazione da alcune considerazioni d'ordine secondario bisogna convenire che questa occupazione segna una vera vittoria della civiltà e della cultura sull'ignoranza e sulla barbarie.

Prese quindi la parola il delegato De Gasperi, italiano, che cominciò osservando come la campagna tripolina abbia fatto rilevare varii sintomi dimostranti che la rinnovazione della Triplice Alleanza è riguardata generalmente come una cosa naturalissima, quantunque i contraenti facciano dei preparativi che dovrebbero dimostrare che il trattato d'alleanza è superfluo. Le cagioni di conflitto fra l'Italia e l'Austria come disse il conte Aehrenthal un anno fa non si trovano nella grande politica, ma negli attriti nazionali, nei piccoli incidenti di confine. L'oratore venne quindi a parlare della triste situazione in cui trovansi gli italiani nel Trentina, esposti a tentativi di germanizzazione contro i quali cercano di combattere, incorrendo peraltro nel pericolo di essere perseguitati come irredentisti. Le questioni dell'autonomia trentina e dell'università italiana sono gli esponenti del trattamento fatto alla Nazione italiana in Austria. Non ci si deve stupire se gli italiani dell'Austria simpatizzano coi loro fratelli doltr'alpe. La politica estera della Monarchia deve tener conto di tutto ciò. L'oratore parlò quindi della propaganda del Volksbund nel Tirolo meridionale, dell'ingerenza militare in tutte le questioni concernenti gli italiani per concludere dicendo che se l'Austria facesse verso gli italiani una politica equanime, i trentini costituirebbero il più saldo vincolo d'unione fra l'Italia e l'Austria.

1042

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 1844/711. Ramleh (Alessandria), 9 ottobre 1912.

Mi onoro di trasmettere, per notizia, alla V.E. copia del rapporto n. 1840 da me diretto ieri a S.E. il Presidente del Consiglio dei ministri.

In detto rapporto son riferite le notizie portate in questi giorni dal messo che Mohamed Abu Zeid ha mandato tempo addietro a Giarabub per indagare circa l'annunciato arrivo di Sidi Ahmed el Senussi.

ALLEGATO

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

R. RISERVATO 1840. Ram/eh (Alessandria), 8 ottobre 1912.

Da persona che giunse recentemente in Alessandria dall'oasi di Giarabub ho avute le seguenti notizie circa il viaggio di Sidi Ahmed el Senussi:

Sidi Ahmed el Senussi giunse a Gialo accompagnato da una cinquantina di neri venuti con lui dall'oasi di Kufra. Vi ricevette una missione mandata da Enver bey, composta di tre ufficiali turchi e di certo Mohamed Sawan, già Mudir Derna e che riveste attualmente al campo turco il grado di kaimakam. La missione portò seco quattro casse contenenti dei doni, una decorazione ed una sciabola d'onore col nome del sultano. Questi regali vennero accettati dal capo dei Senussi il quale fu anche accompagnato fino a Giarabub dai messi inviatigli da Enver bey.

A Gialo la scorta di Sidi Ahmed venne aumentata di altri duecento uomini appartenenti alle tribù dimoranti a Gialo, Zueia, Ansola, Vagiabro: tutta questa gente si trova attualmente a Giarabub attendata intorno alla residenza del Senussi.

Non consta che Sidi Ahmed abbia fatto alcun esplicito accenno alla guerra: potrebbe avere un certo significato il fatto che tre giorni dopo l'arrivo a Giarabub, durante i quali non ebbe alcun rapporto coi messi di Enver, il capo Senussi invitò questi ad andarsene e fece abbassare nell'oasi la bandiera turca. Egli avrebbe detto che si era recato a Giarabub esclusivamente per venerare le tombe dei suoi maggiori e che non voleva ricevervi invitati di nessun governo. Correva infatti voce che anche il Governo egiziano avesse mandata segretamente una missione composta di alcuni siriani, funzionari del Governo sudanese: ma non sarebbe stata ricevuta.

Si ignora per quanto tempo Sidi Ahmed intenda rimanere a Giarabub.

1043

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 61831157. Cettigne, 10 ottobre 1912, ore l,40 (per. ore 14,50).

È stato pubblicato oggi proclama del re con la dichiarazione di guerra alla Turchia. Spedirò per posta all'E.V. una traduzione di questo documento, piuttosto lungo, tutto compenetrato dalla idea delle rivendicazioni nazionali.

Credo opportuno, intanto, di rilevare tre punti degni di nota: l) solenne dichiarazione di alleanza e comunità d'intenti degli Stati balcanici; 2) ripetute affermazioni scopo guerra principalmente liberazione dalla servitù e dalla barbaria ottomana dei fratelli della vecchia Serbia, dove i figli del Montenegro incontreranno i cari fratelli del Regno di Serbia, condotti dal loro re; 3) necessità di tendere la mano alla nobile Malissia, che già da due anni lotta per i suoi diritti e per la sua unione al Montenegro.

1044

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. GAB. SEGRETISSIMO PERSONALE S.N. Roma, l0 ottobre 1912, ore 11.

Prego V.E. mantenere con tutti il più scrupoloso segreto sulla seguente comunicazione fatta oggi confidenzialmente a voce e con promessa di scrupoloso segreto dali 'incaricato d'affari d'Austria-Ungheria da parte del conte Berchtold.

Allegando come motivo che l'Europa potrebbe vedersi nella necessità di occuparsi del regolamento della sorte futura delle isole dell'Egeo il Governo francese ha fatto la proposta seguente al Governo austro-ungarico: «secondo il pensiero di Poincaré le Potenze avrebbero interesse a indirizzarsi fin da ora al Gabinetto di Roma facendogli sapere amichevolmente che non dubitano che riceveranno da esso comunicazione anticipata di ogni accordo preparato tra il Governo italiano e la Sublime Porta sulla restituzione delle isole e sullo statuto politico e il regime amministrativo di cui l'arcipelago ottomano sarebbe dotato. Questo passo potrebbe essere fatto sotto forma individuale e simultaneamente se il Governo imperiale e reale non ha obiezioni ad associarsi». Conte Berchtold ha fatto sapere a Poincaré che per quanto egli sia disposto a entrare in uno scambio di idee su questa proposta credeva fin da ora dover formulare certi scrupoli. A suo avviso la conclusione la più rapida possibile della guerra i tal o-turca era ne li 'interesse di tutta l 'Europa e si doveva temere che un ritardo per la conclusione della pace risulterebbe dalla domanda della comunicazione anticipata delle condizioni della pace contemplate dai belligeranti sull'avvenire delle isole. Un tentativo di ingerenza da parte dell'Europa nelle condizioni della pace potrebbe anche metterne in dubbio la conclusione. Un passo fatto in proposito a Roma potrebbe essere considerato come un tentativo di intervento negli affari italiani, intervento che sarebbe in contraddizione coll'attitudine di stretta neutralità osservata finora dall'Austria-Ungheria. Finalmente, sarebbe pericoloso che le Grandi Potenze volessero adottare un punto di vista riguardo statuto politico e il regime amministrativo delle isole perché con questo mezzo si creerebbe un precedente che nelle sue conseguenze potrebbe influenzare l'azione comune delle Potenze intentata in vista di ottenere riforme nei vilayets della Turchia europea.

Ho pregato Ambr6zy di ringraziare Berchtold. Ho soggiunto che sebbene io non abbia fatta a Poincaré alcuna comunicazione sulle condizioni della pace, tuttavia dalle sue conversazioni con Tittoni risulta che egli non dubita che le isole saranno restituite alla Turchia. Credo perciò che la sua proposta sia ispirata soprattutto dal desiderio di acquistare alla Francia le simpatie dell'ellenismo. Tale proposta offrirebbe a Berchtold buona occasione per far notare alla Sublime Porta senza rivelare la proposta segreta di Poincaré che uno dei motivi per cui si dovrebbe affrettare a concludere la pace è appunto il pericolo che il ritardo renda più facile che si ponga la questione delle isole in una forma più nociva ai suoi interessi e al suo prestigio. Ambr6zy ha replicato che riferirà a Berchtold questa mia risposta e ha vivamente insistito sul carattere confidenziale e segreto di tale comunicazione.

Ripeto perciò a mia volta che anche V.E. deve tenerlo segreto con chicchessia e non mostrarsi mai inteso che io glielo ho comunicato. Credo d'altra parte probabile che V.E. non tarderà a saperlo da altra fonte essendo presumibile che Poincaré abbia tentato anche presso codesto Governo il passo che con così poco successo ha tentato a Vienna.

1045

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 6197/324. Atene, 10 ottobre 1912, ore 20 (per. ore 22,30).

Impressione prodotta nelle sfere ufficiali dalla nota austro-russa è che questa sia troppo indeterminata circa contenuto riforme e troppo vaga circa garanzie loro esecuzione e quindi inadeguata alle circostanze. È chiaro che i quattro Stati balcanici si attengono al loro segreto programma quale nelle sue linee generali ho comunicato già a V.E. Con l'aggiunta di qualche variante da me appresa successivamente, esso contempla: l) vali europeo; 2) consigli generali misti (megiliss) elettivi; 3) gendarmeria europea (uomini e ufficiali); 4) commissione di vigilanza presso il gran visiriato sotto il controllo degli ambasciatori e rappresentanti quattro Stati balcanici. È evidentemente un programma di riforme precise e di garanzie stabili ma né Sublime Porta lo accetterebbe, né Potenze sarebbero unanimi nel raccomandarlo. Ciò non può sfuggire ai quattro Gabinetti e quindi o vi insistono per precipitare avvenimenti, o sperano vederne accolte una parte continuando minacciose pressioni. Propendo per seconda ipotesi attesoché altri mezzi per provocare guerra non mancano. Ma quale possa essere minimo voluto del programma non mi è noto. Forse lo stanno concretando segretamente i quattro Gabinetti senza che ciò impedisca loro frattanto presentare alla Porta programma integrale, trattenuto in seguito comunicazione autro-russa. Comunque essi comprendono necessità affrettare soluzione non appena compiuti preparativi di guerra, primo, perché mobilitazione li esaurisce, secondo, perché pace italo-turca può sopravvenire, terzo, anche militarmente Turchia ha tutto da guadagnare dagli indugi, quarto, perché danni indiretti fra cui mancate semine sarebbero enormi. Una formula più soddisfacente di quella comunicata dalle Potenze ma in pari tempo categorica circa la sua immutabilità potrebbe dunque a mio avviso trovare più docili orecchie nei confederati e ottenere forse il desiderato. Ma sono disposte le Potenze e specialmente Inghileterra Germania a precisare e garantire maggiormente le riforme? O la comunicazione austro-russa non rappresenta già il massimo conciliabile la loro unanimità? Ad ogni modo, anche senza la prospettiva di un nuovo accordo fra le Potenze, che ritarderebbero le decisioni dei confederati è presumibile che gli eventi precipitino nei prossimi giorni, prima cioè che sia esaurita la procedura che i quattro Stati sembrano in via concordare.

1046

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 3958. Roma, 10 ottobre 1912, ore 21,50.

Parte della stampa estera dice che gli Stati balcanici e soprattutto il Montenegro siano stati sobillati e spinti da noi alla guerra. Prego V.E. di volere, coi mezzi che crederà più opportuni, fare in modo che tale calunniosa accusa non sia creduta, né da codesto Governo né dall'opinione pubblica. V.E. sa che noi abbiamo fatto tutto il possibile per impedire complicazioni balcaniche, e perciò non soltanto ci siamo astenuti da operazioni militari che avrebbero affrettato la fine della nostra guerra, ma abbiamo ispirato tutta la nostra azione diplomatica al fine di evitare che si aprisse la questione balcanica. Lo abbiamo fatto tanto per rispetto ai nostri impegni e per la coscienza dei nostri doveri e della nostra responsabilità di Grande Potenza, quando perché era evidente nostro interesse che la questione balcanica non si aprisse mentre eravamo ancora impegnati in quella di Libia.

Prego V.E. di farmi conoscere qual credito abbiamo trovato costì tali ingiuste accuse contro di noi 1•

1047

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, CETTIGNE E SOFIA

T. 3961. Roma, 10 ottobre 1912, ore 22,45.

L'incaricato d'affari d'Austria-Ungheria mi ha fatto, a nome di Berchtold, la seguente comunicazione circa le risposte date al passo dei ministri austro-ungarico e russo presso i Governi balcanici.

Koromilas ha detto semplicemente che non poteva dare una risposta per conto suo, perché il passo concerneva anche gli altri Stati balcanici coi quali doveva intendersi.

1046 1 Londra con TT. 6226 e 6231 dell'Il ottobre e Vienna con T. 6270/754 del 12 ottobre, non pubblicati, smentiscono tale notizia. Le altre risposte non sono state rinvenute nel registro dei telegrammi.

Pachitch ha risposto che sottoporrà la nota austro-ungarica al Consiglio dei ministri e prenderà accordi con Governo bulgaro. Aggiunse che per il momento non poteva dare una risposta conchiudente, ma assicurò i due ministri che dal lato suo farà tutto il possibile per evitare la guerra, per quanto difficile sia questo compito, dopo che il Montenegro ha già aperto le ostilità. Si riservò di comunicare una risposta definitiva.

Gueschoff cominciò col dire che la Bulgaria aveva sempre mostrato deferenza ai consigli delle Potenze e che anche questa volta vorrebbe essere in grado di poterlo fare; disgraziatamente ciò che sarebbe stato possibile dieci giorni sono, teme che non lo sarà più oggi. Egli sottoporrà le dichiarazioni dei due rappresentanti al Consiglio dei ministri e al re Ferdinando, e si riserva dar poi la sua risposta. Secondo il suo avviso personale, l'espressione 1 «prendre en main la réalisation des réformes» manca di chiarezza; Gueschoff chiese se le Potenze pensano ad un controllo effettivo, e per mezzo di quali organi questo controllo sarebbe esercitato. Espresse pure il dubbio che la Porta accetti le raccomandazioni delle Potenze, e domandò se queste potevano garantire tale accettazione da parte della Turchia. Gueschoff pareva molto emozionato: disse che non considerava cosa impossibile prevenire la guerra, ma confessò che esitava a credere che la Turchia farebbe concessioni forzate. Dichiarò ancora una volta che la Bulgaria non ha aspirazioni territoriali, e concluse che sarebbe grato ai due ministri di dargli, dopo aver avuto istruzioni dai loro Governi, una risposta alle sue domande ed apprensioni. I due ministri promisero di sottoporle ai loro Governi.

1048

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. GAB. SEGRETISSIMO PERSONALE S.N. Roma, 11 ottobre 1912, ore I 2.

In questo momento nostri delegati ci telegrafano da Ouchy che Governo ottomano ritirando la proposte già concordate propone di invertire e capovolgere tutto il modus procedendi che si era d'accordo stabilito. Esso non vorrebbe emanare per ora il firmano che dovrebbe dichiarare autonoma la Libia e consigliare agli arabi la pace. Inoltre esso pretende che ci obblighiamo a consentire che abitanti di quelle provincie siano per tutto l'avvenire trattati da sudditi ottomani quando si recano in Turchia. Noi siamo disposti consentire che di questo argomento nel trattato non si parli. Governo ottomano vuole che si stipuli anzitutto il trattato pubblico nel quale esso si obbligherebbe soltanto a ritirare dalla Libia i regolari ottomani pur esprimendo il dubbio che obbediranno. In altri termini non ci darebbe nulla di positivo e di certo ed in com

1047 1 Il documento reca per errore: «impressione».

penso noi dovremmo cessare le ostilità restituire in un momento critico alla Turchia la libertà del mare obbligarci a restituire le isole e darle un compenso di circa 50 milioni di franchi a titolo di riscatto dei redditi impegnati al Debito Pubblico ottomano. Per il commercio le capitolazioni le poste ed altro, il trattato sarebbe analogo a quello austro-ungarico del 1908. Tale inversione improvvisa di tutte le basi già concordate è tanto più ingiustificabile in quanto che il testo del firmano agli arabi che già erasi concordato quasi parola per parola era stato redatto dal Governo ottomano e da esso inviato a Ouchy per sottoporlo alla nostra approvazione. In tale stato di cose la ripresa delle operazioni militari e navali da parte nostra è inevitabile e imminente. Scoppiata ormai la guerra balcanica cessano i motivi di limitare il teatro delle operazioni. Pure riprendendo tale libertà d'azione ritardiamo qualche giorno a rompere la trattative augurandoci che codesto Governo possa riuscire a persuadere la Sublime Porta a procedere senza indugio alla firma per la Libia e a tutti gli atti che si erano convenuti nell'ordine cronologico che si era pure concordato.

1049

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. 1566. Roma, 11 ottobre 1912, ore 18,30.

Suo telegramma Gabinetto 299 1• Indipendentemente dal mio vivo desiderio di avere il piacere di conoscere il conte e la contessa Berchtold, che può influire sulla mia opinione intorno all'opportunità che la sua visita abbia luogo egualmente malgrado le presenti complicazioni politiche, prego V.E. di tener presente, e, se crede, di esporgli le seguenti considerazioni. Il rinvio a tempo indeterminato e probabilmente remoto della visita potrebbe dar luogo ad impressioni e commenti che è meglio evitare, e potrebbe far credere a pericoli maggiori per la pace europea di quelli che realmente esistono. L'assenza di Berchtold da Vienna in questo momento è certo un inconveniente, ma tale inconveniente mi pare attenuato dalla brevità dell'assenza e largamente compensato dai vantaggi molteplici ed immensi della conoscenza ed affiatamento personale e delle conversazioni dirette. L'utilità dei nostri colloqui sarà ancora maggiore in vista delle future possibili complicazioni. V.E. ricorda quanto e quale utile effetto abbiano avuto i miei colloqui con AehrenthaF.

1049 1 T. Gab. 1606/299 del IO ottobre, non pubblicato. 2 Per la risposta cfr. n. l 058.

1050

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. 1569. Roma, 11 ottobre 1912, ore 19,20.

Ambròzy mi ha fatto conoscere che un membro influente del Governo turco ha fatto in modo non ufficiale l'osservazione che se le Potenze riesciranno a trattenere dalla guerra la Bulgaria, Serbia e Grecia, la Sublime Porta sarebbe pronta a mettere nelle mani delle Grandi Potenze la realizzazione delle riforme che esse trovano necessane.

Quantunque questa osservazione non abbia carattere ufficiale, il ministro d'Austria ad Atene è stato autorizzato a valersene prudentemente, se l'occasione si presenta, nelle sue conversazioni cogli uomini di Stato ellenici.

1051

IL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA, AL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI 1

T. Pera, 11 ottobre 1912, ore 19,45 (per. ore 23,58).

Confermo telegrammi 73 e 742 .

Ricevuto telegramma d 'urgenza.

Articolo trattato pace relativo truppe stato mantenuto come vostro articolo due salvo paragrafo relativo evacuazione effettiva che stato sostituito con seguente paragrafo: modalità ritiro truppe come pure tutte altre condizioni e disposizioni determinanti situazione e interessi rispettivi dei contraenti su territori citati faranno oggetto di trattato speciale.

Articolo sesto, trattato speciale come segue: Evacuazione isole avrà luogo simultaneamente alla evacuazione Tripolitania. Tuttavia se vi sarà uno di quelli che desiderassero rimanere in Tripolitania essi saranno considerati dal Governo turco come dimissionari. Evacuazione truppe turche avrà luogo dopo fatto lettura nelle dette provincie del firmano proclamante autonomia.

1051 1 Cfr. n. 1001, nota l.

Non rinvenuti.

Riguardo annualità vengo assicurato da Carasso che potendosi offrire 70 milioni media fra gli altri domanda e offerta, tutta vostra modificazione potrà essere accettata anche iradè isole, adoperando espressione miglioramento invece riforme.

Avendo pregato il presidente del Senato dare appoggio soluzione punto pendente specialmente iradè isole, ha risposto essere impossibile accondiscendere domanda Italia fuorchè nella forma di estendere alle isole riforme quali saranno accordate alla Turchia europea, aggiungendo essere inutile avere scrupoli per isole.

Inoltre Potenze avendo domandato risposta entro 24 ore alla nota chiedente riforme Turchia europea stata presentata ieri, se Turchia risponderà accettando, Gabinetto sarà rovesciato senza indugio.

1052

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI

L. PERSONALE 951. Roma, 11 ottobre 1912.

Ho attentamente esaminato le idee esposte nella lettera del collega della guerra, che ti sei compiaciuto comunicarmi colla tua del 10 ottobre1 e che qui unita ti restituisco.

A parer mio, il generale Spingardi ha, in massima, perfettamente ragione. Le questioni sollevate nella sua lettera essendo infatti di carattere prevalentemente militare, trovo giustissimo che sopra di esse sia chiamato a pronunciarsi in primo luogo l'elemento militare. Penso anzi che sarebbe l'ora che il ministro della guerra fosse invitato a formulare in modo concreto e particolareggiato quelle proposte, cui egli accenna ora soltanto in termini generali.

Per parte mia, mi limito ora ad osservare circa i diversi punti enumerati nella lettera:

ad l) che l'ordine di ritiro delle truppe turche, dalla Libia dovrebbe essere dato dal Governo ottomano ai due comandanti superiori delle sue forze in Tripolitania e Cirenaica -simultaneamente all'annuncio che noi ne daremmo ai nostri Comandi;

ad 2) che gli argomenti addotti dal generale Spingardi per sostenere la convenienza dello sgombro delle truppe ottomane attraverso le frontiere di Tunisia e d'Egitto, hanno certamente il loro valore. Ma che altri se ne possono addurre in senso contrario; questo soprattutto: che, soltanto col ritiro dei regolari turchi attraverso la zona costiera della Libia, ci è possibile di accertare in modo sicuro che il passo del ritiro è stato regolarmente adempiuto -il che, per ovvie ragioni, ha per noi

1052 1 L. personale, non pubblicata.

una singolare importanza, anche perchè ne dipende il termine di sgombro, da parte nostra, dalle isole dell'Egeo;

ad 3) che certo sarebbe desiderabile assicurarci che i turchi asportino completamente le armi, e le munizioni; che ciò si potrà ottenere per quelle appartenenti all'esercito e giacenti nei depositi; ma che sarà invece assai difficile per quelle che furono distribuite per le tribù arabe -salvo ad ordinare più tardi il disarmo di queste ultime con atto di nostra autorità.

Parmi, in linea generale, che non occorra dimenticare che, per quanto il Governo ottomano esageri a disegno le difficoltà che si oppongono al ritiro delle sue truppe dalla Libia, pure queste difficoltà esistono realmente, e che è equo teneme conto senza arrischiare di aggravarle.

1053

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6269/753. Vienna, 12 ottobre 1912, ore 2,30 (per. ore 4 del 13).

Berchtold mi ha detto che Sublime Porta non aveva ancora data alcuna risposta al passo collettivo delle Potenze, ma a quanto prevedeva Pallavicini, questa non sarebbe stata favorevole. Dubitava che in termini non dissimili sarebbe stata concepita risposta degli Stati balcanici al passo de li'Austria-Ungheria e Russia.

Egli considerava la guerra come inevitabile. In ciò lo confermavano le notizie dategli da persone giunte in questi giorni da Sofia ed aveva impressione che guerra sarebbe scoppiata lunedì.

Quanto alla guerra tra Montenegro e Turchia i fatti di armi fino ad ora avvenuti erano considerati da questi circoli militari come non aventi una reale importanza.

1054

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. SEGRETO 1572. Roma, 12 ottobre 1912, ore 14,25.

Faccio seguito al mio telegramma n. 1565 1•

l 054 1 T. Gab. urgente precedenza assoluta 1565 dell'Il ottobre, non pubblicato.

I nostri delegati ad Ouchy, con telegramma giunto in questo momento, comunicano che il Governo ottomano, in contraddizione colle condizioni di pace, che esso aveva accettato ed in parte offerto, e che facevano prevedere firma imminente, ha inviato per telegrafo ai suoi delegati in Ouchy un progetto di trattato di pace, che sarebbe immediatamente esecutivo per tutti le parti favorevoli alla Turchia, ma rimanda a dopo l'eventuale approvazione del Parlamento ottomano l'emanazione del firmano relativo alla Tripolitania e Cirenaica e la evacuazione delle truppe regolari ottomane da quelle province. Anche per le isole non vuole più consentire ad emanare il decreto convenuto in favore di quegli abitanti.

Avuta tale comunicazione, i delegati italiani hanno fatto seguire loro dichiarazione scritta che, nei termini più recisi, protesta per inopinato sconvolgimento accordi lungamente elaborati sopra base proposta dallo stesso Governo turco e per la infondatezza delle ragioni addotte per giustificarlo. Nella stessa dichiarazione i nostri delegati aggiungono che il fatto che sia trascorso inutilmente il termine fissato dal Governo italiano per la firma dell'accordo, lo aveva indotto a diffidare delle disposizioni della Turchia a conchiuderlo e lo aveva determinato a predisporre la efficace ripresa delle operazioni militari.

Come V.E. ricorda, il termine è scaduto avanti ieri giovedì dieci corrente. Lo abbiamo prorogato sino a tutt'oggi sabato 12. Oggi perciò dovremmo rompere le trattative. Tuttavia, per dare una prova di più del nostro spirito di conciliazione, telegrafiamo ai nostri delegati che proroghiamo il termine per la firma dell'accordo e per la rottura dei negoziati sino al giorno di martedì quindici corrente, ma intanto riprendiamo subito e senza indugio le operazioni militari e navali ispirandoci al criterio esclusivo della loro efficacia militare senza più usare alla Turchia quei riguardi politici da cui essa trae l'incoraggiamento ad una resistenza che ne prepara, forse, la rovina. Ripeto che fino al giorno di martedì quindici corrente siamo ancora pronti a firmare l'accordo alle condizioni che si erano concordate, ma dopo la rottura dei negoziati la pace non sarà più possibile che a condizioni molto più gravi per la Turchia.

Prego VE. di esprimersi senza indugio nei suddetti termini con codesto ministro degli affari esteri, il quale senza dubbio comprenderà che affrettandosi a tenere a Costantinopoli un linguaggio energico, renderà alla Turchia, assai più che a noi, un grande servizio. Prego pure V.E. di domandare confidenzialmente, ma eplicitamente, a codesto Governo se riconoscerebbe la nostra piena ed intera sovranità sulla Libia qualora noi per mostrarci estremamente concilianti ci contentassimo di un trattato di pace pubblico in cui la Turchia si obbligasse soltanto a ritirare le truppe regolari ottomane dalla Tripolitania o Cirenaica, senza che nel detto trattato si dica altro su quelle province, rinunziando temporaneamente o definitivamente al firmano. Siccome ciò che a noi più importa è il riconoscimento delle potenze, così la nostra maggiore o minore disposizione a fare qualche concessione alla Turchia dipende in grandissima parte dalla certezza che tali eventuali concessioni non siano di ostacolo al riconoscimento 2 .

1054 2 Per il seguito cfr. n. 1056.

1055

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 6260/329. Atene, 12 ottobre 1912, ore 18 (per. ore 19,55).

Questa legazione di Russia crede imminente, forse per oggi o domani, presentazione nota identica dei tre Gabinetti alla Turchia e inevitabile la dichiarazione di guerra che a scadenza di uno o due giorni vi seguirebbe. Eguale previsione, secondo un telegramma ambasciatore d'Inghilterra a Pietroburgo al suo collega in Atene avrebbe formulato Sazonoff. Miei colleghi inglese e austro-ungarico esitano al pari di me a condividere quell'opinione.

Concentrazione e preparativi di guerra greci non sono ancora compiuti. I quattro cacciatorpedinieri inglesi che riceveranno ad Algeri equipaggio ellenico non potranno trovarsi Pireo prima del 17 corrente. Lo stesso dicasi del cacciatorpediniere di Vulcano. Ma a prescidere da ciò non sembra presumibile che comunicazione dei tre Gabinetti da farsi a Costantinopoli e da parteciparsi alle Potenze, possa condurre in due giorni alla dichiarazione di guerra, per quanta fretta di agire abbia Bulgaria che è già pronta. E però convizione generale che entro settimana prossima sarà presa decisione risolutiva.

1056

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. 1574. Roma, 12 ottobre 1912, ore 21.

Faccio seguito al mio telegramma Gabinetto n. 15721 .

Per norma di linguaggio di V.E. riassumo la storia delle trattative di Ouchy.

L'accordo si era fatto sulle basi seguenti che i governi avevano sostanzialmente accettato e che erano state in buona parte proposte dal Governo ottomano.

Il Governo ottomano doveva anzitutto emanare un decreto di amnistia per Idrissi. Subito dopo si sarebbe firmato tra Italia e Turchia un accordo segreto nel quale la Turchia si obbligava ad emanare entro tre giorni un decreto in favore degli abitanti delle isole Egee ed un firmano per accordare alla Tripolitania e Cirenaica la più larga autonomia nominando un rappresentante del sultano con attribuzioni non

l 056 1 Cfr. n. l 054.

ben definite e concordando segretamente con noi la scelta della persona. Esso sarebbe stato pagato da noi. Il preambolo del firmano doveva contenere consigli di pace agli arabi. Nello stesso accordo segreto l'Italia si obbligava ad emanare tre giorni dopo il firmano un reale decreto di esecuzione della legge del 27 febbraio sulla sovranità nostra in Libia, espressamente citato nel detto decreto, con cui si accordavano amnistia ed altre concessioni agli arabi e si ammetteva un rappresentante del sultano come califfo per tutelare gli interessi religiosi e quegli altri interessi ottomani che sarebbero rimasti colà dopo la predetta legge di sovranità. Tali atti dei due Governi segretamente concordati dovevano apparire spontanei ed unilaterali.

Tre giorni al massimo dopo la pubblicazione del nostro decreto si doveva firmare il trattato pubblico contenente l'obbligo del ritiro delle truppe regolari ottomane dalla Libia e le stipulazioni relative alla restituzione delle isole, alle capitolazioni, alla somma da versarsi al debito pubblico per la capitalizzazione dei suoi redditi, eccetera.

Stabilito così l'accordo, il Governo ottomano affacciò nuove pretese e ritirò alcune delle condizioni che aveva accettato, e anche in questo noi ci mostrammo concilianti consentendo a non parlare del trattamento dei sudditi di Libia nell'Impero ottomano, a non chiedere indennità per gli italiani esplulsi, ad adottare una formula di transazione per l'obbligo di non mandare combattenti, armi e munizioni in Libia, eccetera.

Senza dubbio il Governo ottomano ha dovuto interpretare come debolezza ed impazienza di pace tale nostra longanimità e come impotenza, derivanti da motivi diplomatici o militari, quella lunga astensione da operazioni militari fuori dalla Libia che ci siamo imposta finora per non incoraggiare all'insurrezione ed alla guerra i popoli balcanici e per non danneggiare gli interessi delle potenze neutrali.

Così solo può spiegarsi l'accecamento con cui il Governo ottomano ha d'un tratto annullato tutto il lungo lavoro dei delegati dei due Paesi, proponendo un trattato di pace nei termini indicati nel mio predetto telegramma Gabinetto n. 1572 che non può essere stato concepito con la seria e sincera speranza di vederlo accettato e che è in completa contraddizione con tutto quello che tra i due Governi era stato concordato.

In tale stato di cose codesto Governo riconoscerà senza dubbio che noi abbiamo dato una nuova prova di longanimità concedendo prima della rottura definitiva un nuovo termine ed aumentando anche la somma offerta per il riscatto dei redditi del debito pubblico ed esso comprenderà che se martedì 15 corrente la rottura avverrà, la nostra dignità, il nostro interesse, l'unanime e legittimo volere della Nazione italiana, che ha dato e dà un così magnifico spettacolo di fermezza e di calma, ci impongono di fare alla Turchia la guerra a fondo senza limitazione ed attenuazioni che, incoraggiandola ad una folle resistenza e ad una sleale condotta, costituirebbero un pericolo per la esistenza della Turchia stessa e per gli interessi politici ed economici dell'Europa coi quali l 'Italia sente che i suoi sono intimamente solidali.

1057

IL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A OUCHY, VOLPI, AL DIRETTORE DELLA SOCIETÀ COMMERCIALE D'ORIENTE A COSTANTINOPOLI, NOGARA

T. Ouchy, 12 ottobre 1912, ore 22.

Conforme quanto telegrafato, ieri abbiamo ora consegnato ultimatum respingendo qualunque discussione nuove proposte protesta mutamento profondo indizio volontà turca nulla concludere. Abbiamo dichiarato insistere assolutamente firma accordo segreto nostra redazione colle varianti a lei note; inoltre abbiamo consentito 50 milioni e che iradè isole non inserisce parola riforme ma istituzioni.

Per Idris accettiamo forma proposta. Naturalmente firmano autonomia, decreto reale forma anteriormente approvata Consiglio ministri.

Termine estremo firma accordo entro martedì 15.

Pieni poteri nulli perchè firmati ministro esteri non sultano. Abbiamo consigliato caso accettazione nostra domanda depositare nuovi pieni poteri firma sultano presso ambasciata Germania.

Nostra convinzione presente impotenza politica Gabinetto rende impossibile qualunque accordo a meno che intervenga supremo interesse pericolo Turchia intesa Gabinetto Comitato e Comando militare.

Sua norma domani squadra riprenderà azione energica contro forti turchi; partita anche divisione Viale entrando immediatamente azione. Governo italiano ha comunicato Potenze mutamento contegno Governo ottomano.

1058

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1627/302. Vienna, 13 ottobre 1912, ore 2 (per. ore 3,30).

Telegramma di VE. Gabinetto 1566 1• Ho esposto al conte Berchtold le considerazioni contenute nel telegramma suddetto di VE. Berchtold mi ha detto che si associava a quelle considerazioni riconoscendole giustissime.

l 058 1 Cfr. n. l 049.

Egli aveva, al pari V.E., grande desiderio di fare personale sua conoscenza e di intrattenersi con lei, specialmente nelle presenti circostanze politiche. Ma non poteva certo non tener conto della impressione che avrebbe prodotto sull'opinione pubblica della Monarchia, ove si assentasse da Vienna, anche per due giorni soltanto, nella grave situazione attuale. Del resto egli dipendeva dagli organi dell'imperatore e non sapeva se Sua Maestà non gli avrebbe ingiunto di rimanere in questo momento.

Berchtold ha aggiunto che era sua intenzione di giungere colla consorte la sera del ventuno a Pisa e rimanere in Italia fino al ventitrè a sera. Ma, per le ragioni suddette, non era in grado dire, per ora, in modo definitivo se la sua visita avrebbe potuto aver luogo realmente.

1059

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1635/308. Londra, 13 ottobre 1912, ore 3, 15 (per. ore 18,20).

Grey essendo assente per la giornata, sono stato a casa di Nicolson e gli ho dato comunicazione di telegramma V.E. Gabinetto n. 15741•

Nicolson ha osservato che le stipulazioni concordate erano molto sottili e complicate e mi ha pregato di riassumerle in un memorandum confidenziale che, salvo ordini contrari di V.E. gli consegnerò domani. Nicolson ha aggiunto che i particolari delle dette stipulazioni non lo concernevano. Ciò a cui Governo britannico tiene prima e sopra tutto è che la pace fra l'Italia e Turchia sia conclusa al più presto. Quando la pace sarà [ .... F conformemente a dichiarazioni già fatte da Grey e da lui stesso, Italia, salvo naturalmente solide riserve commerciali, non ha da tenere alcuna obiezione o difficoltà da parte dell'Inghilterra per quanto concerne riconoscimento sovranità sulla Libia. Notizia probabile rottura negoziati ha pertanto cagionato qui vivissimo generale rincrescimento. Nicolson spera che secco, ma significativo monito di Grey avrà benefica influenza Costantinopoli. Egli però teme che turchi abbiano perduta testa. Benchè Nicolson non vi abbia esplicitamente accennato, ho impressione che, a suo avviso, ripresa nostra azione navale prima della rottura definitiva negoziati, anzichè giovare nuocerebbe conclusione pace, perchè accrescerebbe difficoltà Governo ottomano di fronte ai già soverchiamente eccitati spiriti. Avendo io chiesto qualche maggiore spiegazione sulla riserva commerciale, egli mi ha ripetuto quanto mi aveva già detto in linea generale, aggiungendo che domani avrebbe fatto consultare precedenti. Circa abolizione capitolazioni in Egitto io non ho mancato dare alcun affidamento, essendomi sembrato capire che non si tratta di condizioni, ma di un semplice desiderato.

l 059 1 Cfr. n. l 056. 2 Gruppo indecifrato.

1060

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, RINELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6294/166. Belgrado, 13 ottobre 1912, ore 9,30 (per. ore 7,45 del 14).

Mio telegramma precedente'.

Oggi alle ore l 7 è stata consegnata in due note separate, ma identiche al ministro d'Austria-Ungheria ed al ministro di Russia la risposta di questo Governo al noto passo delle Potenze così concepita: «Governo serbo d'accordo con Gabinetti Sofia ed Atene esprime gratitudine per interessamento che le Grandi Potenze hanno dimostrato a favore delle popolazioni della Turchia d'Europa e per le loro promesse di prendere in mano le riforme in Turchia sulla base dell'articolo 23 del Trattato di Berlino. La Serbia d'intesa con la Bulgaria e Grecia stima, però, sarebbe crudele non cercare di ottenere per i cristiani dell'Impero riforme più radicali e definite ed hanno creduto quindi dirigersi direttamente al Governo ottomano indicando principii sui quali riforme da introdurre devono basarsi e le garanzie da accordarsi per sincera applicazione. I Gabinetti balcanici credono che se la Sublime Porta vuole accogliere tali proposte l'ordine e la tranquillità verranno ristabilite nell'Impero ed assicurata pace solida tra la Turchia e gli Stati balcanici».

A tale documento è stata annessa la nota che alle ore 4 è stata consegnata a quel ministro di Turchia redatta nei termini seguenti: «Malgrado il passo delle Grandi Potenze, promettente prendere in mano realizzazione riforme nella Turchia europea Serbia, Bulgaria, Grecia credono dirigersi direttamente alla Sublime Porta dichiarando che solo riforme radicali realmente ed integralmente applicate possono migliorare sorti popolazioni cristiane dell'Impero, garantire ordine, tranquillità ed assicurare pace solida tra la Turchia e gli Stati balcanici.

Serbia, Bulgaria e Grecia nel rincrescimento che il Montenegro non possa partecipare a tale passo essendo in guerra, invitano Sublime Porta procedere subito ed in concerto con le potenze e gli Stati balcanici alla elaborazione ed introduzione in Turchia delle riforme previste dall'articolo 23 del Trattato di Berlino sulla base della nazionalità etnica (autonomia amministrativa delle province. Governatore generale belga o svizzero. Assemblea generale, gendarmeria, milizia, insegnamento libero) affidandone applicazione ad un Consiglio superiore di cristiani e musulmani in numero uguale sotto la sorveglianza delle Grandi Potenze e dei ministri balcanici a Costantinopoli».

Serbia, Bulgaria e Grecia sperano che la Sublime Porta accetti tali domande impegnandosi mettere in esecuzione entro sei mesi, riforme elencate nell'accluso documento e revocando, intanto, come prova del suo assenso, decreto di mobilitazione.

1060 1 T. urgentissimo 6283/165 del 13 ottobre, non pubblicato.

1061

L'INCARICATO D'AFFARI A PIETROBURGO, DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1646/140. Pietroburgo, 13 ottobre 1912, ore 12,20 (per. ore 21,40).

Telegramma di V.E. Gabinetto 1565 1• Ho avuto con Sazonoff una lunga e amichevole conversazione, in seguito alla quale egli mi ha autorizzato a telegrafare a V.E. nei termini seguenti da me stesso proposti: appena cesseranno le ostilità fra Italia e Turchia, esistendo già il possesso di fatto da parte dell'Italia, la Russia riconoscerà la nostra sovranità piena ed intera in Libia qualunque saranno per essere le condizione di pace. Ottenuta questa dichiarazione inspirandomi al contenuto del telegramma di V.E. Gabinetto 15072 , ho creduto essere giunto il momento per tastare il terreno onde conoscere se Sazonoff, anche in queste condizioni, pensava di procedere al riconoscimento in modo isolato o previo accordo con Francia e Inghilterra. Dopo lunga ed amichevole discussione nella quale ho dimostrato come un riconoscimento da parte della Russia che arrivasse prima di quello di ogni altra potenza sarebbe stato un esempio per le altre; il coronamento di tutta la opera amichevole della Russia ed una solida base per i nostri intimi rapporti futuri, siamo restati intesi che: al momento opportuno il ministro degli affari esteri mi avrebbe comunicato senz'altro il riconoscimento della Russia e avrebbe poi telegrafato a Parigi e Londra che il Governo russo stava per dare il riconoscimento e consigliava i Gabinetti dell'Intesa a fare altrettanto.

Stando così le cose io mi permetto sottomettere a V.E. l'idea che la notifica ufficiale della conclusione della pace sia fatta a Pietroburgo prima che in qualunque altra capitale in modo che si possa avere il riconoscimento della Russia prima che incominci fra i Gabinetti uno scambio di idee che potrebbe poi intralciare l'opera di Sazonoff. Intendo naturalmente parlare di un anticipo di mezza giornata e bisognerebbe tener conto del maggior tempo che impiegano i telegrammi per giungere qui. Come forma di riconoscimento della nostra sovranità intera, Sazonoff accennava alla rinuncia fatta a nostro favore delle capitolazioni, ma non dubito che acceterebbe altra forma se più gradita all'E.V. Al momento opportuno gradirei istruzioni in proposito.

1061 1 T. Gab. urgente precedenza assoluta 1565 dell'11 ottobre, non pubblicato. 2 Errore di trascrizione e di decifrazione si tratta in realtà del T. 1506 del 5 ottobre, non pubblicato.

1062

L'AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1633/235. Berlino, 13 ottobre 1912, ore 14,20 (per. ore 16).

Mio telegramma Gabinetto 234 1• Stamane mi sono fatto confermare da Kiderlen -Waechter che il riconoscimento della nostra piena sovranità sulla Tripolitania e Cirenaica ci sarebbe qui dichiarato anche in base soltanto ad un trattato pubblico di pace stipulante senz'altro il ritiro delle truppe ottomane da quei territori. Ad evitare ogni equivoco ho stimato utile di ripetere a Kiderlen -Waechter quelli che potrebbero essere ad un di presso i termini della nostra comunicazione, cioé «J'ai la satisfaction d'annoncer à V.E. qu'en date du (petits points) un traité a été conclu entre l'Italie et la Turquie qui met fin à l'état de guerre existant depuis l'annéé dernière entre les deux pays. La Sublime Porte s'étant engagée par ce traité à retirer ses troupes des territoires de la Tripolitaine et de la Cyrénai"que, qui par un décret royal du (petits points) ont été soumis à la pleine souveraineté de l'Italie, j'ai l'honneur de demander au nom de mon Gouvernement à VE. le reconnaissance par l' Allemagne de l'état de choses établi par ce décret». Non risultandomi ancora se V.E. approvi, o meno, una tal formula, mi sono [ ...]2 a Kiderlen-Waechter di viva voce senza !asciargliene copia, e anzi lo ho espressamente avvertito che essa era da me accennata verbalmente a titolo di esempio allo scopo soltanto di indicargli fin d'ora, ma con riserva delle ulteriori istruzioni del mio Governo, il tenore sostanziale della contemplata comunicazione.

1063

IL MINISTRO AD ATENE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6293/334. Atene, 14 ottobre 1912, ore 2 (per. ore 5,30).

Questo capo Gabinetto del Ministero affari esteri ha rimesso al ministro di Turchia, che accettò trasmetterla al suo Governo, nota e notizie esplicative di esigenze tre Stati riguardo riforme. Nota dice che, nonostante passi Grandi Potenze i tre Stati credono dover rivolgersi direttamente alla Sublime Porta per dichiararle che soltanto riforme radicali sinceramente e integralmente applicate possono migliorare sorte miserevole popolazioni cristiane, garantire ordine e tranquillità Impero, assicu

1062 1 T. Gab. segreto 1620/234 del 12 ottobre, non pubblicato. 2 Gruppo indecifrato.

rare solida pace fra la Turchia e gli Stati balcanici verso i quali Sublime Porta assunse troppo spesso attitudine arbitraria e provocante che nulla giustificava. Governi suddetti dolenti che il Montenegro non possa partecipare comunicazione causa avvenimenti sopravvenuti «invitanO>> Sublime Porta precedere immediatamente di concerto con Grandi Potenze e cogli Stati balcanici alla elaborazione ed introduzione nella Turchia europea riforme previste articolo 23 Trattato di Berlino fondandole sul principio della autonomia etnica ed affidandone applicazione ad un consiglio misto sotto la sorveglianza ambasciatori e ministri quattro Stati a Costantinopoli. Essi sperano che la Turchia potrà dichiarare accettazione tali domande ed impegnarsi eseguire entro sei mesi riforme contenute nota e notizie annesse e che, come prova del suo consenso, revocherà decreto mobilitazione. Notizia esplicativa è del seguente tenore:

l) conferma autonomia etnica nazionalità Impero con tutte le sue conseguenze; 2) rappresentanza proporzionale nel Parlamento di ciascuna nazionalità; 3) ammissione cristiani a tutti gli impieghi pubblici nelle province abitate da cristiani; 4) funzionamento su piede eguaglianza con le ottomane di tutte le scuole delle comunità cristiane; 5) impegno Sublime Porta di non modificare carattere etnico delle province con l'impianto colonie musulmane; 6) reclutamento regionale cristiani con quadri cristiani e, fino a formazione quadri, sospensione arrotamenti; 7) riorganizzazione gendarmeria sotto il comando effettivo organizzatori belgi e svizzeri; 8) nomina nei vilayet abitati anche da cristiani di valì belgi e svizzeri col gradimento Potenze ed assistiti da consigli generali elettivi; 9) istituzione presso il gran visiriato di un consiglio superiore composto in parti uguali di cristiani e di musulmani per sorvegliare applicazione riforme.

Ambasciatori e ministri quattro Stati avranno missione seguire funzionamento Consiglio. Contemporaneamente Governo ellenico ha rimesso ai ministri AustriaUngheria e di Russia nota responsiva nella quale, dopo accusata ricevuta della loro comunicazione e dichiarato accordo con gli altri Stati balcanici, esprime propria gratitudine per lo interesse spiegato dalle sei Grandi Potenze in favore popolazioni Turchia europea e per la loro promessa prendere in mano realizzazione riforme. Gabinetto greco comunica che, ciò nonostante, esso stima al pari Bulgaria e Serbia che, dopo tante promesse vane da parte della Turchia avrebbe [ ...]1 di non cercare ottenere in favore connazionali riforme più radicali e più definite atte migliorare realmente la loro sorte miserevole. Perciò [...]1 la nota gli Stati suddetti hanno creduto dovere rivolgersi direttamente Sublime Porta indicandole principi sui quali riforme devono fondarsi e garanzie loro applicazione. Essi sono sicuri che se Governo ottomano entrerà in questa via, ordine sarà ristabilito e solida pace firmata fra esso e gli Stati balcanici. Identico passo fu fatto Sofia e Belgrado. Ministro di Turchia Belgrado accettò trasmettere al suo Governo nota e notizie.

Ministro Atene accettò verbalmente ma tre ore dopo inviò lettera dichiarando non poterlo fare. Credo che lettera gli verrà restituita.

1063 1 Gruppo indecifrato.

1064

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. GAB. URGENTE PRECEDENZA ASSOLUTA 1614. Roma, 15 ottobre 1912, ore 19.

Oggi ore 18 è stato firmato ad Ouchy l'accordo preliminare di pace tra l'Italia e Turchia. Prego V.E. comunicarlo a cotesto Governo e ringraziarlo cordialmente delle prove di amicizia che ci ha dato in questa occasione.

1065

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, RINELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6348/168. Belgrado, 15 ottobre 1912, ore 19 (per. ore 0,55 del 16).

Alcuni colleghi, specialmente ministro di Germania, Austria-Ungheria e Inghilterra, anche dopo consegna della nota dai tre Gabinetti confederati alla Turchia, continuano credere alla possibilità evitare guerra balcanica restando aperto adito alla discussione. Tale ottimismo appare esagerato, poiché domande formulate al Governo ottomano furono di tanta importanza che questo Governo non nutre illusione che esse possano essere accettate o discusse dalla Turchia. Del resto linguaggio di queste sfere dirigenti escluderebbe ipotesi che conflitto possa essere scongiurato e farebbe prevedere che nel corso della settimana saranno aperte ostilità. Giornale ufficioso continua rilevare penose condizioni delle popolazioni cristiane dell'Impero e le provocazioni della Turchia, ultima delle quali proclama bellicoso rivolto dal sultano 12 corrente all'esercito. Riporta lista delle ultime atrocità commesse a danno cristiani e conclude che alla Turchia risale la responsabilità della guerra e che Stati balcanici faranno fino alla fine loro dovere.

1066

ACCORDO PRELIMINARE DI PACE TRA L'ITALIA E LA TURCHIA1

Ouchy, 15 ottobre 1912.

SA MAJESTÉ LE R01 D'ITALIE ET SA MAJESTÉ L'EMPEREUR DES 0TTOMANS animés par un égal désir de faire cesser l'état de guerre existant entre les deux pays et en vue de la

l 066 1 Ed. in Trattati e Convenzioni, vol. 22, n. XIV, pp. 226-232 e in MARTENS, 3 serie, tomo VII,

n. l, pp. 1-6.

difficulté d'y parvenir, provenant de l'impossibilité pour l'Italie de déroger à la loi du février1912, qui a proclamé sa souveraineté sur la Tripolitaine et sur la Cyrénai"que, et pour l'Empire Ottoman de formellement reconnaìtre cette souveraineté, ont nommé leurs Plénipotentiaires:

Sa Majesté le Roi d'Italie Monsieur Pietro Bertolini, Grand-Croix de l'Ordre de la Couronne d'Italie, Grand Officier de l'Ordre des SS. Maurice et Lazare, Deputé au Parlament, Monsieur Guido Fusinato, Grand-Croix de l'Ordre de la Couronne d'Italie, Grand-Officier de l'Ordre des SS. Maurice et Lazare, Deputé au Parlament, Conseiller d'Etat, Monsieur Giuseppe Volpi, commandeur des Ordres de SS. Maurice et Lazare et de la Couronne d'Italie;

Sa Majesté l'Empereur des Ottomans, Son Excellence Mehemmed Naby Bey, Grand Cordon de l'Ordre lmperial de l'Osmanié, Envoyé extraordinaire et Ministre plenipotentiaire de Sa Majesté l'Empereur des Ottomans, Son Excellence Roumbeyoglou Fahreddin Bey, Grand Officier de l'Ordre Imperial du Medjidie, Commandeur de l'Ordre Imperial de l'Osmanié, Envoyé extraordinaire et Ministre plenipotentiaire de Sa Majesté l'Empereur des Ottomans; lesquelles après avoir échangé leurs pleins pouvoirs respectifs, trouvés en bonne et due forme, sont convenus du modus procedendi secret suivant:

I. -Le Gouvemement Impérial s'engage à ce que dans un délai de trois jours au plus tard un Firman Impérial soit émané, adressé aux populations de la Tripolitaine et de la Cyrénai"que, conforme au texte ci-joint (Annexe n. l).

II. -Le représentant du Sultan et des chefs religieux devront ètre préalablement agrées par le Gouvemement Royal.

Les appointements du susdit représentant et des Naìbs seront fixés d'accord par les deux Gouvemements et payés sur les recettes locales; ceux du Cadi seront au contraire payés par le Gouvemement Impérial.

Le nombre des susdits chefs religieux ne pourra pas surpasser le nombre de ceux existant au moment de la déclaration de la guerre.

III.-Le Gouvemement Royal s'engage à ce que dans un délai de trois jours au plus tard à dater de la promulgation du Firman Impérial mentionné à l'artide I, un décret Royal soit émané conforme au texte ci-joint (Annexe n. 2).

IV. --Le Gouvemement Impérial s'engage à ce que dans un délai de trois jours, au plus tard, à dater de la promulgation du Firman Impérial mentionné à l'artide I, un Iradé Impérial soit émané conforme au texte ci-joint. (Annexe n. 3). V. --Immédiatement après la promulgation des trois actes unilateraux susdits les Plénipotentiaires des deux Hautes Parties contractantes signeront un Traité public conforme au texte ci-joint (Annexe n. 4).

VI. -Il reste naturellement entendu et consacré par le présent Accord que le Gouvemement Impérial s'engage à ne pas envoyer et à ne pas permettre l'envoi de Turquie en Tripolitaine et Cyrénai"que d'armes, de munitions, de soldats et d'officiers.

VII. -Les dépenses supportées respectivement par !es deux Gouvemements pour l'entretien des prisonniers de guerre et des òtages seront considérées comme compensées.

VIII. -Les deux Hautes Parti es contractantes s'engagent à maintenir secret le present Accord.

Toutefois les deux Gouvemements se réservent la faculté de rendre public cet Accord au moment de la présentation du Traité public (Annexe n. 4) aux Parlements respectifs.

Le présent Accord entrera en vigueur le jour mème de sa signature.

IX. -Il est bien entendu que les Annexes mentionnés dans le présent Accord en forment partie intégrante. En foi de quoi les Plénipotentiaires ont signé le présent Accord et y ont apposé

leurs cachets. Fait à Lausanne en deux exemplaires, le 15 octobre 1912.

(L. -S.) PIETRO BERTOLINI (L. -S.) Gumo FusJNATO (L. -S.) GIUSEPPE VoLPI (L. -S.) MEHEMMED NABY (L. -S.) RouMBEYOGLOU FAHRREDDIN.

ANNEXE N. l

AUX HABITANTS DE LA TRIPOLITAINE ET DE LA CYRÉNAIQUE

Mon Gouvemement se trouvant d'une part dans l 'impossibilité de vous donner les secours efficaces qui vous sont nécessaires pour défendre votre pays, soucieux d'autre part de votre bonheur présent et avenir; voulant éviter la continuation d'une guerre desastreuse pour vous et vos familles et dangereuse pour Notre Empire; afin de faire renaìtre dans votre pays la paix et la prosperité; me prévalant de mes droits souverains je vous concède une pleine et entière autonomie. Votre pays sera régi par des nouvelles lois et des règlements spéciaux, à la préparation desquels vouz apporterez la contribution de vos conseils afin qu'ils correspondent à vos besoins et à vos coutfrmes.

Je nomme auprès de vous camme mon représentant mon fidèle serviteur Chemseddin Bey avec le titre de Naìb-ul-Sultan, que je charge de la protection des intéréts ottomans dans votre pays. Le mandat que je lui confère a une durée de cinq ans; passé ce délai je me réserve de renouveler son mandat ou bien de pourvoir à sa succession.

Notre intention étant que !es dispositions de la loi sacrée du Chéri restent constamment en vigueur, nous nous réservont dans ce but la nomination du Cadi, qui à son tour nommera !es Naìbs parmi !es ulémas Jocaux, conformément aux prescriptions du Chéri. Les émoluments de ce Cadi seront payés par nous et ceux du Naìb-ul-Sultan aussi bien que ceux des autres fonctionnaires du Chéri seront prélevés sur !es recettes Jocales.

'

ANNEXE n. 2

SA MAJESTÈ LE ROI D'ITALIE:

vue la loi du 25 février 1912, n. 83, par laquelle la Tripolitaine et la Cyrénalque ont été soumises à la souveraineté pleine et entière du Royaume d'Italie;

Dans le but de hàter la pacification des susdites provinces;

Sur la proposition du Conseil des Ministres;

Nous avons décrété et decrétons:

ART. l. -Pleine et entière amnistie est accordée aux habitants de la Tripolitaine et de la Cyrénalque, qui aient pris part aux hostilités ou qui se seraient compromis en leur occasion, sauf !es crimes du droit commun. En conséquence aucun individu de quelque classe ou condition qu'il soit ne pourra ètre poursuivi ou troublé dans sa personne ou ses biens ou dans l'exercice de ses droits en raison de ses actes politiques ou militaires, ou bien des opinions qu'il aurait exprimées pendant !es hostilités. Les personnes détenues et déportées de ce fait seront immédiatement remises en liberté.

ART 2.-Les habitants de la Tripolitaine et de la Cyrénaique continueront à jouir camme par le passé de la plus grande liberté dans la pratique du culte musulman. Le nom de Sa Majesté Impériale le Sultan, comme Kalife, continuera à ètre prononccé dans !es prières publiques des Musulmans, et son représentant est reconnu en la personne nommée par elle; ses appointements seront prélévés sur !es recettes locales.

Les droits des fondations pieuses (vakouf) seront respectés comme par le passé et aucune entrave ne sera apportée aux relations des Musulmans avec le chef religieux appelé Cadi, qui sera nommé par le Cheix-ul-Islamat et avec !es Naìbs nommés par lui mème et dont !es appointements seront prélévés sur !es recettes locales.

ART. 3. -Le susdit représentant est aussi reconnu à l'effet de la protection des intéréts de l'Empire Ottoman et des sujets ottomans, tels qu'ils subsistent dans !es deux provinces après la loi du 25 février 1912, n. 83.

ART. 4. -Une Commission, nommé par Décret Royal et dont formeront part aussi des notables indigènes, devra proposer !es règlements civils et administratifs pour !es deux Provinces en s'inspirant aux principes de la liberté et au respect des usages et des coutùmes locales.

ANNEXE n. 3

Il sera procédé à des réformes administratives et judiciaires afin d'assurer aux habitants des ìles de la mer Egée sujettes à la souveraineté ottomane, la distribution égale de la justice, la sécurité et le bienètre sans distinction de culte et de religion.

Les fonctionnaires et !es juges seront nommés parmi !es personnes notoires connaissant la !angue locale et ayant la capacité voulue.

Pleine et entière amnistie est accordée aux susdits habitants qui aient pris part aux hostilités ou qui se seraient compromis en leur occasion, sauf !es crimes de droit commun. En conséquence aucun individu de quelque classe ou condition qu'il soit ne pourra étre poursuivi ou troublé dans sa personne ou ses biens ou dans l'exercice des ses droits en raison de ses actes politiques ou militaires ou bien des opinions qu'il aurait exprimées pendant !es hostilités. Les personnes détenues et déportées de ce fait seront immédiatement remises en liberté.

ANNEXE n. 4 (Cfr. n. 1077)

Les soussignés Délegués plenìpotentiaires déclarent que !es quattre annexe ci dessus forment partie intégrante au présent Accord préliminaire secret en conformité de l'article IX du mème Accord.

Lausanne le 15 octobre 1912 Pietro Bertolini Guido Fusinato Giuseppe Volpi Mehemmed Naby Bey Roumbeyoglou Fahreddin Bey

1067

DICHIARAZIONE SEPARATA SEGRETA1

Losanna, 15 ottobre 1912.

Déclaration séparée secrète

et qui ne pourra en aucun cas ètre rendue pub1ique, que 1es P1énipotentiaires de Sa Majesté le Roi d'Italie ont été autorisés à remettre aux Plénipotentiaires de Sa Majesté l'Empereur des Ottomans au nom du Gouvemement Royal.

Le Gouvemement Royal au moment où il renouvelle ses relations de paix et d'amitié avec le Gouvemement Impérial, s'engage à appuyer le principe du statu quo territorial de l'Empire Ottoman aussi bien dans les Balcans que dans la Mediterranée.

L.S. -f: Pietro Bertolini L.S. -f: Guido Fusinato L.S. -f: Giuseppe Volpi
1068

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE AL CAIRO, GRIMANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 3108/719. Il Cairo, 16 ottobre 1912.

Ringrazio l'E.V. per i due dispacci che si compiacque di indirizzarmi relativamente a Sceik el Zafer.

Il dispaccio n. 139, in data 20 settembre!, riassume tutte le notizie che ho avuta occasione di mandare io stesso a codesto Ministero sull'individuo. Il secondo dispaccio del 3 ottobre n. 1442 , mi dà invece interessanti informazioni sulla distribuzione

1067 1 «Copia autentica da consegnarsi al R. Governo per memoria».

1068 1 Non pubblicato.

2 Non pubblicato, ma cfr. n. 1024.

ed importanza dei medaniti in Tripolitania e Cirenaica, nonché sulle persone che pretendono di avere la direzione della setta. Mi preme sotanto, sulla base dei rapporti che ha inviati sull'argomento, di stabilire alcuni dati di fatto.

l) -Per quanto riguarda il capo medanita che risiede a Costantinopoli, col rapporto riservato alla persona in data 20 ottobre 1911, n. 1796/6793 , ho esposto all'E.V. le ragioni per cui S.A. il Kedive riteneva che sulla cooperazione del medesimo, cui per l'avvento dei Giovani Turchi al potere son stati tolti i vantaggi concessi da Abdul Hamid, si potesse contare. Sua Altezza si era allora offerta di adoperarsi per far partire dalla capitale ottomana Sidi Ibrahim El Cheik El Medani per porlo a contatto col R. Governo: a questo progetto di Sua Altezza non fu dato corso perché non mi pervenne più alcuna istruzione e non ho mai conosciuto in proposito il pensiero del Governo di Sua Maestà.

2) -Col medesimo rapporto ho riferito circa Sidi Mohamed ben Abdallah El Zafer El Medani, residente a Biar, presso Tantah (Egitto), ed i primi contatti avuti col medesimo: ogni azione in tal senso fu poi da me sospesa, sempre per mancanza di istruzioni ed ora son lieto di apprendere che per altra via quel pretendente ha stipulato un accordo col R. Governo.

3) -Circa Saied Zafer, che nel dispaccio di V.E. n. 144 è contrassegnato col mio nome, io non ho avuta alcuna parte nel porlo in luce: venne qui mandato dal Comando di Bengasi ed io da allora mi son limitato, quando ne ebbi l'occasione, di riferire i colloqui avuti col medesimo. Ad esso si riferivano principalmente il telegramma di Gabinetto n. 9, da me spedito il 4 febbraio4 , col quale riferivo i motivi pei quali El Zafer non credeva di poter più eseguire nell'interno della Cirenaica la missione commessagli dal Comando suddetto e la di lui proposta di recarsi a Costantinopoli, proposta che il R. Governo non ha allora combattuta (telegramma di V.E. n. 63 8 del 9 febbraio) 1 . Con telegramma di Gabinetto n. 985 e rapporto numero 1662/6386 , ambedue del 4 settembre, ho riferito le giustificazioni date da Sceik Zafer per spiegare di aver tardato circa otto mesi a ritornare da Costantinopoli e di non aver potuto dar notizie nel frattempo: riferii pure il progetto di azione in Cirenaica che egli, non richiesto, mi aveva sottoposto e che si riprometteva di poter attuare grazie alle lettere di Sidi Ibrahim, da lui ottenute a Costantinopoli.

Oltre ad essere stato per varie volte semplice organo di trasmissione ho detto, è vero, che Sceik Zafer si dichiarava e mi sembrava, per quanto è possibile esprimere un giudizio in queste faccende, nostro amico, perché mi sembrava necessario far conoscere ali 'E.V. anche queste impressioni. Ma non ho mai pensato né di fame un candidato speciale alla direzione della setta, né di cercare in lui un agente in Cirenaica, iniziativa che fu presa dal Comando di Bengasi.

l 068 3 Non rinvenuto.

4 T. 839/9, non pubblicato.

5 T. 1387/98, non pubblicato.

6 Cfr. n. 998.

Comunicato a Sceik Zafer l'ordine del R. Governo di non occuparsi più dell'azione da lui progettata, ma di tornare invece a Bengasi, egli mi ha assicurato che sarebbe partito il 22 corrente col piroscafo del Banco di Roma. Informerò a suo tempo l'E.V. se sarà effettivamente partito.

1069

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI

T. GAB. SEGRETO 1694. Roma, 17 ottobre 1912, ore 20,30.

Telegramma V.E. Gabinetto n. 3141• Le altre Grandi Potenze già ci hanno promesso di riconoscere la nostra sovranità sulla Libia senza nessuna di queste restrizioni commerciali o d'altro genere cui accenna Grey anzi la Russia l'ha già fatto. Mi pare quindi preferibile che V.E. aspetti a parlagli dell'argomento fino a che almeno altre Potenze abbiano dato l'esempio del riconoscimento incondizionato. In ogni modo poi, qualora Grey persistesse nel suo proposito di annunciare riserve, sarebbe desiderabile che almeno esse rimanessero segrete all'atto del riconoscimento da parte del Governo britannico, affinchè ciò non possa far nascere in altre potenze la intenzione che ora non hanno, di creare difficoltà; oppure che il riconoscimento avvenisse dopo quello delle altre potenze, per quanto ciò farebbe certo in Italia un'impressione poco utile alla cordialità dei rapporti fra le due nazioni.

Per ciò che concerne il merito della questione sollevata da Grey, debbo osservare che gli esempi da lui citati, di Tunisi e Marocco, non calzano. In Tunisia, infatti, se hanno continuato a sussistere, dopo l'occupazione francese, vincoli doganali a favore di altri Stati, ciò dipese dal fatto che coll'articolo 4 del Trattato del Bardo, la Francia aveva espressamente garantito l'osservanza di alcune convezioni preesistenti, che quei vincoli stabilivano. Così pure per il Marocco, il principio della libertà di commercio e della uguaglianza assoluta di trattamento fra tutti gli Stati, già contenuto in sostanza nella convezione di Madrid del 1880, fu solennemente formulato nel preambolo dell'atto di Algeciras del 1906, e confermato poi nella convenzione franco-germanica del 4 novembre 1911.

Si tratta dunque, nei due casi cui si potrebbe aggiungere quello del Congo di convezioni internazionali preesistenti, che davano alle Potenze il diritto di subordinare a riserve, che nelle convezioni stesse avevano radice, il riconoscimento del nuovo stato di cose. Nulla di tutto ciò accade in Libia, dove si tratta invece del passaggio di una provincia dalla sovranità di uno Stato a quella di un altro Stato. Ed è norma generalmente riconosciuta in diritto internazionale, come già le ricordavo

l 069 1 Con T. Gab. segreto 1660/314 del 14 ottobre, non pubblicato, Imperiali pregava Grey di dare una precisa risposta al problema del riconoscimento della sovranità italiana sulla Libia.

nel mio telegramma Gabinetto n. 15702 che i trattati vincolano soltanto la Potenza che li aveva contratti e, in caso di cessione del territorio, non costituiscono quindi obbligo sicuro per la potenza cui il territorio viene ceduto. Così, per la retrocessione alla Russia della Bessarabia e per l'acquisto di Kars ed altri territori in Asia non furono imposte alla Russia (art. 45, 58 del Trattato di Berlino), nè furono da alcuno reclamate condizioni di sorta. Così, in seguito all'occupazione della Bosnia-Erzegovina, l'Austria-Ungheria si crede senz'altro autorizzata a incorporare le due province nel territorio doganale dell'Impero, e nè allora, nè in occasione della trasformazione in annessione nel 1908-09, ciò dette luogo a contestazioni o negoziati di sorta. Finalmente a Cipro, l'Inghilterra stessa applicò i suoi principi di politica doganale in base ad una convezione speciale col Governo turco, senza che nessuno interloquisse in proposito.

Risulta dunque nel modo più evidente che nei casi, come il nostro della Libia, nei quali la Turchia cedette porzioni del suo territorio ad altre potenze, i trattati vigenti colla Turchia non furono risultati obbligatori, nè implicanti una restrizione qualsiasi, in quanto concerne i territori ceduti, per le Potenze che di questi territori acquistarono la sovranità.

Bene inteso, noi abbiamo il più fermo proposito di stabilire l 'uguaglianza di trattamento dal commercio inglese con quello di tutte le altre Nazioni straniere, ma non potremmo assumere nessun impegno nè di non imporre dazi in Tripolitania e Cirenaica sulle provenienze straniere in genere, nè di non elevare per un certo numero di anni diritti doganali su alcuni prodotti.

Quanto al reciproco impegno circa i rispettivi possedimenti nord-africani, non potrei per ora esprimere alcuna opinione, ignorando in che cosa dovrebbero consistere. Posso soltanto dire che desidero vivamente che i rapporti tra Italia e Inghilterra siano sempre calorosamente amichevoli e cordiali, come è antica tradizione, e che lavorerò costantemente a questo scopo.

1070

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 3493/845. Londra, 17 ottobre 1912 (per. il 24).

Faccio seguito al mio rapporto n. 673 del 31 luglio u.s. circa il traffico delle armi in Gibuti 1 .

1069 2 T. Gab. segreto 1570 dell'll ottobre, non pubblicato. 1070 1 Cfr. n. 947.

Due giorni fa mi giunse la risposta definitiva del Foreign Office al riguardo del nostro suggerimento di un eventuale limitazione dei depositi di armi a Gibuti.

Il Foreign Office mi scrive che il ministro britannico in Addis Abeba, consultato in proposito, ritiene che il suggerimento manca di praticità. Egli teme che se attuato possa portare non ad una diminuzione ma ad un aumento nella attività dell'illecito traffico, giacché ogni trafficante cercherà smerciare le armi come più presto potrà per fare posto pei nuovi arrivi. Il signor Thesiger dice che questa sue vedute sono condivise dai suoi colleghi italiani e francesi in Addis Abeba.

Mi riservo ritornare a conversare sullo argomento con sir W. Langley. Ho intanto voluto comunicare subito a V.E. questa risposta del Foreign Office.

1071

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 4051. Roma, 18 ottobre 1912, ore l,15.

(per tutti) Miei telegrammi nn. 3991 1 , 4012, 4042 2•

(per Vienna) e telegramma di V.E. n. 7743 .

(per Parigi) e telegramma di V.E. n. 4694 .

(per tutti) L'ambasciatore di Francia mi ha comunicato da parte del suo Governo la proposta seguente che modifica quella precedentemente presentata:

«Les Gouvernements russe et britannique s'accordent avec le Gouvemement francais sur la nécessité de préparer dès maintenant une médiation des Puissances entre les États balkaniques: cette médiation devrait, selon M. Poincaré, s'exercer aussitòt après que les premiers chocs auront calmé l'ardeur des belligérants et commencé à épuiser leurs forces.

En conséquence, M. Poincaré propose la formule ci après: l) Les Puissances se concerterent immediatement à l'effet d'interposer en temps opportun leur médiation entre la Sublime Porte et les Gouvernements des États balcaniques; 2) Si la mediation réussit, une Conférence internationale se réunira dans le plus bref délai pour l'étude et l'application des réformes à introduire dans la Turquie d'Europe; 3) Si la médiation échoue, la Conference se réunira de mème pour prendre à la fin des hostilités des mesures que commanderont le souci de la paix générale et l'intérèt commun de

1071 1 T. 3991 del 14 ottobre, non pubblicato: (Comunicazione dell'ambasciatore di Francia della proposta francese di mediazione).

2 T. 4012 e T. 4042 del 14 e 16 ottobre, non pubblicati.

3 T. 6370/774 del 16 ottobre, non pubblicato.

4 T. 6376/469 del 17 ottobre non pubblicato.

l'Europe; 4) Les Puissances s'accordent d'ailleure à ne rien entreprendre qui soit contraire à la souveraineté da S.M.I. le Sultan et à l'intégrité de l'Empire ottoman. Mi sono riservato di rispondere5 .

1072

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, PANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. 4053. Roma, 18 ottobre 1912, ore 3,20.

Faccio seguito al mio telegramma n. 4051 1• Prego dire a codesto ministro degli affari esteri che desidero che la risposta sia concordata fra i tre alleati nei suoi termini precisi, e perciò occorrerebbe che mi facesse conoscere subito il suo pensiero e, in ogni modo, che da nessuno dei tre Governi fosse data una risposta alla Francia se non dopo un accordo cogli altri due. Siccome Barrère insisterà certo per una pronta risposta, vorrei essere in grado di dargliene una per ora almeno in termini generali che non rischi di essere poi in disaccordo con quella di codesto Governo.

La mia impressione, che V.E. può comunicare a codesto Governo, è la seguente.

Mi par giusto che la mediazione o altra forma d'azione pacificatrice delle Potenze si eserciti dopo le prime battaglie, e non subito, perché ora fallirebbe certamente. Per questa parte la nuova proposta di Poincaré coincide colle osservazioni da me fatte a Barrère (mio telegramma n. 4012)2 .

Mi pare anche giusto che tale mediazione o azione pacificatrice si cominci a preparare fin da ora, perché il mettere d'accordo sei Potenze sopra ogni singolo passo, e talora sopra una parola o una frase, richiede certo molto tempo, e se si aspettasse, per uno scambio di idee in proposito il momento opportuno per agire, questo quasi certamente trascorrerebbe e nuove situazioni si formerebbero prima che l'accordo fosse raggiunto.

Mi pare dunque che si possano accettare il preambolo ed il primo capoverso della nuova formola di Poincaré.

Può essere, invece, prematuro accettare, senz'altro il secondo: credo però anch'io probabile che una conferenza possa essere in tal caso il mezzo migliore per raggiungere lo scopo, per i motivi addotti nei miei telegrammi nn. 4012 e 40423 . Si potrebbe perciò, senza impegnarsi sin d'ora ad accettare la conferenza, esprimersi in senso piuttosto favorevole, anche per non irritare Poincaré, che ci tiene molto.

Mi pare poi impossibile pronunciarsi fin d'ora sul terzo capoverso.

1071 5 Per il seguito cfr. n. 1072.

1072 1 Cfr. n. 1071.

2 T. 4012 del 14 ottobre, non pubblicato.

3 T. 4042 del 16 ottobre, non pubblicato.

Si potrebbe facilmente, accettare il quarto. Lo statu quo territoriale balcanico è la base della politica dei tre alleati. Quanto all'allusione alla sovranità del sultano, essa non dovrebbe, a parer mio, interpretarsi nel senso che sia da escludersi un'azione concorde ed energica delle Grandi Potenze, qualora i mezzi blandi ed amichevoli non riescano, per costringere la Turchia ad introdurre riforme efficaci a beneficio dei suoi sudditi cristiani, con effettivo controllo e cooperazione dell'Europa, nella forma la più possibilmente compatibile col prestigio del sultano.

Poiché senza controllo e cooperazione dell'Europa non sono praticamente possibili riforme tali da assicurare alla Penisola balcanica, e perciò all'Europa, alcuni anni di tranquillità e di pace, né tampoco di por fine alla guerra attuale.

1073

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1701/346. Parigi, 18 ottobre 1912, ore 14,30 (per. ore 17,35).

Poincaré mi ha detto che credeva che Inghilterra, prima di riconoscere nostra sovranità, avrebbe richiesto per sé regime commerciale e clausola nazione più favorita (?) 1 uguale a quello di cui gode al Marocco. Poincaré mi disse Francia non faceva nessuna domanda di questo genere, solo intendeva beneficiare di qualunque concessione si fosse fatta all'Inghilterra, non potendo rinunziare al regime della Nazione più favorita. Sarò grato a V.E. se vorrà pormi in grado di dare a Poincaré qualche schiarimento in proposito.

1074

IL MINISTRO A CETTIGNE, SQUITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6431/173. Cettigne, 18 ottobre 1912, ore 18,45 (per. ore 11,45 del 19).

La notizia della pace conclusa tra l'Italia e la Turchia era qui prevista e per così dire scontata.

Perciò non ha dato luogo a spiacevoli commenti, anzi le persone ben pensanti opinano che, avendo ora l'Italia mano libera, sarà in grado di patrocinare meglio gli interessi dei popoli balcanici al momento opportuno.

l 073 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

1075

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. GAB. SEGRETO 1707/316. Vienna, 18 ottobre 1912, ore 22,40 (per. ore 23,15).

Sin da quando andò delineandosi situazione politica attuale nei Balcani e si manifestò intenzione Stati Balcani attaccare Turchia, questi circoli militari, specialmente quelli che fanno capo al generale Conrad, ex capo di Stato Maggiore, avrebbero voluto che Monarchia assumesse contegno decisamente attivo, prevenendo, con occupazione militare Sangiaccato Novi Bazar, entrata in quella regione truppe serbe

o montenegrine o per lo meno impedendo, colla forza, la entrata di quelle truppe, ove dovesse avvenire. Secondo quanto mi è stato riferito da varie fonti autorevoli, a questi propositi bellicosi dei consigli militari si oppose l'imperatore, coadiuvato in ciò dal conte Berchtold e si dovrebbe anzi all'intervento diretto di Sua Maestà presso il capo di Stato Maggiore se i circoli militari hanno modificato loro propositi.

Una prova di ciò si avrebbe nelle parole recentemente dette dal generale Schemua a persona di fiducia sua cui avrebbe confidato che «gli erano state legate le mani e piedi». In seguito al prevalere di tali saggi proponimenti sembra che i circoli militari si sarebbero ora convinti dell'opportunità per l'Austria-Ungheria di rimanere spettatrice di fronte agli eventi che stanno per svolgersi nel Sangiaccato di Novi Bazar come nel resto della penisola, salvo naturalmente a tutelare gli interessi della Monarchia ove, a guerra finita lo statu quo ante non venisse ristabilito interamente nei Balcani.

1076

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, GIOLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 18 ottobre 1912.

Ho ricevuto la riservata personale di V.E. n. 21014 datata 15 ottobre corrente 1 riflettente alcune modalità per l'esecuzione del trattato di pace con la Turchia, ed ho portato la mia attenzione sui vari punti esaminati dall'E.V. convenendo in massima nelle idee che vi sono esposte, intorno alle quali richiamerò l'attenzione di chi sarà incaricato di discutere i particolari dell'esecuzione del trattato stesso.

1076 1 Non rinvenuta.

Sovra un argomento solo io porto una opmtone alquanto diversa da quella dell'E.V. ed è intorno alla via da assegnare alle truppe regolari turche per uscire dalla Libia. A mio avviso la via da preferirsi è attraverso la Libia stessa, per i luoghi di più facile imbarco.

Questa soluzione non tanto permetterà a noi di controllare il ritiro delle truppe stesse, ma darà modo agli indigeni di constatare de visu che le truppe turche se ne vanno effettivamente per consenso nostro e della Turchia e troncherà in sul nascere tutte le leggende che si potrebbero diffondere da chi ne avesse interesse circa la permanenza di reparti regolari turchi all'interno. Gl'indigeni avranno per tal modo la certezza che sono di fatto abbandonati dalla Turchia e che rimangono d'ora innanzi soli alle prese con le nostre forze.

Quanto alle modalità per la ritirata e l'imbarco delle dette truppe credo potranno essere regolate sul posto tra le nostre autorità e quelle turche.

1077

TRATTATO DI PACE TRA L'ITALIA E LA TURCHIA 1

Losanna, 18 ottobre 1912.

Sa Majesté le Roi d'ltalie et Sa Majesté l'Empereur des Ottomans animés par un égal désir de faire cesser l'état de guerre existant entre les deux pays, ont nommé leurs plénipotentiaires:

SA MAJESTÉ LE ROI D'ITALIE:

MoNSlEUR PIETRO BERTOLINI, Grand-Croix de la Couronne d'Italie, Grand-Officier de l'ordre des SS. Maurice et Lazare, député au Parlement; MONSIEUR Gumo FustNATO, Grand-Croix de la Couronne d'Italie, Grand-Officier de l'ordre des SS. Maurice et Lazare, député au Parlement, Conseiller d'Etat; MONSIEUR GIUSEPPE VoLPI, Commandeur des Ordres des SS. Maurice et Lazare et de la Couronne d'Italie;

SA MAJESTÉ L'EMPEREUR DES OTTOMANS:

SaN ExcELLENCE MÉHEMMED NABY BEY, Grand Cordon de l'Ordre Impérial de l'Osmanié, Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotentiaire de Sa Majesté l'Empereur des Ottomans;

SaN ExcELLENCE RouMBEYOGLOU FAHREDDIN BEY, Grand Officier de l'Ordre Impérial du Medjidié, Commandeur de l'Ordre Impérial de l'Osmanié, Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotentiaire de Sa Majesté l'Empereur des Ottomans;

1077 1 Ratificato dal Parlamento italiano con legge 16 dicembre 1912, G.U. 1912 n. 300. Ed. in Trattati e Convenzioni, vol. 22. n. XVI, pp. 243-248, in MARTEI'S, 3 serie, tomo VII, n. l, pp 710, in MALGERI, La guerra libica doc. Il, pp. 402-405.

lesquels, après avoir échangé leurs pleins pouvoirs respectifs et les avoir trouvés en bonne et due forme, sont convenus des articles suivants:

ART. l.-Les deux Gouvemements s'engagent à prendre, immédiatement après la signature du présent Traité, les dispositions nécessaires pour la cessation immédiate et simultanée des hostilités. Des Commissaires spéciaux seront envoyés sur les lieux pour assurer l' exécution des susdites dispositions.

ART. 2. -Les deux Gouvemements s'engagent à donner immédiatement aprés la signature du présent Traité l' ordre de rappel de leurs officiers, de leurs troupes, ainsi que de leurs fonctionnaires civils, respectivement le Gouvemement Ottoman de la Tripolitaine et de la Cyréna'ique et le Gouvemement Italien des iles qu'il a occupées dans la mer Egée.

L' effective évacuation des ìles susdites par !es officiers, !es troupes et !es fonctionnaires civils italiens aura lieu immédiatement aprés que la Tripolitaine et la Cyrénai'que auront été évacuées par !es officiers, !es troupes et !es fonctionnaires civils ottomans.

ART. 3. -Les prisonniers de guerre et !es òtages seront échangés dans le plus bref délai possible.

ART. 4. -Les deux Gouvemements s'engagent à accorder pleine et entière amnistie, le Gouvemement Royal aux habitants de la Tripolitaine et de la Cyréna'ique et le Gouvemement Impérial aux habitants des ìles de la mer Egée sujettes à la souveraineté ottomane, lesquels aient pris part aux hostilités ou qui se seraient compromis en leur occasion, sauf !es crimes de droit commun. En conséquence aucun individu de quelque classe ou condition qu'il soit ne pourra ètre poursuivi ou troublé dans sa personne ou ses biens ou dans l' exercice de ses droits en raison de ses actes politiques ou militaires ou bien des opinions qu'il aurait exprimées pendant !es hostilités. Les personnes détenues et déportées de ce fait seront immédiatement remises en liberté.

ART. 5. -Tous !es traités, conventions et engagements de tout genre, espèce et nature, conclus ou en vigueur entre !es deux Hautes Parties contractantes antérieurement à la déclaration de la guerre, seront remis immédiatement en vigueur et !es deux Gouvemements seront placés l'un vis-à-vis de l'autre, ainsi que les sujets respectifs, dans la situation identique dans laquelle ils se trouvaient avant !es hostilités.

ART. 6. -L'Italie s'engage à conclure avec la Turquie, en mème temps qu'elle renouvellera ses traités de commerce avec les autres Puissances, un traité de commerce sur la base du droit public européen, c'est-a-dire qu'elle consent à laisser à la Turquie toute son indépendance économique et le droit d'agir en matiére commerciale et douanière a l'instar de toutes les Puissances européennes et sans ètre liée par les capitulations et d'autres actes à ce jour. Il est bien entendu que ledit traité de commerce ne sera mis en vigueur qu' en tant que seront mis en vigueur !es traités de commerce conclus par la Sublime Porte avec !es autres Puissances sur la mème base.

En outre l'Italie consent à l'élévation de 11% à 15% des droits de douane ad valorem en Turquie, ainsi qu'à l'établissement de nouveaux monopoles ou au prélévement de surtaxes de consommation sur !es cinq articles suivants: pétrole, papier à cigarettes, allumettes, alcool, cartes à jouer. Tout cela à la condition qu'un mème

traitement soit appliqué simultanément et sans distinction aux importations des autres pays.

En tant qu'il s'agit de l'importation d'articles faisant l'objet d'un monopole, l'administration de ces monopoles est tenue de se foumir d'articles de provenance italienne suivant le pourcentage établi sur la base de l'importation annuelle de ces mèmes articles, pourvu que les prix à offrir pour la livraison des articles de monopole se conforment à la situation du marché au moment de l'achat, tout en prenant en considération les qualités des marchandises à foumir et la moyenne des prix, qui ont été notés dans les trois années précédentes à celle de la déclaration de la guerre pour lesdites qualités.

Il est en outre entendu que, si la Turquie, au lieu d'établir des nouveaux monopoles sur les cinq articles susmentionnés, se décidait à les frapper de surtaxes de consommation, ces surtaxes seraient imposées dans la mème mesure aux produits similaires de la Turquie et de toute autre Nation.

ART. 7. -Le Gouvemement Italien s'engage à supprimer les bureaux de poste italiens fonctionnant dans l'Empire Ottoman en mème temps que les autres Etats ayant des bureaux de poste en Turquie supprimeront les leurs.

ART. 8-La Sublime Porte se proposant d'ouvrir, en conférence européenne ou autrement avec les Grandes Puissances intéressées, des négociations en vue de faire cesser le régime capitulaire en Turquie, en le remplaçant par le régime du droit intemational, l'Italie, en reconnaissant le bien fondé de ces intentions de la Sublime Porte, déclare dès maintenant vouloir lui prèter à cet effet son plein et sincère appui.

ART. 9 -Le Gouvemement Ottoman voulant témoigner de sa satisfaction pour les bons et loyaux services qui lui ont été rendus par les sujets italiens employés dans les administrations et quil s'était vu forcé de congédier lors des hostilités, se déclare prèt à les rétablir dans la situation qu'ils avaient quittée.

Un traitement de disponibilité leur sera payé pour les mois passés hors d'emploi et cette interruption de service ne portera aucun préjudice à ceux parmi ces employés qui auraient droit à une pension de retraite.

En outre le Gouvemement Ottoman s'engage à user de ses bons offices auprès des institutions avec lesquelles il est en rapport (Dette publique, Sociétés de Chemins de fer, Banques, etc.) pour qu'il en soit agi de mème envers les sujets italiens, qui étaient à leur service et qui se trouvent dans des conditions analogues.

ART. 10-Le Gouvemement Italien s'engage à verser annuellement à la caisse de la Dette Publique Ottomane pour compte du Gouvemement Impérial une somme correspondante à la moyenne des sommes qui dans chacune des trois années précédentes à celle de la déclaration de la guerre ont été affectées au service de la Dette Publique sur les recettes des deux Provinces. Le montant de la susdite annuité sera déterminé d'accord par deux commissaires nommés l'un par le Gouvemement Royal, l'autre par le Gouvemement Impérial. En cas de désaccord, la décision sera remise à un collège arbitrai composé par les susdits commissaires et par un surarbitre nommé d'accord entre les dèux Parties. Si l'accord ne s'établit pas à ce sujet, chaque Partie désignera une Puissance différente et le choix du surarbitre sera fait de concert par les Puissances ainsi désignées.

Le Gouvemement Royal ainsi que l'Administration de la Dette Publique Ottomarre, par l'entremise du Gouvemement Impérial, auront la faculté de demander la

substitution de l'annuité susdite par le payement de la somme correspondante capitalisée au taux du 4%.

Pour ce qui se réfere au précédent alinéa le Gouvemement Royal déclare de reconnaìtre dés à présent que l'annuité ne peut ètre inférieure à la somme de lires i tali enne deux millions et qu'il est disposé à verser à l'Administration de la Dette Publique la somme capitalisée correspondante, aussitòt que demande en sera faite.

ART. Il. -Le présent Traité entrera en vigueur le jour mème de sa signature.

En foi de quoi les Plénipotentiaires ont signé le présent Traité et y ont apposé leurs cachets.

Fait a Losanne, en deux exemplaires, le 18 octobre 1912.

PIETRO BERTOLINI MÉHEMMED NABY Gumo FusiNATO ROUMBEYOGLOU FAHREDDIN GIUSEPPE VoLPI
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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione dal 30 marzo 1911 al 18 ottobre 1912)

MINISTRO

DI SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

LANZA DI ScALEA principe Pietro, deputato.

GABINETTO DEL MINISTRO

Affari confidenziali -Corrispondenza riservata e particolare del ministro -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del ministro col Parlamento e col Corpo diplomatico Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di Gabinetto: FASCIOTTT barone Carlo, consigliere di legazione di seconda classe (dall' 11 giugno 1911 consigliere di legazione di prima classe), fino al 15 luglio 1911; T o MASI DELLA ToRRETTA marchese Giulio, dal 16 luglio 1911 al dicembre 1911; DE MARTINO Giacomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, dal gennaio 1912.

Segretari: MANACORDA Aroldo, console di prima classe, dal febbraio 1912; BIANCHERI CHIAPPORI Paolo Augusto, segretario di legazione di terza classe; BRUSCHELLI Tommaso, segretario di seconda classe al commissariato dell'emigrazione.

GABINETTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO

Affari confidenziali -Corrispondenza riservata e particolare del sottosegretario di Stato -Ricerche e studi in rapporto al lavoro del sottosegretario di Stato Relazioni del sottosegretario di Stato col Parlamento e col Corpo diplomatico Udienze.

Capo di Gabinetto: CoNTARINI Salvatore, consigliere di legazione di prima classe (dal 14 luglio 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ).

Segretari: CHIARAMONTE BoRDONARO Antonio, segretario di legazione di prima classe (dal 3 settembre 1911 primo segretario di legazione); MELIARCA Ottavi o, primo segretario al Ministero delle poste e telegrafi; VIscoNTI VENOSTA Giovanni, addetto, dal 12 gennaio 1912.

SEGRETARIO GENERALE

BoLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe.

UFFICI ALLA DIRETTA DIPENDENZA DEL SEGRETARIO GENERALE

DIVISIONE I

Ragioneria ed Economato.

Capo di divisione: CALVARI Lodovico. SEZIONE I Bilanci e contabilità -Bilancio di previsione -Conto consuntivo -Revisione di contabilità attive dei regi agenti al! 'estero -Liquidazione delle spese degli uffici al! 'estero -Competenze mensili dei funzionari e del personale di servizio. Capo sezione: BoNAMrco Cesare. Primi ragionieri: CASONI Enrico; DE SANTIS Paolo; ScALZO Raffaele, dal 9 agosto 1911. Ragionieri: ScALZO Raffaele, fino all'8 agosto 1911; Bossr Mario; CERACCHI Giuseppe. SEZIONE Il Scritture -Conto corrente col Tesoro dello Stato -Conti correnti coi regi agenti all'estero.

Capo sezione: FANO Alberto. Primi ragionieri: VEROESI Ettore; LrVINALI Alessandro, dal 9 agosto 1911; CASONI Giovanni, dal 9 agosto 1911; AGOSTEO Cesare, dal 9 agosto 1911. Ragionieri: LrviNALI Alessandro, fino all'8 agosto 1911; CASONI Giovanni, fino all'8 agosto 1911; AGOSTEO Cesare, fino all'8 agosto 1911; PAOLINI Ennio. SEZIONE III

Tariffa consolare -Palazzi demaniali all'estero, arredamenti -Inventario dei mobili di proprietà dell'erario all'estero -Proposte per l'acquisto di mobili ad uso d'archivio degli uffici all'estero -Sussidi.

Capi sezione: D'AvANZO Carlo; CRIVELLAR! Quirino, dal 9 agosto 1911.

Primo ragioniere: CRIVELLAR! Quirino, fino all'8 agosto 1911; BoNAVINO Arturo, dal 9 agosto 1911.

Ragioniere: BoNAVINO Arturo, fino all'8 agosto 1911.

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SEZIONE IV

Economato e cassa

Inventario dei mobili del Ministero -Contratti -Spese d 'ufficio -Manutenzione dei locali -Magazzino -Personale degli uscieri -Corredi dei regi uffici al!' estero Custodia delle successioni. Servizio di cassa.

Capo sezione. Economo-Cassiere: VINARDI Giuseppe.

Primo ragioniere: RINVERSI Romolo.

Ragioniere: Bossi Carlo, dal 24 dicembre 1911.

CIFRA

Corrispondenza telegrafica e ordinaria in cifra -Compilazione, custodia e distribuzione dei cifrari.

Capo d'ufficio: VoLTATTORNI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe.

Segretari: BRAMBILLA Giuseppe, segretario di legazione di prima classe, dal 23 giugno 1911; DuRINI m MoNZA conte Ercole, segretario di legazione di seconda classe, dal maggio 1912.

STAMPA E TRADUZIONE

Spoglio e riassunto quotidiano dei giornali e periodici esteri e nazionali -Traduzioni.

Capo d'ufficio: DECIANI Vittorio Tiberio, consigliere di legazione di prima classe (dal 6 luglio 1912 inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe).

Segretario: AMADORI Giovanni, addetto, fino al 29 giugno 1911.

APERTURA, DISTRIBUZIONE E REGISTRAZIONE DELLA CORRISPONDENZA E SPEDIZIONE

Registrazione e sunto della corrispondenza in arrivo e in partenza -Rubriche per ragioni di luogo, di materia, di persona -Schedari -Spedizione della corrispondenza -Corrieri di Gabinetto.

Capo d'ufficio: SAINT-MARTIN Giuseppe, console di prima classe (dal 3 settembre 1911 console generale di terza classe), fino al 15 dicembre 1911; CiANCARELLI Bonifacio, console di terza classe, dal 16 dicembre 1911.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: BIANCHERI Cesare, console generale di prima classe, fino al 5 maggio 1911; KocH Ernesto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, dal luglio 1911.

DIVISIONE II

Personale e Cerimoniale.

Capo di divisione: LANDI VITTORJ Vittorio, console generale di seconda classe (dal 16 giugno 1912 console generale di prima classe).

SEZIONE I

Personale d'ogni categoria dipendente dal Ministero degli affari esteri (eccetto il personale delle scuole all'estero e quello di servizio) -Uffici diplomatici e consolari all'estero, loro istituzione e soppressione -Servizio d'ispezione degli stessi uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia Consiglio del Ministero -Concorsi -Ammissioni -Annuario del Ministero Elenchi del personale del Ministero -Atti pubblici -Libretti e richieste ferroviarie per il personale.

Capo sezione: DI MoNTAGLIARI marchese Paolo, consigliere di legazione di seconda classe, fino al 16 gennaio 1912.

Segretari: RANDACCIO Ignazio, console di prima classe, fino al 4 aprile 1911; MAZZIN! Ferdinando, console di seconda classe; LAGO Mario, segretario di legazione di prima classe; LOJACONO Vincenzo, segretario di legazione di seconda classe, dal novembre 1911; CAFIERO U go, addetto, dal 12 gennaio 1912.

SEZIONE II

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia Massimario -Visite e passaggi di sovrani e principi -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo sezione: VALENTINI Claudio, console generale di seconda classe.

Segretari: CAVRIANI Giuseppe, vice console di prima classe (dal 15 ottobre 1911 console di terza classe), dal 25 luglio 1911; Rossi Pier Filippo, vice console di seconda classe, fino al 22 maggio 1911; NEGRI Vittorio, vice console di seconda classe, fino al 15 gennaio 1912; MACARIO Nicola, addetto (dal 29 ottobre 1911 segretario di legazione di terza classe); G1usn Paolo Emilio, addetto consolare, dal 7 agosto 1912.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei regi uffici al! 'estero -Conservazione degli originali degli atti internazionali conclusi dal Regno d 'Italia e dagli Stati soppressi -Conservazione delle carte del Ministero riversate dagli archivi delle divisioni -Ricerche e studi preparatori pel Ministero e per gli uffici del dicastero -Memorie su materie storiche e questioni internazionali -Protocollo, inventari e schedari.

Direttore degli archivi: BEAUREGARD Felice, console di prima classe (dal 3 settembre 1911 console generale di terza classe).

BIBLIOTECA

Proposte per acquisto di libri e associazioni a giornali e riviste -Conservazione ed incremento delle pubblicazioni -Scambio di pubblicazioni con altri ministeri od istituti del Regno o di Stati esteri -Collezione e custodia di carte geografiche per uso del Ministero -Cataloghi, schedari -Raccolta sistematica di pubblicazioni del Ministero -Raccolta sistematica della legislazione straniera per ciò che può riguardare le relazioni internazionali e l'amministrazione degli affari esteri -Forniture di pubblicazioni a corredo di regi uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario: PASQUALUCCI Loreto.

TIPOGRAFIA

Direttore della tipografia: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BoLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 5 agosto 1911; F ASSATI m BALZOLA Ferdinando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, dal 6 agosto 1911.

DIVISIONE III

Capo di divisione: FAsSATI DI BALZOLA Ferdinando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, fino al 5 agosto 1911.

SEZIONE I

Carteggio in materia politica per affari concernenti l 'Europa -Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Rettifiche ed accertamenti di frontiera -Sconfinamenti militari Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione.

Capo sezione: DELLA ToRRE DI LAVAGNA conte Giulio, consigliere di legazione di seconda classe (dal 18 giugno 1911 consigliere di legazione di prima classe), fino al 30 settembre 1911; SACERDOTI DI CARROBBIO conte Vittorio, consigliere di legazione di seconda classe (dal 27 agosto 1912 consigliere di legazione di prima classe), dal l 0 ottobre 1911.

Segretari: MEDICI Giuseppe, segretario di legazione di seconda classe (dal 3 settembre 1911 segretario di legazione di prima classe); VANNUTELLI conte Luigi, segretario di legazione di seconda classe.

SEZIONE II

Carteggio in materia politica per affari concernenti il Levante e l'Africa -Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione di trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Capitolazioni -Riforme giudiziarie in Egitto -Spoglio dei giornali esteri per la stessa circoscrizione.

Capo sezione: CAETANI Livio, consigliere di legazione di prima classe.

Segretari: CENTARO Benedetto, segretario di legazione di prima classe, dal gennaio 1912; VARÈ Daniele, segretario di legazione di terza classe; FRESCOT Filiberto, segretario di legazione terza classe, dall'l l giugno 1912.

SEZIONE III

Carteggio in materia politica per affari concernenti l 'Estremo Oriente e l 'America Sunto quotidiano del carteggio -Stipulazione e interpretazione dei trattati politici relativi alla stessa circoscrizione -Spoglio dei giornali come sopra.

Capo sezione: AuoTTI Carlo, consigliere di legazione di prima classe, fino al 10 maggio 1912.

Segretari: MARTIN FRANKLIN Alberto, segretario di legazione di prima classe, fino al 30 luglio 1911.

DIVISIONE IV

Capo di divisione: BRUNO Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe.

SEZIONE I

Reclami di sudditi italiani verso Governi esteri e di sudditi esteri verso il Governo italiano.

Capo sezione: MAESTRI MoLINARI marchese Francesco, segretario di legazione di prima classe (dal 6 agosto 1911 consigliere di legazione di terza classe).

Segretari: GIANNUZZI SAVELLI Fabrizio, segretario di legazione di prima classe, dal 30 aprile 1911 al 31 agosto 1912; DE LucA Attilio Regolo, segretario di legazione di terza classe, dal 16 novembre 1911; BoLOGNESI conte Giulio, vice console di prima classe (dal 3 settembre 1911 console di terza classe), fino al 10 agosto 1912.

SEZIONE II

Polizia internazionale -Istituti ecclesiastici esteri nel Regno -Ammissione di ufficiali ed allievi stranieri nei regi istituti militari e marittimi -Pubblicazioni diplomatiche e Libri Verdi.

Capo sezione: ANCILLOTTO conte Giuseppe, consigliere di legazione di seconda classe (dal 18 giugno 1911 consigliere di legazione di prima classe), fino al 4 dicembre 1911.

Segretari: DEPRETIS Agostino, segretario di legazione di prima classe, fino al l 7 gennaio 1912; TosTI m VALMINUTA conte Mauro, segretario di legazione di terza classe, dal l o settembre 1912.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI

Direttore generale: LEVI Primo, console generale di prima classe.

DIVISIONE V

Capo di divisione: PELUCCHI Carlo, console generale di seconda classe (dal 13 luglio 1911 console generale di prima classe).

SEZIONE I

Carteggio relativo alla stipulazione e alla interpretazione dei trattati e degli atti commerciali internazionali -Studi e indagini di politica commerciale -Pubblicazioni d'indole economica -Bollettino del Ministero.

Capo sezione: N.N.

Segretari: CENTARO Benedetto, segretario di legazione di seconda classe (dal 3 settembre 1911 segretario di legazione di prima classe), dal 25 luglio 1911 al dicembre 1911; DuRAZZO marchese Carlo, console di seconda classe, fmo al 23 novembre 1911; TEDESCHI Ugo, console di terza classe, dal 30 novembre 1911; BrANCHI Vittorio, vice console di prima classe (dal l O febbraio 1912 console di terza classe); GENTILE Giuseppe, vice console di prima classe, fino al l o settembre 1911; CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, addetto, dal 12 gennaio 1912.

SEZIONE II

Reclami doganali -Sconfinamenti doganali -Congressi e conferenze commerciali.

Capo sezione: N.N.

Segretari: GRABAU Enrico, console di seconda classe, fino al 15 maggio 1911; Cou Guido, vice console di seconda classe, fino al 6 novembre 1911; MARINO Domenico, addetto consolare (dal 6 novembre 1911 vice console di seconda classe), fino al 25 settembre 1911; BIANCONI Alberto, addetto consolare, dal 21 marzo 1912.

DIVISIONE VI

Capo di divisione: AcTON Enrico, console generale di seconda classe, fino al 4 settembre 1911.

SEZIONE I

Esposizioni -Congressi internazionali di natura non politica né commerciale.

Capo sezione: SAVINA Oreste, console generale di seconda classe, fino al 7 aprile 1911; MANACORDA Aro l do, console di seconda classe (dal 18 luglio 1911 console di prima classe), dali '8 aprile 1911 al gennaio 1912.

Segretari: BoRGHETTI Riccardo, segretario di legazione di prima classe, fino al 13 luglio 1911; DuRINI DI MoNzA conte Ercole, segretario di legazione di seconda classe, dal 20 giugno 1911 all'aprile 1912; MoNZANI Riccardo, console di seconda classe, fino al 18 settembre 1911.

SEZIONE II

Servizi postali e marittimi -Ferrovie di interesse internazionale -Sanità pubblica. Capo sezione: SARTORI Francesco, console di seconda classe, fino ali' aprile 1911.

Segretari: GAVOTTI Lodovico, vice console di seconda classe, fino al 4 agosto 1911; INDELLI Mario, addetto consolare (dal 26 maggio 1912 vice console di seconda classe), dal l O maggio 1911; MoDICA Giovanni, addetto consolare, dal 18 marzo 1912.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI PRIVATI

Direttore generale: VACCAJ Giulio, console generale di prima classe.

DIVISIONE VII

Capo di divisione: MoTTA Riccardo, console generale di seconda classe (dal 13 luglio 1911 console generale di prima classe), fino al 18 novembre 1911 ; TEsTA Luigi, console generale di seconda classe, dal 19 novembre 1911.

SEZIONE I

Questioni giuridiche di nazionalità, di estradizione, di protezione consolare, di stato civile e di ogni altro ordine non politico né commerciale.

Capo sezione: NoTAR! Giosué, console generale di seconda classe, fino al 9 novembre 1911.

Segretari: DANEO Ferdinando, console di seconda classe, fino al 10 febbraio 1912; BARDUZZI Carlo Enrico, vice console di prima classe, dal 15 febbraio 1912; ARDUINI Luigi, addetto consolare, dal 7 agosto 1912.

SEZIONE II

Stipulazione ed interpretazione di trattati relativi alle materie anzidette.

Capo sezione: GARROU Mario, console di prima classe.

Segretario: DE CoNSTANTIN DI CHÀTEAUNEUF Carlo, vice console di seconda classe, fino al 7 gennaio 1912.

DIVISIONE VIII

Capo di divisione: CHicco Enrico, console generale di prima classe, fino al 31 dicembre 1911; DE VELUTIIS Francesco, console generale di seconda classe, dal 1° gennaio 1912.

SEZIONE I

Rogatorie -Pensionati al! 'estero -Atti giudiziari -Atti di stato civile -Ricerche al!' estero nel! 'interesse dei sudditi italiani.

Capo sezione: PERROD Enrico, console generale di seconda classe (dal 13 luglio 1911 console generale di prima classe), fino al 3 l luglio 1911.

Segretari: ToscANI Angelo, console di terza classe (dal 18 luglio 1911 console di seconda classe), dal 6 luglio 1911; ANFosso Luigi, vice console di prima classe (dal 3 settembre 1911 console di terza classe); DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, segretario di legazione di terza classe, fino al 14 novembre 1911; DE CRISTOFARO Ippolito Luigi, segretario di legazione di terza classe, fino al 23 maggio 1911; GRossARDI Antonio, vice console di seconda classe, fino al 3 marzo 1912.

SEZIONE II

Successione di sudditi italiani morti al!' estero.

Capo sezione: DE VELUTIIS Francesco, console generale di seconda classe, fino al 3 l dicembre 1911.

Segretari: GAZZANIGA Ettore, console generale di terza classe, dal 18 settembre 1911; CROCÈ Francesco, console di seconda classe, fino al 23 febbraio 1912; DELLA CROCE DI DoJOLA conte Galeazzo, vice console di prima classe (dal 15 ottobre 1911 console di terza classe), dal 2 ottobre 1911; CECCHI Gino, vice console di seconda classe, fino al 7 dicembre 1911; SILENZI Guglielmo, addetto consolare, dal 18 marzo 1912; VECCHIOTTI Gaetano, addetto consolare, dal 7 agosto 1912.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO E DELLA LEGISLAZIONE

Contenzioso diplomatico -Segretaria/o del Consiglio del contenzioso diplomatico Convocazione, verbali delle adunanze -Nomina e conferma dei membri del

Consiglio stesso -Archivio -Massimario del contenzioso. Studi preparatori delle conferenze di diritto internazionale privato e dei con gressi internazionali di indole giuridico -amministrativa. Raccolta ufficiale dei trattati -Pubblicazione degli atti relativi.

Capo d'ufficio: RICCI BusATTI Arturo, consigliere di legazione di prima classe (dal 14 luglio 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe).

LEGALIZZAZIONE E PASSAPORTI

Legalizzazione di atti -Corrispondenza e contabilità relativa -Passaporti diplomatici -Passaporti distinti.

Capo d'ufficio: N.N.

DIREZIONE CENTRALE DEGLI AFFARI COLONIALI

Direttore centrale: AGNESA Giacomo (dal 18 giugno 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ).

UFFICIO I

Eritrea e Somalia -Possedimenti, occupazioni, protettorati, determinazione di confini e di sfere di influenza in Africa -Misure sancite dagli Atti generali di Berlino e di Bruxelles -Tratta degli schiavi. Pubblicazione di documenti diplomatici relativi a questioni coloniali -Spedizioni geografìche ed esplorazioni in Africa.

Capo d'ufficio: N.N.

Segretari: FRESCHI conte Carlo, segretario di legazione di prima classe, dal 3 ottobre 1912; AwovRANDI MARESCOTTI Luigi, conte di Viano, console di seconda classe; DA PASSANO Filippo Gioacchino, vice console di seconda classe (dal 3 settembre 1911 vice console di prima classe), fino al 14 giugno 1912; TAMBURINI Antonio, vice console di seconda classe (dal 15 ottobre 1911 vice console di prima classe).

Addetti all'ufficio: MocHI Carlo, ufficiale coloniale.

UFFICIO II

Eritrea e Somalia -Colonizzazione -Preparazione delle leggi e dei decreti sull'ordinamento della Colonia Eritrea -Bilanci e contabilità coloniali -Protocollo e archivio coloniale.

Capo d'ufficio: MELI LuPI DI SoRAGNA marchese Guido, console di prima classe (dal 15 febbraio 1912 console generale di terza classe).

Segretario: LoJACONO Vincenzo, segretario di legazione di terza classe (dal 18 giugno 1911 segretario di legazione di seconda classe), fino ad ottobre 1911.

Addetti all'ufficio: MANTIA Giuseppe, SALVADEI Giovanni, CHECCHI Michele, DoNATO Antonio, agenti coloniali; MARCHISIO Ernesto, ufficiale coloniale di prima categoria; GANDINI Giuseppe, GASPONI Aspromonte, ufficiali coloniali di seconda categoria; BROGGI Antonino, maggiore dei bersaglieri; MoRI Angelo, capitano commissario di marina; CATASTINI Vito, direttore nei magazzini Deposito privative; MARCONI Annibale, tenente di fanteria.

DIREZIONE GENERALE DELLE REGIE SCUOLE ALL'ESTERO

Istituti scolastici governativi ali 'estero, loro ordinamento e direzione didattico-disciplinare -Istituzione e soppressione delle scuole -Locali scolastici -Materiale didattico e scientifico -Personale insegnante -Deputazioni scolastiche -Concorsi -Ispezioni -Posti gratuiti e semi-gratuiti dali' estero per l 'interno Amministrazione, contabilità, bilanci delle scuole -Decreti e mandati relativi. Istituti sussidiati ali 'estero -Sussidi ordinari e straordinari a scuole coloniali, private e confessionali -Vigilanze sulle medesime, ispezioni di esse. Palestre ginnastiche -Biblioteche delle regie scuole all'estero -Regio Istituto orientale di Napoli -Regio Istituto internazionale di Torino -Annuario delle scuole ali 'estero -Statistiche -Relazioni al ministro e al Parlamento -Protocollo e archivio del! 'ufficio.

Direttore generale: ScALABRINI Angelo. Capo sezione: BoccoNI Luigi, console generale di seconda classe. Segretario: GATTONI Giulio, segretario di legazione di seconda classe. Capo sezione di ragioneria: FIORETTI Vittorio, dal 9 agosto 1911. Primi ragionieri: FIORETTI Vittorio, fino all'8 agosto 1911, SuGLIANI Augusto, FRAN

ZETTI Attilio. Ragioniere: LEONINI PIGNOTTI Augusto.

COMMISSARIATO DELL'EMIGRAZIONE

Commissario generale: GALLINA conte Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, dal 31 marzo 1912.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente

m SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno, ministro degli affari esteri.

Vice-presidente

FINALI Gaspare, senatore del Regno.

Consiglieri

PAGANO GuARNASCHELLI Giambattista, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Roma. INGHILLERI Calcedonio, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato. GABBA Carlo Francesco, senatore del Regno, professore di diritto civile nella Regia Università di Pisa. GREPPI conte Giuseppe, senatore del Regno, ambasciatore onorario. FIORE Pasquale, senatore del Regno, professore di diritto internazionale nella Regia Università di Napoli. GRIPPO Pasquale, deputato al Parlamento, libero docente di diritto costituzionale nella Regia Università di Napoli. FusiNATO Guido, deputato al Parlamento, consigliere di Stato. MALVANO Giacomo, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato. BosELLI Paolo, deputato al Parlamento, primo segretario di S.M. il Re pel Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano. Pozzi Domenico, deputato al Parlamento. CHIMIRRI Bruno, deputato al Parlamento. SciALOJA Vittorio, senatore del Regno, professore di diritto romano nella Regia Università di Roma. LACAVA Pietro, deputato al Parlamento. MORELLI GUALTIEROTTI Gismondo, deputato al Parlamento.

Segretario generale

PucciONI Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione dal 30 marzo 191! al 18 ottobre 1912)

ARGENTINA

Buenos Aires -MACCHI DI CELLERE Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino all'li settembre 1912; NEGROTTO CAMBIASO Lazzaro, consigliere, dal l o gennaio 1912; VIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, segretario, fino al 20 gennaio 1912.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -AvARNA DI GuALTIERI duca Giuseppe, ambasciatore; ToMMASINI Francesco, consigliere; CERRUTI Vittorio, segretario; NANI MocENIGO conte Lodovico, segretario, fino al 19 settembre 1911; GAZZERA Giuseppe, segretario, dal 13 ottobre 1911; DANEO Giulio, segretario, dal 22 luglio al 7 settembre 1912; FREscor Filiberto, segretario, fino al IO giugno 1912; CANCIANI Ciro, capitano di corvetta, addetto navale, sostituito da GRIFEO, capitano di corvetta, addetto navale; ALBRICCI Alberico, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

BAVIERA

Monaco -NoBILI DELLA ScALA Aldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BELGIO

Bruxelles -BorrARO CosTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro pienipotenziano; CARACCIOLO Gaetano, segretario (dal 30 agosto 1911, primo segretario); GuARNERI Andrea, segretario, fino al 20 agosto 1911; PICCIONE Luigi, maggiore di artiglieria, addetto militare, sostituito da DE MARINIS STENDARDO A., addetto militare, capitano, (residenti a Bema).

BOLIVIA

AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -RoMANO AvEZZANA barone Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VIGANOTTI Grusn Gianfranco, segretario, dal 21 gennaio al 14 luglio 1912; CoMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, segretario, fino al 25 febbraio 1912.

BULGARIA

Sofia -DE BosoARI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NANI MocENIGO conte Giovanni Battista, segretario; MERRONE ENRico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

CILE

Santiago -RANUZZI SEGNI conte Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 15 giugno 1911; m MoNTAGLIARI marchese Paolo, consigliere, dal 17 gennaio 1912.

CINA

Pechino -SFORZA Carlo, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, dall' 11 maggio 1911; BRAMBILLA Giuseppe, segretario, fino al 22 giugno 1911; VITALE Guido, interprete, con il titolo onorario di segretario-interprete; BENSA MAURIZIO, interprete; CAVIGLIA Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio ), sostituito da ALLIEVI Cesare, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio).

COLOMBIA

Bogotà -MAZZA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

MILLELIRE Giorgio, ministro residente, fino al 14 giugno 1911; NoTAR! Giosué, ministro residente, dal 10 novembre 1911 (residenti a Guatemala).

CUBA

Avana -MoNDELLO Giacomo, ministro residente.

DANIMARCA

Copenaghen -BERTI Emanuele, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; MARCHETTI FERRANTE Giulio, segretario, fino al 19 aprile 1911.

EQUATORE

AGNOLI Ruffillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 6 luglio 1910 (residente a Lima).

ETIOPIA

Addis Abeba -CoLLI DI FELIZZANO conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRA Giuliano, segretario.

FRANCIA

Parigi -TITTONI Tommaso, ambasciatore; RusPOLI principe Mario, consigliere (dal 6 luglio 1912 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ); SERRA Attilio, consigliere, dal giugno 1912; GARBAsso Carlo, segretario, fino al 21 luglio 1911; GIANNUZZI SAVELLI Fabrizio, segretario, fino al 29 aprile 1911; DANEO Giulio, segretario, fino al 21 luglio 1912; PREZIOSI Gabriele, addetto (dal 18 giugno 1911 segretario); ZACCONE VITTORIO, maggiore di Stato Maggiore, colonnello, addetto militare; ALOISI Pompeo, segretario, tenente di vascello nella riserva navale, incaricato delle funzioni di addetto navale in Francia.

GERMANIA

Berlino -PANSA Alberto, ambasciatore; 0RSINI BARONI Luca, consigliere, fino al 30 settembre 1911; MARTIN FRANKLIN Alberto, primo segretario (dal 6 agosto 1911 consigliere); DuRINI DI MoNZA conte Ercole, segretario, fino al 19 giugno 1911; GuARNERI Andrea, segretario, dal 24 agosto 1911; LAMBERTENGHI conte Ruggero, segretario; TosTI DI VALMINUTA Mauro, segretario, fino al 24 aprile 1911; DE CRISTOFARO lppolito Luigi, segretario, dal 23 maggio 1911; CALDERARI Luigi, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

GIAPPONE

Tokio -GurcciOLI marchese Alessandro, ambasciatore; ARRIVABENE-VALENTI-GONZAGA conte Carlo, segretario (dal 18 giugno 1911 consigliere), fino al 25 luglio 1912; RoGADEO Giovanni, segretario; GAsco Alfonso, interprete; CAVIGLIA Enrico, tenente colonnello, addetto militare, sostituito da ALLIEVI Cesare, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

GRAN BRETAGNA

Londra -IMPERIALI marchese Guglielmo, ambasciatore; MANZONI Gaetano, consigliere; FRESCHI conte Carlo Giovanni, segretario, fino al 30 giugno 1912; DE RISEIS Mario, segretario, fino al 20 settembre 1912; VIGANOTTI GIUsTI Gianfranco, segretario, dal 19 settembre 1912; CoLONNA Ascanio, segretario; DE PARENTE Paolo Girolamo, addetto (dal 29 ottobre 1911 segretario); BAGNANI Ugo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; RESIO Arturo, capitano di fregata, addetto navale, sostituito da LovATELLI Massimiliano, capitano di corvetta, addetto navale.

GRECIA

Atene -CARLOTTI Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRINALDI Leopoldo, segretario; DE LucA Attilio Regolo, addetto (dall'8 giugno 1911 segretario); MARRa Prospero, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare (residente a Costantinopoli).

GUATEMALA

Guatemala -MILLELIRE Giorgio, ministro residente, fino al 14 giugno 1911; NoTAR! Giosué, ministro residente, dal l O novembre 1911.

HAITI

MaNDELLO Giacomo, ministro residente (residente ali' Avana).

HONDURAS

MILLELIRE Giorgio, mmtstro residente, fino al 14 giugno 1911; NOTAR! Giosué, ministro residente, dal 10 novembre 1911 (residenti a Guatemala).

LUSSEMBURGO

SALLIER DE LA TouR Giuseppe, duca di Calvello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Aia).

MAROCCO

Tangeri -CARIGNANI Francesco, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario; DEPRETIS Agostino, segretario, dal 18 gennaio 1912; GIANATELLI GENTILE Agesilao, interprete, con il titolo onorario di segretario-interprete, fino al 29 febbraio 1912.

MESSICO

Città del Messico -RAYBAUDI MASSIGLlA conte Annibale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 5 agosto 1911; ALIOTTI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 maggio 1912.

MONTENEGRO

Cettigne -SQVITTI NrcoLA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PrGNATTI MoRANO conte Bonifacio, segretario, dal 22 aprile 1911 al 6 ottobre 1912; MERRONE Errico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Sofia).

NICARAGUA

MrLLELIRE Giorgio, ministro residente fino al 14 giugno 1911; NoTAR! Giosué, ministro residente, dal lO novembre 1911 (residenti a Guatemala).

NORVEGIA

BERTI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Copenaghen).

PAESI BASSI

L 'Aja -SALLIER DE LA TouR Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CATALANI Giuseppe, segretario (dal 3 settembre 1911 primo segretario), fino al 17 aprile 1912; CoMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, segretario dal 26 febbraio 1912; PrccroNE Luigi, maggiore d'artiglieria, addetto militare, sostituito da DE MARINIS STENDARDO A., addetto militare, capitano (residenti a Bema).

PARAGUAY

Assunzione -GAZZANIGA Ettore, ministro residente fino al 17 settembre 1911; PITTALUGA Antonio, ministro residente dal 18 settembre 1911.

PERSIA

Teheran -MoNTAGNA Giulio Cesare, incaricato d'affari (dal 21 settembre 1911 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ); AMADORI Giovanni, addetto (dal 29 ottobre 1911 segretario), dal 30 giugno 1911.

PERÙ

Lima -AGNOLI Rufillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PORTOGALLO

Lisbona -PAULUCCI DI CALBOLI conte Raniero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGHESE Livio, segretario (dal 3 settembre 1911 primo segretario), dal 30 giugno 1911; ALLIATA DI MoNTEREALE principe Giovanni, segretario, fino al 10 aprile 1911; PoRTA Felice, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da MARSINGO M. capitano, addetto militare (residenti a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -BECCARIA INCISA Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 18 giugno 1911; FASCIOTTI barone Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 luglio 1911; CAMBIAGIO Silvio, segretario (dal 3 settembre 1911 primo segretario); CAMERANA conte Carlo, addetto (dal 29 ottobre 1911 segretario); PAPA DI CosTIGLIOLE conte Carlo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare; SJBILLA Donato, delegato commerciale; OuvoTTo Teodoro, archivista interprete, vice console; GRONDA Giuseppe, interprete.

RUSSIA

Pietroburgo -MELEGARI Giulio, ambasciatore; TOMASI DELLA ToRRETTA Pietro, segretario (dal 18 giugno 1911 consigliere); MINISCALCHI-ERizzo conte Francesco Leopoldo, segretario, fino al l O giugno 1911; NANI MocENIGO conte Ludovico, segretario, dal l o agosto 1912; SAVONA Giuseppe, addetto (dal 16 febbraio 1912 segretario); ABATI EMILIO, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GHERSI Alessandro Arturo, archivista interprete.

SALVADOR

MILLELIRE Giorgio, ministro residente, fino al 14 giugno 1911; NoTAR! Giosué ministro residente, dal IO novembre 1911 (residenti a Guatemala).

S. DOMINGO

MaNDELLO Giacomo, ministro residente (residente a L'Avana).

SERBIA

Belgrado -BAROLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 21 luglio 1912; RINELLA Sabino, segretario (dal 3 settembre 1911 primo segretario); PAPA DI CosTIGLIOLE conte Carlo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bucarest); DE SARNO SAN GIORGIO Dionisio, interprete.

SIAM

Bangkok -DuRANO DE LA PEN Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 15 dicembre 1911.

SPAGNA

Madrid -BoNIN LoNGARE conte Lelio, ambasciatore; SERRA Attilio, consigliere, fino al maggio 1912; BoRGHESE Livio, primo segretario, dal 31 maggio 1912; AuRITI Giacinto segretario; TosTI DI VALMINUTA Mario, segretario, dal 25 aprile 1911 al 30 settembre 1912; PoRTA Felice, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da MARSINGO M., capitano, addetto militare.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -CusANI CoNFALONIERI marchese Luigi Gerolamo, ambasciatore; NEGROTTO-CAMBIASO Lazzaro, segretario (dal 18 giugno 1911 consigliere), fino al 30 dicembre 1911; CATALANI Giuseppe, primo segretario, dal 18 aprile 1912; Rosso Augusto, addetto; MARTINOTTI L., addetto militare; CAMPERO Filippo, tenente di vascello, addetto navale, sostituito da PFISTER C., addetto navale; RAvAIOLI Antonio, delegato commerciale, sostituito da CECCATO G. B., addetto commerciale.

SVEZIA

Stacco/ma -VINCI GIGLIUCCI conte Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SVIZZERA

Berna -CuccHI BoAsso Fausto, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; ALLIATA DI MoNTEREALE, principe Giovanni, segretario, dali' Il aprile 1911; PIGNATTI MoRANO conte Bonifacio, segretario, fino al 21 aprile 1911; GAZZERA Giuseppe, segretario, dall'8 settembre 1912; PICCIONE Luigi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da DE MARINIS STENDARDO A., addetto militare, capitano.

TURCHIA (fino al 29 settembre 1911)

Costantinopoli -MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, ambasciatore, fino al 30 luglio 1911 I; DE MARTINO Giacomo, incaricato d'affari, dal 31 luglio al 30 settembre 1911; SACERDOTI DI CARROBIO conte Vittorio, consigliere, fino al 6 agosto 1911; GARBASSO CARLO, primo segretario (dal 27 agosto 1912 consi

1 Camillo Garroni, incaricato di reggere l'ambasciata a Costantinopoli in qualità di ambasciatore dal 21 luglio 1911, non prese servizio fino al novembre 1912.

gli ere), dal 22 luglio 1911; TAcou marchese Arrigo, segretario; GRIMANI conte Pierluigi, segretario, fino al 24 aprile 1911; NANI MocENIGO conte Ludovico, segretario, dal 20 settembre 1911; SERPIERI Cesare, addetto (dal 18 giugno 1911 segretario); GAZZERA Giuseppe, addetto (dal 18 giugno 1911 segretario); MARRO Prospero, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare; MELIA Carmelo, addetto commerciale; CHABERT Alberto, interprete; CROLLA Giuseppe, interprete.

EGITTO

Il Cairo -DE MARTINO Giacomo, agente diplomatico e console generale; GRIMANI conte Pier Luigi, segretario, dal 25 aprile 1911, dal gennaio 1912 reggente; MARIANI Alessandro, addetto, fino al 2 luglio 1912; CROLLA Giuseppe, interprete; NAcouz RoscALLA, interprete.

URUGUAY

Montevideo -CoBIANCHI Vittorio, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, fino al 4 dicembre 1911; ANCILLOTTO conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 dicembre 1911.

VENEZUELA

Caracas -SERRA Carlo Filippo, ministro residente.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione dal 30 marzo 1911 al 18 ottobre 1912)

Argentina -PoRTELA Epifanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PALACIO CosTA, primo segretario, fino al marzo 1912; FIGUEROA Alberto, primo segretario, dal maggio 1912; CuLLEN Germano, secondo segretario, fino al novembre 1911; RoLANDONE Conrado, secondo segretario; FREIXÀ J. Alfredo, colonnello, addetto militare, fino al dicembre 1911.

Austria-Ungheria -VON MÉREY voN KAPos-MÉRE Kajetan, ambasciatore; AMBROZY conte Ludwig, consigliere; voN VAux barone Leo, consigliere; voN FRANZ barone Otto, consigliere, dal 1° agosto 1912; CoLLOREDO MANNSFELD conte Ferdinand, segretario, fino al novembre 1911; WALTERSKIRCHEN conte Josef, segretario (dal luglio 1911 primo segretario), fino al giugno 1912; HYEVONGLUNEK barone Demetrio, primo segretario, dali' ottobre 1911; KoLOWRAT-KRAKOWSKY-LIEBSTEINSKY conte Johann, segretario, fino al giugno 1911; WINDISCH-GRAETZ principe Vinzenz, addetto; MIETZL August, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, fino al luglio 1912; SzEPTYCKI conte Stanislaus, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, dal luglio 1912; RÉMY BERZENKOVICH voN SziLLÀS LADISLAUS, capitano di corvetta (dal novembre 1911 capitano di fregata), addetto navale, fino ali' aprile 1912; voN UNO zu LIECHTENSTEIN principe Hans, tenente di vascello, addetto navale, dal maggio 1912.

Baviera .-voN TANN-RATHSAMHAUSEN barone Rudolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; voN FRAYS barone Ferdinand, segretario, fino al giugno 1912; voN GEBSATTEL barone Hans, segretario, dal dicembre 1911 al l o ottobre 1912; voN LuxBURG conte August Friedrich, consigliere, dal 2 ottobre 1912.

Belgio -VAN DEN STEEN DE JEHAY conte Wemer, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BoRGHRAVE Roger, consigliere, fino all'ottobre 1911; DE LICHTERVELDE conte Baudoin, consigliere, dali' ottobre 1911; DE VILLENFAGNE DE SoRINNES barone Jean, segretario; DE VILLEGAS DE S. PIERRE-JETIE Albert, addetto, dal giugno 1911.

Bolivia -SALINAS VEGA Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AGUIRRE LoPEZ Carlos, segretario, dali' aprile 1911.

Brasile -FIALHO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LIMA Y

SILVA Luis, primo segretario (dal dicembre 1911 consigliere); VELLOSO Pedro Leao, secondo segretario, dal novembre 1911; RosTAING LISBOA Carlos, secondo segretario, dal novembre 1911; DE SouzA PEREIRA BoTAFOGO Gabriel, colonnello del genio, addetto militare, fino all'aprile 1911; DE NoRONHA SANTos Julio Cesar, capitano di corvetta, poi capitano di fregata, addetto navale, dali' ottobre 1911.

Bulgaria -Rrzov Dimitri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SToEw Giorgij, primo segretario, fino al maggio 1911; GuEROV Christo N., primo segretario, dal maggio 1911; TABAcow Simeone, addetto, fino al maggio 1911; GANTCHEV Aleksander, comandante di Stato Maggiore, addetto militare, dal maggio 1912.

Cile -ALDUNATE BASCÙNAN Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DuBLÉ URRUTIA Diego, primo segretario; CHARLIN Ram6n, secondo segretario.

Cina -Ou TsoNG-LIEN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Yu YEWFAN, primo segretario; TcHAO HI-Tcmou, secondo segretario; MAZECHI G.S., terzo segretario; WEN HouEI, terzo segretario; VAN ZuYEN, addetto; TcHEOU PEINBAI, addetto; SHu ToNGCHI, addetto; TcHEOU TcHOUEN MEAU, addetto; Ou KouANZE, addetto.

Colombia -HuRTADO José Marcelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MICHELSEN Gustavo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, in missione speciale, fino al maggio 1912.

Costarica -MoNTEALEGRE Rafael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Cuba -DE CÉSPEDES Y QuEsADA Carlos Manuel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IZQUIERDO José Alberto, segretario.

Danimarca -DE GREVENKOP-CASTENSKIOLD Enrico, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario, fino al settembre 1912; KùNow Hans H., segretario, fino al dicembre 1911; DE OLDENBURG Markus Andreas, segretario, dal dicembre 1911; DE BERTOUCH LEHN barone P. J., addetto onorario.

Equatore -NoRERO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -BARRÈRE Camille, ambasciatore; LEGRAND Albert, ministro plenipotenziario di seconda classe, consigliere, fino al 9 giugno 1912; LAROCHE Jules, secondo segretario (dal gennaio 1912 primo segretario); 0LLÉ-LAPRUNE Joseph, terzo segretario (dali' aprile 1911 secondo segretario); CORBIN Charles, terzo segretario, fino al maggio 1912; RoGER Jean, addetto (dal gennaio 1912 terzo segretario); BAROIS Armand, addetto, dal maggio 1912; JuLLIAN, tenente colonnello d'artiglieria, addetto militare, fino all'aprile 1911; DE GoNDRECOURT, capo squadrone dei corazzieri, addetto militare, dali' aprile 1911; D'HuART, barone, tenente di vascello, addetto navale.

Germania -voN JAGOW Gottlieb, ambasciatore; voN STOLBERG-WERNIGERODE principe Wilhelm, consigliere, fino al gennaio 1912; voN HINDENBURG Herbert, consigliere, dal gennaio 1912; voN STUMM Ferdinand, secondo segretario, dall'ottobre 1911; voN WIED principe Victor, terzo segretario, fino al maggio 1912; D'ARcoZINNEBERG conte Nikolaus, segretario (dal maggio 1912 terzo segretario), dalmarzo 1912; RAuscH, tenente, addetto, fino all'aprile 1911; voN TATTENBACH conte Franz, addetto, dal maggio 1911 al26 maggio 1912; voNGAGERN barone, tenente, addetto, dal dicembre 1911; voN HELLDORFF, tenente, addetto, dal dicembre 1911; voN HAMMERSTEIN EQUORD, barone, tenente colonnello, addetto militare, fino al maggio 1911; voN KLEIST, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, dal maggio 1911; FucHs, capitano di fregata, addetto navale, fino all'aprile 1912; voN RHEINBABEN, capitano di corvetta, addetto navale dall'aprile 1912.

Giappone -HAYASHI barone Gonsukè, ambasciatore; SASANO Otojiro, primo segretario, dall'ottobre 1911; MARUMO Naotosi, primo segretario; IMA! Shinooh, secondo segretario, fino al maggio 1911; Y OSHIDA Shigeru, terzo segretario, fino al 12 maggio 1912; MuRAI Zenjiro, terzo segretario, dall'aprile 1912; SHIDZOUMA Tomotsougou, maggiore del genio, addetto militare; SAlTO Hanroku, capitano di fregata, addetto navale, fino all'agosto 1912; NAKAJIMA Sukemoto, capitano di vascello, addetto navale, dall'agosto 1912.

Gran Bretagna -RENNELL RoDD sir James, ambasciatore; WYNDHAM Percy Charles, consigliere, fino al 24 maggio 1911; DERING Herbert Guy, consigliere, dal 14 aprile 1911; ERSKINE William, primo segretario; HoARE Reginald Hervey, terzo segretario; OsBORNE Francis d'Arcy Godolphin, terzo segretario; LISTER Charles Alfred, addetto; TYRWHITT Gerald Hugh, addetto onorario, dall'li settembre 1911; GRANET Edward John, colonnello, addetto militare; CouRTENAY STEWART Arthur, capitano, addetto navale; BENNET Andrew Percy, addetto commerciale.

Grecia -CARAPANOS Alexandros, incaricato d'affari, fino al 1° febbraio 1912; DELYANNIS Petros, incaricato d'affari, dal 2 febbraio 1912 al giugno 1912; CACLAMANOS Demetrios, incaricato d'affari, dal giugno 1912; PoLYCHRONIADIS, segretario, dal settembre 1911 al maggio 1912; KIMoN CoLLAS, addetto, dal luglio 1912.

Guatemala -DE ARCE Francisco, incaricato d'affari, fino al 29 ottobre 1911; LARDIZABAL José Maria, incaricato d'affari, dal 30 ottobre 1911; MATOS Guillermo, addetto.

Messico -EsTEVA Gonzalo A., inviato straordinario e mtmstro plenipotenziario; EsTEVA Y CuEvAs Eduardo A., primo segretario; 0RVANANOS QuiNTANILLA Luis, addetto; PEREZ José Maria, generale, addetto militare (assente), fino all'ottobre 1911.

Monaco -DE MALEVILLE conte Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziano.

Norvegia -voN DITTEN Thor, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; SKYBAK O le, consigliere, fino al novembre 1911; HUITFELDT Emil, consigliere, dal novembre 1911; RAEDER Jack, segretario.

Paesi Bassi -VAN WEEDE jonkheer Henrich, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MICHIELS DE VERDUYNEN jonkheer Ferdinand, segretario, dall'ottobre 1911; ScHULLER TOT PEURSUM Christian, addetto, fino al settembre 1911.

Perù -CÀCERES Andreas A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente), fino al 18 novembre 1911; PoRRAS Meliton F., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 novembre 1911; SwAYNE YARGOTE Enrique, segretario (incaricato d'affari ad interim fino al 18 novembre 1911), fino al 24 aprile 1912; LEGUIA Eduardo, segretario, dal 25 aprile 1912; SoYER YCAVERO Emilio, addetto militare (assente), dal novembre 1911.

Persia -IsAAC khan Mofakham-ed Dovleh, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ENTEZAM-ES-SALTANÉH B., consigliere.

Portogallo -LEÀO Eusebio, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, dal 21 aprile 1912; LAMBERTINI PINTO José Maria, primo segretario (incaricato d'affari ad interim dal settembre 1911 ), fino al 20 aprile 1912; DO NASCIMENTO Mario, addetto (dall'aprile 1912 segretario); DE SÉGUIER Jayme, addetto commerciale.

Romania -NANU Costantin, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 27 dicembre 1911; DIAMANDY Costanti n, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 28 dicembre 1911; STATEscu Eugenio, primo segretario, fino all'aprile 1911; PENNESCO Dimitrie, primo segretario (dall'aprile 1912 consigliere); Sm!cEscu Gheorghe, secondo segretario, dall'aprile 1911; VLADESCU G., maggiore, addetto militare, fino al gennaio 1912; IGNAT Mihail, capitano, addetto militare, dal 20 maggio 1912.

Russia -DoLGORUKY principe Nikolaj, ambasciatore, fino al 19 giugno 1912; KRurENSKY Anatolij, ambasciatore, dal 20 giugno 1912; voN KoRFF-SCHMISING barone Modesto, consigliere, fino al marzo 1912; DE PoGGENPOHL Nikolaj, consigliere, dal 29 aprile 1912; GuLKEVIC Konstantin, primo segretario, fino al marzo 1912; VIASEMSKY principe Nikolaj, primo segretario, dal marzo 1912 al giugno 1912; MEssoYEDOFF Aleksandr, primo segretario, dall'agosto 1912; URussov principe Sergej, secondo segretario, fino al febbraio 1912; PETROV Vladimir, secondo segretario, dal febbraio 1912; RuKAVICHNICOW Vassilij, addetto; m ScHILLING barone Gustav, addetto, fino all'Il aprile 1912; TcHERTKOFF Grigorij, addetto, fino all'ottobre 1911; KHVOSTCHINSKY Vassilij, addetto; SOLDATENKOW Vassilij, addetto; GIULIANI Alessandro, addetto; SoLDATENKOW Aleksandr, addetto, fino all'ottobre 1911; BISTRAM barone Theodor, addetto; WoLKONSKY principe Aleksandr, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BoYLE Roman, capitano di corvetta, addetto navale.

Salvador-GuERRERO Gustavo, incaricato d'affari (dal 27 giugno 1912 inviato straordinario e ministro plenipotenziario ).

Serbia -Vuré Mikhail, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario (assente); SuBoné Branislav I., primo segretario, fino al dicembre 1911; DrMITRIEVIé Massimo, incaricato d'affari ad interim, dal 18 dicembre 1911 al 2 settembre 1912; MIHAILOVIé Lijubomir, incaricato d'affari, dal 3 settembre 1912; MAGAZINOVIé Dimitrije, segretario, dal gennaio al settembre 1912; Duré Jovan, segretario, dal settembre 1912.

Siam -BovARADEJ, principe, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario (assente); CoRRAGIONI D'ORELLI Carlo, consigliere; LuANG MoNTRI NIKARA KosA, segretario; DE RYCKMAN Fernando, segretario; NAI PRASOM, addetto, dall'ottobre 1911; PHRA SoNG SuRADEJ, tenente colonnello, addetto militare.

Spagna -GoNZALES DE 0LANETA Ulpiano, marchese di Valdeterrazo, ambasciatore, fino al 5 novembre 1911; PINA Y MrLLET Ramon, ambasciatore, dal 6 novembre 1911; GASSEND Carlos, consigliere; DrosDATO Y CoRTES Manuel, secondo segretario; DE RoMERO DE TEJADA marchese Luis, terzo segretario, fino al luglio 1911; ALCALÀ GALlANO visconte del PoNTON Emilio, addetto, fino al giugno 1911; MuRo Y NAVARRO Luis, addetto; CASULLERAS Y MACAZÀGA Manuel, addetto, dall'aprile 1912; MANZANOS Francisco, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Stati Uniti d'America -LEISHMAN John G.A., ambasciatore, fino al 12 novembre 1911; O 'BRIEN Thomas, ambasciatore, dal 13 novembre 1911; WILSON Charles, consigliere, fino al marzo 1912; PosT WHEELER S., consigliere, dal marzo 1912; MAGRUDER Alexander, secondo segretario, dall'aprile 1911; WHITEHOUSE Norman, addetto, fino al gennaio 1912; HARRISON John P.S., addetto, dal gennaio 1912; REYNOLDS LANDIS J.F., maggiore di cavalleria, addetto militare, fino al maggio 1912; DUNN George M., tenente colonnello, addetto militare, dal maggio 1912; LoNG Andrew L, comandante, addetto navale, fino al settembre 1912; WHITE Richard Drace, comandante, addetto navale, dal settembre 1912.

Svezia -BILDT barone Cari Nils Daniel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STRALE Gustav, consigliere, fino al 31 gennaio 1912.

Svizzera -ProDA Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LARDY Charles, consigliere; JAEGER Max, addetto, fino al l o gennaio 1912; HoFER Cuno, addetto, dal 2 gennaio 1912.

Turchia (fino al 29 settembre 1911) -HOSEYIN KIAZIM BEY, ambasciatore; SEIFFEDIN BEY, consigliere; MEHEMED KADRI BEY, primo segretario; CosTANTINO MAvRoum EFFENDI, secondo segretario; MoHAMMED ALÌ BEY ben AYAD, terzo segretario, fino all'agosto 1911; ALÌ FuAD BEY, ufficiale di Stato Maggiore, addetto militare; RAMIZ BEY, capitano di vascello, addetto navale.

Uruguay -AcEVEDo-DrAz Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REQUENA BERMUDEZ Pedro, primo segretario; MINELLI GoNZALES Pablo, secondo segretario, fino all'aprile 1911; MAGAR!Nos Mateo, secondo segretario, dall'aprile 1911; GARDELLI Diego J., addetto onorario, fino al giugno 1912; PoDESTÀ Andrea, addetto onorario, dal giugno 1912.